“Strumenti pastorali di Caritas Italiana” Alzatevi, andiamo! "Quando
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“Strumenti pastorali di Caritas Italiana” Alzatevi, andiamo! "Quando
1 “Strumenti pastorali di Caritas Italiana” Alzatevi, andiamo! "Quando giunse la "sua ora", Gesù disse a coloro che erano con Lui nell'orto del Getsemani, Pietro, Giacomo e Giovanni, i discepoli particolarmente amati: "Alzatevi, andiamo!". Non era Lui solo a dover "andare" verso l'adempimento della volontà del Padre, ma anch'essi con Lui. Anche se queste parole significano un tempo di prova, un grande sforzo e una croce dolorosa, non dobbiamo farci prendere dalla paura. Sono parole che portano con sé anche quella gioia e quella pace che sono frutto della fede. In un'altra circostanza, agli stessi tre discepoli Gesù precisò l'invito così: "Alzatevi e non temete!". L'amore di Dio non ci carica di pesi che non siamo in grado di portare, né ci pone esigenze a cui non sia possibile far fronte. Mentre chiede. Egli offre l'aiuto necessario. Parlo di questo da un luogo in cui mi ha condotto l'amore di Cristo Salvatore, chiedendomi di uscire dalla mia terra per portare frutto altrove con la sua grazia, un frutto destinato a rimanere. Facendo eco alle parole del nostro Maestro e Signore, ripeto perciò anch'io a ciascuno di voi: "Alzatevi, andiamo!". Andiamo fidandoci di Cristo. Sarà Lui ad accompagnarci nel cammino, fino alla meta che Lui solo conosce." Papa Giovanni Paolo II 2 1) IL LABORATORIO DI FORMAZIONE DELLA CARITA DIOCESANA Identità e metodologia di lavoro Il Laboratorio è lo strumento che Caritas Italiana propone (non impone!) alle Caritas diocesane. E’ composto da figure individuate per assumere la responsabilità dei processi di animazione: persone chiamate a promuovere e sensibilizzare lo spirito e lo stile Caritas (funzione pedagogica) nelle comunità parrocchiali, anche attraverso la formazione di operatori disponibili ad attivare i Centri di Ascolto, dotando loro degli strumenti didattici ed operativi necessari, nonché a far emergere, valorizzare ed attivare le realtà caritative esistenti. Il laboratorio opera attraverso la formazione, ma in un’accezione che ha poco a che fare con la pura trasmissione di “saperi” in aula. Non si tratta solo di elaborare idee e/o fornire informazioni, ma una formazione che, attraverso l’esperienza, l’incontro, la relazione, la ricerca, la verifica (elementi di ogni percorso educativo), attiva la soggettività delle persone, le mette in movimento. In altri termini, una formazione che anima, che produca un cambiamento nei singoli e che trasformi i loro contesti di riferimento, orientandoli nella conoscenza della realtà delle parrocchie, nella relazione con i parroci, nella motivazione degli animatori pastorali, accompagnando le comunità ad assumerlo e sperimentarlo a propria volta, nei confronti dei poveri, di se stessa, del territorio e del mondo. Il Laboratorio ricerca, dunque, un equilibrio costante, tra attività che si sviluppano all’interno del gruppo e quelle da realizzare sul territorio. Esso opera attraverso un approccio di tipo progettuale, poichè l’animazione è un processo educativo, fondato su intenzionalità, progettualità e gradualità. Infatti, non è sufficiente, sebbene necessario, agire, testimoniare, darsi da fare, non è spontaneo il moltiplicarsi di sensibilità, attenzioni, disponibilità e azioni. È necessario darsi obiettivi concreti, fissare tempi, stabilire risorse, organizzare azioni, programmare verifiche. Parlare di 3 laboratorio vuol dire riferirsi ad un metodo e ad uno stile di lavoro che faccia maturare “l’essere, il saper essere, il saper fare e il saper far fare”. In definitiva il Laboratorio, attraverso corsi di formazione per operatori Caritas, tende a promuovere: - la conoscenza dei fondamenti biblico-teologico-pastorali della carità, - l’approccio all’ascolto ed alla relazione con l’altro, specie con chi è in condizioni di bisogno, - la condivisione di valori e linguaggi, - la capacità di lavorare in gruppo, nonché la gestione di eventuali dinamiche conflittuali, - la lettura della realtà, all’interno del territorio parrocchiale di riferimento, - esperienze e competenze diverse, facendo della loro condivisione, una concreta opportunità di studio e sviluppo, - la individuazione di percorsi per raggiungere un fine stabilito, - la costruzione di proposte “su misura”, originali, spesso innovative, non “per tutti e nessuno”, ma rivolte a destinatari precisi, - la verifica e la rilettura di quanto realizzato per “imparare facendo”. 1 1 “CARITAS DIOCESANA E CHIESA, PERCORSI DI ANIMAZIONE DELLA COMUNITÀ CRISTIANA” – percorso Equipe Caritas Diocesana - II tappa, anno pastorale 2006/2007. 4 “Osservatorio delle Povertà e delle Risorse” (O.P.R.) Nella definizione contenuta nella nota pastorale "La Chiesa in Italia dopo Loreto" (1985), l'Osservatorio delle povertà è uno strumento a disposizione della Chiesa locale, per aiutare la comunità cristiana a rilevare sistematicamente le situazioni di povertà, di disagio ed emarginazione presenti sul territorio e le loro dinamiche di sviluppo, comunicando e rivolgendosi all'opinione pubblica e alla comunità ecclesiale, favorendo la messa in rete e il coinvolgimento dei diversi attori sociali impegnati sul territorio. L'Osservatorio deve inoltre verificare ed approfondire l'utilizzo delle risorse e stimolare eventuali proposte di intervento. Sulla base di questa definizione, il compito dell'Osservatorio è quello di studiare l'evoluzione dei bisogni e delle risorse, in modo qualificato e sistematico, prestando particolare attenzione alle dinamiche qualitative dei bisogni, delle povertà e delle risposte, che maturano all'interno della comunità cristiana e civile. La proposta culturale della Chiesa italiana è tanto più efficace, quanto più è qualificata e puntuale nella lettura dei fenomeni sociali, alla luce della prassi evangelica. In questo senso, l'Osservatorio si presenta come uno strumento privilegiato, per fornire alla comunità ecclesiale adeguati elementi di riflessione, per verificare il proprio modo di essere Chiesa, per valutare la propria presenza nel servizio ai poveri. Tuttavia, l'intuizione della Chiesa italiana, riguardo alla costituzione di un Osservatorio delle povertà, si presenta come un'indicazione di principio, cui la Chiesa locale deve dare concretezza di realizzazione. In altre parole, l'Osservatorio non nasce già ben formato in tutte le sue parti e non può essere considerato come uno strumento totalmente determinato e definitivo. L'Osservatorio, essendo uno strumento "storico", è anche uno strumento "relativo", non definibile inizialmente in tutti i suoi dettagli. Esso va pensato e adattato alle situazioni concrete, che variano a seconda delle caratteristiche e delle risorse delle diverse diocesi. Si tratta, quindi, di uno strumento duttile e agile, che va continuamente aggiornato, tenendo conto della propria collocazione nella comunità ecclesiale e civile. 5 E' importante sottolineare che l’Osservatorio delle povertà, non va confuso con altre realtà simili: centri studi, scuole di formazione, biblioteche, osservatori epidemiologici, ecc., che hanno come oggetto di interesse, aspetti diversi della realtà sociale, anche se è auspicabile che tra tali enti, vengano stabiliti collegamenti organici ed un costante confronto, necessario anche per le inevitabili interdipendenze tra fenomeni apparentemente distanti, che caratterizzano la società contemporanea. In quest'ottica, una delle funzioni dell'Osservatorio può essere quella di approfondire e chiarire tali collegamenti, evidenziando le sinergie esistenti tra i diversi fenomeni, con un'attenzione particolare e specifica ai poveri e alla loro condizione. La costruzione dell'Osservatorio delle Povertà è il frutto di un cammino condiviso da tutta la comunità ecclesiale locale. Per questo motivo, l'Osservatorio non dovrebbe rimanere confinato nell'ambito della Caritas Diocesana. L'Osservatorio non serve solamente a migliorare il servizio ai poveri a livello organizzativo, ma ha il compito di promuovere cultura e partecipazione, cambiare modalità e stili di vita all'interno della comunità ecclesiale e dell'opinione pubblica. Laddove si registra una crescente preoccupazione delle Chiese locali rivolta alla dimensione operativa, le informazioni fornite dall'Osservatorio, assieme ad altri dati utili provenienti da altri tipi di fonti informative, istituzionali e private, possono servire alla Chiesa locale per ripensare il proprio agire, per riflettere su sé stessa e dare un senso alla propria presenza sul territorio. Nelle varie fasi del lavoro dell'Osservatorio, uno degli scopi da perseguire è quello di coinvolgere la comunità ecclesiale e civile nel processo di ricerca sui problemi sociali e le loro soluzioni. In questo ambito, si dovrebbe favorire la messa in rete dei diversi attori impegnati sul territorio. Le strategie di azione dell'Osservatorio delle Povertà: Il complesso di decisioni e azioni che si ritengono necessarie per il raggiungimento di determinati obiettivi, viene definito nella letteratura specializzata come “strategia di azione”. 6 A livello operativo, la definizione delle strategie di azione consente di definire meglio il compito dell'Osservatorio e di identificare il modello progettuale, le azioni e le forme organizzative che si ritengono più adeguate, in riferimento al contesto sociale, ecclesiale e storico entro il quale si colloca l'Osservatorio stesso. E' necessario adattare le strategie di azione dell'Osservatorio alla realtà del territorio di riferimento, individuando con attenzione i bisogni prioritari, valorizzando le risorse a disposizione e le opportunità di collaborazione provenienti dalla rete di servizi pubblici e privati presenti nel territorio. A seguire, solo alcune delle iniziative possibili che, nell'esperienza concreta degli Osservatori, si sono dimostrate particolarmente efficaci per la loro capacità di raggiungere gli obiettivi predefiniti: Creare e aggiornare la mappa dei servizi pubblici e privati esistenti sul territorio diocesano. Analizzare i fenomeni, determinarne la rilevanza, le cause e le possibili soluzioni. Fornire strumenti di conoscenza delle risorse e di valutazione sulla qualità dei servizi in rapporto alle caratteristiche dei bisogni. Fornire il quadro della legislazione sociale esistente (leggi nazionali e regionali, delibere comunali, ecc.) e di quella in fase di elaborazione. Conoscere il territorio di riferimento, dal punto di vista sociale, economico, culturale, demografico, ecc. Documentare l'attività di ricerca. Collegare in rete le diverse realtà ecclesiali impegnate nei servizi alla persona e nella testimonianza della carità. Favorire il coinvolgimento delle istituzioni pubbliche, prima, durante e dopo l'attività di osservazione. Inserire all'interno del gruppo di lavoro dell'Osservatorio persone che siano rappresentative della comunità locale ma soprattutto disponibili a crescere.2 2 “MANUALE OSSERVATORIO POVERTA’ E RISORSE” – Caritas Italiana, 1995. 7 “Centro di Ascolto” (C.d.A.) 1) Identità e finalità Il Centro di Ascolto è: - uno strumento pastorale della Caritas, espressione della comunità cristiana, attraverso il quale, essa vive la dimensione di ascolto e di testimonianza della Carità, luogo privilegiato dove si intessono le relazioni; - un punto di riferimento per le persone in difficoltà, dove possono trovare qualcuno che le accoglie, le ascolta, le orienta e le accompagna nella loro realtà esistenziale e nella ricerca di soluzioni ai propri problemi; - un punto di osservazione privilegiato. E’ una sorta di “antenna”, di “sentinella attenta”, in grado di recepire, intercettare, individuare, spesso prima di altre forme di servizio, l’emergere dei nuovi bisogni o di nuove povertà, nonché l’evolversi delle situazioni, aiutando la comunità a conoscere la propria realtà locale. L’obiettivo prioritario di un C.d,A. nella costruzione di una relazione, è quello di accogliere il bisogno dell’altro, sostenere la persona, valorizzandone le risorse ed agevolandone le possibilità di esprimerle, nella ricerca di risposte ai suoi problemi e di significati alla sua sofferenza. Il C.d.A. è chiamato a stare accanto, a farsi “terzo” fra chi chiede aiuto e le risorse, anche attraverso il sostegno della comunità. In questi suoi compiti di orientamento e accompagnamento, è necessariamente chiamato ad interagire con le realtà esterne. Inoltre, un C.d.A. non si “autodelega” la soluzione dei problemi, non si sostituisce a chi di competenza, ma compie un’azione di sostegno, cosciente che la persona in difficoltà sperimenta una situazione di vuoto relazionale e, spesso, non è pienamente consapevole del proprio bisogno, dei propri diritti e delle possibilità di affrontare i propri problemi. Maggiore difficoltà può essere rappresentata dalla individuazione delle modalità più efficaci, per farsi ascoltare da chi non arriva spontaneamente al Centro di ascolto. Il C.d.A. non può e non vuole essere l’unico interlocutore per le situazioni di povertà che sono presenti sul territorio, tuttavia, deve prendere atto che molte situazioni di disagio che potrebbero afferirvi, non arrivano. 8 Suo compito è anche quello di comprendere quali possano essere gli impedimenti: barriere fisiche, psicologiche e culturali, pudore, timore che si renda nota una propria problematica, enorme difficoltà nell’adattarsi ad una nuova condizione esistenziale, indotta da un recente tracollo economico o lavorativo e quindi la difficoltà nel chiedere aiuto. In questo senso, può essere utile sperimentare strumenti di comunicazione, che facilitino l’accesso: attivare una segreteria telefonica a cui poter affidare un messaggio, certi di essere richiamati, predisporre una cassetta per segnalare necessità a cui far seguire un contatto, diffondere semplici questionari per registrare eventuali richieste di aiuto e segnalare contestualmente dei riferimenti… Il C.d.A. non va inteso necessariamente o esclusivamente, come un posto fisico ben preciso (es. una stanza della parrocchia), ma l’ascolto può essere fatto in uno qualunque dei luoghi di vita sociale degli operatori, oppure nel domicilio della persona. Inoltre il C.d.A. deve essere espressione della comunità: la comunità cristiana ed il centro di ascolto devono imparare ad interagire, a maturare e convertirsi insieme. Ciò che emerge dall’ascolto, deve diventare oggetto di riflessione pastorale all’interno della comunità. In tal senso è bene prevedere incontri periodici, nei quali il C.d.A. illustri i propri casi alla comunità, in forma evidentemente anonima, la sensibilizzi sulle situazioni di disagio presenti nel proprio territorio, per renderla più consapevole e, in un’ottica di corresponsabilità, la coinvolga nella ricerca di possibili soluzioni. E’ più facile ottenere un contributo economico, quando si sa, per esempio, che può essere utile a salvare la vita di una persona. Infine, può essere l’occasione per individuare delle disponibilità professionali o di semplice volontariato. 2) Struttura organizzativa A) Individuazione di una sede B) Selezione degli operatori e percorso formativo C) Definizione dei ruoli e delle mansioni degli operatori D) Progetto operativo E) Strumenti operativi F) Attività di Ascolto e “presa in carico” 9 A) Individuazione di una sede E’ fondamentale reperire, all’interno della struttura parrocchiale, un locale ove sia possibile condurre l’ascolto in maniera tranquilla, dotarsi di un arredo semplice, essenziale, che preveda un armadietto, ove conservare le “schede utente” e le cui chiavi siano di esclusiva pertinenza di un responsabile, trattandosi di “dati sensibili”. B) Selezione degli operatori E’ bene che l’operatore pastorale che svolge il proprio servizio nel CdA, abbia un “mandato” esplicito della comunità che sia riconoscibile e condiviso. La scelta degli operatori spetta al Parroco, attraverso colloqui mirati ad evidenziarne le motivazioni, le capacità e l’impegno da assumere. Ne indicherà: generalità, ruolo, e-mail, telefono, in un’apposita scheda personale e li proporrà per l’avvio del percorso formativo di base per operatori Caritas, organizzato annualmente dalla Caritas Diocesana. C) Definizione dei ruoli e delle mansioni degli operatori Completato il corso, verranno definiti i ruoli degli operatori sulla base delle competenze, delle attitudini e delle disponibilità di tempo. Verranno nominati: - un referente del C.d.A., responsabile della programmazione e dell’assetto organizzativo del centro, della riconduzione ad unità del lavoro svolto, del coordinamento degli incontri di programmazione e di verifica, della cura del rapporto con la Caritas Diocesana e con i servizi pubblici, - un responsabile della segreteria che mantiene i contatti con l’esterno, - un responsabile economico (es. gestione forme di autofinanziamento) in assenza della Caritas parrocchiale. Si concorderanno, quindi, i tempi di apertura del C.d.A., esponendo i giorni e gli orari. In merito ai ruoli, è possibile delineare tre funzioni specifiche all’interno di un C.d.A.: a) i colloqui, caratterizzati da: accoglienza, ascolto, orientamento e presa in carico dell’assistito, b) i servizi di prossimità, consistenti in forme di “accompagnamento della persona”, che fanno parte del progetto di “uscita del bisogno”: compilazione moduli invalidità, visite specialistiche, legali, forme di assistenza, etc., c) attività di segreteria e di economato, 10 d) attività di supporto alla Caritas Parrocchiale: mappatura delle risorse, documentazione, attività promozionali sul territorio, etc. D) Progetto operativo per la costituzione del C.d.A Il progetto operativo, è un documento che fornisce le linee, cui devono attenersi i membri del Centro di Ascolto, per poter agire con unità di finalità e d’intenti. Va periodicamente aggiornato ed integrato sulla base dell’evolversi delle situazioni concrete con cui il centro verrà in contatto e delle dinamiche socio-culturali complessive. Per quanto superfluo, è bene ribadire che l’intero progetto costitutivo del C.d.A, deve essere avallato dal Parroco, quale naturale presidente della Caritas parrocchiale. Punti fondamentali: a) Analisi dello scenario socio culturale e pastorale in cui il Centro di Ascolto s’inserisce. b) Identità, motivazioni, obiettivi e funzioni c) Metodo di lavoro a) Analisi dello scenario socio culturale e pastorale. Quando si intende avviare un C.d.A., è bene che il primo passo sia quello di definire il contesto sociale, entro cui è chiamato a svolgere il proprio servizio. Conoscere le caratteristiche sociodemografiche del proprio territorio, consente di rafforzare non solo il legame con il proprio territorio di appartenenza, ma anche di orientare al meglio le strategie di intervento (es. razionalizzare gli sforzi verso zone popolari, ove è maggiormente concentrata l’area del disagio sociale). Inoltre, è bene integrare tale analisi con la ricerca di realtà associative o di aggregazione in esso operanti, oltre che l’individuazione di soggetti significativi nell’azione sociale, es. i medici di base, le farmacie, etc., per contribuire alla costruzione di quelle reti di solidarietà, utilissime nell’aiuto alle famiglie bisognose. b) Identità, motivazioni, obiettivi e funzioni. Il secondo passo, è di individuare in modo sintetico, quelli che possono essere gli obiettivi che si pone un C.d.A. entro un certo lasso di tempo: attività di ascolto, autofinanziamento, promozione sul territorio, costruzione di sinergie operative con le altre realtà parrocchiali e con la propria comunità, etc.. E’ importante fare in modo che gli obiettivi siano chiari, realistici e soprattutto verificabili periodicamente, per apportare eventuali correzioni in corso d’opera. Sarebbe auspicabile far precedere questa parte, da riferimenti all’identità del C.d.A. ed alle motivazioni che sostengono l’impegno degli operatori. 11 c) Metodo di lavoro. L’ultimo aspetto, infine, riguarda l’adozione di una adeguata metodologia di lavoro, che tenga conto dello stile Caritas, nella cura dell’organizzazione di una segreteria o della gestione dell’ascolto o delle varie attività poste in essere, nell’attenzione che si pone nella compilazione ed archiviazione delle “schede utenti”, nei rapporti con l’esterno e nelle modalità di conduzione degli incontri di gruppo. E) Strumenti operativi CdA. A seguire, gli strumenti caratterizzanti l’attività di un C.d.A.: a) Collaboratori esterni: mettono a disposizione competenze professionali (medici, avvocati, psicologi, consulenti del lavoro, assistenti sociali…). b) Documentazione: conoscenza della legislazione in materia socio-assistenziale a livello nazionale e regionale. Raccolta di normative locali: delibere comunali, regolamenti... c) Schedario: “schede utenti” / “schede operatori”. d) Verifiche: modalità operative, alle quali partecipa tutta l’equipe, per fare il punto sull’andamento delle attività. e) Lavoro di rete: conoscere il territorio, le risorse, le competenze e le modalità con cui i servizi operano, stabilire delle modalità istituzionali di collaborazione (convenzioni...), curare i rapporti con gli altri soggetti presenti sul territorio (parrocchie, famiglie, scuole, associazioni, gruppi...), coordinare, sensibilizzare, promuovere. f) Mappatura delle risorse: consiste in un elenco/schedario di tutte le risorse pubbliche e private. Di ciascuna risorsa è necessario conoscere: denominazione, indirizzo, numero telefonico, tipologia del servizio offerto, nome del responsabile, orari e modalità di accesso, note con particolari informazioni. F) Attività di ascolto e “presa in carico” della persona in condizioni di bisogno: progetto personalizzato di “uscita dal bisogno”. Il Progetto di “uscita dal bisogno”, rappresenta il fulcro dell’attività di un Centro di Ascolto. Esso varia inevitabilmente da soggetto a soggetto, sulla base delle informazioni raccolte nella “scheda utente”, in merito alle problematiche esposte dalla persona. 12 Prendere in carico significa, formulare un progetto personalizzato con la persona che, partendo dalla sua situazione reale, la aiuti ad acquisire consapevolezza, a ritrovare fiducia in se stessa e negli altri, a stabilire relazioni costruttive. Prevede la comprensione delle cause che hanno determinato il disagio, l’accertamento degli sforzi compiuti dall’utente per risolvere il problema, la valutazione delle risorse disponibili (formali e informali, della persona, della comunità e del territorio...), la definizione di obiettivi realistici, graduali e verificabili, nonché, l’individuazione di strategie e modalità per affrontare il problema. Vanno sollecitate, altresì, forme di responsabilizzazione e di coinvolgimento della stessa persona e dei propri familiari, nella ricerca di soluzioni condivise, per evitare la tentazione della delega, molto comune tra parenti vicini o lontani e mettere in moto le loro capacità, per agevolare un cambiamento reale delle loro abitudini di vita. Come è noto, è opportuno che il colloquio venga condotto in coppia, in maniera tale che, l’attenzione dell’operatore, resti concentrata sui contenuti riferiti dalla persona, mentre l’altro operatore prende appunti (va evitato l’approccio tipo “sportello ufficio pubblico”). E’ bene evitare di dare soldi, di trattenere bollette da pagare o di fornire soluzioni immediate non meditate, a meno di situazioni accertate di bisogno non differibile (nell’esperienza della totalità dei CdA, già operativi, sono una minoranza). Alla fine del colloquio, gli operatori congedano l’utente, dopo avergli fatto firmare la liberatoria sulla privacy, fissando un successivo appuntamento (a breve), per concordare le azioni successive. Prendere tempo ha una doppia finalità. In primo luogo consente la definizione meditata, da parte degli operatori, di un piano di intervento che tenga conto, scheda alla mano, delle priorità dell’assistito e delle possibili risposte, in virtù delle risorse disponibili del CdA o dell’Osservatorio Diocesano. In secondo luogo, ha l’intento di scoraggiare forme di puro assistenzialismo, di quanti ritengono la Caritas una sorta di “discount del bisogno”, chiamata ad accontentare in tutto, tutti e subito. 3 3 La relazione è liberamente tratta da “ I CORSI DI FORMAZIONE PER EQUIPE” di Caritas Italiana, 2007-2011, “LINEE GUIDA CENTRI DI ASCOLTO” di Caritas Italiana, “IL CENTRO DI ASCOLTO” di Rosaria Arioldi, Alessandra Tufigno, Caritas ambrosiana 2003. 13 COSTITUZIONE DEL “CENTRO DI ASCOLTO DIOCESANO” PROCEDURA DI LAVORO Proponiamo un esempio di costituzione di un Centro di Ascolto, nella fattispecie il CdA diocesano, pur tenendo conto delle peculiarità che gli sono proprie, non essendo collegato ad una parrocchia, né ad un territorio limitato e circoscritto. In data odierna, addì 20 febbraio 2013, si riunisce il gruppo di operatori afferenti al CdA diocesano, presso la parrocchia Madonna del Carmine alle ore 18.15. Sono presenti “operatori CdA”: Annamaria Quici, Pasquale Melluso, Adriana Iannone, Rosa Zitiello, Mattia Manna dei “servizi di prossimità: Annamaria Fontana, Annamaria Antonucci, Nicola Picazio, e gli “operatori diocesani”: Franco Porzio (responsabile O.P.R.), Mimmo Iannascoli (vicedirettore Caritas). Significato dell’incontro: lo scopo della riunione è la costituzione del “Centro di Ascolto Diocesano”. Verrà seguita una metodologia che prevede un lavoro condiviso, finalizzato a creare una struttura organizzativa, al servizio di persone e famiglie in condizioni di bisogno. Alla base, la volontà di creare un gruppo coeso, che sappia valorizzare le potenzialità ed i talenti di ognuno e li faccia sentire, parte attiva di un progetto comune. Metodologia nella conduzione dell’incontro: abbiamo scomposto il progetto in sottocategorie (identità e motivazioni, funzioni, organizzazione e strumenti), invitando ciascuno ad esprimersi liberamente su ciascuna di esse. Abbiamo operato una sintesi, che includesse le osservazioni di tutti, prima di passare al tema successivo. Si sono raccomandati, fin dall’inizio, interventi sintetici e mirati sull’argomento in questione, per dare a tutti la possibilità di intervenire. 14 ATTO COSTITUTIVO “CENTRO DI ASCOLTO DIOCESANO” Premessa. Il “Centro di Ascolto Diocesano” è uno strumento, creato dalla Caritas Diocesana di Caserta, per incontrare e aiutare le persone che vivono situazioni di disagio. Il C.d.A. diocesano svolge un servizio nei confronti di utenti provenienti da parrocchie, allo stato, non dotate di un C.d.A., oppure di supplenza provvisoria, per quelle in via di attivazione. Per quei casi che afferiscono da parrocchie dotate di CdA operativi, sarà premura dell’operatore del C.d.A. diocesano, contattare il referente del C.d.A. di provenienza, per affidargli la “presa in carico” dell’utente. Il C.d.A. diocesano potrà avvalersi del servizio prestato dal “banco alimentare” diocesano e dell’ “Osservatorio delle Povertà e delle Risorse” (O.P.R.), per quanto attiene le risorse formali ed informali. 1) MOTIVAZIONI INDIVIDUALI La Carità è amore, motore di trasformazione capace di cambiare la mentalità di ognuno nel senso della donazione di sé all’altro. “Abbiamo accumulato un debito nei confronti del Padre”, che dobbiamo mettere a disposizione di chi è meno fortunato, quindi essere fecondi, essere una famiglia tra le famiglie. Condivisa da tutti, l’esigenza di sentirsi una comunità, che sappia rendersi prossima a chi è in condizioni di disagio e ne valorizzi le potenzialità, promuovendone il riscatto sociale. La frase emblematica più ricorrente emersa dal giro di riflessioni che sintetizza questo step è: “gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date”. 2) FUNZIONI DEL C.d.A. DIOCESANO A) Modalità di ascolto: deve essere improntata all’accoglienza, assumendo un atteggiamento anche posturale, che sappia trasmettere calma e rilassatezza. In questo modo è possibile mettere l’altro a proprio agio, allentandone resistenze e diffidenze. Stabilendo un rapporto empatico, si dimostra che noi ci siamo, siamo pronti a condividere il peso delle sue sofferenze, in due il fardello diventa più lieve. Per questo è importante fare spazio dentro di sé, dare il tempo all’altro di esprimere i suoi bisogni in un rapporto paritario e soprattutto renderlo corresponsabile 15 nella ricerca delle soluzioni, fino ad intuirne le potenzialità inespresse e guidarlo nella loro realizzazione. Inoltre esercitare l’osservazione, scrutare i comportamenti dell’altro, può fornire strumenti per conoscere meglio il nostro interlocutore. Nello stesso tempo, è fondamentale saper conservare le distanze tra il “Se” e “l’altro”, evitando di lasciarsi coinvolgere, fino ad esserne travolti. Per tale ragione può essere utile fermarsi ogni tanto, concedendosi il tempo di comprendere ciò che sta accadendo dentro se stessi e nella relazione con l’altro, quale sia l’impatto emotivo. Le frasi emblematiche scelte in questo step, dopo il giro di interventi, sono state: “dare voce a chi non ha voce” e “patire insieme” (com-patire). B) Orientamento: Viene interpretato sia in termini di spiritualità, in grado di dare conforto nelle condizioni di solitudini, sia come guida, nell’indirizzare verso possibili soluzioni, presso i servizi istituzionali, nella ricerca del lavoro e dell’abitazione o più semplicemente orientare l’altro nella complessità del suo disagio, per meglio definire le priorità. In una frase “orientare per restituire speranza”. Quale premessa, viene sollevata da qualcuno, la necessità di orientare prima se stessi, nella “giungla” delle proprie insicurezze, dei propri limiti, delle proprie paure, prima di poter orientare gli altri. Per questo, le frasi scelte in questa fase analitica sono: “orientarsi per orientare” per poi “incontrarsi per confrontarsi”. C) Presa in carico: riguarda l’elaborazione del progetto di “uscita dal bisogno”, che viene effettuata dai due operatori che guidano il colloquio con l’utente. Senza ipotizzare soluzioni immediate o interventi tempestivi (a meno che non vi siano effettive situazioni di emergenza), gli operatori si confrontano alla fine del colloquio, sui dati raccolti e definiscono una gradazione di priorità, riconvocando l’assistito per un secondo incontro e studiando insieme le soluzioni possibili, in termini di corresponsabilità, ad es. nella compartecipazione al pagamento di utenze. Si attiveranno, nel contempo, i servizi di prossimità. 16 3) ORGANIZZAZIONE A) Logistica. Dal mese di marzo il C.d.A. Diocesano, avrà la propria sede, presso la Caritas Diocesana, nei locali della Chiesa di Montevergine, sita in Via San Carlino 5. B) Calendarizzazione. Si ipotizzano due turni di ascolto al mattino, condotti da due operatori: il martedì mattina (10.00 - 12.00), giovedì pomeriggio (16-18) e sabato (10.00 - 12.00). C) Risorse umane (“ascolto” e “prossimità”) - Nomina del Coordinatore (funzione). Si confrontano, nel giro di discussione, le rispettive posizioni su quelle che dovrebbero essere le caratteristiche, che devono contraddistinguere la figura del coordinatore, prima di procedere alla scelta: persona di esperienza nella capacità di ascolto e di coordinamento del gruppo, dotato di pazienza e buone attitudini nella mediazione dei conflitti, nonché provvisto di sufficiente autorevolezza. - Componenti del Gruppo di ascolto. E’ costituito, al momento, da sette unità: Mattia Manna, Annamaria Quici, Pasquale Melluso, Adele Amelio, Adriana Iannone, Maddalena Esposito e Rosa Zitiello. - Servizi di prossimità. Sono rappresentati, allo stato, da tre operatori: Annamaria Fontana, Annamaria Antonucci, Nicola Picazio. Il loro ruolo sarà quello rendersi disponibile nella fase di accompagnamento degli utenti. A loro discrezione, potranno presenziare agli incontri di verifica collegiali. 4) STRUMENTI A) Operativi: - Postazione computer, - Scheda utente, - Armadio per la custodia dei dati riservati, - Registro quotidiano, ove vengono riportati gli operatori presenti, il numero dei casi del giorno, eventuali annotazioni. B) Verifica attività e cadenza temporale: a) Verifica progetto utente: - numero di schede compilate, - casi totalmente risolti - casi parzialmente risolti, - numero di schede casi irrisolti, - rifiuti all’ascolto. b) Funzionamento Centro: - Problematiche emerse nella gestione del centro e nel rapporto con gli assistiti: analisi punti di forza e criticità, - Discussione dei casi critici. 17 c) Dinamiche di gruppo: - Problematiche relative alla coesione ed all’armonia all’interno del gruppo. Tali incontri di verifica avranno cadenza mensile, eccetto la discussione dei casi più complessi che potrebbero richiedere una cadenza bisettimanale. Gli operatori: Mattia Manna, Annamaria Quici, Pasquale Melluso, Adele Amelio, Adriana Iannone, Maddalena Esposito e Rosa Zitiello, e gli operatori servizi di prossimità Annamaria Fontana, Annamaria Antonucci, Nicola Picazio. P.S. Nell’incontro del 26/03, presenti gli operatori del CdA: Mattia Manna, Annamaria Quici, Pasquale Melluso, Adele Amelio, Adriana Iannone, Rosa Zitiello, con la survisione di Mimmo Iannascoli, assente per indisponibilità Maddalena Esposito, si delibera all’unanimità la nomina a referente del CdA Mattia Manna e del vice referente Annamaria Quici. Coordina e verbalizza, il vicedirettore Caritas Diocesana: Mimmo Iannascoli.