Malala Yousafzai che i talebani hanno tentato di uccidere perchè
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Malala Yousafzai che i talebani hanno tentato di uccidere perchè
mezzocielo anno XX - n. 4 - ottobre 2012 - € 5,00 sped. in a.p. art. 2 comma 20/c legge 662/96 - Filiale di Palermo Malala Yousafzai che i talebani hanno tentato di uccidere perchè promuoveva lo studio per le ragazze Carmela Petrucci uccisa per difendere la sorella Lucia dalle coltellate di un innamorato respinto bimestrale di politica cultura e ambiente pensato e realizzato da donne Il Punto Ilda Boccassini (forse un esempio) Dedico queste righe ad Ilda Boccassini, capo della direzione distrettuale antimafia di Milano, che il 10 ottobre ha ordinato l’arresto di un assessore della regione Lombardia “per corruzione e voto di scambio con uomini della ‘ndrangheta”. Si tratta dell’assessore Domenico Zambetti, trovato con le mani nel sacco. “In due casi – ha dichiarato Ilda Boccassini – ci sono riscontri oggettivi dei pagamenti effettuati in cambio di 4.000 voti” ed ha aggiunto: “Il pubblico ufficiale corrotto diventa patrimonio e capitale sociale di tutta l’organizzazione criminale”. Ma non voglio soffermarmi su questo ennesimo caso di infangamento della politica, come troppi altri venuti alla luce in molte regioni d’Italia. Voglio soffermarmi su questa limpida e forte figura di donna magistrato. Già nel 1990 aveva denunziato le infiltrazioni mafiose in Lombardia; era poi venuta in Sicilia, prima a Caltanissetta e poi a Palermo, ad affiancare le indagini sulle stragi del ’92; quindi era tornata a Milano dove è stata la principale accusatrice delle illegalità di Berlusconi; oggi ritorna meritoriamente alla ribalta con questa clamorosa operazione giudiziaria. Ha un viso aperto e luminoso; un’andatura vivace inconfondibile; una signorile riservatezza: un’unica intervista in TV, nel 1998, ad Enzo Biagi. Ilda Boccassini è certo una persona eccezionale. Ma vi sono oggi molte donne attive nella vita pubblica. Penso che possiamo prenderne atto con soddisfazione, al di là delle differenze di valutazione nei confronti di ciascuna di loro, perché è stata la nostra forza di donne, per quanto frazionata e intermittente, ad imporre, su questo fronte, un decisivo mutamento nel paese. Ormai in Italia nessun governo oserebbe presentarsi senza un consistente numero di donne ministro. Sta a noi rafforzare un’opinione pubblica femminile colta ed energica, che sappia rapportarsi con loro, sostenendole o anche criticandole. Per governare chi governa. Queste donne mandano al macero stereotipate immagini femminili: madri di famiglia, buoniste ed indulgenti, a difesa del nucleo familiare e indifferenti alla collettività. Personalmente ritengo che esse, pur nelle loro differenze, e forse prendendo a modello proprio Ilda Boccassini, si sono rivelate nella loro azione di governo rigorose, ferme, severe, attente al bene comune. Donne che, come è stato osservato, “vogliono restare donne, ma non vogliono essere come normalmente ci si aspetta che debbano essere”. Simona Mafai mezzocielo ottobre 2012 Wisława Szymborska Distante dai consueti schemi poetici, la grande scrittrice polacca affronta il tema dell’amore con sottigliezza psicologica e drammatica. Una poesia priva di enfasi e romantici rapimenti ma capace di trasmettere dolore e mancanza, assenza e impossibilità. Nessuna comunicazione possibile sulla torre di Babele se non la deriva di sentimenti inascoltati nel vento della separazione dove ciascuno/a parla una lingua prima comunicante poi, improvvisamente, sconosciuta. Un dialogo dove chi chiede non ha risposte e chi ascolta pone altre domande. “Una vecchia storia”, un’incessante domanda d’amore sull’amore il cui mistero “non vogliamo sapere”. Francesca Traina – Che ora è? – Sì, sono felice, e mi manca solo una campanella al collo che su di te tintinni mentre dormi. – Non hai sentito il temporale? Il vento ha scosso il muro, la torre ha sbadigliato come un leone, con il portale cigolante sui cardini. – Come, ti sei scordato? Avevo un semplice vestito grigio fermato sulla spalla. – E subito dopo il cielo si è rotto in cento lampi. – Entrare, io? Ma non eri da solo. – D’un tratto ho visto colori preesistenti alla vista. – Peccato che tu non possa promettermi. – Hai ragione, doveva essere un sogno. – Perché menti, perché mi chiami con il suo nome, la ami ancora? – Oh sì, vorrei che restassi con me. – Non provo rancore, avrei dovuto immaginarlo. – Pensi ancora a lui? – Non sto piangendo. – E questo è tutto? – Nessuno come te. – Almeno sei sincera. – Sta’ tranquillo, lascerò la città. – Sta’ tranquilla, me ne andrò via. – Hai mani così belle. – È una vecchia storia, la lama è penetrata senza toccare l’osso. – Non c’è di che, mio caro, non c’è di che. – Non so che ora sia e non lo voglio sapere. 1 mezzocielo ottobre 2012 Calabria, Titolotestimoni tiolo titolo di titolo giustizia. persone Hanno perso sogni lavoro e giovinezza Adriana Castellucci Alla ’91 – la prima guerra Iraq È unfine voltodelrinascimentale quello di in Marisa sullo scenario internazionale; in Italia lo Masciari, ma dallo sguardo fermo dei suoi squasso dei azzurri partiti, sie ricava il PCIil segno che cambia intensi occhi di una volto, e nome; al comune di Palermo personalità forte e determinata, che si èuna cogiunta democristsullo stile “altalenante” struita in anni di sofferenze e di rischi. Incontrare la moglie di Pino Masciari, imprenditore calabrese e coraggioso testimone di giustizia, sentire il racconto degli ultimi quindici anni della loro vita significa ripercorrere un lungo tunnel, fatto di violenze mafiose e minacce di morte, da un lato, e di inadempienze istituzionali, dall’altro: un oscuro labirinto in cui ci si perde, si fa fatica a discernere i contorni, a capire dove la disattenzione sfiora la malafede o la connivenza. Era la sera del 17 Ottobre del 1997 quando la scorta prelevò questa giovane donna, suo marito e i loro due bimbi dalla loro abitazione a Serra San Bruno, staccandoli definitivamente da una normale vita borghese, fatta di lavoro e di impegno: lo studio medico di lei, l’impresa edile di lui. Per loro era scattato il Programma di protezione previsto per i testimoni di giustizia. Era la logica conseguenza della decisione di Pino di rendere testimonianza all’Autorità giudiziaria riguardo alle violenze di cui era stato fatto bersaglio: furti, incendi, estorsioni, minacce. Una vita agiata veniva sacrificata ad un’idea alta di giustizia e legalità che non si voleva e non si vuole piegare alla violenza criminale organizzata: una scelta drammatica presa con convinzione di comune accordo. Sono stati anni di trasferimenti da una città all’altra, anni di solitudine e di prove durissime, anni di processi, durante i quali Pino si è trovato da solo a testimoniare contro potenti boss fra l’ostilità, l’indifferenza e la rassegnazione della gente, anche di pezzi dello Stato, ma grazie alla sua ferrea determinazione e la robusta verità sono stati condannati 40 ’ndranghetisti d’alto livello e alcuni esponenti delle istituzioni. “Noi siamo stati allontanati per grave ed imminente pericolo di vita dalla nostra terra e dai nostri affetti, gestiti dallo Stato nella privazione dei diritti, perseguiti dalla criminalità organizzata: questo in sintesi la nostra reale condizione. Testimoniare contro diversi esponenti della ‘ndrangheta, contro un regime di controllo terroristico del territorio ha significato per noi perdere tutto, perdere non solo l’agiatezza, il benessere, il lavoro e la famiglia. Abbiamo perso la nostra giovinezza. E i nostri figli la serenità fin dalla primissima infanzia. Lo Stato ci deve riconoscere quanto è stato da noi intrapreso con impegno, con amore, con trasparenza. Il nostro è un vero e proprio esilio politico”. Così conclude Marisa, a sottolineare la lacerazione e il distacco dalla Calabria, dagli affetti, da quelle radici che sono sostanza dell’identità di un essere umano. Solo da poco tempo la famiglia Masciari sta riprendendo una qual forma di normalità, anche se con evidenti limiti. Diverse città italiane come Torino, Bologna, Milano, Verona, Firenze e tante altre ancora hanno voluto dare a Pino la cittadinanza onoraria, molte scuole ed Associazioni come Libera, lo hanno invitato a raccontare la sua vicenda ed il valore della sua scelta di vita fatta con Marisa. Entrambi hanno scritto un libro, “Organizzare il coraggio”. E la loro vicenda è stata oggetto di articoli, di documentari, anche di una rappresentazione teatrale: “Padroni delle nostre vite” a cura di Sciara Progetti. In loro difesa tanti giovani, aggregandosi nella condivisione della difesa dei valori di legalità e giustizia, hanno creato l’Associazione Amici di Pino Masciari e hanno accompagnato Pino nelle sue ultime trasferte processuali e nei suoi interventi di educazione alla legalità, svolgendo una sorta di ruolo di scorta civile. Una catena umana di solidarietà e di presa in carico che apre nuovi orizzonti di speranza per un esercizio di cittadinanza consapevole e di lotta al crimine organizzato. “In questo contesto – conclude Marisa – ogni giorno l’impegno di Pino e mio si trasforma in testimonianza di vita: perché vale la pena di credere nella giustizia e lottare per la verità, la libertà, il senso del dovere e dello Stato. 2 mezzocielovent’anni2011 2 mezzocielo ottobre 2012 persone Rielaborazione di Letizia Battaglia, Mondello Il Comune di Reggio Calabria: sciolto per contiguità mafiosa Ottobre 2012: Un fatto grave, eclatante. A seguito di una relazione voluta dal Ministero degli Interni ed effettuata da una commissione d’accesso insediatasi nel Gennaio scorso, Il Ministro Cancellieri ha disposto lo scioglimento del consiglio comunale per la possibilità di “rapporti sospetti con le cosche”. La commissione ha verificato la possibilità di condizionamenti dell’amministrazione comunale, eletta nel 2011, a partire dalle indagini della DDA sulla società partecipata Multiservizi e dall’inchiesta che ha portato all’arresto del consigliere comunale Plutino. 3 mezzocielovent’anni2011 3 mezzocielo ottobre 2012 persone persone Paradossi Titolopalermitani. tiolo titolo titolo Una piccola imprenditrice intervista di Simona Mafai alle prese a Ginni Albegiani con tanti misteri Alla fine del ’91 – la prima guerra in Iraq sullo scenario internazionale; in Italia lo squasso dei partiti, e il PCI che cambia volto, e nome; al comune di Palermo una giunta democristsullo stile “altalenante” Eccola qui davanti, una rappresentante delle famose piccole-medie-imprese (ormai, negli articoli e rapporti economici sintetizzate nella sigla PMI): alta, ardita, occhi neri mai sfuggenti, vestita con eleganza ed una enorme borsa da lavoro-viaggio. Che impresa conduce? Abbigliamento? Gioielli? Prodotti biologici? No. Ginni Albegiani è titolare di un’impresa che più maschile non si può: la Tecnoservizi, che fornisce automezzi articolati per la raccolta dei rifiuti ai comuni siciliani, curandone – ovviamente – anche la manutenzione e il rinnovo. È sempre alle prese con lo spaventoso reticolo delle finanze degli enti locali, il loro disordine, la loro inadeguatezza, ed anche – non di rado – i loro imbrogli. Con lei vogliamo parlare di uno dei più gravi nodi che soffocano le piccole e medie aziende, e di cui oggi – in tempi di austerità ma anche d’indispensabile spinta allo sviluppo – molto si parla: i mancati pagamenti, da parte delle pubbliche amministrazioni, dei beni e servizi forniti dalle imprese private. Si parla complessivamente di quasi 100 miliardi di euro che se fossero versati favorirebbero una spinta allo sviluppo produttivo ed occupazionale. E allora, cara Ginni, tu che operi a Palermo e provincia, spiegaci un po’ com’è questo ginepraio. Tra le misure per la crescita elaborate dal governo Monti, rese pubbliche a fine agosto, è stata affermata la volontà della Pubblica Amministrazione di saldare tutti i propri debiti nei confronti delle imprese private. Del resto in proposito vi è una specifica direttiva dell’Unione europea, che prescrive anche un termine ultimo per il saldo di tutti questi pagamenti (circa 180 miliardi in tutta l’Unione). Ma l’impegno non è stato seguito da alcuna disposizione operativa. Io sono titolare di una piccola impresa palermitana (Tecnoservizi, manutenzione degli auto compattatori per lo smaltimento dei rifiuti), nonché rappresentante della più grossa società DULEVO (fornitrice degli stessi auto com- pattatori). La Tecnoservizi ha un credito con le aziende comunali di 180.000 euro (somma che aumenta man mano che il servizio procede); la DULEVO, un credito di 3.500.000 euro circa, che sta causando seri problemi ad una azienda da sempre solidissima. Ci sono a rischio decine di posti di lavoro. Mentre se ci fosse sicurezza dei pagamenti, si potrebbero ammodernare le strutture, acquistare nuovi strumenti, impiegare altra forza lavoro. Infatti il settore della raccolta e smaltimento dei rifiuti non andrebbe considerato come un peso, ma come una fonte di nuova imprenditoria ed altra occupazione (e ciò a livello non solo comunale, ma nazionale e forse mondiale). Si dovrebbe organizzare meglio, con più controlli ed eventuale personale specializzato, la raccolta differenziata in città; si dovrebbero impiantare una serie di piattaforme ecologiche, sulle quali far confluire i diversi tipi di rifiuti raccolti; ci si dovrebbe specializzare nel riciclaggio dei materiali di scarto, ecc. Ma, almeno a Palermo, la situazione è completamente bloccata. L’Azienda comunale per il trattamento dei rifiuti (AMIA) è stata trasformata da Azienda pubblica a Società per Azioni (cioè privata, ma si è trattato di una misura formale, perché l’azienda vive solo con danaro pubblico). Ha oltre 2000 dipendenti, la maggior parte dei quali assunti per clientela o per pressioni più o meno oscure. I dirigenti sono centinaia, e la loro attività poco controllata. Sconvolgente, come sempre, il paragone tra Palermo ed altre città d’Italia: per il servizio dei rifiuti urbani vi sono a Palermo un dipendente ogni 400 abitanti; in Italia un dipendente ogni 3600 abitanti! L’AMIA di Palermo è commissariata dall’11 febbraio 2010. Oggi vi sono tre commissari di nomina governativa. Si è assistito alla paradossale richiesta fatta al Tribunale fallimentare da parte del “facente funzioni” di presidente e liquidatore dell’AMIA, nonché contemporaneamente direttore generale del Comune di Palermo ing. Lo Cicero, e dei due legali (consulenti esterni) prof. Stagno 4 mezzocielovent’anni2011 4 mezzocielo ottobre 2012 persone d’Alcontres e Bartolomeo Romano (tutti in carica prima del commissariamento) di essere ammessi al passivo con una richiesta di circa 15 milioni di euro. Richiesta giustamente respinta dal giudice fallimentare. Dal punto di vista delle imprese fornitrici, la conseguenza è stata il congelamento di tutti i crediti (e quando saranno scongelati?), ed un netto peggioramento nella fornitura dei servizi, che prima venivano forniti “in sospensione di IVA” (perché si trattava di azienda pubblica) ed ora vanno forniti con pagamento immediato dell’IVA: un aggravio netto per le ditte, che devono sborsare subito all’erario (Agenzia delle Entrate), la percentuale IVA su servizi che non si sa se e quando saranno pagati. Non può quindi sorprendere il fatto che la gara espletata al- controlli sui conti delle aziende a capitale pubblico siano efficaci e trasparenti. Tutto abbastanza chiaro ed abbastanza tragico. Ma ora dicci anche: come sei arrivata ad assumerti questo lavoro? Non era un’azienda di famiglia, e non era nelle mie aspirazioni. Da ragazza volevo fare l’antropologa o la giornalista. Ero anche una provetta sportiva: sono entrata nella squadra di pallavolo femminile categoria A. Calcai per un certo tempo anche le scene, come attrice dell’emerito gruppo dei Travaglini di Palermo. Poi le necessità della vita hanno morso forte. È morto mio padre, ed era indispensabile trovare un lavoro comunque. Mi presentai come stenodattilografa alla Società macchine agri- Fotografia di Schobha, India Kerala, 2010 cune settimane fa dall’AMIA di Palermo, per il noleggio di nuovi auto compattatori, sia andata deserta. La situazione è talmente assurda, che non può dirsi se il servizio continuerà, se sarà sospeso, se la questione nettezza urbana esploderà come una bomba per tutta Palermo. A meno che (ma pare veramente difficile) per iniziativa del Governo centrale si renda operativa la direttiva di cui abbiamo parlato all’inizio: “rimborsare alle ditte fornitrici i crediti accumulati da anni”. E far sì che i cole, appena costituita a Palermo. Vendevano un particolare tipo di motozappa nuovissimo ed efficace. Non ero molto capace come dattilografa, ma avevo voglia e capacità di lavorare. Fui assunta come segretaria, e dopo poco divenni agente commerciale. Ero molto capace a parlare con i contadini, possibili acquirenti delle famose motozappe. Parlando con loro, sapevo utilizzare anche il dialetto. Così mi impratichii nel commercio di macchine agricole, ed il mio “destino” di piccola imprenditrice fu segnato. 5 mezzocielovent’anni2011 5 mezzocielo ottobre 2012 persone UrbanLab Tra l’erba Titolo cresceva tiolo titolo l’amianto titolo “Situata centro città diguerra Cosenza, esiAlla finealdel ’91 –della la prima in Iraq ste un’area, sedeinternazionale; un tempo dellein mitiche sullo scenario Italia oflo ficine delle Calabria e della squasso dei ferrovie partiti, della e il PCI che cambia Lucania, nei cuialcapannoni volto, e nome; comune divenivano Palermoripauna rate le democristsullo antiche locomotive che collegavano giunta stile “altalenante” valli e monti, nei tortuosi percorsi delle due regioni meridionali. Da anni l’area, abbandonata, mostrava tutti i segni del tempo e del degrado. Tutto intorno, Cosenza cambiava, alti palazzi venivano costruiti ai fianchi dell’area delle ex officine; il vecchio tracciato ferroviario che avrebbe potuto collegare facilmente l’area urbana, veniva dismesso e lasciava spazio ad un imponente viale parco: viale Giacomo Mancini. Ma mentre tutto intorno all’area, il paesaggio cambiava, quel terreno degradava lentamente, ma progressivamente. Tra l’erba, che cresceva alta, si insinuavano polveri pericolose; l’amianto sfibrato, derivante dalle coperture dei capannoni costruite quasi interamente in eternit, rilasciava i suoi veleni. Nonostante questo quadro, a partire dal 2005, quell’area abbandonata incomincia lentamente a rianimarsi; miracolosamente, prendono forma iniziative positive, si mettono in piedi attività di accoglienza e di cura nei confronti di persone in difficoltà. Nasce qualcosa di inaspettato ed imprevisto, che rimette tutto in discussione. Certo, quel tracciato ferroviario proprio al centro della città poteva essere sistemato con un po’ di manutenzione e riutilizzato per collegare l’area urbana da nord a sud, garantendo un eccellente servizio di trasporto per i cittadini dell’area urbana, predisporre piste ciclabili, e promovendo una originale utilizzazione delle antiche locomotive e dei vecchi tracciati ferroviari, anche per i turisti o viaggiatori curiosi. Ma quello che sembra naturale, e soprattutto di facile realizzazione, senza costi eccessivi, per gran parte delle pubbliche amministrazioni e degli urbanisti sembra essere di scarso interesse e quasi impossibile da realizzare. Ma proprio da questo contesto di occasioni mancate e prospettive irrealizzate, dal 2005 quel luogo di degrado incomincia lentamente a popolarsi e a mescolare mondi e culture diverse. Vengono ospitati i Rom evacuati dal greto del fiume Crati, si aiutano i bambini rumeni a studiare, si organizza uno sportello legale per il disbrigo di pratiche Nadia Gambilongo per gli immigrati, si tengono corsi di lingua italiana per stranieri, si raccolgono mobili ed indumenti usati per il riciclo ed il riuso, nasce il mercatino equo e solidale. Si susseguono attività culturali ed artistiche: presentazioni di libri, spettacoli teatrali, concerti, seminari, assemblee pubbliche, manifestazioni. Viene allestita una sala Internet gratuita con l’utilizzo di hardware riqualificato, prende forma un centro di ascolto permanente, un dormitorio per i migranti. Periodicamente si organizzano attività per i ragazzi diversamente abili, nasce una sala di registrazione, una palestra popolare, un luogo di culto. In occasione dell’antica festa cosentina di San Giuseppe, che si svolge ogni anno in città, le associazioni dell’area danno accoglienza ai tanti migranti che partecipano come espositori alla fiera: offrono loro cibo, the, servizi e socialità. Per sei edizioni consecutive le associazioni accolgono il mondo con “Fierainmensa”. Nel 2008 il Comune di Cosenza istituisce “UrbanLab”, un laboratorio di progettazione partecipata con tutte le realtà presenti nell’area. La città, la stampa incomincia ad accorgersi di questa realtà in fermento. Risulta del tutto evidente, anche ai cittadini più distratti, che un’area dismessa, abbandonata della città, è stata rivalutata attraverso il lavoro gratuito di tante/i volontarie/i. Ma in quell’area oltre ai cittadini ed ai migranti attivi, ci sono anche tante particelle di amianto altrettanto attive, e nel 2011 la Procura della Repubblica avvia, tramite l’ASP, la verifica sulle condizioni di pericolosità dei tetti in Eternit; pertanto, alcune associazioni dell’area vengono sentite in Procura. Nello stesso periodo le associazioni redigono un dossier sulle attività svolte e si tenta di instaurare un dialogo con le istituzioni. Ma questo percorso virtuoso viene inaspettatamente interrotto da un’ordinanza di sgombero! Il dialogo diventa burocratico, bisogna sgomberare per bonificare tutta l’area dall’amianto. In città e nell’area urbana, la pre- 6 mezzocielovent’anni2011 6 mezzocielo ottobre 2012 UrbanLab Fotografia di Sbhobha, India, Kamataka, 2012 senza dell’amianto è assai diffusa. Come si potrebbero sgomberare interi quartieri per effettuare la bonifica? Inoltre, non esiste un piano di bonifica cittadino. Dopo l’ordinanza di sgombero, le associazioni si preoccupano, temono il peggio, in città serpeggiano chiacchiere sulla presunta occupazione abusiva degli spazi da parte dei volontari. Si riafferma il diritto di proprietà di Ferrovie della Calabria, anche se l’area era stata completamente abbandonata per anni. Si prova la carta ignobile di mettere gli uni contro gli altri volontari ed operai disoccupati delle ferrovie. Un misto di paura e sfiducia serpeggia nell’aria, ma la guerra tra poveri non funziona, alcune associazioni dell’area prendono l’iniziativa, organizzano un’assemblea pubblica, scrivono un appello, raccolgono firme per dire: Via l’amianto dalla città, ma il parco sociale resta qua! La cittadinanza risponde, la raccolta di firme ha successo, le assemblee sono partecipate, le decisioni prese collettivamente diventano pratica politica. Si insedia una “tavola” di negoziazione, che coinvolge tutti i soggetti istituzionali responsabili della bonifica e del rilancio del Parco sociale. Si creano le premesse per una progettazione partecipata dell’area e non solo, si creano i presupposti per sperimentare una pratica politica trasparente. Questa modalità di risoluzione dei problemi potrebbe diventare un “metodo cittadino”, da diffondere nella provincia. I sogni si fanno spazio. Tante le donne attive nell’area delle ex officine, tante donne coinvolte nella tavola di negoziazione per la bonifica ed il rilancio del Parco sociale. Certo la cultura patriarcale serpeggia ed interferisce nelle relazioni anche tra donne, ma l’esperimento continua. Raccontare l’evolversi dell’intera vicenda è utile, poiché dimostra che la strada del dialogo costruttivo, in alternativa alle decisioni prese dall’alto, è una strada in grado di assicurare alla progettazione del futuro Parco Sociale caratteristiche di solidità e ricchezza di contenuti. Condivisione e partecipazione: questo metodo potrebbe diventare nel tempo, laddove si riesca a consolidarlo, una buona prassi da ripetere anche altrove, da esportare nel resto d’Italia ed in un’Europa, al momento tutta ripiegata su se stessa e in crisi. Sono queste le città che vorremmo?! Inclusive che valorizzano e diffondono esperienze come queste? Nei prossimi anni non ci sarà lavoro per tutte/i, soprattutto nell’ambito della produzione di merci, la crisi è anche una crisi di sovraproduzione di merci e di edifici, ma ci saranno tanti lavori di cura da fare. La manutenzione di case ed edifici pubblici, la ristrutturazione e la riqualificazione degli spazi pubblici, la cura delle persone non può essere solo una faccenda di donne, una rivoluzione culturale è necessaria. 7 mezzocielovent’anni2011 7 mezzocielo ottobre 2012 UrbanLab education Titolo tiolo titolo titolo Scuola: Tutto cambia per rimanere com’è Nome Cognome Alla fine del ’91 – la prima guerra in Iraq sullo scenario internazionale; in Italia lo squasso dei partiti, e il PCI che cambia volto, e nome; al comune di Palermo una giunta democristsullo stile “altalenante” “Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi”:questa frase, se ben abusata in tempi così neri per quasi tutti gli ambiti lavorativi, calza a pennello per il mondo della scuola. Da decenni passano i governi, da decenni si avvicendano ministri e ognuno ha la sua risposta. Chi taglia, chi apre ai privati, chi come l’ultimo Ministro, gattopardianamente, ha ritenuto che per fare entrare nella scuola “i giovani e i meritevoli” bisognasse ripristinare il concorso a cattedra. Per chi, come molti giornalisti o commentatori, che esultano trionfalmente per il ritorno al concorso vorrei fornire una breve cronaca della morte e della resurrezione di questo italianissimo strumento di selezione. I concorsi a cattedra furono aboliti nel 1999, anno dell’ultimo concorso, e sostituiti dalle scuole di specializzazione perché si riteneva, a torto o a ragione, che i futuri docenti necessitassero di una preparazione più adeguata e non di una semplice verifica concorsuale. Si riteneva che questi corsi, le Ssis, biennali e a pagamento, avrebbero formato i nuovi docenti e ne avrebbero formati un numero giusto per colmare i posti vacanti che c’erano o si sarebbero creati nell’arco di alcuni anni. Ma in Italia, come sempre, si strafà e quindi la quantità di abilitati è cresciuta a dismisura e creando delle graduatorie a livello provinciale ben oltre le capacità di un settore per il quale si investe poco (secondo i dati Ocse si investe il 4,7% del Pil in istruzione a fronte di una media del 5,8%) e nel quale ci si pensiona sempre più tardi. Risultato? Gli abilitati delle Ssis si sono sommati ai docenti abilitati nel concorso del 1999 (ad oggi non ancora assunti del tutto...) creando graduatorie spesso chilometriche e centinaia di migliaia di docenti precari. A peggiorare il tutto i tagli selvaggi della ex ministra Gelmini, che hanno falciato di migliaia di unità i posti disponibili, hanno generato ad oggi, in vista del “miracoloso”concorso, cui potranno anche partecipare i laureati fino all’anno 2003, circa 150.000 aspiranti per meno di 24.000 cattedre in tre anni e destinate al 50% alle graduatorie, le chilometriche di cui parlavamo prima, che rimarranno comunque in vigore. Dimenticavo! Dato che tanti neolaureati non hanno, dopo la dismissione delle Ssis, avuto la possibilità di entrare nel mondo della scuola, l’ultima invenzione (a dire il vero risalente alla Gelmini) sono i TFA – tirocini formativi attivi – a pagamento e annuali che permetteranno l’accesso ai prossimi concorsi che, secondo il ministro, dovrebbero svolgersi ogni due anni. Le prove di selezione inoltre, svolte negli scorsi mesi, per questi ulteriori strumenti di ingresso alla professione docente, sono stati un flop, dati i gravi errori segnalati nelle prove preselettive, ammessi dallo stesso ministero e che hanno permesso il reintegro in questa fase di moltissimi esclusi. La situazione è davvero ingarbugliata e figlia di errori gravi commessi negli ultimi decenni e un concorso non è una bacchetta magica, soprattutto quando i posti sono pochi e non si risolve il problema delle enormi graduatorie. Purtroppo è più semplice fare proclami (pre-elettorali) e invocare la soluzione definitiva (costosa e inutile) piuttosto che guardare in faccia la situazione dell’educazione pubblica, specchio dello sfacelo di tutto il paese. Stefania Savoia 8 mezzocielovent’anni2011 8 mezzocielo ottobre 2012 education Una scuola senza genere Che genere di concorso? La lettera aperta, scritta dal Laboratorio di studi femministi Anna Rita Simeone dell’Università di Roma La Sapienza, indirizzata al Ministro dell’Istruzione Francesco Profumo e alla Ministra Elsa Fornero , individua delle problematiche importanti riguardanti il prossimo concorso a cattedra. L’intento principale della lettera, sapientemente redatta da donne professioniste dell’educazione, spesso precarie è “[...] riaprire pubblicamente il dibattito intorno a una questione, quella del genere e della sessuazione del sapere, che in molti paesi europei è ormai data come punto di partenza per la pianificazione pedagogica e didattica”. Per ciò che concerne i programmi di studio si legge che “Basta scorrere gli elenchi di autori che il candidato dovrebbe innanzitutto conoscere: tra i filosofi, nemmeno una donna; tra gli scrittori, una sola, Elsa Morante; nel programma di storia non c’è alcun accenno alla storia delle donne a alle questioni di genere; tra i fatti notevoli del Novecento non è menzionato il femminismo. Quando si parla di educazione linguistica non c’è nessun riferimento al linguaggio sessuato. Quando si parla di geografia, non c’è nessun accenno al genere come categoria di indagine.”La lettera, il cui testo integrale si può leggere sul sito /www.sguardisulledifferenze.org, si chiude con una domanda diretta al Ministro:”Una scuola per l’Europa non può lasciare le questioni di genere ufficialmente fuori dalla porta. La domanda che le poniamo è dunque: non le sembra giunto il momento di smettere di farle entrare dalla porta di servizio?” Quanto si spende per l’educazione? Tabella della spesa in percentuale al Pil dei paesi dell’area europea(più Stati Uniti) per ogni livello di educazione (1995, 2000, 2005, 2009) estratta da OECD (2012), Education at a Glance 2012: OECD Indicators, OECD Publishing. http://dx.doi.org/10.1787/eag-2012-en 9 mezzocielovent’anni2011 9 mezzocielo ottobre 2012 education ambiente La terra Titolo è vascia tiolo titolo titolo Quello che associazioni ambientaliste deAlla fine delle ’91 – la prima guerra in Iraq nunciano da tempo, e cioè che in si consuma sullo scenario internazionale; Italia lo troppo disponibisquassosuolo dei fertile partiti,per e le il limitate PCI che cambia lità delenostro è statodifinalmente ogvolto, nome;paese, al comune Palermo una getto un rapportostile del“altalenante” ministro delle giunta di democristsullo Politiche agricole, il “tecnico” Mario Catania. Da una serie di concause, dalla siccità stagionale alla riduzione dei beni utili all’agricoltura (acqua, terreni, sementi, addetti, pratiche, servizi di varia natura) si temono scombussolamenti locali e globali, poiché la penuria di risorse alimentari non solo ci renderà più dipendenti dall’estero per gli approvvigionamenti, con relativo aggravio per le casse statali, ma innescherà reazioni dalle imprevedibili conseguenze nei paesi più poveri, dove già la “rivolta del pane” ha fatto detonare reazioni a catena ingovernabili. Dunque stavolta è un ente governativo, a preoccuparsi del consumo troppo spregiudicato di suolo fertile per nuove costruzioni, non solo il Forum del paesaggio che, dalla sua nascita ad ottobre 2011, promuove il censimento comunale degli edifici civili e industriali abbandonati da riutilizzare, prima di avventarsi ancora con colate di cemento su terreni agricoli produttivi. In Italia si è costruito troppo e male, a debito e con interessi alti e, finché non scoppia una bolla immobiliare, il Cresme stima che le abitazioni costituiscano l’84% della ricchezza reale delle famiglie italiane, e il 50% del Paese. Fortuna che su altri versanti c’è chi promuove le “Scienze della terra” come Carlin Petrini, creatore di Slow Food e di tante manifestazioni – Salone del Gusto, Terra Madre, Università di Scienze gastronomiche, i presìdi dei prodotti tipici, la Banca dei semi... – il cui impagabile attivismo fa da catalizzatore delle buone pratiche agricole, pastorali e manufatturiere, aventi per effetto collaterale il mantenimento e la manutenzione dei terreni agricoli e quindi della tenuta idrogeologica e paesaggistica dei territori. Fare il contadino è faticoso, la terra è vascia, bassa da spaccare la schiena, ma la dedizione che è (era) necessaria per cavarle il sostenta- Rosanna Pirajno mento, spesso piuttosto avaro, nella tramontata “civiltà contadina” ora è addirittura eroica se rapportata allo scarso rendimento che gli agricoltori lamentano e che induce molti a rinunciare. La civiltà moderna, sempre meno industriale e più tecnologica, ha creduto di poter fare a meno dell’agricoltura, in Italia si sono ridotti notevolmente addetti e superfici a fronte di un insostenibile incremento di terreni “cementificati”. Con la sparizione negli ultimi 50 anni dell’equivalente di una regione pianeggiante come il Friuli V.G., vengono inghiottite biodiversità, specie autoctone animali e vegetali, saperi e sapori, arti e mestieri legati al culto antico della terra, paesaggi e bellezza. Di contro aumentano i terreni con destinazione d’uso “edificabile”, più redditizia per i proprietari e i comuni che incassano somme consistenti per le opere di urbanizzazione, eppure non si mette in relazione abbandono o eccessivo peso antropico (due facce della stessa medaglia) con i collassi di vaste zone registrati in varie parti del Paese. Gli incendi dolosi sono poi l’aggravante di una situazione al limite di una crisi irreversibile. Aspettiamo con trepidazione che il rapporto ministeriale si trasformi in prescrizioni vincolanti a favore dell’agricoltura, quindi di salute e benessere di suoli territori ambienti abitanti paesaggi e futuro “modello di sviluppo”. 10 mezzocielovent’anni2011 10 mezzocielo ottobre 2012 ambiente Deserto culturale Un’estate ricca di cultura, in giro tra musei, mostre ed ameni luoghi vetusti? Impossibile. Palermo nei mesi estivi si svuota ma chi rimane e i turisti non trovano granché da fare, e anche a cercarli i musei sono molto spesso chiusi, le attività culturali proprio scarse, mostre di un certo rilievo neanche a parlarne, se qualche visitatore bene informato cerca un monumento normanno come La Cuba in corso Calatafimi (faceva parte del Genoard, l’immenso parco di verdura dei dinasti normanni), non trova cartelli segnaletici e se chiede in zona viene tosto indirizzato verso “la Cubana”, nota gastronomia locale. La galleria regionale di Palazzo Abatellis in via Alloro è stata spesso chiusa o aperta con orari ridotti, il Museo Archeologico regionale Salinas in via Bara è da anni in restauro e offre, quando va bene, poche sale e male Carola Bianchi di privati, che l’hanno avuto in affitto dall’ente porto. Eppure, il personale di custodia ci sarebbe, ma sembra che non si riesca ad utilizzarlo per inspiegabili problemi burocratici, la maggior parte dei custodi fa capo ad una delle tante società cui la Regione affida alcuni servizi destinati ai beni culturali. Quando ci sono, i custodi stanno tutti lì seduti per i fatti loro in attesa che si faccia l’ora per andarsene. Non sanno nulla dei luoghi che custodiscono. Non muovono un dito. Le risorse economiche per organizzare le mostre serie (non quelle costose o fuori sede a scopi elettorali), per le pubblicazioni, per il diserbo e la manutenzione ordinaria delle aree archeologiche, l’aggiornamento o la sostituzione dei pannelli esplicativi nelle poche zone ancora visitabili, per la pulizia e il decoro dei luoghi (e anche dei bagni), invece, non ci sono proprio. Tutti i fondi, già pochi, tagliati. Le soprintendenze e i tecnici fanno quel che possono, ma la tutela senza neanche gli spiccioli è già un miracolo, figuriamoci la valorizzazione. Fotografie di Laura Latino, Villa Giulia, Palermo, 2012 Sembra impossibile che non illustrate, la Villa Bonanno in Piazza della interessi a nessuno rendere fruibile l’imVittoria è piena di erbacce secche e ci sono menso patrimonio culturale che abbiamo e solo due custodi (a turno) e poi è tutto che potrebbe fare la differenza tra noi e i transennato perché il Comune sta rinnoluoghi del deserto e del sottosviluppo ecovando l’illuminazione e le fognature, il Canomico e culturale. Non credo che si tratti stello della Zisa è in abbandono, le aree solo di scarsa organizzazione o di mancanza archeologiche di Piazza XIII Vittime, Cadi risorse (invochiamo spesso meno sprestello S. Pietro e di Piazza Settangeli neschi, meno consulenti esterni alla Regione, suno ci va perché non sono inserite nei meno prebende, meno deputati), e nempercorsi culturali e poi anche ad andarci meno che occorrano ingenti capitali, non che cosa si vede, non c’è un pannello, una c’è proprio la volontà politica di mettere al mappa, la vegetazione è alta così…, il Cacentro dell’interesse pubblico i beni cultustello a mare apre solo al mattino e neanche rali e di affrontare la “fatica” di gestirli con tutti i giorni, in compenso però alla sera c’è un minimo di razionalità. Ma in un mondo un ristorante all’interno dell’area, pare siciliano di politici ignoranti e arraffoni, per fatto apposta, anni di scavi archeologici per i quali con la cultura non si mangia, sono creare la giusta ambientazione ad un locale parole al vento e niente più. 11 mezzocielovent’anni2011 11 mezzocielo ottobre 2012 ambiente pocherighe P O C H E R I G H E «Vieni a trovarmi a Haifa, ma fai presto», parole comprensibili in bocca ad una straordinaria vegliarda durante la presentazione di un suo libro dinanzi ad un entusiasta pubblico femminile a Berlino. Nata a Czernowitz, “città di libri e di fiumi” ancora austro-ungarica, poi romena ed attualmente ucraina, nella colta minoranza ebraica di lingua tedesca, Hedwig Brenner ha attraversato le vicende del tragico Novecento e si è affacciata al XXI secolo con invincibile curiosità. Ottenuta finalmente nel 1982 l’autorizzazione a recarsi in Israele con la famiglia, l’ex-fisioterapista si scopre scrittrice consegnando alla memoria preziose documentazioni di mondi scomparsi, incontri, reti di relazioni oltre il tempo e lo spazio. Pionieristico il suo Dizionario delle artiste ebree, avviato nel 1999 e giunto al quarto volume, in cui è bello trovare, tra gli altri, i nomi di Jeanne Modigliani, Antonietta Raphael, Paola Levi Montalcini. Nella sua casa piena di libri in cui tedesco, romeno, russo s’intrecciano con un ebraismo laico ed aperto è in preparazione il quinto volume delle artiste ed in progettazione un Dizionario delle donne di spettacolo ebree. Per il suo novantaquattresimo compleanno il 27 settembre l’augurio, come si dice in ebraico, di arrivare a 120 anni che però sembrano pochi per tale indomita vitalità. Rita Calabrese “Monumenti in rosa per le bambine” è l’iniziativa voluta dall’Onu e sostenuta dall’organizzazione umanitaria Plan International. L’11 ottobre di ogni anno si celebrerà la giornata mondiale per i diritti delle bambine, per l’occasione i monumenti di grandi città si illumineranno di colore rosa da Londra a Nuova Delhi. Perché e quali gli obiettivi di questa iniziativa? Nascere femmina in molti paesi è un problema. Cento milioni di donne non sono mai nate in buona parte del pianeta; alle neonate indiane veniva riempita la bocca di riso per soffocarle, oppure uccise con grosse dosi di oppio e poi ancora in modi diversi in Cina, in Pakistan, in Bangladesh... Un vero genericidio. Non se la passano meglio le sopravvissute; una bambina su quattro subisce violenza (150 milioni), spose bambine (16 milioni), bambine mamme, schiave, malnutrite, mutilate (10 milioni) con pratiche meno note come la “stiratura del seno” per cancellare i segni della crescita e per preservare dalla violenza sessuale con effetti fisici devastanti come l’infibulazione. L’obiettivo e l’impegno è garantire l’istruzione a quattro milioni di bambine nel mondo per offrire loro la possibilità di migliori condizioni di vita. Se questa iniziativa riuscirà a salvare anche una sola bambina, da queste atrocità, sarà un buon risultato. Adriana Palmeri Notizia splendida, rimasta quasi ignota. Egidia Arrigoni, madre di Vittorio Arrigoni, il giovane assassinato da estremisti palestinesi a Gaza nel 2011, ha chiesto clemenza per gli uccisori. L’Autorità palestinese – che aveva processato i due assassini – li aveva condannati a morte, secondo gli antichi codici che affermano “Chi uccide sia messo a morte”. La donna ha chiesto che la sentenza fosse modificata: “Non aggiungete morte a morte” – ha dichiarato. I due sono stati condannati all’ergastolo. Dedichiamo un abbraccio e un ringraziamento a questa donna. mezzocielo ottobre giugno-luglio 2012 2012 12 mezzocielo pocherighe Religioni lava infuocata 1 Adriano Prosperi, professore ordinario di storia moderna all’Università di Pisa, 29 settembre 2012 13 mezzocielo ottobre 2012 religioni dossier Perché parlare di religioni? Nel grandioso sommovimento di popoli e di culture che il mondo intero sta vivendo, anche per l’incisività e la forza di rottura del pensiero femminile, può essere fecondo (e forse indispensabile!) un confronto con pensieri e sentimenti di milioni di donne e uomini che si riconoscono in orizzonti religiosi e spirituali diversi. Cercando di diversificare, nella considerazione delle varie fedi, i credenti da una parte e le gerarchie dall’altra. Spesso infatti le gerarchie sono strumento di poteri statuali od anche di competizioni e lotte tra opposti poteri, magari innalzando gli stessi vessilli religiosi. “Nel mondo che ci circonda le questioni di religione muovono grandi folle, scuotono gli stati …è una realtà che scorre come lava infocata”1. Gli orrori di ogni giorno, dalle reazioni omicide contro un film su Maometto, alle stragi di minoranze cristiane, fino alle pallottole sparate in gola ad una scolaretta di 14 anni, confermano questo giudizio. Fortunatamente in Italia il dibattito religioso non assume queste forme, ma la sua presenza incide. Conoscerlo, valutarlo e confrontarsi non è inutile. Al contrario, investiti come siamo anche noi da una crisi economica e morale senza precedenti, il confronto è necessario. Ci sia consentita la speranza di unire il maggior numero possibile di forze sane, con radici spirituali e filosofiche diverse, ma autenticamente aperte al dialogo, al fine di individuare una realistica comune via d’uscita dal disastro, e, se possibile, percorrerla insieme. Proviamo a parlarne con libertà, senza presunzioni o ipocrisie. S.M. religioni Diritti delle donne dei singoli e dei “diversi” La maggior parte dei laici e non cattolici (progressisti) sono consapevoli che il pensiero e l’azione dei cattolici democratici (in qualsiasi organizzazione politica o culturale si trovino) possono dare e daranno al superamento della grave crisi in cui si trova l’Italia. Ma il loro dubbio ricorrente riguarda il tema dei diritti: diritti delle donne, diritti dei singoli, anche dei “diversi”. Come rispondi a questi dubbi? Cettina risponde: Sono fermamente convinta che il bene comune debba vedere gli sforzi convergenti di tutti. E, dunque, trovo doveroso che laici e cattolici di qualunque sensibilità e appartenenza mettano insieme le loro energie e trovino un terreno d’intesa. La piaga della corruzione non consente “se”e “ma”. Chiunque voglia porvi rimedio deve mettersi all’opera. Piuttosto la questione è quella della competenza. Non credo si possa fare politica senza competenze precise. Mi si chiede però qual è la mia posizione relativamente alle questioni eticamente sensibili, ai cosiddetti principi o valori non negoziabili. Credo che da cristiani si debba testimoniare ciò in cui si crede, ma, come di recente ha precisato in una intervista televisiva il card. Camillo Ruini, alla fine ci si rimette a quanto ha deciso la maggioranza. Certo le questioni del fine vita, la fecondazione in vitro, il matrimonio tra persone dello stesso sesso pongono problemi ai cattolici. Anche qui però occorre distinguere i singoli problemi. Personalmente, credo vada ricusata ogni forma di accanimento terapeutico. Una cosa è infatti la ricerca della guarigione, cosa assolutamente legittima, altro è tenere in vita, a tutti costi, con l’ausilio di strumenti che non guariscono ma simulano la vita, una persona umana in una situazione comunque terminale. Sarebbe più saggio accompagnarla, senza interferire nient’altro che alleviandole la sofferenza. La fede cristiana addirittura lo esige. Esemplare la scelta del card. Carlo Martini che è stato, come sappiamo, sedato, ma che si è rifiutato d’essere intubato. Confesso che non guardo con simpatia i padri e le madri ad ogni costo, anche con seme o ovuli altrui. Mi pare che in questa tenace ricerca di un/a figlio/a si celi il de- Cettina Militello* mone del possesso. A tutti consiglierei piuttosto l’affidamento familiare. Siamo troppo condizionati da una cultura patriarcale e nella generazione ad ogni costo vedo proiettarsi un modo insano di concepire la famiglia, la quale dovrebbe essere spazio di accoglienza e di incontro, prima e più che vincolo di sangue. Comunque sia, se proprio si vogliono figli si dia il proprio nome ai tanti abbandonati, non riconosciuti, a quelli a cui una famiglia è negata o, meglio si assistano a distanza quelli che una famiglia l’hanno ancora, senza sradicarli dalla loro cultura. Capisco che il mio discorso è utopico. Ma davvero, non ho nessuna simpatia per la maternità/paternità a ogni costo. Anche qui trovo arrogante l’interferenza medicale. Trovo devastante il medico in camera da letto o l’offrire sperma e ovuli in contesti sterili e asettici. A maggior ragione non capisco il desiderio di figli delle coppie omosessuali. Perché ripetere il copione della famiglia borghese? Perché chiamare matrimonio quello che non lo è. Non credo si tratti di diritti. Il diritto è a non subire discriminazioni, ad avere riconosciuta legalmente una situazione di convivenza con tutto ciò che comporta in vita e in morte. Ma perché autorizzare maternità e paternità solo perché l’ingegneria genetica lo consente? Diverso, ripeto, è il discorso dei diritti nel senso della non discriminazione, del riconoscimento della piena e pari dignità di tutti, del comune diritto alla salute, al lavoro, a una giusta remunerazione. Tutti/e pienamente cittadini/e, tutti/e pienamente impegnati/e per il bene comune. Su questi temi è meglio però avere le idee chiare in partenza. Se ci si mette insieme cattolici e laici occorre stabilire una scala di priorità. E questa credo sia la ricostruzione dell’etica pubblica, la lotta alla corruzione, la promozione dei diritti di tutti/e, l’impegno per uscire dalla crisi economica, ecc. ecc. Questa la mia modesta opinione. * Docente alla Pontificia Facoltà Teologica Marianum 14 mezzocielo ottobre 2012 religioni Fotografia di Shobha, Lalita 14 anni, Karnataka 15 mezzocielo ottobre 2012 religioni Il sant Mi strizza il cervello, mi ingarbuglia, mi spiaccica al muro. Ha una brutta faccia, non promette niente giardino, in quella parte della città nuova, quella del cosiddetto sacco di Palermo, dove stranamente c profumate e camerieri fintamente educati. Nero di veste, nero di faccia, arcigno. A due passi da casa, do e piene, nell’allegria funebre dell’ultima sbornia. E nella piazza povera dove, tra le vesti o sotto il pied cinquanta centimetri, tra crocifissi e madonne, tutta una bancarella piena, uno dietro l’altro, la stessa fac bel solllievo. O cielo meraviglioso di questa terra amata, quanto sono ingiusta? Quanto non riesco a pe urbanistiche e buon gusto? Nella piazza nascente di nuove speranze, sulle macerie del vecchio quartier certi tipi del luogo la targa a Falcone e Borsellino, e l’avevano già distrutta più e più volte, ma dall’altro faccia arcigna, santo amato e discusso in vita ed in morte, uscito dalla stessa fabbrica che, chissà come 16 mezzocielo ottobre 2012 Fotografia di Schobha, Polonia, 2005 to pio di buono. Cambio strada. Niente da fare, me lo ritrovo pure nella grande e borghesissima piazza con ci ritrovammo un pomeriggio, Simona ed io, a prendere un caffè, tra velluti di un bar, signore troppo ove c’è un mercato di frutta e cocaina, dove ci si va, di notte, solo di notte, a frantumare bottiglie vuote distallo, una polvere bianca di caro prezzo trova rifugio momentaneo. Me lo ritrovai pure a Napoli, a ccia arcigna, la veste scura, il braccio benedicente. Non lo rividi mai più superata la capitale e fu un gran erdonare il baratto di quell’anno in cui per un piatto di lenticchie di buon vicinato furono vendute leggi re, con prato e poco verde ed anche qualche palazzo dalle finestre murate e dentro rovine, ci permisero o lato l’imposizione fu che ci dovesse stare pure lui, imponente nero benedicente dalla e e perché, qui, da noi del sud assume un significato altro. Che facciamo finta di non capire. Letizia Battaglia 17 mezzocielo ottobre 2012 religioni Credo che oggi non serva un partito dei cattolici Ogni volta che si avvicinano le elezioni, sopratTeresa Piccione tutto quelle nazionali, torna il grande interrogativo sui cattolici. Che mai faranno i cattolici? Creeranno un nuovo schieramento, ne individueranno uno di riferimento (come non è più stato negli ultimi vent’anni almeno) o militeranno in partiti diversi, com’è successo con sempre maggiore evidenza dopo la scomparsa della DC? E lì a interrogarsi e a interpretare anche le parole e gli inviti all’impegno in politica che il card. Bagnasco ha rivolto ai cattolici. Io credo che a tale proposito vadano fatte alcune considerazioni. Innanzitutto, il contesto in cui oggi ci muoviamo. Un contesto difficile, di profonda crisi economico-sociale e perciò incline al ripiegamento, alla riduzione dell’orizzonte alla dimensione privata, oscillante tra la demotivazione rassegnata e l’urlo di una protesta povera di progetto e, perciò, antipolitica nell’essenza. Un contesto difficile, non solo povero di ideologie, ma povero di valori. La crisi, infatti, non è solo di natura economica e sociale, ma valoriale. Ridotto l’uomo alla sua dimensione economica passiva (consumatore), idolatrato il mercato, e un mercato globale senza né regole né diritti, sostituita la solidità dell’economia incentrata sul lavoro produttivo con la ricchezza prodotta dalla speculazione finanziaria, celebrato il mito del successo a basso costo, cui non corrispondono formazione, impegno e sacrificio, quello che si è perduto è l’uomo, la centralità della persona e delle sue relazioni. Su questo terreno sdrucciolevole ed impervio si misura la sfida della politica e la sua capacità di ricostruzione. Cioè la sua capacità di ri-fondare lo Stato e la società mettendo al centro la persona e i suoi bisogni materiali e non, una politica che ritrovi la capacità di armonizzare gli interessi di tutti per la realizzazione del bene comune. È qui che entrano in gioco tutte le componenti della società, chiamate ad assumersi responsabilmente l’impegno a gettare basi nuove e allo stesso tempo antiche. È qui che servono le energie, le idee e il lavoro di tutti. Anche dei cattolici. Nel contesto attuale, credo che la cultura dei cattolici, il loro sfondo valoriale, esplicitato dai testi della dottrina sociale della Chiesa, dai documenti conciliari, dalle encicliche ma anche da testimoni aperti al dialogo come Bianchi, Martini, Tettamanzi, per non citarne che alcuni, abbiano molto da dire. È in questi testi e in questi testimoni che si nasconde, una “sapienza antica e nuova” che mette al centro l’uomo come valore supremo, la sua dignità, in qualunque condizione esso si trovi, il diritto alla vita e alla salute, al lavoro come espressione della propria creatività e come contributo allo sviluppo di tutta la società, quello alla famiglia, il diritto all’equa distribuzione della ricchezza, quello all’istruzione come elemento di riscatto e di mobilità sociale. È intorno a questi valori che è stata costruita la nostra Costituzione e su queste fondamenta poggia la Repubblica. Nella Costituzione si è sperimentata per la prima volta la possibilità di incontro tra culture diverse attraverso il dialogo, lo scambio, l’ascolto e, attorno ai valori dell’uguaglianza e della solidarietà, si sono coagulate la cultura socialista e quella cattolica. Credo che oggi vada riscoperto questo percorso e che il ritorno alle antiche radici del dialogo tra queste culture possa essere fecondo di sviluppi interessanti e, a mio avviso, irrinunciabili, se vogliamo che la crisi diventi un’opportunità di recupero della nostra identità profonda e di riscatto dalle storture che si sono accumulate nel tempo nel nostro Paese. È tempo di scelte coraggiose. È tempo di investire in riforme che abbiano al centro la giustizia sociale e una più equa distribuzione della ricchezza. Su queste basi è stato costruito e si muove il Partito Democratico al cui progetto fondativo ho partecipato con convinzione ed entusiasmo. Trovo che in questo progetto si realizza pienamente l’incontro tra la cultura del cattolicesimo democratico e quella socialista nella visione di un nuovo riformismo. Credo che oggi non serva un Partito dei cattolici, perché non sarebbe più in linea con i tempi e con la società. Nel tempo del pluralismo, occorre un Partito plurale nel quale i cattolici stiano bene accanto ad altri con sensibilità diverse ma aperti al dialogo e al confronto. E questo partito è il PD al cui interno si discute, si elaborano proposte, si condividono le scelte, tenendo presenti i riferimenti valoriali della democrazia sostanziale e della giustizia sociale e dove si cercano liberamente convergenze anche sui temi “morali”, nella convinzione che essi coinvolgono ogni uomo, credente o no che sia, e che cercare insieme risposte è un grande esercizio di umanità. 18 mezzocielo ottobre 2012 religioni Laici musulmani, fatevi avanti o sarà tardi “Non ho peli sulla lingua, io. Dovrete abituarvi. In Monica Lanfranco questa lettera pongo domande davanti alle quali non possiamo più nasconderci. Perché siamo ostaggio di quanto accade tra israeliani e palestinesi? Come spiegare la persistente vena di antisemitismo che percorre l’Islam? Chi ci vuole veramente colonizzare: l’America o l’Arabia? Per quale ragione continuiamo a sprecare il talento e la ricchezza delle donne, che rappresentano il cinquanta per cento abbondante della creazione divina? Cosa ci rende tanto sicuri che gli omosessuali meritino il nostro ostracismo – se non addirittura la morte- quando, secondo il Corano, tutto ciò che Dio crea è ‘eccellente’?” Era il 2006 quando anche in Italia, con grande ritardo e poca eco mediatica, esce Quando abbiamo smesso di pensare? durissimo testo della giornalista femminista e lesbica (religiosa islamica dichiarata) Irshad Manji. Anche oggi, a distanza di anni, è la sua voce e quella di poche altre (tra loro Maryam Namazie, attivista iraniana di One law for all) che si alza contro i rischi del fondamentalismo islamico, mentre infuria la guerra, con morti e feriti, originata dalla reazione furiosa contro il film americano su Maometto e la pubblicazione di altre vignette satiriche in alcuni giornali europei. Il resto è un coro bipartisan nel quale si condanna la satira e chi la pubblica, definendola incitamento all’odio, e poi si deplorano le violenze dei fanatici islamisti. Si dice che i fanatici siano una minoranza, rispetto alla maggioranza moderata del mondo musulmano e allora la domanda è: dove sono? Perché non parlano? Per quale motivo si dà così poco spazio a questa maggioranza moderna e laica che non approva il fanatismo religioso islamico, che invece sembra tenere in scacco ormai quasi dovunque i movimenti della primavera araba? Vorrei raccontare un episodio recente che illustra uno degli errori a mio parere più gravi che in Italia continuiamo a fare, per ignoranza e malinteso senso di accoglienza: in una iniziativa politica alla quale sono stata invitata doveva partecipare una attivista laica, non velata, giovane, rappresentante di un paese a maggioranza musulmana. All’ultimo minuto ha comunicato che non avrebbe potuto partecipare. Invece di verificare se era possibile avere presente un’ attivista della stessa area si è scelto di invitare una donna di tutt’altra appartenenza: velata e religiosa. La piega che ha preso il dibattito è stata molto diversa da quella originale: l’intervento della giovane islamica è stato sotto l’egida delle parole del Corano, una vera e propria lezione confessionale. Quello che credo sia davvero pericoloso è confondere i piani: si può provenire da un paese musulmano ma non necessariamente si è fedeli dell’islam, e, nel caso si sia donna, si può non portare il velo. C’è differenza tra invitare ad un dibattito don Gallo piuttosto che un porporato fedele all’attuale pontefice. Tra Lorella Zanardo e l’ex ministra Carfagna c’è un abisso, e invitare l’una o l’altra significa dare voce ad una o un’altra visione delle donne e delle relazione tra i generi. Voglio dire che scegliere di dare visibilità alle donne (e agli uomini) che lottano, in occidente come nei paesi d’origine, per la laicità, per la separazione tra stato e religione, per il primato della sfera pubblica priva di connotazioni confessionali, significa affermare che non c’è un solo islam, un solo monolitico mondo arabo e musulmano, così come non esiste solo un occidente o un cattolicesimo, o un solo modo di essere credenti. C’è, poi, la grande questione della libertà di espressione, di stampa e di critica. Ho visto alcuni spezzoni dell’ultimo film che ha scatenato la furia omicida dei fondamentalisti, e ho intuito che era un brutto prodotto. Non sempre, anche in Italia, la satira, sia essa televisiva, scritta o a fumetti è intelligente, anzi è difficile che percentualmente lo sia, e più di tutto è estremamente difficile che non sia misogina, persino violenta, solitamente contro le donne o gli omosessuali. Ma, a parte stigmatizzazioni e reazioni indignate e ragionate, non si assaltano scuole, giornali e sedi politiche, e se questo accade (non dimentichiamoci che il regista Theo van Gogh è stato ucciso nel 2004 per Submission, film invece non volgare o grottesco, incentrato sulla violenza dell’islamismo contro il corpo femminile), non si smette di esercitare un diritto che viene sospeso solo (e non a caso), nelle dittature di ogni colore. Tacere su quello che sta accadendo nel mondo arabo e musulmano, giustificare la violenza contro la (pur brutta) satira significa creare una breccia pericolosa nel diritto alla libertà di stampa e di critica, che non può avere limitazioni di fronte a nessuna espressione di fede. Lontani dall’essere oscurantisti ed economicamente arretrati, i fondamentalismi si oppongono con forza alla visione laica della società. L’altra faccia della globalizzazione è la frammentazione delle comunità secondo i binari della religione, dell’etnicità o della cultura. Tacere su questa rimozione non solo fa fare a noi occidentali un gigantesco passo indietro nella storia del percorso dell’autodeterminazione, ma infligge un colpo mortale a chi lotta per la secolarizzazione in paesi e culture dove ancora la religione e il patriarcato sono legge. 19 mezzocielo ottobre 2012 religioni cultura Goliarda Sapienza Complessa libertà femminile Pina Mandolfo Un viaggio sentimentale attraverso Catania Un colpevole silenzio ha avvolto la vita e le opere di Goliarda Sapienza fino a quando, in anni molto recenti la sua fama è emersa e cresciuta quasi miracolosamente e in modo esponenziale. Toppo radicale, moderna e anticonvenzionale è la sua scrittura e con essa la sua vicenda umana per non impressionare negativamente l’insipienza, scrittura non canonica, direi quasi rivoluzionaria, nella forma e nei contenuti, così come lo è stata quella di Virginia Woolf, con la quale la scrittrice catanese condivide la modernità narrativa e la curiosità verso la misoginia di critici, editori e intellettuali. Goliarda è morta con la pena di chi, consapevole della propria grandezza, senza supponenza o superba vanagloria, è privata del giusto riconoscimento. Con la pena di chi ha riempito pagine su pagine di una se stessa e verso il mondo, che si fanno complessa epopea di libertà femminile. Oggi, per Goliarda, è tempo di riscatti e di risarcimenti. Ogni volta che le sue pagine mi hanno presa come in un incantesimo di ricordi, di memoria della sua Catania, che è 20 mezzocielo ottobre 2012 cultura anche la mia, come una pedagogia letteraria e umana, ho sentito una grande pena per il troppo tardivo successo e un desiderio di stare tra coloro che concorrono alla trasmissione del suo talento e della singolarità della persona. E’ nato così, anche in seguito a ragionamenti nella Società Italiana delle Letterate, il Viaggio sentimentale e letterario nei luoghi di Goliarda Sapienza, una festa mobile, un incontro inedito di Sapienza con la sua città, da lei ripetutamente narrata. Una festa mobile che ha richiamato nella città etnea donne, letterate, studiose e estimatori da tutta Italia e dall’estero. I due giorni catanesi (14-15 settembre) si inserivano nel percorso inaugurato a Genova, dalla Società Italiana delle Letterate, con il convegno Io sono molte: l’invenzione delle personagge, un itinerario ora privato ora condiviso, una sorta di corpo a corpo tra autrice, lettrice e personaggia, dove la legittimità della parola passa attraverso il genere. L’itinerario delle personagge, oltre al tour dedicato a Goliarda Sapienza, ha portato a Catania il nutrito gruppo delle socie Sil di Palermo con la lettura-spettacolo Le personagge sono voci interiori, ideato da Gisella Modica e interpretato da Letizia Porcaro e Patrizia D’Antona, che ne ha curato la regia. La scrittura di Anna Banti, Maria Messina, Maria Occhipinti, James Joyce, Goliarda Sapienza, Suor Juana de la Cruz, Max Bunker, Amelia Rosselli, Elizabeth von Arnim ha preso corpo, si è insinuata e ha catturato le molte spettatrici presenti. La giornata successiva ci ha viste protagoniste curiose e commosse, in movimento, verso i luoghi che, nella Catania degli anni ‘30 e ‘40, hanno nutrito la fantasia di “Iuzza” Sapienza: dal laboratorio del puparo Insanguine, ai vicoli della Civita, quartieri di elezione di Goliarda che vi scorazzava tra crispellerie, botteghe artigiane e uomini e donne che facevano e tuttora fanno commercio dei loro corpi. E ancora il Teatro Massimo Bellini, dove spesso si recava all’opera, il cinema Mirone, dove trascorreva interi pomeriggi in compagnia dei suoi eroi ed eroine. E poi via verso il mare di Ognina, ricorrente nelle pagine di Sapienza, e quello più amato della Plaja dove, al tramonto, abbiamo assistito ad una suggestiva performance di Daniela Orlando per la regia di Maria Arena. Al vecchio Mirone abbiamo assistito ad una puntata monografica del programma Rai “Vuoti di memoria”, a lei dedicata da Loredana Rotondo e ad un mio lavoro di montaggio nel quale scorrono immagini dell’attrice e scrittrice catanese in diversi momenti della sua vita. Con accenti di passione ed emozione, nella sontuosa cornice di Palazzo Biscari, Goliarda è stata raccontata da Elvira Seminara, Maria Arena, Maria Rosa Cutrufelli, Giovanna Providenti e Monica Farnetti. Alle sue pagine ha dato voce l’attrice Egle Doria. Le riprese del tour, con interviste in itinere di Ornella Sgroi, diventeranno un film. Sulla fatica dell’organizzazione prevalgono ormai solo la gioia di quanti e quante hanno vissuto questo evento singolare e il grande privilegio di avere onorato Goliarda in questo ritorno che ha visto protagonista la Catania migliore. Imprenditori, singoli cittadine e cittadini hanno oscurato, in una gara di sostegno e condivisione, l’ignavia istituzionale ormai giunta agli ultimi rantoli. Per loro e per il passante ignaro di una così illustre concittadina, abbiamo lasciato al numero 20 di Via Pistone una targa che recita: “Questa casa, la strada, i vicoli, la città di Catania, la terra di Sicilia hanno nutrito il genio narrativo d Goliarda Sapienza”. “Al contatto del pane la fame si fa più forte, e questo mi da l’ardire di rivoltarmi e affrontare il luogo dove starò. Non devo pensare a quanto ci starò. Giro gli occhi solo verso destra dove intuisco ci dev’essere la branda. Fissando solo quella mi seggo: fra le mani ho pane e un pomodoro. Mangio piano, che duri il più a lungo possibile. Mangiando la tensione s’allenta, e quando ho finito cerco , scrutando in giro il meno possibile, d’infilarmi sotto una coperta ruvida al tatto. Non la devo guardare, basta l’odore quando la tiro su verso il mento. Basta questo a scatenare una sfilza di fantasie insopportabili. Devo riuscire a fermare la fantasia e attenermi solo ai gesti e ai pensieri che mi possono aiutare a superare tutto con il minimo di sofferenza. Non tuffarsi nella sofferenza, altra tentazione quasi voluttuosa in confronto alla solitudine che senti intorno, ma che porta a quel grido ascoltato prima. Infatti c’era anche voluttà in quel grido. Fermare la fantasia. Ripeto questa frase nella mente come al tempo della scuola quando si mandava a memoria una poesia che non si capiva. Io che ho fatto uno strumento della fantasia, che l’ho studiata tutta la vita per acuirla, liberarla, renderla agile il più possibile, mi trovo ora a doverla uccidere come si farebbe col peggiore dei nemici. Eppure è così. Da questo momento essa mi può essere maligna. Goliarda Sapienza - da “L’Università di Rebibbia” - Einaudi 2012 21 mezzocielo ottobre 2012 cultura cultura L’altro cielo di Michele Perriera Sono stata accanto a Michele in molti modi, aiutoregista, attrice, regista, formatrice, presidente di Teatés. Quando Michele ebbe l’infarto ed io aspettavo mio figlio Antonio lui mi chiese di restare ancora a Palermo di stargli accanto assumendo la presidenza per due anni. Amica e ideatrice di uno dei suoi spettacoli nato in un’altra città che non fosse Palermo, che la mia Associazione Viartisti produsse, investendo, con vero amore, su quella speciale riedizione de “Variazioni sui Cenci” che Torino accolse con tutti gli onori. Sono stata una sua allieva intimidita e ammirata delle sue straordinarie qualità “sciamaniche”, di quel sapere profondissimo non “intellettuale” e coltissimo che sapeva scuotere la persona dalle fondamenta. Ho nel cuore la sua risata particolare, piena, assoluta che si dispiega nell’aria senza timidezza, quella che, invece, coglievi in lui in altri momenti, in altre situazioni. Ho nelle orecchie il suo canto. Perché Michele spesso cantava, bene da vero interprete, anche vecchie e bellissime canzoni siciliane e la sua voce, molto particolare, profonda, misteriosa, fluente di ancestrali melodie da “Mille e una notte”, mi evocava le grotte marine. Misteriosi i suoi neri occhiali che non riuscivano a fermare lo sguardo: lo sentivi attento, accorto, pronto a tentare di cogliere le sfumature e i movimenti delle anime come i felini lo sono con le prede. I ricordi sono tantissimi, e devo dire che più di tutto mi piace testimoniare di quanto Michele amasse ridere, di quanto sapesse essere divertente, spiritoso, ironico, e sperduto, alle volte come un bambino. Mi piace ricordare come ci facesse sorridere e quanto lui stesso ridesse della sua vanità, molto femminile, nel “presentarsi al mondo”, vanificata dalla sua perenne distrazione che lo portava ad avere un perfetto abito a giacca e per sciarpa l’asciugamano usato per la barba! Certo la mia vita è stata segnata in modo indelebile da questo incontro, come avviene quando ti trovi davanti a un Maestro e poi lo scegli! Così mi sento di dire qualcosa sulla domanda se Michele avesse o no un lato femminile nella sua scrittura e nel suo teatro, domanda che Simona Mafai mi ha fatto Pietra Selva Nicolicchia quest’estate, durante un nostro bell’incontro sulla sua deliziosa terrazza, invitandomi, poi, a scrivere qualcosa per la sua bella rivista, e di questo le sono veramente grata. Vorrei ricordare il suo modo unico di condurre i laboratori di accompagnare una creazione a metà tra la levatrice e una partoriente. Michele sembrava proprio una “levatrice” sapeva compiere “i gesti” necessari perché le “creature” nascessero dal nostro corpo. E poi improvvisamente partoriva lui stesso, davanti a noi, senza pudore, con una gioia mista a uno strappo dell’anima “le sue creature”. E la scena si popolava di possibilità, perché questo è anche una vita, e non tutte si guadagnavano l’accesso al mondo. Così in quel breve spazio temporale si sperimentava il nascere e il morire. La sua scrittura, il suo teatro ha sempre avuto, per me, qualcosa di creaturale, un abbandono senza pudori intellettualistici, un’urgenza di testimoniare di “occuparsi” del mondo, del suo destino, degli esseri che lo popolano, con l’attenzione di una madre. La scelta delle parole, nella sua scrittura drammaturgia e narrativa, era volta non a quelle “giuste” ma a quelle che arrivano dalle profondità di una memoria antica e rinascono ogni volta nuove; parole vanitose e orgogliose, perché alla perenne ricerca di un fascino, non esteriore, ma come quello delle belle donne di un’intima profonda misteriosa eleganza. Il teatro, i racconti, i romanzi sono popolati di personaggi e figure femminili. Michele amava viaggiare, diceva spesso, senza bisogno di muoversi dalla sua tana, erano viaggi dell’anima, della testa, del cuore, per regioni infinite da cui emergeva con il dono di una nuova scrittura. Ecco io credo che amasse l’universo femminile, perché lo portava a compiere un viaggio, a esplorare una irriducibile alterità che l’altra metà del cielo rappresenta. E credo che questo lo divertisse molto. Grazie Michelino. 22 mezzocielo ottobre 2012 cultura Danilo Dolci e i suoi figli Quel verso “ognuno cresce solo se sognato”, così potente, lo ricordano tutti. Ma è solo un frammento infinitesimale, non solo di quella poesia, ma della produzione, della vita di Danilo Dolci, il promotore dello sciopero alla rovescia. Poeta, scrittore, educatore, filosofo e sociologo da Sesana (Trieste) si trasferisce a Partinico dove realizza con la gente iniziative socio-economiche-culturali, fonda il Centro Educativo di Mirto, avveniristico e insieme rispettoso dei bisogni dei bambini e della cultura locale, che coinvolse nomi internazionali. E ancora: organizza diverse azioni non violente, denuncia il sistema mafioso-clientelare, marcia, digiuna, punta il dito contro le storture, aiuta gli isolani ad avere acqua democratica, impegnandosi per la realizzazione della Diga sul fiume Jato, guadagnandosi l’aggettivo di “sobillatore” per la sua capacità di scuotere le coscienze. Perché è proprio la sua vita ad essere esemplare, un insieme di azioni semplici e spiazzanti. Il 28 giugno avrebbe compiuto 88 anni, e Trappeto lo ha ricordato con una 4 giorni …Per non dimenticare Danilo... in collaborazione col Comune, con una mostra di Gaetano Porcasi, letture di poesie e anche una giornata di salute, curate da Chiara, Sereno e Fausto Amico Dolci. L’attività del Centro Studi e Iniziative – fondato da Danilo nel 1958 e convertito in “Centro per lo Sviluppo Creativo” – continua le sue attività coordinate dal figlio Amico Dolci, alla ricerca di un metodo che possa ‘educare allo sviluppo creativo’ (www.danilodolci.it). Libera e Marina collaborano con la Biblioteca per Bambini e Ragazzi Le Balate a Ballarò, recentemente insignita del premio nazionale “Città del libro”, e portata avanti dall’impegno di Donatella Natoli. Libera Dolci è la maggiore dei figli di Danilo. Prosegue la tradizione di educatrice nella sua abitazione, con vista sul castello della Zisa, e nel baglio profumato di gelsomino dove conduce, insieme alla figlia, laboratori musicali e percorsi per lo sviluppo della creatività dei più piccoli attraverso il gioco, la scrittura, il contatto con la natura e la sana alimentazione. Racconta Libera: “Fra il pubblico e il privato di mio padre non c’era molta distanza. Era presente l’ascolto dell’altro, lo stesso rigore che dimostrava in iniziative come la marcia della pace, o la costruzione della diga Daniela Gambino sullo Jato, lo manifestava anche in casa. Ho imparato fin da piccolissima il significato della parola utopia. Sapevo già da allora che ci dovevo mettere impegno e forza, oltre al desiderio, perché si potesse realizzare buona parte di un sogno. All’inizio del nuovo anno ci riunivamo e mio padre chiedeva a ciascuno: “Qual è il tuo sogno per quest’anno?”. Era chiaro che alcune cose si dovevano fare, altre si potevano scegliere. Questo ci aiutava a capire concretamente che fra le cose da fare e quelle desiderate esiste uno scarto. Viaggiare ad esempio, grazie ai molteplici contatti del padre, era un sogno realizzabile. “Era spesso fuori per lavoro, ma quando c’era… c’era tutto”. Libera ricorda le passeggiate a piedi da Partinico a Palermo, o a Trappeto, o a Romitello. Racconta con parole commosse le notti al Bosco di Ficuzza, dove dormivano sotto gli alberi, guardando le stelle, tutti stretti l’uno all’altro sotto le coperte “ascoltando il verso delle volpi in lontananza e il cri cri dei grilli a noi vicino”. Libera, dopo 21 anni di insegnamento nella scuola statale, si è dimessa per diventare Counselor alla Scuola di Firenze; ha frequentato la Libera università dell’Autobiografia ad Anghiari coordinata da Duccio Demetrio e gestisce laboratori di narrazione e scrittura autobiografica per bambini e adulti. Ascolto lei e immagino Danilo: leggeva, ogni mattina, almeno otto quotidiani; più volte candidato al Premio Nobel per la pace, non ha mai detto una parolaccia. “Diceva: se ami qualcosa impara a farla bene e quella cosa ti darà da vivere… Di lui mi piaceva l’ottimismo, il saper guardare in prospettiva, la capacità di meravigliarsi e di stupirsi anche di fronte alle piccole cose di ogni giorno. Questo è il nostro patrimonio”. Un rimpianto? “Vedere lasciata nella totale incuria buona parte di ciò per cui, con la mamma e insieme ad altri, ha lottato e faticosamente realizzato, anche a costo di sacrifici sovraumani”. Danilo Dolci lo conosceva bene questo stato di dimenticanza, di abbandono colpevole, tanto che ne ha scritto un libro, il titolo è Spreco. 23 mezzocielo ottobre 2012 cultura società Noia e rivoluzione La vicenda ipermediatizzata delle Pussy Riot ha seguito in modo inesorabile le tappe obbligate del ciclo del punk, in una parabola che dal furore contestatorio passa attraverso la gloria internazionale e probabilmente si concluderà tra brandizzazione (con la registrazione del marchio Pussy Riot annunciata dal marito di Nadezhda Tolokonnikova) e omologazione mescolata a oblio. Oblio che del resto è destino di gran parte dei dissidenti russi. La questione fondamentale, tuttavia, risiede probabilmente altrove. Perché l’occidente di cui è continuamente messa in discussione l’effettiva democrazia è così rapsodicamente sensibile ai casi di antidemocrazia estera? Per ragioni cronologiche, infatti, il caso delle Pussy Riot, al momento della sua esplosione, si è intrecciato agli strascichi della vicenda Wikileaks, in cui Julian Assange (accusato speciosamente di stupro in Svezia) si barrica nell’ambasciata londinese dell’Ecuador per invocare un ravvedimento degli USA sulla caccia di cui è ambitissima preda. Sulla base di questo democratismo a singhiozzo, alcuni giornalisti hanno allora insinuato che il sostegno alle tre ragazze (la cui condanna resta, beninteso, smisurata e ingiusta – per non parlare della conduzione del processo) fosse in un certo senso una forma di compensazione di coscienza. È per esempio l’opinione espressa lucidamente da Simon Jenkins in un articolo del “Guardian” datato 21 agosto 2012 – The west’s hypocrisy over Pussy Riot is breathtaking. Altri, invece, hanno suggerito che se tutti fossero informati dell’orgia pubblica organizzata dalla bella Nadia all’ottavo mese di gravidanza in un museo di Mosca quattro anni fa, be’, forse il sostegno sfegatato subirebbe una brusca frenata (come ha sottolineato Vadim Nikitin in un articolo tradotto su “Internazionale” del 24 agosto scorso). Questa vicenda pone così una domanda terribilmente radicale: qual è il confine tra democrazia e non-democrazia? Sicuramente la domanda è senza risposta, ma è forse ancor più interessante analizzare le modalità in cui questo confine viene confuso e sfumato. Negli USA, democrazia è anche il diritto ad armarsi, in modo che nelle ultime settimane abbiamo assistito a stragi e ammazzamenti vari compiuti da individui instabili cui forse Marianna Marino sarebbe stato il caso di proibire qualsiasi pistola o fucile. Democrazia è anche importare diritti negli altri paesi, malgrado il processo ne implichi spesso la diretta e letale negazione. Eppure la popstar statunitense Madonna sostiene le Pussy Riot e la loro sete di libertà. Molto probabilmente non mancano poi le motivazioni sessuali, perché in fondo la santinizzazione immediata di Nadia è indotta anche dai desideri del maschio occidentale di cultura medio-alta. Piuttosto che guardare voglioso come qualsiasi ‘plebeo’ le foto osé di Irina Shayk (nota top model russa), opta dunque per Nadia, che ne è in fondo la versione intellettual-politicizzata, a comodissimo alibi del suo eros esigente e capriccioso. Questo ragionamento ha d’altronde trovato conferma nelle generose profferte che “Playboy” ha fatto alla guerrigliera. Infine, la vicenda delle tre ragazze si rivela emblematica anche nell’avvicinarsi a un’altra questione internazionale che ha coinvolto in modo profondo e purtroppo sanguinoso paesi come Libia, Afghanistan, Tunisia. La circolazione sempre più rapida e frenetica delle icone permette che un movimento di protesta giovinescamente anarchico e di poco spessore come Pussy Riot assurga ai vertici della comunicazione e dell’affettuosa preoccupazione mondiale. Al contempo, questi vasi comunicanti virtuali fanno sì che un presunto film (in realtà un video semi-artigianale) sicuramente riprovevole ma in fondo insignificante come Innocence of Muslims diventi causa di morte e tensioni internazionali, così come la benzina gettata irresponsabilmente sul fuoco dalle vignette di “Charlie Hebdo”. In ogni caso non c’è da temere: finite le Pussy Riot che già dopo la sentenza della corte di appello del 10 ottobre vedono diviso il loro destino, ci sarà sempre un’altra esotica Primavera con cui sfogare la nostra Enduring Freedom. 24 mezzocielo ottobre 2012 società Carmela Petrucci uccisa per difendere la sorella Carmela non è un numero. La tragedia che ha colpito lei, sua sorella Lucia ferita irrimediabilmente con venti coltellate, la famiglia e tutte/i noi è il fallimento di una intera società che non conosce il valore della parola rispetto, che non conosce altro linguaggio che quello della violenza. Chiediamo pene certe, chiediamo pene più dure per chi violenta le donne, per chi ne strappa la vita, per chi la rende un inferno. Non siamo degni di essere considerati una comunità sana se non avviamo processi politici, culturali ed educativi che coinvolgano l’uomo, che gli impongano una riflessione profonda del proprio ruolo che non può continuare ad essere quello di padrone, padrone della vita della donna, della sua immagine troppo spesso vilipesa e quindi della sua libertà. Siamo tutte e tutti chiamati a non girarci dall’altra parte, a essere parte attiva di questo percorso che deve stravolgere ogni aspetto del vivere: dal linguaggio visivo a quello verbale, dai diritti civili a quelli sociali, dalla vita quotidiana a quella politica. Carmela Petrucci oggi muore a 17 anni a Palermo e tante prima di lei in tutto il mondo: fermiamo questa strage. Stefania Savoia 25 mezzocielo ottobre 2012 società Primum vivere anche nella crisi. femminismo A Paestum, nel cuore della politica la sfida femminista Gisella Modica 750 donne, 50 città, 130 associazioni. Se è più semplice parlare dei numeri che circolavano a Paestum, è impossibile dare conto della varietà e ricchezza degli interventi, ciascuno con una sua lettura. Perché si interveniva solo per alzata di mano, su rimando dell’ascolto dell’altra, senza relazione introduttiva: quattro minuti a testa, le nacchere a tre minuti e mezzo per segnare la scadenza del tempo. “Se sono venuta da Sassari non è per i contenuti ma sopratutto per le modalità di partecipazione che la lettera annunciava. E queste modalità sono già politica” annuncia una giovane. Primum vivere anche nella crisi. La rivoluzione necessaria. La sfida femminista nel cuore della politica: questo il tema. Quattro le tematiche: Voglia di esserci e di contare; autorappresentazione / rappresentanza; economia / lavoro / cura; corpo / sessualità / violenza / potere. Due giorni di riflessioni, 36 anni dopo il primo incontro, promosso e voluto dalla associazione Artemide di Paestum col supporto di Lea Melandri. “Prevedevamo 400 partecipanti e ci eravamo attrezzate per questo ma in corsa abbiamo dovuto adeguare gli spazi di accoglienza” dicono le organizzatrici, tutte dai 30 ai quarant’anni. Se primum è vivere, è necessario allora tornare alle radici del problema e dunque alle radici del femminismo, rileggere il percorso a partire dall’esperienza di ciascuna per fare fruttare la differenza femminile a nuove soluzioni. “Saremo capaci di fronte alle urgenze dell’oggi, di rimettere in campo la forza del primo femminismo, di preoccupare chi ci governa?” Diverse le risposte ma accomunate dalla stessa urgenza: la necessità di esserci e governare per pilotare il cambiamento “orientare la materialità della vita”. Da qui la necessità di convivere con le differenze che esistono nel femminismo e che in alcuni casi sembrano insormontabili. E dunque necessità del conflitto: “Se confliggere è necessario, primum sopravvivere a Paestum” è la vignetta di Pat Carra che ha scelto come simbolo una Tuffatrice che si butta nelle acque alte della vita e dunque della politica. “Paestum Tuffatrice XXI° Sec” recita la scritta, che sostituisce il Tuffatore del 480 ac esposto nel museo di Paestum. Femministe storiche con le figlie, docenti con le alunne, e molte giovani. Le stesse che proporranno di abolire la separazione tra giovani e storiche: “Siamo tutte femministe storiche perché il femminismo è già storia”. Così come contestano l’eccessivo spazio dedicato al tema della rappresentanza e alla proposta del 50 e 50. Contestazione condivisa comunque da molte storiche: “la crisi non è dei rappresentanti ma semmai dei rappresentati”. “Quali nuove mediazioni e con chi, possono sostituire quelle della democrazia rappresentativa, soprattutto dopo il fallimento del rapporto movimento no tav – istituzione, conclusosi con un atto di violenza da parte delle stesse istituzioni sui cittadini/e?” Il tema della delega non sembra appassionare le giovani, che invitano, di fronte alle richieste di dimissioni in bianco , a parlare invece di lavoro, reddito di cittadinanza, fare della precarietà esistenziale una lotta di tutto il femminismo. E ancora: “La scuola sta diventando di classe. Ne vogliamo parlare?” Alcune storiche sono già pronte a sostenerle: “voi precarie trentenni con un tempo lungo di vita davanti e noi sessantenni precarie per il poco che ci rimane, possiamo su questo punto d’incontro lavorare insieme”. Né sono interessate al tema della cura. “Fare di alcuni saperi femminili , come la cura, letta come punto di debolezza dal patriarcato, un punto di forza per scompaginare il potere”, propongono le storiche. Ma il tema fa ancora ostacolo, sentita come “rischio di ingabbiamento nella figura della donna funambola capace di fare tutto”. Chiamiamola “presenza” invece che rappresentanza, l’importante è cercare punti d’incontro, siano essi sotto forma di “reti federate radicate territorialmente” o “sentieri di cammino condiviso”, l’importante è esserci : lo chiedono le amministratrici, che sono già nelle istituzioni, alle donne del movimento che hanno preferito restare fuori e lavorare nelle Agorà, nelle librerie, nelle biblioteche, nelle università, sul territorio. Lo chiedono le donne dei movimenti alle amministratrici e a coloro che intendono candidarsi: “Sosteniamo una rete di relazioni 26 mezzocielo ottobre 2012 femminismo Fiera del consumo critico Sviluppo ed equità, occupazione e solidarietà, risparmio e qualità Leontine Regine Le parole Economia ed Ecologia hanno la stessa radice “oikos “che significa dimora, casa, luogo in cui si sta; ma le desinenze differiscono. Alla parola “logos”, pensiero (da cui il termine Ecologia), viene sostituito troppo spesso la parola “nomos”, legge (da cui il termine Economia). Ma l’Economia è una scienza che finisce col curare il benessere di pochi. Cerchiamo allora di parlare di Economia solidale: la parola “solidale” suggerisce un diverso tipo di “nomos”, promosso ed applicato da tutti coloro che pensano che un modello economico alternativo all’esistente sia possibile trovarlo, applicarlo e diffonderlo. L’idea e la realizzazione di una “Fiera del consumo critico: fa’ la cosa giusta”, che invita in modo esclamativo a “fare” e a non sbagliare nel fare, nasce a Milano nel 2003, da un progetto della casa editrice Terre di Mezzo. Nel 2009 si forma anche a Palermo un corrispondente Comitato “Fa’ la cosa giusta! Sicilia”, che è entrato nel circuito nazionale, e nel 2011 ha pubblicato la guida Fa’ la cosa giusta Sicilia – Guida al consumo critico e agli stili di vita sostenibili - edizioni Terre di Mezzo, e che quest’anno ha organizzato, ad ottobre, la prima Fiera del consumo critico siciliana. È stata l’occasione d’incontro per una comunità molto larga di persone che si riconoscono nel paradigma di una Economia Ecosolidale. La fiera si è svolta ai Cantieri Culturali alla Zisa, luogo simbolico per la città: un invito a ricominciare a fare cose giuste e belle in uno spazio a lungo abbandonato e che ricomincia a vivere e diventare luogo d’incontro e di progettazione comune. Questo appuntamento si ripeterà gli anni a venire, e vuole affermarsi valido per tutte le realtà, le persone, i gruppi, le imprese profit e non profit che in Sicilia promuovono il consumo consapevole, gli stili di vita sostenibili e la responsabilità sociale d’impresa. Durante la fiera sono stati tenuti incontri, convegni, laboratori e workshop; inoltre è stata allestita una mostra/mercato, suddivisa in otto sezioni tematiche: Abitare lo spazio- Moda e cosmesi - Mobilità sostenibile - Servizi Etici - Equo e solidale - Editoria - Viaggiare - Pace e partecipazione. Sono state presentate idee nuove nonché servizi e prodotti innovativi per uno stile di vita più consapevole: alimentazione biologica biodinamica e a filiera corta, turismo sostenibile, moda etica, cosmesi naturale, arredamento in materiale riciclato, prodotti equosolidali e per l’infanzia e molto altro. Anche in Sicilia infatti sono presenti realtà che cercano di praticare un diverso sistema di relazioni economiche e sociali che pongano al centro l’uomo e l’ambiente. L’obiettivo è coniugare sviluppo con equità, occupazione con solidarietà e risparmio con qualità. con le donne delle istituzioni o che vogliono candidarsi ma chiedendo loro come intendono agire per scompaginare il potere o cosa hanno fatto per scompaginarlo”. Insomma fatte salve alcune categorie ritenute oggi universali, quali l’autodeterminazione, l’ autocoscienza, e il partire da sé, il dopo Paestum significherà, in continuità con quanto detto “mettere in piedi, donne dei movimenti e donne delle istituzioni e dei partiti, spazi pubblici di urgenza per modificare forme di politica e forme di vita”. Cos’è mancato? Poca o nessuna attenzione a cosa stanno facendo le donne dall’altre parte del mondo per vivere e capire se le loro forme non abbiano qualcosa da insegnarci. Il dibattito continua sul blog Paestum 2012. 27 mezzocielo ottobre 2012 femminismo femminismo I centri antiviolenza: tra desiderio e difficoltà Il Centro antiviolenza inizia il suo percorso nel 1992 in uno scenario che, a fronte di un non riconoscimento del fenomeno della violenza verso le donne, vede la nascita, in più parti d’Italia, di centri e case rifugio e la riflessione sulla relazione tra donne quale pratica di libertà femminile nella pratica che accompagna l’affermarsi del pensiero della differenza sessuale. A Palermo l’esistenza di una sede storica dell’Udi con la presenza di avvocate e il desiderio di un gruppo di giovani donne di sperimentare un’attività che coniugasse la relazione tra donne alla professionalità sono gli elementi che avviano quella che è divenuta una delle esperienze più significative nel sud dell’Italia, in una stagione caratterizzata dalla reazione alle stragi, con un fermento di progettualità sociale e politica che caratterizza l’intero territorio siciliano e Palermo in particolare. L’Associazione Le Onde Onlus si costituisce nel 1997 e sviluppa servizi, azioni rivolte al sistema di intervento socio sanitario e di protezione, promozione di politiche regionali e nazionali, ricerche, iniziative educative, ecc.. Promuove e coordina la Rete cittadina contro la violenza alle donne ed ai minori della città di Palermo a cui aderiscono gli enti impegnati nella prevenzione e il contrasto del fenomeno. Oggi lo scenario in cui ci muoviamo pare più adeguato agli interventi ed alle attività in favore delle donne che soffrono violenza, ma è segnato da un cambiamento strutturale che penalizza il sistema di protezione sociale riducendo l’offerta dei servizi. Così, a fronte dell’emersione del fenomeno (solo il Centro segue ca 400 donne l’anno), viviamo la riduzione degli interventi e della loro qualità. Eppure il contesto si è modificato: il governo italiano si è dotato di un Piano nazionale contro la violenza di genere e lo stalking e dal 2006 funziona un servizio telefonico nazionale di accoglienza delle domande di aiuto delle donne, il 1522. Nei prossimi giorni sottoscriverà la Convenzione europea sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica (CETS n° 210 - Istambul 2011), primo strumento che crea un quadro giuridico globale per la prevenzione della violenza e la protezione delle vittime, definendo le varie forme di violenza contro le donne (tra cui matrimoni forzati, mutilazioni genitali femminili, stalking, violenza fisica e psicologica e violenza sessuale). La Sicilia si è dotata di una propria norma, L. R. 3/2012, che prevede lo sviluppo di azioni Maria Rosa Lotti sull’intero territorio regionale e, a partire dalla programmazione comunitaria 2000-2006, ha inserito, grazie alla spinta del partenariato sociale ed economico che partecipa ai processi concertativi (con la presenza nel Forum del partenariato de Le Onde Onlus), specifiche azioni per migliorare il sistema di intervento in favore delle donne vittime di violenza. L’azione delle associazioni di donne che in Sicilia gestiscono centri antiviolenza, unita al radicamento delle esperienze prodotte dalle Reti locali antiviolenza - attive ad Agrigento, Catania, Palermo e Trapani (provincia), hanno prodotto impulsi nelle istituzioni aderenti e di conseguenza negli ambiti programmatori che loro competono, così da introdurre il tema nelle agende di governo locale e regionale, di cui si iniziano a vedere i primi, seppur a volte contradditori, risultati. La sensibilità sociale al tema si è accentuata e nella nostra città possiamo contare su un buon numero di operatori adeguatamente formati. Dunque, si direbbe che vi siano le basi per migliorare le condizioni di vita delle donne vittime di violenza e di garantire loro le opportunità che non hanno avuto. Ma è così? Ricordiamo che l’ISTAT stima che in Sicilia il fenomeno della violenza contro le donne riguardi il 23,3% della popolazione femminile da 16 a 70, proponendosi quale problema sociale sommerso e che si annida soprattutto nelle mura domestiche. L’indagine (2006) evidenzia come il 4,3% di queste donne abbia subito forme di violenza sessuale prima dei 16 anni. Inoltre, segnala una rilevante difficoltà nel chiedere aiuto e denunziare (solo il 2,4% denunzia la violenza subita nel caso sia stato il partner, mentre è il 3,4% la percentuale di denunzia nel caso l’autore non sia il partner), sia per problemi legati alla vittimizzazione, sia per l’alta soglia di tolleranza del fenomeno nel contesto culturale. Per queste donne è disponibile nel territorio un’offerta adeguata di servizi e la sicurezza di non sentirsi penalizzata ancora una volta dall’accoglienza giudicante a cui si trovano a fare fronte quando chiedono aiuto? Basta analizzare le reali azioni intraprese a 28 mezzocielo ottobre 2012 femminismo Un’altra violenza Storie di donne si intrecciano, ascoltate, racconRossella Caleca tate, lette: Maria mi confida che ha rinunciato ad avere un bambino, “per il momento”, un momento che potrà durare anni: lavora in nero, sa che se restasse incinta verrebbe licenziata. Daniela e Marco ad un bambino non possono neanche pensarci: laureati, specializzati, precari, “per il momento”senza prospettive di lavoro stabile, impossibile costruire un progetto di vita comune. Anna ha un contratto a tempo determinato presso un’importante società finanziaria; da tempo desidera un figlio, ma sa che ci sono prospettive di stabilizzazione per alcuni dipendenti, e le è stato “fatto capire” che se restasse incinta verrebbe scartata a favore di altri. Storie, tante storie di discriminazione neanche tanto nascosta, spesso del tutto esplicita: ragazze inquisite con domande personali (vietate per legge) nei colloqui di lavoro, si sentono chiedere se sono in coppia, se vorrebbero avere figli: e se rispondono sì, addio assunzione. Un’altra forma di violenza si sta imponendo alle donne, di segno uguale e contrario rispetto al passato: prima si veniva costrette ad avere figli, oggi a non averne. Migliaia di giovani donne constatano ogni giorno che il desiderio di maternità è “normalmente” un ostacolo nel mondo del lavoro, un “optional” riservato a poche fortunate. Datori di lavoro, selezionatori, responsabili delle risorse umane, sono pronti ad aggirare in mille modi la legge, a discriminare, a negare opportunità alle donne, subordinando le competenze alla loro minacciosa fertilità. Ancora una volta, altre forme di potere soffocano le donne attraversando il loro corpo: corpi femminili umani, troppo umani per le logiche di mercato. Fotografia di Shobha, Discarica, India, Goa, 2010 partire dai documenti succitati e gli impegni di spesa che prevedono. Scopriremmo che la L.R. 3/2012 andrebbe corretta e riguardo agli impegni di spesa prevede una somma che non arriva ai 500.000,00 euro per l’intera regione. Ed ancora che le azioni previste con fondi comunitari non si sono avviate, e via an- dando … Dopo vent’anni abbiamo l’impressione che il desiderio di cambiare il mondo e di renderlo più amico delle donne che vi abitano, quelle vittime di violenza ma anche noi stesse, sia un’opera difficile se la si vede con lo sguardo di chi non vuole solo belle parole. Per maggiori informazioni www.leonde.it 29 mezzocielo ottobre 2012 femminismo libri Franca Viola Una e due cultura Beatrice Monroy, Niente ci fu, Ed.La Meridiana, € 13,50 Da una parte, sul tavolo dove scrivo, una donna velata da un pesante merletto si delinea nel rosa della copertina del libro di Beatrice Monroy, dall’altra parte, una pagina di Repubblica, mostra la foto di una ragazza degli anni ’60: vestito girocollo, giacca ripiegata sul braccio di analogo colore e tessuto, pettinatura alla moda del momento e, poichè nessun velo lo nasconde, possiamo vedere bene il suo sorriso: è un sorriso giovane ma già deciso, quasi un po’ ironico. Sembra impossibile che la figura sulla copertina e l’altra sul foglio di Repubblica rappresentino la stessa persona. Eppure siamo abituati nella letteratura, in teatro e nella vita a persone e personaggi che giocano la loro esistenza sull’ambivalenza. Si può dire che Franca Viola sia stata una figura ambivalente ed enigmatica? Noi recepimmo la sua presa di posizione come un atto di chiarezza, che ci fece comprendere come in Sicilia finalmente la società fosse in movimento e in crescita. Una donna per la prima volta dichiarava “Io non sono proprietà di nessuno, l’onore lo perde chi fa certe cose non chi le subisce”. Franca fu la prima donna che scelse di dichiararsi “Svergognata”. Il prezzo da pagare allora fu altissimo: minacce, ricatti, l’opinione pubblica ostile. Insomma fu costretta alla clausura con polizia fuori da casa giorno e notte,. Restare nel ricordo collettivo ha un alto prezzo, perché si incrociano sentimenti e pensieri diversi, tanto da spingere, dopo molti anni, Beatrice Monroy a parlare in modo nuovo di lei. Neanche la scrittrice gioca sui toni del dubbio o dell’ambivalenza ma capovolge piuttosto la storia, così come fin ora ci è stata raccontata, narrandola, sia oralmente – in alcuni spettacoli, sia nel suo libro “Niente ci fu” in modo diverso. Io sono stata un’ammiratrice di Franca Viola, il cui comportamento (almeno per come fu generalmente recepito) – è ormai ovvio – fece cambiare il costume morale e sessuale dell’Italia. Tanto che in seguito a questa mutazione, nel giro di qualche anno, cambiò anche il codice penale. Avrei dovuto dunque, partendo da tali presupposti, non apprezzare questo libro; e invece ne sono rimasta affascinata. Prima di tutto perché la prosa è, come non mai, scorrevole e a volte ritmata come una poesia e poi perché ho visto nell’autrice una focalizzazione su temi diversi da quelli che ci hanno reso nota la ragazza di Alcamo. La protagonista della Monroy è una donna in opposizione all’altra. È quella che, una volta subito lo stupro, subisce per sempre. Del resto le donne della Monroy sembrano un po’ tutte così. L’autrice, infatti, è questo che mette al centro dei suoi libri: la violenza contro le donne che una volta avvenuta le segna per sempre. La sua Franca che ha interiorizzato solo la violenza ci viene descritta rannicchiata come un”armaluzzo”, occhi fissi, i gesti di un automa, i pensieri confusi anche durante la fuga sui tetti, una delle scene più toccanti. Uso questo termine anche se molto utilizzato perché si ha la sensazione che la scena sia davanti a noi e si prolunghi nelle mille fughe delle donne che continuano ancora a essere stuprate e violentate. In conclusione Beatrice Monroy ci costringe a considerare l’esistenza di due donne: una la Viola che conosciamo, pronta a superare il trauma, a risolverlo per sé e per tutte le donne e l’altra, quella di “niente ci fu”, che ha racchiuso dentro di sé la propria carne dilaniata e ora chiede di raccontare la sua storia per farci diventare testimoni non più della sua vittoria ma anche della sua sconfitta. Silvana Fernandez La Chiamata di Egle Palazzolo Egle Palazzolo, La Chiamata - Storia di un ragazzo che non sapeva sognare, Ed. Istituto Poligrafico Europeo, Palermo, € 10,00 Le storie di Mafia non sono tutte uguali e tante sono le sfumature di un mondo complesso, che nelle pagine di questo libro sembra disegnare un destino già scritto e inevitabile. “La chiamata”, l’ultimo intenso libro di Egle Palazzolo, è la storia di un ragazzo che non sceglie ma appartiene, che non scappa e non è perseguitato ma che non potrebbe mai non rispondere alla chiamata di morte della propria famiglia. Una famiglia “intisa”, certo, ma non dominante tra i clan mafiosi, che però parla un alfabeto unico e inviolabile, che alla violenza non può che rispondere con vendetta. Gaspare, il protagonista, attraverso il dialogo con un giudice che ha il volto della giustizia e le parole di un padre, racconta i suoi sogni, belli come quelli di tutti, ma che a differenza di quelli di ogni ragazzo, non saranno mai realizzabili. Sebbene il tempo renda il ricordo meno forte, sebbene la lontananza fisica sfochi i contorni di una realtà familiare senza affetti veri ma con doveri e ruoli ben precisi, Gaspare sa che quel mondo di morte è solo sopito e attende, senza dubitarne, il ritorno del proprio“figlio”. Stefania Savoia 30 mezzocielo ottobre 2012 libri Per le strade di Roma, con Elsa Morante Sulle tracce di Elsa Morante, per iniziativa della Casa internazionale delle donne, si organizza a Roma un “ponte” di inizio novembre (3-4 novembre) davvero speciale. Nel periodo in cui si assottiglia il velo fra il mondo dei vivi e dei morti, quale guida migliore della magica e visionaria autrice di “Menzogna e sortilegio”? Da un’idea di Giuliana Misserville, Nadia Setti e Laura Fortini, è annunziata a terza “visitazione letteraria” del mondo immaginario e toponomastico (!) di una grande scrittrice. Dopo Anna Maria Ortese a Napoli e Goliarda Sapienza a Catania, la Società Italiana delle letterate porterà le/i partecipanti prima a discutere l’opera e la figura di Elsa Morante, poi a percorrere i quartieri di Trastevere, Testaccio, San Lorenzo, Montesacro e il Ghetto, nella “passeggiata morantiana”. Nadia Tarantini Su e giù per gli scaffali Dacia Maraini, L’amore rubato, Rizzoli, € 15,00 Si può rubare l’amore? Protagoniste del nuovo libro della Maraini, ancora una volta, le donne. Vittime dei loro mariti, amanti, compagni. Uomini che non crescono, che non sanno accettare un rifiuto e l’amore se lo prendono con la forza. Ma dove c’è un uomo che prevale, c’è una donna che non sa opporsi, sembra dire l’autrice. Queste storie di dolore sono soprattutto un invito a reagire e a non arrendersi mai. Toni Morrison, A casa, Frassinelli, € 18,50 Il Premio Nobel Toni Morrison torna in libreria con una storia affilata e potente. In una sperduta città della Georgia, una piccola ragazza scrive una lettera al fratello maggiore. È una richiesta d’aiuto. Reduce dalla guerra di Corea, alla ricerca disperata di se stesso, Frank corre a casa, sfidando i fantasmi del razzismo e dell’abbandono e grazie alla sorella e al suo nuovo ruolo familiare ritrova la dignità che pensava di avere perso per sempre. Mary McCarthy, Gli uomini della sua vita, Minimum Fax, € 15,00 Splendido esordio letterario dal sapore autobiografico, già pubblicato nel 1942 e motivo di scandalo nell’America dell’epoca. Sei episodi ritraggono Margaret Sargent, una giovane brillante e disinibita, anima dei salotti intellettuali e lontana anni luce dall’educazione cattolica ricevuta da piccola. Una donna che a distanza di settanta anni affascina per la sua modernità e indipendenza. Con la prefazione di Guia Soncini. Maria Perosino, Io viaggio da sola, Einaudi, € 14,00 “Viaggiare da sole non significa affatto essere sole. Significa che vi dovete arrangiare a portare la valigia”. È il punto di partenza di questo libro utile e divertente, un vero kit di sopravvivenza per cavarsela da sole tra treni, alberghi, ristoranti e attacchi di malinconia. Viaggiare da sole può essere a volte una necessità, ma soprattutto una grande occasione o una possibilità di riscatto. Miriam Toews, Mi chiamo Irma Voth, Marcos y Marcos, € 17,00 Un romanzo autobiografico all’insegna della libertà. Irma è fuggita dal padre, un uomo violento, conservatore e in più mennonita (seguace, come tutti i mennoniti, di una stretta dottrina che auspica un ritorno alle origini della Chiesa cristiana, nella povertà e nell’isolamento). Veramente troppo per Irma. Che sbaglia anche marito, nel frattempo. Oppressa dal deserto (non solo fisico) messicano in cui vive, Irma insegue il lavoro e l’indipendenza in città, in compagnia delle due sorelline, una tredicenne e l’atra appena nata. Sarà la volta buona per trovare la serenità e chiudere i conti con un passato oscuro e doloroso. Loredana Mancino Modus Vivendi 31 mezzocielo ottobre 2012 mezzocielo Direzione Rosanna Pirajno (direttrice responsabile) Letizia Battaglia (art director) Simona Mafai (coordinamento) Redazione Beatrice Agnello, Carla Aleo Nero, Rita Calabrese, Giusi Catalfamo, Daniela Dioguardi, Maria Chiara Di Trapani, Silvana Fernandez, Gisella Modica, Leontine Regine, Francesca Saieva, Maria Concetta Sala, Stefania Savoia, Shobha, Francesca Traína Impaginazione e grafica Letizia Battaglia Massimiliano Martorana Editore Associazione Mezzocielo Responsabile Editoriale Adriana Palmeri e-mail: [email protected] Il lavoro redazionale e le collaborazioni sono forniti gratuitamente Stampa Istituto Poligrafico Europeo srl Contrada Zaccanelli Roccapalumba (Palermo) Finito di stampare nel mese di ottobre 2012 Reg. al Trib. di Palermo il 19-3-’92 Quota associativa annua: ordinaria: € 30,00 sostenitrice: € 60,00 c/cp. 13312905 Rosanna Pirajno, V.le F. Scaduto, 14 - 90144 Palermo Rinnovate o regalate un abbonamento a mezzocielo per il 2012 c/c postale n. 13312905 intestato a Rosanna Pirajno Ogni giorno sul web www.mezzocielo.it Hanno sottoscritto e rinnovato l’abbonamento: Simona Mafai, Adriana Palmeri (€ 300); Letizia Battaglia (€ 100), Rosetta Sala (€ 60); Teresa Mattei, Luisa Muraro, Mimì Palazzotto, Emanuela Vitale (€ 50). 32 mezzocielo ottobre 2012 a proposito di bambini brutalizzati Carta dei Diritti dell’Infanzia La Convenzione sui Diritti dell’Infanzia e l’Adolescenza è stata approvata dall’Assemblea delle Nazioni Unite (ONU) a New York il 20 Novembre del 1989. L’Italia ha ratificato e reso esecutiva la Convenzione il 27 Maggio 1991 attraverso l’approvazione della Legge n.176. È importante che tutti i genitori e gli adulti responsabili conoscano in dettaglio questo documento al fine di essere, ognuno nel proprio ambiente e attraverso le proprie opportunità, difensori consapevoli e convinti dei diritti di ogni bambino che nasce.Questo documento vede nei bambini e negli adolescenti non solo degli oggetti di tutela, ma soprattutto dei soggetti di diritto, proponendo una nuova consapevolezza sul valore che l’infanzia rappresenta per l’intero pianeta. Il testo che segue è la versione integrale del documento riscritta da un gruppo di bambini di Palermo. ·· ·· ·· ·· · · · · ·· ·· · · ·· · · · ·· · · · ·· · ·· ·· ·· · ·· · ·· · Bambino o bambina è ogni essere umano fino a 18 anni. Gli Stati devono rispettare, nel loro territorio, i diritti di tutti i bambini: handicappati, ricchi e poveri, maschi e femmine, di diverse razze, di religione diversa, ecc. Tutti coloro che comandano devono proteggere il bambino e assicurargli le cure necessarie per il suo benessere. Ogni Stato deve attuare questa convenzione con il massimo impegno per mezzo di leggi, finanziamenti e altri interventi. In caso di necessità gli Stati più poveri dovranno essere aiutati da quelli più ricchi. Gli Stati devono rispettare chi si occupa del bambino. Il bambino ha diritto alla vita. Gli Stati devono aiutarlo a crescere. Quando nasce un bambino ha diritto ad avere un nome, ed essere registrato ed avere l’affetto dei genitori. Il bambino ha diritto al proprio nome, alla propria nazionalità e a rimanere sempre in relazione con la sua famiglia. Il bambino non può essere separato, contro la sua volontà, dai genitori. La legge può decidere diversamente quando il bambino viene maltrattato. Il bambino separato dai genitori deve mantenere i contatti con essi. Quando la separazione avviene per azione di uno Stato (carcerazione dei genitori, deportazione, ecc.) il bambino deve essere informato del luogo dove si trovano i suoi genitori. Il bambino ha diritto ad andare in qualsiasi Stato per unirsi ai genitori. Se i genitori abitano in Stati diversi, il bambino ha diritto di mantenersi in contatto con loro. Il bambino non può essere portato in un altro Stato illecitamente. Tutti gli Stati si devono mettere d’accordo per garantire questo diritto. Il bambino deve poter esprimere la propria opinione su tutte le cose che lo riguardano. Quando si prendono decisioni che lo interessano, prima deve essere ascoltato. Il bambino ha diritto di esprimersi liberamente con la parola, con lo scritto, il disegno, la stampa, ecc. Gli Stati devono rispettare il diritto del bambino alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione. Il bambino ha diritto alla libertà di associazione e di riunione pacifica. Il bambino deve essere rispettato nella sua vita privata. Nessuno può entrare a casa sua, leggere la sua corrispondenza o parlare male di lui. Il bambino ha diritto a conoscere tutte le informazioni utili al suo benessere. Gli Stati devono: far fare libri, film ed altro materiale utile per il bambino; scambiare con altri Stati tutti i materiali interessanti adatti per i bambini; proteggere i bambini dai libri o da altro materiale dannoso per loro. I genitori (o i tutori legali) devono curare l’educazione e lo sviluppo del bambino. Lo Stato li deve aiutare rendendo più facile il loro compito. Gli Stati devono proteggere il bambino da ogni forma di violenza. Lo Stato deve assistere il bambino che non può stare con la sua famiglia affidandolo a qualcuno. Chi si occupa del bambino deve rispettare le sue abitudini. Gli Stati devono permettere l’adozione nell’interesse del bambino. L’adozione deve essere autorizzata dalle autorità con il consenso dei parenti del bambino. Se l’adozione non può avvenire nello Stato del bambino, si può fare in un altro Stato. L’adozione non deve mai essere fatta per soldi. Gli Stati devono cercare di unire alla sua famiglia il bambino separato e, se non ha famiglia, lo Stato lo deve proteggere come qualsiasi altro bambino. Il bambino svantaggiato fisicamente e mentalmente deve vivere una vita completa e soddisfacente. Gli Stati devono scambiarsi tutte le informazioni utili per migliorare la vita dei bambini disabili e devono garantire l’assistenza gratuita se i genitori o i tutori sono poveri. Inoltre bisogna fornire al bambino occasioni di divertimento. Il bambino deve poter vivere in salute anche con l’aiuto della medicina. Gli Stati devono garantire questo diritto con diverse iniziative: fare in modo che muoiano meno bambini nel primo anno di vita; garantire a tutti i bambini l’assistenza medica; combattere le malattie e la malnutrizione fornendo cibi nutritivi ed acqua potabile; assistere le madri prima e dopo il parto; informare tutti i cittadini sull’importanza dell’allattamento al seno e sull’igiene; aiutare i genitori a prevenire le malattie e a limitare le nascite. Il bambino che è stato curato deve essere controllato periodicamente. Ogni bambino deve essere assistito in caso di necessità, di malattia o necessità economica, tenendo conto delle possibilità dei genitori o dei tutori. Ogni bambino ha diritto a vivere bene. Gli Stati devono aiutare la famiglia a nutrirlo, a vestirlo, ad avere una casa, anche quando il padre si trova in un altro Stato. Il bambino ha diritto all’istruzione. Per garantire questo diritto gli Stati devono: fare le scuole elementari obbligatorie per tutti; fare in modo che tutti possano frequentare le scuole medie; aiutare chi ha la capacità a frequentare le scuole superiori; informare i bambini sulle varie scuole che esistono. Gli Stati devono controllare, anche, che nella scuola siano rispettati i diritti dei bambini. L’educazione del bambino deve: sviluppare tutte le sue capacità; rispettare i diritti umani e le libertà; rispettare i genitori, la lingua e la cultura del Paese in cui egli vive; preparare il bambino ad andare d’accordo con tutti; rispettare l’ambiente naturale. Il bambino che ha una lingua o una religione diversa, ha il diritto di unirsi con altri del suo gruppo per partecipare ai riti e a parlare la propria lingua. Il bambino ha il diritto di giocare, di riposarsi e di svagarsi. Gli Stati devono garantire a tutti questo diritto. Il bambino non deve essere costretto a fare dei lavori pesanti o rischiosi per la sua salute. Gli Stati devono approvare delle leggi che stabiliscono a quale età si può lavorare, con quali orari ed in quali condizioni. Devono punire chi non le rispetta. Gli Stati devono proteggere il bambino contro le droghe ed evitare che sia impiegato nel commercio della droga. Gli Stati devono proteggere il bambino dallo sfruttamento sessuale. Gli Stati devono mettersi d’accordo per evitare il rapimento, la vendetta o il traffico di bambini. Gli Stati devono proteggere il bambino da ogni forma di sfruttamento. Nessun bambino deve essere sottoposto a tortura o punizioni crudeli. Se un bambino deve andare in prigione, deve essere per un motivo molto grave e per un breve periodo. In carcere deve essere rispettato, deve mantenere i contatti con la famiglia e deve essere tenuto separato da carcerati adulti. In caso di guerra i bambini non devono essere chiamati a partecipare se non hanno almeno 15 anni. Se il bambino è vittima della guerra, tortura o sfruttamento deve essere aiutato a recuperare la sua salute. Il bambino che non osserva la legge deve essere trattato in modo da rispettare la sua dignità. Gli Stati devono garantire: che nessun bambino sia punito per cose non punite dalla legge dello Stato; che il bambino accusato sia assistito da un avvocato e sia ritenuto innocente finché non è condannato; che la sua causa sia definita velocemente; che, se giudicato colpevole, abbia il diritto alla revisione della sentenza; che se parla un’altra lingua abbia l’assistenza di un interprete. Gli articoli di questa Convenzione non devono essere sostituiti alla legge dello Stato se questa è più favorevole al bambino. Gli Stati devono far riconoscere i diritti dei bambini sia ai bambini stessi sia agli adulti. Gli Stati devono scegliere dei rappresentanti che si riuniscano periodicamente e controllino se i diritti dei bambini vengono rispettati. Per non dimenticare IL NO di Rosa “Doveva esserci un punto d’arresto! E quello è stato per me il punto in cui smettere di lasciarmi bistrattare e scoprire quali fossero, se mai ne avevo, i miei diritti di essere umano”: disse Rosa Parks, ricordando il giorno in cui – sarta, coloured di 42 anni, seduta dopo una giornata di lavoro su un autobus di Montgomery (capitale dell’Alabama) – rifiutò di alzarsi per cedere il suo posto a un passeggero bianco. La storia (divenuta quasi leggenda) racconta che quando l’autista le disse di alzarsi, Rosa Parks rispose semplicemente “No”. E quando questi aggiunse: “Se non ti alzi ti faccio arrestare” lei rispose: “Sì, lei può farlo”. Perché la legge dell’Alabama considerava un “reato” il non cedere il posto a un bianco. Rosa (operaia sarta, coloured, 42 anni) restò seduta, finché giunse la polizia e fu portata in carcere. Un gruppo di neri, tra cui Martin Luther King, allora pastore battista, prima raccolsero la somma necessaria per farla uscire dal carcere; poi proclamarono il boicottaggio degli autobus. D’ora in poi tutti i neri sarebbero andati a piedi: e così avvenne. Fino al fallimento della compagnia dei trasporti. Tredici mesi dopo, il 13 novembre 1956, la Corte suprema degli Stati Uniti dichiarò incostituzionale la segregazione sugli autobus. Fu il primo passo per la piena integrazione razziale negli USA. Stupendo esempio di azione non violenta, iniziata con il NO detto da un donna. Rosa Parks è morta il 24 ottobre 2005, sette anni fa. Anche se non è un anniversario rotondo, la ricordiamo con ammirazione.