Comments
Description
Transcript
Il terremoto del Friuli (1976)
STORIE DI PASSIONE CIVILE EMERGENCIES Il 6 maggio 1976, alle 21, una scossa del 6,4 della scala Richter colpì vaste zone del Friuli, tra le province di Udine e Pordenone; i comuni più colpiti furono Gemona, Venzone, Bordano, Artegna, Buia, Osoppo e Forgaria. Tenendo conto della seconda scossa distruttiva verificatasi il 15 settembre (6.1 scala Richter), in totale, i morti furono 993, e i senzatetto circa 80.000 !di Lorenzo Alessandrini L a scossa principale, la sera del 6 maggio, subito dopo cena, fu preceduta da un unico segno premonitore: una scossa più leggera, ma sempre nettamente avvertibile, del VI grado della scala Mercalli: tale preavviso si verificò un minuto prima della scossa disastrosa; questa arrivò alle 21 mentre una parte della popolazione aveva già abbandonato le proprie case. La massima energia distruttiva si liberò nella fase intermedia della scossa, durata circa un minuto, e ciò permise lo scampo a molti di quelli che non si erano allontanati dalle case con la prima scossa. In quel minuto interi paesi vennero distrutti; nella zona corrispondente all’epicentro, la pianura ai piedi di Gemona, più del 40% delle abitazioni crollò o fu danneggiata irreparabilmente. Più su, nella valle di Resia, nella parte inferiore del Canale di Ferro e nella zona pedemontana a Sud, andarono distrutte circa un quarto delle abitazioni. Nell’area più duramente colpita, su poco meno di 140.000 abitanti, si ebbero un migliaio di morti ed il doppio dei feriti. Poco meno di 60.000 persone restarono senza casa mentre venivano a mancare contemporaneamente tutti i servizi essenziali: l’acqua, l’energia elettrica, i telefoni e le comunicazioni. La zona colpita A differenza di quanto avviene in caso di bombardamenti bellici, gli effetti L’arrivo dei soccorsi, nel caso del terremoto friulano, fu assai celere poiché circa 18 battaglioni dell’esercito si trovavano di stanza nell’Italia nord orientale del sisma non sono selettivi: massimi nella zona epicentrale, diminuiscono via via con la distanza ma interessano tutta l’area colpita. Danni agli edifici si ebbero anche a notevoli distanze e, ad esempio, furono danneggiate delle sottostazioni dell’ENEL a più di 100 Km di distanza. Fu quindi necessario definire “amministrativamente” la zona dove concentrare le operazioni di soccorso e di assistenza. La legge statale n. 336 e la legge regionale n. 15 hanno disposto la delimitazione della zona terremotata: tale delimitazione geografica è stata effettuata con D.P.C.M. del 18 maggio 1976, per parte statale, e con D.P.G.R. del 20 maggio 1976, per parte regionale. A seguito poi delle scosse di settembre, la legge statale n. 730 ha disposto un’ulteriore delimitazione dei Comuni colpiti (non già inclusi nella precedente del maggio) effettuata in tre tempi successivi con i D.P.C.M. dell’8 settembre 1976, del 19 novembre 1976 !Nell'articolo varie immagini del terromoto avvenuto in Friuli il 6 maggio 1976 e che colpì diversi antichi comuni medioevali tra cui Gemona, Osoppo, Venzone, Artegna. Tratte da "La forza di Rinascare" e del 27 aprile 1977. Qui di seguito, le carte del Friuli con la delimitazione delle zone colpite dagli eventi sismici: nella prima tavola quelle definite dal D.P.G.R. del 20 maggio 1976; nella seconda quelle definite dal D.P.C.M. del 18 maggio 1976 e dalle successive integrazioni. È abbastanza chiaro che la delimitazione regionale e quella statale differiscono in modo considerevole. Del resto i criteri di definizione non hanno potuto che essere empirici per entrambi. Così è successo, in diversi casi, che siano risultati inclusi tra i Comuni colpiti località in cui i danni sono stati tutto sommato limitati, mentre non lo siano stati altri che hanno riportato ferite non trascurabili. D’altra parte una delimitazione “perfetta” ed “equa” non sembra facile, mentre per molti motivi questa è I crolli degli edifici. Morti, feriti e senzatetto Gli effetti delle scosse si fecero sentire soprattutto sui vecchi edifici costruiti in gran parte con murature in ciottoli arrotondati. La maggior parte dei cedimenti delle strutture si ebbe nelle costruzioni di questo tipo; meglio si comportarono gli edifici in mattoni mentre poche furono i collassi totali di quelle con ossatura in cemento armato, anche se tra questi ultimi bisogna annoverare il crollo completo di due grandi fabbricati d’abitazione multipiano a Maiano che provocarono molti dei 127 morti di questo !L’onorevole Giuseppe Zamberletti, dopo aver ricoperto l’incarico di Alto Commissario del Governo in occasione dei terremoti del Friuli nel 1976 e dell’Irpinia nel 1980, è il Primo Ministro per il coordinamento della Protezione civile EMERGENCIES 28 Il terremoto del Friuli (1976) un’operazione che va fatta in tempi molto brevi. Nella presente relazione, come d’altronde è stata norma generale adottata anche dai mezzi di informazione di massa, giornali, radio e televisione, quando si citano le zone “disastrate”, “gravemente danneggiate” e “danneggiate”, si fa sempre riferimento alla classificazione adottata dalla Regione. 29 Comune. Il crollo dei due condomini, letteralmente polverizzati assieme alle 60 famiglie che vi abitavano, lascerà alcuni dubbi sul numero complessivo dei morti, mai precisato completamente a causa dello smembramento dei nuclei familiari determinato dall’emigrazione. Mentre la maggior parte della popolazione fuggiva all’aperto sia in seguito alla prima scossa che durante la scossa principale, la rovina delle vecchie case negli stretti vicoli dei centri storici causava parecchie vittime tra quanti erano riusciti a lasciare in tempo le abitazioni. A Montenars, dove l’81% delle case risaliva ad epoche anteriori al 1920 e l’84% a prima del 1945, perirono più del 4% degli abitanti; a Osoppo che aveva il 58% di abitazioni anteriori al 1920 e il 64% costruite pri- EMERGENCIES 30 !(2011) L’on. Giuseppe Zamberletti, attuale presidente emerito della Commissione nazionale Grandi Rischi in una recente foto durante la sua visita al Museo del Terremoto di Venzone !A sinistra, il Sindaco di Gemona Paolo Urbani con Giuseppe Zamberletti, il Capo del Corpo nazionale dei Vigili del Fuoco Alfio Pini, e l'attuale Vicepresidente della Regione Friuli Venezia Giulia e assessore alla Protezione civile Luca Ciriani a Gemona durante l’inaugurazione della statua dei Vigili del Fuoco avvenuta lo scorso anno numeri risulteranno invece i seguenti: morti 993, feriti 2607, senzatetto stabilizzati 52.454 su una popolazione interessata di 256.000 persone. I danni superano i 1800 miliardi di lire. 31.000 case danneggiate. 20.000 capi di bestiame perduti. Le industrie danneggiate al 50% e 6.000 operai restano senza lavoro. Fuori uso strade, ferrovie e acquedotti. Nelle prime ore 600.000 persone sono condannate alla sete. La gestione della prima emergenza La prima emergenza fu caratterizzata da grandissime difficoltà di comunica- zione a causa del collasso della rete telefonica, del black out completo delle linee elettriche e della mancanza assoluta di coordinamento tra le prime forze intervenute. La popolazione si riversò - al buio- negli spazi aperti, e lì restò in attesa dei soccorsi. La primissima emergenza venne vissuta da tutti in condizione di totale isolamento, con ogni famiglia convinta di aver subito il peggio e senza nessuna cognizione dell’emergenza di massa in corso. Fu difficilissimo colmare il gap venutosi a creare in poche ore tra domanda e offerta di interventi di soccorso. Come è noto, il sistema di comunicazione è essenziale per l’avvio e la messa in moto del sistema. Ebbene, dopo la scossa, i principali sistemi di trasmissione finirono fuori servizio. Quello dei Carabinieri a causa della rete SIP, quello dell’esercito per il danno subito da un ponte radio e da un centro mobile, quello della Guardia di Finanza fuori uso nell’intera regione. Unici mezzi funzionanti rimasero le radio mobili di VVF, Stradale e Croce Rossa, che funzionavano solo con i punti dove si trovavano le unità mobili. Le prime informazioni si dovevano soprattutto ai radioamatori e ai CB. Fortuna volle che al momento della scossa, fosse in corso un’esercitazione radiotecnica delle associazioni aderenti al CER, proprio in molti dei comuni colpiti. Fra questi operatori volontari si costituì spontaneamente un Centro Operativo a Majano, che a partire dal 7 maggio 1976, fece da punto di riferimento per le prime operazioni. La prima informazione pervenuta al Ministero dell’Interno fu che non si aveva alcuna notizia. Poi, pian piano, da Spilimbergo, Majano e Gemona cominciò ad arrivare qualche informazione. Le prime informazioni su morti e feriti arrivarono quasi al mattino successivo, mentre le prime colonne venete di Vigili del Fuoco si muovevano verso la zona colpita. È proprio da Majano che venne lanciato l’appello a tutti i sindaci a riunirsi a mezzogiorno al centro Operativo, alla presenza dei parlamentari friu- lani. Quello che apparve evidente è che vi era carenza di informazioni al punto tale da rendere inefficace qualsiasi sforzo di coordinamento degli interventi. Le forze di soccorso nella primissima fase furono di due tipi: la prima fu quella organizzata localmente dai comuni e dal volontariato locale, la seconda quella inviata dall’esterno. La mattina del 7 maggio si recarono nella zona il presidente del Consiglio Moro ed il ministro dell’Interno, Cossiga, che decisero di affidare urgentemente al sottosegretario alla protezione civile, Zamberletti, il ruolo di commissario straordinario per l’emergenza. Sempre la mattina del 7 maggio vennero fatte affluire dall’esterno 10.000 persone, di cui 5.000 persone provengono dalla Divisione “Mantova”, dalla “Julia”, dall’”Ariete” e dal 5^ e 4^ Corpo d’Armata Alpino. L’arrivo dei soccorsi, nel caso del terremoto friulano, fu assai celere poiché circa 18 battaglioni dell’esercito si trovavano di stanza nell’Italia nord orientale; quei militari e quelle caserme che avevano subìto danni minori si poterono quindi mobilitare prontamente per portare soccorso alle popolazioni. I Vigili del Fuoco arrivarono in 400 unità con 200 mezzi, poi saliti in serata a 860 uomini con 470 macchine. I Carabinieri arrivarono in 500, mentre la Croce Rossa fu presente con 50 autolettighe. L’impiego delle sole Forze Armate registrerà una punta massima di 13.000 uomini. Presenti anche Paesi esteri: Austria 134, Canada 180, Francia 71, Germania Occidentale 897, Olanda 15, Svizzera 35, USA 320. A dispetto dei numeri fatti affluire in una sola giornata, a mancare gravemente nella primissima fase acuta era un centro di riferimento unico per il coordinamento e le decisioni da prendersi fra i diversi livelli locali e quelli statali impegnati. La sterzata avvenne con la nomina del Commissario Straordinario nella figura dell’On. Giuseppe Zamberletti. L’investitura avvenne nella tarda serata del 7 maggio, ma fu solo a partire dal 10 maggio che il Commissario, dopo aver valutato EMERGENCIES ma del 1945, si ebbe pure il 4% delle vittime sul totale della popolazione; a Forgaria, con il 62% delle case anteriori al 1920, i morti furono più del 3% della popolazione. I senzatetto furono rispettivamente: il 58% degli abitanti a Montenars, il 53% a Osoppo, il 59% a Forgaria. In base ad un rapporto dei Vigili del Fuoco redatto poco più di un mese dopo, i morti furono 976, 31 dei quali erano militari che furono travolti da crolli avvenuti in alcune caserme della zona. Le stesse fonti stimano i feriti in circa 2.000 ed i senzatetto circa 70.000 su una popolazione interessata stimata inizialmente in 370.000 abitanti. A situazione stabilizzata, i 31 EMERGENCIES 32 le difficoltà e le dispersioni di risorse causate dallo scoordinamento, istituì l’articolazione organizzativa necessaria a dirigere l’emergenza. Anche se la presenza dei militari disseminati sul territorio garantiva un’ottima forza di manovra, era difficile eliminare la grande confusione venutasi a creare fin dalle prime ore; infatti tutte le richieste passavano per il commissariato ospitato nella prefettura di Udine per le necessarie decisioni da prender per via gerarchica. Zamberletti nominò quattro vice-commissari, nelle persone del Comandante della Divisione Mantova Gen. Rossi e dei due prefetti di Udine e Pordenone, Spaziante e Arduini, per le due diverse sponde del Tagliamento. Inoltre nominò il Comandante della Divisione “Mantova” Gen. Mario Rossi, e il Comandante nazionale dei Vigili del Fuoco Ing. Alessandro Giomi. Istituì ad Udine il quartier generale, istituendo nella Prefettura una grande sala Operativa Generale, ma suddivise il territorio colpito e da assistere in 9 Centri Operativi di Settore (C.O.S.): Cividale, Gemona, Majano, Osoppo, Pordenone, S. Daniele, Resiutta, Tarcento, Tolmezzo. Ogni COS coordinava mediamente l’attività di una decina di comuni, per una dimensione media di 40.000 abitanti per ciascun Centro Operativo. Infine, convinse lo stato maggiore dell’esercito a mettere !La mappa che distingue i danni ma non divide il dolore del Friuli che lavora per rinascere Le lacune del sistema di protezione civile nel 1976 e il ruolo che ebbe del Commissario Straordinario Alla luce dei fatti, occorre riconoscere che dei pochi articoli previsti dalla legge 8 dicembre 1970 n. 996, quello riguardante la nomina del Commissario Straordinario è forse quello che si è dimostrato più importante. Ma a poco sarebbe servita questa figura, che in passato, sul Vajont e sul Polesine, era stata più di supervisione per conto del Governo sulla zona colpita, più di collegamento che di decisione, se con un decreto legge dedicato, il Consiglio dei Ministri non gli avesse successivamente conferito anche dei poteri “speciali”, vale a dire quelli che gli avrebbero consentito di assumere tutti i provvedimenti da lui ritenuti non solo necessari, ma anche solo semplicemente “opportuni”. Proprio a tale scopo il decreto Legge gli conferì la facoltà di esercitare “le funzioni di tutti i ministeri”. Al Commissario Straordinario veniva affidato un ruolo di “legislatore delegato”, otteneva dunque poteri fortissimi di rappresentanza dell’intero Governo. Una figura ben più forte di quella che più tardi sarà disegnata dalla 225 come il “Commissario Delegato” del Presidente Il Commissario Straordinario, cui veniva affidato in pratica un ruolo di “legislatore delegato”, otteneva dunque poteri fortissimi di rappresentanza dell’intero Governo. Una figura ben più forte di quella che più tardi sarà disegnata dalla 225 come il “Commissario Delegato” del Presidente. Per Zamberletti, avere un forte potere non significava peraltro ritrovarsi un compito facile. In effetti, egli do- veva supplire all’estrema debolezza dell’impianto organizzativo statale, al mancato coordinamento sul campo e all’altrettanto assente collegamento tra campo d’azione e direzione strategica romana. A lui toccava il compito di bypassare e surrogare gran parte degli organi previsti grossolanamente da una legge che non era stata seguita dal richiesto regolamento d’attuazione. Anche a causa di questa lacuna, egli dovette inoltre completare, inven- tandoselo, il sistema posto “a valle”, mediante la costituzione di alcuni organi di decentramento operativo. Dovette infine organizzarsi un vero e proprio commissariato inteso come struttura amministrativa e di supporto alle sue azioni quale responsabile delle operazioni. Lo fece nel migliore dei modi, circondandosi, come vice, di soggetti capaci fargli superare alcuni vincoli tradizionali, come ad esempio i meccanismi tipici del “doppio comando”con i militari. E forse il ruolo più importante del Commissario, in questo certamente in misura maggiore rispetto alla Regione autonoma del Friuli, fu quello di collettore e interprete delle necessità degli enti locali e dei sindaci, dei quali riuscì a uniformare l’approccio con le conseguenze del sisma, e ad indirizzare autorevolmente i comportamenti amministrativi conseguenti, in modo da non rischiare mai di creare disparità fra terremotati di comuni diversi. Le difficoltà di comunicazione delle prime ore furono determinanti per comprendere i problemi di quella che oggi siamo soliti chiamare la “prima fase”: le squadre di soccorso, a causa dei guasti alla linea telefonica e alla sovrapposizione delle strutture operative sulle stesse frequenze radio, finivano per farsi guidare dalle notizie televisive, finendo in paesi già presidiati e lasciandone scoperti altri; l’esercito dei sindaci tentava di ottenere udienza e concessioni immediate da Zamberletti. Urgeva la creazione di un meccanismo di comando e controllo, di decentramento delle funzioni e di ricomposizione presso la direzione strategica del commissario. La grande novità, accettata inizialmente “obtorto collo” ma poi riconosciuta come di stringente ed evidente praticità dai militari, fu quella di affiancare a ogni sindaco, che doveva predisporre un suo centro di comando unificato a livel!Particolare di un’opera d’arte recuperata dalle macerie del terremoto avvenuto in Friuli nel 1976, esposta al Museo di Venzone EMERGENCIES a disposizione di ciascun sindaco un ufficiale e dei militari per ogni tipo di necessità tecnico-logistica e assistenziale. L’innovazione fu di grande rilievo, e costituì un modello decentrato ripreso negli eventi successivi, a cominciare dall’Irpinia. Dopo la scossa, i senzatetto trovarono un primo rifugio nei vagoni ferroviari, nelle tendopoli, nelle roulottes. Presso la base di Aviano un ponte aereo consentì l’arrivo di 40.000 tende provenienti dagli Stati Uniti, poiché il nostro Paese non ne possedeva un numero sufficiente. Vennero organizzate 252 aree di accoglienza con tende, poi ridotte a 184 tendopoli, con 216 cucine da campo. Altri 1000 piccoli insediamenti di tende furono sparsi sul territorio. Le FF.SS. sistemarono 35 vagoni cuccette, 133 vagoni passeggeri, 292 carri deposito e 16 carri cisterna. La gestione dell’emergenza si mise allora su un binario di maggior chiarezza operativa e di coordinamento generale, cominciando da subito a dare i suoi frutti in termini di efficacia. 33 EMERGENCIES 34 lo comunale, un rappresentante delle strutture operative e in particolare un ufficiale delle Forze Armate. Replicare a livello locale lo stesso meccanismo di coordinamento presente nel Commissariato era per Zamberletti la via da battere. Ogni sindaco diventava un piccolo commissario nel suo comune, e accanto a sé teneva in pratica un suo personale “capo di stato maggiore”. Il problema dei “censimenti” e del fabbisogno di interventi Uno dei problemi più spinosi tipici della prima fase di una gestione emergenziale post sisma, e che si è puntualmente presentato in tutte le vicende italiane, è quello che viene chiamato “procedimento di rilevazione delle necessità”. Fin dalle prime ore dopo la scossa, il sistema dei soccorsi ha bisogno di conoscere quale possa essere la domanda di soccorso e assistenza dal punto di vista qualitativo e quantitativo. È noto che il numero dei senzatetto da assistere dipende normalmente dal numero di abitazioni distrutte o inagibili. Tuttavia, la determinazione dell’inagibilità di un’abitazione è un’operazione che, oltre a presentare un grosso impegno per la mole del lavoro che deve essere svolto da persone altamente qualificate, comporta l’impiego di criteri non sempre strettamente tecnici e talora largamente opinabili: si tratta di determinare non solo lo stato attuale di una costruzione, ma anche le possibili conseguenze di un futuro sisma di intensità e caratteristiche ignote (si pensi che, a parte la scossa del settembre, lo sciame sismico ebbe in Friuli una durata di oltre un anno). All’inizio di una grave vicenda sismica, il numero dei “senzatetto” e dei bisognosi di assistenza può coincidere addirittura con l’intera popolazione residente nella zona colpita, e solo nel periodo successivo il numero va via via precisandosi. Il Friuli non fece eccezione alla regola, tanto che se nei primi giorni si dovettero far arrivare urgentemente 40.000 tende dagli Stati Uniti è perché si riteneva di dover soddisfare un fabbisogno teorico di 116.000 posti letto, che l’Italia in quel tempo non poteva assolutamente raggiungere. !1976: l'allora Presidente del Consiglio Aldo Moro con l'assessore alla ricostruzione Salvatore Varisco e il sindaco di Gemona Ivano Benvenuti Il reinsediamento della popolazione Con il reinsediamento tocchiamo un punto di grande delicatezza nell’economia generale di una gestione post sisma. Il processo di reinsediamento della popolazione colpita rappresenta la cosiddetta “seconda fase”, che segue la prima fase acuta di gestione del soccorso e della prima assistenza e ricovero. Questo secondo episodio organizzativo e gestionale, che deve precedere la ricostruzione e che non dovrebbe superare di norma un periodo ottimale di sei mesi a partire dallo sgombero delle abitazioni danneggiate, si concretizza nell’attività di programmazione e realizzazione di un numero necessario di alloggi alternativi, di carattere provvisorio, ossia rimovibili, in cui le famiglie che hanno perduto la propria abitazione possono attendere in condizioni il più possibile “normali” la ricostruzione, e far riavviare nel frattempo le attività economiche e in generale la vita comunitaria. La ricostituzione provvisoria, nello stesso luogo di origine, di un tessuto comunitario simile a quello che il terremoto ha posto in pregiudizio, è il primo passo verso il recupero della normalità e l’avvio delle attività di ricostruzione. Nell’ultimo forte terremoto che aveva interessato il Paese prima del Friuli, quello del Belice del 1968, la soluzione di un rapido reinsediamento di carattere provvisorio nei luoghi colpiti era stata accantonata, privilegiando, in modo centralistico e poco condiviso con la popolazione, la difficile e laboriosa ricostruzione di nuovi centri distanti dal paese colpito, con conseguente sradicamento degli abitanti e il loro avvio verso un’inevitabile emigrazione. Uno degli insegnamenti principali che Leader mondiale nelle strutture pneumatiche Rendiamo realtà le vostre esigenze operative. EUROVINIL S.p.A. Via Genova, 5 58100 Grosseto Tel 0564 487454 Fax 0564 487222 mail: [email protected] web: www.eurovinil.it EMERGENCIES Alla fine delle operazioni di alloggiamento urgente, le tende predisposte furono invece 18.000, distribuite su 252 aree di accoglienza allestite in un tempo di circa 20 giorni, mentre molte persone cominciarono pian piano a rientrare nelle case rimaste agibili. 35 la nostra storia di territorio sismico ci ha insegnato, è che il periodo di accadimento dei terremoti disastrosi condiziona fortemente le modalità di gestione di tempi e strumenti dell’emergenza. L’utilizzo immediato delle tende durante la stagione mite consente un accomodamento urgente delle persone, assicura un certo periodo di tempo ai tecnici per effettuare la ricognizione dei danni, determinare il numero effettivo dei senzatetto e programmare la conseguente realizzazione di alloggi stabili anche se di ca- rattere provvisorio. Tuttavia, un ritardo che intervenga in questa sequenza di attività, pone improvvisamente il sistema dei soccorsi di fronte all’obbligo di individuare drammatiche alternative in vista dell’arrivo della stagione invernale non affrontabile in tenda. D’altra parte, un sisma che colpisca un territorio alla fine dell’estate o addirittura nella brutta stagione, pone una serie completamente diversa di problemi relativi alla sistemazione alloggiativa provvisoria, poiché il flessibile utilizzo della tenda viene limitato o reso addi- !Il Duomo di Gemona completamente distrutto dal terromoto EMERGENCIES 36 rittura impossibile dal peggioramento delle condizioni climatiche e meteorologiche. In tal caso, l’eventuale utilizzo di alberghi e appartamenti – in specie sulle coste turistiche- porrà altri problemi legati alla “scadenza naturale” dell’alloggiamento per l’arrivo della primavera e delle prenotazioni che interessano le strutture ricettive. È del tutto evidente, dunque, che in entrambe le tipologie “stagionali” di sistemazione provvisoria, le condizioni operative dell’emergenza non concederanno mai, di norma, più di sei mesi di tempo per la realizzazione di alloggi sostitutivi della casa resa inagibile dal sisma. Il limite ragionevole dei sei mesi, quantunque risulti difficilissimo a rispettarsi in caso di macrosisma, va posto comunque come un obiettivo fondamentale. Ciò significa che già durante i giorni del soccorso tecnico e della prima assistenza, l’attività di valutazione e analisi da parte dei soccorritori deve abbracciare e ricomprendere anche una visione programmatica delle soluzioni possibili e idonee per la seconda fase. In Friuli, dopo la prima sistemazione urgente seguita alla scossa del 6 maggio, c’era dunque da pensare al reinsediamento, poiché era di ogni evidenza che in quelle zone la bella stagione non sarebbe durata a lungo, e presto le tende sarebbero diventate un problema serio per i senzatetto. I friulani avevano lanciato ottimisticamente lo slogan “dalle tende alle case”, sperando di poter presto ricostruire o riparare rapidamente – con una forte dose di autosufficienza- le proprie abitazioni, anche se i problemi di ordine urbanistico ed il numero di sfollati rendeva di difficile attuazione questa ipotesi. La Regione Friuli sposò comunque la tesi, e orgogliosamente si assunse l’onere dell’impresa di realizzare i prefabbricati provvisori per sostituire le tende. Sappiamo tuttavia che quando la scelta di ricostruzione riguarda la riparazione o la ricostruzione delle case esistenti secondo il principio del “dove era e come era”, i tempi non possono essere brevi, e l’attività di ricostruzione non dura mai, generalmente, meno di 10-12 anni, in considerazione dei problemi urbanistici, della necessità di servizi e della carenza di professionalità e di ditte locali disponibili. Per la fase transitoria e di reinsediamento, la Regione Friuli, memore dell’esperienza siciliana di otto anni prima, aveva scelto di realizzare case provvisorie prefabbricate invece delle baracche. La differenza tra le due soluzioni – oggi possiamo apprezzarlo compiutamente dopo le esperienze trascorse negli ultimi decenni – è davvero enorme, quando fosse per il solo fatto che un insediamento di case prefabbricate prevede la presenza delle urbanizzazioni primarie con servizi a rete sotterranei e impianti di depurazione. Ai giorni nostri può sembrare un fatto scontato, ma quarant’anni fa non lo era. In Friuli, questo tipo di reinsediamento provvisorio venne attuato -per la prima volta nella EMERGENCIES I friulani avevano lanciato ottimisticamente lo slogan “dalle tende alle case”, sperando di poter presto ricostruire o riparare rapidamente con una forte dose di autosufficienza le proprie abitazioni, anche se i problemi di ordine urbanistico ed il numero di sfollati rendeva di difficile attuazione questa ipotesi 37 EMERGENCIES EMERGENCIES 38 39 Liberate i vostri strumenti più preziosi conda scossa, il nuovo Presidente del Consiglio Andreotti, in visita il 13 settembre alle zone colpite, venne contestato pesantemente dalla folla. Alla contestazione non era estranea anche la tensione politica che andava salendo, anche per l’arrivo in zona di gruppi extraparlamentari e comitati collettivi organizzati che fomentavano la contestazione. Una delle principali preoccupazioni per le istituzioni nazionali e locali, riguardava il numero degli espatriati dopo il terremoto. Il rischio di abbandono del territorio e di un’emigrazione forzata e irreversibile era forte. Dal mese di maggio, infatti, erano già oltre ventimila i passaporti rilasciati dalle province di Udine e Pordenone, mentre era ormai fuori controllo il numero degli emigrati in altre zone d’Italia. Andreotti decise allora immediatamente un nuovo commissariamento, con un proprio DPCM del 13 settembre 1976, cui fece seguito il D.L. 18 settembre 1976 n. 648 che conferiva di nuovo a Zamberletti poteri straordinari e facoltà di operare in deroga. Andreotti volle così dare un rinnovato impulso alle attività di assistenza alle popolazioni disagiate. La seconda scossa La mattina del 15 settembre, la nuova scossa distruttrice sorprese il neo Commissario Zamberletti già all’opera, in mezzo a una riunione che si stava tenendo nella Prefettura di Udine, convocata per organizzare l’esodo programmato. Questo secondo evento si verificò al culmine di una crisi sismica di almeno una settimana, in cui delle scosse di notevole entità, a più riprese, avevano spaventato la popolazione, costringendola spesso a catapultarsi in strada e in mezzo ai campi. La nuova violentissima scossa, di magnitudo 6,1 Richter, buttò giù tutto quello che restava in piedi del Friuli, comprese le case ancora agibili e quelle appena riparate. Si doveva dunque ricominciare da zero e, peggio ancora, dopo Photo : A.Child A.Child Childeric eric - Kalice Kal nostra storia- senza un precedente che potesse far da guida. E proprio per questo l’ottimismo regionale iniziale fu forse eccessivo. In assenza purtroppo di procedure accelerate e derogatorie che consentissero di bruciare i tempi, i ritardi accumulati dalla Regione Friuli nell’avvio delle operazioni di costruzione dei villaggi provvisori, portarono alla fine dell’estate e all’arrivo del primo freddo con le attività appena all’inizio. La prefabbricazione leggera della Regione Friuli, prevista in circa 9.000 alloggi, non era in realtà riuscita a decollare. Durante l’estate, soltanto le piccole riparazioni alle case moderatamente danneggiate erano stata assicurate con solerzia dagli alpini impegnati in emergenza. Giunti quasi alla fine della bella stagione, i prefabbricati non solo non erano pronti, ma erano ancora di là da venire. Dunque, prima ancora che la nuova grande scossa di settembre precipitasse gli eventi, l’evacuazione delle aree di accoglienza si rendeva necessaria e inevitabile già dalla fine di agosto, sia perché appariva temerario restare in tenda con l’avvicinarsi della brutta stagione, sia perché, in molti casi, era proprio nelle aree occupate dalle tendopoli che si doveva avviare la realizzazione dei prefabbricati provvisori. E ovviamente, in quello che è uno scenario classico e ripetitivo dei terremoti italiani, di fronte alla prospettiva di un trasferimento fuori area causato dagli evidenti ritardi, già alle prime avvisaglie, la gente aveva manifestato la sua reticenza a trasferirsi temendo lo sradicamento e l’allontanamento definitivo. Un fenomeno psicologico inevitabile in tutte le vicende sismiche importanti del nostro Paese. Tra l’11 e il 12 settembre, nuove scosse avevano causato nuovi crolli, anche tra le case già riparate dagli alpini. Il morale dei vecchi e dei nuovi terremotati cominciò anch’esso a crollare, e con questo anche la fiducia nelle istituzioni. Intanto il maltempo cominciava ad imperversare, e la scontentezza e il dissenso prese piede fra gli sfollati, tanto che due giorni prima della se- PIXA 3 Lampada frontale multifunzione Liberate le vostre mani… grazie alle 3 modalità di trasporto garantite dalla nuova lampada frontale PIXA 3. Progettata per rispondere alle esigenze professionali, PIXA 3 si adatta a tutte le situazioni in ambiente con scarsa illuminazione: lavorare e vedere da vicino, spostarsi in piena sicurezza e disporre di una visione lontana e precisa. www.petzl.com/PIXA DINAMICHE VERTICALI - Agenzia di Petzl in Italia - C.so Lombardia 75 - 10099 San Mauro Torinese (To) - Tel: +39 011 27 32 500 - Fax: +39 011 22 41 853 - [email protected] for the new hero generation EMERGENCIES comuni ospitanti e del volontariato locale. Con l’aiuto e la collaborazione spontanea delle amministrazioni comunali interessate, i luoghi dove organizzare il ricovero vennero chiamati “Dipartimenti Assistenziali” (D.A.), presso i quali si trasferirono le comunità con i rispettivi Centri Operativi. Questi ultimi, che erano stati programmati e istituiti fin dal 13 settembre, furono: t%JQBSUJNFOUPEJ#JCJPOFDPNVOFEJ EMERGENCIES 40 i nuovi crolli il fabbisogno di prefabbricati risultava ora raddoppiato. A quel punto, l’esodo verso il mare, che era già nell’aria, diventava un imperativo categorico. Da un punto di vista logistico, la distanza relativamente breve e la facilità dei collegamenti permettevano il pendolarismo a chi voleva riavviare la propria attività, ma anche agli agricoltori ed agli operai, in modo tale da non subire del tutto l’estraneità dai luoghi d’origine. Inoltre l’imminenza della chiusura della stagione estiva avrebbe lasciato il patrimonio edilizio turistico completamente inutilizzato, e dunque nella piena disponibilità per un utilizzo emergenziale. Funzionari di prefettura vennero incaricati di prendere immediatamente contatti con le istituzioni e con le organizzazioni di categoria della costa per verificare numeri e disponibilità. Dall’altra parte, i sindaci dei comuni colpiti furono responsabilizzati per convincere le proprie recalcitranti cittadinanze a lasciare le tende per recarsi in hotel o nei residence. Dopo i primi giorni, nonostante gli indubbi effetti in termini di convincimento apportati dalla nuova terribile scossa, i risultati dell’iniziativa di arretramento, a un primo monitoraggio, si rivelavano ancora parziali. Qualcuno resisteva, nonostante lo sforzo di sindaci ormai del tutto convinti e collaborativi. Ma alla fine, a convincere davvero la gente a lasciare le tende e a trasferirsi sulla costa per quattro o cinque mesi – il tempo stimato realisticamente per la costruzione dei prefabbricati- più ancora della scossa fu il maltempo. Il freddo e la pioggia, cominciando a imperversare, scoraggiarono definitivamente la resistenza della pur tenace gente friulana, e l’esodo organizzato con la saggia e paterna collaborazione dei sindaci, si tradusse, ora dopo ora, in una vera e propria fuga verso il mare con ogni mezzo. L’ospitalità, nonostante l’arrivo e la sistemazione trafelati, venne garantita in modo ordinato e non casuale, grazie all’organizzazione preventiva del personale del commissariato e l’assistenza dei 41 Se partecipi hai già vinto.... for the new hero generation Cerbul spa, via Marconi 105, 31020 Revine Lago (TV) tel +39 0438 929214 - 55, fax +39 0438 929846 info: [email protected] www.rescueforce.it EMERGENCIES Il primo spostamento di sfollati fu organizzato dalla Sala Operativa del Commissariato con mezzi civili per le persone e con mezzi militari per il trasporto delle masserizie. Durante il pendolarismo, il problema dei collegamenti tra la costa e l’entroterra (gli sfollati non autonomi venivano accompagnati gratuitamente ogni giorno verso i luoghi di residenza nelle zone terremotate) passò, a partire dal 1^ ottobre e fino alla fine dell’arretramento, dal Commissario al Servizio Trasporti della Giunta Regionale. Il trasporto di eventuali masserizie, invece, venne sempre assicurato dai militari aggregati ai Centri Operativi di riferimento. La parte più imponente dell’esodo ebbe una durata di circa quindici giorni, anche se i trasferimenti continuarono fino alla fine di ottobre. La punta massima raggiunta di sfollati sulla costa fu di 32.340 persone. Lignano Sabbiadoro risultò il centro interessato dal maggior numero di ospiti, che arrivò a 19.370. Le circa 15.000 persone che restarono nelle zone terremotate per la necessità di non interrompere le attività lavorative o per scelta personale, furono sistemate in 5.200 roulottes acquistate, requisite dalle Prefetture di tutta Italia o ricevute in dono dal Commissario. Si calcola peraltro che circa 3.000 persone abbiano continuato a soggiornare in tenda nelle classiche aree sparse. Queste situazioni furono lasciate alla cura dei C.O.S. All’interno dell’operazione di trasferimento e sistemazione alloggiativa, non mancarono momenti di grave difficoltà. Infatti, la disponibilità di alloggi reperiti grazie alla ricerca effettuata subito prima della scossa del 15 settembre, fu messa in crisi dalla foga con la quale la gente a un certo punto cominciò a riversarsi verso la costa. Gli sfollati affluivano con ogni mezzo, e le richieste di alloggio erano sempre maggiori a fronte di una disponibilità ancora assai limitata. Con l’impegno del Commissario al pagamento del dovuto, si era fatto appello alla disponibilità dei privati, ma la solidarietà tardava a venire. Il Com- I prezzi e le indennità erano modesti grazie anche al piglio dei poteri commissariali. Poteri che si esercitavano proprio sul controllo dei prezzi in crescita: tanto che con un’ordinanza del 17 settembre, su mandato del Commissario, il Prefetto di Udine - Vice Commissario Dr. Spaziante, bloccò i prezzi incardinandoli ai livelli del maggio 1976, mentre, con un’altra dell’8 ottobre creò una commissione di controllo dei prezzi sulla base di un paniere dettagliato. L’unità e la coesione delle comunità territoriali vennero conservate trasferendo interi paesi in una stessa località (con minime eccezioni legate a locali fenomeni di “overbooking”), compresi i servizi comunali e le scuole. Se gli anziani trovavano posto negli alberghi, le famiglie andarono a occupare le case sfitte o i residence di proprietà di agenzie e turisti, dietro impegno del Commissario verso i proprietari di pagare alla fine dell’emergenza sia l’affitto che i danni eventuali. Per i capifamiglia che dovevano restare in zona, il Commissario requisì roulottes in tutta Italia. I Dipartimenti Assistenziali dovettero prendere in carico diversi aspetti della vita comunitaria lì ricostituitasi temporaneamente: da quello medico-sanitario (vaccinazioni, controlli igienici, distribuzione medicinali e apertura di farmacie); a quello scolastico, che vide ben 3.584 alunni tornare a scuola in 196 aule appositamente formate (elementari e medie l’11 ottobre, la materna il 17 novembre per problemi di reperimento di plessi e aule); a quello dell’assistenza sociale e a quello dei sussidi e dei contributi economici commissariali. A partire dall’inizio di ottobre cominciarono gradualmente i primi rientri, in coincidenza con la consegna dei primi prefabbricati previsti dall’originario piano regionale. I nomi degli assegnatari venivano comunicati dalla Sala Operativa Generale ai Dipartimenti assistenziali, dopo di che la famiglia interessata aveva una settimana di tempo per verificare l’agibilità dell’alloggio e preparare il rientro. La previsione di una permanenza massima di sei mesi sulla costa o in montagna teneva conto ovviamente della presunta durata dei lavori di prefabbricazione sia del primo piano regionale (novemila alloggi) che del secondo piano commissariale integrativo (altri diecimila prefabbricati) resosi necessario dopo la scossa di settembre. Il 31 marzo 1977 fu la data limite imposta, e più volte ribadita pubblicamente dal Commissario in modo da tranquillizzare gli operatori del turismo, per il rientro degli sfollati. Alcuni ritardi nelle consegne (e quindi nei rientri) derivarono qua e là dagli aggiustamenti apportati dai sindaci alla prefabbricazione pianificata, a causa dei rientri di emigrati che se ne erano andati dopo il sisma di maggio, e che rientravano ora in regione contando sull’assistenza commissariale e sull’assegnazione sicura di un alloggio: ciò che costringeva le amministrazioni locali a correggere in corsa la programmazione delle opere. Il piano di sgombero e arretramento dalle zone colpite e di ospitalità nei centri balneari restò in vigore ufficialmente fino al mese di aprile 1977; mentre venivano approntate le aree di insediamento provvisorio dei prefabbricati, fu intanto definito un piano di recupero edilizio per le case che avevano subito danni minori. Ed effettivamente, l’operazione di arretramento della popolazione, con qualche strascico legato alla consegna ritardata di alcuni prefabbricati, andò avanti fino all’aprile 1977. Al 1^ aprile 1977 si trovavano sul mare ancora 4814 persone, un numero che può far considerare felicemente conclusa l’operazione senza conseguenze per i comuni ospitanti e per le loro attività economiche. Oltre che alla gradualità delle consegne dei prefabbricati, ulteriori strascichi nel rientro che si protrarrà in pratica fino a metà maggio, furono legati anche all’esigenza di alcune famiglie di far terminare l’anno scolastico ai figli nelle località di ospitalità, e che quindi, pur avendo ricevuto l’alloggio prefabbricato, tentavano di conser- EMERGENCIES 42 S.Cividale al Tagliamento) e Caorle, che accolsero la comunità di San Daniele del Friuli; t%JQBSUJNFOUPEJ-JHOBOP4BCCJBEPSP che accolse i comuni di Gemona, Osoppo con l’aggiunta di Pinzano al Tagliamento; t%JQBSUJNFOUPEJ+FTPMPDIFBDDPMTF il C.O. di Meduno con esclusione di Pinzano; t%JQBSUJNFOUPEJ(SBEPDIFBDDPMTF i Centri Operativi di Cividale, Tarcento e Resiutta. t%JQBSUJNFOUPEJ3BWBTDMFUUPJTUJUVito il 22 settembre, che con gli altri centri dell’Alta Carnia (Forni Avoltri, Forni di Sopra e Rigolato), raccolse le popolazioni della zona industriale del Tolmezzino. I Dipartimenti Assistenziali erano organi concettualmente e strutturalmente simili ai Centri Operativi di Settore (C.O.S.), anche se nei Dipartimenti erano maggiore il peso e il ruolo degli Enti Locali ospitanti e delle delegazioni di quelli terremotati che lì si trasferivano provvisoriamente. missario attivò quindi il meccanismo della requisizione, che venne posto in essere solo per i residence e le seconde case, mentre non riguardò gli hotel né i villaggi turistici o i campeggi. Il 24 settembre il Commissario dispose la requisizione in uso fino al 31.3.1977 (termine entro il quale avrebbe dovuto concludersi l’esodo) di tutti gli “alloggi non abitati, arredati o non arredati, e comunque non già occupati da famiglie sfollate dei comuni sinistrati”. Quanto alla procedura di requisizione, i sindaci ospitanti della costa vennero responsabilizzati per la ricerca degli alloggi e per garantire la pubblicizzazione del provvedimento, ma il Commissario prese su di sé tutta la responsabilità nei confronti dei privati proprietari, che in massima parte erano comunque non residenti. I quali, restii a subire la requisizione, tentarono l’occupazione fittizia degli appartamenti, a cui il Commissario rispose modificando l’Ordinanza: si requisivano adesso tutti gli “alloggi anche non arredati, non abitati da persone residenti nel comune di ubicazione dell’alloggio e non già occupati da famiglie sfollate dei comuni sinistrati”. Dal punto di vista della resistenza alla concessione dell’uso degli alloggi, i maggiori problemi si verificarono a Grado, dove il sindaco dovette occupare di frequente gli alloggi in modo forzoso, mentre a Lignano, Caorle e Bibione non si rese mai necessario l’ingresso con l’ausilio della forza pubblica. A Ravascletto, che invece è località turistica invernale, si verificarono gli stessi problemi di Grado. Anche qui, si scelse di sacrificare le seconde case, mentre provvedimenti di requisizione non riguardarono gli alberghi, al fine di salvaguardare l’economia locale. L’indennità di occupazione degli appartamenti fu fissata in 9.000 lire mensili per ogni vano utile; mentre la retta alberghiera (scelta preferita per il ricovero gli anziani) fu fissata in lire 5.000 giornaliera. Sempre per gli anziani, il “Villaggio Marzotto” di Jesolo fu attrezzato ad ospitarne 500 non autosufficienti. 43 Busines Managems Process ent Syste m EMERGENCIES 44 vare anche l’appartamento sul mare come “alloggio di riserva”. Altri ritardi furono legati esclusivamente a casi di persone anziane, in particolare non autosufficienti, che ebbero difficoltà a rientrare nei tempi previsti. Da allora in poi, la ricostruzione friulana, dal punto di vista legislativo e di indirizzo, fu caratterizzata da un forte decentramento delle responsabilità a favore della regione e degli enti locali, comuni in primis; e questa fu una novità nel campo della gestione delle ricostruzioni, visto che da qualche anno erano state istituite le regioni, ed il Friuli Venezia Giulia godeva anche dei privilegi di regione a statuto speciale. Se è possibile stabilire paragoni, rispetto all’esperienza negativa del Belice, diversi furono i fattori che influenzarono positivamente la gestione emergenziale e del reinsediamento del Friuli. In sintesi: tMBDDBEJNFOUPEFMTJTNBJOVONPmento favorevole della stagione; t MB DPTQJDVB QSFTFO[B NJMJUBSF nell’area; tMBQSFTFO[BEJCVPOFWJFEJDPNVnicazione; tJMSVPMPEJ6EJOFMBDJUUËDBQPMVPHP di regione, che non fu colpita; t MB QSFTFO[B TVMMB OPO MPOUBOB DPsta adriatica, di strutture turistico - ricettive, e conseguentemente la disponibilità immediata di numerosi posti letto per ospitare i senzatetto (un’opportunità, quest’ultima, valorizzata fortemente anche in occasione dell’emergenza abruzzese del 2009). Quanto alla ricostruzione, in cinque anni la metà dei senzatetto ebbe già una sistemazione definitiva (39mila su !"Il Friuli ringrazia e non dimentica", una frase diventata mito che i terremotati scrivevano sui muri delle case distrutte 80mila); nel 1985, invece, i senzatetto ospitati nei prefabbricati erano circa 20mila, di cui alcuni erano occupanti senza titolo. La ricostruzione, quindi, era andata avanti abbastanza velocemente, favorita dal decentramento delle decisioni e dal fatto che la responsabilità era in gran parte affidata ai comuni, in modo tale da favorire scelte idonee caso per caso e controllabili dalla popolazione, che impostò la ricostruzione sulla volontà del fare “di bessoi”, da soli. Inoltre, la relativa omogeneità del territorio permise una gestione migliore della pianificazione. In Friuli tutte le risorse, compresi i risparmi privati, furono convogliati verso la ricostruzione abitativa lasciando poco spazio alle opportunità di speculazione. Alla luce dei fatti, quella del Friuli resta dunque ancora oggi la più riuscita iniziativa di superamento dell’emergenza e di ricostruzione post sisma del nostro dopoguerra. PROCESS MANAGEMENT SYSTEM Process Businessent System m e g a n a M ss s Proce Businesment System Manage Per affrontare la complessità delle aziende e degli Enti Pubblici avendo a disposizione in ogni momento gli strumenti necessari www.taival.it EMERGENCIES IL BUSINESS 45