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2. Rallentare il corso dell`azione
2. Rallentare il corso dell’azione 2.1. Tempo della fabula e tempo dell’intreccio In ogni racconto abbiamo a che fare con un tempo doppio. Infatti vi è il tempo della cosa raccontata e il tempo del racconto. Ad esempio è normale, in un romanzo, che tre anni della vita del protagonista siano riassunti in tre frasi. La dualità temporale che i teorici tedeschi designano come tempo della fabula e tempo dell’intreccio, evidentissima nel racconto cinematografico, è in ogni caso tipica di ogni racconto, compreso quello orale. M entre la durata della storia potrà essere valutata in secondi, minuti, ore, giorni, mesi, anni, la durata del racconto non potrà che valutarsi tramite la lunghezza del testo, ovvero tramite righe e pagine. Si potrà definire così la velocità del racconto come il rapporto tra una durata (quella della storia) e una lunghezza (quella del testo). Non esistono racconti a velocità costante, in cui cioè per descrivere una certa durata di tempo si impiegherà sempre la stessa quantità di testo. Normalmente in ogni racconto ci sono parti più veloci (poche righe per raccontare molti anni) e parti più lente (molte pagine per raccontare poche ore); nessun racconto può fare a meno di variazioni di velocità che Genette chiama anisocronie o effetti di ritmo. Ad esempio analizzando la velocità della Recherche, Genette osserva che si va da 190 pagine per 3 ore a 3 righe per 12 anni; ossia molto approssimativamente, da una pagina per un minuto a una pagina per un secolo. 1 Poter modificare la velocità del racconto è una risorsa essenziale dell’arte del narrare. Se lo scopo è quello di provocare dubbio, attesa, suspence, l’azione dovrà essere ritardata. In questo modo infatti si rimanderanno le risposte alle implicite domande del lettore. Peraltro, quello del ‘ritardo’ è un artificio adoperato in varie arti, ad esempio nella musica. Nelle arti si conosce bene l’artificio del temporaneo ritardo come potente incentivo verso un ulteriore movimento. Si tratta anche di un normale trucco usato nel dramma tradizionale, ed è costantemente utilizzato nella musica per arginare il flusso melodico prima di una nuova ondata di potenza. La temporanea sospensione dell’azione produce un attimo di ansiosa attesa. 2 Ora, ci chiediamo: la strategia del ‘ritardare l’azione’può trovare applicazione in architettura? L’architetto agisce sulla velocità del percorso, pensando all’opportunità che l’osservatore si muova più rapidamente in alcune zone dell’edificio e più lentamente in altre? 2.2.a. Digressione narrativa Ci sono vari modi per ritardare l’azione in un romanzo, uno di essi è la digressione. È così che si spiegano le pagine sulle grida che il M anzoni inserisce tra l’apparizione dei bravi a Don Abbondio e il racconto di quello che i bravi gli diranno: […] vide una cosa che non s’aspettava, e che non avrebbe voluto vedere. Due uomini stavano […] (s egue la descri zione sui bravi, quindi si inserisce – ad alimentar la suspence – la lunga discussione sulle grida; poi il testo riprende con altri segnali di suspence) 1 2 Gérard Genette, Figure III, Discorso del racconto, Einaudi, Torino 1976, cap. 2. Rudolph Arnheim, La dinamica della forma architettonica, F eltrinelli, Milano 1981, p. 180. 65 […] Che i due descritti di sopra stessero ivi ad aspettar qualcheduno, era cosa troppo evidente […] […] Domandò subito in fretta a se stesso, se, tra i bravi e lui, ci fosse qualche uscita di strada […] Fece un rapido esam e, se avess e peccato contro qualche potente […] Mise l’indice e il medio della mano sinistra nel collare…Diede un’occhiata, al di sopra del muricciolo, ne’ campi […] 3 Che fare? Il tutto è mirato a preparare le attese del lettore. Si agisce quindi bloccando l’azione al sopraggiungere del pericolo; ma si agisce anche descrivendo uno stato di attesa da parte del personaggio. L’ansia di Don Abbondio coincide con la nostra e al tempo stesso la fonda. Nella retorica classica si gioca spesso sulla doppia temporalità della storia e della narrazione; ad esempio Balzac, in un passaggio delle Illusiones perdue, dice: “M entre il venerabile ecclesiastico sale le scale di Angouleme, non è inutile spiegare…” 4 , come se il narratore dovesse colmare i tempi morti della storia. La digressione è una tecnica ben conosciuta dai romanzieri. Oltre alla storia romanzesca ci sono sempre altri temi che ad essa si sovrappongono; fondamentale è capire dove e quando inserirli nell’arco della narrazione. Da sempre costruisco i miei romanzi su due livelli: al primo livello, creo la storia romanzesca; al di sopra di questa sviluppo alcuni temi. I temi vengono ininterrottamente elaborati nella e dalla storia romanzesca. Laddove il romanzo abbandona i suoi temi e si accontenta di raccontare la storia, diventa piatto. Un tema, invece, può essere sviluppato da solo, al si fuori della storia. Questo modo di affrontar e un tema io lo chiamo digressione. 5 Si può parlare di digressione anche in architettura? Ci sono casi in cui l’osservatore, ansioso di proseguire nel suo percorso, viene, suo malgrado, impegnato in qualcos’altro? 2.2.b. ‘Digressione architettonica’ La digressione è possibile anche in architettura e, a quanto sembra, con gli stessi vantaggi, in termini di suspence, che si hanno nel romanzo. Ci sono casi in cui il percorso dell’osservatore viene rallentato, ostacolato, ritardato. In questo modo la sua meta apparirà più lontana ma anche più desiderabile. Secondo Arnheim, il sorgere di un ostacolo intensifica il tendersi del viandante o del guidatore verso la sua meta. Un elementare antagonismo si verifica in quasi tutte le esperienze locomotorie per il fatto che, avanzando, l’ambiente circostante sembra muoversi verso di noi nella direzione opposta […]. Quanto più elevata è la velocità, tanto più notevole è il contromovimento dell’ambiente circostante. […] anche nelle più quiete condizioni dell’esperienza architettonica, l’ambiente marcia in direzione del visitatore non appena egli mette piede in un edificio e percorre un corridoio o attraversa un vestibolo. Di conseguenza, le configurazioni architettoniche vengono progettate non solo come aspetti di spazi staticamente in quiete, ma come membri di una specie di comitato di ricevimento, riunito per accogliere l’ospite in arrivo. A seconda del loro modo di presentarsi, esse faciliteranno l’accesso o lo renderanno difficile. Un cancello, si tratti di un arco trionfale o di un torii giapponese, offre un varco, ma in pari tempo si pone sulla strada come un impedimento […]. 6 3 4 5 6 Cit. in Umberto Eco, Lector in fabula, la cooperazione interpretativa nei testi narrativi, B ompiani, M ilano 1970, p. 113. Cit. in Gerard Genette, op. cit. p. 283. Milan Kundera, L’arte del Romanzo, Adelphi edizioni, M ilano 1988, p. 123. Rudolph Arnheim, op.cit., p. 181. 66 L’accesso alla chiesa di St. M adeleine a Vézelay, è bloccato da una colonna al centro del portale e ancora più vistosamente da un pilastro scolpito che divide in due la porta interna. Ebbene, questo pilastro interrompe, blocca, impone una pausa al visitatore che era proteso verso l’altare. Un altro esempio di accesso bloccato lo troviamo al cimitero di Zale di Plečnik a Lubiana. Qui l’accesso alla cappella principale è nascosto quasi completamente da una colonna gigante. Anche la deviazione da un percorso, riconosciuto come principale, ha l’effetto di un impedimento. Il movimento tende a raddrizzare la direzione e a eliminare ogni divergenza […]. Lo stesso succede per l’orientamento entro un edificio. Ogni deviazione da una direzione generale è difficilmente concepibile e invita alla confusione spaziale. 7 L’ingresso alla galleria di M iddleton Park di Edwin Lutyens è uno spazio orientato direzionalmente, ma, a un certo punto, un muro bianco ci impone una brusca pausa, costringendoci a deviare dal percorso. Anche archi e nicchie, costituendo un richiamo invitante, ci inducono alla sosta. Pevsner fa notare che l’Alberti, nella chiesa di Sant’Andrea a M antova, invece delle navate laterali usate fino ad allora, adottò una fila di cappelle secondarie. Esse non sono collegate tra loro, perciò vi si accede soltanto dalla navata centrale attraverso aperture che si alternano, ora alte e larghe, ora basse e anguste. Ebbene, questi ambienti secondari distraggono il visitatore dal suo movimento principale verso oriente, ritardando il raggiungimento dell’altare. Come osserva Arnheim, mentre le navate laterali guidano rigidamente il 43. C hiesa di Ste. Madeleine a Vézelay. 44. Jože P lečnik, Cim itero di Žale a Lubiana. 7 Ibidem, p. 173. 67 45. Lutyens, Middleton Park, Oxfordshire, pianta. 46. Lutyens, Middleton Park, ingresso. 47. P ercorso lineare e percorso rallentato. centri concorrenti. 8 9 visitatore come una pallina che rotola in una scanalatura, chi entra nella chiesa dell’Alberti conserva il potere di decidere se accettare o meno l’invito delle cappelle laterali a deviare, sull’uno o sull’altro lato, 8 dal suo cammino verso l’altare maggiore. Anche il transetto, in una chiesa che abbia pianta a croce latina avrebbe, secondo Arnheim, l’effetto di rallentare o fermare il percorso del visitatore. Quando l’architetto medievale ne tracciava il disegno, con la navata longitudinale incrociata da un transetto più corto, era ben consapevole di creare un edificio a forma di croce; e di questa simbolica forma erano senza dubbio coscienti anche alcuni fra coloro che frequentavano la chiesa. Ma questo sottinteso disegno non risulta come immediata evidenza a chi vi entri dal suo portale: da qui, al visitatore si presenta una vista lineare, un percorso per il suo pellegrinaggio in direzione dell’altare che è situato all’estremità opposta del canale creato dalle prospettive convergenti. Così percepita la chiesa si presenta come l’incarnazione architettonica di un sentiero, ma non realmente come un luogo in cui sostare. E quantunque assegni una collocazione ben precisa al divino da adorare e cioè all’altare, non riconosce allo stesso modo la presenza dell’uomo se non offrendogli un transito. Qui è il transetto a determinare una modifica essenziale…Quando il fedele che avanza raggiunge l’incrocio, viene fermato dalla vista del transetto. 9 L’incrocio rappresenta dunque la sosta del fedele nel suo cammino verso l’altare. Inoltre esso dà luogo ad un secondo centro oltre all’altare generando una certa ambiguità dovuta alla presenza di due Ibidem, p. 180. Ibidem, p. 106. 68 Il percorso del visitatore può anche essere ostacolato dalla presenza di una scala. Prendiamo ad esempio la scalinata di Piazza di Spagna a Roma, prova evidente di come il Barocco abbia saputo sfruttare a pieno lo stimolante gioco tra attrazione e movimento ritardato. Dopo aver salito i primi gruppi di scalini, ci si imbatte in una balaustrata, che spezza il flusso del traffico e lo devia sulla sinistra e sulla destra; il flusso si è appena ricomposto quand’ecco che viene ancora bloccato da un altro baluardo, sormontato da un obelisco. Il tutto conduce al coronamento della chiesa di Trinità dei Monti, che rappresenta la meta e l’ultima sosta.10 In generale una scala contribuisce a creare attesa, perché oltre ad essere un ostacolo in senso fisico lo è anche in senso simbolico. Chiunque si inerpichi su una scala a pioli o salga una gradinata, sente di tendere a 48. Trinità dei M onti. 49. Ricardo B ofill, La Pirámide, monum ento alla C atalogna, Le P erthus. vincere una forza contraria, che individua nel proprio corpo sotto forma di peso. Così 10 Ibidem, p. 182. 69 la soddisfazione della scalata consiste nella vittoria sulla propria inerte pesantezza in vista di un obiettivo elevato, ciò che costituisce un’esperienza inevitabilmente dotata di connotazioni simboliche. Arrampicarsi è un atto eroico e liberatorio, e l’altezza simboleggia spontaneamente cose di alto valore, mondano o spirituale.11 Ricardo Bofill nel monumento alla Catalogna chiamato La Pirámide, fa una scalinata con gradini altissimi, rendendo in questo modo la salita ancora più difficoltosa. Inoltre il tracciato del giardino che copre la piramide crea una prospettiva illusoria che fa apparire ancora più alto il tempio innalzato sulla cuspide. Qualunque scala ha il potere di ritardare il raggiungimento della meta, ma l’effetto è potenziato nella scala a chiocciola, che oltre alla difficoltà del salire, comporta un senso di spaesamento: arrivati in cima abbiamo difficoltà a ricordare la posizione da cui siamo partiti in rapporto a quella dove ora ci troviamo. 2.3.a. L’intrusione dell’autore nella narrazione Si può anche rallentare l’azione frapponendo l’ostacolo di una descrizione. La pausa descrittiva, è una momentanea sospensione dell’azione a favore della descrizione. Il narratore interrompe la successione degli avvenimenti e si fa carico di descrivere ai suoi lettori uno spettacolo che, a rigor di termini, a questo punto della storia, nessun personaggio sta guardando. I formalisti hanno chiamato questa strategia messa a nudo del procedimento e ne abbiamo, ad esempio, un uso molto disinvolto in Gautier: La marchesa abitava un appartamento separato, dove il marchese non entrava mai senza farsi annunciare. Commetteremo l’incongruenza a cui gli autori di ogni tempo non sono mai venuti meno, e senza dir nulla al valletto che sarebbe andato ad avvertire la cameriera, penetreremo nella camera da letto sicuri di non disturbare nessuno. Lo scrittore che costruisce un romanzo porta con naturalezza al dito l’anello di Gige, che rende invisibili. 12 Evidente che si tratta di una parte del romanzo di esclusiva competenza del narratore e del lettore; i personaggi nel frattempo aspettano che il racconto torni a interessarsi a loro per restituirli così alla vita. La pausa coincide in sostanza con un intervento del narratore. Questo intervento però può essere ben più forte, comportando in questo caso, oltre che il rallentamento dell’azione, anche un effetto di sorpresa e sconcerto nel lettore, di tono buffonesco e fantastico. Stiamo parlando della tecnica conosciuta come intrusione autoriale o rottura della cornice. In questi casi l’autore non si intromette semplicemente come descrittore ma proprio in quanto creatore della storia, intenzionato a mostrare i suoi artifici e il suo potere al lettore al quale infatti si rivolge direttamente. Naturalmente fa parte del suo ruolo avere una funzione di comunicazione, visto che è proprio della situazione narrativa avere due protagonisti che sono il narratore e il destinatario del racconto. Ci sono però, osserva Genette, dei narratori “conversatori”, sempre rivolti verso il pubblico quasi fossero più interessati al rapporto mantenuto con esso che al loro stesso racconto. Così il narratore, che normalmente fa parte del mondo in cui si racconta, si intromette nel mondo raccontato. Diderot scrive in Jacques le fataliste: “Chi mi potrebbe impedire di far sposare il Padrone e di renderlo becco?”. Oppure, rivolgendosi al lettore: “Se vi fa piacere, rimettiamo la contadina in groppa dietro alla sua guida, lasciamoli andare e 11 12 Ibidem , p. 45. Cit. in Gérard Genette, op. cit., cap. 2. 70 torniamo ai nostri due viaggiatori”. 13 Sterne arriva addirittura a sollecitare l’intervento del lettore, pregandolo di chiudere la porta o di aiutare il signor Shandy a tornare a letto. Altre volte l’autore, più che giocare con il destino dei personaggi, intende mostrare l’organizzazione interna del romanzo mettendo in risalto articolazioni, connessioni, interrelazioni e mostrando così la sua funzione di regia. Ad esempio scrittori come Fenimore Cooper o Thomas M ann sono molto prodighi di indicazioni di regia. “Per evitare di dare al nostro racconto un’estensione che potrebbe stancare il lettore, lo preghiamo di figurarsi che sia trascorsa una settimana dalla scena che termina il precedente capitolo e gli avvenimenti, per riferire i quali noi ci proponiamo di riprendere in questo il filo della storia”; “Il corso della nostra narrazione si ferma un minuto apposta per darci il tempo di risalire alle cause le cui conseguenze avevano portato con sé la singolare avventura di cui abbiamo appena fatto il resoconto. Non daremo a questa digressione…”. 14 “Il precedente capitolo era gonfio oltre misura, faccio bene a iniziarne un altro…”; “Il capitolo che si è appena chiuso ora, a sua volta, a mio parere è troppo gonfio…”; “Non guardo indietro e mi proibisco di contare il numero dei fogli accumulati fra i numeri romani precedenti e quelli che ho appena finito di tracciare…”. 15 Tutti i romanzieri classici non possono fare a meno di rivolgersi al lettore. Nel Settecento, ad esempio Henry Fielding tira le conclusioni del proprio capolavoro, Tom Jones, in questo modo: Siamo ora giunti, lettore, all’ultimo tratto del nostro lungo viaggio. Poiché abbiamo viaggiato assieme attraverso tante pagine, comportiamoci scambievolmente com e viaggiatori in una diligenza che hanno passato parecchi giorni in compagnia e che nonostante i litigi o le piccole animosità che possono aver avuto luogo lungo la strada, fanno pace finalmente e rimontano per l’ultima volta nel loro veicolo allegri e di buon umore; poiché, dopo questo tratto, ci può capitare, come di solito capita a loro, di non incontrarci mai più. Alla fine di Northanger Abbey, Jane Austen dà una scossa ancora più brusca ai miei lettori, che vedranno dalla concentrazione della narrazione nelle pagine avanti a loro che ci stiamo rapidamente avvicinando insieme alla perfetta felicità. O ancora Trollope, in Barchester Towers, dice: Ma non lasciamo in apprensione il nostro gentile lettore. Eleanor non è destinata a sposare Bertie Stanhope. 16 Come osserva Genette, tutti questi giochi manifestano con l’intensità dei loro effetti l’importanza del limite che essi si ingegnano di superare a scapito della verosimiglianza […], frontiera mobile ma sacra fra due mondi, quello dove si racconta, quello che si racconta. 17 L’autore può anche introdurre se stesso come personaggio marginale (ricordiamo tutti le apparizioni di Hitchcock nei suoi film come comparsa). È quanto fa ad esempio Nabokov in Re, donna, fante. Nella località di mare dove la storia raggiunge il suo culmine, il protagonista Franz, ormai coinvolto nella spirale di follia della malefica M artha, è tormentato dalla continua vista di una coppia che gli appare sempre tranquilla e felice: lui un uomo abbronzato, “elegantemente stempiato”, impegnato ad acchiappare farfalle con una retina, e la bella moglie. Altri non erano che Nabokov e la moglie Vera, anche se probabilmente non saranno stati in molti i lettori (almeno alla prima pubblicazione del romanzo, nel 1928) 13 Ibidem, p. 282. F enimore C ooper, La prateria, capp. VII, XV, cit. in Genette, op. cit., p. 305. 15 Thom as M ann, Doktor Faustus, capp. IV, V, IX, cit. in Genette, p. 305. 14 16 17 I brani di Fielding, Austen, Trollope, sono citati in D. Lodge, Il mestiere di scrivere, cit. p. 208. Gérard Genette, op. cit., p. 283. 71 ad accorgersi dello scherzo. Nabokov infatti non era ancora il più famoso lepidotterista del mondo. L’autore dunque sembra avere diverse occasioni per intervenire: ora si intromette per descrivere, ora si rivela abile manipolatore delle sorti dei personaggi, ora spiega al lettore come ha organizzato il testo, ora si fa personaggio egli stesso. Ci chiediamo: ci sono casi di ‘intrusione dell’architetto’? Può capitare all’osservatore, intento a percorrere gli spazi di un edificio, di imbattersi nei discorsi e nei chiarimenti di chi quell’edificio l’ha progettato? 2.3.b. Intrusione dell’architetto I motivi che potrebbero condurre l’architetto a ‘intromettersi’ nell’edificio che ha realizzato, non sono diversi da quelli visti per lo scrittore: mettere al corrente l’osservatore dei procedimenti seguiti nel progetto, far capire che ciò che vede non è un caso, ma è derivato da una precisa scelta, che egli ha fatto in quanto autore e che avrebbe anche potuto essere diversa. Si metterebbero in mostra in questo modo le convenzioni architettoniche e l’abilità di regia dell’architetto, il quale intervenendo si rivolgerebbe direttamente all’osservatore. Si presume che anche gli effetti di una tale pratica sarebbero gli stessi che si hanno nella narrazione: l’osservatore, non certo abituato a queste intrusioni, si sentirebbe spaesato e sorpreso, sospendendo per un momento il suo percorso per recepire il messaggio o l’avvertimento che vede rivolgersi. Ebbene, un esempio di intrusione dell’architetto, potrebbe senza dubbio essere rappresentato da quanto fa Carlo Scarpa al museo di Castelvecchio di Verona: in un punto della facciata lascia ben visibili i diversi strati di intonaco da quello più antico all’ultimo messo da lui. In questo modo sembra voler ricordare all’osservatore che si trova dinanzi a un restauro, e non a 50. Charles M oore, Piazza d’Italia a New Orleans. qualcosa di realmente antico. 18 Naturalmente non si può dimostrare che Scarpa avesse queste intenzioni, ma di fatto l’effetto che ottiene è proprio quello dell’intrusione autoriale. Altro intervento ancora più esplicito, e in cui si può ritrovare lo stesso tono buffonesco notato per l’intrusione del narratore, è rappresentato dal mascherone di Charles M oore a Piazza Italia a New Orleans. M oore è convinto che i sogni, che accompagnano tutte le 18 P aolo B ettini, “ Cinem a”, in www. unich.it/trac/lezioni/cinem a, p. 7. 72 azioni umane, debbono essere nutriti dai luoghi nei quali si vive. 19 Il mezzo più semplice e naturale per esprimere il sogno è quello di utilizzare le cose ‘memorabili’ di altri tempi e di altri luoghi. Nella piazza d’Italia che era destinata alla locale comunità italiana, egli utilizza forme storiche (un nicchione e un colonnato con i cinque ordini) e una serie di riferimenti all’Italia e alla Sicilia in particolare. Ebbene ‘intervenendo’ con il mascherone raffigurante la sua faccia, M oore sembra proprio voler dire allo spettatore di far attenzione a interpretare ciò che vede, cogliendone il tono ironico e irriverente, lo stesso tono con cui l’architetto ha concepito il suo progetto. 2.4.a. Metadiegesi narrativa Altro modo per prolungare le attese del lettore, ritardare il momento in cui potrà verificare le ipotesi fatte è quello di introdurre all’interno del racconto principale, un racconto secondario che viene chiamato racconto metadiegetico, o metaracconto o racconto di secondo grado. Il racconto metadiegetico è una forma molto antica che risale alle origini della tradizione epica. Ad esempio nell’Odissea, in quello che è il racconto di primo grado o diegesi (Omero che narra le gesta di Ulisse), si inserisce, nei canti dal IX al XII, il racconto fatto da Ulisse ai Feaci, che è appunto un racconto metadiegetico. Passando per Virgilio, Ariosto, Tasso, il procedimento (pensiamo ai racconti incastrati uno nell’altro de Le mille e una notte) entra in epoca barocca nella tradizione del romanzo rimanendovi per tutto il XVIII secolo, malgrado la concorrenza di nuove forme come il romanzo epistolare; perfino l’avvento del realismo non gli impedisce di sopravvivere in Balzac ma è nel romanzo Lord Jim che l’incastro arriva a limiti difficilmente superabili. Il racconto metadiegetico ha molto spesso una funzione esplicativa, è un pretesto per chiarire al lettore determinate situazioni. Altre volte però non conta tanto il contenuto quanto semplicemente la sua esistenza, l’atto stesso del narrare: ad esempio a Sherazade non interessa il contenuto delle sue storie, ma il poter ritardare la morte distraendo il principe. Che significato può avere il racconto metadiegetico in architettura? Si può intensificare l’attesa dell’osservatore facendo in modo che attraversi spazi dentro spazi? 2.4.b. ‘Metadiegesi architettonica’ Sono basate su una strategia simile a quella del racconto metadiegetico quelle architetture in cui una serie di spazi, via via più piccoli e sempre simili, si ripetono, come incastrati l’uno nell’altro. Forme di questo tipo sono caratteristiche del tempio egiziano. Ad esempio ad Edfu, per raggiungere lo spazio più interno e sacro del tempio, dobbiamo attraversare una serie di mura, una serie di involucri distaccati ognuno dei quali ci porterà un po’ più vicino alla meta. Come osserva Venturi, i rivestimenti esterni esaltano lo spazio interno racchiuso attribuendogli protezione e mistero.20 Un esempio noto a tutti di meccanismi del genere è dato dalle bambole di legno (ma può trattarsi anche di altri oggetti) racchiuse l’una nell’altra. La traduzione in due dimensioni di questo gioco degli incastri è rappresentata dal bassorilievo di Karnak, raffigurante porte dentro porte. 19 C . Moore, G. Allen, D. Lyndon, The Place of Houses, cit. in P aolo Portoghesi, Dopo l’architettura moderna, Laterza, B ari 1980, p. 120. 20 Robert Venturi, Complessità e contraddizioni nell’architettura, Edizioni Dedalo, B ari 1980, p. 91. 73 51. Tempio di Horus, Edfu, Egitto. 52. S ite, Door withing a door withing a door withing a door… E porte che racchiudono porte sono state progettate anche dai Site, cui certo non potevano sfuggire gli effetti narrativi e psicologici che nascono da queste forme. 53. Porte di Karnak, Egitto. 74 75 76