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CHANGE BLINDNESS E ORGANIZZAZIONE FIGURA
CHANGE BLINDNESS E ORGANIZZAZIONE FIGURA-SFONDO VERONICA MAZZA E MASSIMO TURATTO Università di Padova Riassunto. Recenti ricerche hanno dimostrato che evidenti cambiamenti nella scena osservata possono essere non notati se avvengono durante un breve disturbo visivo. Tale fenomeno, conosciuto come Change Blindness, chiama in causa direttamente l’attenzione come fattore cruciale per la percezione del cambiamento. Nell’ambito della organizzazione figura-sfondo di un’immagine, il presente lavoro dimostra che il grado di cecità al cambiamento è sostanzialmente più elevato per lo sfondo. Questo suggerisce che l’attenzione, per default, seleziona preferibilmente le informazioni legate agli oggetti in primo piano (figure) rispetto a quelle legate agli oggetti costituenti lo sfondo. INTRODUZIONE Recenti ricerche condotte nell’ambito dell’attenzione visiva sembrano dimostrare l’inabilità da parte di un osservatore di notare cambiamenti rilevanti (un oggetto che compare o scompare, oppure che cambia colore o posizione) in due o più versioni consecutive della stessa scena (Rensink, O’Regan e Clark, 1997; Simons e Levin, 1997). L’effetto di cecità al cambiamento (Change Blindness, CB) si verifica anche qualora l’osservatore stia guardando direttamente la parte dell’immagine in cui avviene il cambiamento, ed è indotto dalla presenza di alcuni eventi disturbanti (p. es. flicker, mudsplashes, film-cut, blink), che avvengono in concomitanza con la modifica ed attenuano il segnale transiente che normalmente è associato ad un cambiamento (Rensink, 2000a; per una rassegna si veda Turatto, 2000). L’attenzione focalizzata è considerata il fattore necessario per la percezione cosciente del cambiamento (O’Regan, Rensink e Clark, 1999; Rensink, 2000b). Secondo tale ipotesi, solo gli elementi selezionati dall’attenzione sarebbero codificati in modo approfondito ed avrebbero accesso ad una rappresentazione relativamente stabile della scena, divenendo disponibili per ulteriori elaborazioni finalizzate alla rilevazione dell’eventuale modifica nella scena osservata. Al contrario, gli elementi non selezionati dall’attenzione sarebbero continuamente sovrascritti dai nuovi stimoli in arrivo (Rensink et al., 1997). Il rinnovato interesse per il fenomeno della cecità al cambiamento, GIORNALE ITALIANO DI PSICOLOGIA / a. XXX, n. 2, giugno 2003 355 noto fin dagli anni Settanta nell’ambito delle ricerche sulla memoria visiva (Phillips, 1974) e sui movimenti oculari (McConckie e Zola, 1979), ha una duplice motivazione. In primo luogo, infatti, la CB si rivela un valido approccio per lo studio dell’attenzione visiva, ed in particolare della relazione tra attenzione e processi percettivi visivi (Rensink, 2000a). Inoltre, le ricerche sulla CB sembrano indicare che, quando osserviamo una scena, solo una minima parte delle informazioni visive presenti viene mantenuta tra una fissazione oculare e la successiva, contrariamente a quanto ipotizzato dagli studi sulla integrazione visiva transaccadica, che postulavano l’esistenza di un buffer visivo (Irwin, 1991). La proposta avanzata da alcuni ricercatori è che, contrariamente all’impressione soggettiva di poter vedere tutto in ogni istante, la nostra rappresentazione visiva interna1 non sia molto dettagliata, essendo in essa contenute solo le informazioni essenziali per la comprensione di una scena (Sparse representation hypotesis, O’Regan et al., 1999). Dagli studi sulla CB, che utilizzano prevalentemente immagini complesse tratte da fotografie di ambienti reali, emerge infatti che il grado di cecità varia in funzione della rilevanza dell’elemento o zona dell’immagine, risultando minore per gli elementi «d’interesse centrale» (più rilevanti) rispetto agli elementi «d’interesse marginale» (meno rilevanti) (Rensink et al., 1997). Essendo gli elementi più importanti anche quelli maggiormente esplorati dall’attenzione (Chun e Nakayama, 2000; Henderson e Hollingworth, 1999), risulta evidente il ruolo centrale dell’attenzione nel fenomeno della CB. Sebbene vantaggiosi per la loro ecologicità, questi studi comportano alcuni aspetti problematici per la spiegazione della CB. In particolare, l’utilizzo di immagini ricche di elementi non esclude la possibile spiegazione che la cecità al cambiamento sia legata alla complessità della scena più che al fattore attentivo. Dunque, l’osservatore potrebbe notare con difficoltà l’oggetto o la parte della scena che cambia proprio perché la scena stessa è composta da un numero elevato di potenziali elementi da esplorare. Un ulteriore aspetto riguarda la difficoltà di stabilire con certezza quali siano gli elementi «rilevanti» di un’immagine. Nelle ricerche finora condotte, infatti, il grado di rilevanza degli elementi nella scena è stato determinato in base al numero di volte in cui questi erano stati menzionati nelle descrizioni verbali fornite da alcuni giudici indipendenti in esperimenti pilota. Una procedura di questo tipo, basata su 1 Con il termine «rappresentazione interna» si intende una rappresentazione astratta e coerente, prodotta da stadi avanzati del processamento delle informazioni visive e mediata dall’attenzione, in cui l’osservatore possa operare un confronto tra gli elementi presenti (Rensink, 2000a). 356 criteri soggettivi, pone alcuni dubbi sulla rigorosità sperimentale (Scholl, 2000). Con l’intento di risolvere questi problemi sono stati condotti due esperimenti, in cui, in ogni prova, erano presentate due immagini semplici composte da un numero limitato di dischi, metà di colore grigio chiaro e metà grigio scuro, posti sopra una serie alternata di bande verticali bianche e nere; le immagini erano separate da un breve intervallo temporale durante il quale lo schermo si oscurava. Il compito degli osservatori era rilevare l’eventuale cambiamento tra le due immagini, che consisteva nell’inversione della polarità del contrasto dei dischi oppure delle bande verticali. L’impiego della configurazione figura-sfondo appena descritta e del fenomeno della CB ha permesso di raggiungere due obiettivi. Dal punto di vista teorico, infatti, questo tipo di immagini, costituite da pochi e semplici elementi, permetteva di escludere l’ipotesi che l’effetto di cecità indotta fosse legato prevalentemente alla complessità della scena; in tal modo, s’intendeva esaminare l’effettivo ruolo dell’attenzione focalizzata nel processo di percezione cosciente del cambiamento. Il secondo obiettivo prevedeva l’utilizzo della CB come paradigma sperimentale per studiare la distribuzione dell’attenzione all’interno dell’organizzazione percettiva figura-sfondo. Secondo i principi percettivi enunciati dalla Gestalt, diversi fattori contribuiscono alla segmentazione del campo visivo in figure e sfondo, con il risultato che le prime sembrano essere le zone percettivamente più salienti dell’immagine (Rubin, 1921). Dato che un elemento saliente è in grado di catturare automaticamente l’attenzione (Turatto e Galfano, 2001), sarebbe plausibile supporre che l’attenzione selezioni preferibilmente le figure rispetto allo sfondo. Gli studi della Gestalt sono rimasti tuttavia ancorati ad un approccio prettamente fenomenico che, sebbene utile per lo studio dei processi visivi in generale, non consente di fare previsioni solide riguardo ad esempio la relazione tra l’attenzione selettiva ed i processi percettivi di segmentazione del campo visivo. Un valido collegamento in questo senso è rappresentato dall’approccio object-based allo studio dell’attenzione, secondo cui il meccanismo dell’attenzione selettiva opera all’interno di una rappresentazione visiva della scena completamente segmentata in unità percettive (od oggetti), secondo le regole indicate dalla Gestalt (Egly, Driver e Rafal, 1994). È da notare però che tali unità percettive sono passibili di ulteriore organizzazione, tale per cui alcune saranno percepite come oggetti «in primo piano» o figure, altre invece saranno considerate come oggetti «in secondo piano», costituenti lo sfondo. Le ricerche sull’attenzione object-based non sembrano essersi occupate dell’influenza di questo fattore sulla distribuzione dell’attenzione visiva, ad eccezione di uno studio di Driver e Baylis (1996), in cui ai soggetti 357 erano presentate delle immagini nelle quali un margine irregolare separava una superficie grande e scura da una di dimensioni più ridotte e di colore bianco. Il compito dei soggetti era indicare quale tra le differenti alternative mostrate successivamente corrispondesse al margine osservato. Le alternative rappresentavano la superficie più piccola o quella più grande. I risultati mostrarono che gli osservatori erano più abili nel riconoscere l’alternativa giusta quando le sagome presentate riguardavano la superficie piccola, che era percepita come figura, rispetto a quando riguardavano la superficie grande, percepita come sfondo, anche quando l’alternativa relativa alla superficie piccola (figura) era di colore opposto all’originale. Questi risultati sembrerebbero dimostrare che l’organizzazione figurale precede ed influenza la distribuzione dell’attenzione tra gli elementi costituenti il campo visivo, rendendo le figure maggiormente salienti. ESPERIMENTO 1 Eccetto lo studio di Driver e Baylis (1996) sopra descritto va notato che nelle altre ricerche sull’attenzione object-based agli osservatori sono presentati degli oggetti (figure) sopra uno sfondo vuoto. Al contrario, la configurazione figura-sfondo utilizzata nel presente esperimento conteneva informazioni che riguardavano sia lo sfondo (le bande verticali) sia gli oggetti (i dischi). Tale configurazione è stata ottenuta mediante il raggruppamento per somiglianza e per buona continuità di alcuni elementi (i dischi), sovrimposti ad altri elementi considerati appartenenti allo sfondo (le bande). In questo modo era possibile verificare se effettivamente, all’interno dell’organizzazione percettiva figura-sfondo, l’attenzione selezioni preferibilmente le figure, tralasciando le informazioni relative allo sfondo. Inoltre nella prima parte di questo esperimento, le istruzioni avvisavano i soggetti che il loro compito era individuare l’eventuale cambiamento tra le due immagini presentate all’interno di ogni prova, senza accennare al modo in cui esse erano organizzate, non inducendo quindi alcun bias attentivo a favore di una specifica parte della scena. Se, come sostenuto dalla prospettiva object-based (Baylis e Driver, 1992), l’attenzione agisce all’interno di una rappresentazione visiva della scena segmentata, selezionando le unità percettive più salienti (gli oggetti), è plausibile supporre che un eventuale cambiamento tra due immagini sia rilevato con più facilità negli oggetti (i dischi) rispetto a quando avviene nello sfondo (le bande). 358 METODO Soggetti Hanno preso parte all’esperimento dieci studenti dell’Università di Padova (6 femmine e 4 maschi), di età compresa tra 22 e 28 anni, destrimani, con vista normale o corretta. Nessun soggetto era a conoscenza degli scopi dell’esperimento. Apparato Le immagini erano presentate su un monitor a 15″ di un PC IBMcompatibile, equipaggiato con una scheda grafica (640 ⫻ 480, 60 Hz). Il monitor era posizionato all’altezza degli occhi, sopra un tavolo di fronte al soggetto. La distanza tra il soggetto e lo schermo era di 57 cm, mentre la luminosità ambientale era di circa 1 cd/m2. Stimoli Ogni immagine era composta da uno sfondo regolare, costituito da una serie alternata di 20 bande verticali, 10 bianche e 10 nere; la luminanza delle bande bianche era di 45 cd/m2, quella delle bande nere era di 5 cd/m2. Sopra lo sfondo erano disegnati 6 dischi grigi disposti circolarmente al centro dello schermo, metà dei quali di colore grigio scuro, metà di colore grigio chiaro; la luminanza dei dischi chiari era di 41 cd/m2, quella dei dischi scuri era di 9.5 cd/m2. Il centro di ogni disco coincideva con il margine tra due bande. L’angolo visivo sotteso da ogni banda dello sfondo era di 1.5°, quello sotteso da ogni singolo disco era di 1.5° (complessivamente l’array dei dischi sottendeva un angolo di 6°). La luminanza dello schermo nero che precedeva la comparsa delle immagini era di 0.15 cd/m2. Gli stimoli presentati (fig. 1) erano simili a quelli utilizzati nell’esperimento di Turatto, Russell e Driver (inviato per la pubblicazione). Procedura È stata utilizzata una versione leggermente modificata della tecnica del flicker. Ai soggetti era presentata una serie di coppie di immagini, A (400ms) e A1 (400ms), intervallate da un breve spegnimento dello schermo (100ms). A differenza del paradigma del flicker usato da Rensink et al. (1997), in ogni prova le due immagini erano presentate 359 Sfondo Oggetti Nessun cambiamento A 400 ms 100 ms A1 400 ms Tempo FIG. 1. Immagini e relativi tempi di presentazione usati negli esperimenti. Condizione «Sfondo»: in A1 tutte le bande bianche diventavano nere e viceversa. Condizione «Oggetti»: in A1 i tre dischi chiari diventano scuri e viceversa. Condizione «Nessun cambiamento»: A1 è identica ad A. un’unica volta; questa tecnica è chiamata One shot (Rensink, 2000a). All’inizio dell’esperimento i soggetti erano avvisati, oralmente e per iscritto, circa la possibile presenza di cambiamenti nelle immagini presentate; il loro compito era individuare l’eventuale cambiamento tra la prima e la seconda immagine. Le condizioni sperimentali possibili erano tre. La prima prevedeva che non ci fossero cambiamenti tra la prima e la seconda immagine; nella seconda, si verificava il cambiamento dello sfondo (tutte le bande nere diventavano bianche e viceversa); nell’ultima condizione si invertiva la polarità del contrasto fra gli oggetti (i tre dischi chiari diventavano scuri e viceversa). Dalla presentazione della seconda immagine, il soggetto aveva 1 s di tempo per riportare, premendo due differenti tasti («P» e «Q»), se aveva rilevato o meno un cambiamento tra le due immagini. La mano associata alla risposta «cambiamento assente» o «cambiamento presente» è stata bilanciata attraverso i soggetti. Il soggetto eseguiva il compito in due blocchi di prove. Il primo blocco conteneva indizi non informativi: all’inizio di ogni prova era presentato al centro dello schermo un cue neutro (500ms), che non indicava il luogo del possibile cambiamento (la parola «Attenzione»). Nel secondo blocco era presentato all’inizio di ogni prova un indizio informativo (la parola «Sfondo» o «Cerchi», 500ms) indicante la zona dove, se presente, avrebbe avuto luogo il 360 cambiamento. L’indizio era quindi presente anche nelle prove senza il cambiamento tra le due immagini (metà delle quali contenevano la parola «Sfondo», metà la parola «Cerchi»). La sessione sperimentale durava circa 30 minuti. In ciascun blocco erano presentate in ordine casuale 120 prove: 40 non contenevano cambiamento, 40 contenevano il cambiamento dello sfondo, 40 quello degli oggetti. Prima dell’inizio di ogni blocco sperimentale, erano presentate 12 prove di pratica per permettere al soggetto di familiarizzare con il compito: 4 prove non contenevano cambiamento, 4 contenevano il cambiamento dello sfondo, 4 quello degli oggetti. Il totale complessivo era di 264 prove (di cui 24 di pratica). Le prove di pratica non sono state incluse nelle analisi statistiche. RISULTATI E DISCUSSIONE La percentuale di risposte corrette, preventivamente sottoposta a trasformazione in arcoseno, è stata analizzata per mezzo di una analisi della varianza (ANOVA) a misure ripetute, in cui i fattori considerati erano due: Indizi (2 livelli, non informativi, informativi) e Luogo del cambiamento (2 livelli, sfondo, oggetti). La percentuale di risposte corrette nella condizione «nessun cambiamento» (94% nel blocco con indizi non informativi, 96% nel blocco con indizi informativi) si è rivelata poco informativa e non verrà qui discussa. Sia l’effetto principale del fattore Indizi, F(1,9) = 221.168, p < .0001, sia quello del fattore Luogo del cambiamento, F(1,9) = 63.260, p < .0001, sono risultati significativi. Anche l’interazione tra i due fattori è risultata significativa, F(1,9) = 533.294, p < .0001. I dati sono stati ulteriormente analizzati tramite dei confronti post-hoc (t-test), che hanno messo in luce che nel primo blocco di prove (indizi non informativi), la percentuale di risposte corrette nella detezione del cambiamento nel caso degli oggetti (M = 93%, SD = 12.6) è risultata significativamente superiore a quella per il cambiamento dello sfondo (M = 10%, SD = 7.1), p < .0001. Nel secondo blocco di prove (indizi informativi), la percentuale di risposte corrette per il cambiamento degli oggetti (M = 94%, SD = 7) non è risultata significativamente diversa da quella per il cambiamento dello sfondo (M = 94%, SD = 6.3). Come si nota dal grafico (fig. 2), nel primo blocco (indizi non informativi) i soggetti non hanno praticamente rilevato il cambiamento nello sfondo (10%), mentre lo hanno rilevato correttamente negli oggetti (93%). Nel secondo blocco gli indizi informativi hanno modificato notevolmente la prestazione dei soggetti, ed il cambiamento è stato rilevato facilmente in entrambe le condizioni (sfondo 94%; oggetti 94%). Si ricordi che il cue informativo, indicante la zona del 361 possibile cambiamento, era presentato all’inizio di ogni prova. Se, come plausibile, la funzione degli indizi informativi è quella di modulare la distribuzione dell’attenzione focalizzata nelle regioni della scena indicate, questi risultati sembrano indicare che la percezione consapevole del cambiamento nello sfondo è legata ad una strategia di dislocazione volontaria dell’attenzione su tale parte dell’immagine2. Tuttavia, siccome la prestazione relativa al cambiamento negli oggetti non è stata modificata dagli indizi informativi, si può concludere che le figure sono comunque la zona dell’immagine selezionata per default dall’attenzione. ESPERIMENTO 2 I risultati ottenuti nell’esperimento 1 permettevano di concludere che la rilevazione del cambiamento nello sfondo è legata ad una strategia di dislocazione volontaria dell’attenzione su tale zona dell’immagine. Un ulteriore considerazione riguardava il fatto che all’interno dell’organizzazione percettiva figura-sfondo, la figura sembra essere l’oggetto preferenziale dell’attenzione. A tal proposito, tuttavia, potrebbe esistere una spiegazione alternativa dei risultati, legata alla spontanea interpretazione da parte degli osservatori delle consegne fornite all’inizio del primo blocco di prove dell’esperimento 1 (indizi non informativi). Come già menzionato, le istruzioni non esplicitavano che il cambiamento sarebbe potuto avvenire sia nelle figure sia nello sfondo. Data la nostra probabile tendenza naturale a non considerare gli elementi dello sfondo come oggetto d’interesse, gli osservatori avrebbero potuto riformulare le consegne, definendo come obiettivo del compito la rilevazione di un eventuale cambiamento tra le sole figure (dischi). Se ciò fosse vero, sarebbe indebolita la conclusione che, all’interno dell’organizzazione percettiva figura-sfondo, l’attenzione seleziona per default la figura. Per risolvere questo dubbio, è stato condotto un secondo esperimento, suddiviso in due blocchi di prove pri- 2 Secondo una spiegazione alternativa dei dati, la migliore prestazione relativa al cambiamento nello sfondo osservata nel secondo blocco di prove potrebbe essere riconducibile ad un effetto di pratica e non, come supposto, alla presenza degli indizi informativi. Per escludere tale spiegazione, è stato condotto un esperimento di controllo suddiviso in due blocchi in cui il cue presentato all’inizio di ogni prova era sempre la parola «Attenzione» (indizio non informativo). I risultati hanno mostrato che i soggetti sono stati praticamente incapaci di rilevare il cambiamento nello sfondo in entrambi i blocchi di prove, permettendo di escludere quindi che la differenza emersa nell’esperimento 1 tra la condizione in cui gli indizi non erano informativi e quella in cui erano informativi fosse dovuta ad un miglior apprendimento del compito relativo al cambiamento dello sfondo. 362 ve di indizi. Nel primo blocco i soggetti erano avvisati solamente del fatto che ci sarebbe potuto essere un cambiamento tra le immagini. Prima del secondo blocco di prove era reso esplicito che il cambiamento sarebbe potuto avvenire sia nelle figure sia nello sfondo, eliminando in tal modo un’erronea riformulazione delle consegne esclusivamente a favore delle figure. L’ipotesi era che, se l’attenzione seleziona preferibilmente gli oggetti rispetto allo sfondo, anche nel secondo blocco di prove l’accuratezza nella rilevazione del cambiamento negli oggetti sarebbe stata maggiore di quella riguardante il cambiamento nello sfondo, e che, viceversa, i relativi tempi di reazione sarebbero stati minori. METODO Soggetti Hanno preso parte all’esperimento sei studenti dell’Università di Padova (4 femmine e 2 maschi), di età compresa tra 22 e 25 anni, destrimani, con vista normale o corretta. Nessun soggetto era a conoscenza degli scopi dell’esperimento. Apparato e stimoli Identici a quelli dell’esperimento 1. Procedura Il paradigma sperimentale utilizzato, il tempo di presentazione degli stimoli e le condizioni sperimentali erano identici a quelli dell’esperimento 1. A differenza dell’esperimento 1, entrambi i blocchi non contenevano alcun tipo di indizio. Prima della somministrazione del primo blocco di prove i soggetti erano avvisati della presenza di un eventuale cambiamento nelle immagini presentate, senza specificare in quale parte dell’immagine sarebbe potuto avvenire. Diversamente, prima dell’inizio del secondo blocco di prove veniva reso esplicito che il cambiamento avrebbe potuto riguardare sia lo sfondo sia le figure. Il numero totale di prove e la loro suddivisione nelle tre condizioni erano uguali a quelli del primo esperimento. 363 RISULTATI E DISCUSSIONE Dopo essere stata sottoposta a trasformazione in arcoseno, la percentuale di risposte corrette è stata analizzata per mezzo di una ANOVA a misure ripetute, in cui i fattori considerati erano due: Luogo del cambiamento (2 livelli, sfondo, oggetti), Istruzioni (2 livelli, no, sì). La percentuale di risposte corrette nella condizione «nessun cambiamento» (93% nel blocco senza istruzioni, 95% nel blocco con le istruzioni) non sarà discussa, in quanto poco informativa. L’effetto principale del fattore Luogo del cambiamento è risultato significativo, F(1,5) = 104.579, p < .0001. L’effetto principale del fattore Istruzioni non è risultato significativo (p >.3). L’interazione tra i due fattori è risultata significativa, F(1,5) = 20.986, p < .007. I dati sono stati ulteriormente analizzati tramite confronti post-hoc (t-test), che hanno messo in luce che sia nel primo blocco di prove (no istruzioni) sia nel secondo blocco (sì istruzioni) la percentuale di risposte corrette nella detezione del cambiamento negli oggetti (M = 98%, SD = 2.56, no istruzioni; M = 91%, SD = 5.47, sì istruzioni) è risultata significativamente superiore a quella per il cambiamento nello sfondo (M = 13%, SD =9.14, no istruzioni; M = 40%, SD = 28.83, sì istruzioni), rispettivamente p < .001 e p < .003. Come si vede dalla figura 2, in assenza di istruzioni i soggetti hanno rilevato con facilità il cambiamento negli oggetti, mentre non hanno visto il cambiamento nello sfondo (98% oggetti; 13% sfondo). Questo risultato è in linea con quelli ottenuti nell’esperimento 1. L’aspetto più interessante riguarda il secondo blocco di prove, in cui i soggetti erano stati avvisati preventivamente che il cambiamento avrebbe potuto aver luogo in entrambe le zone dell’immagine. In questa condizione, infatti, i soggetti continuano ad essere più accurati nella detezione della modifica degli oggetti (91%) rispetto a quella dello sfondo (40%). Si noterà che quest’ultima percentuale di successi (sfondo 40%) è notevolmente inferiore rispetto a quella ottenuta nell’esperimento 1 (indizi informativi). Questo è dovuto al fatto che, non sapendo con certezza ad ogni prova dove poteva avvenire il cambiamento (come succedeva nell’esperimento 1), in questa parte dell’esperimento i soggetti erano tenuti a prestare attenzione sia allo sfondo sia agli oggetti. In conclusione, eliminata la possibilità che gli osservatori interpretassero erroneamente le istruzioni e quindi riformulassero l’obiettivo del loro compito esclusivamente a favore delle figure, la differenza emersa per l’accuratezza tra la condizione «cambiamento dello sfondo» e «cambiamento degli oggetti» sembra indicare che, a parità di condizioni, le figure sono comunque selezionate automaticamente dall’attenzione. Ad ulteriore conferma di questi risultati, l’analisi (t-test) 364 Accuratezza (%) 100 80 60 40 20 0 Indizi non Indizi informativi informativi Esperimento 1 Sfondo No Sì istruzioni istruzioni Esperimento 2 Dischi FIG. 2. Esperimento 1: percentuale delle risposte corrette, in funzione del Luogo del cambiamento e degli Indizi. Il cambiamento nello sfondo è rilevato correttamente solo in seguito agli indizi informativi. Esperimento 2: percentuale delle risposte corrette, in funzione del Luogo del cambiamento e delle Istruzioni. La detezione del cambiamento negli oggetti è maggiore di quella relativa alla modifica dello sfondo anche quando i soggetti sono consapevoli che il cambiamento può avvenire in entrambe le zone dell’immagine. Le barre d’errore rappresentano gli errori standard della media. dei tempi di reazione per la condizione «sì istruzioni» ha messo in luce che i soggetti sono più veloci nell’individuare il cambiamento negli oggetti (M = 705 ms, SD = 60) rispetto alla modifica dello sfondo (M = 874 ms, SD = 156), p < .03. CONCLUSIONI La rilevazione di un cambiamento è il risultato di un processo di codifica e comparazione di informazioni in istanti successivi. Gli studi sulla CB dimostrano che, affinché questo processo avvenga, è necessaria l’attenzione (Rensink et al., 1997; Simons e Levin, 1997). In particolare, l’attenzione selezionerebbe alcune unità percettive, prodotte dai meccanismi di segmentazione dell’immagine e di organizzazione degli elementi in essa contenuti, assicurando loro una codifica più approfondita in una rappresentazione visiva più stabile della scena (Rensink, 2000b); in tal modo, l’attenzione faciliterebbe la successiva operazione di comparazione, finalizzata alla rilevazione cosciente del cambiamento. Recentemente, è stato proposto che l’attenzione focalizzata permet365 ta la formazione di rappresentazioni strutturali coerenti spaziotemporalmente. Il termine «coerenza» indica un insieme di rappresentazioni interconnesse, che si riferiscono allo stesso elemento o parte della scena in differenti posizioni spaziali ed in istanti successivi, di modo che l’interpretazione cognitiva assegnata ad una di loro influenzerebbe anche le altre (Rensink, 2000a). I risultati dei due esperimenti condotti nella presente ricerca permettono di rafforzare alcuni concetti emersi dalle ricerche sulla CB e, più in generale, sull’attenzione visiva. In primo luogo, entrambi evidenziano che l’attenzione ha un ruolo fondamentale nel processo di rilevazione del cambiamento in una scena osservata, come già dimostrato da precedenti studi sulla CB (Rensink et al., 1997; O’Regan et al., 1999). Infatti, quando non erano forniti gli indizi relativi alla zona dell’immagine in cui poteva verificarsi l’eventuale cambiamento, i soggetti non sono stati in grado di vedere il cambiamento nello sfondo. Al contrario, i risultati mostrano che, grazie agli indizi informativi (Blocco 2, esperimento 1), anche il cambiamento nello sfondo è stato rilevato con facilità, dimostrando che la cecità al cambiamento nello sfondo emersa in assenza degli indizi informativi non è imputabile a condizioni di scarsa visibilità, né a fenomeni di mascheramento percettivo. Inoltre, data la semplicità delle immagini utilizzate, entrambi gli esperimenti consentono di affermare che la CB non è legata alla complessità delle scene presentate. È interessante constatare che la cecità al cambiamento per lo sfondo è stata ottenuta in condizioni che avrebbero potuto favorire la rilevazione del cambiamento in tale zona, sia in termini di ampiezza dell’area visiva coinvolta nel cambiamento, sia in termini di entità fisica (luminanza) del cambiamento. Infatti, le bande dello sfondo erano fisicamente più grandi, quindi più visibili rispetto ai dischi. Inoltre, la differenza di luminanza tra le bande chiare e scure dello sfondo (40 cd/ m2) era maggiore di quella tra i dischi chiari e scuri (31.5 cd/m2). Il cambiamento dello sfondo (inversione della polarità del contrasto tra tutte le bande chiare e scure), producendo un segnale transiente maggiore di quello prodotto dal cambiamento degli oggetti (inversione della polarità del contrasto tra i tre dischi chiari e i tre scuri), avrebbe dovuto catturare più facilmente l’attenzione. Invece, il segnale globale prodotto dallo spegnimento e dalla riaccensione delle immagini (flicker) è stato in grado di attenuare il segnale locale associato al cambiamento dello sfondo, impedendo che l’attenzione fosse catturata nella zona della modifica. Questo effetto di distrazione o delocalizzazione dell’attenzione è considerato una delle componenti della CB. Inoltre, i soggetti non erano obbligati a tenere lo sguardo fisso al centro dello schermo, e quindi, esplorando tutte le zone dell’immagine, avrebbero potuto rilevare facilmente il cambiamento dello sfondo. 366 Infine, l’intervallo temporale tra le immagini, di soli 100 ms, è inferiore al tempo di decadimento delle memoria iconica (Sperling, 1960). Teoricamente, i soggetti avrebbero potuto rilevare il cambiamento sovrapponendo le due immagini iconiche. Questo non si verifica, perché, come ipotizzato dagli studi sulla CB, i contenuti della rappresentazione visiva non selezionati dall’attenzione sono continuamente sovrascritti dai nuovi stimoli in arrivo, rendendo molto difficile una comparazione tra due immagini consecutive. Quest’aspetto riguarda la seconda componente implicata nella CB, quella di codifica (O’Regan et al., 1999). Da ultimo, i risultati di entrambi gli esperimenti sono in accordo con l’ipotesi che, all’interno di immagini organizzate percettivamente in oggetti e sfondo, l’attenzione seleziona preferibilmente i primi. Si noti che tale «preferenza attentiva» per gli oggetti si è verificata sia in condizioni sperimentali che non inducevano nessun bias attentivo a priori nei confronti dell’una o dell’altra parte della scena osservata (Blocco 1, esperimento 1; Blocco 1, esperimento 2), sia nella condizione in cui gli osservatori erano consapevoli che il cambiamento avrebbe potuto essere in entrambi le parti dell’immagine (Blocco 2, esperimento 2). Sembra quindi plausibile affermare che l’organizzazione percettiva figura-sfondo abbia la funzione di guidare l’attenzione verso gli elementi più salienti del nostro campo visivo (le figure), che diverrebbero i candidati ideali per ulteriori stadi di processamento dell’informazione. BIBLIOGRAFIA BAYLIS G.C., DRIVER J. (1992). 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With regard the figure-ground perceptual organization processes, the present study showed that the degree of change blindness is more pronounced for background rather than for the figures, thus suggesting that attention is «by default» biased toward foreground information. La corrispondenza va inviata a Massimo Turatto, Dipartimento di Psicologia Generale, Università di Padova, Via Venezia 8, 35131 Padova, e-mail: [email protected] 368