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2. Rallentare il corso dell`azione

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2. Rallentare il corso dell`azione
2. Rallentare il corso dell’azione
2.1. Tempo della fabula e tempo dell’intreccio
In ogni racconto abbiamo a che fare con un tempo doppio. Infatti vi è il tempo della
cosa raccontata e il tempo del racconto. Ad esempio è normale, in un romanzo, che tre
anni della vita del protagonista siano riassunti in tre frasi. La dualità temporale che i
teorici tedeschi designano come tempo della fabula e tempo dell’intreccio,
evidentissima nel racconto cinematografico, è in ogni caso tipica di ogni racconto,
compreso quello orale.
M entre la durata della storia potrà essere valutata in secondi, minuti, ore, giorni, mesi,
anni, la durata del racconto non potrà che valutarsi tramite la lunghezza del testo,
ovvero tramite righe e pagine. Si potrà definire così la velocità del racconto come il
rapporto tra una durata (quella della storia) e una lunghezza (quella del testo). Non
esistono racconti a velocità costante, in cui cioè per descrivere una certa durata di tempo
si impiegherà sempre la stessa quantità di testo. Normalmente in ogni racconto ci sono
parti più veloci (poche righe per raccontare molti anni) e parti più lente (molte pagine
per raccontare poche ore); nessun racconto può fare a meno di variazioni di velocità che
Genette chiama anisocronie o effetti di ritmo. Ad esempio analizzando la velocità
della Recherche, Genette osserva che si va da 190 pagine per 3 ore a 3 righe per 12
anni; ossia molto approssimativamente, da una pagina per un minuto a una pagina per
un secolo. 1
Poter modificare la velocità del racconto è una risorsa essenziale dell’arte del narrare.
Se lo scopo è quello di provocare dubbio, attesa, suspence, l’azione dovrà essere
ritardata. In questo modo infatti si rimanderanno le risposte alle implicite domande del
lettore. Peraltro, quello del ‘ritardo’ è un artificio adoperato in varie arti, ad esempio
nella musica.
Nelle arti si conosce bene l’artificio del temporaneo ritardo come potente incentivo
verso un ulteriore movimento. Si tratta anche di un normale trucco usato nel dramma
tradizionale, ed è costantemente utilizzato nella musica per arginare il flusso melodico
prima di una nuova ondata di potenza. La temporanea sospensione dell’azione produce
un attimo di ansiosa attesa. 2
Ora, ci chiediamo: la strategia del ‘ritardare l’azione’può trovare applicazione in
architettura? L’architetto agisce sulla velocità del percorso, pensando all’opportunità
che l’osservatore si muova più rapidamente in alcune zone dell’edificio e più lentamente
in altre?
2.2.a. Digressione narrativa
Ci sono vari modi per ritardare l’azione in un romanzo, uno di essi è la digressione. È
così che si spiegano le pagine sulle grida che il M anzoni inserisce tra l’apparizione dei
bravi a Don Abbondio e il racconto di quello che i bravi gli diranno:
[…] vide una cosa che non s’aspettava, e che non avrebbe voluto vedere. Due uomini stavano […] (s egue
la descri zione sui bravi, quindi si inserisce – ad alimentar la suspence – la lunga discussione sulle grida;
poi il testo riprende con altri segnali di suspence)
1
2
Gérard Genette, Figure III, Discorso del racconto, Einaudi, Torino 1976, cap. 2.
Rudolph Arnheim, La dinamica della forma architettonica, F eltrinelli, Milano 1981, p. 180.
65
[…] Che i due descritti di sopra stessero ivi ad aspettar qualcheduno, era cosa troppo evidente […]
[…] Domandò subito in fretta a se stesso, se, tra i bravi e lui, ci fosse qualche uscita di strada […] Fece un
rapido esam e, se avess e peccato contro qualche potente […] Mise l’indice e il medio della mano sinistra
nel collare…Diede un’occhiata, al di sopra del muricciolo, ne’ campi […]
3
Che fare?
Il tutto è mirato a preparare le attese del lettore. Si agisce quindi bloccando l’azione al
sopraggiungere del pericolo; ma si agisce anche descrivendo uno stato di attesa da parte
del personaggio. L’ansia di Don Abbondio coincide con la nostra e al tempo stesso la
fonda.
Nella retorica classica si gioca spesso sulla doppia temporalità della storia e della
narrazione; ad esempio Balzac, in un passaggio delle Illusiones perdue, dice: “M entre il
venerabile ecclesiastico sale le scale di Angouleme, non è inutile spiegare…” 4 , come se
il narratore dovesse colmare i tempi morti della storia. La digressione è una tecnica ben
conosciuta dai romanzieri. Oltre alla storia romanzesca ci sono sempre altri temi che ad
essa si sovrappongono; fondamentale è capire dove e quando inserirli nell’arco della
narrazione. Da sempre costruisco i miei romanzi su due livelli: al primo livello, creo la
storia romanzesca; al di sopra di questa sviluppo alcuni temi. I temi vengono
ininterrottamente elaborati nella e dalla storia romanzesca. Laddove il romanzo
abbandona i suoi temi e si accontenta di raccontare la storia, diventa piatto. Un tema,
invece, può essere sviluppato da solo, al si fuori della storia. Questo modo di affrontar e
un tema io lo chiamo digressione. 5
Si può parlare di digressione anche in architettura? Ci sono casi in cui l’osservatore,
ansioso di proseguire nel suo percorso, viene, suo malgrado, impegnato in
qualcos’altro?
2.2.b. ‘Digressione architettonica’
La digressione è possibile anche in architettura e, a quanto sembra, con gli stessi
vantaggi, in termini di suspence, che si hanno nel romanzo. Ci sono casi in cui il
percorso dell’osservatore viene rallentato, ostacolato, ritardato. In questo modo la sua
meta apparirà più lontana ma anche più desiderabile.
Secondo Arnheim, il sorgere di un ostacolo intensifica il tendersi del viandante o del
guidatore verso la sua meta. Un elementare antagonismo si verifica in quasi tutte le
esperienze locomotorie per il fatto che, avanzando, l’ambiente circostante sembra
muoversi verso di noi nella direzione opposta […]. Quanto più elevata è la velocità,
tanto più notevole è il contromovimento dell’ambiente circostante. […] anche nelle più
quiete condizioni dell’esperienza architettonica, l’ambiente marcia in direzione del
visitatore non appena egli mette piede in un edificio e percorre un corridoio o
attraversa un vestibolo. Di conseguenza, le configurazioni architettoniche vengono
progettate non solo come aspetti di spazi staticamente in quiete, ma come membri di
una specie di comitato di ricevimento, riunito per accogliere l’ospite in arrivo. A
seconda del loro modo di presentarsi, esse faciliteranno l’accesso o lo renderanno
difficile. Un cancello, si tratti di un arco trionfale o di un torii giapponese, offre un
varco, ma in pari tempo si pone sulla strada come un impedimento […]. 6
3
4
5
6
Cit. in Umberto Eco, Lector in fabula, la cooperazione interpretativa nei testi narrativi, B ompiani, M ilano 1970, p. 113.
Cit. in Gerard Genette, op. cit. p. 283.
Milan Kundera, L’arte del Romanzo, Adelphi edizioni, M ilano 1988, p. 123.
Rudolph Arnheim, op.cit., p. 181.
66
L’accesso alla chiesa di St.
M adeleine a Vézelay, è bloccato da
una colonna al centro del portale e
ancora più vistosamente da un
pilastro scolpito che divide in due la
porta interna. Ebbene, questo
pilastro interrompe, blocca, impone
una pausa al visitatore che era proteso verso l’altare.
Un altro esempio di accesso
bloccato lo troviamo al cimitero di
Zale di Plečnik a Lubiana. Qui
l’accesso alla cappella principale è
nascosto quasi completamente da
una colonna gigante.
Anche la deviazione da un percorso,
riconosciuto come principale, ha
l’effetto di un impedimento. Il
movimento tende a raddrizzare la
direzione e a eliminare ogni divergenza […]. Lo stesso succede
per l’orientamento entro un edificio.
Ogni deviazione da una direzione
generale è difficilmente concepibile
e invita alla confusione spaziale. 7
L’ingresso alla galleria di M iddleton
Park di Edwin Lutyens è uno spazio
orientato direzionalmente, ma, a un
certo punto, un muro bianco ci impone
una brusca pausa, costringendoci a
deviare dal percorso.
Anche archi e nicchie, costituendo un
richiamo invitante, ci inducono alla
sosta. Pevsner fa notare che l’Alberti,
nella chiesa di Sant’Andrea a M antova,
invece delle navate laterali usate fino ad
allora, adottò una fila di cappelle
secondarie. Esse non sono collegate tra
loro, perciò vi si accede soltanto dalla
navata centrale attraverso aperture che si
alternano, ora alte e larghe, ora basse e
anguste. Ebbene, questi ambienti
secondari distraggono il visitatore dal
suo movimento principale verso oriente,
ritardando il raggiungimento dell’altare.
Come osserva Arnheim, mentre le
navate laterali guidano rigidamente il
43. C hiesa di Ste. Madeleine a Vézelay.
44. Jože P lečnik, Cim itero di Žale a Lubiana.
7
Ibidem, p. 173.
67
45. Lutyens, Middleton Park, Oxfordshire, pianta.
46. Lutyens, Middleton Park, ingresso.
47. P ercorso lineare e percorso rallentato.
centri concorrenti.
8
9
visitatore come una pallina che rotola in
una scanalatura, chi entra nella chiesa
dell’Alberti conserva il potere di decidere se
accettare o meno l’invito delle cappelle
laterali a deviare, sull’uno o sull’altro lato,
8
dal suo cammino verso l’altare maggiore.
Anche il transetto, in una chiesa che abbia
pianta a croce latina avrebbe, secondo
Arnheim, l’effetto di rallentare o fermare il
percorso del visitatore. Quando l’architetto
medievale ne tracciava il disegno, con la
navata longitudinale incrociata da un
transetto più corto, era ben consapevole di
creare un edificio a forma di croce; e di
questa simbolica forma erano senza dubbio
coscienti anche alcuni fra coloro che
frequentavano la chiesa. Ma questo
sottinteso disegno non risulta come
immediata evidenza a chi vi entri dal suo
portale: da qui, al visitatore si presenta una
vista lineare, un percorso per il suo
pellegrinaggio in direzione dell’altare che è
situato all’estremità opposta del canale
creato dalle prospettive convergenti. Così
percepita la chiesa si presenta come
l’incarnazione architettonica di un sentiero,
ma non realmente come un luogo in cui sostare.
E quantunque assegni una
collocazione ben precisa al divino da adorare e cioè all’altare, non riconosce allo
stesso modo la presenza dell’uomo se non
offrendogli un transito. Qui è il transetto a
determinare
una
modifica
essenziale…Quando il fedele che avanza
raggiunge l’incrocio, viene fermato dalla
vista del transetto. 9
L’incrocio rappresenta
dunque la sosta del
fedele nel suo cammino
verso l’altare. Inoltre
esso dà luogo ad un
secondo centro oltre
all’altare generando una
certa ambiguità dovuta
alla presenza di due
Ibidem, p. 180.
Ibidem, p. 106.
68
Il percorso del visitatore può
anche essere ostacolato dalla
presenza di una scala. Prendiamo
ad esempio la scalinata di Piazza
di Spagna a Roma, prova
evidente di come il Barocco
abbia saputo sfruttare a pieno lo
stimolante gioco tra attrazione e
movimento ritardato. Dopo aver
salito i primi gruppi di scalini, ci
si imbatte in una balaustrata, che
spezza il flusso del traffico e lo
devia sulla sinistra e sulla
destra; il flusso si è appena
ricomposto quand’ecco che viene
ancora bloccato da un altro
baluardo, sormontato da un
obelisco. Il tutto conduce al
coronamento della chiesa di
Trinità
dei
Monti,
che
rappresenta la meta e l’ultima
sosta.10
In
generale
una
scala
contribuisce a creare attesa,
perché oltre ad essere un
ostacolo in senso fisico lo è
anche in senso simbolico.
Chiunque si inerpichi su una
scala a pioli o salga una
gradinata, sente di tendere a
48. Trinità dei M onti.
49. Ricardo B ofill, La Pirámide, monum ento alla C atalogna, Le P erthus.
vincere una forza contraria, che individua nel proprio corpo sotto forma di peso. Così
10
Ibidem, p. 182.
69
la soddisfazione della scalata consiste nella vittoria sulla propria inerte pesantezza in
vista di un obiettivo elevato, ciò che costituisce un’esperienza inevitabilmente dotata di
connotazioni simboliche. Arrampicarsi è un atto eroico e liberatorio, e l’altezza
simboleggia spontaneamente cose di alto valore, mondano o spirituale.11 Ricardo Bofill
nel monumento alla Catalogna chiamato La Pirámide, fa una scalinata con gradini
altissimi, rendendo in questo modo la salita ancora più difficoltosa. Inoltre il tracciato
del giardino che copre la piramide crea una prospettiva illusoria che fa apparire ancora
più alto il tempio innalzato sulla cuspide. Qualunque scala ha il potere di ritardare il
raggiungimento della meta, ma l’effetto è potenziato nella scala a chiocciola, che oltre
alla difficoltà del salire, comporta un senso di spaesamento: arrivati in cima abbiamo
difficoltà a ricordare la posizione da cui siamo partiti in rapporto a quella dove ora ci
troviamo.
2.3.a. L’intrusione dell’autore nella narrazione
Si può anche rallentare l’azione frapponendo l’ostacolo di una descrizione. La pausa
descrittiva, è una momentanea sospensione dell’azione a favore della descrizione. Il
narratore interrompe la successione degli avvenimenti e si fa carico di descrivere ai suoi
lettori uno spettacolo che, a rigor di termini, a questo punto della storia, nessun
personaggio sta guardando. I formalisti hanno chiamato questa strategia messa a nudo
del procedimento e ne abbiamo, ad esempio, un uso molto disinvolto in Gautier: La
marchesa abitava un appartamento separato, dove il marchese non entrava mai senza
farsi annunciare. Commetteremo l’incongruenza a cui gli autori di ogni tempo non sono
mai venuti meno, e senza dir nulla al valletto che sarebbe andato ad avvertire la
cameriera, penetreremo nella camera da letto sicuri di non disturbare nessuno. Lo
scrittore che costruisce un romanzo porta con naturalezza al dito l’anello di Gige, che
rende invisibili. 12
Evidente che si tratta di una parte del romanzo di esclusiva competenza del narratore e
del lettore; i personaggi nel frattempo aspettano che il racconto torni a interessarsi a loro
per restituirli così alla vita.
La pausa coincide in sostanza con un intervento del narratore. Questo intervento però
può essere ben più forte, comportando in questo caso, oltre che il rallentamento
dell’azione, anche un effetto di sorpresa e sconcerto nel lettore, di tono buffonesco e
fantastico. Stiamo parlando della tecnica conosciuta come intrusione autoriale o
rottura della cornice. In questi casi l’autore non si intromette semplicemente come
descrittore ma proprio in quanto creatore della storia, intenzionato a mostrare i suoi
artifici e il suo potere al lettore al quale infatti si rivolge direttamente. Naturalmente fa
parte del suo ruolo avere una funzione di comunicazione, visto che è proprio della
situazione narrativa avere due protagonisti che sono il narratore e il destinatario del
racconto. Ci sono però, osserva Genette, dei narratori “conversatori”, sempre rivolti
verso il pubblico quasi fossero più interessati al rapporto mantenuto con esso che al loro
stesso racconto.
Così il narratore, che normalmente fa parte del mondo in cui si racconta, si intromette
nel mondo raccontato. Diderot scrive in Jacques le fataliste: “Chi mi potrebbe impedire
di far sposare il Padrone e di renderlo becco?”. Oppure, rivolgendosi al lettore: “Se vi
fa piacere, rimettiamo la contadina in groppa dietro alla sua guida, lasciamoli andare e
11
12
Ibidem , p. 45.
Cit. in Gérard Genette, op. cit., cap. 2.
70
torniamo ai nostri due viaggiatori”. 13 Sterne arriva addirittura a sollecitare l’intervento
del lettore, pregandolo di chiudere la porta o di aiutare il signor Shandy a tornare a letto.
Altre volte l’autore, più che giocare con il destino dei personaggi, intende mostrare
l’organizzazione interna del romanzo mettendo in risalto articolazioni, connessioni,
interrelazioni e mostrando così la sua funzione di regia. Ad esempio scrittori come
Fenimore Cooper o Thomas M ann sono molto prodighi di indicazioni di regia. “Per
evitare di dare al nostro racconto un’estensione che potrebbe stancare il lettore, lo
preghiamo di figurarsi che sia trascorsa una settimana dalla scena che termina il
precedente capitolo e gli avvenimenti, per riferire i quali noi ci proponiamo di
riprendere in questo il filo della storia”; “Il corso della nostra narrazione si ferma un
minuto apposta per darci il tempo di risalire alle cause le cui conseguenze avevano
portato con sé la singolare avventura di cui abbiamo appena fatto il resoconto. Non
daremo a questa digressione…”. 14
“Il precedente capitolo era gonfio oltre misura, faccio bene a iniziarne un altro…”; “Il
capitolo che si è appena chiuso ora, a sua volta, a mio parere è troppo gonfio…”; “Non
guardo indietro e mi proibisco di contare il numero dei fogli accumulati fra i numeri
romani precedenti e quelli che ho appena finito di tracciare…”. 15
Tutti i romanzieri classici non possono fare a meno di rivolgersi al lettore. Nel
Settecento, ad esempio Henry Fielding tira le conclusioni del proprio capolavoro, Tom
Jones, in questo modo:
Siamo ora giunti, lettore, all’ultimo tratto del nostro lungo viaggio. Poiché abbiamo
viaggiato assieme attraverso tante pagine, comportiamoci scambievolmente com e
viaggiatori in una diligenza che hanno passato parecchi giorni in compagnia e che
nonostante i litigi o le piccole animosità che possono aver avuto luogo lungo la strada,
fanno pace finalmente e rimontano per l’ultima volta nel loro veicolo allegri e di buon
umore; poiché, dopo questo tratto, ci può capitare, come di solito capita a loro, di non
incontrarci mai più.
Alla fine di Northanger Abbey, Jane Austen dà una scossa ancora più brusca ai miei
lettori, che vedranno dalla concentrazione della narrazione nelle pagine avanti a loro
che ci stiamo rapidamente avvicinando insieme alla perfetta felicità. O ancora Trollope,
in Barchester Towers, dice: Ma non lasciamo in apprensione il nostro gentile lettore.
Eleanor non è destinata a sposare Bertie Stanhope. 16
Come osserva Genette, tutti questi giochi manifestano con l’intensità dei loro effetti
l’importanza del limite che essi si ingegnano di superare a scapito della
verosimiglianza […], frontiera mobile ma sacra fra due mondi, quello dove si racconta,
quello che si racconta. 17
L’autore può anche introdurre se stesso come personaggio marginale (ricordiamo tutti le
apparizioni di Hitchcock nei suoi film come comparsa). È quanto fa ad esempio
Nabokov in Re, donna, fante.
Nella località di mare dove la storia raggiunge il suo culmine, il protagonista Franz,
ormai coinvolto nella spirale di follia della malefica M artha, è tormentato dalla continua
vista di una coppia che gli appare sempre tranquilla e felice: lui un uomo abbronzato,
“elegantemente stempiato”, impegnato ad acchiappare farfalle con una retina, e la bella
moglie. Altri non erano che Nabokov e la moglie Vera, anche se probabilmente non
saranno stati in molti i lettori (almeno alla prima pubblicazione del romanzo, nel 1928)
13
Ibidem, p. 282.
F enimore C ooper, La prateria, capp. VII, XV, cit. in Genette, op. cit., p. 305.
15
Thom as M ann, Doktor Faustus, capp. IV, V, IX, cit. in Genette, p. 305.
14
16
17
I brani di Fielding, Austen, Trollope, sono citati in D. Lodge, Il mestiere di scrivere, cit. p. 208.
Gérard Genette, op. cit., p. 283.
71
ad accorgersi dello scherzo. Nabokov infatti non era ancora il più famoso lepidotterista
del mondo.
L’autore dunque sembra avere diverse occasioni per intervenire: ora si intromette per
descrivere, ora si rivela abile manipolatore delle sorti dei personaggi, ora spiega al
lettore come ha organizzato il testo, ora si fa personaggio egli stesso.
Ci chiediamo: ci sono casi di ‘intrusione dell’architetto’? Può capitare all’osservatore,
intento a percorrere gli spazi di un edificio, di imbattersi nei discorsi e nei chiarimenti di
chi quell’edificio l’ha progettato?
2.3.b. Intrusione dell’architetto
I motivi che potrebbero condurre l’architetto a ‘intromettersi’ nell’edificio che ha
realizzato, non sono diversi da quelli visti per lo scrittore: mettere al corrente
l’osservatore dei procedimenti seguiti nel progetto, far capire che ciò che vede non è un
caso, ma è derivato da una precisa
scelta, che egli ha fatto in quanto
autore e che avrebbe anche potuto
essere diversa. Si metterebbero in
mostra in questo modo le convenzioni
architettoniche e l’abilità di regia
dell’architetto, il quale intervenendo si
rivolgerebbe
direttamente
all’osservatore. Si presume che anche
gli effetti di una tale pratica sarebbero
gli stessi che si hanno nella narrazione:
l’osservatore, non certo abituato a
queste intrusioni, si sentirebbe
spaesato e sorpreso, sospendendo per
un momento il suo percorso per
recepire il messaggio o l’avvertimento
che vede rivolgersi.
Ebbene, un esempio di intrusione
dell’architetto, potrebbe senza dubbio
essere rappresentato da quanto fa Carlo
Scarpa al museo di Castelvecchio di
Verona: in un punto della facciata
lascia ben visibili i diversi strati di intonaco da quello più antico all’ultimo
messo da lui. In questo modo sembra
voler ricordare all’osservatore che si
trova dinanzi a un restauro, e non a
50. Charles M oore, Piazza d’Italia a New Orleans.
qualcosa di realmente antico. 18
Naturalmente non si può dimostrare
che Scarpa avesse queste intenzioni, ma di fatto l’effetto che ottiene è proprio quello
dell’intrusione autoriale.
Altro intervento ancora più esplicito, e in cui si può ritrovare lo stesso tono buffonesco
notato per l’intrusione del narratore, è rappresentato dal mascherone di Charles M oore a
Piazza Italia a New Orleans. M oore è convinto che i sogni, che accompagnano tutte le
18
P aolo B ettini, “ Cinem a”, in www. unich.it/trac/lezioni/cinem a, p. 7.
72
azioni umane, debbono essere nutriti dai luoghi nei quali si vive. 19 Il mezzo più
semplice e naturale per esprimere il sogno è quello di utilizzare le cose ‘memorabili’ di
altri tempi e di altri luoghi. Nella piazza d’Italia che era destinata alla locale comunità
italiana, egli utilizza forme storiche (un nicchione e un colonnato con i cinque ordini) e
una serie di riferimenti all’Italia e alla Sicilia in particolare. Ebbene ‘intervenendo’ con
il mascherone raffigurante la sua faccia, M oore sembra proprio voler dire allo spettatore
di far attenzione a interpretare ciò che vede, cogliendone il tono ironico e irriverente, lo
stesso tono con cui l’architetto ha concepito il suo progetto.
2.4.a. Metadiegesi narrativa
Altro modo per prolungare le attese del lettore, ritardare il momento in cui potrà
verificare le ipotesi fatte è quello di introdurre all’interno del racconto principale, un
racconto secondario che viene chiamato racconto metadiegetico, o metaracconto o
racconto di secondo grado.
Il racconto metadiegetico è una forma molto antica che risale alle origini della
tradizione epica. Ad esempio nell’Odissea, in quello che è il racconto di primo grado o
diegesi (Omero che narra le gesta di Ulisse), si inserisce, nei canti dal IX al XII, il
racconto fatto da Ulisse ai Feaci, che è appunto un racconto metadiegetico.
Passando per Virgilio, Ariosto, Tasso, il procedimento (pensiamo ai racconti incastrati
uno nell’altro de Le mille e una notte) entra in epoca barocca nella tradizione del
romanzo rimanendovi per tutto il XVIII secolo, malgrado la concorrenza di nuove
forme come il romanzo epistolare; perfino l’avvento del realismo non gli impedisce di
sopravvivere in Balzac ma è nel romanzo Lord Jim che l’incastro arriva a limiti
difficilmente superabili.
Il racconto metadiegetico ha molto spesso una funzione esplicativa, è un pretesto per
chiarire al lettore determinate situazioni. Altre volte però non conta tanto il contenuto
quanto semplicemente la sua esistenza, l’atto stesso del narrare: ad esempio a Sherazade
non interessa il contenuto delle sue storie, ma il poter ritardare la morte distraendo il
principe.
Che significato può avere il racconto metadiegetico in architettura? Si può intensificare
l’attesa dell’osservatore facendo in modo che attraversi spazi dentro spazi?
2.4.b. ‘Metadiegesi architettonica’
Sono basate su una strategia simile a quella del racconto metadiegetico quelle
architetture in cui una serie di spazi, via via più piccoli e sempre simili, si ripetono,
come incastrati l’uno nell’altro. Forme di questo tipo sono caratteristiche del tempio
egiziano. Ad esempio ad Edfu, per raggiungere lo spazio più interno e sacro del tempio,
dobbiamo attraversare una serie di mura, una serie di involucri distaccati ognuno dei
quali ci porterà un po’ più vicino alla meta. Come osserva Venturi, i rivestimenti esterni
esaltano lo spazio interno racchiuso attribuendogli protezione e mistero.20
Un esempio noto a tutti di meccanismi del genere è dato dalle bambole di legno (ma può
trattarsi anche di altri oggetti) racchiuse l’una nell’altra. La traduzione in due
dimensioni di questo gioco degli incastri è rappresentata dal bassorilievo di Karnak,
raffigurante porte dentro porte.
19
C . Moore, G. Allen, D. Lyndon, The Place of Houses, cit. in P aolo Portoghesi, Dopo l’architettura moderna, Laterza, B ari
1980, p. 120.
20
Robert Venturi, Complessità e contraddizioni nell’architettura, Edizioni Dedalo, B ari 1980, p. 91.
73
51. Tempio di Horus, Edfu,
Egitto.
52. S ite, Door withing a door withing a door
withing a door…
E porte che racchiudono porte sono state progettate anche dai Site, cui certo non
potevano sfuggire gli effetti narrativi e psicologici che nascono da queste forme.
53. Porte di Karnak, Egitto.
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