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“Strumenti pastorali di Caritas Italiana” Alzatevi, andiamo! "Quando

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“Strumenti pastorali di Caritas Italiana” Alzatevi, andiamo! "Quando
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“Strumenti pastorali di Caritas Italiana”
Alzatevi, andiamo!
"Quando giunse la "sua ora", Gesù disse a coloro che erano con Lui nell'orto del Getsemani,
Pietro, Giacomo e Giovanni, i discepoli particolarmente amati: "Alzatevi, andiamo!". Non era Lui
solo a dover "andare" verso l'adempimento della volontà del Padre, ma anch'essi con Lui.
Anche se queste parole significano un tempo di prova, un grande sforzo e una croce dolorosa,
non dobbiamo farci prendere dalla paura. Sono parole che portano con sé anche quella gioia e
quella pace che sono frutto della fede. In un'altra circostanza, agli stessi tre discepoli Gesù precisò
l'invito così: "Alzatevi e non temete!". L'amore di Dio non ci carica di pesi che non siamo in grado
di portare, né ci pone esigenze a cui non sia possibile far fronte. Mentre chiede. Egli offre l'aiuto
necessario.
Parlo di questo da un luogo in cui mi ha condotto l'amore di Cristo Salvatore, chiedendomi di
uscire dalla mia terra per portare frutto altrove con la sua grazia, un frutto destinato a rimanere.
Facendo eco alle parole del nostro Maestro e Signore, ripeto perciò anch'io a ciascuno di voi:
"Alzatevi, andiamo!".
Andiamo fidandoci di Cristo. Sarà Lui ad accompagnarci nel cammino, fino alla meta che
Lui solo conosce."
Papa Giovanni Paolo II
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1) IL LABORATORIO DI FORMAZIONE
DELLA CARITA DIOCESANA
Identità e metodologia di lavoro
Il Laboratorio è lo strumento che Caritas Italiana propone (non impone!) alle Caritas
diocesane. E’ composto da figure individuate per assumere la responsabilità dei processi di
animazione: persone chiamate a promuovere e sensibilizzare lo spirito e lo stile Caritas (funzione
pedagogica) nelle comunità parrocchiali, anche attraverso la formazione di operatori disponibili ad
attivare i Centri di Ascolto, dotando loro degli strumenti didattici ed operativi necessari, nonché a
far emergere, valorizzare ed attivare le realtà caritative esistenti.
Il laboratorio opera attraverso la formazione, ma in un’accezione che ha poco a che fare con la
pura trasmissione di “saperi” in aula. Non si tratta solo di elaborare idee e/o fornire informazioni,
ma una formazione che, attraverso l’esperienza, l’incontro, la relazione, la ricerca, la verifica
(elementi di ogni percorso educativo), attiva la soggettività delle persone, le mette in movimento.
In altri termini, una formazione che anima, che produca un cambiamento nei singoli e che
trasformi i loro contesti di riferimento, orientandoli nella conoscenza della realtà delle parrocchie,
nella relazione con i parroci, nella motivazione degli animatori pastorali, accompagnando le
comunità ad assumerlo e sperimentarlo a propria volta, nei confronti dei poveri, di se stessa, del
territorio e del mondo.
Il Laboratorio ricerca, dunque, un equilibrio costante, tra attività che si sviluppano all’interno
del gruppo e quelle da realizzare sul territorio.
Esso opera attraverso un approccio di tipo progettuale, poichè l’animazione è un processo
educativo, fondato su intenzionalità, progettualità e gradualità.
Infatti, non è sufficiente, sebbene necessario, agire, testimoniare, darsi da fare, non è
spontaneo il moltiplicarsi di sensibilità, attenzioni, disponibilità e azioni. È necessario darsi obiettivi
concreti, fissare tempi, stabilire risorse, organizzare azioni, programmare verifiche. Parlare di
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laboratorio vuol dire riferirsi ad un metodo e ad uno stile di lavoro che faccia maturare “l’essere, il
saper essere, il saper fare e il saper far fare”.
In definitiva il Laboratorio, attraverso corsi di formazione per operatori Caritas, tende a
promuovere:
- la conoscenza dei fondamenti biblico-teologico-pastorali della carità,
- l’approccio all’ascolto ed alla relazione con l’altro, specie con chi è in condizioni di
bisogno,
- la condivisione di valori e linguaggi,
- la capacità di lavorare in gruppo, nonché la gestione di eventuali dinamiche
conflittuali,
- la lettura della realtà, all’interno del territorio parrocchiale di riferimento,
- esperienze e competenze diverse, facendo della loro condivisione, una concreta
opportunità di studio e sviluppo,
- la individuazione di percorsi per raggiungere un fine stabilito,
- la costruzione di proposte “su misura”, originali, spesso innovative, non “per tutti e
nessuno”, ma rivolte a destinatari precisi,
- la verifica e la rilettura di quanto realizzato per “imparare facendo”. 1
1
“CARITAS DIOCESANA E CHIESA, PERCORSI DI ANIMAZIONE DELLA COMUNITÀ CRISTIANA” – percorso Equipe
Caritas Diocesana - II tappa, anno pastorale 2006/2007.
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“Osservatorio delle Povertà e delle Risorse” (O.P.R.)
Nella definizione contenuta nella nota pastorale "La Chiesa in Italia dopo Loreto" (1985),
l'Osservatorio delle povertà è uno strumento a disposizione della Chiesa locale, per aiutare la
comunità cristiana a rilevare sistematicamente le situazioni di povertà, di disagio ed emarginazione
presenti sul territorio e le loro dinamiche di sviluppo, comunicando e rivolgendosi all'opinione
pubblica e alla comunità ecclesiale, favorendo la messa in rete e il coinvolgimento dei diversi attori
sociali impegnati sul territorio. L'Osservatorio deve inoltre verificare ed approfondire l'utilizzo
delle risorse e stimolare eventuali proposte di intervento.
Sulla base di questa definizione, il compito dell'Osservatorio è quello di studiare l'evoluzione
dei bisogni e delle risorse, in modo qualificato e sistematico, prestando particolare attenzione alle
dinamiche qualitative dei bisogni, delle povertà e delle risposte, che maturano all'interno della
comunità cristiana e civile. La proposta culturale della Chiesa italiana è tanto più efficace, quanto
più è qualificata e puntuale nella lettura dei fenomeni sociali, alla luce della prassi evangelica.
In questo senso, l'Osservatorio si presenta come uno strumento privilegiato, per fornire alla
comunità ecclesiale adeguati elementi di riflessione, per verificare il proprio modo di essere Chiesa,
per valutare la propria presenza nel servizio ai poveri. Tuttavia, l'intuizione della Chiesa italiana,
riguardo alla costituzione di un Osservatorio delle povertà, si presenta come un'indicazione di
principio, cui la Chiesa locale deve dare concretezza di realizzazione. In altre parole, l'Osservatorio
non nasce già ben formato in tutte le sue parti e non può essere considerato come uno strumento
totalmente determinato e definitivo. L'Osservatorio, essendo uno strumento "storico", è anche uno
strumento "relativo", non definibile inizialmente in tutti i suoi dettagli. Esso va pensato e adattato
alle situazioni concrete, che variano a seconda delle caratteristiche e delle risorse delle diverse
diocesi. Si tratta, quindi, di uno strumento duttile e agile, che va continuamente aggiornato, tenendo
conto della propria collocazione nella comunità ecclesiale e civile.
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E' importante sottolineare che l’Osservatorio delle povertà, non va confuso con altre realtà
simili: centri studi, scuole di formazione, biblioteche, osservatori epidemiologici, ecc., che hanno
come oggetto di interesse, aspetti diversi della realtà sociale, anche se è auspicabile che tra tali enti,
vengano stabiliti collegamenti organici ed un costante confronto, necessario anche per le inevitabili
interdipendenze tra fenomeni apparentemente distanti, che caratterizzano la società contemporanea.
In quest'ottica, una delle funzioni dell'Osservatorio può essere quella di approfondire e chiarire tali
collegamenti, evidenziando le sinergie esistenti tra i diversi fenomeni, con un'attenzione particolare
e specifica ai poveri e alla loro condizione.
La costruzione dell'Osservatorio delle Povertà è il frutto di un cammino condiviso da tutta la
comunità ecclesiale locale. Per questo motivo, l'Osservatorio non dovrebbe rimanere confinato
nell'ambito della Caritas Diocesana. L'Osservatorio non serve solamente a migliorare il servizio ai
poveri a livello organizzativo, ma ha il compito di promuovere cultura e partecipazione, cambiare
modalità e stili di vita all'interno della comunità ecclesiale e dell'opinione pubblica.
Laddove si registra una crescente preoccupazione delle Chiese locali rivolta alla dimensione
operativa, le informazioni fornite dall'Osservatorio, assieme ad altri dati utili provenienti da altri tipi
di fonti informative, istituzionali e private, possono servire alla Chiesa locale per ripensare il
proprio agire, per riflettere su sé stessa e dare un senso alla propria presenza sul territorio.
Nelle varie fasi del lavoro dell'Osservatorio, uno degli scopi da perseguire è quello di
coinvolgere la comunità ecclesiale e civile nel processo di ricerca sui problemi sociali e le loro
soluzioni. In questo ambito, si dovrebbe favorire la messa in rete dei diversi attori impegnati sul
territorio.
Le strategie di azione dell'Osservatorio delle Povertà:
Il complesso di decisioni e azioni che si ritengono necessarie per il raggiungimento di
determinati obiettivi, viene definito nella letteratura specializzata come “strategia di azione”.
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A livello operativo, la definizione delle strategie di azione consente di definire meglio il
compito dell'Osservatorio e di identificare il modello progettuale, le azioni e le forme organizzative
che si ritengono più adeguate, in riferimento al contesto sociale, ecclesiale e storico entro il quale si
colloca l'Osservatorio stesso.
E' necessario adattare le strategie di azione dell'Osservatorio alla realtà del territorio di
riferimento, individuando con attenzione i bisogni prioritari, valorizzando le risorse a disposizione e
le opportunità di collaborazione provenienti dalla rete di servizi pubblici e privati presenti nel
territorio.
A seguire, solo alcune delle iniziative possibili che, nell'esperienza concreta degli Osservatori,
si sono dimostrate particolarmente efficaci per la loro capacità di raggiungere gli obiettivi
predefiniti:
Creare e aggiornare la mappa dei servizi pubblici e privati esistenti sul territorio diocesano.
Analizzare i fenomeni, determinarne la rilevanza, le cause e le possibili soluzioni.
Fornire strumenti di conoscenza delle risorse e di valutazione sulla qualità dei servizi in
rapporto alle caratteristiche dei bisogni.
Fornire il quadro della legislazione sociale esistente (leggi nazionali e regionali, delibere
comunali, ecc.) e di quella in fase di elaborazione.
Conoscere il territorio di riferimento, dal punto di vista sociale, economico, culturale,
demografico, ecc.
Documentare l'attività di ricerca.
Collegare in rete le diverse realtà ecclesiali impegnate nei servizi alla persona e nella
testimonianza della carità.
Favorire il coinvolgimento delle istituzioni pubbliche, prima, durante e dopo l'attività di
osservazione.
Inserire all'interno del gruppo di lavoro dell'Osservatorio persone che siano rappresentative
della comunità locale ma soprattutto disponibili a crescere.2
2
“MANUALE OSSERVATORIO POVERTA’ E RISORSE” – Caritas Italiana, 1995.
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“Centro di Ascolto” (C.d.A.)
1)
Identità e finalità
Il Centro di Ascolto è:
- uno strumento pastorale della Caritas, espressione della comunità cristiana, attraverso il
quale, essa vive la dimensione di ascolto e di testimonianza della Carità, luogo privilegiato dove si
intessono le relazioni;
- un punto di riferimento per le persone in difficoltà, dove possono trovare qualcuno che le
accoglie, le ascolta, le orienta e le accompagna nella loro realtà esistenziale e nella ricerca di
soluzioni ai propri problemi;
- un punto di osservazione privilegiato. E’ una sorta di “antenna”, di “sentinella attenta”, in
grado di recepire, intercettare, individuare, spesso prima di altre forme di servizio, l’emergere dei
nuovi bisogni o di nuove povertà, nonché l’evolversi delle situazioni, aiutando la comunità a
conoscere la propria realtà locale.
L’obiettivo prioritario di un C.d,A. nella costruzione di una relazione, è quello di accogliere
il bisogno dell’altro, sostenere la persona, valorizzandone le risorse ed agevolandone le possibilità
di esprimerle, nella ricerca di risposte ai suoi problemi e di significati alla sua sofferenza.
Il C.d.A. è chiamato a stare accanto, a farsi “terzo” fra chi chiede aiuto e le risorse, anche
attraverso il sostegno della comunità. In questi suoi compiti di orientamento e accompagnamento, è
necessariamente chiamato ad interagire con le realtà esterne.
Inoltre, un C.d.A. non si “autodelega” la soluzione dei problemi, non si sostituisce a chi di
competenza, ma compie un’azione di sostegno, cosciente che la persona in difficoltà sperimenta una
situazione di vuoto relazionale e, spesso, non è pienamente consapevole del proprio bisogno, dei
propri diritti e delle possibilità di affrontare i propri problemi. Maggiore difficoltà può essere
rappresentata dalla individuazione delle modalità più efficaci, per farsi ascoltare da chi non arriva
spontaneamente al Centro di ascolto. Il C.d.A. non può e non vuole essere l’unico interlocutore per
le situazioni di povertà che sono presenti sul territorio, tuttavia, deve prendere atto che molte
situazioni di disagio che potrebbero afferirvi, non arrivano.
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Suo compito è anche quello di comprendere quali possano essere gli impedimenti: barriere
fisiche, psicologiche e culturali, pudore, timore che si renda nota una propria problematica, enorme
difficoltà nell’adattarsi ad una nuova condizione esistenziale, indotta da un recente tracollo
economico o lavorativo e quindi la difficoltà nel chiedere aiuto. In questo senso, può essere utile
sperimentare strumenti di comunicazione, che facilitino l’accesso: attivare una segreteria telefonica
a cui poter affidare un messaggio, certi di essere richiamati, predisporre una cassetta per segnalare
necessità a cui far seguire un contatto, diffondere semplici questionari per registrare eventuali
richieste di aiuto e segnalare contestualmente dei riferimenti…
Il C.d.A. non va inteso necessariamente o esclusivamente, come un posto fisico ben preciso
(es. una stanza della parrocchia), ma l’ascolto può essere fatto in uno qualunque dei luoghi di vita
sociale degli operatori, oppure nel domicilio della persona. Inoltre il C.d.A. deve essere espressione
della comunità: la comunità cristiana ed il centro di ascolto devono imparare ad interagire, a
maturare e convertirsi insieme. Ciò che emerge dall’ascolto, deve diventare oggetto di riflessione
pastorale all’interno della comunità.
In tal senso è bene prevedere incontri periodici, nei quali il C.d.A. illustri i propri casi alla
comunità, in forma evidentemente anonima, la sensibilizzi sulle situazioni di disagio presenti nel
proprio territorio, per renderla più consapevole e, in un’ottica di corresponsabilità, la coinvolga
nella ricerca di possibili soluzioni. E’ più facile ottenere un contributo economico, quando si sa, per
esempio, che può essere utile a salvare la vita di una persona. Infine, può essere l’occasione per
individuare delle disponibilità professionali o di semplice volontariato.
2) Struttura organizzativa
A)
Individuazione di una sede
B)
Selezione degli operatori e percorso formativo
C)
Definizione dei ruoli e delle mansioni degli operatori
D)
Progetto operativo
E)
Strumenti operativi
F)
Attività di Ascolto e “presa in carico”
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A) Individuazione di una sede
E’ fondamentale reperire, all’interno della struttura parrocchiale, un locale ove sia possibile
condurre l’ascolto in maniera tranquilla, dotarsi di un arredo semplice, essenziale, che preveda un
armadietto, ove conservare le “schede utente” e le cui chiavi siano di esclusiva pertinenza di un
responsabile, trattandosi di “dati sensibili”.
B) Selezione degli operatori
E’ bene che l’operatore pastorale che svolge il proprio servizio nel CdA, abbia un “mandato”
esplicito della comunità che sia riconoscibile e condiviso. La scelta degli operatori spetta al Parroco,
attraverso colloqui mirati ad evidenziarne le motivazioni, le capacità e l’impegno da assumere.
Ne indicherà: generalità, ruolo, e-mail, telefono, in un’apposita scheda personale e li proporrà per
l’avvio del percorso formativo di base per operatori Caritas, organizzato annualmente dalla Caritas
Diocesana.
C) Definizione dei ruoli e delle mansioni degli operatori
Completato il corso, verranno definiti i ruoli degli operatori sulla base delle competenze, delle
attitudini e delle disponibilità di tempo. Verranno nominati:
- un referente del C.d.A., responsabile della programmazione e dell’assetto organizzativo del
centro, della riconduzione ad unità del lavoro svolto, del coordinamento degli incontri di
programmazione e di verifica, della cura del rapporto con la Caritas Diocesana e con i servizi
pubblici,
- un responsabile della segreteria che mantiene i contatti con l’esterno,
- un responsabile economico (es. gestione forme di autofinanziamento) in assenza della
Caritas parrocchiale. Si concorderanno, quindi, i tempi di apertura del C.d.A., esponendo i giorni e
gli orari. In merito ai ruoli, è possibile delineare tre funzioni specifiche all’interno di un C.d.A.:
a) i colloqui, caratterizzati da: accoglienza, ascolto, orientamento e presa in carico dell’assistito,
b) i servizi di prossimità, consistenti in forme di “accompagnamento della persona”, che fanno
parte del progetto di “uscita del bisogno”: compilazione moduli invalidità, visite specialistiche,
legali, forme di assistenza, etc.,
c) attività di segreteria e di economato,
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d) attività di supporto alla Caritas Parrocchiale: mappatura delle risorse, documentazione,
attività promozionali sul territorio, etc.
D) Progetto operativo per la costituzione del C.d.A
Il progetto operativo, è un documento che fornisce le linee, cui devono attenersi i membri del
Centro di Ascolto, per poter agire con unità di finalità e d’intenti. Va periodicamente aggiornato ed
integrato sulla base dell’evolversi delle situazioni concrete con cui il centro verrà in contatto e delle
dinamiche socio-culturali complessive. Per quanto superfluo, è bene ribadire che l’intero progetto
costitutivo del C.d.A, deve essere avallato dal Parroco, quale naturale presidente della Caritas
parrocchiale.
Punti fondamentali:
a) Analisi dello scenario socio culturale e pastorale in cui il Centro di Ascolto s’inserisce.
b) Identità, motivazioni, obiettivi e funzioni
c) Metodo di lavoro
a) Analisi dello scenario socio culturale e pastorale. Quando si intende avviare un C.d.A., è
bene che il primo passo sia quello di definire il contesto sociale, entro cui è chiamato a svolgere il
proprio servizio. Conoscere le caratteristiche sociodemografiche del proprio territorio, consente di
rafforzare non solo il legame con il proprio territorio di appartenenza, ma anche di orientare al
meglio le strategie di intervento (es. razionalizzare gli sforzi verso zone popolari, ove è
maggiormente concentrata l’area del disagio sociale). Inoltre, è bene integrare tale analisi con la
ricerca di realtà associative o di aggregazione in esso operanti, oltre che l’individuazione di soggetti
significativi nell’azione sociale, es. i medici di base, le farmacie, etc., per contribuire alla
costruzione di quelle reti di solidarietà, utilissime nell’aiuto alle famiglie bisognose.
b) Identità, motivazioni, obiettivi e funzioni. Il secondo passo, è di individuare in modo
sintetico, quelli che possono essere gli obiettivi che si pone un C.d.A. entro un certo lasso di tempo:
attività di ascolto, autofinanziamento, promozione sul territorio, costruzione di sinergie operative
con le altre realtà parrocchiali e con la propria comunità, etc.. E’ importante fare in modo che gli
obiettivi siano chiari, realistici e soprattutto verificabili periodicamente, per apportare eventuali
correzioni in corso d’opera. Sarebbe auspicabile far precedere questa parte, da riferimenti
all’identità del C.d.A. ed alle motivazioni che sostengono l’impegno degli operatori.
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c) Metodo di lavoro. L’ultimo aspetto, infine, riguarda l’adozione di una adeguata
metodologia di lavoro, che tenga conto dello stile Caritas, nella cura dell’organizzazione di una
segreteria o della gestione dell’ascolto o delle varie attività poste in essere, nell’attenzione che si
pone nella compilazione ed archiviazione delle “schede utenti”, nei rapporti con l’esterno e nelle
modalità di conduzione degli incontri di gruppo.
E) Strumenti operativi CdA.
A seguire, gli strumenti caratterizzanti l’attività di un C.d.A.:
a) Collaboratori esterni: mettono a disposizione competenze professionali (medici, avvocati,
psicologi, consulenti del lavoro, assistenti sociali…).
b) Documentazione: conoscenza della legislazione in materia socio-assistenziale a livello
nazionale e regionale. Raccolta di normative locali: delibere comunali, regolamenti...
c) Schedario: “schede utenti” / “schede operatori”.
d) Verifiche: modalità operative, alle quali partecipa tutta l’equipe, per fare il punto
sull’andamento delle attività.
e) Lavoro di rete: conoscere il territorio, le risorse, le competenze e le modalità con cui i
servizi operano, stabilire delle modalità istituzionali di collaborazione (convenzioni...),
curare i rapporti con gli altri soggetti presenti sul territorio (parrocchie, famiglie, scuole,
associazioni, gruppi...), coordinare, sensibilizzare, promuovere.
f) Mappatura delle risorse: consiste in un elenco/schedario di tutte le risorse pubbliche e
private. Di ciascuna risorsa è necessario conoscere:
 denominazione, indirizzo, numero telefonico,
 tipologia del servizio offerto,
 nome del responsabile,
 orari e modalità di accesso,
 note con particolari informazioni.
F) Attività di ascolto e “presa in carico” della persona in condizioni di bisogno:
progetto personalizzato di “uscita dal bisogno”.
Il Progetto di “uscita dal bisogno”, rappresenta il fulcro dell’attività di un Centro di Ascolto.
Esso varia inevitabilmente da soggetto a soggetto, sulla base delle informazioni raccolte nella
“scheda utente”, in merito alle problematiche esposte dalla persona.
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Prendere in carico significa, formulare un progetto personalizzato con la persona che,
partendo dalla sua situazione reale, la aiuti ad acquisire consapevolezza, a ritrovare fiducia in se
stessa e negli altri, a stabilire relazioni costruttive. Prevede la comprensione delle cause che hanno
determinato il disagio, l’accertamento degli sforzi compiuti dall’utente per risolvere il problema, la
valutazione delle risorse disponibili (formali e informali, della persona, della comunità e del
territorio...), la definizione di obiettivi realistici, graduali e verificabili, nonché, l’individuazione di
strategie e modalità per affrontare il problema.
Vanno sollecitate, altresì, forme di responsabilizzazione e di coinvolgimento della stessa
persona e dei propri familiari, nella ricerca di soluzioni condivise, per evitare la tentazione della
delega, molto comune tra parenti vicini o lontani e mettere in moto le loro capacità, per agevolare
un cambiamento reale delle loro abitudini di vita. Come è noto, è opportuno che il colloquio venga
condotto in coppia, in maniera tale che, l’attenzione dell’operatore, resti concentrata sui contenuti
riferiti dalla persona, mentre l’altro operatore prende appunti (va evitato l’approccio tipo “sportello
ufficio pubblico”).
E’ bene evitare di dare soldi, di trattenere bollette da pagare o di fornire soluzioni immediate
non meditate, a meno di situazioni accertate di bisogno non differibile (nell’esperienza della totalità
dei CdA, già operativi, sono una minoranza). Alla fine del colloquio, gli operatori congedano
l’utente, dopo avergli fatto firmare la liberatoria sulla privacy, fissando un successivo appuntamento
(a breve), per concordare le azioni successive.
Prendere tempo ha una doppia finalità. In primo luogo consente la definizione meditata, da
parte degli operatori, di un piano di intervento che tenga conto, scheda alla mano, delle priorità
dell’assistito e delle possibili risposte, in virtù delle risorse disponibili del CdA o dell’Osservatorio
Diocesano. In secondo luogo, ha l’intento di scoraggiare forme di puro assistenzialismo, di quanti
ritengono la Caritas una sorta di “discount del bisogno”, chiamata ad accontentare in tutto, tutti e
subito. 3
3
La relazione è liberamente tratta da “ I CORSI DI FORMAZIONE PER EQUIPE” di Caritas Italiana, 2007-2011, “LINEE GUIDA
CENTRI DI ASCOLTO” di Caritas Italiana, “IL CENTRO DI ASCOLTO” di Rosaria Arioldi, Alessandra Tufigno, Caritas
ambrosiana 2003.
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COSTITUZIONE DEL “CENTRO DI ASCOLTO DIOCESANO”
PROCEDURA DI LAVORO
Proponiamo un esempio di costituzione di un Centro di Ascolto, nella fattispecie il CdA
diocesano, pur tenendo conto delle peculiarità che gli sono proprie, non essendo collegato ad una
parrocchia, né ad un territorio limitato e circoscritto.
In data odierna, addì 20 febbraio 2013, si riunisce il gruppo di operatori afferenti al CdA
diocesano, presso la parrocchia Madonna del Carmine alle ore 18.15. Sono presenti
“operatori CdA”: Annamaria Quici, Pasquale Melluso, Adriana Iannone, Rosa Zitiello, Mattia
Manna dei “servizi di prossimità: Annamaria Fontana, Annamaria Antonucci, Nicola Picazio, e
gli “operatori diocesani”: Franco Porzio (responsabile O.P.R.), Mimmo Iannascoli (vicedirettore
Caritas).
Significato dell’incontro: lo scopo della riunione è la costituzione del “Centro di Ascolto
Diocesano”. Verrà seguita una metodologia che prevede un lavoro condiviso, finalizzato a creare
una struttura organizzativa, al servizio di persone e famiglie in condizioni di bisogno. Alla base, la
volontà di creare un gruppo coeso, che sappia valorizzare le potenzialità ed i talenti di ognuno e li
faccia sentire, parte attiva di un progetto comune.
Metodologia nella conduzione dell’incontro: abbiamo scomposto il progetto in
sottocategorie (identità e motivazioni, funzioni, organizzazione e strumenti), invitando ciascuno ad
esprimersi liberamente su ciascuna di esse. Abbiamo operato una sintesi, che includesse le
osservazioni di tutti, prima di passare al tema successivo.
Si sono raccomandati, fin dall’inizio, interventi sintetici e mirati sull’argomento in questione,
per dare a tutti la possibilità di intervenire.
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ATTO COSTITUTIVO “CENTRO DI ASCOLTO DIOCESANO”
Premessa. Il “Centro di Ascolto Diocesano” è uno strumento, creato dalla Caritas Diocesana
di Caserta, per incontrare e aiutare le persone che vivono situazioni di disagio. Il C.d.A. diocesano
svolge un servizio nei confronti di utenti provenienti da parrocchie, allo stato, non dotate di un
C.d.A., oppure di supplenza provvisoria, per quelle in via di attivazione. Per quei casi che
afferiscono da parrocchie dotate di CdA operativi, sarà premura dell’operatore del C.d.A.
diocesano, contattare il referente del C.d.A. di provenienza, per affidargli la “presa in carico”
dell’utente.
Il C.d.A. diocesano potrà avvalersi del servizio prestato dal “banco alimentare” diocesano e
dell’ “Osservatorio delle Povertà e delle Risorse” (O.P.R.), per quanto attiene le risorse formali ed
informali.
1) MOTIVAZIONI INDIVIDUALI
La Carità è amore, motore di trasformazione capace di cambiare la mentalità di ognuno nel
senso della donazione di sé all’altro. “Abbiamo accumulato un debito nei confronti del Padre”, che
dobbiamo mettere a disposizione di chi è meno fortunato, quindi essere fecondi, essere una famiglia
tra le famiglie. Condivisa da tutti, l’esigenza di sentirsi una comunità, che sappia rendersi prossima
a chi è in condizioni di disagio e ne valorizzi le potenzialità, promuovendone il riscatto sociale.
La frase emblematica più ricorrente emersa dal giro di riflessioni che sintetizza questo step è:
“gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date”.
2) FUNZIONI DEL C.d.A. DIOCESANO
A) Modalità di ascolto: deve essere improntata all’accoglienza, assumendo un
atteggiamento anche posturale, che sappia trasmettere calma e rilassatezza. In questo modo è
possibile mettere l’altro a proprio agio, allentandone resistenze e diffidenze. Stabilendo un rapporto
empatico, si dimostra che noi ci siamo, siamo pronti a condividere il peso delle sue sofferenze, in
due il fardello diventa più lieve. Per questo è importante fare spazio dentro di sé, dare il tempo
all’altro di esprimere i suoi bisogni in un rapporto paritario e soprattutto renderlo corresponsabile
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nella ricerca delle soluzioni, fino ad intuirne le potenzialità inespresse e guidarlo nella loro
realizzazione. Inoltre esercitare l’osservazione, scrutare i comportamenti dell’altro, può fornire
strumenti per conoscere meglio il nostro interlocutore.
Nello stesso tempo, è fondamentale saper conservare le distanze tra il “Se” e “l’altro”,
evitando di lasciarsi coinvolgere, fino ad esserne travolti. Per tale ragione può essere utile fermarsi
ogni tanto, concedendosi il tempo di comprendere ciò che sta accadendo dentro se stessi e nella
relazione con l’altro, quale sia l’impatto emotivo.
Le frasi emblematiche scelte in questo step, dopo il giro di interventi, sono state: “dare voce
a chi non ha voce” e “patire insieme” (com-patire).
B) Orientamento: Viene interpretato sia in termini di spiritualità, in grado di dare conforto
nelle condizioni di solitudini, sia come guida, nell’indirizzare verso possibili soluzioni, presso i
servizi istituzionali, nella ricerca del lavoro e dell’abitazione o più semplicemente orientare l’altro
nella complessità del suo disagio, per meglio definire le priorità. In una frase “orientare per
restituire speranza”. Quale premessa, viene sollevata da qualcuno, la necessità di orientare prima se
stessi, nella “giungla” delle proprie insicurezze, dei propri limiti, delle proprie paure, prima di poter
orientare gli altri.
Per questo, le frasi scelte in questa fase analitica sono: “orientarsi per orientare” per poi
“incontrarsi per confrontarsi”.
C) Presa in carico: riguarda l’elaborazione del progetto di “uscita dal bisogno”, che viene
effettuata dai due operatori che guidano il colloquio con l’utente. Senza ipotizzare soluzioni
immediate o interventi tempestivi (a meno che non vi siano effettive situazioni di emergenza), gli
operatori si confrontano alla fine del colloquio, sui dati raccolti e definiscono una gradazione di
priorità, riconvocando l’assistito per un secondo incontro e studiando insieme le soluzioni possibili,
in termini di corresponsabilità, ad es. nella compartecipazione al pagamento di utenze. Si
attiveranno, nel contempo, i servizi di prossimità.
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3) ORGANIZZAZIONE
A) Logistica. Dal mese di marzo il C.d.A. Diocesano, avrà la propria sede, presso la Caritas
Diocesana, nei locali della Chiesa di Montevergine, sita in Via San Carlino 5.
B) Calendarizzazione. Si ipotizzano due turni di ascolto al mattino, condotti da due
operatori: il martedì mattina (10.00 - 12.00), giovedì pomeriggio (16-18) e sabato (10.00 - 12.00).
C) Risorse umane (“ascolto” e “prossimità”)
- Nomina del Coordinatore (funzione). Si confrontano, nel giro di discussione, le rispettive
posizioni su quelle che dovrebbero essere le caratteristiche, che devono contraddistinguere la figura
del coordinatore, prima di procedere alla scelta: persona di esperienza nella capacità di ascolto e di
coordinamento del gruppo, dotato di pazienza e buone attitudini nella mediazione dei conflitti,
nonché provvisto di sufficiente autorevolezza.
- Componenti del Gruppo di ascolto. E’ costituito, al momento, da sette unità: Mattia
Manna, Annamaria Quici, Pasquale Melluso, Adele Amelio, Adriana Iannone, Maddalena Esposito
e Rosa Zitiello.
- Servizi di prossimità. Sono rappresentati, allo stato, da tre operatori: Annamaria Fontana,
Annamaria Antonucci, Nicola Picazio. Il loro ruolo sarà quello rendersi disponibile nella fase di
accompagnamento degli utenti. A loro discrezione, potranno presenziare agli incontri di verifica
collegiali.
4) STRUMENTI
A) Operativi:
- Postazione computer, - Scheda utente, - Armadio per la custodia dei dati riservati,
- Registro quotidiano, ove vengono riportati gli operatori presenti, il numero dei casi del
giorno, eventuali annotazioni.
B) Verifica attività e cadenza temporale:
a) Verifica progetto utente: - numero di schede compilate, - casi totalmente risolti - casi
parzialmente risolti, - numero di schede casi irrisolti, - rifiuti all’ascolto.
b) Funzionamento Centro: - Problematiche emerse nella gestione del centro e nel rapporto
con gli assistiti: analisi punti di forza e criticità, - Discussione dei casi critici.
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c)
Dinamiche di gruppo: - Problematiche relative alla coesione ed all’armonia all’interno
del gruppo.
Tali incontri di verifica avranno cadenza mensile, eccetto la discussione dei casi più
complessi che potrebbero richiedere una cadenza bisettimanale.
Gli operatori: Mattia Manna, Annamaria Quici, Pasquale Melluso, Adele Amelio, Adriana
Iannone, Maddalena Esposito e Rosa Zitiello, e gli operatori servizi di prossimità Annamaria
Fontana, Annamaria Antonucci, Nicola Picazio.
P.S. Nell’incontro del 26/03, presenti gli operatori del CdA: Mattia Manna, Annamaria
Quici, Pasquale Melluso, Adele Amelio, Adriana Iannone, Rosa Zitiello, con la survisione di
Mimmo Iannascoli, assente per indisponibilità Maddalena Esposito, si delibera all’unanimità la
nomina a referente del CdA Mattia Manna e del vice referente Annamaria Quici.
Coordina e verbalizza, il vicedirettore Caritas Diocesana: Mimmo Iannascoli.
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