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A lezione di terremoti

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A lezione di terremoti
A lezione di terremoti
> A cura della commissione rischi del territorio
Ordine Ingegneri di Verona e provincia
> Testi di Davide Bertini, Silvia Bonetti, Maurizio Cossato,
Elisa Faretina, Remigio Lucchini, Giovanni Nicolò
> Coordinamento Silvia Bonetti
A Giovanni Bignardi,
ingegnere, deceduto il 29 maggio 2012
a San Felice sul Panaro
nel compimento del proprio dovere, di ingenere, di cittadino.
Indice
pag. 2
Introduzione dei presidenti
pag. 7
Storia sismica del territorio Veronese
pag.12
L’Arena e il terremoto del 1117
pag.15
I terremoti e la pericolosità sismica
pag.23
Tipologie costruttive in Verona
pag.26
Meccanismi di collasso per edifici in muratura
pag.40
Gli edifici in cemento armato e il terremoto
pag.52
Conclusioni e ringraziamenti
Introduzione
Presidente Ordine
Ingegneri di Verona
e provincia
Ing. Ilaria Segala
Nel 2003, sull’onda del dibattito tecnico e scientifico acceso dal crollo di
una scuola a S. Giuliano di Puglia, uscì la prima normativa che finalmente
introduceva la carta della zonizzazione sismica. Veniva quindi stabilito,
per legge, che tutta la penisola italiana era a rischio sismico con differenti
gradi di pericolosità.
Purtroppo alla prima ordinanza del 2003, è seguito un periodo transitorio di “non obbligatorietà” circa l’adozione delle nuove norme tecniche,
tanto che solo in seguito al terremoto dell’Aquila (2009) sono entrate
finalmente in vigore le norme antisismiche e viene da pensare che se non
ci fosse stato un nuovo devastante terremoto, probabilmente avremmo
aspettato ancora anni a vedere l’obbligo di una progettazione antisismica.
La maggior parte degli edifici costruiti, o meglio progettati, prima del
2003 non prevede quindi l’applicazione né di carichi sismici né di peculiarità costruttive adatte a garantire adeguata resistenza ai terremoti.
Purtroppo da una parte è mancato l’obbligo giuridico, dall’altra sono
sempre mancati gli incentivi economici per invogliare il privato cittadino
a verificare e certificare il proprio edificio dal punto di vista sismico, l’interesse del legislatore si è spesso concentrato sul risparmio energetico
e mai sul rischio sismico, forse molto più importante poiché interessa
l’incolumità delle persone.
Nel 2012 il terremoto dell’Emilia ha risvegliato le coscienze, tuttavia,
passato il periodo della consapevolezza e dei “buoni propositi”, come
2
spesso avviene, le immagini di distruzione trasmesse da TV e giornali
cominciano già a venir dimenticate, con il rischio che nel giro di pochi
anni una tragedia analoga ci colga nuovamente impreparati. Questa
pubblicazione vuole stimolare l’interesse di tutti ad una nuova politica
di prevenzione e di adeguamento degli edifici esistenti.
L’ordine Ingeneri di Verona ha istituito quest’anno la commissione “Rischi
del territorio”, in relazione alla necessità di diffondere anche al di fuori
delle mura dell’ordine stesso, attività di previsione e prevenzione dei rischi
del nostro territorio, con particolare risalto al rischio sismico e al rischio
idrogeologico. Dalla collaborazione della commissione con l’Associazione
Costruttori veronesi, si è sviluppato questo lavoro, pensato per i cittadini,
costruito per essere alla portata di tutti, ricco di immagini e contenuti che
stimolino l’approfondimento e la comprensione di ciascun argomento.
Adeguare il patrimonio esistente è infatti un’operazione lunga e faticosa
e richiede cooperazione tra privato cittadino e pubblica amministrazione
con uno spirito di collaborazione reale, nella convinzione che la prevenzione deve diventare un imperativo, poiché il risparmio di vite umane ed
economico prodotto da una seria prevenzione è incalcolabile!
Ing. Ilaria Segala
Presidente ordine Ingegneri Verona
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Presidente Ance Verona
Costruttori Edili
Ing. Fortunato Serpelloni
In Italia circa l’80 per cento delle abitazioni è di proprietà di chi le abita
ed in molte città oltre il 50 per cento degli edifici è stato realizzato prima
del 1980, epoca in cui l’attenzione e gli studi relativi alla problematiche in
materia di sismica non erano certamente allo stesso livello di oggi.
L’obiettivo principale di questo vademecum è quindi porre l’accento sulla
necessità di riqualificazione di gran parte del patrimonio edilizio esistente;
se infatti è ormai nota, ad esempio, la necessità di riqualificazione energetica degli edifici esistenti, dal punto di vista della resistenza agli eventi
sismici c’è un’assoluta carenza di informazioni.
Il recente terremoto dell’Emilia e, ancor prima, quello de L’Aquila, hanno messo in luce la sorprendente fragilità degli edifici (sia abitativi che
commerciali ed industriali) del nostro Paese, dovuta soprattutto ad una
sottovalutazione delle problematiche connesse alla sismica e ad una non
corretta formazione-informazione da parte di tutti i soggetti coinvolti.
Considerando che gli immobili costituiscono spesso la principale componente della ricchezza delle famiglie, è doveroso che sia posta una particolare attenzione alla loro manutenzione, che li possa conservare nel
tempo nelle migliori condizioni possibili ma, soprattutto, che li preservi da
eventuali fenomeni naturali di carattere a volte eccezionali; non dimentichiamo, infatti, che tutto il territorio della nostra Provincia è classificato
sismico (seppur con classi di rischio diversificate a seconda delle zone).
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È fondamentale che tutti (privati cittadini, professionisti, imprese e pubbliche amministrazioni) siano adeguatamente informati circa l’importanza
di un efficace intervento anche di adeguamento sismico nel momento in
cui si decide di ristrutturare un edificio (sia esso una casa, un negozio o
un edificio industriale); in questi casi è consigliabile richiedere anche una
verifica sismica del proprio edificio, soprattutto se datato.
Se la verifica evidenzia la necessità di un adeguamento, è opportuno che l’intervento sia affidato ad imprese di comprovata serietà e
competenza: una scelta legata esclusivamente al prezzo proposto
non sempre si rivela necessariamente azzeccata; la scelta dei materiali più rispondenti all’obiettivo dell’adeguamento e la sicurezza che l’intervento sia eseguito in modo corretto e professionale
devono essere tenuti nella giusta considerazione.
Ing. Fortunato Serpelloni
Presidente Ance Verona
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Ing. Davide Bertini
Storia sismica del
territorio Veronese
Il frequente manifestarsi di eventi sismici che in quest’ultimo periodo hanno riguardato da vicino sia il territorio Veronese, sia le province
limitrofe,non può essere considerato un puro fatto di cronaca attuale.
L’impatto mentale (oltre che fisico) che i terremoti hanno da sempre avuto sulla popolazione, ha portato alla registrazione di notizie attendibili
riguardanti eventi anche molto antichi. Nei maggiori centri di cultura,
infatti, già dai primi secoli dopo Cristo sono state redatte cronache degli avvenimenti più rilevanti sia descrivendoli direttamente, sia riportando
notizie raccolte. Ripercorrendo queste testimonianze tramandateci dagli
antichi è dunque possibile tracciare una sintetica cronologia degli eventi
più rilevanti che hanno interessato il nostro territorio più da vicino.
Lo studio dei terremoti che si sono susseguiti nel corso dei secoli consente,
inoltre, di affermare che il manifestarsi di eventi sismici (con conseguenze
più o meno disastrose) è una peculiarità anche del territorio Veronese e
non soltanto un episodio singolare o di così raro accadimento.
Con riferimento al territorio Veronese, è possibile individuare due zone sismicamente distinte: la prima fa riferimento all’area territoriale del Monte
Baldo (nota per essere una zona piuttosto attiva), la seconda è localizzata
in corrispondenza della Lessinia orientale.
Di seguito si ripercorreranno quelli che sono stati gli accadimenti più significativi che hanno riguardato il territorio della città di Verona e provincia.
I primi eventi sismici (testimoniati da fonti scritte) che hanno interessato
il territorio Veronese risalgono alla prima metà del III secolo d. C. (anni
238-245). In quell’occasione ci fu uno spaventoso terremoto che provocò
grandissimi danni al Teatro Romano, all’Arena e alla cinta muraria della
città, con conseguente rovina di buona parte di essi.
7
A lezione di terremoti
Alla fine dell’VIII secolo o forse agli inizi del IX (anno 793 o forse 801) vi
fu un altro evento sismico in cui Verona subì gravissimi danni con la morte
di molte persone e animali e con il crollo di numerose case.
Il 3 gennaio del 1117, la violenza delle onde sismiche fece aprire delle
voragini nel suolo e distrusse quasi tutta la città di Verona, specialmente
gli edifici più significativi e cari ai Veronesi.
Oltre al crollo dell’anello esterno dell’Arena, di cui rimase solo la cosiddetta “Ala”, caddero quasi tutte le chiese ed i maggiori monasteri.
Gli effetti di quel terremoto ebbero le seguenti ripercussioni in quanto:
- la quota del piano campagna risultò più alta per l’accumulo di macerie;
- le ricostruzioni avvennero in maniera rapida e senza piani prestabiliti;
- l’ampliamento di alcune chiese che vennero ricostruite comportò la
chiusura di qualche vecchia strada.
Ritornando alla cronologia degli eventi sismici, i primi giorni di gennaio
dell’anno 1183 ci fu un altro violento terremoto che rase al suolo molte
case e che interessò ancora una volta l’Arena.
Il giorno 25 dicembre del 1222, un sisma con epicentro localizzato a Brescia si propagò fino a Lazise (distruggendo molte abitazioni) e raggiunse
anche Marano di Valpolicella dove causò il crollo dell’antico castello.
Ancora a Verona, il 20 luglio del 1277, furono percepite molte scosse
che causarono la morte di molte persone ed il crollo di parecchi edifici
cittadini.
Interessante da ricordare è pure l’evento del 25 gennaio del 1348: le
cronache dell’epoca riportano che questo terremoto si abbatté rovinosamente sulla città di Verona causando il crollo di 7 abitazioni e lesionando
molti edifici. Questo evento fu datato anche dal poeta Francesco Petrarca
che in quell’occasione si trovava in visita a Verona.
Numerosi eventi sismici interessarono la città di Verona durante il corso di
tutto il XV secolo.
Il 26 marzo 1511 a Verona vi fu un violentissimo sisma: rovinarono molti
camini e vi fu molto panico. In seguito a quell’evento, i primi di giugno,
crollò gran parte del Palazzo dei Giudici ubicato a Sud-Ovest della Piazza
dei Signori verso la Torre dei Lamberti. Ancora oggi sulla facciata di NordEst del palazzo è collocata una lapide in ricordo dello storico evento.
Dopo un periodo di relativa tregua in cui si sono manifestati fenomeni
di lieve entità (senza peraltro arrecare danni significativi), da ricordare è
senz’altro il terremoto del febbraio del 1695 che colpì fortemente il territorio Veronese al suo confine con il vicentino.
In seguito, un periodo sismico della durata di due mesi, i primi dell’anno
1703, interessò le falde del Monte Baldo (Brenzone, Cassone e Malcesine).
Tra gli eventi sismici che si sono manifestati nel territorio Veronese, occorre ricordare l’evento del primo maggio del 1810. Una fortissima scossa
di terremoto urtò le falde occidentali del Monte Baldo e venne avvertita
sia sulla sponda orientale sia su quella occidentale del Lago di Garda. Du8
Storia sismica del territorio Veronese
rante questo evento le acque del Lago si intorpidirono fortemente e nella
piazza di Malcesine si formò una fessura avente una lunghezza di 200
metri ed una larghezza di circa 20 cm.
Anche il 15 ottobre del 1841 la provincia Veronese fu interessata da un
terremoto che arrecò danni nella zona di Sanguinetto, Nogara, Cerea,
Casaleone, Concamarise e Gazzo. Scosse, ma meno forti, furono avvertite anche a Bovolone, Isola della Scala e Bonferraro.
Il giorno 29 giugno del 1873, alle ore 04:58 tre forti scosse colpirono Verona causando il distacco di porzioni di soffitto nel Duomo e nella Chiesa
dei SS. Nazaro e Celso. Il terremoto fu sentito molto intensamente nella
catena dei Monti Lessini (Val d’Alpone, Val d’Illasi, Valpantena, Valpolicella e Val d’Adige). Fu avvertito fortissimo anche in tutta la catena del
Monte Baldo e sulle rive del Lago di Garda. Per la forte compressione e
dilatazione del suolo, nelle campagne veronesi molti corsi d’acqua “urlarono” fortemente. Alle Terme di Giunone di Caldiero si sprigionarono
copiose e grosse bolle di gas. Nel Laghetto di Squarà a Montorio le acque
si sollevarono a grande altezza.
Dopo gli eventi appena descritti, nel Veronese non si registrarono fenomeni di rilievo fino alla notte del 7 giugno del 1891 quando alle ore 2.04
un forte terremoto portò rovina e distruzione nelle valli di Illasi, Mezzane,
Cazzano, Alpone e Chiampo. La durata della scossa fu di una decina
di secondi e provocò il crollo totale di 42 abitazioni (oltre alle 25 che
risultarono totalmente inagibili, alle 40 parzialmente inagibili e alle 322
lesionate).
Il 9 febbraio 1894 un altro intenso terremoto colpì la zona di Badia Calavena alle ore 13:35 circa. La scossa della durata di pochi secondi portò
alla formazione di nuove lesioni nelle murature delle abitazioni e venne
avvertita con forte intensità nelle località di Bosco Chiesanuova, Velo Veronese, Tregnago, Crespadoro, nelle vallate di Mezzane, Tramigna, Alpone, Chiampo, Adige ed in tutta la catena del Monte Baldo.
Il 19 febbraio del 1932 un prolungato sciame sismico interessò la zona
del Monte Baldo meridionale sulla piana di Rivoli - Costermano - Caprino
con scosse più o meno sensibili. A Garda e Costermano (probabile area
epicentrale) la violenta scossa durò vari secondi e provocò la caduta di
comignoli, calcinacci e crepacci con lesioni varie nelle case.
Il 15 luglio del 1971, un violento terremoto che mise in allarme tutta l’Italia Settentrionale causò un pesante bilancio di danni nelle zone di Parma,
Piacenza, Bologna e Reggio Emilia. La scossa più forte (avvenuta alle ore
03:35 e seguita da altre alle ore 02:33 e 10:17) venne nettamente avvertita anche a Verona. A San Bonifacio fece crollare parte del secondo piano
in uno stabile di Corso Venezia.
Non si può poi non ricordare l’evento del 6 maggio del 1976. Un violentissimo terremoto colpì il Friuli attorno alle ore 21 circa provocando ingenti
danni, morti, feriti e migliaia di senzatetto. I comuni dichiarati disastrati
furono 41, quelli gravemente danneggiati 45, quelli danneggiati 32. I
morti risultarono circa 1.000 e i senzatetto circa 150.000.
Leggeri danni (caduta di qualche pietra e lesioni) si riscontrarono anche
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A lezione di terremoti
10
nella città di Verona. In gran parte della provincia ci furono danni che riguardarono i comuni di Bosco Chiesanuova, Bovolone, Caldiero, Belfiore,
Poiano di Valpantena, Dolcé, Cologna Veneta, Colognola ai Colli, San
Giovanni Ilarione, Tregnago, Vigasio, San Giovanni Lupatoto, Legnago,
ecc.
Tornando al Friuli, il giorno 11 settembre vi fu un nuovo terremoto con
due violente scosse alle ore 18:31 e 18:35 a cui seguirono le tre del 15
settembre alle ore 05:15, 06:40 e 11:23 con conseguenti morti, crolli
e panico. A Verona e in provincia il fenomeno fu avvertito dalla quasi
totalità degli abitanti. Le zone dove il fenomeno fu maggiormente percepito furono la fascia collinare, la zona montana e, solo in parte, la bassa
pianura. Il centro storico della città subì ulteriori danni seppur di modesta
entità. Per i danni in provincia occorre citare la chiesa di Tombazosana in
comune di Ronco all’Adige dove la parte terminale de campanile rimase
lesionata.
Compiendo un balzo temporale di qualche decennio, per giungere finalmente a parlare di eventi legati alla cronaca degli ultimi anni, occorre
ricordare il terremoto del 24 novembre 2004 localizzato a Salò, sulla riva
sinistra del Lago di Garda, avvertito anche a Verona. Infine, venendo al
2012, è sicuramente una conseguenza dei recenti eventi sismici se il manifestarsi di un terremoto sia diventato un tema di attualità.
Il 25 gennaio 2012 alle ore 00:54 è stato registrato un terremoto a circa
11 km più a Nord della città di Verona, nel distretto sismico delle Prealpi
Venete tra Negrar e Grezzana, con ipocentro alla profondità di 10.3 km. I
comuni più vicini sono all’epicentro sono stati: Bosco Chiesanuova, Cerro
Veronese, Fumane, Grezzana, Marano di Valpolicella, Sant’Ambrogio di
Valpolicella, Negrar, San Pietro in Cariano e Sant’Anna d’Alfaedo. Fortunatamente i danni riscontrati sono stati piuttosto modesti.
Da ultimo, evidentemente per una sola questione cronologica, occorre
menzionare gli eventi sismici del 20 e 29 maggio 2012 che si sono manifestati in Emilia Romagna e che hanno avuto ripercussioni anche sul
territorio Veronese più prossimo alle zone epicentrali.
Il terremoto dell’Emilia è stato un tragico evento, localizzato nel distretto
sismico della Pianura Padana Emiliana, che ha creato distruzione, panico
e disagi prevalentemente nelle province di Modena, Ferrara, Mantova,
Reggio Emilia, Bologna e Rovigo. In totale le vittime sono state 27 (22 nei
crolli, 3 per infarto o malore e 2 per ferite riportate).
Seppur in misura minore, le scosse sono state avvertite distintamente anche a Verona. In particolare, il terremoto ha creato forti preoccupazioni e
qualche danno nei territori dei comuni di Legnago, Castagnaro e Terrazzo
(aree del territorio provinciale più vicine ai confini con le zone direttamente interessate dagli eventi). È dunque comprensibile che, nel caso in cui
si manifesti un evento imprevedibile qual è il terremoto, le persone siano
prese dal panico e reagiscano istintivamente in maniera disorganizzata
senza l’abituale schema mentale. A tal proposito, nel 1349, il Petrarca,
forse in seguito all’episodio verificatosi a Verona nel 1348 che lo vide
testimone, delineò nel Dialogo 91 del Secretum questo stato di impo-
Storia sismica del territorio Veronese
tenza della natura umana di fronte ad un evento sismico scrivendo: “Ai
terremoti non v’è rimedio alcuno. Se il cielo ci minaccia con le folgori,
pure si trova scampo nelle caverne […] ma contro i terremoti non vale
la fuga, non giovano nascondigli”. Tanto è facile, tuttavia, essere travolti
dalla paura che caratterizza il momento di emergenza e quelli immediatamente successivi, tanto viene naturale non conservare un vivo ricordo
degli eventi dopo poco dal ristabilirsi delle normali condizioni di sicurezza.
Questa capacità di dimenticare facendo in modo che il sisma diventi solo
un ricordo è necessaria per non vivere perennemente in una condizione
di apprensione.
D’altro canto, però, senza voler provocare con questa affermazione alcun
tipo di allarmismo, è sempre opportuno tenere ben presente che, come
altri, anche il territorio Veronese appartiene ad un’area sismicamente attiva. Ciò a significare che se in passato è stato interessato da eventi sismici,
lo sarà anche in futuro, benchè ad oggi la scienza non abbia ancora fornito strumenti per stabilire con certezza quando e come si manifesteranno i prossimi eventi.
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Ing. Elisa Faretina
L’Arena e il terremoto
del 1117
L’anfiteatro o Arena rappresenta, nella documentazione monumentale
di Verona romana, l’opera architettonica senza dubbio più imponente
e complessa al punto di esserne riconosciuta come insegna e simbolo
della città. Fu edificata tra il secondo e il terzo decennio del I secolo d.C.
all’esterno della linea delle mura tardo repubblicane, il suo asse maggiore
è all’incirca parallelo al cardine massimo (attuale via Cappello), probabilmente per ragioni di coerenza urbanistica. L’Arena poteva contenere
circa 30.000 spettatori che affollavano le gradinate per assistere ai giochi
gladiatori, a caccie o più in generale a lotte contro animali esotici o di
uomini contro uomini; gli spettacoli più cruenti vennero poi abbandonati
con il Cristianesimo.
I maggiori danni subiti dal monumento vanno attribuiti a cause naturali:
il terremoto del 3 gennaio 1117 colpì duramente la città di Verona e recò
gravi lesioni alla struttura dell’Arena ma anche ad altri importanti edifici
della città. A questo evento sismico va attribuito il crollo di gran parte del
coronamento esterno dell’Arena di cui oggi resta solo un’ultima e affascinante testimonianza: quella che i veronesi chiamano “Ala”. Dell’originario coronamento esterno sono sopravvissuti, di fatto, solo cinque piloni e
quattro archi per ciascuno dei tre ordini di cui si compone. Prima del crollo
l’anello esterno era collegato al corpo centrale dell’Arena attraverso volte
anulari che in origine coprivano il portico del pianterreno e la galleria
superiore. Dall’esterno l’effetto d’insieme doveva sicuramente suscitare
nell’osservatore un senso di maggior verticalità rispetto a quello attuale.
L’autonomia statica dell’Ala rispetto al resto dell’Arena (tuttora strutturalmente massiva e unitaria) l’ha resa probabilmente più vulnerabile agli
12
Vista attuale dell’Arena
Particolare dell’Ala
eventi sismici, che ne hanno di conseguenza compromesso la stabilità.
Nel corso della prima metà del XX secolo, l’Ala ha suscitato per molti anni
preoccupazione per le sue condizioni statiche poiché essa, che nel tempo
è rimasta per i due ordini superiori non collegata al resto della struttura,
presentava un forte strapiombo verso l’esterno. Ma a destare preoccupazione era la reale possibilità di un peggioramento delle condizioni statiche
nel caso si fosse verificato un nuovo evento sismico.
Fin dal 1939 si era studiata l’eventualità dello smontaggio di tutto l’ordine
superiore, la successiva sua ricostruzione e la realizzazione, all’altezza del
secondo ordine, di una volta in calcestruzzo armato che collegasse l’Ala
al corpo principale dell’Arena. Tale intervento, che fortunatamente non fu
mai realizzato a causa della guerra, avrebbe arrecato danni irreversibili al
manufatto. La struttura, nell’eventualità di bombardamenti, fu così munita di speroni in muratura di carattere provvisorio.
Il tema del consolidamento dell’Ala e la demolizione degli speroni venne
ripreso nel 1952 dalla Soprintendenza che, per non alterare il tradizionale
aspetto della struttura, ritenne di scartare la soluzione del 1939 con la
volta di collegamento in calcestruzzo e si orientò verso il consolidamento
per mezzo di ossature in cemento armato nascoste all’interno della massa
dei blocchi di pietra ottenuto grazie allo smontaggio e la ricomposizione
degli stessi. Tale progetto venne approvato con modifiche dalla Direzione
Generale delle Belle Arti; ma di fronte all’esecuzione pratica, di dover
togliere dal loro secolare posto tanti massi di pietra, di rilavorarli, sia pure
solo all’interno, e di ricollocarli in opera, si manifestò la preoccupazione
che tale intervento avrebbe, a conti fatti, recato poco vantaggio a causa
13
A lezione di terremoti
14
Contrafforti di consolidamento in muratura rimossi in seguito
all’intervento di consolidamento progettato dall’ing. Riccardo Morandi
dello scarso rispetto verso la compattezza e solidità dei blocchi stessi.
Da queste preoccupazioni, e allo scopo di evitare la manomissione del
monumento, nacque l’idea di rafforzare l’Ala mediante la perforazione in
sito dei pilastri, evitando così ogni demolizione (eccetto quella degli ultimi
due corsi) e l’introduzione, nei vari fori di un’anima metallica. Il rinforzo fu
effettuato nel 1954 mediante la precompressione dei piloni in muratura
su progetto, a suo tempo pioneristico, dell’ing. Riccardo Morandi e fu tale
da diminuire l’originario strapiombo dell’Ala.
Come afferma lo stesso ing. Morandi, durante la pretensione dei cavi,
l’Ala essendosi deformata a seguito dell’applicazione dello sforzo, si è
distaccata dai retrostanti speroni che sono stati in seguito facilmente demoliti in quanto ormai completamente indipendenti dalla struttura.
Immagini dell’intervento di rafforzamento
Tratte dalla seguente pubblicazione: Morandi R. (1956). “Il rafforzamento dell’Ala dell’Arena di Verona
mediante precompressione”, L’industria Italiana del Cemento, Anno XXVI, n.2, Febbraio 1956, pp. 39-41.
Ing. Silvia Bonetti
I terremoti e la
pericolosità sismica
I terremoti sono il risultato più evidente della continua evoluzione geomorfologica del nostro pianeta. Secondo la Teoria della “Tettonica a Placche”, la superficie terrestre è suddivisibile in grandi zolle, che alla stregua
di zatteroni su uno specchio d’acqua, si muovono spinte dai movimenti
convettivi della zona sottostante, denominata “mantello”.
Nella figura seguente sono evidenziate le più grandi zolle che caratterizzano il pianeta.
15
A lezione di terremoti
16
Nelle zone di contatto denominate faglie, a causa dei movimenti relativi
tra zolle adiacenti, si determinano forti tensioni che, incrementandosi nel
tempo, portano a rotture violente, allorquando le resistenze e gli attriti
interni delle rocce risultano inferiori alle sollecitazioni.
La rottura di un fronte di faglia determina lo sviluppo dal punto di rottura
in profondità, denominato “Ipocentro”, verso la superficie di onde sismiche, modellabili grossolanamente in due tipologie: onde di compressione
e onde di taglio. Le onde sismiche altro non sono quindi che movimenti
del terreno, caratterizzati come tutti gli oggetti in moto da accelerazione
e velocità. Le onde di compressione sono le più veloci e le meno intense
e arrivano per prime sulla superficie terrestre. Le onde di taglio, sono più
lente ma molto più intense e generalmente responsabili degli effetti distruttivi dei terremoti.
Si riporta di seguito un elaborazione dell’accelegramma di una scossa
registrata durante lo sciame che ha interessato il Friuli del 1976, elaborazione tratta dal programma Sismosignal.
Come si vede la prima parte del diagramma presenta piccole onde sismiche di intensità contenuta. Si tratta di onde di compressione che,
come detto sopra, giungono sulla superficie terrestre con uno leggero
sfasamento rispetto alle pericolose onde di taglio. Successivamente, il diagramma presenta infatti un rapido incremento con valori decisamente
più elevati. Gli accelerogrammi vengono utilizzati dai sismologhi e dai
geofisici per interpretare le diverse peculiarità dei terremoti, e sono uno
strumento importantissimo in quanto correlano ciascun terremoto con le
grandezze fisiche dello “Spostamento”, della “Velocità” e della “Accelerazione”. È grazie all’analisi di tali diagrammi e all’elaborazione di ulteriori
grafici denominati “spettri” che gli ingegneri modellano i terremoti di
progetto per effettuare calcoli e verifiche di edifici e strutture.
Generalmente quando si parla intensità di un terremoto però, non vengono mai menzionate grandezze fisiche come l’accelerazione o lo spostamento, si è soliti invece utilizzare il termine “Magnitudo” e intuitivamente si associa la violenza di un terremoto con il valore della magnitudo
stessa. In realtà tale associazione è abbastanza semplicistica e incompleta,
poiché la violenza di un terremoto dipende da molteplici fattori che il solo
valore di magnitudo non può riassumere. Importantissima infatti è la pro-
I
strumentale
Scossa rilevata solo dai sismografi installati sopra l’epicentro.
II
leggerissima
Scossa rilevata dai sismografi installati a pochi chilometri
dall’epicentro. Non viene avvertita dalla popolazione.
III
leggera
Scossa considerata generalmente di assestamento, rilevata dai
sismografi ubicati in un raggio di circa 10 chilometri dall’epicentro.
Normalmente non viene percepita dalla popolazione.
IV
mediocre
Scossa percepita solo ai piani più alti degli edifici, e rilevata dai
sismografi posti a una distanza non superiore ai 100 chilometri.
I terremoti e la pericolosità sismica
fondità dell’Ipocentro, a parità di magnitudo infatti, tanto più l’ipocentro
è collocato in profondità, tanto meno intenso sarà il tremore avvertito in
superficie. Altri fattori importanti sono i così detti “effetti di sito”, come
la conformazione orografica della zona o le caratteristiche del terreno,
che possono a seconda dei casi, incrementare gli effetti di scuotimento
del terremoto. Altro fattore importante poi è il contenuto in frequenza
delle onde sismiche che in certi casi (come si è verificato nel terremoto di
Città del Messico del 1985) può ingenerare effetti di risonanza con conseguenze distruttive.
È opportuno tuttavia dare alcune delucidazioni sulla Magnitudo e sui metodi di rilevazione: In sismologia la magnitudo di un terremoto è una
grandezza fisica (adimensionale) che individua mediante misurazioni, la
cosiddetta intensità del terremoto, in modo indipendente dalla profondità dalla distanza e dagli effetti macrosimici riscontrati.
Fino a qualche anno fa in Italia ma non solo, i terremoti venivano classificati mediante la “Scala Mercalli” Una scala di valori crescenti, che correlava l’intensità di un evento con i danni riscontrati in prossimità dell’epicentro: la cosiddetta intensità “Macrosismica”.
La scala Mercalli, sotto riportata, come si nota, non può però fornire un
valore oggettivo della violenza del terremoto perché è strettamente correlata con le peculiarità del tessuto edilizio del sito. La possibilità che un
determinato edificio subisca un danno severo, infatti, dipende intrinsecamente dalle modalità costruttive dell’edificio stesso e, di conseguenza
terremoti della stessa violenza accaduti in luoghi differenti, determinano
danni totalmente differenti. La scala Mercalli, se da una parte ha permesso la catalogazione dei terremoti storici, sulla base delle cronache
dell’epoca che elencavano i livelli di distruzione e danneggiamento, ora è
stata del tutto abbandonata e i terremoti vengono misurati mediante la
“Scala Richter”.
Si riporta di seguito la vecchia catalogazione prevista dalla scala Mercalli.
17
A lezione di terremoti
18
V
forte
Scossa che riesce a far oscillare i lampadari e far cadere qualche
soprammobile nella zona direttamente interessata. Viene rilevata
dai sismografi in un raggio di 200 chilometri dall’epicentro.
VI
molto forte
Scossa che provoca crepe nelle pareti e giunge a far suonare le
campane a causa dell’oscillazione della struttura dei campanili.
Rilevata dai sismografi distanti fino a 600 chilometri dall’epicentro.
VII fortissima
Scossa che può far crollare qualche edificio e provocare vittime.
I sismografi la rilevano anche a distanza di 1000 chilometri
dall’epicentro.
VIII rovinosa
Scossa che provoca crepe sul terreno, il crollo di diversi edifici,
di campanili e che può provocare la caduta di massi dalle pareti
delle montagne.
IX
disastrosa
Crolla il 60% degli edifici. Nei laghi l’acqua si intorbidisce e si
formano delle onde che si infrangono con forza sulla riva. Lo
stesso dicasi per le acque dei mari.
X
Distruzione totale degli edifici. Le rotaie dei treni si deformano,
disastrosissima i ponti e le dighe possono crollare. Nel terreno si aprono larghe
crepe.
XI
catastrofica
Catastrofe. I rilievi franano a valle e si aprono crateri nel terreno.
XII
grande
catastrofe
Distruzione di tutto quanto esiste in superficie in un raggio di 2030 chilometri dall’epicentro.
La scala Richter usata attualmente, molto più complessa come elaborazione, consente di determinare l’intensità globale di un terremoto mediante
misurazioni strumentali dirette dell’energia globale dissipata dall’evento.
Risulta quindi del tutto indipendente sia dall’entità del danno provocato,
sia dagli effetti di “amplificazione locale” accennati in precedenza.
La “Pericolosità Sismica”
L’azione sismica attraverso la quale gli ingegneri progettano gli edifici
o valutano la sicurezza di quelli esistenti è definita come “Pericolosità
sismica di base”. La Norme Italiana vigente stabilisce una serie di valori
numerici da associare alla pericolosità sismica di base, in base a tali valori
è quindi possibile costruire il modello del terremoto di rifermento su cui
effettuare tutte le calcolazioni.
Uno dei valori fondamentali per la determinazione della pericolosità sismica è “Accelerazione orizzontale di picco”. È un parametro molto importante perché definisce l’accelerazione del terreno sollecitato da un terremoto. Per stabilire l’accelerazione orizzontale di picco, detta anche PGA
I terremoti e la pericolosità sismica
utilizzando un acronimo inglese (Peak Ground Acceleration), l’Istituto di
geofisica e vulcanologia, (INGV) ha elaborato uno studio molto complesso su tutto il territorio nazionale. È stato creato un reticolo con maglia di
10 km per lato esteso a tutta la penisola. Per ogni nodo del reticolo sono
stati valutati tutti i terremoti storici e in base a modelli statistici sono stati
elaborati diversi valori di accelerazione, correlati con diversi “Periodi di
Ritorno”
Cerchiamo ora di comprendere cosa sia il “Periodo di ritorno”. Poiché
i terremoti, come ben si sa, non sono ne prevedibili ne determinabili in
modo analitico, è impossibile elaborare un unico valore della accelerazione di picco, quanto piuttosto una serie di valori con approccio probabilistico, dipendenti da quelle che gli statistici chiamano “variabili temporali”.
Intuitivamente la questione è abbastanza semplice: supponiamo di prendere tre periodi di riferimento di 50, 100 e 500 anni. Analizzando i dati
storici di una determinata località, supponiamo di scoprire che siano avvenuti 3 terremoti di magnitudo 4 negli ultimi 50 anni. A questi aggiungiamo un terremoto di magnitudo 5 registrato negli ultimi 100 anni e
altri due terremoti di magnitudo 7 registrati negli ultimi 500 anni. Come
si vede più si aumenta il periodo di riferimento, più su base storica, si ha
la probabilità di individuare eventi di magnitudo elevata e comunque un
numero di eventi crescente.
L’INGV quindi, prima di definire le accelerazioni ha individuato diversi
periodi temporali di riferimento, rispetto a ciascuno dei quali viene definita una accelerazione di picco. Naturalmente per ciascun periodo di
riferimento si parlerà di “probabilità” che una determinata accelerazione
possa essere superata, poiché, si ribadisce, i terremoti sono imprevedibili.
I periodi di riferimento che solitamente si usano per i progetti delle strutture comuni sono i seguenti:
· Tempo di ritorno Tr pari a 30 anni
· Tempo di ritorno Tr pari a 50 anni
· Tempo di ritorno Tr pari a 475 anni
· Tempo di ritorno Tr pari a 975 anni.
Aumentando il tempo di ritorno aumenta la probabilità di riscontrare, su
base storica, un terremoto di grande violenza, e per ciascuno dei tempi di
ritorno definiti in precedenza l’INGV fornisce quindi valori di accelerazione di picco crescenti.
Quando si progetta un edificio, o si effettua una valutazione di un edificio
esistente, il calcolatore progettista stabilisce, in accordo con le normative
vigenti, un elemento importantissimo detto “Vita utile” della struttura.
Per gli edifici ordinari il valore di vita utile è pari a 50 anni. Per gli edifici
con classe di importanza maggiore, come ad esempio, le scuole, gli ospedali o le vie di comunicazione, il valore di vita utile si incrementa.
19
A lezione di terremoti
20
In relazione al valore di vita utile viene quindi stabilito, mediante relazioni
matematiche, il tempo di ritorno dell’azione sismica utilizzata nel progetto, e di conseguenza la “Severità” del terremoto di progetto.
Per la progettazione di un edificio destinato a civile abitazione, la cui vita
utile come detto è 50 anni, i valori di accelerazione di progetto fanno
riferimento a tempi di ritorno di 475 anni. Per progettare invece edifici
strategici si utilizzano valori relativi a tempi di ritorno maggiori. Si riportano di seguito, dal sito dell’ INGV, le mappe di pericolosità sismica del
territorio nazionale per Tempi di ritorno pari a 475 e 975 anni. Come si
nota la severità dell’evento di progetto con tempi di ritorno maggiori
risulta molto più elevata.
Valori di accelerazione per tempi di ritorno di 475 anni (probabilità
superamento 10% in 50 anni) espressi in in “Frazione di g” dove
g è l’accelerazione gravitazionale pari a 9,806 m/sec2.
Il rischio sismico e la vulnerabilità sismica
Con rischio sismico si intendono tutti quei fattori che concorrono direttamente o indirettamente alla determinazione dell’entità dei danni possibili provocati da un terremoto in un determinato sito.
I terremoti e la pericolosità sismica
Valori di accelerazione per tempi di ritorno di 975 anni
(probabilità superamento 2% in 50 anni) espressi in in “Frazione
di g” dove g è l’accelerazione gravitazionale pari a 9,806 m/sec2.
Il rischio sismico quindi è una proprietà macroscopica e generale che ingloba molteplicità di fattori. Generalizzando il rischio sismico può essere
definito come il prodotto di 3 fattori.
R (rischio) = P x V x E
Dove:
· P rappresenta la Pericolosità sismica di base secondo quanto espresso nel paragrafo precedente.
· V rappresenta la Vulnerabilità, ossia la propensione di una struttura a
subire un danno a fronte di un evento sismico di determinata intensità.
· E indica l’Esposizione. Si tratta di un valore macroeconomico che rappresenta tutta una serie di parametri eventualmente correlati con il danneggiamento di edifici sul territorio. I valori sono di carattere sociale,
storico, logistico, ambientale, artistico etc. e dipendono intrinsecamen21
A lezione di terremoti
22
te con le peculiarità del tessuto urbano. Nell’ambito della valutazione
dell’esposizione entrano a far parte anche tutte le valutazioni di carattere economico correlate con i costi per le riparazioni e le ricostruzioni, o eventuali costi sociali connessi con il mancato utilizzo di strutture
strategiche lesionate dal terremoto.
Per la determinazione della vulnerabilità si opera nel modo seguente:
La vulnerabilità quindi è fornita dal rapporto tra l’accelerazione che determina un limite (sia limite di rottura che limite di spostamento) e l’accelerazione di progetto o PGA associata alla pericolosità sismica di base.
Tale rapporto deve essere maggiore di 1, altrimenti la struttura o l’edificio
richiedono un “Adeguamento sismico”, una sorta di messa in sicurezza.
Alla vulnerabilità e all’estensione del danno sono associati la perdita di
funzionalità che la struttura potrebbe subire in relazione all’evento o l’eventuale pericolo di collasso con la conseguenza perdita di vite umane.
Chiaramente per un edificio strategico, come può essere un ospedale
o un’importante via di comunicazione, la valutazione della vulnerabilità
deve tener conto anche delle conseguenze correlate con l’impossibilità
dell’utilizzo della struttura in seguito ad un terremoto, per questo motivo
le analisi di vulnerabilità sismica di edifici strategici hanno importanza
fondamentale anche nella redazione di piani di protezione Civile per la
elaborazione degli scenari di danno.
Ing. Maurizio Cossato
Tipologie costruttive
in Verona
Nel passato le costruzioni usavano prevalentemente materiali presenti nel territorio. La nostra città si trova al limite della pianura ed in vicinanza delle zone
collinari ricche di materiali
lapidei di diverse caratteristiche.
A Verona quindi fin dai
tempi più antichi si usavano pietre e tufo locale ed
anche mattoni in laterizio.
Esempi tipici di costruzioni
in pietra realizzate in antichità sono, come noto a
tutti, l’Arena, il teatro romano, porta Borsari, porta
Leona, e la parte romana
del ponte pietra. Tra gli
ultimi due esempi citati
porta Leona ad esempio
comprendeva ampie porzioni non in pietra ma in
mattoni utilizzati già in
epoca romana, mentre il
ponte pietra comprende
la porzione medievale con
uso di paramenti in mattoni.
“Porta Leona” - Verona
23
A lezione di terremoti
24
“Ponte Pietra” - Verona
Importanti esempi di opere in mattoni sono il ponte di Castelvecchio e la torre
dei Lamberti. L’edilizia minore fino all’avvento del calcestruzzo armato utilizzava
il pietrame di tufo listato con corsi in mattoni intonacando le superfici esterne.
Gli orizzontamenti erano prevalentemente in legno.
Nel 1900 dopo la prima guerra mondiale le costruzioni minori erano ancora in
muratura ma gli orizzontamenti erano costruiti anche con materiale metallico
(putrelle) e laterizio. Rare erano le costruzioni integralmente in calcestruzzo armato.
Spesso si avevano tipologie con murature perimetrali in pietrame e strutture interne costituite da travi e pilastri in cemento armato.
Con la ricostruzione postbellica si è passati rapidamente a costruzioni integralmente in cemento armato.
Poi la muratura portante è stata abbandonata.
Pochi edifici residenziali e commerciali nella Verona storica sono stati realizzati
con struttura metallica. Un esempio tipico è il fabbricato Coin in via Cappello.
In periferia l’edilizia industriale e commerciale che privilegiava sistemi voltati in
laterizio si è successivamente evoluta utilizzando la prefabbricazione, sia quella
pesante in c.a. sia quella leggera in carpenteria metallica.
Il legno lamellare più recentemente è entrato tra le tipologie costruttive in uso,
prevalentemente per la costruzione di palestre e di edifici sportivi.
Tipologie costruttive in Verona
Fabbricato “Coin”, Via cappello - Verona
25
Ing. Remigio Lucchini
Ing. Davide Bertini
Meccanismi di collasso
per edifici in muratura
L’analisi del comportamento sismico degli edifici esistenti è caratterizzata
da significativi margini di incertezza che dipendono dal livello di
conoscenza delle caratteristiche meccaniche dei materiali e, soprattutto,
dall’effettiva organizzazione delle strutture: i danni rilevati dopo gli
eventi sismici mostrano che il terremoto tende a selezionare gli elementi
strutturali più deboli.
Un edificio è composto di molte parti: pareti perimetrali, divisori interni,
solai, scale, tetto eccetera. Ognuno di questi elementi ha una funzione
specifica, strutturale o non strutturale. Elementi non strutturali sono quelli
cui non si affidano compiti “di sostegno” di altri elementi. Gli elementi
strutturali invece sono quelli che contribuiscono a trasferire i carichi
(ovvero i pesi delle varie parti di un edificio) a partire dalla copertura,
scendendo poi in ordine dai piani superiori via via ai piani inferiori,
fino alle fondazioni e quindi al terreno. Risulta evidente dunque che il
danneggiamento degli elementi non strutturali non comporta alcun
rischio per la stabilità dell’intero edificio. Al contrario, il danneggiamento
degli elementi strutturali può determinare un serio problema per l’intera
struttura.
Gli elementi strutturali si distinguono in orizzontali e verticali. In particolare,
i verticali (tipicamente pareti e pilastri) “raccolgono” i carichi supportati
dagli elementi orizzontali (tipicamente solai e travi) e li trasferiscono
dall’alto verso il basso scaricandoli poi alle fondazioni e quindi a terra.
Il sistema di elementi strutturali accoppiati tra loro costituisce quindi
l’ossatura portante dell’edificio, lo “scheletro” che permette al tutto di
rimanere “in piedi”.
26
pubblicitaria
All’avanguardia nell’edilizia, bioedilizia,
sistemi di isolamento termico ed acustico
Il Gruppo STEA è un gruppo di rivendite di materiali edili che nasce nel 1998
dall’iniziativa di alcuni imprenditori del settore del commercio di materiale per
l’edilizia, operanti già da molti anni nelle province di Verona, Vicenza e Padova.
Spinti dal bisogno di aumentare la qualità e il valore della propria offerta,
uniscono le proprie forze per acquisire una posizione di leadership e
rappresentare un punto di riferimento nel difficile mercato dell’edilizia, sia
per le imprese di costruzione che per i tecnici ed i progettisti.
informazione
Per perseguire questi obiettivi, STEA seleziona sul mercato i migliori fornitori
di materiale edile, marchi leader per innovazione tecnologica, capacità di
sviluppo e caratterizzati da un rapporto qualità-prezzo ottimale, facendoli
diventare propri partner.
In tal modo STEA mette a disposizione dei propri clienti i prodotti più
performanti, offrendo anche preziosi servizi di consulenza tecnica in merito alle
diverse problematiche che si affrontano nella realizzazione o ristrutturazione
di un edificio.
Il Gruppo STEA ha studiato alcuni pacchetti e soluzioni costruttive, come
i Sistemi Tetto STEA, scegliendo e miscelando tra loro i migliori prodotti
presenti sul mercato dell’edilizia, potendo contare sul supporto e l’assistenza
tecnica dei produttori coinvolti.
Il progettista, l’impresa edile, l’utente privato che si rivolgono alle rivendite
del gruppo STEA potranno quindi scegliere il sistema costruttivo migliore in
base alle performance che intendono ottenere.
Da anni il Gruppo STEA, sempre attento all’evolversi delle proposte tecniche
nel mercato edile, ha stretto un importante rapporto di collaborazione con
Fibrenet, fungendo da distributore per le zone di Verona, Vicenza e Padova.
Presso i punti vendita del gruppo sono disponibili prodotti ad alto contenuto
tecnologico, selezionati attentamente, adatti per l’utilizzo delle reti Fibrenet,
come leganti e malte tecniche, sia cementizie che a base calce.
Il punto vendita STEA, qualificato professionalmente grazie ad un costante
impegno ed alla formazione continua, è a disposizione per visite in cantiere,
preventivi, eventuali soluzioni tecniche.
Gruppo STEA
Via Zamenhof, 711 - 36100 VICENZA
www.gruppostea.it
[email protected]
tel. 0444/914381 - fax 0444/912341
I
Spesso si associa il terremoto al crollo di edifici e infrastrutture. In realtà i
danni che il terremoto può provocare possono non interessare la struttura
dell’edificio ma essere altrettanto importanti.
Uno dei fenomeni più diffusi durante i terremoti sono i danni dovuti al crollo di
scaffali o al ribaltamento di oggetti pesanti che non vengono opportunamente
ancorati ai muri.
È fondamentale assicurare pensili e mobili alle pareti di casa in maniera
che durante l’evento sismico non cadano su cose o persone. Per far questo è
sufficiente predisporre una squadretta sul retro di armadi o scaffali ed ancorarli
alla parete.
Lo stesso concetto vale anche per tutti quegli impianti che possono subire
gravi danni durante l’evento sismico e possono compromettere lo svolgimento
di azioni di emergenza immediatamente dopo l’evento sismico. Il caso più
significativo è rappresentato dagli ospedali, strutture che non possono
permettersi di subire danni a livello impiantistico. Proviamo infatti ad
immaginare cosa significa avere un ospedale con gli impianti inefficienti:
si capisce benissimo che rappresenta una sorta di scatola “inutile” che, per
II
pubblicitaria
informazione
quanto non abbia subito danni a livello strutturale, non riesce a prestare le
cure di primo soccorso che possono essere così importanti soprattutto dopo
il sisma.
È chiaro che se il sisma è particolarmente violento la priorità rimane quella di
mantenere la sicurezza delle strutture. Per far questo è meglio generalmente
prevenire gli eventuali danni costruendo la struttura secondo le indicazioni
normative o, nel caso di strutture esistenti, prevenendo eventuali crolli con
rinforzi mirati della struttura.
Gli eventi recenti hanno portato alla ribalta la vulnerabilità non solo del nostro
patrimonio storico ma anche di tutti quegli edifici e capannoni prefabbricati
che sono stati costruiti non collegando i vari elementi (travi e pilastri ad
esempio) tra loro in maniera efficace. Anche in questo caso le tecniche di
intervento sono estremamente semplici ma efficaci e sostanzialmente si tratta
di realizzare squadrette e tirantature atte a letteralmente legare i vari elementi
tra loro in maniera tale da costituire una “scatola”.
In tutti quei casi in cui si può o si deve recuperare la struttura esistente
danneggiata dal sisma si può intervenire con una serie di tecniche finalizzate
a consolidare e a migliorare il comportamento della struttura portante. Per far
questo bisogna scegliere il prodotto più idoneo in funzione delle problematiche
riscontrate. I fattori che condizionano maggiormente la scelta del fissaggio
sono il materiale di supporto e il carico da sorreggere.
Fischer dispone di una gamma di prodotti, sia chimici che meccanici, per
III
applicazioni strutturali certificati per applicazione in zona sismica.
Questi prodotti possono essere impiegati anche per riparare i danni strutturali
a seguito del terremoto ed evitare che nuove scosse possano danneggiare
ulteriormente le strutture.
I tre diversi principi di funzionamento sono i seguenti: per forma (sottosquadro),
per attrito e per adesione.
Con ancoranti a sottosquadro come gli ancoranti fischer FZA, il carico è trasferito al supporto
per forma.
L’attrito è invece il principio di funzionamento degli ancoranti a espansione.
Quando si installa l’ancorante si crea una forza di espansione che dà luogo
ad un’azione di attrito. Gli ancoranti vengono fatti espandere applicando una
coppia di serraggio definita. In questo modo il cono è richiamato all’interno
della bussola e la spinge contro la parete del foro. L’ancorante è espanso
correttamente se è applicata la corretta coppia di serraggio.
IV
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informazione
Il terzo principio di funzionamento è l’adesione.
In questo caso il carico è trasferito dall’ancorante al supporto tramite un
materiale adesivo come, per esempio, la resina indurita.
Nello specifico esistono tre tipi di ancoraggi chimici: a base poliestere, a base
vinilestere e a base epossidica. Fischer produce tutte e tre le formulazioni
ibride, cioè le resine presentano al loro interno una parte inorganica di cemento
Portland che oltre a conferire maggiori caricabilità, garantisce una migliore
resistenza al fuoco e agli agenti aggressivi.
Tra gli ancoranti di tipo poliestere si ricorda ad esempio la T-Bond, quelli
vinilestere alte prestazioni la fischer FIS Super Bond e per la formulazione
epossidica la fischer FIS EM.
Si può intervenire predisponendo tiranti di acciaio o fasciando l’edificio con
materiali compositi oppure ingrossando le sezioni di travi e pilastri. Questo
ultimo tipo di intervento viene comunemente definito ripresa di getto e prevede
l’utilizzo di ancoranti chimici.
Fischer Italia srl
Corso Stati Uniti, 25 - 35127 Padova
www.fischeritalia.it
contatti:
800 844078
[email protected]
V
La tecnologia costruttiva a secco Gyproc Saint-Gobain e le soluzioni con
caratteristiche antisismiche: i sistemi certificati Habito, Aquaroc e i controsoffitti Antisfondellamento
I sistemi a secco Gyproc, che comprendono pareti divisorie interne e di tamponamento esterno, contropareti e controsoffitti, coniugano tecnica ed estetica
e trovano applicazione in ambito terziario e residenziale grazie alla loro versatilità, alle elevate prestazioni che forniscono e alla facilità nella posa in opera.
Rispetto all’edilizia tradizionale, i sistemi a secco consentono di rispondere
in modo eccellente ai requisiti legislativi in termini di isolamento termico,
con riduzione dei consumi energetici per il riscaldamento invernale e il condizionamento estivo, e acustico, resistenza al fuoco, sicurezza e performance
antisismiche, versatilità nelle soluzioni estetiche e per le esigenze della domotica moderna, sicurezza contro le intrusioni. Non a caso, sono stati largamente
utilizzati nel processo di ricostruzione dopo i recenti eventi sismici distruttivi.
Tutte le soluzioni a secco sono testate in laboratorio, presso Enti tecnici all’avanguardia nelle prove di prodotto e nelle certificazioni.
Gli elementi che costituiscono i sistemi a secco sono:
• Struttura metallica in acciaio zincato: dotata di un nuovo rivestimento organico privo di cromo, che costituisce una barriera al contatto cutaneo e all’inalazione degli ossidi che si possono formare su un normale acciaio, a miglioramento della qualità della vita di chi applica e di chi vive gli ambienti.
• Lastre in gesso rivestito – gesso fibrato:
materiale naturale, ecocompatibile, additivato con speciali componenti e rivestito con materiali particolari, che offre le migliori soluzioni in termini di estetica, funzionalità e comfort. Inoltre attraverso la tecnologia activ’air permettono di migliorare la qualità dell’aria all’interno degli ambienti abbattendo i
VOC (composti organici volatili) ed in particolare la formaldeide.
• Isolanti minerali: rappresentano la soluzione ottimale per l’isolamento termico e acustico degli edifici.
Gyproc, ponendo particolare attenzione e sensibilità alla sicurezza delle persone che occupano gli edifici, ha intrapreso una campagna sperimentale presso
il Politecnico di Milano in collaborazione con laboratori di prova autorizzati,
con lo scopo di caratterizzare le soluzioni a secco dedicate al residenziale per
quanto riguarda le sollecitazioni sismiche.
VI
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Le pareti divisorie interne del sistema Habito e le pareti di tamponamento
perimetrale del sistema per esterno Aquaroc sono state sottoposte a severe
condizioni di carico e stress per verificarne la tenuta al sisma.
Parete divisoria Gyproc Habito: prova di
flessione perpendicolare al piano
Parete di tamponamento perimetrale Gyproc
Aquaroc: prova di flessione perpendicolare al
piano
VII
informazione
Tecnologia a secco Gyproc: sistema Habito
La normativa vigente impone che gli elementi strutturali secondari, quali appunto le pareti divisorie o di tamponamento che non hanno funzione strutturale portante, siano in grado di assecondare gli spostamenti dell’edificio senza
subire danni. Inoltre, per la sicurezza delle persone che vivono gli ambienti,
le pareti se sollecitate dal sisma non devono subire crolli e non vi deve essere
espulsione di materiale.
I sistemi di pareti sottoposti a prova per quanto riguarda l’azione nel
piano longitudinale (taglio) e nel piano trasversale (flessione perpendicolare), hanno dimostrato di possedere una elevata elasticità e deformabilità, grazie alle quali assorbono ottimamente le deformazioni causate dalle
sollecitazioni sismiche, rispondendo pienamente alle prescrizioni imposte
dalla normativa vigente, grazie alla qualità dei materiali e alle modalità
di applicazione.
Le pareti divisorie con tecnologia a secco Gyproc sono la soluzione ideale
anche nelle costruzioni in legno, in quanto abbinano velocità di posa e performance tecniche.
Per la loro leggerezza e facilità di posa, sono indicati sia per quanto riguarda la
realizzazione di nuove costruzioni, ma anche per la ristrutturazione di edifici
esistenti (rifacimento dei divisori interni, sopraelevazioni, ecc.).
L’effetto dell’azione sismica dipende dalla massa e dal peso del
manufatto su cui agisce: i sistemi
a secco hanno pesi ridottissimi
(circa un terzo di un sistema tradizionale), quindi riducono l’azione sismica che sollecita l’intero edificio, il tutto a vantaggio
sia della sicurezza che dei costi.
Il grafico riportato evidenzia l’e- Risultati delle prove: esempio di diagramma
levata risorsa meccanica delle sforzo- deformazione prova di flessione
pareti nei confronti dell’azione perpendicolare al piano
sismica, con la capacità di assorbire cicli successivi di carico senza accumulo di danno, o cedimenti e rotture
improvvise e fragili del sistema.
Altro elemento non strutturale oggetto di valutazione sono i controsoffitti,
che, oltre a svolgere funzione di contenimento degli impianti, finitura estetica, miglioramento dell’isolamento termico e acustico dei solai, protezione
VIII
Controsoffitto Gyproc Antisfondellamento
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informazione
dal fuoco, svolgono anche una funzione di sicurezza. I solai di interpiano degli
edifici, se sottoposti alla sollecitazione sismica, si possono lesionare e danneggiare, con la possibilità di distacco e caduta di porzioni di intonaco, o parti di
solaio (tavelle in laterizio, ecc.), con conseguente danno alle cose e pericolo
per le persone. Se pensiamo che mediamente un metro quadro di solaio pesa 32
kg, ci rendiamo subito conto della pericolosità dello sfondellamento dei solai.
Controsoffitto Gyproc Antisfondellamento:
prova di caduta delle tavelle in laterizio
Particolari tipologie di controsoffitti sono stati sottoposti a prove sperimentali
per verificare la loro tenuta al carico di caduta di elementi di solaio.
I sistemi di controsoffitto Gyproc sottoposti alle prove di verifica del possibile fenomeno dello sfondellamento dei solai non hanno subito nessun
tipo di danneggiamento e deformazione in seguito all’applicazione degli
ingenti carichi dinamici e statici imposti, rispondendo pienamente alle richieste delle normative vigenti nell’ambito della sicurezza delle persone.
Gyproc Saint-Gobain, nell’ottica della sicurezza delle persone che occupano
gli edifici, prosegue nella costante ricerca di soluzioni tecniche avanzate, continuando ’impegno di severe prove sperimentali, ed è a disposizione di progettisti e prescrittori per elaborare soluzioni specifiche, in grado di far fronte alle
problematiche antisismiche e della sicurezza.
GYPROC - Saint-Gobain
Via Ettore Romagnoli 6, 20146 - Milano
www.gyproc.it
Ing. Luca Cappellini - Referente Tecnico Area Nord-Est
e-mail: [email protected]
cell. 335 7845782
IX
FIBRE NET, DAL 2001 L’AVANGUARDIA NEL
RINFORZO ANTISISMICO
Il consolidamento strutturale di edifici esistenti
Fondata nel 2001 dai fratelli Andrea e Cecilia Zampa, Fibre Net è specializzata nella produzione di materiali compositi in FRP, meglio noti come vetroresina, per diversi campi d’applicazione ma con una specifica attenzione verso
applicazioni nell’edilizia specializzata. La peculiarità e le caratteristiche dei
suoi prodotti, i continui investimenti in ricerca e sviluppo, le attività di formazione e specializzazione del personale, l’alto livello di competitività e la crescita costante in termini di fatturato e produttività ne fanno una realtà destinata
a diventare leader nel proprio ambito di riferimento in tutta Italia.
Nei propri stabilimenti, Fibre Net produce sistemi in FRP (Fiber Reinforced
Polymers) per il consolidamento di strutture esistenti, sistemi che hanno già
permesso all’azienda di risolvere importanti problematiche legate alla protezione sismica degli edifici e di rispondere a concrete esigenze tecniche di miglioramento e adeguamento strutturale evidenziate dagli stessi professionisti
(ingegneri e architetti), dai progettisti delle pubbliche amministrazioni e dalle
imprese.
Con il nome FibreBuild, infatti, si identifica un sistema composto da reti,
angolari e connettori in FRP per il rinforzo di murature, attraverso la tecnica
dell’intonaco armato, e per il rinforzo di volte e solai. I prodotti costituiscono
una interessante e valida alternativa ai sistemi tradizionali, come le classiche
reti metalliche elettrosaldate, utilizzate in passato per il rinforzo murario e che
tanto spesso hanno dato prova dei limiti di utilizzo. Qual è la resistenza di una
rete metallica arrugginita, e quali sono le conseguenze sulle strutture esistenti?
Macchie di ruggine e parti di intonaco staccate sono all’ordine del giorno sui
nostri edifici, e i dubbi sull’effettiva efficacia di una rete in ferro soggetta alla
corrosione dopo alcuni anni di messa in opera, soprattutto in ambienti umidi,
sorgono spontanei.
Qual è il vantaggio derivante dall’utilizzo di materiali in FRP nel consolidamento strutturale?? Il loro utilizzo garantisce sicurezza e alta qualità della
vita all’interno di qualsiasi ambiente abitativo o lavorativo. Qualche esempio? Elevata durabilità nel tempo (non arrugginisce), resistenza meccanica
X
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informazione
alle sollecitazioni sismiche, elevate proprietà chimico-resistenti e compatibilità con malte e materiali naturali, assenza di “gabbia di Faraday” (questo per
interventi in ottica di edilizia sostenibile), amagneticità, leggerezza, basso
spessore, facilità di posa e economicità d’intervento.
Fibre Net, che ha sede operativa nella zona industriale udinese, vanta l’apporto di personale altamente specializzato impiegato nello sviluppo di prodotti tecnologicamente avanzati. E’ una realtà dinamica, da sempre orientata
all’eccellenza grazie anche alla proficua collaborazione con l’Università degli
Studi di Trieste e di Perugia (direttamente e anche attraverso spin-off universitari) ed altri importanti atenei di riferimento a livello europeo, nonché alla
consulenza di illustri esponenti del mondo accademico nazionale ed internazionale. L’azienda vanta inoltre numerose partecipazioni ad eventi, congressi, manifestazioni e fiere di settore e importanti partnership con le principali
associazioni di categoria. Da oltre un decennio si distingue nettamente dai
competitors grazie ad attività di progettazione, produzione e commercializzazione di prodotti unici nel loro genere, qualitativamente superiori alla media
per materiali e tecnologia utilizzati nel corso dell’intero processo produttivo,
costantemente controllato secondo il sistema di qualità certificato ISO 9001/
UNI EN 9001:2008.
XI
La prevenzione sismica
Nel corso di questi ultimi anni molto si è discusso sulla messa in sicurezza
delle case di un territorio, come quello italiano, a forte rischio sismico ed
idrogeologico. In realtà, però, ben poco si è fatto sul piano della prevenzione
e della pianificazione, nonostante l’allarme lanciato dai geologi che in più
occasioni hanno invitato le istituzioni a risolvere il problema, non solo sul
piano dell’adeguamento strutturale degli edifici esistenti ma anche attraverso
la proposta di un programma di analisi che sia in grado di evidenziare le reali
condizioni di resistenza sismica dei terreni e che indichi le zone dove gli effetti dei terremoti potrebbero essere particolarmente amplificati. La prevenzione,
quindi, diventa un’azione prioritaria per la sicurezza sociale, soprattutto dopo
i terremoti che hanno colpito L’Aquila e l’Emilia, eventi che hanno posto
in luce, ancora una volta, la fragilità del patrimonio storico e architettonico
esistente e la necessità urgente di attuare misure di protezione sismica anche
in quelle zone considerate “sicure”. Situazioni che Fibre Net ha sperimentato
sul campo proprio grazie alla propria esperienza nel consolidamento di edifici
esistenti per i quali adeguamento o miglioramento sismico sono azioni necessarie affinché una struttura raggiunga determinati requisiti di sicurezza, così
come stabilito dalla normativa.
I materiali e le tecniche proposte da Fibre Net sono fra i più efficaci previsti
dalla normativa che è comunque indirizzata verso l’uso di materiali e tecniche
di provata validità, poco invasivi e che non appesantiscano la struttura di nuovi carichi. In quest’ottica, il consolidamento strutturale con i materiali in FRP
rappresenta una tecnologia di intervento estremamente interessante in termini
di prestazioni e di resistenza, ponendosi come soluzione vantaggiosa non solo
nella fase di ricostruzione del post terremoto ma anche come valido strumento
di prevenzione sismica.
FIBRE NET S.r.l.
Via Zanussi 311, Udine
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XII
Meccanismi di collasso
per edifici in muratura
Quando una parte portante di una struttura subisce un danno, si può
innescare una serie di fenomeni a catena che possono causare la rottura
di altre strutture portanti, con un’evoluzione che può sfociare in una
sorta di effetto domino fino al collasso (crollo) dell’intera struttura. Questi
fenomeni vengono chiamati tecnicamente “meccanismi di collasso”.
I meccanismi di collasso si innescano nei punti di debolezza della struttura
e sono strettamente legati alla tipologia edilizia costruttiva. In altre parole,
un edificio in muratura presenta dei meccanismi di collasso caratteristici,
completamente diversi da quelli di un edificio realizzato con una struttura
“a telaio” (ovvero un’orditura di travi e pilastri che sostengono i solai) in
cemento armato o in acciaio. I meccanismi di collasso sono poi legati alla
tipologia di sollecitazione cui una struttura è sottoposta. Comunemente
le azioni si dividono in due grandi famiglie: sollecitazioni di tipo “statico”
e sollecitazioni di tipo “dinamico”. Le sollecitazioni statiche sono
generate dai pesi delle varie parti da sostenere: copertura, solai di piano
e tutto quanto rappresenta un carico (pavimenti, mobili, elettrodomestici,
suppellettili, persone eccetera). Esse caratterizzano costantemente una
struttura per tutto l’arco della sua esistenza: sono sempre presenti, anche
se possono variare nel tempo (per esempio l’arredo di un appartamento
può variare oppure, nella stagione invernale, i tetti possono essere
appesantiti dalla neve). Invece, le sollecitazioni “dinamiche” per un edificio
di civile abitazione sono situazioni temporanee, tipicamente associate ad
una condizione di “movimento”: il terremoto. Esse variano con l’intensità
sismica e con i pesi associati agli edifici: maggiori sono l’oscillazione del
terreno, il peso proprio ed i carichi portati, maggiori sono le sollecitazioni
dinamiche.
Di seguito si descriveranno i meccanismi di collasso sismici riferiti alle
principali tipologie costruttive residenziali. Caratteristica peculiare dei
terremoti è quella di ingenerare nelle strutture portanti degli edifici azioni
“cicliche” orizzontali che si vanno a sommare alle azioni verticali: esse
costituiscono un potenziale pericolo per svariati motivi.
Primo tra tutti il fatto che tendenzialmente gli elementi portanti verticali
(pilastri e pareti) sono in grado di trasferire molto bene a terra le
sollecitazioni verticali (i carichi dovuti ai pesi), ma se presi singolarmente,
mal sopportano le azioni orizzontali, ovvero proprio quelle spinte che
nascono nelle strutture durante i terremoti.
Secondo motivo per cui le azioni orizzontali risultano pericolose è
il fatto che, almeno per quanto riguarda gli edifici residenziali, esse
venivano trascurate in fase di progettazione, con particolare riferimento
al periodo che va dagli anni dello sviluppo economico successivo al
secondo conflitto mondiale fino agli anni ’90, allorché sono entrate in
vigore le prime normative antisismiche. Solo da circa vent’anni, infatti, è
iniziato un importante processo di aggiornamento dei metodi di calcolo,
favorito anche dallo sviluppo tecnologico dei moderni calcolatori, che ha
portato gli ingegneri ad introdurre negli approcci calcolazionali anche
le azioni ingeneratesi a seguito del sisma. Tuttavia, nel secolo scorso il
miglioramento delle tecnologie costruttive (adozione di nuovi materiali
27
A lezione di terremoti
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quali il calcestruzzo armato e l’acciaio) unitamente ad una pratica edilizia
che si è affinata nel tempo, hanno fatto in modo che anche la maggior
parte degli edifici progettati e costruiti prima delle moderne normative
antisismiche sia in grado di resistere in una certa misura ai terremoti.
Se si considerano poi gli edifici dei centri storici, realizzati nel corso
dei secoli solamente sulla base delle regole del buon costruire delle
maestranze dell’epoca, ci si trova a trattare situazioni ancor più delicate,
che presentano maggiori fragilità nel caso di mancata manutenzione da
lunghi anni o di pesanti trasformazioni, magari realizzate con scarsa cura.
Terzo motivo che determina la pericolosità delle azioni orizzontali scaturite
da sollecitazioni sismiche è legato all’entità dei carichi gravanti sulle
strutture portanti. Infatti, le azioni orizzontali cicliche che si generano
nelle membrature degli edifici durante i terremoti sono tipicamente delle
forze direttamente proporzionali al peso collocato sulle strutture ai vari
piani. Ciò significa che strutture pesanti determineranno sulle membrature
verticali sotto sisma, oltre a delle sollecitazioni verticali importanti
(comunque sempre presenti), anche delle sollecitazioni orizzontali molto
rilevanti; al contrario strutture leggere produrranno sollecitazioni verticali
ed orizzontali certamente più modeste. Ne sono un esempio edifici che,
nati con solai e coperture in legno, sono stati successivamente appesantiti
con strutture in laterocemento a sostituzione di quelle originarie, oppure
edifici che sono stati oggetto di sopraelevazioni con l’aggiunta di solai
intermedi.
Un altro motivo che rende i terremoti particolarmente pericolosi per le
strutture è rappresentato dal fatto che essi generano delle sollecitazioni
orizzontali “direzionali”, ovvero che agiscono in una ben precisa direzione
associata allo specifico evento sismico e pertanto non prevedibile.
Nelle pagine seguenti si analizzeranno i possibili meccanismi di collasso
tipici degli edifici in muratura. Lo studio della materia risulta piuttosto
complesso. A tal proposito si potrebbe citare la celebre frase dell’ingegnere
aeronautico russo Igor’ Ivanovič Sikorskij «Recenti studi di aerodinamica
hanno dimostrato che il calabrone non può volare a causa del rapporto
fra la sua superficie alare e la sua massa corporea. Ma il calabrone non
lo sa e continua a volare». Allo stesso modo molti edifici in muratura,
pur presentando sovente diverse criticità, possono comunque resistere
adeguatamente agli eventi sismici.
In tal senso, come accennato in precedenza, alcune problematiche
ricorrenti sono legate alla storia che questi edifici hanno avuto nel corso
del tempo. Molti, infatti, hanno subito trasformazioni successive quali il
rimaneggiamento dovuto al cambio delle destinazioni d’uso, la variazione
dei carichi verticali (legata ad incauti interventi di ristrutturazione o
sopraelevazione), l’indebolimento delle strutture portanti (causato o dalla
realizzazione di nuove aperture o dall’ingrandimento di quelle esistenti),
l’ampliamento per fasi successive (molto spesso edifici attigui sono
stati realizzati “appoggiando” le strutture verticali del più recente alle
strutture verticali del pre-esistente). Il loro comportamento strutturale si
è quindi progressivamente modificato. La lettura del sistema costruttivo,
Meccanismi di collasso
per edifici in muratura
l’interpretazione delle cause di danno, l’individuazione di anomalie
e precarietà strutturali che inficiano la risposta sismica, permettono di
stabilire quale sia la corretta valutazione del comportamento strutturale
degli edifici esistenti e, se necessario, di formulare le più idonee modalità
di intervento per conseguire un adeguato grado di miglioramento della
loro risposta sismica.
L’analisi strutturale antisismica degli edifici residenziali in muratura parte
dalla constatazione dei danni sismici rilevati su questo tipo di fabbricati.
In particolare si distinguono:
- meccanismi di I modo: generati da azioni ortogonali sui paramenti
murari, conducono ad un crollo per ribaltamento delle pareti. Essi
coinvolgono singole porzioni del fabbricato e penalizzano le parti
strutturali più vulnerabili. Per gli edifici esistenti più datati questi sono
i meccanismi più facilmente attivabili in caso di evento sismico; per gli
edifici di recente realizzazione, invece, le moderne tecniche progettuali
e costruttive, se ben applicate, ne impediscono l’innesco;
- meccanismi di II modo: generati da azioni complanari alle pareti,
conducono ad un crollo per rottura dei materiali di cui sono composti gli
elementi strutturali. Essi sono più complessi dei precedenti poiché non
coinvolgono singole parti dell’edificio ma chiamano l’intero fabbricato
a resistere globalmente grazie ad un comportamento che viene definito
“scatolare”. Per ottenere questo tipo di comportamento strutturale è
necessario che gli elementi portanti, oltre che di buona qualità, siano
solidamente collegati tra loro (ammorsamenti tra le pareti, connessioni
tra travi e pareti e tra solai e pareti, presenza di cordoli, incatenamenti,
eccetera). Gli edifici così concepiti sono in grado di resistere a
sollecitazioni sismiche maggiori.
Lo studio delle cause per cui si innescano i meccanismi di I modo consente
di intervenire sugli edifici esistenti rimediando a criticità intrinseche che
possono portare a possibili collassi parziali e, al contempo, consente di
progettare nuovi edifici in modo oculato. In entrambi i casi l’obiettivo
è quello di ottenere il comportamento “scatolare” dell’intera struttura
dato dalla compartecipazione dei diversi elementi, permettendo, in caso
di sisma, la sola formazione di meccanismi di II modo nei quali l’eventuale
collasso avviene per sollecitazioni molto maggiori.
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A lezione di terremoti
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Meccanismi di i modo
Nel proseguo verrà proposta una rassegna dei principali meccanismi di
collasso afferenti al I modo riscontrati in edifici in muratura colpiti dai
recenti terremoti dell’Emilia e dell’Abruzzo.
I cinematismi presentati si classificano in:
- meccanismi di ribaltamento semplice;
- meccanismi di flessione verticale;
- meccanismi di flessione orizzontale;
- meccanismi di ribaltamento composto.
Tale lista non è da ritenersi esaustiva, giacché molte altre tipologie di
meccanismi non sono direttamente inquadrabili in questa schematizzazione
ma dipendono, per esempio, dall’interazione con le strutture di copertura,
con gli edifici adiacenti, eccetera. È comunque molto utile ad inquadrare
le tipologie principali riscontrabili nella realtà.
Meccanismi di ribaltamento semplice
Il ribaltamento semplice dovuto all’azione del sisma rappresenta una
situazione di danno tra le più frequenti e pericolose per le pareti esterne
degli edifici. Questa si schematizza come una rotazione rigida di porzioni
di parete attivata dalle sollecitazioni fuori dal piano cioè perpendicolari alla
parete stessa. Tale situazione si verifica quando il muro investito dall’azione
sismica risulta scarsamente vincolato in sommità e non ammorsato alle
pareti ad esso ortogonali. Questo meccanismo è influenzato inoltre dalla
presenza di aperture nel muro (porte o finestre) che ne indeboliscono la
costituzione. Può interessare uno o più piani dell’edificio a seconda della
tipologia di solai (legno o laterocemento) e della modalità di connessione
degli stessi alle murature.
Meccanismi di collasso
per edifici in muratura
Meccanismi di flessione verticale
I meccanismi di flessione verticale sono analoghi ai meccanismi di
ribaltamento semplice. Anch’essi riguardano principalmente le pareti
esterne degli edifici e si manifestano nel caso in cui la facciata risulti
scarsamente ammorsata alle pareti ad essa ortogonali, ben vincolata in
sommità e libera nella zona centrale. Si possono verificare, ad esempio,
in un edificio con un cordolo in sommità (che impedisce il ribaltamento
semplice) ed i solai intermedi privi di qualsiasi connessione. Una situazione
di questo tipo è favorita anche dalla spinta orizzontale che i solai,
investiti dall’azione sismica, esercitano su detta parete. L’attivazione del
meccanismo è riconoscibile osservando la presenza dello spanciamento
della parete interessata e spesso è accompagnata allo sfilamento delle
travi dei solai (in legno) intermedi.
Di seguito si riportano un caso di ribaltamento per flessione verticale con
conseguente sfilamento delle travi dalle proprie sedi.
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A lezione di terremoti
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Meccanismi di flessione orizzontale
I meccanismi di flessione orizzontale si manifestano quando, a differenza
del caso precedente, il pannello murario risulta efficacemente ammorsato
alle pareti ad esso ortogonali, con il lato sommitale non trattenuto da
alcun dispositivo. Il cinematismo si può manifestare nel caso in cui la
copertura durante il sisma eserciti sulle facciate una spinta orizzontale
la quale, in mancanza di dispositivi come cordoli sommitali, induce una
flessione della parete in corrispondenza dell’ultimo piano. Si genera il così
detto “effetto arco orizzontale” il quale conduce alla tipica formazione
di due corpi cuneiformi individuati da una lesione verticale e due lesioni
oblique.
La qualità della muratura poi, influisce sulle dimensioni dei cunei di distacco
che, in relazione alle migliori o peggiori caratteristiche dei materiali,
coinvolgono porzioni maggiori o minori della parete considerata.
Un caso particolare è rappresentato dallo sfondamento della parete del
timpano che attiva un meccanismo di flessione orizzontale caratterizzato
dall’individuazione di macroelementi cuneiformi demarcati da una fessura
verticale innescata all’appoggio della trave di colmo e da due fessure
oblique che risalgono verso le falde partendo dal vertice inferiore della
fessura verticale.
Il meccanismo in questione è associato all’assenza di collegamenti
adeguati tra la struttura muraria del timpano e la copertura che poggia su
questa; è provocato dall’azione ciclica (dovuta al sisma) di martellamento
della trave di colmo (di notevoli dimensioni) che, trasmettendo un’elevata
spinta alla parete, determina la formazione dei macroelementi di distacco
e la conseguente rotazione degli stessi attorno alle fessure oblique.
Meccanismi di collasso
per edifici in muratura
Meccanismi di ribaltamento composto
Con ribaltamento composto si indica un insieme di situazioni in cui il
collasso coinvolge pareti adiacenti della costruzione: al ribaltamento della
parete investita dall’azione sismica si accompagna il trascinamento di una
porzione di struttura muraria confinante, specie se le connessioni tra le
murature sono adeguate.
Il meccanismo di ribaltamento composto, in un edificio integro, si
manifesta in caso di assenza di vincoli in sommità della parete ribaltante
e in presenza di un efficace collegamento tra la parete investita dal sisma
e quella ad essa perpendicolare.
La configurazione del cuneo di distacco nella parete coinvolta nel
ribaltamento può essere diversa a seconda della tipologia dei solai
deformabili o rigidi (lignei o in laterocemento).
Nel caso in cui siano presenti solai tradizionali privi di soletta armata
(deformabili), il meccanismo di ribaltamento della facciata è accompagnato
generalmente dal distacco di un cuneo diagonale della parete ortogonale.
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A lezione di terremoti
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Se, invece, i solai sono dotati di soletta armata (rigidi), il meccanismo di
ribaltamento composto determina il trascinamento di un cuneo a doppia
diagonale nella parete di controvento.
Tra i meccanismi di ribaltamento composto, particolarmente comune è
quello che prevede il ribaltamento della parte alta del cantonale degli
edifici, generalmente determinato dalla spinta dei puntoni dei tetti a
padiglione. Il meccanismo si manifesta attraverso la rotazione di un cuneo
di distacco, delimitato da superfici di frattura nelle pareti concorrenti
nell’angolo libero, attorno ad un fulcro posto alla base del cuneo stesso.
Il fenomeno, in assenza di collegamenti efficaci alla quota dei solai, può
anche estendersi ai piani sottostanti l’ultimo livello dell’edificio.
Il meccanismo di ribaltamento del cantonale è quindi determinato
dall’assenza di trattenimento in testa alle pareti ortogonali ed è agevolato
dalla presenza di coperture spingenti, specie di puntoni che poggiano
sull’angolata, oltre che da murature di cattiva fattura.
Meccanismi di collasso
per edifici in muratura
Meccanismi di ii modo
I meccanismi locali di I modo, come precedentemente descritto, si attivano
quando viene meno la collaborazione tra i vari elementi strutturali che
costituisco il fabbricato. Invece, se viene garantita un buona connessione
tra gli elementi strutturali (buon ammorsamento, presenza catene
metalliche, ecc.) l’edificio può sviluppare un comportamento d’insieme
che porta le pareti a ricorrere maggiormente alle risorse di resistenza e
rigidezza nel proprio piano, generando un comportamento scatolare con
conseguente beneficio in caso di sollecitazioni sismiche.
La rigidezza dei solai nel proprio piano assume un ruolo fondamentale
nei riguardi dell’azione sismica. Solai molto flessibili determinano
una ripartizione disomogenea dei carichi verticali sulle diverse pareti
accentuandone il comportamento indipendente e l’instaurarsi di
meccanismi di I modo. Solai rigidi ripartiscono le azioni di piano fra le
pareti favorendo l’instaurarsi di meccanismi di collasso di II modo.
I possibili meccanismi di II modo che possono attivarsi in un pannello
murario dipendono dalla combinazione di fattori di diversa natura: la
geometria del pannello (governata dal rapporto fra altezza e larghezza),
l’entità del carico verticale e le caratteristiche della muratura.
La diversa combinazione di questi parametri determina tre diverse
modalità di collasso di seguito descritte:
- rottura per flessione-ribaltamento;
- rottura per taglio;
- rottura per scorrimento.
Rottura per flessione-ribaltamento
La base della parete presenta un’estremità compressa e l’altra scarica.
Il collasso è governato dalla rottura per schiacciamento degli spigoli
soggetti a compressione.
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A lezione di terremoti
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Rottura per taglio
Il meccanismo di danno è governato dalla formazione e dallo sviluppo di
fessure diagonali inclinate che seguono la tessitura della parete.
Di seguito si riporta un caso di rottura per taglio del paramento murario
operata dalle spinte orizzontali delle travi dei solai in legno.
Meccanismi di collasso
per edifici in muratura
Rottura per scorrimento
Il meccanismo è associato alla formazione di fessure orizzontali nei giunti
soggetti all’azione del sisma che inverte il proprio verso di applicazione.
Il meccanismo è favorito da bassi livelli dei carichi verticali e presenza di
orizzontamenti rigidi.
Si sottolinea come la tipologia di danno, anche in presenza di una stessa
modalità di collasso, è fortemente influenzata dalla tipologia costruttiva
e dalle caratteristiche della muratura. In murature realizzate con malta
di buona qualità, la rottura per flessione-ribaltamento si realizza
generalmente attraverso la formazione di fessure orizzontali alla base del
pannello con relativo scollamento dello stesso; in assenza di malta si ha il
ribaltamento di una porzione di muro individuata da una linea di rottura
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A lezione di terremoti
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la cui inclinazione è legata alla forma e alla tessitura degli elementi.
Nel caso di una parete in muratura, il comportamento nei confronti
di un’azione orizzontale è governato dall’interazione di due elementi
chiaramente distinti: i maschi murari (pannelli murari verticali continui da
terra a cielo) e le fasce di piano (elementi di accoppiamento orizzontale
tra i maschi murari tipicamente rappresentati dalle porzioni di muratura
sopra e sotto le aperture).
I meccanismi di danno riconducibili alle tre categorie precedentemente
descritte si presentano distintamente o sui maschi murari (nella zona
compresa tra due solai di piano) o sulle fasce di piano (nella zona compresa
tra due aperture allineate verticalmente).
Meccanismi di collasso
per edifici in muratura
L’accoppiamento tra maschi murari e fasce di piano, favorito dalla
presenza di cordoli, corsi, catene, ecc. (posti a livello degli orizzontamenti)
contrasta l’attivazione del meccanismo di ribaltamento dei maschi stessi,
evitando l’instaurarsi di meccanismi di I modo.
Un caso particolare di meccanismo di rottura per taglio è rappresentato
dalle tipiche lesioni diagonali che si formano tra fabbricati addossati di
diversa altezza. In particolare l’azione di martellamento di un edificio
più elevato su un edificio attiguo più basso può generare un quadro
fessurativo che, a partire dal punto di discontinuità in elevazione, si
estende nell’edificio più alto, per sua natura sottoposto ad oscillazioni
maggiori.
Risulta evidente che il comportamento delle strutture portanti degli edifici
residenziali sollecitate dal sisma è piuttosto complesso. Pertanto, lo sudio
dei fenomeni che possono portare al collasso in caso di terremoto richiede
preparazione e competenza dei tecnici abilitati.
L’analisi dei meccanismi di collasso permette di indagare quali siano i
punti deboli delle strutture e di sviluppare delle tecniche per progettare in
modo corretto i nuovi edifici, ma non solo: costituisce un fondamentale
strumento per sviluppare delle metodologie di rinforzo, risanamento ed
adeguamento degli edifici esistenti. Infine, un’attenta analisi condotta sul
costruito permette un’efficace valutazione del grado di sicurezza offerto,
consentendo la progettazione di specifici interventi atti a prevenire effetti
catastrofici in caso di terremoto.
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Ing. Giovanni Nicolò
Gli edifici in
cemento armato e
il terremoto
I concetti che governano i moderni metodi di progettazione antisimica
si sono sviluppati nel tempo con l’intento di rimediare alle carenze che
le costruzioni hanno manifestato. L’osservazione critica dei danni che
i terremoti hanno arrecato e lo studio del comportamento degli edifici
in cemento armato sottoposti ad un evento sismico, hanno portato
allo sviluppo di importanti principi, che sono alla base dell’approccio
progettuale dell’attuale normativa sismica.
Una delle proprietà fondamentali che regola il comportamento dei
materiali e delle strutture sottoposti ad una azione ciclica è la duttilità.
La duttilità rappresenta la capacità di alcuni materiali di rompersi soltanto
dopo che ha avuto luogo una considerevole deformazione anelastica;
una deformazione è anelastica quando il materiale non è più in grado di
ritornare alla sua forma originale dopo essere stato distorto.
Questa distorsione dissipa l’energia trasmessa dal sisma all’edificio.
Questa è la ragione per cui è molto più difficile rompere un cucchiaio
di metallo piegandolo avanti e indietro piuttosto che un cucchiaio di
plastica. Il cucchiaino di metallo rimarrà intatto dopo molti cicli, mentre il
cucchiaino di plastica si romperà all’improvviso.
Quando una rottura avviene senza che abbiano avuto luogo ampie
deformazioni si dice che è una rottura fragile; si può intuire che si tratta
della modalità di rottura più pericolosa, perché comporta un crollo senza
preavviso. La deformazione del metallo del cucchiaio invece assorbe energia
e nel frattempo il materiale continua a resistere alle forze e a portare i
carichi applicati, anche se diminuisce progressivamente la sua rigidezza.
Se immaginiamo che il cucchiaino metallico sia un pilastro, il movimento
avanti e indietro che applichiamo è identico al ciclo di una forza sismica.
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Nel cemento armato la duttilità è conferita dalla presenza delle barre di
acciaio. Perché siano efficaci è necessario che siano presenti con una certa
percentuale minima e che le barre longitudinali siano racchiuse da un
adeguato numero di staffe disposte a distanza ravvicinata.
Le zone di una struttura in cemento armato destinate ad assorbire e
dissipare energia, per mezzo dello snervamento delle barre di acciaio,
sono chiamate cerniere plastiche.
La corretta esecuzione dei nodi e dei particolari costruttivi in cantiere
riveste una importanza decisiva perché le cerniere plastiche funzionino
correttamente e la struttura possa avere un comportamento duttile.
Le fotografie che seguono sono state scattate dopo gli eventi sismici che
hanno colpito l’Abruzzo nel 2009; si vede che le barre longitudinali hanno
espulso il calcestruzzo che le ricopre, perché non sono state confinate da
staffe sufficientemente ravvicinate.
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A lezione di terremoti
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Anche i dispositivi che collegano i vari componenti strutturali devono
essere in grado di deformarsi e dissipare energia senza comportare rotture
di tipo fragile.
Questo aspetto è particolarmente importante per le strutture in cemento
armato prefabbricato, i cui componenti vengono realizzati in stabilimento
e assemblati in opera con dispositivi meccanici.
Le fotografie che seguono documentano una serie di rotture fragili di
tali dispositivi. Nella prima immagine, che si riferisce all’evento sismico
dell’Abruzzo, si vede la rottura fragile per tranciamento di una baionetta
metallica che tratteneva i pannelli di tamponamento orizzontali di un
fabbricato.
Nella seconda immagine, scattata in Emilia dopo la seconda scossa del
29 maggio 2012, si nota la rottura fragile dei lembi del profilo annegato
all’interno del pilastro, al quale era ancorata la baionetta metallica di
trattenuta dei pannelli.
Gli edifici in cemento
armato e il terremoto
Un’altra rottura di tipo fragile è quella che può coinvolgere le strutture
di fondazione. Il cedimento della fondazione porta generalmente ad un
crollo per ribaltamento delle strutture verticali. Numerosi collassi fragili di
questo tipo si sono verificati in edifici industriali emiliani.
Quest’ultimo meccanismo di rottura è particolarmente grave perché non
rispetta il cosiddetto criterio di gerarchia delle resistenze, come viene di
seguito illustrato.
Si è detto infatti che una struttura può avere un buon comportamento
sotto una azione sismica se è stata realizzata con un materiale duttile ed
è in grado di dissipare una notevole quantità di energia.
Oltre a questo è importante però che le cerniere plastiche, ovvero le zone
deputate a dissipare energia, non abbiano luogo in elementi critici.
Consideriamo la struttura a telaio in cemento armato schematizzata
nell’immagine seguente.
Nel primo caso le cerniere plastiche si formano alla base e in sommità
dei pilastri, solitamente a livello del piano terra. In questo caso i punti in
cui si può dissipare l’energia sismica sono pochi, il danneggiamento si
concentra solitamente a livello di un piano e si verifica un crollo dell’edificio
di tipo fragile. È auspicabile pertanto che si verifichi la seconda situazione:
le cerniere plastiche si formano alle estremità di molte travi e non nei
pilastri. In questo modo la struttura, pur danneggiata, è ancora in grado
di rimanere in piedi e di resistere ai carichi verticali.
Maggiore è il numero di cerniere plastiche che si formano, maggiore è
l’energia che verrà dissipata e maggiore è il tempo per il quale l’edificio
resisterà al terremoto. Perché questa situazione possa avere luogo bisogna
stabilire in fase di progetto una graduatoria, o più propriamente una
gerarchia, tra i vari componenti strutturali: le fondazioni devono essere
più resistenti dei pilastri, i pilastri devono essere più resistenti delle travi.
Il meccanismo di piano rappresentato nella figura precedente è
stato purtroppo riscontrato in vari edifici in occasione di tutti i più
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A lezione di terremoti
44
recenti terremoti e viene chiamato piano soffice. Si sono dimostrati
particolarmente vulnerabili gli edifici cosiddetti “a pilotis”, qualora non
siano presenti delle pareti di irrigidimento in cemento armato o un vano
scale per l’intero sviluppo in altezza della costruzione. Lo spostamento di
un edificio cresce solitamente al crescere dell’altezza; nel caso di piano
soffice invece tutto lo spostamento relativo si concentra a livello di un
piano e si crea una concentrazione di sforzi nei punti di giunzione tra le
teste dei pilastri pilotis e l’intradosso del primo solaio, che non può essere
contenuta.
La fotografia seguente mostra un condominio a L’Aquila nel quale il primo
piano soffice è collassato su se stesso a seguito delle scosse.
È interessante evidenziare come il comportamento di un edificio
prefabbricato in cemento armato, che costituisce la struttura di molti
edifici industriali, sia profondamente diverso da quello di un edificio
costruito in opera.
Gli edifici in cemento
armato e il terremoto
Anzitutto il collegamento tra le travi e i pilastri viene realizzato mediante
dispositivi metallici quali spinotti e barre bullonate. Questo sistema
consente all’estremità della trave di poter ruotare rispetto al pilastro.
È evidente allora come le parti terminali delle travi, potendo ruotare
liberamente, non siano in grado di dissipare energia. Le cerniere plastiche
si possono formare allora soltanto alla base dei pilastri.
Sembrerebbe quindi che le strutture prefabbricate siano meno adatte a
resistere alle azioni sismiche; studi e sperimentazioni recenti hanno invece
dimostrato che pur formandosi poche cerniere plastiche, queste sono in
grado di dissipare una grande quantità di energia. I pilastri prefabbricati,
lavorando sostanzialmente come delle mensole, sono infatti dimensionati
generalmente per una sollecitazione molto più elevata di quella dei pilastri
in opera. Si verificano quindi, dal punto di vista dell’energia dissipata, due
situazioni sostanzialmente analoghe: da una parte l’edificio in opera, con
tante cerniere con moderata capacità dissipativa, dall’altra parte l’edificio
prefabbricato, con poche cerniere con grande capacità di dissipare.
Perché tuttavia possano avere luogo queste grandi dissipazioni alla base
dei pilastri, è necessario che i componenti della costruzione prefabbricata
rimangano connessi; in caso contrario si verifica un collasso fragile
prodotto dalla perdita di appoggio e di unione tra i vari elementi.
È quanto è accaduto a molti edifici industriali realizzati senza l’adozione
di criteri antisismici durante il sisma che ha interessato L’Emilia.
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A lezione di terremoti
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Fino al 2003, infatti, il territorio dei comuni emiliani colpiti dal terremoto
non era compreso tra le zone ritenute a rischio sismico. Soltanto
successivamente a tale data il Governo italiano ha imposto una revisione
della classificazione nazionale delle aree sismiche.
Le fotografie che seguono, scattate nei giorni immediatamente successivi
alla prima scossa, documentano tristemente quanto detto.
I primi interventi di urgenza effettuati sui fabbricati ancora agibili sono
stati indirizzati ad eliminare le carenze evidenziate, realizzando delle
connessioni metalliche tra i componenti semplicemente appoggiati, del
tipo di quelle rappresentate nelle fotografie seguenti.
I fissaggi devono essere calibrati sulle capacità resistenti degli elementi
da connettere e concepiti in modo da fornire la massima duttilità alla
struttura. Un’altra importante proprietà che caratterizza il comportamento
sismico degli edifici in cemento armato è il periodo naturale di vibrazione,
strettamente correlato alla rigidezza che possiede la costruzione.
Cos’è il periodo naturale di vibrazione? Consideriamo un edificio alto e
immaginiamo di imprimere uno spostamento a livello della copertura;
una volta rilasciato, l’edificio si sposterà in una direzione e nell’altra con
Gli edifici in cemento
armato e il terremoto
un periodo di vibrazione costante. Il tempo che la costruzione impiega
per compiere un intero ciclo di andata e ritorno, misurato in secondi, è
chiamato periodo naturale di vibrazione. Più è lungo il periodo di vibrazione
minori sono le forze sismiche, che sono sostanzialmente forze di inerzia.
Più è alto un edificio, più è lungo il suo periodo di vibrazione. Una regola
empirica americana per calcolare il periodo naturale di vibrazione è quello
di moltiplicare per 0,1 il numero dei piani; per esempio un condominio
di cemento armato di 10 piani avrà un periodo naturale di vibrazione di
circa un secondo.
Inoltre meno è rigido un edificio, o in modo equivalente più è flessibile,
più lungo è il suo periodo di vibrazione e quindi minori sono le forze
sismiche.
Sembrerebbe quindi logico cercare di progettare edifici meno rigidi
possibile: in realtà si deve tenere conto del fatto che ad una minore
rigidezza corrispondono anche deformazioni maggiori.
Il progettista delle strutture deve individuare la soluzione migliore tra
queste esigenze antitetiche.
Una deformazione eccessiva infatti non è accettabile, perché può causare
danni agli elementi non strutturali; oltre a ciò, più una struttura si flette,
più il centro di gravità si sposta dalla sua posizione originaria, provocando
un aumento del rischio di instabilità. Per questa ragione tutte le normative
sismiche fissano dei limiti agli spostamenti orizzontali che una struttura
può manifestare sotto l’azione sismica prevista.
La nostra normativa pone un limite agli spostamenti massimi interpiano,
per prevenire danni alle tamponature collegate rigidamente alla struttura.
Per un edificio che abbia una altezza tra un piano e l’altro pari a 3 metri,
lo spostamento massimo ammesso sotto sisma è di 15 mm. Le fotografie
che seguono mostrano danneggiamenti prodotti da deformazioni troppo
elevate.
L’ultima immagine, scattata all’interno di un edificio a S.Agostino,
documenta un caso particolare di deformazione eccessiva, chiamato
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A lezione di terremoti
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martellamento. Si verifica quando la distanza tra due edifici non è
sufficientemente ampia perché le due costruzioni non cozzino una contro
l’altra a seguito dei movimenti dovuti al terremoto. Nel caso specifico la
parete di tamponamento danneggiata separava due edifici prefabbricati
con differenti caratteristiche costruttive e diversa rigidezza.
Si fa notare come due corpi possano avere la stessa forma ed essere
costituiti dallo stesso materiale, ma avere due rigidezze molto diverse
a seconda di come siano orientati nello spazio rispetto alla forza che
agisce su di essi; la comprensione di questo comportamento è intuitiva
osservando la figura seguente.
È importante che in una costruzione le variazioni di rigidezza siano il più
possibile graduali procedendo dalle fondazioni fino alla copertura.
Dato che le forze si distribuiscono tra gli elementi strutturali in proporzione
alle loro rigidezze, in tal modo si previene il rischio che possano instaurarsi
pericolose concentrazioni degli sforzi.
Le moderne normative sismiche forniscono precise indicazioni sulle
caratteristiche che una costruzione deve possedere per poter essere
considerata regolare in altezza.
Per le medesime ragioni è auspicabile che un edificio possieda un
andamento regolare anche in pianta; edifici di forma poco compatta e
che presentano angoli rientranti sono particolarmente vulnerabili ai moti
sismici.
Un esempio emblematico di presenza contemporanea di piano soffice
e mancanza di regolarità è rappresentato dall’edificio a L’Aquila della
fotografia seguente.
Il piano che è crollato presentava infatti una estensione in pianta e
caratteristiche strutturali assai differenti dai piani sottostanti.
Realizzare un edificio antisismico significa, in Italia, operare nel rispetto
delle Nuove Norme Tecniche per le costruzioni, la cui applicazione è
obbligatoria dal 1° luglio 2009.
Gli edifici in cemento
armato e il terremoto
Le Nuove Norme Tecniche recepiscono le moderne conoscenze scientifiche
sul comportamento dinamico degli edifici, che sono progredite
dall’osservazione e dallo studio delle carenze che le costruzioni hanno
manifestato negli eventi sismici avvenuti.
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Ing. Silvia Bonetti
Conclusioni e
ringraziamenti
Questo interessante viaggio, attraverso la storia, la sismologia, la geofisica
e l’ingegneria sismica, ci ha fatto comprendere quanto il nostro territorio
possa essere sensibile al rischio sismico e come le tipologie edilizie dei
nostri tessuti urbani siano vulnerabili ai danni del terremoto.
Le immagini di distruzione e morte, ancora vive nel ricordo, dei recenti eventi
dell’Aquila e dell’Emilia però devono lasciare un insegnamento e comunque
far crescere la consapevolezza dell’importanza della prevenzione come
unica forma di limitazione dei danni, salvaguardia della vita e conservazione
dei beni architettonici che rendono il nostro territorio unico.
A tutt’oggi le moderne tecniche di modellazione e calcolo non lineare
consentono a strutturisti esperti di determinare la vulnerabilità sismica
di un edificio esistente o di elaborare la progettazione di edifici nuovi
in grado di assicurare livelli prestazionali adeguati. Parimenti le tecniche
costruttive e di restauro permettono l’adeguamento di edifici esistenti
anche nei casi vi siano particolari vicoli artistici o urbanistici. I dati relativi
agli enormi costi sociali ed economici sostenuti ancora oggi dal paese,
in seguito ai gravi terremoti occorsi nell’ultimo secolo (Belice, Friuli,
Irpinia, etc), dimostrano come solo favorendo una adeguata prevenzione
sia possibile un vero risparmio, oltre alla salvaguardia della vita umana,
aspetto sacrosanto e imprescindibile di ogni paese evoluto. La cultura
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A lezione di terremoti
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della prevenzione deve quindi radicarsi in ogni singolo cittadino, per
poter diffondersi capillarmente nella società, fino a diventare punto di
programma principale anche per le scelte politiche degli amministratori.
Fare prevenzione è quindi responsabilità di tutti e ciascuno, secondo le
competenze e il ruolo rivestito all’interno della società.
Si ringraziano tutti coloro che hanno lavorato con passione e dedizione alla
realizzazione di questa pubblicazione, i colleghi delle Commissioni “Rischi
del territorio” e “Strutture”, che senza riserva si sono calati nella parte
dello scrittore, a volte poco consona all’ingegnere, e hanno elaborato
immagini e contenuti scritti di spessore. Si ringraziano i presidenti ing.
Segala e ing. Serpelloni che hanno voluto e sostenuto il progetto con
forza, il Direttore dott. Alberto Sandri ed il dott. Francesco De Grandis di
Ance Verona per il tempo e le energie dedicate. Si ringraziano infine, gli
sponsor, poiché hanno creduto nell’idea e hanno consentito l’attuazione
del progetto e la sua capillare diffusione.
Ing. Silvia Bonetti
Coordinatore della Commissione “Rischi del Territorio”
Ordine Ingeneri di Verona
Con il patrocinio di
In collaborazione con
Fly UP