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Faremo e ricorderemo
N° 2 - FEBBRAIO 2015 - SHEVAT 5775 • ANNO XLVIII - CONTIENE I.P. E I.R. - Una copia € 6,00 Poste Italiane S.p.A. Spedizione in A.P. D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1 comma 1 Roma ITALIA FRANCIA ARGENTINA ANCHE LA SATIRA HA DEI LIMITI FUGA DEGLI EBREI RELAZIONI PERICOLOSE CON L'IRAN בס’’ד SHALOMשלום EBRAISMO INFORMAZIONE CULTURA Faremo e ricorderemo A 70 anni dalla liberazione di Auschwitz: ricordare l’antisemitismo di ieri, combattendo quello di oggi Hollywood e la Bibbia FOCUS EDITORIALE Nei luoghi della Memoria, per una Memoria senza luoghi La Comunità ebraica romana commossa dalle parole del Presidente Mattarella A 70 anni dalla liberazione dei campi di sterminio nazisti, il numero dei testimoni e dei sopravvissuti si affievolisce ogni giorno di più. E' normale che sia così, 'una generazione viene, una generazione va'. Preziose perciò, ancora di più, sono le loro parole; ed in questi ultimi anni molti degli ex deportati si sono sottoposti a faticosi e traumatici ritorni nei campi di sterminio per raccontare ai giovani cosa fu la persecuzione degli ebrei e dei rom. Su quei luoghi di morte e di barbarie, le parole rotte dal pianto dei testimoni inebetiscono gli ascoltatori, rompono l'indifferenza dei giovani, costruiscono un ponte consegnando alle nuove generazioni la responsabilità di tramandare e raccontare a loro volta. Tutti abbiamo la consapevolezza che il prossimo decennale dell'apertura dei cancelli di Auschwitz (l'ottantennale si celebrerà nel 2025), sarà diverso; vedrà un ruolo molto più marginale dei testimoni, il cui numero si sarà ulteriormente affievolito. La grande responsabilità che l'umanità dovrà raccogliere sarà quella di proseguire la testimonianza senza i testimoni, ma la sfida più importante sarà quella di non banalizzare il ricordo, portando il racconto da un semplice livello di narrazione in pathos, in suggestione. Oggi questo è possibile perché Sami Modiano, le sorelle Bucci, Piero Terracina, Nedo Fiano e tanti altri non parlano della Shoah in generale, come un evento meta-storico, ma raccontano le loro piccole e grandi 'storie' familiari, i loro affetti, i legami d'amore brutalmente spezzati. Non descrivono la sofferenza dei prigionieri, ma raccontano il dolore che loro stessi hanno provato, le umiliazioni che loro stessi hanno dovuto subire. Solo così la Shoah può essere compresa, la cui percezione complessiva - per l'enormità dei morti prodotti - sfugge all'uomo comune. E' un concetto espresso da una celebre frase, attribuita a Stalin: “La morte di un uomo è una tragedia, la morte di milioni è statistica”. Se è impossibile poter raccontare sei milioni di tragedie (di cui un milione e mezzo di bambini trucidati), è doveroso però non cedere alla tentazione semplificante di raccontare la Shoah in termini puramente storiografici. Visitare quei luoghi, recarsi nei campi è fondamentale per una buona didattica, ed è motivo di orgoglio per il nostro Paese che il Ministero dell'istruzione abbia rinnovato il memorandum d'intesa con l'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane per continuare a promuovere i Viaggi della Memoria per le scuole italiane. Ma solo una parte degli studenti va ad Auschwitz. Perché la Memoria entri a pieno titolo nel bagaglio formativo dei futuri studenti, è necessario portare Auschwitz qui. E' necessario avere luoghi in Italia dove proseguire il racconto della Shoah, ricordando le storie dei singoli, i loro volti, i loro nomi. Milano ha da alcuni anni il Memoriale 'Binario 21'. Roma quando avrà il Museo della Shoah? ‘’Abbiamo ascoltato commossi le parole del presidente della Repubblica Sergio Mattarella nel suo discorso d’insediamento alla Camera dei Deputati. Condividiamo ogni minimo passaggio: la maggiore attenzione che l’Italia deve alle comunità straniere, la valorizzazione delle diversità, il ricordo di chi 70 anni fa ha lottato contro il nazi-fascismo, la lotta alla mafia come priorità assoluta, la minaccia del terrorismo internazionale, i singoli valori che fanno della nostra Carta Costituzionale il fondamentale strumento di democrazia”. Lo dichiara il presidente della Comunità Ebraica di Roma, Riccardo Pacifici. “Nel suo profondo pensiero guardando dall’alto del suo ruolo il nostro Paese ha voluto citare anche la tragedia che ha colpito la nostra Comunità, segnata dal terrorismo palestinese già il 9 ottobre del 1982 davanti al Tempio Maggiore di Roma - sottolinea Pacifici - Il Capo dello Stato ha nominato il piccolo Stefano Gay Taché, ‘un nostro bambino, un bambino italiano’, assassinato barbaramente in quel vile attentato e così facendo ci ha abbracciati condividendo con tutti noi un dolore che non potremo mai estirpare. Io sono figlio di quell’attentato. Mio padre è stato ferito in quell’attacco come molti altri ebrei romani scampati miracolosamente alla morte”. “Il gesto del Presidente della Repubblica riempie il cuore di speranza degli ebrei romani e italiani - conclude. - La famiglia di Stefano, i genitori e il fratello, vogliono a loro volta abbracciare il Presidente e immaginare che una volta per tutte il nome di Stefano venga inserito nell’elenco delle vittime del terrorismo in Italia. Per questo tale abbraccio non vuole rimanere solo una metafora. I genitori e il fratello di Stefano vorrebbero abbracciare di persona il Capo dello Stato nelle modalità che riterrà opportune, compresa la possibilità di trovarsi insieme davanti alla lapide fuori della grande sinagoga a Roma, in Largo Stefano Gay Taché’’. FEBBRAIO 2015 • SHEVAT 5775 Ora occorre inserire Stefano Gay Taché tra le vittime del terrorismo 3 COPERTINA La “basic law” dello Stato di Israele che scandalizza il mondo Troppe polemiche attorno al disegno di legge che vuole riconoscere allo Stato ebraico una verità ribadita in ogni altra democrazia: lo Stato nazionale è legittima espressione del popolo. FEBBRAIO 2015 • SHEVAT 5775 “L 4 o stato di Israele è democratico, basato sulle fondamenta della libertà, della giustizia e della pace nella visione dei profeti di Israele e sostiene i diritti individuali di tutti i suoi cittadini secondo la legge”. Questo è l’inizio della proposta di legge che dovrebbe alla fine riconoscere Israele come lo Stato nazione del popolo ebraico. Non sembra minacciosa verso la democrazia come invece si sono affrettati a gridare i commentatori che non l’hanno nemmeno letta. E’ veramente notevole quante critiche e malumori abbia sollevato il fatto che il Parlamento israeliano abbia discusso il disegno che stabilirà, una volta approvato, che Israele è lo Stato nazionale del Popolo ebraico. Una verità auto-evidente, e che non sottrae nessun diritto alle minoranze, come non sottrae questo diritto il fatto che gli Stati Uniti siano la nazione del popolo americano. Cos’è che dà tanta noia all’opinione pubblica internazionale, che cosa spinge a credere che un fondamento legislativo di questo tipo possa trasformarsi in razzismo e in discriminazione? Non è l’Italia lo Stato del popolo italiano? Ciascuna nazione, non è la nazione del popolo che risiede con motivazioni storiche, culturali e, perbacco, talora persino religiose all’interno dei suoi confini, senza che questo significhi deturpare i diritti delle minoranze al suo interno? Perché immediatamente si è sospettato il governo israeliano, che così tanti amano odiare, di volere brandire una mannaia nei confronti delle religioni non ebraiche e verso le altre etnie? Dove si trova la traccia che questo possa accadere? Non nella storia di questo paese, che ha rispettato tutte le differenze, e non nelle parole del disegno di legge che sarà quello maggioritario, ovvero quello già approvato dal Gabinetto. Forse che non è chiaro, anzi sicuramente non è chiaro neppure ai nostri amici una volta per tutte, anche se è stato rimarcato tante volte, che il popolo ebraico è appunto un popolo e che l’ebraismo non è una religione solamente. Moltissimi paesi occidentali, spiegano i costituzionalisti, definiscono il tema della appartenenza della terra al suo popolo in modo spesso molto più determinato di quanto non faccia la “basic law” ancora non votata alla Camera di Israele; e nessuno, fra i commentatori del New York Times o di Ha’aretz, sembra sapere che ci sono tre disegni di legge da mettere a confronto e nessuno dice, scegliendo di riportare la versione più dura, che l’opzione più probabile è invece che sia la versione più morbida a moderata quella destinata a diventare legge. Sarebbe così bello che, una volta tanto nel giudizio verso Israele, invece di cercare il difetto, l’opinione pubblica cercasse di vedere la verità: e la verità è che la legge stabilirà semplicemente quello che ognuno sa e vede e che è naturale anche per qualsiasi altro popolo in qualsiasi altra nazione. Israele è lo Stato del popolo ebraico, la sua epica storia è costruita per ritrovare la patria degli ebrei da mani ebraiche, come noi italiani abbiamo avuto il nostro risorgimento e la nostra resistenza, così il popolo ebraico ha avuto i suoi momenti di identificazione nella storia contemporanea come nel passato, e le ragioni storiche e fattuali sono così forti, i sacrifici e l’eroismo nell’autodeterminazione, principio fondamentale della nostra epoca, così evidenti che davvero non dovrebbe saltare per la testa a nessuno di metterli in discussione. Anche chi mette al primo posto la difesa dei diritti delle minoranze, e questo è un diritto incontrovertibile e anche importante, deve informarsi meglio: prima di tutto, tutte le versioni più estreme, quelle che potevano essere sospettate di discriminazione sono già cadute, anche se molti giornali di questo non tengono conto e seguitano a citarle, e il Gabinetto le ha già cancellate. La base della legge proposta dal governo è composta di 14 punti e dice: “La terra d’Israele è la patria del popolo ebraico e il luogo di nascita dello Stato”; poi si parla dell’inno “Hatikva”, successivamente dei diritto al ritorno che è esteso a ogni ebreo, poi della necessità di stringere rapporti con la diaspora e con gli ebrei in difficoltà nel mondo, dell’educazione e non della religione, e quando si arriva a parlare della religione si dice che qualsiasi membro di altre religioni avrà il diritto di osservare le sue feste e il suo culto, così come i luoghi santi resteranno nelle mani delle varie religioni. Libertà, giustizia, integrità, pace sono i principi citati come tipici di Israele nel disegno preferito, e non c’è nessuna traccia di principi discriminatori, anche se si possono trovare invece in altri progetti di legge. Il principio dell’uguaglianza, che non viene citato espressamente per evitare le reazioni degli ortodossi, appare chiaramente nel richiamo alla dichiarazione di Indipendenza dal momento che la legge incorpora la dichiarazione del 1948 come fu redatta e letta da David Ben Gurion stesso. “In questi giorni in cui si scrivono varie leggi sulla nazionalità… non deve esserci spazio per discriminazioni verso gruppi dentro la società israeliana… e (occorre) santificare i principi di eguaglianza su cui la dichiarazione di indipendenza è basata…”. La prefazione, fatta di cinque frasi, menziona la parola eguaglianza cinque volte. Molti altri punti del progetto che sarà probabilmente quello prescelto ne parlano. I principi discriminatori che erano contenuti nelle proposte di destra, sono stati scavalcati dalla decisione politica per cui la legge dovrà essere sponsorizzata dal governo, e Netanyahu dovrà dare la sua approvazione. Certo, chi ama odiare Bibi seguiterà ad odiarla, la propaganda internazionale continuerà a bombardare, ma ogni persona di buon senso leggerà il testo e vedrà che arabi, beduini, armeni, circassi, eccetera, seguiteranno a godere di una protezione completa di tutti i loro diritti civili e culturali. Invece, come è noto, oltre a una piattaforma nettamente nazio- nalista, gli arabi palestinesi hanno decisamente adottato una piattaforma nazionalista discriminatoria nei confronti degli ebrei e pretendono un carattere totalmente, esclusivamente, arabo del loro stato. La Carta nazionale palestinese dice “La Palestina è la patria del popolo arabo palestinese, è parte indivisibile della patria araba e i palestinesi sono parte integrante della nazione araba”. Sembra a qualcuno che qui ci sia posto per una minoranza, tanto più per la larga minoranza israeliana che si produrrebbe se ci fossero distacchi territoriali notevoli nelle mani dei palestinesi per formare uno stato palestinese, ovvero se gli insediamenti finissero in mano palestinese? Chi avesse qualche speranza, può rileggersi i discorsi di Abu Mazen che ha dichiarato più volte che non vuole vedere l’ombra di un ebreo all’interno dei suoi territori quando esisterà lo Stato palestinese. E’ pura cultura dell’odio come quella che santifica i terroristi e dà i loro nomi alle piazze palestinesi, quindi non ci riguarda, non con questa ci confrontiamo. Ci riguarda molto di più invece il punto politico della necessità di dichiarare chiaro e tondo che Israele, Stato ebraico, proprio per questo non sarà mai un Paese discriminatorio nei confronti delle minoranze e che quando Abu Mazen dice che non riconoscerà mai Israele come stato ebrai- co, mesta nel torbido: cerca infatti di alimentare la confusione che crea nebbia quando si pensa all’ebraismo come religione e non come radice eterna della vita di un popolo variegato e molto diversificato al suo interno, in parte religioso in parte non religioso. Se la legge confermerà che gli autobus non circolino di sabato, sarà più o meno la stessa scelta che stabilisce in Italia che la domenica sia festa, o che sia festa nazionale il Natale. Un popolo può, anzi deve riconoscere la sua radice, la sua natura, i valori per cui vive e muore, specialmente se, come Israele, ogni giorno di fatto deve difenderli da un attacco discriminatorio e violento. Deve affermare di fronte all’interlocutore che ha giurato di non riconoscerti mai per quello che sei la sua identità, soprattutto perché è del tutto evidente che dietro il rifiuto di Abu Mazen si nasconde (a malapena) il progetto del diritto al ritorno indiscriminato e alla fine al piano di sommergere il popolo ebraico in uno stato binazionale che diventi poi solo arabo. Israele è lo Stato del Popolo ebraico, e proteggerà come nessun altro i diritti delle minoranze. Il resto è solo una favoletta. Inoltre se c’è un modo di tornare a colloqui di pace, esso è legato alla definizione chiara delle parti. Il popolo ebraico è una di queste parti. FIAMMA NIRENSTEIN IMPRONTE VIAGGI E TURISMO ארגון רומאי חברים של ישראל Associazione Romana Amici d’Israele Se lo vorrete non sarà un sogno da Yom HaShoah a Yom HaAzmaut 15 – 23 APRILE 2015 (9 giorni, 8 notti) Alla scoperta di Israele con una guida d’eccezione: Angela Polacco In programma incontri istituzionali biglietteria aerea nazionale ed internazionale biglietteria ferroviaria e marittima Quotazione p.p. € 2.000,00 Supp. singola p.p. € 650,00 itinerari in Israele su misura Per il programma completo: www.impronteviaggi.it - www.federazioneitaliaisraele.it pacchetti turistici vacanze e benessere Via S. Croce in Gerusalemme, 77 / 77A - 00185 Roma - Tel. 06.7001906-909 [email protected] FEBBRAIO 2015 • SHEVAT 5775 PRESENTA 5 EUROPA Paghiamo con il sangue il nostro diritto a vivere È successo negli anni della Shoah e si ripete anche in questo difficile momento storico D FEBBRAIO 2015 • SHEVAT 5775 evo confessarlo: di fronte alle notizie del terrorismo islamico giorno dopo giorno, anno dopo anno - ho provato paura, spesso un senso di lutto profondo, dei punti di vera disperazione, rabbia, tristezza, anche odio. Ma raramente mi è capitato di meravigliarmi. Che producessero terrorismo efferato società primitive e selvagge, che usano anche al loro interno una violenza senza limiti, mi è sempre sembrato tragicamente ovvio, orribilmente coerente con la loro identità. Atroce, doloroso, intollerabile, moralmente abbietto - ma purtroppo scontato. E che fosse contro di noi che innanzitutto portavano il loro terrorismo, che fossero i nostri bambini, i nostri anziani, le nostre donne, le nostre scuole, le sinagoghe, insomma, il popolo ebraico, mi è sembrato ancor più orribile e pauroso ma altrettanto scontato. L’idea che degli esseri inferiori, come ci considerano dai tempi di Maometto, alludendo a noi con disprezzo cinque volte al giorno nelle loro preghiere, dei servi, dei nemici di Maometto, graziati solo se accettavano ostensibilmente una condizione servile in tutti i momenti della loro vita pubblica e privata, si ribellassero, ritornassero nella loro antica casa e pretendessero di governarla, anche se annessa da tempo al territorio dell’Islam... be’, questo deve sembrare loro un affronto in- 6 tollerabile, un’onta da lavare col sangue. Che fossimo sopravvissuti alle molte guerre che ci hanno dichiarato, che avessimo distrutto in pochi e senza aiuti, le loro massicce armate, il loro terrorismo, il ricatto del petrolio... questo è un’offesa insopportabile al loro senso dell’onore. In una cultura in cui i conflitti si risolvono col sangue, quelli religiosi come quelli tribali, interetnici, dinastici o politici, è chia- ro che l’insulto della nostra sopravvivenza non possa che generare il terrorismo più cruento, il più vile, il più privo di pietà umana e di rispetto per i non combattenti. Insomma, per il terrorismo mi indigno, cerco nei limiti delle mie possibilità di combatterlo, ne porto il lutto quando riesce a uccidere e a ferire, ancor di più quando lo fa con bambini, donne, vecchi, passanti indifesi. Ma non riesco a sorprendermene, lo trovo dolorosamente prevedibile come i mali della vita, non ne riesco anzi a immaginarne il termine possibile nel tempo della vita prevedibile. E quindi non mi sento tradito quando accade. Attaccato sì, violato, ferito, ma non tradito. So che non possiamo aspettarci da quella parte altro che morte, salvo per chi se ne dissocia, capisce che è una strada senza uscita, cerca di cambiare questo destino terribile, che porta alla rovina anche gli arabi prigionieri della loro volontà di vendetta contro la nostra vita. Ancora: non mi sento tradito dai paesi ex comunisti asiatici, africani, che danno un appoggio più o meno effettivo alle iniziative diplomatiche contro Israele. Si tratta di vecchi schieramenti, che scattano con una specie di automatismo: il “Terzo Mondo” insieme agli ex “Paesi Socialisti” contro l’Occidente. Che Israele non sia più appoggiato dall’Europa né dall’amministrazione Obama non importa, esso è considerato automaticamente l’avanguardia dell’imperialismo americano, la terra del colonialismo eccetera eccetera. Amareggia naturalmente che ci sia un antisemitismo in luoghi dove non c’è mai stata una presenza ebraica se non limitatissima, come in Cina e in India; ma si tratta di posizioni politiche, che possono cambiare. E in effetti sembra che Dopo il trauma tragico dello sterminio, che non è stato solo nazista, ma ha visto la partecipazione massiccia di governi e di popoli in Germania ma anche in Francia, in Italia, in tutto l’Est, gli ebrei hanno di nuovo ricucito la trama di un’integrazione coi loro paesi, appoggiando allo stesso tempo e favorendo la nascita e lo sviluppo di Israele. Israele non è nato come compensazione alla Shoà, ma certamente è una garanzia contro la sua ripetizione, è la realizzazione di un sogno millenario che diventa urgenza politica alla fine dell’Ottocento sotto la spinta della persecuzione e dell’oscura ma indubitabile pulsione europea a liberarsi dei suoi ebrei. Forse io mi sono illuso con la mia genera- zione che l’Europa avesse imparato la lezione che essa stessa si è data con la Shoà. Forse ho fatto male, con la mia generazione a trattare la Shoà come una cosa conclusa, frutto di un tempo finito, un errore confessato e concluso. Oggi l’Europa tradisce ancora. Non protegge adeguatamente gli ebrei che sono rimasti sul suo territorio, che sono oggetto di attentati continui, di minacce, di boicottaggi. E osteggia aperta- mente Israele, col pretesto del tutto inattendibile sul piano della realtà di favorire improbabili trattative di pace - che nella strategia palestinese sono solo forme di guerra sviluppata con mezzi diplomatici. L’Europa non tiene conto di come le sue azioni, i voti dei suoi parlamenti, le sue posizioni all’Onu abbiano l’effetto pratico di mettere ancora in pericolo la vita individuale e collettiva degli ebrei. Non le importa, non se ne sente responsabile. Volentieri scarica sulla testa del popolo ebraico il costo del suo colonialismo, la responsabilità dei suoi rapporti interni con l’immigrazione ed esterni con il mondo musulmano. E’ un terzo tradimento, che sorprende e amareggia. Che i paesi islamici presentino all’Onu mozioni che puntano alla distruzione di Israele sotto la finzione della pace, non meraviglia. E non meraviglia neanche che cerchino di criminalizzare l’autodifesa israeliana dalle minacce terroristiche usando la Corte Penale Internazionale. Era previsto dalla sua costituzione, con l’avvertenza che anche in questo Israele sarà solo il primo obiettivo e seguiranno Usa, Gran Bretagna, Francia. Che buona parte delle nazioni del Terzo Mondo si allinei è sgradevole ma fa parte delle costanti del gioco politico. Che l’Europa rifiuti di appoggiare Israele e si erga come una terza parte che lo giudica e in sostanza collabora per la sua distruzione, questo sì, amareggia e sorprende. UGO VOLLI Nella pagina a fianco: Germania 1933 "con lo Sturmer (giornale antisemita) contro gli ebrei. Gli ebrei sono la nostra disgrazia" In questa pagina: Inghilterra 2011 "Israele i tuoi giorni sono contati. Per la pace nel mondo Israele deve essere distrutta" FEBBRAIO 2015 • SHEVAT 5775 l’India uscirà dallo schieramento anti-israeliano all’Onu; con la Cina e il Giappone ci sono processi di avvicinamento economico e commerciale. Perfino con la Russia, che pure è lo sponsor politico e militare dell’Iran e di Assad, ci sono dei discorsi aperti. Ma resta la logica di schieramento. Di loro non mi sorprendo. Mi meraviglio invece, mi sento profondamente tradito dall’Occidente, dall’Europa, da una certa “intelligenza” americana, dalla sinistra europea e italiana, e anche da quella sudamericana, che in questo ha fatto da battistrada all’Europa. L’Europa ha visto la Shoà, anzi l’ha commessa. L’Occidente ha giurato molte volte che non si sarebbe ripetuta, ha aperto musei della Shoà e dell’ebraismo. Tutti i paesi hanno avuto le testimonianze, i sopravvissuti, si sono commossi ai libri e ai film. Sono stati spesso il teatro di piccolo o grande terrorismo antiebraico. Di più: il loro passato integra profondamente la storia della diaspora ebraica e conosce in maniera diretta (l’Europa) o indiretta (Usa e America latina) i molti secoli di persecuzioni inflitti agli ebrei. Sono passati poco più di due secoli da quando la Francia ha iniziato il processo di emancipazione degli ebrei, che poi si è diffuso nel resto del continente, in Italia (1848-61) in Germania (concluso solo negli anni Settanta del Novecento) eccetera. L’Europa ha promesso nell’Ottocento integrazione al popolo ebraico, che si è generosamente identificato con i paesi in cui abitavano, ha partecipato in maniera eminente alla loro modernizzazione, alle battaglie politiche, perfino alle guerre, e poi l’ha tradito con pogrom, con discriminazioni, con umiliazioni come il caso Drayfus e poi con la Shoà. 7 EUROPA Davanti al fondamentalismo islamico, quanta retorica, quanta confusione mentale Troppe giustificazioni, distinguo e scarsa capacità di analisi persino da chi non te lo saresti aspettato, dal Papa FEBBRAIO 2015 • SHEVAT 5775 P 8 assata la sbornia del «Je suis Charlie» era purtroppo inevitabile che riemergesse lo sfilacciamento (per non dir peggio) del fronte che dovrebbe contrastare la minaccia del fondamentalismo islamico. Troppi sono stati i casi di scuole francesi in cui ci si è rifiutati di osservare un minuto di silenzio in onore delle vittime e sono venuti fuori i soliti arnesi a spiegare che tutto è stato una montatura messa in piedi dalla Cia e dal Mossad. Tuttavia, anche volendo non dare troppa importanza a questa controinformazione demenziale (il che sarebbe un errore, visto come inquinò le menti di tante persone dopo l’attacco alle torri gemelle di New York), è assai inquietante il livello di confusione che circola anche ai livelli più elevati della politica e delle autorità religiose. Papa Francesco ha dichiarato che la violenza in nome della religione e di Dio è inaccettabile ma è altresì inaccettabile l’offesa della fede altrui, e se uno insulta la mamma è del tutto naturale assestargli un pugno. Forse si potrebbe sorvolare su questo episodio, visto che da varie parti è stato derubricato a “scherzo”, ma colpisce assai che questo sia l’unico caso in cui sia venuta meno la tenace adesione al principio dell’accettazione dello “schiaffo sull’altra guancia”. Quando, in precedenti occasioni, il Papa ha predicato la necessità di fermare il fondamentalismo ha precisato con chiarezza che questo non doveva comunque essere fatto con la forza (come, non si capisce bene, ma questa è un’altra faccenda); e quando ha deprecato le stragi di cristiani, la vendita come schiave delle donne cristiane messe in gabbia, non si è mai sognato di dire, neanche per scherzo, che bisognasse tirare qualche pugno contro simili obbrobri. Dunque, è soltanto l’estremismo islamista che è gratificato di una comprensione che sconfina nella giustificazione degli attentati? Ma la confusione mentale dilaga a livelli apparentemente più innocui – apparentemente, perché nei frangenti in cui siamo di logomachia si muore. Ci si divide tra chi dice che gli attentati francesi sono forme di terrorismo e chi dice che sono episodi di vera e propria guerra all’occidente. No – replicano altri – è guerra civile perché le persone coinvolte sono cittadini francesi (o di altri paesi europei) anche di seconda generazione. Una simile osservazione è assai fondata ma bisognerebbe trarne le conseguenze tra cui due principali. La prima è che la situazione è di gran lunga più grave di quanto sarebbe se si trattasse soltanto di attacchi terroristici o bellici del tutto esterni a una società compatta nel difendere i suoi principi di convivenza, mentre questo manifesta un livello di sfilacciamento e di disgregazione dei progetti di integrazione dell’immigrazione – fallimento che ha prodotto in forme diverse ma analoghe nei diversi paesi europei segmenti comunitaristi isolati che mirano a difendere l’autonomia dei propri principi di con- vivenza (la sharia, in particolare), anche quando sono in piena contraddizione con la legislazione dominante e persino a imporli con la forza. La seconda conseguenza è che chi usa l’argomento della guerra civile per mettere a tacere chi coglie l’occasione per condannare il lassismo nella gestione dell’immigrazione, si dà la zappa sui piedi. È ben evidente che c’è chi coglie il pretesto di quanto è accaduto per parlare soltanto di immigrazione ed eccitare gli animi contro gli immigrati, ma sostenere che il tema dell’immigrazione non c’entri nulla in quanto gli attentatori sono cittadini europei, è uno svarione da matita blu. E questo per il semplice motivo detto prima: se costoro sono giunti al punto di essere mobilitabili per attaccare le società europee dall’interno, vuol dire che i progetti di integrazione sono falliti. Se ci impantaniamo nella retorica anziché ragionare si va alla catastrofe: chi scrive è figlio di immigrato, figuriamoci se può decentemente avercela con l’immigrazione, ma l’ingresso in un paese che non sia basato sull’accettazione delle sue regole, la conoscenza della sua lingua e della sua tradizione culturale (e dirò di più, anche l’interesse e l’affetto per queste) non ha alcun senso se non quello di fabbricare le premesse di una catastrofe. Un conto è l’imposizione autoritaria di modelli che non lasciano spazio alla coltivazione del legame con le proprie radici e con la propria religione, altro conto è accettare che la società si decomponga in gruppi indipendenti che non rispondono più ad alcun contratto sociale, fino al punto – in nome di un disgraziato “buonismo” – di mettere all’ultimo posto i diritti delle radici, della cultura e delle religioni storicamente prevalenti nel paese ospitante. In definitiva, vi sono poche speranze che il contrasto alla sfida dell’integralismo islamico possa avere successo se l’Europa non tornerà sui suoi passi rispetto a un processo che in pochi decenni ha sgretolato i fondamenti delle proprie società, persino dimenticandone la storia (come si vede bene al livello dell’istruzione), screditandone la cultura, le istituzioni e le forme associative democratiche. Quando ci si rifiutò di menzionare le “radici ebraico-cristiane” della civiltà europea, si poteva ben criticare questa formula, suggerirne formulazioni diverse, ma il rigetto brutale che ne venne fatto, quasi si trattasse di un proclama razzista, doveva far capire lo sfacelo cui stava andando il continente. E che è sotto gli occhi ogni volta che apriamo il portafogli e maneggiamo le squallide carte-moneta su cui campeggiano forme architettoniche astratte, per l’incapacità di mettersi d’accordo persino a scegliere l’iconografia di un certo numero tra i grandi monumenti e tra i volti di uomini rappresentativi della grandezza della civiltà europea. Quando riusciremo a vedere su quei pezzi di carta il Colosseo, l’Acropoli di Atene, la cattedrale di Chartres, una sinagoga di Toledo, i volti di Galileo, Goethe, Cervantes, Newton o Spinoza, senza che qualche congrega di imbecilli blocchi tutto in nome di qualche stravagante obiezione “politicamente corretta”, sarà il segnale che forse questo continente ha ancora qualche speranza di sopravvivenza. GIORGIO ISRAEL Che dialogo è se uno vuole 'sottomettere' l'altro? Non ci può essere nessuna giustificazione se una religione consente di uccidere perché ci si sente offesi Al Papa si sono subito accodati i vari leader occidentali, Obama per primo, che non ha ritenuto opportuna la sua presenza alla marcia di Parigi, e tutti gli altri, Hollande e Merkel in testa, che hanno pubblicamente riaffermato tutti gli apprezzamenti all'islam quale religione di pace. Poco importa se tutto il terrorismo che minaccia le nostre libertà agisce proprio nel nome dell'islam. I giornalisti di Charlie Hebdo sono morti invano? Ho tenuto fuori da questo commento gli ebrei vittime dello stesso terrorismo islamico, essendo quelle del supermercato kasher soltanto le ultime di una lunga serie che ben conosciamo. Ebrei che non hanno mai alzato un dito, né un sopracciglio, di fronte a nessuna vignetta di Charlie Hebdo, essendo l’ironia e la satira una componente strutturale dell’ebraismo. Il gioco – o meglio la tragedia – ha due attori, cristianesimo e islam. Il secondo vuole sottomettere tutti, cristiani compresi, il primo lo legittima. Non c'è bisogno di scrivere un romanzo, premonitore, come ha fatto Michel Houellebecq (Sottomissione, Bompiani ed.) per capire che il risultato sarà il suicidio dell'Occidente, delle nostre società sicuramente imperfette, ma democratiche, aperte, sempre più attente ai diritti di tutti. Anche di quelli che pur vivendo in regimi democratici approfittano delle nostre leggi permissive per distruggere i nostri valori. In poche parole per sottometterci. ANGELO PEZZANA In alto a destra: nella copertina di Charlie Hebdo, Michel Houellebecq prevede di rispettare il Ramadan nel 2022 FEBBRAIO 2015 • SHEVAT 5775 M an mano che le stragi di Parigi si allontanano nel tempo e l'emozione suscitata rimane anch'essa un ricordo, abbiamo assistito ad un mutamento nella pubblica opinione nei confronti dell'intera vicenda. Dalle responsabilità evidenti e riconosciute degli esecutori materiali a quelle dell'ideologia che le ha motivate, siamo passati ad una fase che non è azzardato definire giustificativa. L'esecuzione della redazione di Charlie Hebdo - una strage a sangue freddo - che ha commosso e indignato centinaia di milioni di persone, generando una solidarietà verso un giornale che forse soltanto una minima parte dei vari milioni che poi l’hanno acquistato conosceva, si è tramutata in un riesame dei contenuti del giornale stesso. L'insulto alla parola 'religione', che con l'aggettivo 'islamica' era stato alla base della strage, mentre nei primi giorni veniva giustamente giudicato inaccettabile da una società democratica, e perciò laica, come la Ministra della Giustizia francese Christiane Taubira aveva dichiarato “Si può disegnare di tutto, anche il profeta Maometto, perché in Francia, paese di Voltaire e dell'irriverenza, si ha il diritto di prendere in giro tutte le religioni", e come avevano condiviso i milioni di partecipanti alla grande manifestazione "Je suis Charlie", ebbene, a distanza di poche settimane, il vento è cambiato. Un sondaggio recente attribuisce al 40% dei francesi l'opinione che il settimanale aveva oltrepassato il limite consentito, in pratica che la libertà di espressione doveva fermarsi di fronte alla parola religione, inglobando in quel 40% - oltre ai prevedibili 6/7 milioni di musulmani che vivono in Francia - su questo tema la quasi totalità è d'accordo - una alta percentuale di francesi che ha fatto marcia indietro. Una scelta sulla quale hanno sicuramente avuto influenza le parole del Papa durante il suo viaggio nelle Filippine. "Un crimine uccidere in nome di Dio, ma non si insultano le religioni", ha detto Francesco, un’affermazione che suona come una condanna sull’intero Charlie Hebdo che, come tutti sanno, fa della satira vera, non quella annacquata alla quale ci hanno abituato i vignettisti di casa nostra, sempre attenti all’uso che fanno delle loro matite. Le parole del Papa sono state il segnale che Islam e Cristianesimo non possono essere soggetti a raffigurazioni men che mai irrispettose, cancellando le speranze di chi aveva interpretato il suo arrivo come novità, grazie soprattutto a quel suo "… e chi sono io per giudicare!". Adesso sappiamo che l'islam, la cui traduzione letterale è "sottomissione" è equivalente al cristianesimo. Che poi le pene per chi lo critica siano diverse, è un fatto da attribuirsi al fatto che il cristianesimo opera in un mondo occidentale che ne ha cambiato, dall'illuminismo in poi, pratiche e regole nell'applicazione della fede. L'islam, che vive - o si propone di ritornare a vivere - in un mondo arretrato - può arrivare a fare stragi di cristiani, ai quali non è concesso il diritto di reagire nemmeno con la matita. Sempre per via del rispetto che dovrebbe essere dato all'islam, dato che viene ritenuto - anche dal Papa - soltanto una religione. 9 EUROPA L'aliyah è una risposta all'antisemitismo europeo? Polemiche e acceso dibattito, dopo gli attentati, per l’invito espresso dal premier israeliano Netanyahu agli ebrei francesi di trasferirsi in Israele FEBBRAIO 2015 • SHEVAT 5775 O 10 gni volta che il terrorismo jihadista colpisce l’Occidente, le reazioni in Israele seguono un copione consolidato. C’è, naturalmente, la solidarietà per le vittime, soprattutto quando a essere colpiti sono ebrei o israeliani che si trovano all’estero. C’è poi la speranza che l’Occidente, e soprattutto l’Europa, si risvegli, comprenda il pericolo dell’estremismo islamico e si riavvicini a Israele, che da decenni affronta da solo la minaccia terrorista. Infine, segue l’invito pressante agli ebrei della Diaspora a fare Aliyah, a emigrare in Israele, unico paese a poter garantire la sicurezza e la sopravvivenza del popolo ebraico. Ma è davvero così? L’Aliyah è la risposta migliore al terrorismo e all’antisemitismo di chi prende di mira le comunità ebraiche sparse nel mondo? Il governo israeliano, e soprattutto il premier Benjamin Netanyahu, ha seguito con convinzione il copione sopra descritto a seguito della doppia strage compiuta a Parigi contro il settimanale satirico Charlie Hebdo e i clienti ebrei del supermercato Hyper Cacher. Questa volta però le parole e le azioni del premier e dei suoi alleati politici sono suonate strumentali e grossolane, suscitando critiche da parte europea e israeliana. Netanyahu, prima ancora di partire alla volta di Parigi e poi nelle sue numerose apparizioni nella capitale francese, ha ripetutamente invitato il mondo a unirsi contro l’estremismo islamico, cercando di collegare le azioni di Al-Qaida, ISIS e altre organizzazioni islamiste internazionali a quelle di Hamas e altri gruppi terroristi vicini alla causa palestinese. Netanyahu non ha tutti i torti nel ravvisare possibili saldature fra il jihadismo mondiale e il terrorismo palestinese, e indubbiamente il fanatismo islamico alimenta le posizioni e le azioni di Hamas quanto quelle di Al-Qaida. Eppure, a torto o a ragione, la maggior parte del pubblico europeo e francese, anche quella parte che non è pregiudizialmente filo-palestinese, traccia un netto distinguo fra le motivazioni e gli scopi di queste diverse compagini. E nel contesto dell’attentato di Parigi le parole del premier israeliano sono suonate come un tentativo strumentale e disperato di agganciarsi al clima globale di solidarietà e far sorte comune in un momento in cui invece le divisioni tra Israele e Unione Europea sulla questione palestinese sono chiare e profonde. Non a caso, secondo i media israeliani e francesi, il presidente francese Francois Hollande aveva cercato di bloccare la partecipazione di “Bibi” alla grande marcia di solidarietà a Parigi per non compromettere il senso di unità creatosi a seguito degli attentati. Netanyahu, che inizialmente aveva acconsentito alla richiesta francese, ha fatto marcia indietro quando ha saputo che il ministro degli Esteri Avigdor Lieberman e il ministro dell’Economia Naftali Bennett, suoi rivali per il voto di destra nelle prossime elezioni di marzo, erano partiti per Parigi. Netanyahu non ha dunque esitato a privilegiare i suoi interessi elettorali personali invece di salvaguardare le già tese relazioni tra Francia e Israele. Hollande ha mostrato tutto il suo disappunto, quando, durante una cerimonia in ricordo delle vittime dell’Hyper Cacher presso la sinagoga centrale di Parigi, si è alzato per lasciare l’evento nel momento in cui Netanyahu prendeva la parola. A turbare i francesi sono stati anche gli inviti di “Bibi” e dei suoi ministri agli ebrei francesi ad aumentare il ritmo dell’emigrazione verso Israele. “Lo Stato d’Israele è la vostra casa”, ha detto il premier. “Tutti gli ebrei che vorranno immigrare in Israele saranno accolti a braccia aperte”. Netanyahu non ha irritato solo l’Eliseo, ma anche molti ebrei francesi, che non credono alla necessità di abbandonare in fretta e furia il continente europeo. “Vivere in Israele non è facile” - dice Daphna Poznanski, presidente dell’Associazione dei Francesi in Israele - “non bisogna venire a viverci per panico, ma perché si crede veramente in questo paese”. Anche Rebecca - una trentunenne che viveva di fronte all’Hyper Cacher, trasferitasi a Tel Aviv un mese prima degli attentati - rifiuta l’idea di un’Aliyah fatta sull’onda della paura. “Io non ho mai avuto paura in Francia: per strada, in sinagoga, a scuola, ho sempre rifiutato di avere paura” - dice la giovane nuova immigrata - “Sono venuta in Israele perché sono sionista, ma Bibi non ha il diritto di dire che dobbiamo lasciare la Francia”. Paradossalmente, l’invito di Netanyahu fa il gioco dei terroristi, spiega Gerard Benhamou, altro leader della comunità francese, trasferitosi trent’anni fa in Israele. “È proprio quello che vogliono i terroristi, spingere con le violenze gli ebrei a fuggire dalla Francia”, spiega. “Invece bisognerebbe dire che gli ebrei hanno il diritto di vivere in Francia e in Europa in pace e sicurezza.” L’Aliyah dalla Francia è in aumento negli ultimi anni a causa della crescita degli episodi di antisemitismo nel paese, e nel 2014 circa 7,000 ebrei francesi si sono trasferiti in Israele. Si tratta comunque di poco più dell’uno per cento della comunità francese: non certo un esodo di massa. Netanyahu, dicono dunque i francesi d’Israele, farebbe meglio a lasciare da parte le strumentalizzazioni politiche e a mettere le risorse dello Stato ebraico in fatto di sicurezza e protezione anti-terrorismo al servizio della Francia e della sua comunità ebraica. Meglio lasciar stare gli inviti a “fare i bagagli” e lavorare per rafforzare gli ebrei della Diaspora, perché una Diaspora forte significa anche tutelare un appoggio importante per lo Stato ebraico nei momenti del bisogno - momenti che negli ultimi anni, purtroppo, si sono fatti assai frequenti. ARIEL DAVID A Parigi a dire ‘Je suis’ c’erano tutti, meno Obama N EW YORK – All’indomani delle stragi terroristiche di Parigi, Barack Obama sale in cattedra per fare la lezione ai governi europei, esortandoli ad “assimilare meglio la propria minoranza islamica”, perché “il pugno di ferro e le misure straordinarie di sicurezza non bastano a risolvere i problemi e prevenire futuri attacchi”. “Il più grande vantaggio degli Stati Uniti nella lotta contro il terrorismo interno è che la nostra popolazione musulmana si sente americana”, ha spiegato il Presidente Usa nel corso di una conferenza stampa con il Premier inglese David Cameron, primo leader invitato alla Casa Bianca dopo gli attentati francesi. “In America c’è questo incredibile processo di immigrazione e assimilazione che fa parte della nostra tradizione ed è probabilmente la nostra forza più grande”, ha aggiunto, “mentre lo stesso non è vero in molte parti d’Europa”. Sondaggi, esperti di terrorismo e sociologi gli danno ragione. La maggiore integrazione degli islamici in Usa e le eccezionali misure di sicurezza implementate da Washington dopo l’11 di settembre hanno permesso all’America di dormire sonni più tranquilli rispetto ad Europa, Canada e Australia, anche se l’attentato alla maratona di Boston, nell’aprile 2013, ha ricordato al Paese che bastano due folli ‘lupi solitari’ per mettere in ginocchio un’intera città. Ma Obama sa bene che l’impegno militare anti-Isis degli Usa rende il Paese nuovamente vulnerabile e così annuncia che il 18 febbraio si terrà a Washington, alla Casa Bianca, un summit anti-terrorismo ad alto livello, da lui presieduto, per affrontare la crescente minaccia dei “foreign fighters” (5000 solo quelli con passaporti europei): estremisti islamici occidentali andati a combattere in Siria e Iraq che potrebbero tornare in patria per compiere attacchi terroristici come quelli di Parigi. “Riuniremo insieme tutti in nostri alleati”, spiega Obama, “per discutere come possiamo reagire a questo estremismo violento che pervade il mondo intero”. L’attivismo americano fa seguito al putiferio di polemiche per l’assenza del Presidente Usa alla storica marcia post-attentati di Parigi: la più imponente manifestazione di piazza dai tempi della Liberazione, nel 1945, cui sono intervenuti oltre 40 capi di stato tra cui il Presidente francese Francois Hollande, il Cancelliere tedesco Angela Merkel, il Primo ministro britannico David Cameron, il Primo ministro italiano Matteo Renzi, il Presidente del governo spagnolo Mariano Rajoy. “Obama n’est pas Charlie”, ha tuonato l’influente sito ‘Politico’. “Ha deluso il mondo”, gli ha fatto eco in prima pagina il New York Daily News. I media americani hanno accusato Obama di aver “snobbato la marcia” e di essere rimasto alla Casa Bianca con la famiglia, (“ma nessuno sa come ha impiegato il tempo”, hanno puntato il dito), mentre il vicepresidente Biden “era a casa nel Delaware e il sottosegretario Kerry era in visita in India”. Alla marcia non c’era nemmeno il ministro di Giustizia, Eric Holder, che pure era presente al summit antiterrorismo che si era svolto a Parigi soltanto un’ora prima della manifestazione di Place de la Republique. L’unica partecipazione americana ufficiale ha finito per essere quella dell’ambasciatrice Jane Hartley, un livello di rappresentanza di solito riservato ai Paesi emergenti. Apriti cielo. «Quest’assenza è simbolo di una mancanza della leadership americana sulla scena internazionale ed è pericoloso», l’ha accusato Ted Cruz, senatore repubblicano del Texas. «L’attacco di Parigi, così come quelli contro Israele e altri alleati, è un attacco ai valori condivisi», ha aggiunto. «È stato un grave errore», ha rincarato la dose il senatore della Florida Marco Rubio, leader di punta del Tea Party. Alla fine Obama è stato costretto ad un’umiliante mea culpa. “Avremmo dovuto inviare qualcuno ad alto livello alla marcia di Parigi”, ha ammesso il portavoce della Casa Bianca Josh Earnest, assicurando che il Presidente avrebbe voluto partecipare al raduno, ma lo scarso tempo a disposizione per mettere a punto le misure di sicurezza glielo ha impedito. Quando gli hanno chiesto come mai persino il Primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, era presente in strada, Earnest ha detto che la sicurezza del Presidente e del Vicepresidente è molto più dispendiosa e difficile. “I requisiti di sicurezza di una visita a livello presidenziale o di un vicepresidente sono onerosi e rilevanti e il tutto è amplificato in occasione di eventi con tale partecipazione di massa”, si è giustificato. In un’intensa e commossa visita a una settimana dai blitz, il Segretario di Stato John Kerry ha cercato di correre ai ripari. “Ci tenevo a essere qui con tutta Parigi, con l’intera Francia”, ha detto il capo della diplomazia Usa in un discorso in francese nell’Hotel de Ville, la sede del municipio parigino, prima di incontrare il Presidente Francois Hollande e il collega Laurent Fabius. “Vengo a condividere con voi un grande abbraccio, vecchi amici, e a manifestarvi di persona l’orrore e il dolore che gli americani condividono per l’incubo a occhi aperti, per l’infamia che avete dovuto subire”. “Io rappresento una Nazione che rende grazie ogni giorno per avere nella Francia uno dei propri alleati più antichi”, ha aggiunto, “ve lo volevo dire di persona”. Poi Kerry ha ceduto il proscenio a uno degli “amici del Massachusetts”: il celebre cantautore James Taylor, che prima ha intonato la Marsigliese e poi ha accompagnato alla chitarra uno dei suoi più celebri successi, non a caso ‘You’ve Got a Friend’, ‘Tu hai un amico’. A chi mette in dubbio l’impegno americano per combattere il terrorismo, l’amministrazione ricorda che nessuna nazione al mondo spende altrettanto nella lotta per sradicare l’odio. “Oltre ad aver perso più di 6800 uomini nelle operazioni post-11 di settembre tra Iraq e Afghanistan, gli Usa continuano a mantenere una massiccia presenza in Europa”, spiega un funzionario, “66mila tra soldati e personale militare di stanza nel vecchio mondo. E dopo gli attacchi di Parigi”, aggiunge, “abbiamo letteralmente inondato il continente dei nostri migliori 007, agenti FBI e spie varie”. ALESSANDRA FARKAS FEBBRAIO 2015 • SHEVAT 5775 L’incomprensibile assenza dell’amministrazione americana 11 EUROPA “I FEBBRAIO 2015 • SHEVAT 5775 l discorso è forse complesso, ma a me, uomo della strada, sembra abbastanza semplice. La libertà di espressione, conquista importantissima della civiltà moderna, non può scatenare reazioni violente, ma reazioni sdegnate sì. In sostanza: le vignette blasfeme si possono fare ma io sono libero di criticarle anche in modo pesante e di dire che mi fanno schifo. Poi il resto dovrebbe dipendere dalla sensibilità di ciascuno. Io per esempio non amo il dileggio sarcastico, mi diverte invece molto l’ironia più lieve, ma il mio gusto personale non c’entra nulla con le leggi.” Questa frase estrapolata fra le tante che si leggono a pochi giorni dai fatti di Parigi, non menziona il secondo episodio: le quattro vittime altrettanto se non più innocenti dell'ipermercato Kosher. Ognuno cercava una risposta in quelle ore di odio, in quel primo giorno, e fra le infinite possibilità di manifestare lo sdegno e il dolore per quanto appena accaduto, avevo deciso di postare sui social network: non io sono Charlie, ma con tutto il cuore sono vicino a Charlie. Poche ore e la mia vita è stata travolta di nuovo: ho cambiato ancora e ho messo un Maghen David listato a lutto. Nel mare di distinguo sottili come spilli o violenti come travi in un occhio, la mia anima, con semplicità aveva trovato la sua strada, vicina alle vittime della jihad islamica, identificata con loro dal mio essere un ebrea libera, che vorrebbe essere libera anche di decidere se e come fare la mia alyà. Come ha detto Joel Mergui, presidente del Consistoire di Francia, voglio scegliere con il mio cuore, non per paura e/o in fuga. Il giorno dopo ero il mio popolo, colpita a morte insieme alle vittime innocenti dell'odio più bieco: senza se né ma, perché il rispetto dell'identità ebraica è l'essenza 12 PERIZIE E VINTAGE RESTYLING Voglio scegliere con il mio cuore A Parigi grande solidarietà alle vittime di Charlie Hebdo. Ma gli ebrei scappano dalla Francia. Non si capisce che l'identità ebraica è l'essenza stessa dei parametri di libertà e di democrazia del Paese stessa dei parametri di libertà e di democrazia; i 17 morti di Parigi, morti per essere liberi, per essere i garanti dell'ordine da cui tutte le libertà sono tutelate, morti per essere ebrei. Sto usando parole lievi rispetto a quelle che sentiva la mia anima e la mia mente, mi sentivo schiacciata, sola, io non ho fatto satira sulle attività e i gusti sessuali del profeta, io sono nata membro di un popolo cui i distinguo, mancati, esitanti, tardivi, troppo pronunciati, sovraesposti (non importa la forma e la dimensione dell'articolazione intellettuale, per essere identificato come ebreo basta esserlo) hanno assottigliato di qualche milione di unità l'esistenza in vita. Abbiamo passato ore giorni in cui sembrava che la carneficina non dovesse avere mai fine, il mondo sbigottito, avendo dimenticato l'11 settembre 2001, ritornava ad accorgersi che ci sono persone che distinguo non ne fanno, né sottili né grossolani. Bestie, sotto forme umane, che in nome di una religione, intesa come valore di liberazione dall'altro, uccidono i diversi da sé. L'odio non conosce differenze. Come tutte le forme della politica sistemica, anche l'ordinamento europeo ha la necessità di riassestarsi di fronte ai mutamenti radicali delle realtà circostanti. Non credo che la soluzione sia passare dalla libera circolazione alla chiusura delle frontiere, ma ad una maggiore condivisione di intelligence si, ad una revisione dei criteri di entrata, in funzione delle provenienze risultanti dei vari viaggi in paesi che ucci- dono in una guerra non dichiarata, è indispensabile. Se c'è una lezione che viene dagli attentati di Parigi, oltre la visione chiara del malmostoso stagno di un antisemitismo diffuso e talora oltremodo vergognosamente tollerato, è che se l'Europa unita è solo l'Euro, non solo l'obiettivo dell'Unione è mancato ma la denuncia è più grave: il sistema, messo in marcia dal Trattato del 1954, che non prevedeva solo il dato economico come dato unificante, ma la condivisione di valori che, prima o poi, dovrà portare ad una costituzione d'Europa, ha subito una grave marcia d'arresto. Troppo facile prevedere i disastri, con buona pace di quanto scritto da Oriana Fallaci, inventarsi la speranza e immaginare il futuro è più difficile, particolarmente se non si è anziani, amareggiati, iconoclasti, ma giovani col futuro dinanzi a sé e in procinto di prendere in mano la vita. Più difficile riscrivere le norme tenuto conto di contesti sociali e politici mutati. Ma per questo siamo andati ad eleggere i nostri rappresentanti al Parlamento Europeo e forse all'appello qualche loro voce è mancata. Dopo le marce cosa si deve fare? La politica deve essere chiamata a rispondere in tutte le sue sedi, anche e soprattutto dopo le emergenze, quando i media dimenticano di ricordare gli orrori prossimi, si concentrano su quelli passati e nelle nostre comunità si sceglie di emigrare in Israele, anche per paura. Piano piano lo sdegno evapora, ritornerà il silenzio? CLELIA PIPERNO La Francia strabica Non ha mai reagito quando la violenza islamica ha colpito gli ebrei. Solo dopo Charlie Hedbo, la gente è scesa in piazza Dal 1982 operiamo con successo nel settore dei traslochi e dei trasporti nazionali e internazionali DIVISIONE TRASLOCHI Trasporti su tutto il territorio nazionale e internazionale PARCO AUTOMEZZI ATTREZZATURE SPECIALI Scale telescopiche fino a 15 piani braccio-gru semovente DIVISIONE DEPOSITO MERCI Magazzino di 18.000 mq coperti 60.000 mq scoperti SEDE DI ROMA: Via Volturno, 7 - Tel. 06.86321958 FEBBRAIO 2015 • SHEVAT 5775 U na Francia senza ebrei, non sarebbe più tale, ha affermato il premier Manuel Valls all’indomani delle grandi manifestazioni parigine contro gli attentati terroristici di matrice islamista. È vero. La Francia non sarebbe più la stessa. Ma se così è, bisognerebbe essere conseguenti, ammettere con onestà che la Francia ha purtroppo smesso da molto tempo di essere la stessa. Quindici anni fa c’è voluto del tempo prima che le autorità francesi riconoscessero che gli attentati alle sinagoghe, e i pestaggi quotidiani, erano la manifestazione virulenta di un antisemitismo di tipo nuovo, di matrice islamista, in cui l’odio contro gli ebrei e Israele, uniti indistintamente, faceva da perno al rigetto della civiltà e dei valori occidentali. A differenza di quanto accadde in passato con l’antisemitismo della destra, anche quando ha riconosciuto il carattere indiscutibilmente antisemita dell’ondata di violenza antiebraica, la cultura progressista non si è mobilitata. I francesi non sono stati chiamati a scendere in piazza in solidarietà con i loro concittadini ebrei aggrediti per le strade, all’uscita dai ristoranti, nei luoghi di preghiera e nelle scuole. Le scuole ebraiche erano protette come fossero dei bunker, ma la gente non ha percepito l’angoscia degli ebrei francesi come propria. Gli attentati alle scuole e le stragi d’innocenti non erano percepiti come un attacco diretto contro la Francia. Erano considerati dai più come il risultato di una guerra che si svolgeva altrove, che non coinvolgeva la Francia come tale. Un’importazione pericolosa del conflitto mediorientale condannabile quanto si vuole, in cui però si riteneva che Israele “avesse una responsabilità morale” oltre che “politica” e che vedeva la Francia in prima fila nella difesa “dei diritti palestinesi” e forse anche per questo “risparmiata” dalle conseguenze più devastanti. Secondo questa narrazione falsa, se Israele avesse “accolto i diritti palestinesi”, il terrorismo antiebraico avrebbe perso la ragion d’essere. Nelle forme estreme di questo delirio, gli ebrei erano “responsabili” dei loro stessi mali e avrebbero dovuto avrebbero dovuto prendere le distanze dalla politica israeliana. Fintanto che gli attentati sono stati rivolti contro gli ebrei, e le istituzioni ebraiche, questa falsa narrazione autoassolutoria, che fa da sfondo a un nuovo antisemitismo, ha purtroppo funzionato, impedendo la presa di coscienza di un pericolo che non riguarda solo ed esclusivamente gli ebrei, ma l’intera società francese ed europea. Rimossa dallo spettro politico, la verità torna a galla nel momento in cui a essere colpiti non sono solo gli ebrei, ma l’intera società francese con i suoi simboli costitutivi. “Che abbiano ragio- ne gli israeliani, nel denunciare la demonizzazione, di cui è ignobilmente oggetto il loro paese?”- “Sarà mica, che la situazione d’insicurezza, che da sempre caratterizza l’esistenza di Israele (e che una parte consistente della cultura europea rifiuta di guardare), sia stata solo l’anticipo di quel che potrebbe accadere in Europa?““Non sarà mica che stiamo per diventare tutti ‘israeliani e che per non riconoscerlo ce la prendiamo proprio con gli israeliani?”. Qualcuno nel segreto della coscienza, qualche domanda se la sarà posta. Anche per questo, chi aveva timore di pensare in modo nuovo, non ha trovato di meglio che prendersela con la volontà del premier israeliano di esserci comunque alla grande manifestazione, per testimoniare la vicinanza al popolo francese e agli ebrei francesi. Pensare in modo nuovo fa paura. Non si guarda meglio cantando al buio, o peggio trattando come fossero dei paria gli esponenti di un paese amico e che è l’unica democrazia del Vicino Oriente. La difesa di Israele, unica democrazia nel Vicino Oriente, la sua accettazione piena nel mondo arabo e islamico, la sua sicurezza ed esistenza in pace con i vicini, è una condizione imprescindibile e irrinunciabile perché il dialogo tra l’Europa e l’islam, l’Occidente e l’Oriente, per quel che valgono queste metafore, non sia una parola vuota. Chi non comprende questo, è al di qua del livello etico minimo accettabile per discutere del problema. DAVID MEGHNAGI SEDE DI FROSINONE: Via ASI, 4 Tel. 0775.89881 - Fax 0775.8988211 13 DIVISIONE ARCHIVI Catalogazione e gestione di archivi cartacei ed elettronici in ambienti sicuri ed idonei DIVISIONE AMBIENTE Gestione dei rifiuti, disinfestazioni, disinfezioni, derattizzazione sicurezza degli alimenti www.devellis.it - [email protected] EUROPA Nell’orrore della violenza antisemita brilla la luce di un Giusto Un doveroso grazie a Bathily Lassanna, il commesso musulmano del Hyper cacher di Parigi che ha salvato decine di ebrei I FEBBRAIO 2015 • SHEVAT 5775 drammatici eventi di Parigi hanno riportato ancora una volta un fattore positivo sempre presente nella storia del popolo ebraico: la presenza del giusto che, sebbene faccia parte della famiglia o del popolo dei persecutori antisemiti, si distingue e si rivela come colui che salva la vita di ebrei innocenti. Ciò è presente sin dal libro dell'Esodo con la presenza della figlia del Faraone Batyah che salva il piccolo Mosè, fino ad arrivare all'azione salvatrice di Schindler che risparmia dalla morte annunciata nei lager migliaia di ebrei. Questa volta è toccato a Bathily Lassanna vestire i panni dell'eroe. Originario del Mali, musulmano praticante e commesso presso l'Hyper kosher assaltato dal terrorista islamico Coulibaly, è riuscito a mettere in salvo in una cella frigorifera alcuni ebrei che si trovavano lì. I media, nei giorni successivi al triste epilogo, hanno messo in evidenza la sua azione eroica, dando lo spunto per spendere qualche osservazione. Balza agli occhi ciò che ha fatto Lassanna perché stride con la passività a cui assistiamo quotidianamente; un'indifferenza che ha causato e causa ancora danni incalcolabili. E' ciò che vogliono gli esecutori del crimine. Diffondere la paura, seminare terrore nell'opinione pubblica, in modo che cresca l'omertà e il silenzio. Paralizzando le coscienze in uno stato d'impotenza, creando l'immobilismo di fronte all'emergenza che stiamo vivendo. Purtroppo l'Europa in questi ultimi decenni di fronte al moltiplicarsi di attentati ci ha abituato a questo comportamento. Era lecito pensare che dopo la tragedia della Shoah, dalle ceneri di 14 Allestimenti eventi con buffet dolci e salati Dolci per shabbath • Kiddushim per i Templi Torte e pasticceria tradizionale e monoporzioni Torte artistiche • Wedding cakes Via Michelangelo Pinto 10/16 - Tel. 06.6531328 Via del Portico d’Ottavia 1A - Tel. 06.69309396 www.koshercakes.it - cell. 393.8598192 Auschwitz fosse rinato il Vecchio Continente con gli anticorpi necessari a fronteggiare i fenomeni di totalitarismo che mettono in pericolo i diritti conquistati dopo secoli di conflitti. A giusta ragione, si pensava che queste difese fossero diffuse capillarmente nelle nostre democrazie. Non è stato così. Ma il pensiero che ci sia sempre qualcuno che intervenga incoraggia a sostenere che il popolo ebraico non sia mai solo del tutto. C'è sempre un filo che lega l'uno all'altro, anche nei momenti più bui del martirio. Rafforzando l'idea che si combatta nel corso della storia per uno scopo universale che unisce tutti coloro che credono nella libertà e nella democrazia. Sia che sia successo ai tempi del Faraone, sia ai tempi della Shoah e sia oggi. L'atto virtuoso di Lassanna, come allora quelli di Batyah e Schindler, segnalano la presenza di coscienze umanitarie che non conoscono il timore di agire. Grazie a questo tacito legame che unisce si può combattere sicuri di vincere la minaccia islamica. Perché la guerra all'Isis richiede determinazione, con un'azione decisa senza pause, senza cedere al ricatto del Califfato. E i soli discorsi non bastano. Ora tocca a noi, lettori ed osservatori, sollecitare l'azione delle Istituzioni affinché al Giusto Lasanna sia reso merito del suo operato. Perché con la sua azione, mettendo a rischio la propria vita, ha trasmesso al mondo intero la testimonianza di ciò che è la solidarietà umana. Che va al di là della propria fede. JONATAN DELLA ROCCA Francia, la lunga scia di sangue ebraico Sono innumerevoli gli attentati e le violenze che hanno avuto per obiettivo gli ebrei gli studenti di una scuola ebraica. Nell’ottobre 2003 a Essonne, il rabbino Michel Serfaty viene aggredito mentre va in sinagoga. Nel febbraio 2004 a Parigi viene distrutta la targa che ricorda gli ebrei deportati durante la Shoah. Sono centinaia le intimidazioni e le violenze che seminano il panico e la paura nei seicentomila ebrei francesi, che rappresentano la più popolosa comunità europea. Una situazione divenuta insostenibile tanto da far dire dall'allora premier israeliano Sharon, in visita a Parigi nel luglio del 2004, agli ebrei francesi di emigrare al più presto in Israele per fuggire dalla violenza antisemita. Sarà una dichiarazione che, oltre a turbare i rapporti con l'Eliseo, lascerà il segno, presagendo ciò che accadrà negli anni a venire. Perché il peggio non è passato. In un clima arroventato di minacce e violenze, si arriva nel febbraio del 2006 al sequestro che segna il dramma di Ilan Halimi: un giovane ebreo che dopo 24 giorni di prigionia e di torture sarà bruciato vivo da una banda islamista perché ebreo, dopo che gli investigatori avevano escluso il movente antisemita. Ma ciò non basta a fare alzare il livello di guardia della vigilanza sulle istituzioni ebraiche per fronteggiare la furia musulmana estremista sempre più incalzante nelle sue quotidiane aggressioni. E non giungerà inattesa la strage di Tolosa del marzo 2012, quando il giovane franco algerino di fede musulmana Mohamed Merah, ucciderà tre studenti e un insegnante nella scuola ebraica Ozar Hatorah. J.D.R. Dott. ELISABETTA PEROSINO Dermatologia Oncologia Dermatologica Chirurgia e Laser Chirurgia Dermatologia Plastica Via Cesare Pavese 300 - 00144 Roma Tel. 06.5003315-06.5001283-06.5000636 E-mail: [email protected] FEBBRAIO 2015 • SHEVAT 5775 L a Francia è stata teatro di attentati contro obiettivi ebraici ed israeliani sin dalla fine degli anni Settanta, periodo nel quale il terrorismo palestinese imperversava in Europa e la capitale francese era uno dei principali centri operativi dei servizi segreti mediorientali. Aeroporti, sinagoghe, cimiteri, scuole ebraiche e ristoranti kosher erano nel mirino dei killer arabi palestinesi che godevano di una rete capillare internazionale del terrore con a capo leggendarie figure come Carlos e Abu Nidal. Le cronache ci riportano ad una lunga scia di sangue che vede spesso la regia di George Habbas, fondatore del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina. Dopo un attentato perpetrato all’aeroporto di Orly nel maggio del 1978, in cui alcuni terroristi spararono all’impazzata contro un gruppo di passeggeri in partenza per Tel Aviv causando otto morti; nell’ottobre 1980 è la sinagoga parigina di Rue Copernic ad essere colpita: verranno assassinate quaranta persone e saranno venti i feriti. Gli attentati avvengono nel periodo del riconoscimento ufficiale europeo dell'Olp dopo il vertice di Venezia, che causerà un allentamento della morsa verso il terrorismo arabo, vista l'apertura politica concessa dai governanti del Vecchio Continente, e che vede tra i principali sostenitori, in prima fila, insieme a Giulio Andreotti i socialisti Francois Mitterrand e Bettino Craxi. Tutta l’Europa è sotto il mirino, oltre a Parigi, anche Vienna, Anversa e Roma saranno colpite duramente da questa nuova stagione. Dopo l'uccisione di un diplomatico israeliano nella capitale francese nell'aprile del 1982, quattro mesi dopo nell'agosto è preso di mira il quartiere ebraico del Marais, dove nel ristorante Goldenberg sei persone sono uccise e ventidue sono ferite. Nel marzo del 1985 delle bombe esplodono in un cinema parigino durante il Festival cinema ebraico causando 18 feriti e nel mese successivo gli ordigni sono piazzati presso l'agenzia della Banca Israeliana di proprietà Leumi. Nel maggio del 1990 la notizia della profanazione del cimitero di Carpentras sconvolge tutto il mondo, con le tombe scoperchiate e cadaveri estratti. Negli anni successivi si susseguiranno atti intimidatori che prenderanno di mira scuole con bombe incendiarie, rabbini e studiosi con la kippàh aggrediti per le strade. Dopo l’11 settembre e la seconda Intifadah in Israele, i riflessi della globalizzazione del terrore islamico anche in Francia sono devastanti; ad accrescere il fenomeno contribuisce il boom della rete che recluta migliaia di fanatici con i contatti nei nuovi siti internet che incitano l'odio razziale. E ciò contribuirà all’ escalation di attentati antisemiti: nell’aprile del 2002 a Bondy (Seine-Saint-Denis) sono aggrediti quattordici calciatori del Maccabi; nel gennaio 2003 a Parigi il rabbino Farhi è pugnalato all’addome e tre giorni dopo gli viene bruciata la macchina. Nei mesi successivi le cronache riportano prima un’aggressione a due appartenenti al movimento ebraico Haschomer Hatzair, qualche settimana più tardi, con bastoni e spranghe di ferro, vengono attaccati 15 EUROPA Francia: l’unica fede dello Stato è quella laica Nei pubblici uffici, nelle scuole e negli ospedali non sono ammessi i simboli dell’appartenenza religiosa. Quindi niente croci, chador, hijab, kippot, ziziot S FEBBRAIO 2015 • SHEVAT 5775 i racconta che il 13 aprile del 1655, presentandosi in tenuta da cacciatore al Parlamento di Parigi, Luigi XIV il “Re Sole” abbia pronunciato la frase destinata alla celebrità: L’Etat c’est moi, “lo Stato sono io”. E chiuse in questo modo a favore della Corona un dibattito estenuante sull’imposizione di nuove tasse. Durante i successivi 26 anni la Corona, grazie all’infaticabile teologo Bossuet, difese strenuamente le prerogative della Chiesa di Francia (i cosiddetti Privilegi Gallicani) contro ogni rivendicazione di autorità dei Pontefici romani. Il risultato conclusivo furono i Quattro Articoli del 1681. Il primo e più importante di essi stabiliva che il potere temporale del re (dunque la capacità politica dello Stato) non può e non deve essere in alcun modo limitato dalla dottrina e dalla teologia, neppure se espresse formalmente dal Papa. Luigi XIV divenne così de jure et de facto, nel proprio regno, anche il capo della Chiesa. Non molto diverso, almeno in materia di religione, dai sovrani protestanti. Nasceva così nel cuore dell’Europa cattolica, e proprio per volontà del “Re Cristianissimo”, una nuova dottrina: lo Stato assume totale libertà d’iniziativa e discrezionalità legiferante, anche in materia di fede e pratiche religiose. Non si trattava certo di una premessa alla separazione laica e definitiva tra Stato e Chiesa. Infatti la giustizia francese continuò a mandare al patibolo fattucchiere e stregoni presunti, come pure ad incarcerare, torturare e processare ebrei ed eretici se trovati nel posto sbagliato al momento sbagliato, perfino nell’Età dei Lumi. 16 Uno dei padri fondatori del moderno laicismo fu Francois-Marie Arouet, meglio conosciuto come Voltaire. Il quale è anche uno dei genitori non illegittimi del moderno antisemitismo. A Voltaire si dovrebbero preferire Rousseau e Montesquieu, due illuministi sicuramente più profondi e forse meno protetti dall’Europa radical chic del Settecento. Venne la Rivoluzione del 1789, ma fallì il tentativo di fare della “Dea Ragione” la nuova divinità della Francia. Alla fine gli affari e la borghesia conquistarono il potere anche con la benedizione del clero. Poi Napoleone Bonaparte prese l’Europa. Per due volte, a meglio sottolineare la nuova realtà delle cose, trasportò in Francia il Sommo Pontefice Pio VII imponendogli nel 1804 l’inco- ronazione in Notre Dame e nel 1813 una indigesta convenzione-concordato. Il Papa fece in tempo a vedere la fine dell’Impero, senza peraltro rimediare ai danni irreparabili che la Francia della laicità aveva inflitto alla tradizione feudale-aristocratica: si aprivano vie nuove, la libertà di fede e la piena uguaglianza di fronte alla legge potevano veramente trasformarsi in diritto inalienabile, ebrei ed evangelici sarebbero divenuti cittadini a tutti gli effetti. Un conto furono naturalmente le solenni enunciazioni, e altro affare invece la dura realtà della lotta contro il pregiudizio. La modernità laica aveva chiuso gli antichi ghetti, precipitando però gli ebrei d’Europa nel gioco rischiosissimo, spesso letale, dei conflitti tra gli Stati e all’interno degli Stati stessi. Alla Rivoluzione fece seguito la persistente violenza della reazione, fino alla vicenda del Capitano Alfred Dreyfus. La storia raramente si muove a caso. Con la legge del 9 dicembre 1905 la Repubblica Francese sanciva il principio dell’assoluta separazione tra Stato e Chiesa. Non ci sarà dunque bisogno di un Concordato. L’attività legislativa deve essere conforme all’etica praticata dallo Stato: quella della Costituzione repubblicana. Non trascorre neppure un anno: il 12 luglio del 1906 la Corte di Cassazione francese cancella la condanna inflitta nel 1894 all’ebreo Dreyfus in quanto tale, e come tale dunque “traditore” per definizione, secondo le più consolidate tradizioni antisemite dell’Europa cristiana. Due guerre mondiali, un Presidente ebreo - Leon Blum - che la Gestapo terrà in ostaggio a Dachau, Vichy e la rivincita reazionaria dei collaborazionisti con l’invasore nazista. La Francia che esce dalla Seconda guerra mondiale è una nazione umiliata e contraddittoria, i peggiori fascisti antisemiti non faticano a riciclarsi. Forse l’arroganza dell’estremismo islamico ha trovato qualche precoce incoraggiamento, già durante gli Anni Settanta del secolo passato, proprio negli ambienti “nostalgici” che infestavano il nazionalismo. Oggi la ruota ha fatto un altro giro, e la destra francese preferisce non ricordare. Tuttavia il 5 ottobre del 1958 la Francia si era data la settima Costituzione Repubblicana, la Costituzione tuttora in vigore della Quinta Repubblica. L’Articolo 1 così esordisce: “La Francia è una Repubblica indivisibile, laica, democratica e sociale”. L’aggettivo laica ha fatto scorrere fiumi d’inchiostro e provocato alluvioni di polemiche sull’ammissibilità dell’esibizione nei pubblici uffici e nelle scuole, negli ospedali e ovunque, di segni esteriori di appartenenza religiosa: chador, hijab, kippot, ziziot. Altro tsunami dopo la strage a Charlie Hebdo e al supermercato casher: quali limiti alla libertà di espressione e alla polemica antireligiosa? In Francia non ne esistono, se non per l’insulto e il dileggio contro le vittime di un crimine. E la Shoah è un crimine provato e comprovato. Così lo pseudocomico Dieudonné ha inutilmente tentato di equiparare Charlie Hebdo alla sua quenelle antiebraica, che gli ha assicurato fama e denaro. Il Presidente Hollande e il Primo Ministro Valls hanno dimostrato coraggio e determinazione partecipando alla cerimonia nella Grande Sinagoga di Rue de la Victoire. Il ricordo degli ebrei assassinati soltanto perché acquistavano il cibo per la mensa di Shabbat li ha commossi in modo visibile. Non avevamo visto un comportamento analogo nei giorni della strage di Tolosa, tre anni fa. PIERO DI NEPI La République française: Liberté, Égalité, Fraternité e Antisémitisme T ra la primavera e l’estate del 1940 le armate della Germania nazista invasero la Francia in sole sei settimane. Un vecchio e malandato maresciallo ottantenne, Petain, gloria della prima guerra mondiale, fu spinto, invitato o forse ben felice di scendere a patti con il nemico nazista creando un governo fantoccio e collaborazionista, il governo di Vichy, che ben presto si trasformò da fantoccio in alleato e tra i migliori collaboratori del progetto di sterminio antiebraico. Allora come oggi, di fronte ad un’opinione pubblica francese indifferente o complice rispetto al destino degli ebrei di Francia, dovremmo chiederci perché la Repubblica delle Repubbliche non abbia a cuore il destino dei propri cittadini ebrei e, tra le pieghe della sua storia, ha nascoste pagine così intrise di sangue ebraico da mettere in dubbio ogni pretesa di antica democrazia sin dai tempi di Vercingetorige. Prima di ogni cosa, per comprendere la realtà della deportazione degli ebrei di Francia, dobbiamo sfatare il mito di un’occupazione nazista della stessa: l’esiguo manipolo di soldati tedeschi rimasti a guardia del governo di Vichy non avrebbe potuto mai sostenere una così imponente macchina della morte. Da subito Pétain ed i suoi colleghi dimostrarono una volontà persecutoria verso i cittadini ebrei francesi che nessun paese in Europa eguagliò mai. Il governo di Vichy creò campi di transito, di raccolta, di internamento che furono ottime basi per il progetto di eliminazione che dal 1942 fu messo in atto in maniera precisa, ben oltre le aspettative tedesche. Gli accordi di quello stesso anno, fra governo di Vichy ed Eichmann, stabilirono che la polizia di Vichy si sarebbe occupata delle retate e furono gli stessi funzionari di Vichy che proposero ad Eichmann ed Heydrich un progetto di rastrellamento di intere famiglie, senza distinzione di sesso e di età, un progetto ben oltre le aspettative dell’alleato tedesco! Il 16 ed il 17 luglio il governo di Vichy si mise all’opera e più di tredicimila ebrei furono arrestati e radunati nel Velodrome d’Hiver a Parigi per essere trasferiti prima nei campi francesi e poi verso “Est”, cioè verso Auschwitz. Tra fine agosto ed inizio settembre furono organizzate nuove retate che portarono ad altri settemila arresti. Di fronte al crescente antisemitismo in Francia rimaniamo sconvolti; per uno Shabbat, le autorità hanno fatto chiudere la centrale sinagoga di rue de la Victoire, cosa che non avveniva dai tempi di Vichy, e dovremmo chiederci il senso storico della relazione tra ebrei e Francia. Un senso storico che solo nel 1995 con il presidente Jacques Chirac fece ammettere le dirette e reali responsabilità dello Stato francese nella tragedia dell’Olocausto. Uno Stato che sin dagli albori della propria nascita ha avuto comportamenti ambigui nei confronti della minoranza ebraica. Da un lato, negli anni prima della Rivoluzione del 1789, molto fu scritto per la liberazione degli ebrei e la loro emancipazione, a cominciare dalle riflessioni dell’abate Grégoire, dall’altro restava un’idea di “utilità” degli ebrei per lo Stato e restavano anche granitici tutti i pregiudizi antiebraici che dipingevano gli ebrei come persone attardate in superstizioni arcaiche. L’accettazione degli ebrei all’interno dello Stato doveva passare attraverso quella che divenne una famosa formula: “Bisogna rifiutare tutto agli Ebrei come nazione, bisogna accordare loro tutto come individui, bisogna che non costituiscano nello Stato né un corpo politico, né un ordine. Devono essere individualmente dei cittadini.” Una formula del genere, pur restando una pietra miliare nel percorso dei diritti di cittadinanza delle minoranze ebraiche in Europa, lascia aperta l’annosa questione dell’ebreo che, se non si spoglia della pericolosa identità ebraica che lo accumuna agli altri ebrei e lo rende “gruppo”, resta un potenziale nemico dello Stato e della Repubblica, un nemico che può essere sacrificato ben volentieri sull’altare della tranquillità della Nazione francese quando questa, come nei giorni di Vichy, deve scegliere come nutrire il coccodrillo nazista. Lo stesso accadde il 22 dicembre del 1894, quando alla Nazione servì un nuovo pasto pronto da consegnare al popolo francese inferocito e questo pasto era il capitano Alfred Dreyfus, l’ebreo accusato falsamente di tradimento, degradato, arrestato e solo nel 1906 riabilitato. La massa aveva bisogno di gridare: “Morte a qualcuno!” E fu naturale per la Repubblica sostituire la parola “qualcuno” con la parola “ebreo.” Quell’ebreo che in dettaglio, in quanto cittadino, in fondo non aveva mai smesso di essere “nazione” altra da quella di Francia. Solo il coraggio dello scrittore libero Emilè Zolà porterà sulle pagine di Le Figarò il suo “J’Accuse…” una forte accusa verso un governo che perseguitava un innocente con poche prove e per giunta discutibili. Il caso Dreyfus per “l’ebreo moderno, colto, che si era lasciato alle spalle il ghetto ed i suoi piccoli traffici fu un colpo al cuore.” Pare che questa frase fu pronunciata dal padre del Sionismo, Theodor Herzl, allora giornalista a Parigi. Di fatto di “colpi al cuore” gli ebrei di Francia e di tutta Europa ne avrebbero avuti molti altri e forse ancora ne vedranno fintanto che la Francia e quindi l’Europa tutta non accetti l’idea di una presenza ebraica inviolabile e che non può essere sottoposta a condizioni. Perché nel momento stesso in cui una nazione, una repubblica, un qualsiasi stato europeo pone condizioni e vincoli alla esistenza dei propri cittadini ebrei si avvia alla propria scomparsa come democrazia. Una democrazia che da un lato costringe i propri cittadini che vengono ammazzati mentre vanno in una scuola ebraica o in un supermercato casher a trasformarsi da uomini in ebrei e dall’altro, avvenuta questa trasformazione, pretende di non poterli più difendere adeguatamente perché, appunto, sono “solo” degli ebrei. I fatti di Parigi, al giornale Charlie Hebdò, così come all’Hyper Cacher ci hanno dimostrato che di fronte ai coccodrilli totalitari, siano essi di formazione nazista, fascista, comunista o islamista, non esistono repubbliche in salvo o cittadinanze di rifugio: siamo tutti ebrei, cristiani, infedeli senza alcun passaporto o gloriosa storia repubblicana da poter usare come scudo. PIERPAOLO P. PUNTURELLO FEBBRAIO 2015 • SHEVAT 5775 La Patria della democrazia che non ha mai difeso i suoi cittadini ebrei 17 EUROPA La Bibbia messa ai margini e la crisi del cristianesimo L’Europa sconta un’incapacità nel comprendere lo Stato di Israele. A una certa politica miope gli ebrei piacciono solo in quanto morti da ricordare e non come soggetti con cui confrontarsi S iamo in guerra e prendiamo coscienza che siamo solo agili inizi. E’ la prima volta dai giorni di Adolf Hitler che le sinagoghe in Francia sono state chiuse di sabato. Tuttavia, è unicamente il tragico attentato al giornale Charlie Hebdo che ha scosso gli europei: i molti e continui attentati ai singoli ebrei e alle comunità ebraiche in tutta Europa in questi anni hanno turbato qualcuno, ma per quasi tutti si è trattato «solo» di ebrei. Molti intellettuali e politici sostengono che il problema non è l’Islam, ma il terrorismo. È come dire che il cristianesimo non è l’antisemitismo o l’antigiudaismo. Certo! Tuttavia è innegabile che l’antisemitismo e l’antigiudaismo sono stati problemi profondi propri del cristianesimo (e non solo). La violenza e il fanatismo, la sottomissione religiosa e il terrore non esauriscono l’Islam, ma sono un problema religioso che in qualche modo riguarda l’Islam. L’autocritica dell’Islam (assieme alla critica laica esterna) su questo punto sembra difettare. Cristiani ed ebrei, secondo il Corano, sono presenti nei Paesi islamici in quanto dhimmi, popolazioni sottomesse, tollerate purché subalterne e paganti apposite tasse. Cosa dobbiamo, sia a livello politico e giuridico sia a livello inter-religioso, chiedere oggi ai più SALMONì OFFICINA SPECIALIZZATA VIA GALVANI 51C/D/E - 00153 ROMA ORARIO NO STOP 8,30 - 18,00 CHIUSO IL SABATO ELETTRAUTO FEBBRAIO 2015 • SHEVAT 5775 AUTO DIAGNOSI 18 MECCANICA GENERALE DIESEL E BENZINA INIEZIONE BENZINA E DIESEL FRENI ABS - ESP ASSISTENZA SCOOTER AMMORTIZZATORI ALZACRISTALLI ELETTRICI SERVIZIO CARRO ATTREZZI TAGLIANDI PROGRAMMATI E AUTORIZZATI DALLE CASE COSTRUTTRICI Tel. 06.5741137 Cell. 3394510504 - [email protected] autorevoli teologi islamici nei Paesi europei e arabi, anche a fronte della massiccia presenza demografica di musulmani? La prima domanda è la seguente: è possibile per l’Islam, in ossequio al Corano e per necessità religiosa intima propria dei musulmani osservanti, e non solo perché richiesto dai governi occidentali o da ebrei e cristiani, accettare teologicamente, apprezzandolo, il concetto di cittadinanza politica, anziché quello di cittadinanza religiosa, confliggente quest’ultimo con i valori occidentali e pericoloso per le comunità cristiane ed ebraiche che, in qualità di minoranze, sarebbero esposte a intolleranze e arbitrio? Questa domanda fondamentale, per ignoranza, ignavia e inettitudine, non è mai stata seriamente posta dai politici europei, che hanno responsabilità enormi, anche del sangue sinora versato. C’è una seconda questione, che si intreccia alla prima. Per l’Islam, gli ebrei hanno alterato la Rivelazione divina e i cristiani hanno pratiche cultuali, oltre a condividere con i primi una Rivelazione alterata, dal sapore idolatrico. E’ possibile per l’Islam, in ossequio al Corano e per necessità religiosa interiore dei musulmani osservanti, e non solo perché sollecitato daa ebrei e cristiani, apprezzare positivamente, in una prospettiva teologica, ebrei e cristiani in relazione alle problematiche sollevate da questo assunto coranico? Premesso che ci sono migliaia di singoli musulmani che a queste domande hanno già risposto personalmente con il rispetto per il prossimo e per la sua fede, con un certo pluralismo e con l’integrazione ricercata e praticata, tuttavia manca una reale, inequivocabile, onesta, autorevole e vincolante riflessione teologica islamica al riguardo. È chiaro che se le risposte saranno per lo più negative, non sufficientemente autentiche o caratterizzate da silenzi e imbarazzi, ci si troverà tutti di fronte a un immenso problema. C’è una tentazione che può profilarsi, a diversi livelli, sia nel cristianesimo sia nella politica europea: quella di lasciar soli gli ebrei e lo Stato di Israele per facilitare una pace politica, culturale e religiosa con l’Islam politico, specie nell’ottica delle future proiezioni demografiche religiose europee e mediterranee. È una strategia fallimentare che i cristiani arabi provarono con il panarabismo e l’antisionismo. Gli esiti sono ben noti: dopo che quasi tutti i Paesi islamici si sono sbarazzati dei “loro” ebrei, si sono concentrati con violenze e massacri sulle ben nutrite minoranze cristiane. È una storia che si ripropone e che va dal genocidio armeno (cento anni fa), ai cristiani copti di Egitto, ai cristiani etiopi e nigeriani, sino a Mosul. E molti Paesi europei, un’intera «classe» di intellettuali e molti cristiani di Occidente hanno le mani grondanti del sangue dei cristiani di Oriente, dato che sono stati disposti a sacrificarli sugli altari del pacifismo, dell’opportunità politica, di un malinteso concetto di tolleranza, della cultura benpensante e È stato necessario un attore per far di nuovo parlare, interessando, di Bibbia e del Decalogo: Benigni! Che debacle che sia stato necessario lui dopo duemila anni di cristianesimo e duemila e duecento anni di ebraismo in Italia! L’erosione della conoscenza della Bibbia, non in quanto «tributo antiquario» ma piuttosto in quanto «forza creatrice e rigenerante», è uno dei fatti più inquietanti e drammatici per il nostro futuro sia religioso, sia culturale nelle sue varie declinazioni, sia in termini economici e politici. Aveva ragione C. M. Martini a dire che la Bibbia è il libro del futuro dell’Europa e dell’Occidente, ma non è stato ascoltato. Aveva ragione Benedetto XVI nella ben nota conferenza di Ratisbona, ma fu vittima del discredito mediatico e culturale. E la Bibbia è stata scritta da ebrei, per ebrei, in ebraico, e l’ebraismo ancora oggi sopravvive proprio grazie alla Bibbia. E, parimenti, credo, il cristianesimo. II riportare la Bibbia a fondamento della cultura e dell’etica è un impegno religioso possibile, dalla fecondità straordinaria, condivisibile tra ebrei e cristiani: un impegno di cui si avverte l’urgenza impellente e drammatica in questi anni di crisi, di confusione assordante, di efferata violenza e di grande mediocrità. Tuttavia, senza il reale riferimento positivo e non ambiguo a Israele, non sarà né autentico né produttivo il dialogo tra ebrei e cristiani. Infine, visti i tempi calamitosi in cui ci troviamo e troveremo ancora di più domani a vivere, invito tutte le persone coscienti e responsabili a raccogliersi in preghiera invocando dall’alto l’impulso in ciascuno di noi ad agire ai fini del rispetto del prossimo e della pace, concetto e realtà quest’ultima troppo spesso ideologicamente abusata. GIUSEPPE LARAS (Il Corriere della Sera, 13 gennaio 2015) FEBBRAIO 2015 • SHEVAT 5775 radical chic, della «buona» coscienza. La tentazione di abbandonare gli ebrei e Israele è già esistente nei ricorrenti episodi di boicottaggio europeo dello Stato di Israele. Esiste nel silenzio imbarazzato o infastidito sui morti ebrei in Europa oggi. Con buona pace della Giornata della Memoria. La Giornata della Memoria è stata purtroppo addomesticata con liturgie pubbliche e anestetizzata dalle cerimonie in Parlamento e al Quirinale. Le più alte cariche dello Stato dovrebbero annualmente andare a celebrarla a Fossoli, a Bolzano, a San Sabba o nel ghetto di Roma, per far capire che è una realtà possibile, come tale ripetibile, e che si è verificata in Italia, con il plauso, la collaborazione, l’assenso e i silenzi di moltissimi - troppi - italiani. Essa così risulta azzoppata, fraintesa e priva di potenzialità dinamiche per comprendere il presente e incidervi positivamente. E l’ignavia e il diniego europeo sulle questioni presenti e sull’incapacità di affrontare politicamente e culturalmente le insidie legate alle derive dell’Islam politico, consegnando così a razzisti e xenofobi le risoluzioni del problema, gettano ombre lunghe che rievocano i fantasmi del nazismo e, per gli ebrei, della persecuzione. L’incapacità di comprendere lo Stato di Israele in definitiva si risolve nel fatto che a una certa politica e a una certa cultura europea miope gli ebrei piacciono solo in quanto morti da piangere e ricordare e non come soggetti vivi con cui dialogare e confrontarsi, ovvero oggi, in primo luogo, Israele. La nostra contemporaneità ricorda tristemente il periodo sinistro tra le due guerre mondiali: una sorta di collasso sistemico. La crisi che viviamo non è economica e demografica soltanto: è una crisi culturale e valoriale, legata alla crisi del cristianesimo e, in un certo senso, della conoscenza della Bibbia, il cardine dell’intera nostra cultura dal punto di vista urbanistico, artistico, musicale, letterario, filosofico, giuridico, politico e religioso. E proprio per questo la Bibbia non è presente nelle scuole. E questa la chiamano laicità! 19 PENSIERO Satira e religione, un binomio esplosivo Lo dicevano già gli antichi: ‘Scherza con i fanti, ma lascia stare i santi’. Colpiti più di tutti sono stati gli ebrei che però non hanno mai pensato di uccidere i vignettisti D FEBBRAIO 2015 • SHEVAT 5775 opo la strage di Parigi nella redazione di Charlie Hebdo ad opera dei fratelli Kouachi, il rapporto tra satira e religione occupa di nuovo un posto di primo piano nel dibattito contemporaneo sulla libertà di espressione. Un dibattito che è tornato in auge da quando nel 2005 i redattori del quotidiano Jyllands-Posten, che aveva pubblicato il 30 settembre nella versione on line alcune caricature di Maometto, erano stati obiettivo di ripetute minacce da parte di fondamentalisti religiosi. Tra le vignette spiccano quelle che rappresentano Maometto con un candelotto di dinamite sul turbante; in un’altra mentre impugna minaccioso una scimitarra; in un’altra ancora mentre, sulla soglia dell’Aldilà, respinge alcuni martiri della Jihad ancora fumanti, comunicando loro che “non ci sono più vergini” (“Stop, stop, we ran out of virgins!”). In alcune raffigurazioni le fattezze fisiche di Maometto sono marcate in maniera tale da attribuirgli un aspetto mefistofelico. Ricordano il modo in cui in Europa venivano raffigurati gli ebrei nel periodo che precedette la Shoah. La pubblicazione provoca lo sdegno di 20 tutti i musulmani nel mondo, alcuni dei quali reagiscono con violenza assaltando le ambasciate danesi. In Italia, il ministro per le Riforme Istituzionali Roberto Calderoli, leghista, getta benzina sul fuoco dichiarando di indossare da giorni una maglietta con le vignette incriminate, arrivando a mostrarla compiaciuto nel corso di un’intervista al Tg1 in segno di solidarietà ai giornalisti danesi. Il ministro si dimette ma la trovata della maglietta provoca l’assalto di una folla di esagitati libici al consolato italiano di Bengasi, nel corso del quale 12 dimostranti vengono uccisi dalla polizia accorsa a difendere la sede diplomatica. Queste le premesse dell’assalto a Charlie Hebdo che già nel 2006 ripubblicò le vignette satiriche danesi. Ma quello tra satira e religione è un rapporto antico, come ovvio. Nell’antica Grecia troviamo traccia di dialoghi caricaturali degli dei. Tra ‘800 e ‘900 è il Cattolicesimo ad essere oggetto di satira da parte dell’internazionalismo socialista. Un esempio italiano, forse il più importante, fu l’esperienza del Mosca ma ebbe la sua punta di lancia in Giovanni Guareschi, l’inventore di Peppone e Don Camillo. La satira in questo caso era soprattutto politica. Il Marc’Aurelio esisteva sin dal 1931, ma più che alla satira vera e propria era dedito all’umorismo in generale. Scrissero e disegnarono sul Marc’Aurelio tra gli altri Fellini, Scola, Steno, Zavattini. A fine anni ’70 torna troviamo Il Male e Frigidaire, quest’ultimo più dedito al fumetto. Il Male divenne famoso soprattutto per le false prime pagine di quotidiani, con notizie deliranti del tipo “Annullati i mondiali di calcio”, “Sono atterrati gli extraterrestri o “Arrestato Ugo Tognazzi è il capo delle Brigate rosse”. Tentativo di raccogliere l’eredità del Male fu Cuore di Michele Serra, che ebbe buon successo agli inizi degli anni ’90, ma circoscritto ad un pubblico politicamente schierato. Ma la rivista satirica più famosa degli ultimi decenni è il Vernacoliere che, come recita la frase sotto la testata, è un «mensile di satira, umorismo e mancanza di rispetto in vernacolo livornese e in italiano». Tra le copertine più famose quella in cui campeggia la scritta, riferita a Papa Benedetto XVI: «Era meglio un papa pisano, almeno si rideva un po’. Si doveva chiamà Gosto I e voleva rifà le processioni co’ barrocci». Nell’edizione era raffigurate una serie di vignette come quella che illustra alcuni preti che si chiedono «ma sei sicuro che quando dice SS intende lo Spirito santo?». Oppure. «Come mai hanno eletto Ratzinger?», chiede un tizio. Risposta: «Perché Priebke era troppo vecchio». NICOLA ZECCHINI FEBBRAIO 2015 • SHEVAT 5775 settimanale romano L’Asino. Fondato nel 1892 dai due esponenti socialisti Guido Podrecca e Gabriele Galantara, nei primi anni di vita si concentrò sulla satira contro il governo Giolitti. Fu nei primi anni del ‘900 che avvenne la svolta anticlericale del settimanale, dovuta all’ingresso nella vita politica da parte dei movimenti cattolici. Le vignette prendevano di mira preti e vescovi, grassi e opulenti cardinali intenti ad opprimere il popolo e il pontefice stesso e furono oggetto di sospensioni imposte dalla censura. E’ invece la religione ebraica quella maggiormente colpita a partire dall’ascesa nel nazismo in Germania. La pubblicazione di riferimento del partito per quanto riguarda la satira illustrata è senza dubbio Der Sturmer. Nato nel 1923 e sospeso appena dopo il “putsch” di Monaco, il periodico nazista riprende le pubblicazioni nel 1925 dedicandosi totalmente a quella che più che satira è propaganda anti-giudaica. Le strisce descrivevano gli ebrei come grassi, bassi, brutti oltre che pervertiti sessuali dal naso adunco ed occhi suini. L’antisemitismo a fumetti fece la sua comparsa anche in Francia ed in Italia. A Vichy era pubblicata la rivista collaborazionista Vide, mentre i più importanti periodici erano rigidamente controllati dalle forze di occupazione. Proprio nella Francia occupata nascono le accuse di collaborazionismo a uno dei più grandi autori di fumetti del dopoguerra: si tratta di Hergé, padre di Tin Tin. Negli anni ’40/50 in Italia le riviste satiriche fondamentali furono il Candido e il Marc’Aurelio. Il primo fu fondato da Giovanni 21 PENSIERO I confini della satira Non tutto è lecito, quando si scherza. “Shalom” ne ha parlato con il Rabbino capo di Roma, rav Riccardo Di Segni, commentando le vignette di Charlie Hebdo FEBBRAIO 2015 • SHEVAT 5775 E 22 siste una Halakhà che regola la materia dell’ironia blasfema, se così vogliamo chiamarla? La regola è prescritta nel Talmùd (Meghillà 25b) in questi termini: ogni letzanùt è proibita tranne quella della ‘avodà zarà. Per letzanùt (in ebraico moderno letzàn è il buffone, il pagliaccio) si intende, in quella pagina, la satira che usa concetti e forme scurrili. E’ sempre proibita, a meno che l’oggetto sia la ‘avodà zarà, letteralmente il culto estraneo, generalmente una religione idolatrica. Il Talmùd prende come esempio un verso del profeta Isaia (46:1) che descrive la caduta delle divinità babilonesi in termini non tanto eleganti. Ma è solo uno dei possibili esempi tra tanti della Bibbia. Storicamente, come ci si è comportati su tali questioni? L’ironia, lo scherno, la satira, le accuse pesanti nei confronti di altre religioni sono presenti nella Bibbia e continuano in tutta la storia. Si pensi che un rito fondante l’identità e la religione ebraica, come Pesach, il sacrificio pasquale, nasce come opposizione alla sensibilità e alla religione egiziana. Quando il Faraone aveva proposto a Mosè di fare i sacrifici in Egitto, Mosè gli aveva detto che se gli ebrei avessero sacrificato animali venerati dagli egiziani avrebbero rischiato la lapidazione da parte di gente offesa. Ma il giorno prima della piaga dei primogeniti e dell’uscita dall’Egitto il sacrificio viene fatto, pubblicamente e per ordine divino. Niente di politically correct; al contrario, la dimostrazione della sconfitta di un sistema. In tempi biblici si ironizzava sui nomi degli dei, Ba’al (il signore) diventava Bòshet (la vergogna); Ba’al Zevùl (il signore del luogo sacro) diventava Ba’al Zevùv (il signore della mosca). Su questa linea continuarono i primi cristiani che trasformarono Ba’al Zevùv da divinità a principe dei diavoli: Belzebù. Nessuno è innocente in queste operazioni. Ovviamente tutto dipende da quanto ti lasciano fare (perché dai tempi di Mosè a oggi la satira è rischiosa…), quale coscienza si ha del rispetto verso le diversità, e quanto è ostile l’altra parte nei tuoi confronti, tanto da meritare una critica aggressiva. Esistono approcci differenti tra le attuali autorità rabbiniche? Non è un argomento sul quale si discute molto. Esistono differenze tra le diaspore e Israele? Non so se ce ne sono, dipende dai rapporti di forza tra comunità locale e comunità generale. Ma in un’epoca globalizzata come la nostra un colpo di tosse a Pechino fa notizia ovunque. Come ci si regola in Israele? In Israele i cosiddetti laici sono molto aggressivi nei confronti dei religiosi, e viceversa… Non è una novità. Si pensi ai midrashim che dicono che dopo la nascita di Izchak–Isacco la matriarca Sara dovette (e fu capace di farlo) allattare tutti i neonati, per dimostrare che il figlio l’aveva partorito lei, e che Izchaq era la copia del padre Abramo, per smentire chi supponeva un altro generoso donatore… E chi lo faceva erano i letzanè hadòr, i satirici di quella generazione, un termine che nella letteratura midrashica e di esegesi ritorna 130 volte! Esistono differenze tra sefarditi e ashkenaziti? Sarei tentato di dare una risposta ironica, meglio tacere. Mi è stato insegnato che “non si scherza sulla Torà”, tanto meno su passi e versetti che ad una moderna sensibilità occidentale sembrerebbero prestarsi a qualche superficiale ironia… E’ la variante interna ebraica del proverbio “sacherza coi fanti e lascia stare i santi”. E’ un invito a rispettare la nostra identità e la nostra tradizione. Se dovessimo cedere acriticamente alla “sensibilità occidentale” (che in parte però è figlia nostra) faremmo a pezzi molte cose, ed effettivamente è quello che succede. La Torà contiene tante cose di difficile comprensione e che richiedono studio. La sfida è di mettersi a studiare e non cedere alle tentazioni autodistruttive. Perché è vero che non possiamo fare a meno, anche nella Torà, di una certa leggerezza iniziale, per poter entrare serenamente nei suoi segreti, ma poi bisogna essere seri. Anche gli ebrei di formazione e condotta distanti dalla stretta osservanza sanno che si tratta di trasgressione grave e di comportamento comunque biasimevole, soprattutto se manifestato in pubblico. Dovrebbe essere un fondamento del messaggio “civile” dell’ebraismo, il rispetto della dignità altrui. Ma questo non significa bandire l’ironia, che è strumento di crescita. La considerazione risulta diversa se il responsabile eventuale è un ebreo, rispetto a chi ebreo non è? Insomma, c’è un obbligo halakhico di essere particolarmente severi con chi appartiene ad una Comunità ebraica? Si può rischiare l’allontanamento? Sono possibili tutti gli scenari, ironia tra ebrei o bidirezionale tra ebrei e non ebrei. In ogni caso vi sono i limiti del buon gusto e chiaramente non è lecito superare quelli dell’ostilità tra gruppi. Un ebreo che si comporta male, tanto più in pubblico, rischia di fare quello che è chiamato il chilùl haShem la profanazione del Nome, e per questo ha una responsabilità maggiore. Quanto all’allontanamento, dipende da cosa si fa e a danno di chi, e via dicendo. Si possono rischiare forme di emarginazione sociale e forte critica, ma essendoci anche una forte diversità sociale, hanno un impatto limitato. Nel mondo ebraico c’è una tradizione di autoironia e di sarcasmo intelligente però distruttivo, che spesso colpisce non solo regole e interpretazioni ma la stessa autorità rabbinica… Insomma, il fin troppo celebre witz lo abbiamo anche in Italia e soprattutto qui a Roma… Non ho l’impressione che da queste parti ci sia una grande tradizione di ironia, soprattutto di quella intelligente. Molte persone faticano a comprendere l’ironia o sono iper-suscettibili. Molto spesso ho colto battute da persone della ormai vecchia generazione su questioni di osservanza, che non capivano e quindi schernivano, ma si tratta di roba vecchia dettata dall’ignoranza. Magari ci fosse qualcuno che fa ironia intelligente apparentemente distruttiva, ma utile per la chiarezza. Mi divertirei a rispondergli nella sua stessa lingua, per quanto mi è consentito, e l’ho già fatto in passato. Può essere utile citare due casi celebri di ebrei molto irriverenti, Philip Roth e Woody Allen. Philip Roth ha conosciuto forme di ostracismo nelle Congregations americane fin dai tempi di “Addio, Columbus” e del celebre “Lamento di Portnoy”. Quanto a Woody Allen lo ricordiamo protagonista in un film recente firmato da John Turturro, nel quale si mette duramente in ridicolo un Tribunale Rabbinico dei Chassidim Satmar. Per non parlare di moltissimi altri film più o meno riusciti. L’ebraismo ortodosso ha espresso reazioni in proposito? L’ebraismo ortodosso è una galassia. Qualcuno si può arrabbiare qualcun altro si può divertire. Ma i Satmar non vanno al cinema… Comunque Izchak deriva da una radice che si riconnette al “ridere”… Nel caso specifico è il riso spontaneo di un’anziana signora che non crede alle possibilità divine di piegare la natura. E’ una lezione su come affrontare la vita, senza preoccuparsi troppo. Un po’ differente dal sarcasmo distruttivo. In molti ambienti ebraici, e non soltanto ortodossi, si fa notare che irridere la fede degli altri è sconveniente e censurabile. Più censurabile ancora se si tratta di una fede monoteista come quella islamica. Insomma Charlie Hebdo spesso non piace neppure agli ebrei, però gli ebrei non sono passati alla violenza. Va precisato che l’Islam non è considerato ‘avodà zarà e non ci è permesso irriderlo. Dire che Charlie non piace agli ebrei, beh… bisogna vedere a quali ebrei. Ce n’erano due quel giorno in redazione (Wolinski e Cayat) e sono stati uccisi. Gli ebrei a cui non piace (e sono tra quelli) non si identificano nella sua scurrilità. Questione prima di tutto di buon gusto, prima che di divieti religiosi. Ma è evidente che è ben difficile immaginare un ebreo che prende un mitra per fare strage in una redazione di un giornale Sar tor ia satirico. Non ce lo permette la nostra religione e, con molta più forza di quanto possa la religione su di noi, la nostra storia e la nostra coscienza. Qualche volta si ha l’impressione che la nostra cautela derivi anche da una mentalità di minoranza. Siamo molto solerti quando si tratta di difendere la sensibilità altrui e di manica molto larga quando toccano la nostra. Non è che stiamo sempre in tribunale dopo aver visto certe vignette. Ma nelle diaspore le autorità rabbiniche si sono - mi sembra - schierate dalla parte del buon diritto dei musulmani a forme di tutela anche forte della propria sensibilità e suscettibilità, escludendo ovviamente il ricorso ad ogni forma di violenza. Non so se siamo di manica molto larga quando toccano la nostra. Si pensi alle vignette anti-israeliane e spesso antisemite che compaiono soprattutto in tempi di crisi e di guerra. Le proteste ci sono, ma non si va oltre alle proteste e denunce accorate, perché gli strumenti giuridici mancano. Penso a quello che hanno fatto noti vignettisti italiani e alla nostra impotenza nei loro confronti. Eppure una soluzione ci sarebbe, rispondergli con gli stessi loro strumenti; ma ci vuole genio e accesso ai media (cose di cui non disponiamo molto, malgrado quello che pensano - e disegnano - gli antisemiti). Negli USA si è fatto notare che il diritto a non essere offesi nella propria sensibilità religiosa è un diritto fortemente tutelato. Obama non si è presentato alla manifestazione di Parigi, e forse non per caso… L’assenza di Obama forse dipende da un contenzioso USA-Francia più ampio. Ma la domanda che dovrebbe riguardarci tutti è quella dei limiti e non è un dibattito semplice. INTERVISTA A CURA DI PIERO DI NEPI Dall'alto: Georges Wolinski e Elsa Cayat Via Ver o ne · · Parochet kippot ricami sartoria SERVICE DI CAMBIO ETICHETTE CONTO TERZI Riparazioni sartoriali e piccola tappezzeria PERSONALIZZAZIONE ABITI DA LAVORO Via Giuseppe Veronese, 60/68 - Roma Tel. 06.5594137 www.ricamiepersonalizzazioni.com · SARTORIA VIA VERONESE FEBBRAIO 2015 • SHEVAT 5775 · se 23 MONDO Quelle oscure relazioni tra Iran e Argentina La misteriosa morte del magistrato Alberto Nisman che indagava sulle responsabilità e le connivenze dopo l’attentato antisemita a Buenos Aires del 1994 FEBBRAIO 2015 • SHEVAT 5775 “L 24 ’86° vittima dell’attacco all’AMIA” (Argentina Israelite Mutual Association) ha scritto su twitter Sergio Bergman, Rabbino e deputato argentino, riferendosi al pubblico ministero Alberto Nisman, trovato morto il 18 gennaio scorso. Nisman indagava proprio sulla strage che colpì la comunità ebraica argentina (250mila persone, la più numerosa dell’America latina) nel 1994, 85 morti e oltre 200 feriti. Secondo la sua ricostruzione, l’attacco sarebbe stato effettuato dai terroristi di Hezbollah e pianificato e finanziato dall’Iran, tanto da emettere sei mandati di arresto internazionale contro iraniani ritenuti responsabili, tra cui alcuni esponenti di primo piano del regime di Teheran, come l’ex Presidente Ali Rafsanjani e l’ex ministro della Difesa Ahmad Vahidi. Nel 2006, la sentenza della Procura Federale di Buenos Aires che riconobbe Hezbollah e il governo iraniano come responsabili diretti dell’attentato, cui seguì l’interruzione dei rapporti tra Iran e Argentina. Al momento della morte di Nisman, però, le relazioni tra Teheran e Buenos Aires si erano ristabilite, forse anche troppo. La settimana precedente la sua morte, infatti, Nisman aveva rivelato delle intercettazioni telefoniche tra agenti dei servizi segreti argentini e funzionari iraniani che discutevano accordi segreti: ha così accusato la Presidente argentina Cristina Kirchner di aver preparato un’offerta di copertura all’Iran, con cui avrebbe garantito l’immunità agli ex funzionari del governo iraniano, in cambio di accordi economici e commerciali. Il riavvicinamento tra Iran e Argentina parte però prima. Il rallentamento dell’economia del Paese sudamericano ha trovato nell’Iran sottoposto alle sanzioni internazionali un valido partner per esportare i propri prodotti agricoli e per importare petrolio. Nel 2012, le esportazioni in Iran erano aumentate del 234% da quando Cristina Kirchner è divenuta Presidente nel 2007; se poi i dati si comparano con il 2005, l’incremento è addirittura del 1000% secondo il Clarin. L’Iran è così divenuto il secondo compratore al mondo della soia prodotta in Argentina, da cui ha importato anche cereali, oli e grassi animali, ma anche prodotti tecnologici. Si sono dunque incontrate esigenze complementari: da una parte l’Iran, costretto a embarghi economici e all’isolamento diplomatico, ha guardato a molti Paesi sudamericani come nuovi interlocutori; Ahmadinejad aveva anche avviato un solido asse con il venezuelano Chavez negli anni 2000, con l’obiettivo di coinvolgere anche altri Paesi come Bolivia ed Ecuador. Da parte di Buenos Aires c’era da fronteggiare una situazione economica catastrofica: negli ultimi mesi del 2012 si era paventata l’ipotesi di un nuovo default, tanto che l’agenzia Fitch aveva declassato di 5 gradini da B a CC il rating del debito, mentre a inizio 2013 è arrivata dal Fondo Monetario Internazionale una dichiarazione formale di censura per l’inaccuratezza dei propri dati economici, cosa mai verificatasi in precedenza, minacciando anche l’espulsione dell’Argentina dal FMI; inflazione alle stelle e accuse di conti truccati rendono l’idea dell’andamento dell’economia argentina degli ultimi anni. Il tutto si è inserito in un quadro già movimentato dalla nazionalizzazione della compagnia petrolifera argentina YPF (Yacimientos Petrolíferos Fiscales) espropriata alla spagnola Repsol e dalle rivendicazioni sulle Falkland-Malvinas. In questo contesto si è avviata una distensione nei rapporti tra questi due Paesi. Nel 2011, in occasione del discorso di Ahmadinejad alle Nazioni Unite, per la prima volta dall’implicazione iraniana nell’attentato, il rappresentante argentino all’ONU non aveva abbandonato la sala. Nel 2012 si sono susseguiti incontri bilaterali, come i vertici di settembre a New York e di ottobre a Ginevra, fino all’accordo, firmato in Etiopia nel gennaio 2013, per stabilire una commissione congiunta formata da 5 esperti di diritto internazionale esterni ai due Paesi per indagare sull’attentato all’AMIA. A distanza di un anno, la morte di Nisman, definita in una dichiarazione della Anti-Defamation League, il gruppo con sede a New York che si batte contro l’antisemitismo, “un altro tragico episodio della sordida saga del fallimento dell’Argentina di agire con decisione per trovare, arrestare e perseguire i responsabili dell’attacco terroristico all’AMIA”. DANIELE TOSCANO Le ragioni del nucleare di Teheran La bomba atomica ha un valore simbolico e rafforza il senso di difesa del Paese. Ma è anche un'incombente minaccia sui nemici della rivoluzione islamica ci che vedrebbero di buon occhio un cambio di regime. Oltre agli Stati Uniti, che hanno inserito l’Iran nella lista degli "Stati Canaglia", un vasto panorama di Stati Sunniti è in continua lotta con l’Iran per la supremazia nella regione, soprattutto l’Arabia Saudita, l’altro grande Stato dominato dall’ortodossia religiosa e che gli ayatollah reputano non adatto al ruolo di guardiano delle sacre reliquie di Medina e La Mecca. Inoltre, proprio in questi ultimi mesi, le milizie Isis stanno continuando la loro corsa verso Est minacciando i confini iraniani. L’intransigenza degli uomini di Al-Baghdadi, che vedono i musulmani Sciiti come infedeli alla pari di cristiani ed ebrei, ha già spaventato Teheran a tal punto da far dialogare il Presidente Rouhani con Obama per un possibile intervento dell’esercito iraniano nella Coalizione Internazionale anti-Isis. Una delle principali ragioni per cui il Pakistan non è stato invaso dalla rivale India è proprio il fatto che questo si era dotato di un arsenale di testate nucleari da utilizzare come ultima spiaggia. Immaginate ora di essere un leader iraniano: in queste condizioni non vorreste anche voi un’arma che vi faccia sentire sicuri in un ambiente così ostile? MARIO DEL MONTE Prof. Silvestro Lucchese Chirurgo specialista CHIRURGIA ANO-RETTALE • CHIRURGIA DELLE ERNIE IN DAY HOSPITAL CHIRURGIA DEFINITIVA DEL PROLASSO EMORROIDARIO IN 1 GIORNO SENZA MEDICAZIONI - DOLORE E DISAGIO MINIMI RIPRESA DELLA FUNZIONE INTESTINALE IMMEDIATA ED INDOLORE Casa di Cura “Sanatrix” - Via di Trasone, 61 - Tel. 06.86.32.19.81 (24h) www.silvestrolucchese.com URGENZE: 336.786113 / 347.2698480 / 06.86321981 FEBBRAIO 2015 • SHEVAT 5775 M entre la comunità internazionale è alle prese con il terrorismo, con le atrocità dello Stato Islamico e con il virus Ebola, riprende il dialogo fra le potenze occidentali e l’Iran sulla questione nucleare. I rischi e le preoccupazioni derivanti dal possesso da parte del regime degli ayatollah di materiale utilizzabile per la costruzione dell’atomica sono ormai noti all’opinione pubblica mondiale, ciò che invece sembra sfuggire sono le motivazioni che hanno spinto l’Iran a procedere su questa strada. Nonostante il governo di Teheran sia, dalla rivoluzione islamica del 1979, chiuso in se stesso, rendendo difficile il lavoro di qualsiasi osservatore esterno, alcune considerazioni possono essere fatte su quando e perché l’opzione nucleare è diventata di vitale importanza per lo Stato. Esistono due possibili giustificazioni alla base dell’inflessibilità iraniana riguardo al suo programma nucleare: la sua valenza simbolica e il senso di pericolo per l’incolumità della nazione. La società iraniana, in virtù del suo essere stata per secoli un centro culturale, scientifico e religioso della regione mediorientale, è da sempre pervasa da un forte orgoglio nazionale. Il programma nucleare costituisce, nell’immaginario collettivo, il modo in cui l’Iran si riafferma come nazione sovrana, avanzata e indipendente dalle continue interferenze del mondo occidentale all’interno della sua politica. Le dichiarazioni dei suoi leaders politici, che la definiscono spesso una "questione di dignità nazionale", sembrano proprio avallare questa tesi. La seconda motivazione è molto più semplice ma non è mai stata riconosciuta in pubblico: la difesa e la deterrenza dell’atomica. La maggior parte degli analisti ritiene che l’Iran vorrebbe dotarsi di un’arma nucleare per scoraggiare le minacce provenienti dall’esterno. Noi occidentali inorridiamo al pensiero di un regime fondamentalista in possesso di armi di distruzione di massa ma i cittadini iraniani hanno un approccio molto diverso rispetto alle ambizioni nucleari del loro paese: che si tratti di sostenitori dell’ayatollah Khamenei o di laici appartenenti al Movimento Verde, le loro differenze ideologiche scompaiono quando si tratta di discutere del diritto dell’Iran di entrare a far parte del club nucleare. Il motivo di questo largo sostegno risiede nel profondo senso di insicurezza e di vulnerabilità della società. In fin dei conti il programma nucleare è stato avviato durante gli anni '80 quando era in corso la guerra con l’Iraq di Saddam Hussein il quale non si fece scrupolo di usare armi chimiche sull’esercito di Teheran. Oggi l’Iraq non è più una minaccia ma, essendo l’Iran uno dei pochi Stati Sciiti presenti sulla scena mediorientale, non mancano i nemi- 25 COPERTINA Smascheriamo l’antisemitismo per contrastare tutti i genocidi Un appello all’Onu: l’orrore di ieri è direttamente collegato a quelli di oggi. Chi aveva nel cuore l’Olocausto ha percepito immediatamente la mostruosità dei massacri in Bosnia, in Ruanda e nel Darfur. Una sintesi del discorso di Bernard-Henry Levy in occasione della riunione dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite sul tema della crescente violenza antisemita nel mondo FEBBRAIO 2015 • SHEVAT 5775 S 26 e mi avete invitato qui oggi non è per cantare l’onore e la grandezza dell’umanità, ma per piangere, purtroppo, i progressi di quella inumanità radicale, di quella bassezza che si chiama antisemitismo. A Bruxelles, pochi mesi orsono, sono stati attaccati la memoria ebraica e i guardiani di questa memoria. A Parigi, solo qualche giorno fa, abbiamo sentito ancora una volta il grido infame “A morte gli ebrei” e i disegnatori sono stati assassinati perché disegnavano, i poliziotti per il loro lavoro e gli ebrei perché facevano la spesa e semplicemente erano ebrei. In altre capitali, in Europa e altrove, la stigmatizzazione degli ebrei sta ridiventando la parola d’ordine di una nuova setta di assassini, a meno che non sia la stessa, sotto altre vesti. La vostra Casa è stata edificata contro tutto questo. La vostra Assemblea aveva il sacro compito di scongiurare il risveglio dei terribili spiriti dell’antisemitismo. Ma essi sono di ritorno, e perciò siamo qui. L’antisemitismo di oggi dice tre cose. Può operare su vasta scala solo se riesce a proferire e ad articolare tre enunciati odiosi, ma inediti, e che il XX secolo non è riuscito a squalificare. 1. Gli ebrei sarebbero esecrabili perché sostenitori di uno Stato malvagio, illegittimo e assassino: è il delirio antisionista di chi è spietatamente contrario al ritorno degli ebrei nella loro terra storica. 2. Gli ebrei sarebbero tanto più esecrabili in quanto fonderebbero il loro amato Paese su una sofferenza immaginaria o, perlomeno, esagerata: è l’ignobile, l’atroce negazione della Shoah. 3. Infine, commetterebbero un terzo e ultimo crimine che li renderebbe ancora più detestabili; crimine che consisterebbe - evocando essi instancabilmente la memoria dei loro morti - nel soffocare le altre memorie, nel mettere a tacere gli altri morti, nell’eclissare gli altri martiri che gettano nel lutto il mondo odierno, e di cui il caso più emblematico sarebbe quello dei palestinesi: qui ci avviciniamo a quella imbecillità, a quella lebbra che si chiama competizione tra le vittime. II nuovo antisemitismo ha bisogno di questi tre enunciati. È come una bomba atomica morale con tre componenti. Riconoscerlo significa cominciare a vedere quel che vi spetta fare per lottare contro questa calamità. Immaginiamo una Assemblea generale delle Nazioni Unite dove Israele abbia il suo posto, tutto il suo posto, quello di un Paese come gli altri, né più né meno colpevole di altri, con gli stessi doveri ma anche gli stessi diritti; e immaginiamo che gli si renda giustizia riconoscendogli, intanto, di essere ciò che è veramente: una autentica, solida e valida democrazia. Immaginiamo una Assemblea generale delle Nazioni Unite che, fedele al proprio patto fondatore, diventi la scrupolosa guardiana della memoria del peggiore genocidio mai concepito da quando esiste l’uomo. Immaginiamo che nel 2015, sotto la vostra egida e con l’aiuto delle più alte personalità scientifiche mondiali, si tenga la più completa, la più esauriente, la più definitiva delle conferenze mai riunite finora sul tentativo di distruzione degli ebrei. Proviamo poi a sognare che da qualche parte, a New York, a Ginevra o a Gerusalemme, si ten- ga una seconda conferenza da dedicare a tutte le guerre dimenticate che affliggono le terre abitate, ma di cui non si parla mai perché non rientrano nel quadro dei blocchi, o dei gruppi, fra cui vi dividete. E che questa seconda conferenza, contraddicendo lo stupido e mostruoso pregiudizio secondo cui in un cuore c’è posto soltanto per un’unica compassione, riveli quella che è stata l’autentica verità dei decenni trascorsi: è quando si aveva nel cuore la Shoah che subito si vedeva l’orrore della pulizia etnica in Bosnia; è quando si aveva in mente quel campione dell’inumano che fu il massacro pianificato degli ebrei d’Europa che si capiva immediatamente quel che accadeva in Ruanda o nel Darfur. Insomma, lungi dal renderci ciechi davanti ai tormenti degli altri popoli, la volontà di non dimenticare nulla del tormento del popolo ebraico è ciò che rende rilevante, evidente, l’immensa afflizione dei popoli del Burundi, dell’Angola, del Congo, e di altri ancora. Adottando questo programma, lotterete contro l’antisemitismo reale. Riabilitando l’Israele, avvalendovi della vostra autorità per far tacere, una buona volta, i cretini negazionisti e andando in aiuto dei nuovi dannati della terra immolati sull’altare dell’ideologia antisionista, smantellerete una ad una ogni componente del nuovo antisemitismo. Al tempo stesso, difenderete la causa dell’umanità. Non sarei qui se non pensassi che questa sede sia uno degli unici luoghi al mondo, forse il solo, dove possa orchestrarsi la solidarietà degli ebranlés, dei percossi, di cui parlava il grande filosofo cèco Ian Patocka e che ha rappresentato il senso della mia vita. Quando, nel mio Paese, le più alte autorità dicono: «La Francia senza i suoi ebrei non sarebbe più la Francia», esse erigono una diga contro l’infamia. E quando, nello stesso Paese, un capo di Stato e di governo su quattro vengono a sfilare per dire «lo sono Charlie, io sono poliziotto, io sono ebreo», alimentano una speranza su cui non contavamo più. La vostra stessa presenza qui, stamattina, la vostra volontà di rendere questo evento possibile e, forse, memorabile, attestano che in tutti i continenti, in tutte le culture e in tutte le civiltà si comincia a prendere coscienza che la lotta contro l’antisemitismo è un obbligo per tutti: è una grande e bella notizia. Quando si colpisce un ebreo, diceva un altro scrittore, è l’umanità intera a essere gettata a terra. Un mondo senza ebrei non sarebbe più un mondo: un mondo in cui gli ebrei ricominciassero a essere i capri espiatori di tutte le paure e di tutte le frustrazioni dei popoli sarebbe un mondo dove gli uomini liberi respirerebbero meno bene e dove gli uomini sottomessi lo sarebbero ancora di più. Sta a voi, adesso, prendere la parola e agire. Sta a voi, che siete il volto del mondo, essere gli architetti di un edificio dove per la matrice di tutti gli odi lo spazio si assottigli. BERNARD-HENRY LEVY Pubblicato su Il Corriere della Sera, 27 gennaio 2015 La testimonianza di rav Israel Meir Lau Difendere l'identità ebraica, testimoniare e vigilare che la Shoah non si ripeta mai più Kampf contro gli ebrei e nessuno protesta. Poi viene eletto Cancelliere e nessuno protesta. Poi nel 1933 vengono emanate le prime leggi razziali e il mondo non disse nulla. Poi nel 1938 con la Notte dei cristalli, vengono distrutte 1000 sinagoghe, 3000 ebrei uccisi, decine di migliaia arrestati e deportati e tutto questo nel più assoluto silenzio della stampa internazionale. “Lancio un appello agli studenti – ha sottolineato rav Lau - fate una ricerca sulla stampa per vedere come hanno commentato: dall’Occidente non è venuta una sola parola". Tutto questo silenzio, questa indifferenza, ha prodotto il silenzio sul più grande massacro della storia, quello di Babi Yar, vicino Kiev: tra il 29 e il 30 settembre 1941, furono massacrati 33.771 ebrei ucraini. “Cercate cosa disse la stampa, nulla. Non un articolo, solo il poeta Yevtushenko ha scritto una poesia”. “Lo stesso silenzio – ha ricordato Lau – quando nel 1942 con la Conferenza di Wannsee fu pianificata la soluzione finale e furono predisposti i campi di sterminio”. Identificarsi con un dramma così enorme come è stato lo sterminio di sei milioni di ebrei (di cui un milione e mezzo di bambini), è difficile - ha spiegato Lau - e abbiamo dovuto attendere il 2004 perché l'Onu dedicasse un giorno alla commemorazione della Shoah. Per comprendere cosa sia stata la persecuzione e il genocidio degli ebrei i numeri non bastano, perché non colpiscono, è necessario identificarsi nel dolore delle singole persone. Ci è riuscito il diario di Anne Frank che eleva il valore del racconto individuale a testimonianza. “Anche per questo ho scritto questo libro – ha concluso il rav – per commemorare il passato ma anche per prevenire che l’orrore si ripresenti”. G. K. ANNGIGLI LAB RE - INVENT YOURSELF Bat Mitzvà ANNGIGLI LAB ROMA - Via Cola Di Rienzo, 267 - Tel. 06 3210220 FEBBRAIO 2015 • SHEVAT 5775 C osa ci ha insegnato la Shoah? Quale lezione possiamo trarre dalla pagina più oscura della storia dell'umanità e della storia del popolo ebraico? E' ruotata attorno a queste domande la breve visita che Israel Meir Lau (già rabbino capo ashkenazita d’Israele tra il 1993 e il 2003 e oggi rabbino capo di Tel Aviv nonché presidente del Mausoleo Yad Vashem di Gerusalemme) ha tenuto a Roma, in occasione della Giornata della Memoria per il 70mo anniversario della liberazione di Auschwitz. La sera del 26 gennaio Lau – nel tempio di via Balbo - ha svolto una lezione incentrata sul pericolo dell’assimilazione e sulle conseguenze che essa produce per la sopravvivenza del popolo ebraico. “Esistono tre tipi di diluvio – ha spiegato – quello dell'acqua, quello di sangue e fuoco ed il terzo è la confusione/assimilazione. Contro il primo diluvio l'umanità si è salvata attraverso l'arca, contro il secondo che è rappresentato dalla Shoah gli ebrei sono stati lasciati soli, ma contro il pericolo dell'assimilazione l'unica ricetta è rafforzare la propria identità ebraica. La soluzione contro l'assimilazione è l’educazione, impartita fin dall’età di tre anni. Portate al tempio i figli, fate indossare la kippah, fateli vivere in una società ebraica". Rav Lau ha portato alcuni esempi, fra tutti il drammatico calo della popolazione ebraica negli Stati Uniti. Citando gli studi dei demografi Roberto Bachi e Sergio Della Pergola, rav Lau ha ricordato che negli Usa nel 1945 vi erano circa sei milioni di ebrei; con una media di due figli per coppia, oggi avrebbero dovuto essere circa 50 milioni, ma gli ebrei americani oggi sono appena 3,5 milioni. “Che fine hanno fatto, tutti gli altri?”, ha chiesto Lau?. “Si sono assimilati, ed oggi nello Stato di New York un ebreo su due fa un matrimonio misto". E' un calo demografico terribile, un cedere alla propria identità ebraica che - ha sottolineato rav Lau - non si è mai verificato nemmeno sotto le numerose persecuzioni e pogrom che gli ebrei hanno subito nel corso della storia. Il giorno dopo, ad un pubblico non ebraico prevalentemente formato da giovani studenti, rav Lau ha presentato il suo libro “Dalle ceneri alla storia” (Cangemi ed.) – nella versione originale, ‘Non alzare la mano contro il ragazzo’, da un passo della Genesi (cap. 22) - che racconta la sua storia di bambino di otto anni uscito da Buchenwald e poi attraverso vicissitudini, studio, e amore delle persone che lo hanno incontrato è giunto fino a diventare rabbino capo di Israele: "Se avessero raccontato a Lulek - ha spiegato il rav, il cui nome in polacco è appunto Lulek - che da grande mi sarei seduto al tavolo con la regina Inghilterra o avrei parlato con il papa o con il presidente degli Stati Uniti, non lo avrei creduto”. Ma Lau non ha voluto raccontare la sua storia, non si è piegato sul racconto del passato quale sopravvissuto ma si è proiettato sull'oggi, ma soprattutto sul domani: "la Shoah non è una eredità del passato perché il presente ne è segnato”. “Sono preoccupato del presente e del futuro – ha spiegato - davanti a nuove tragedie e a nuovi genocidi, dove è l'umanitá? Non chiediamoci dove è D.o, ma dove è l'uomo, dove sono i Capi di Stato?". E' questa stessa indifferenza, questa stessa voglia di non vedere, di girarsi dall'altra parte, che è stata alla base e ha dato inizio alla persecuzione nazista degli ebrei. Nel 1923 Hitler scrive il Mein 27 COPERTINA “Night will fall”: lo sconvolgente documentario sui lager nazisti Un film che per anni nessuno ha mai potuto vedere ‘Corri ragazzo, corri’ La drammatica storia di giovane ebreo polacco sopravvissuto alla Shoa, raccontata in uno struggente film I n occasione della Giornata della Memoria, è stata ospitata, il 19 gennaio, presso la Casa del Cinema di Roma, l'anteprima del film presentato da Lucky Star "Corri ragazzo corri", del regista Premio Oscar Pepe Danquart, che è stato proiettato nelle sale italiane dal 26 al 28 gennaio. Il film, tratto dall'omonimo romanzo dello scrittore israeliano Uri Orlev, è ispirato alla struggente storia di Yoram Friedman, ebreo polacco miracolosamente sfuggito ai Nazisti. FEBBRAIO 2015 • SHEVAT 5775 D 28 opo una breve uscita televisiva, anche la Casa del Cinema di Roma – in occasione della Giornata della Memoria ha offerto al pubblico le sconvolgenti scene di “Night will fall” (“Cadrà la notte”). Un documentario coprodotto, fra gli altri, anche dall’italiana GA & A Productions, consociata RAI.”Immagini come queste - ha rilevato in apertura Riccardo Pacifici, presidente della Comunità ebraica romana rappresentano la migliore replica a quanti, proseguendo l’opera dei carnefici di allora, vorrebbero negare la Shoah, o quantomeno ridimensionarla”. “Night will fall” (del regista e produttore André Singer), incorpora infatti in gran parte le immagini del documentario sui lager nazisti che nella primavera-estate del ‘45, fu realizzato, su incarico degli Alleati, dal produttore e regista britannico Sidney Bernstein, assemblando il materiale girato nei mesi precedenti dalle truppe sovietiche, britanniche, americane e australiane, al momento della liberazione di Auschwitz, Bergen-Belsen, Buchenwald, Dachau e altri lager. Supervisore del documentario fu Alfred Hitchcock, amico personale di Bernstein, che lavorò al montaggio e alla sceneggiatura del film, con precise istruzioni (come, ad esempio, far vedere chiaramente agli spettatori la vicinanza dei vari lager a tante tranquille cittadine tedesche, dove la vita quotidiana proseguiva tra scenari da cartolina). Il film, tuttavia, non vide mai la luce per varie ragioni, fra cui la nascente guerra fredda che spingeva gli Alleati a non infierire troppo sulla Germania, potenziale futuro alleato nella tensione coi sovietici. Il film è così rimasto 70 anni negli archivi dell’Imperial War Museum di Londra, ad eccezione dell’autunno 1945, quando varie sue sequenze, proiettate in aula, risultarono determinanti nei processi a Josef Kramer, comandante di Bergen-Belsen,e, soprattutto, ai massimi leader nazisti a Norimberga. Sono immagini in cui la morte domina quasi ogni inquadratura, con le cataste di cadaveri nudi simili a macabri, scheletrici, manichini dagli occhi sbarrati. Quegli stessi occhi sbarrati che per lungo tempo accompagneranno i sopravvissuti, il cui inserimento nella società, il cui ritorno ad una vita ‘normale’, non sarà mai più lo stesso. FABRIZIO FEDERICI Nel film Yoram è Jurek, un bambino ebreo costretto a lasciare la famiglia e a scappare dal ghetto di Varsavia per sopravvivere alla furia nazista. L'attaccamento alla vita lo ha portato, tra una fuga e l'altra, ad adattarsi alle situazioni più disperate, ad assumersi responsabilità di gran lunga più grandi di lui ma soprattutto a mantenere la promessa fatta al padre nel momento del distacco da lui: non dimenticarsi mai di essere ebreo. Per mantenere questa promessa, il piccolo Jurek deve sopravvivere, e per farlo è costretto a resistere ai freddi inverni polacchi, a dormire nei boschi, e a rubare cibo dalle fattorie. Nei suoi tre anni di lotta per la sopravvivenza avrà la fortuna di conoscere persone disposte ad aiutarlo e persone che, al contrario, lo hanno tradito, spingendolo a un passo dalla morte. Jurek si troverà quindi a scappare da una caserma delle SS, si salverà da una casa incendiata dai soldati tedeschi e a scampare una tragica fine quando un medico si sottrae al suo compito avendo scoperto che il piccolo paziente è ebreo. Anche nei momenti in cui la situazione sembra prendere decisamente una piega tragica e senza via di uscita, Jurek dimostra di avere una tenacia e una prontezza d’animo degne di un uomo maturo. Forse è proprio l'attaccamento alla vita ad essere insito nel DNA ebraico, tanto che ad oggi quel bambino, ormai 79enne vive in Israele, dove ha incontrato la sorella dopo più di trent'anni, ed è padre di due figli e nonno di diversi nipoti. Un racconto toccante e pieno di umanità, che non trascura temi ancora attuali come l'attaccamento alla fede e il rinnovato timore nel nascondere il proprio credo religioso per salvaguardare la propria vita. Questo film è un inno alla speranza e una tra le tantissime testimonianze di storie ambientate nel periodo della Seconda Guerra Mondiale sulla continua lotta al limite tra la vita e la morte. YAEL DI CONSIGLIO ambia la sede, non la sostanza. La cerimonia istituzionale in occasione del Giorno della Memoria il 27 gennaio, infatti, quest’anno non ha avuto luogo come di consueto al Quirinale, ma, a seguito delle dimissioni del Presidente Napolitano, si è svolta a Montecitorio, alla presenza di centinaia di studenti. Dopo l’intervento iniziale della Presidente Boldrini, hanno preso la parola il Presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, Renzo Gattegna, tre studenti e la ministra dell’Istruzione, Stefania Giannini. A moderare, la giornalista Maria Concetta Mattei; presenti fra gli altri il Ministro del Lavoro Giuliano Poletti e il Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Graziano Delrio. Nel corso della Celebrazione è stato proiettato un filmato prodotto da Rai Storia con Medicina e Shoah Convegno al Policlinico sui cambiamenti dell’etica medica da fine ‘800 ai giorni nostri G li orrori perpetrati dal nazismo non sono scaturiti da una mente malata, ma sono stati il punto di arrivo di un’ideologia che precedeva il nazismo e che, in forme diverse, continua a manifestarsi fino ai giorni nostri. Questo è stato il tema principale emerso durante la tavola rotonda “19452015: Medicina e Shoah, settant’anni dopo Auschwitz. Dalle leggi di Norimberga alla bioetica medica contemporanea”, organizzata dall’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane in collaborazione con i docenti del corso Medicina e Shoah della Sapienza Università di Roma, presso la I Clinica Medica del Policlinico. Riccardo Di Segni (Rabbino Capo della Comunità Ebraica di Roma) ha denunciato il fatto che nella nostra Costituzione compaia ancora il termine “razza” (art. 3) mentre ormai gli scienziati sono concordi nell’affermare che tale definizione non immagini dei campi di concentramento di allora e di oggi, intervallato da racconti dei sopravvissuti. C’è stato inoltre un intermezzo musicale della cantante Ute Lemper, accompagnata dalla pianista Vana Gierig, oltre ad un intermezzo musicale della violinista Francesca Dego. “La memoria deve essere coltivata anche abbia alcun senso. Ha ricordato come, durante il nazismo, accanto ad una medicina che usava il corpo umano per esperimenti pseudo-scientifici, c’è stata anche una medicina che ha cercato di salvare l’essere umano nelle situazioni limite dei ghetti e dei campi di sterminio dovendo decidere, ad esempio, a chi dare le poche medicine a disposizione. Ha, infine, sottolineato come i medici che collaborarono con il nazismo agirono volontariamente: il programma da loro messo in atto fu frutto di un’ideologia condivisa. Antonio Pizzuti (Università di Roma La Sapienza) ha delineato un quadro delle prime teorie dell’eugenetica, nate a metà dell’ ‘800 con lo scopo di migliorare la qualità della vita, degenerate poi in tecniche di soppressione degli individui considerati un “peso” per la società, applicate, prima dell’avvento in Europa del nazismo, anche negli Stati Uniti e poi paradossalmente portate come prova di “non colpevolezza” dagli imputati del Processo di Norimberga. Georg Lilienthal (Gedenkstatte Hadamar) ha tratto il tema dell’Aktion T4, ovvero l’uccisione in Germania di coloro che erano considerati “malati di mente” che è stata, nei fatti, la “prova generale” dello sterminio degli ebrei. Riguardo all’eugenetica, Marcello Pezzetti (Fondazione Museo della Shoah) ha sottolineato come sia fondamentale il passag- al di fuori delle commemorazioni ufficiali, deve dare fastidio, deve essere scomoda, come un pungolo per superare l’indifferenza” ha sentenziato il Presidente supplente della Repubblica Pietro Grasso nel suo intervento, prima della consegna dei premi agli Istituti vincitori della XIII edizione del Concorso “I giovani ricordano la Shoah”, assegnati alla rappresentazione della Shoah come un albero dalle mille foglie della scuola primaria Domenico Luciano di Givoletto (TO) e ai cortometraggi della scuola media inferiore Suelli di Senorbì (CA) e dell’Istituto Professionale Alberghiero di Villa San Giovanni (RC). DANIELE TOSCANO gio effettuato dai nazisti da ideologia a legge dello Stato che coinvolge la società intera. Infine, Gilberto Corbellini (Sapienza Università di Roma) ha messo in evidenza le conseguenze degli orrori nazisti sull’etica medica partendo dal Codice di Norimberga elaborato dopo la Shoah, fino al Rapporto Belmont (1979) e rilevando come il dibattito sulla necessità/inumanità degli esperimenti sugli uomini sia ancora oggi attuale. SILVIA HAIA ANTONUCCI Alla Sapienza il 9 marzo iniziano i corsi P er il secondo anno consecutivo, il 9 marzo 2015 inizia il corso Medicina e Shoah, rivolto agli studenti del Corso di Laurea delle Facoltà Mediche della “Sapienza” Università di Roma ed a professionisti sanitari del Policlinico Umberto I e del Sant’Andrea. Il corso, tenuto da docenti universitari e storici della Fondazione Museo della Shoah, prevede quattro incontri con lezioni monografiche sui rapporti tra medicina e nazismo, tra teorie medico-biologiche eugeniche e razziali e le politiche governative di segregazione e sterminio nel III Reich. Scopo del corso è far conoscere il fondamentale ruolo dei medici negli orrori nazisti, ma anche quello di evidenziare quanto, all’indomani della fine della guerra, il processo di Norimberga sia stato fondamentale per avviare riflessioni e regolamentazioni delle ricerche sperimentali e dei trials clinici, sino ad arrivare all’attuale bioetica medica. FEBBRAIO 2015 • SHEVAT 5775 C Il Parlamento ricorda il 27 gennaio 29 COPERTINA Casina Vallati sede della fondazione Museo della Shoah Consegnate le chiavi in attesa che partano i lavori a Villa Torlonia “O ggi è un giorno molto importante perché vogliamo avviare e accelerare un percorso di riconoscimento e mantenimento della memoria”. Lo ha detto il sindaco di Roma, Ignazio Marino, nel corso della cerimonia di consegna - avvenuta il 26 gennaio - alla Fondazione Museo della Shoah delle chiavi della Casina dei Vallati, che sorge a largo 16 ottobre 1943, un luogo simbolico, al centro del quartiere dove avvenne il terribile rastrellamento di 2000 ebrei. “Un luogo - ha spiegato il sindaco - dove coltivare la memoria, in attesa di realizzare il museo, dove c’era un grande ritardo sui tempi della gara per la realizzazione del museo stesso che verrà edificato a Villa Torlonia”. A prendere le chiavi della Casina dalle mani del sindaco è stato Leone Paserman, presidente della Fondazione Museo della Shoah: “Sono emozionato oggi nel ricevere le chiavi di questo edificio, sia per la fondazione che per i sopravvissuti della Shoah. Questo spazio bellissimo della casina dei Vallati consentirà subito al pubblico di vedere tutta la documentazione che la fondazione ha raccolto in questi 6 anni e mezzo di attività. L’impegno - ha concluso - continua e mi auguro anche che quanto prima verrà aggiudicata in via definitiva la gara di costruzione del museo della Shoah a villa Torlonia che speriamo sorgerà tra qualche anno. La memoria della Shoah deve interessare tutti i cittadini”. Una targa in ricordo dei dipendenti ebrei del comune di Roma deportati Con la delibera 388 il governatorato estromise e licenziò 50 dipendenti ebrei capitolini U na targa alla memoria di Aldo e Bixio Pergola, dipendenti comunali licenziati nel 1939 dall’allora Governatorato di Roma in conseguenza della promulgazione delle leggi razziali, e in seguito deportati e uccisi ad Auschwitz, è stata posta il 27 gennaio nel piazzale antistante il dipartimento del Personale in via Tempio di Giove. Un omaggio alla memoria dei fratelli ma anche di tutti i lavoratori comunali che furono vittime della discriminazione razziale Il Giorno della Memoria tra attualità e storia FEBBRAIO 2015 • SHEVAT 5775 L’ 30 “E’ molto importante che sia stata scoperta questa targa – ha spiegato nella breve cerimonia il sindaco Marino - perché fa rabbrividire la lettura delle parole che vennero pronunciate a pochi passi da qua, nell’aula Giulio Cesare, quando venne votata la delibera per la ‘protezione della razza italiana’ e quindi l’esclusione delle persone di religione ebraica dai palazzi del Comune di Roma”. Bixio Pergola, nato nel 1903, era segretario principale del Governatorato. Fu arrestato assieme alla moglie, Emilia Pugliese, il 18 ottobre del 1943: trasferiti nel Collegio militare di Roma, furono poi deportati ad Auschwitz e uccisi poco dopo l’ingresso nel campo di sterminio. Il fratello Aldo Pergola, ingegnere comunale nato nel 1899, fu deportato nell’ottobre del ‘43 assieme alla moglie e alla figlia ad Auschwitz, dove morirono tutti. Le storie dei fratelli Pergola insieme a quella di circa 50 dipendenti capitolini che furono colpiti dalle leggi fasciste appaiono sulla home page del portale di Roma Capitale. Associazione Culturale ex Alunni Scuola Elementare Umberto I (www.leggirazziali.org) prosegue la sua attività per sensibilizzare le scuole e le famiglie alla memoria della Shoah. Questo istituto di Roma dal 1938 al 1943 ospitò al suo interno classi per bambini di "razza ebraica" nel pomeriggio, mantenendo gli studenti ebrei separati da quelli "ariani". Per l’edizione del Giorno della Memoria del 2015, l’Associazione, presieduta da Maurizio Della Seta, è stata invitata a Fiumicino in occasione di un Consiglio Comunale straordinario: dopo i saluti del sindaco Esterino Montino e degli assessori, davanti a quasi 200 studenti delle scuole del territorio, le commoventi testimonianze di Maurizio Della Seta e di Gabriella Costa, bambini nel ’38, seguite dalla lettura dell’attrice Iaia Forte di un brano tratto da “La Storia” di Elsa Morante sulla deportazione dal ghetto di Roma. L’Associazione ha poi promosso un volume i cui proventi sono destinati all’Ospedale pediatrico Alyn di Gerusalemme, che cura bambini e progetti dell’infanzia per palestinesi e israeliani: proprio poche settimane fa un’importante donazione, resa nota con un video messaggio di ringraziamento con cui, a nome di Brenda Hirsch, Capo Dipartimento dell’Ospedale, si informavano i presenti dell’assegnazione all’Associazione di una targa di riconoscimento presso l’Ospedale. Il testo “Ora Mai Più – Le leggi razziali spiegate ai bambini”, curato da Daniel Della Seta, è un volume di riflessioni, una raccolta di 40 testimonianze, poesie, racconti e disegni degli alunni di oggi, arricchite da manoscritti, documenti, pagelle e foto dell’epoca e con il testo originale delle leggi razziali. www.positivoagency.com LASCIA UN BUON SEGNO TESTAMENTI I progetti di Lasciti e Donazioni danno pieno valore alle storie personali e collettive degli amici del popolo ebraico. Un testamento è una concreta possibilità per aiutare oggi e domani l’azione del Keren Hayesod. FONDI Il nostro buon nome dipende dalle nostre buone azioni. Un fondo a te dedicato o alla persona da te designata, è la migliore maniera di lasciare una traccia duratura associandola ad un ambito di azione da te prescelto. I temi ed i progetti non mancano. Una vita ricca di valori lascia il segno anche nelle vite degli altri. Nel presente e nel futuro. PROGETTI Il KH ha tanti progetti in corso, tra gli altri; progetti per Anziani e sopravvissuti alla Shoah - Sostegno negli ospedali - Bambini disabili - Sviluppo di energie alternative - Futuro dei giovani - Sicurezza e soccorso - Restauro del patrimonio nazionale. Progetti delicati, dedicati, duraturi nel tempo. Di cui sei l’artefice. Giliana Ruth Malki - Cell. 335 59 00891 Responsabile della Divisione Testamenti Lasciti e Fondi del Keren Hayesod Italia vi potrà dare maggiori informazioni in assoluta riservatezza Enrica Moscati - Responsabile Roma Tu con il Keren Hayesod protagonisti di una storia millenaria KEREN HAYESOD Milano, Corso Vercelli, 9 - Tel. 02.4802 1691/1027 Roma, C.so Vittorio Emanuele 173, - Tel. 06.6868564 Napoli, Via Cappella Vecchia 31, tel. 081.7643480 [email protected] FOCUS Adamo, Noè, Abramo, Mosè, Giuseppe: un cast di Patriarchi e Profeti Tradizione o suggestione? Quando i racconti della Bibbia incontrano il cinema, sacro e profano si mischiano FEBBRAIO 2015 • SHEVAT 5775 “L 32 a Bibbia resta la migliore fonte di soggetti: non ho mai visto un film religioso che non sia stato un successo di cassetta”. Così, oltre cinquanta anni fa, il leggendario regista Cecil B. De Mille che più di ogni altro ha lavorato agli adattamenti del ‘Libro dei libri’ alla giovanissima giornalista italiana Oriana Fallaci che era andata a Los Angeles per intervistarlo e che da quell’esperienza americana trasse spunto per il suo esordio in campo letterario con il volume I sette peccati capitali di Hollywood. “Il sesso e la religione sono le grandi molle che sostengono il mondo”, continuava De Mille, “il primo solletica gli istinti peggiori, la seconda ripulisce le loro coscienze.” Così spiegava il regista de I dieci comandamenti con Charlton Heston nel ruolo di Mosé con il commento di Oriana Fallaci che insisteva sullo strano connubio di storie d’amore e tradimento tra begli uomini e belle donne sullo sfondo dei testi sacri. Eppure, nonostante alcune incongruenze e ingenuità e l’inevitabile passare del tempo, i film di De Mille restano ancora oggi tra i più interessanti e riusciti per quello che riguarda l’adattamento biblico. De Mille che si dice dormisse con la Bibbia sotto al cuscino e un taccuino per prendere appunti, concludeva l’intervista dicendo “Racconto la Bibbia attraverso le immagini, mentre altri lo fanno attraverso le parole. Il mio è un modo come un altro per pregare.” Considerazioni sempre attuali nonostante siano passati sei decadi da quando sono state espresse e che hanno visto decine di altri film di ispirazione religiosa e di ambientazione biblica invadere il grande e il piccolo schermo, offrendo una serie di variazioni sul tema, purtroppo non sempre riuscite o di gran gusto. Proprio in queste settimane è, infatti, presente nei cinema l’ultimo adattamento biblico in ordine di tempo che il regista Ridley Scott (Alien, Blade Runner) ha tratto dal libro dell’Esodo, concentrandosi su una versione ‘postmoderna’ della lettura dei libri che, a dispetto dell’utilizzo di effetti visivi imponenti, sembra mancare il senso ultimo del lavoro di registi come De Mille o John Huston, ovvero, quello di drammatizzare storie antiche seguendo un punto di vista che non sia solo religioso, ma anche molto umano e non solo ‘ibrido’ per piacere a tutte le religioni e ‘politicamente corretto’. Ma se Exodus: Dei e Re è piuttosto piatto e senza punti di vista originali, estremizzando questo discorso, nella primavera del 2014, l’apprezzato filmaker americano Darren Aronofsky ha offerto, invece, una visione insolita della storia di Noè nel semi-fantascientifico Noah in cui Russell Crowe interpretava il profeta biblico in un mondo popolato da creature e mostri, pur restando fedele allo spirito delle personalità dei personaggi. Licenze artistiche che perfino il regista de La Bibbia, John Huston giustificava nelle sue memorie ricordando la lavorazione del film che lo aveva visto nei panni di Noé dopo il rifiuto di Charlie Chaplin ad interpretare quel ruolo: “La Genesi – diceva - è una sorta di mitologia poetica.” Spiegava Huston: “E’ un passaggio dal mito, quando l’uomo, di fronte alla Creazione e altri misteri profondi, si è inventato spiegazioni per l’inspiegabile. Ma sotto la leggenda, pian piano, si condensa la Storia quando questa non veniva ancora scritta, ma tramandata in maniera orale.” Il cinema, quindi, diventa per certi versi, una maniera moderna per continuare una tradizione di racconto plurimillenaria passata dalla parola al digitale, seguendo anche tecniche narrative differenti da quella tradizionale cinematografica. Tra le centinaia di pellicole dedicate alla Bibbia iniziate con la stessa nascita del cinema, senza dubbio una delle più importanti e riuscite è il film d’animazione Il Principe d’Egitto perlomeno, personale. Spesso, l’afflato mistico o religioso ha privilegiato piuttosto la narrazione epica come nel caso di Salomone e la Regina di Saba con Yul Brinner e Gina Lollobrigida diretti da King Vidor oppure come ne La storia di Ruth (1960) di Henry Koster. Marcatamente ‘di genere’ sono Sodoma e Gomorra di Robert Aldrich con Stewart Granger, Pier Angeli e Rossana Podestà, ma anche quel David con Richard Gere nei panni del più amato re della Bibbia. Ma, nella più pura tradizione yiddish, la Bibbia non è stata solo oggetto di adattamenti quantomeno rispettosi del suo essere un libro sacro: Mel Brooks offre una lettura esilarante della storia di Mosé ne La pazza storia del mondo volume 1 con il profeta che mostra al popolo i dieci comandamenti dopo avere distrutto inavvertitamente una delle tavole dicendo “Uditemi, Uditemi. Prestate orecchio. L’Eterno, il Signore mi comanda di recarvi questi quindici… (cade una delle tavole della legge e si rompe) Dieci! Dieci comandamenti cui dovrete ubbidire”. Ridere ‘per la Bibbia’ e non ‘della Bibbia’ è – come spiega lo stesso regista – segno della grandezza dell’ebraismo: “Non vado in Sinagoga e non pratico tutti i rituali ebraici, ma credo assolutamente nello spirito ebraico e nella sua cultura.” Puntualizza Brooks: “Sono orgoglioso di essere un ebreo, perché siamo un grande popolo che ha avuto tante persone coraggiose come coloro i quali sono sopravvissuti alla Shoah. Sono fortunato di essere ebreo, perché questo ti dà un talento particolare nell’arte del vivere. E’ qualcosa che ti fa ridere nei disastri e nei momenti tristi”. E mentre abbondano le produzioni anche sul cosiddetto Nuovo Testamento, non c’è quindi da aspettarsi che questa nouvelle vague di film a tema biblico abbia presto conclusione. Nonostante i primi titoli ad argomento biblico risalgano ai primi anni del cinema e del Ventesimo Secolo, tra le produzioni annunciate per i prossimi anni che presto potrebbero andare oltre la fase di sviluppo troviamo Goliath con Taylor Lautner (Twilight) e Dwanbe “The Rock” Johnson rispettivamente nei panni del Re e del gigante; nonché il potenzialmente interessante e tematicamente inedito La redenzione di Caino interpretato, ma anche diretto dalla Superstar Will Smith. MARCO SPAGNOLI Il mondo islamico contesta ‘Exodus’ «Film sionista e pieno di errori storici» Come molti altri film di genere ‘biblico’, anche ‘Exodus’ di Ridley Scott è stato prima stroncato, poi persino censurato, in molti Paesi arabi ed islamici. D’altra parte era già capitato anche ad un altro Patriarca di fare la stessa fine: nel 2014 “Noah” di Darren Aronofsky, con Russell Crowe nel panni del protagonista, era stato censurato in Qatar, Bahrain ed Emirati Arabi. Ma il Mosè di Exodus è persino peggio poiché – ha spiegato il ministro della Cultura egiziano, Gaber Afour – “dà una visione sionista di Mosè e contraddice la verità storica: mostra gli ebrei che costruiscono le piramidi, quando tutti sanno che furono terminate almeno mille anni prima dell’Esodo. Per non dire del Mar Rosso: la divisione delle acque viene fatta passare per un fenomeno naturale, non per un prodigio. Questo è inaccettabile”. Forse ha però ragione il regista Tarantino che dice che il bello del cinema è reinventare la storia. Purché non si pretenda d’insegnarla. Ma gli islamici che hanno lanciato la mezza fatwa su Exodus, sanno chi è Quentin Tarantino? FEBBRAIO 2015 • SHEVAT 5775 ancora una volta dedicato alla vita di Mosé che vide l’allora ex capo della Disney, Jeffrey Katzenberg dare vita al primo lungometraggio kolossal animato nel 1998 insieme all’amico Steven Spielberg con il marchio DreamWorks. “Per girare quel film in novanta minuti ci abbiamo messo più di tre anni”, ricorda Katzenberg. ”Non considero Il principe d’Egitto un semplice cartone animato, perché in qualche maniera è stato come portare alla vita un dipinto. Abbiamo provato a inventare una nuova specie di realismo per questo genere cinematografico, grazie alle tecnologie che abbiamo sviluppato e all’ottimo gruppo di sceneggiatori che lavorano abitualmente con noi”. Nei film legati alla religione e alla fede uno degli elementi più importanti è la musica, come ricorda il compositore Hans Zimmer che proprio con Il Principe d’Egitto ha affrontato una delle sfide più importanti della sua carriera: “Sentivo molto la responsabilità di quello che stavo facendo e che poteva offendere circa il settantacinque per cento della popolazione mondiale. Ho sofferto molto e sudato tantissimo nel comporre una musica molto personale e complessa che esprime il mio punto di vista sulla storia di Mosè. Non volevo ascoltare nessun altro se non me stesso.” Del resto, il confronto con i testi sacri è stato sempre molto problematico. A differenza dell’approccio di De Mille, i registi non sempre hanno seguito una linea originale di racconto o 33 FOCUS La Bibbia, la sceneggiatura più bella di Hollywood Sono innumerevoli i film e i cartoni animati che hanno avuto per tema le storie e i racconti tratti dalla Torà FEBBRAIO 2015 • SHEVAT 5775 D 34 a ‘Sansone e Dalila’ uscito nel '49, al più recente ‘Exodus (dei e re)’ nelle sale in questi giorni, da ‘I Dieci Comandamenti’ a ‘Noah’. Se la Bibbia è stato il primo testo stampato, il più tradotto al mondo, nonché il primo "best seller", non c'è da sorprendersi se da cinquant'anni ad oggi gran parte dei film prodotti ad Hollywood e dalle più grandi case di produzione e di distribuzione siano stati ispirati proprio a questo libro. Sebbene i vari registi non si siano sempre attenuti ai testi e abbiano spesso romanzato i propri film, le tante storie della Bibbia rimangono comunque adatte ad ogni genere di pubblico, tanto che per i bambini sono stati creati cartoni animati come "Mosè il principe d'Egitto" e "Giuseppe il re dei sogni", entrambi prodotti dalla Dreamworks Pictures. Anche i volti più celebri del cinema, come Charlton Heston e Russel Crowe, hanno vestito gli umili panni dei personaggi biblici come quelli di Mosè nel film del '56 "I dieci Comandamenti" o di Noè in "Noah" uscito nelle sale nel 2014. Tra i vari colossal appartenenti a questo filone, non c'è però da trascurare il celebre film del '66 "La Bibbia", del regista statunitense John Houston, nel quale vengono interpretati i primi ventidue capitoli del Libro della Genesi: dalla creazione del mondo al sacrificio di Isacco. Anche molti sceneggiati riproposti più volte in televisione non sono stati solo inerenti alle storie della Bibbia, ma più in generale si sono attenuti ai libri delle sacre scritture; si pensi alla storia della regina Ester mandata in onda dalla Rai o al film Davide contro Golia. Alcuni registi, per una miglior resa del proprio lavoro e una maggior cura nei particolari, si sono spesso consultati con istituzioni religiose come rabbini e sacerdoti cattolici prima di cimentarsi dietro la camera da presa. Anche se le stesse storie sono state più volte proposte si è continuamente cercato di sbalordire il grande pubblico con un costante miglioramento degli effetti speciali e della qualità delle scenografie, cercando di rendere le pellicole di volta in volta migliori delle precedenti, quasi da far sembrare le trame differenti. Si può quindi pensare che la produzione di questo genere di film, rivolto al grande pubblico, risulti essere non solo un "ripasso" di cultura religiosa per i credenti o un semplice spunto di riflessione, ma il pretesto per dare maggior spessore al settore cinematografico sempre più in crisi a causa della sua incapacità di rinnovamento dei contenuti. YAEL DI CONSIGLIO LIBRI L'ebreo di Roma, in bilico tra vecchia e nuova identità L'ebraismo torinese che non c'è più La storia di una trasformazione sociale ed economica, tra Risorgimento ed emancipazione, nel saggio curato da Claudio Procaccia Economia e vicende familiari in ‘La via di fuga’ di Federico Fubini L' FEBBRAIO 2015 • SHEVAT 5775 L a popolazione ebraica a Roma nel 1816 annoverava 3047 unità fino ad arrivare nel 1911 a 8000 unità, mentre parallelamente quella dell'intera città passava da 128.000 a 519.000 abitanti; si trattò di un secolo che vide profonde trasformazioni con una comunità mutata, oltre che nei numeri, nei diversi tratti sociali. Un periodo che è stato esaminato sotto la lente di ingrandimento nel testo uscito da qualche settimana "Ebrei a Roma tra Risorgimento ed emancipazione (1814- 1914)", edito da Gangemi e curato da Claudio Procaccia che raccoglie i contributi di storici, statistici ed esperti del mondo ebraico, ed in allegato un CD che riproduce la ricostruzione virtuale dell'edificio delle Cinque Scole. E' un insieme di saggi di forte valenza scientifica, con dati provenienti dall'archivio comunitario e da una storiografia che negli ultimi decenni ha arricchito la ricerca sul periodo. Grazie alla sinergia di collaboratori di diversa provenienza culturale, la pubblicazione riesce a dare al lettore una fotografia completa degli anni trascorsi passando in rassegna dai differenti punti di osservazione l'enorme documentazione esistente: così si passa dalla demografia ai censimenti, dal diritto alla sociologia, dall'architettura alla cultura, dall'arte al culto; storie di un vissuto nello spazio ristretto del vecchio Portico d'Ottavia, rielaborate dagli esperti nel loro passaggio secolare. Non vengono tralasciate pagine dedicate a singole famiglie o personaggi che si evidenziavano nel panorama ebraico romano. Va riconosciuto agli autori che nei loro interventi fanno rivivere in modo trasversale il lungo periodo dinamico e vivace, vissuto tra i moti risorgimentali, con l'illusione prima svanita di uscire dal perimetro imposto dalla Chiesa, fino ad arrivare al passaggio cruciale che segna la fine dell'esperienza del ghetto e l'inizio dell'integrazione nel tessuto sociale cittadino e nazionale. Un mosaico che delinea nell'aspetto culturale economico una condizione sociale che presentava agli inizi dell'Ottocento metà popolazione ebraica in completa indigenza, gradualmente. Con la libertà acquisita, la seconda metà del secolo sarà caratterizzata da un forte elemento di mobilità sociale, che permetterà di arrivare agli inizi del Novecento, sebbene permanessero ancora larghe fasce di estrema povertà, integrati alla vita capitolina e nazionale. E con una presenza crescente, tenendo sempre conto dell’esiguità numerica, sia nel mondo politico e sia in quello universitario e con un attiva partecipazione, già nel 1911, nel commercio capitolino. Ne esce fuori una nuova identità che, grazie all'emancipazione vissuta fuori dal ghetto, si confronterà con nuove sfide e conoscerà il fenomeno dell'assimilazione, sconosciuto fino a quel momento. JONATAN DELLA ROCCA editorialista economico de La Repubblica, Federico Fubini, è andato alle stampe con l'ultima opera "La via di fuga" edito da Mondadori. E' un libro che descrive come diverse realtà hanno affrontato le crisi economiche con esiti non sempre positivi. E' un'opera di particolare interesse perché riesce a coniugare storia ed economia, con il racconto nei periodi salienti della famiglia paterna dell'autore, uno spaccato della vita piemontese ebraica del secolo scorso. Questa descrizione è intrecciata con quella della Grecia di oggi (di cui il giornalista descrive le reazioni alla crisi economica), e con quella del mercato dei voti comprati in Calabria, regione in cui affondano le sue radici materne. Già dalla lettura delle pagine iniziali è interessante apprendere come il divieto vigente a fine Settecento di accedere all'istruzione superiore e alle professioni avesse causato tra gli israeliti la diffusione del mestiere di negoziante, rigattiere e banchiere nella stessa persona; perché in quanto prestatori in garanzia non potendo accettare terreni, per il divieto di detenerli, come pegno si facevano consegnare oggetti e abiti usati. Ma tutto ciò muta a metà dell'Ottocento: grazie allo Statuto Albertino gli ebrei possono accedere all'Università. E la reazione dà dei frutti al di là di ogni previsione. Perché con il passare degli anni la partecipazione è talmente in crescendo che il risultato è sorprendente: a inizio Novecento "i docenti ebrei a Torino sono il 16 per cento del totale dei professori alla facoltà di Giurisprudenza, e il 30 per cento a quella di Medicina". Una frequenza al di sopra della popolazione cittadina che porrà le basi di soddisfazioni nella ricerca accademica e scientifica. Tra questi studenti brillanti spicca Renzo Fubini, prozio dell'autore, che ci accompagna nelle diverse esperienze fino all'ultima pagina del libro. Ricercatore promettente e alunno del futuro presidente della Repubblica, Luigi Einaudi, dopo aver maturato esperienze negli Stati Uniti e in Inghilterra, torna in Italia dopo il crollo del '29: qui ricoprirà la docenza all'Ateneo di Trieste, prima di esiliare a Parigi con l'emanazione delle leggi razziali, e di essere poi catturato e deportato nel campo di sterminio di Auschwitz dove troverà la morte nel 1944. E' un libro vibrante, senza pause che incarna il dinamismo professionale di Fubini. La cronaca diviene storia, raccontata con la penna fluida del giornalista navigato. La storia del prozio è il punto di partenza per capire l'inadeguatezza del sistema di fronte alla debacle finanziaria avvenuta nel 1929. Su questa scia le pagine scorrono con osservazioni acute sulle mancate risposte alla drammatica crisi economica, con raffronti su ciò che successe allora ed oggi. Sullo sfondo delle depressioni descritte riesce a ricostruire dinamiche che si ripetono a distanza di secoli, sensibilizzando il lettore sull'incapacità del mondo politico di tirarci fuori dal declino. J. D. R. 35 LIBRI EDITORIA PER RAGAZZI I bambini e la paura Saper gestire i piccoli o grandi traumi creati da un’informazione che tende a drammatizzare e a spaventare. L’importante è reagire, lo spiegano gli esperti FEBBRAIO 2015 • SHEVAT 5775 N 36 on si tratta di un gioco di parole ma, mai come in questo momento, è importante dire che la paura non deve spaventare: non sarà la prima né l’ultima volta che capiterà di avere paura ma l’importante è non farsi paralizzare, la paura ha fatto parte della vicenda umana fin dai suoi albori e la risposta agli interrogativi che suscita sono – e devono – essere oggetto di riflessione. Soprattutto in una rubrica dedicata a giovani e bambini. Per questo dopo ‘i fatti francesi’ di cui si parla nelle altre pagine del giornale abbiamo chiesto il parere di alcuni studiosi: un neuropsichiatra infantile e un sociologo. Cosa è la paura, e - se possibile - come gestirla. Saul Meghnagi, sociologo “La riflessione sulla paura può partire da riferimenti storici precisi, in un libro di qualche tempo fa Jean Delumeau, professore di storia delle mentalità religiose in Francia, - il libro è “La Paura in Occidente secoli XIX e XVIII, la città assediata, edito da SEI ndr spiega come nelle varie epoche non siano mai mancati elementi di paura. Nel Medio Evo per esempio era molto forte la paura del buio. A noi oggi fa sorridere ma se proviamo ad immaginare il buio di una città medioevale di notte forse riusciamo a capirla meglio. Sono state paure spesso misteriose, vi era la paura della peste, che era una paura reale, o la paura delle donne come emblema della diversità, da cui sono nati poi i roghi delle streghe. In alcuni casi la paura era legata a dati veri e possibili di pericolo - per esempio la peste - ma nel caso delle donne la paura si costruiva nei confronti del potere del ‘diverso’. Oggi la situazione è ovviamente cambiata e il diverso può essere il musulmano o lo straniero ma non si può attribuire a tutti quelli che sono portatori di una cultura l’essere portatori di pericolo. Nel caso degli attentati o delle minacce verso gli ebrei in relazione a dei musulmani il pericolo c’è ma non è ascrivibile a tutta la comunità musulmana. Quindi la percezione di paura si rivolge ad un evento possibile ma non certo. Per ragionarci sopra è utile recuperare alcune categorie di analisi usate rispetto al lavoro: si parlava fino a qualche anno fa della possibilità di rimanere disoccupati e si insisteva molto sulla situazione di rischio. Proprio rispetto alla povertà incombente si è introdotta la parola vulnerabilità: essa non guarda il rischio presente ma la paura che ci possa essere un pericolo. In questo senso credo che oggi, in una situazione di rischio che riguarda tutta la popolazione, gli ebrei siano un po’ più vulnerabili. E direi che questo è in linea, per quanto riguarda specificatamente i giovani, da quanto emerso nella ricerca “Cittadini del mondo, un po’ preoccupati. Una ricerca sui giovani ebrei italiani” - edita dalla Giuntina nel 2011. I ragazzi sono più internazionali e più mobili ma abbiamo rilevato che la preoccupazione è aumentata. Credo che quanto si sta verificando in Europa produrrà degli aspetti di mobilità ulteriore, forse verso Israele o verso gli Stati Uniti, non solo dalla Francia ma anche da altri paesi europei. E sembra sia proprio la percezione di essere più vulnerabili che motiva la necessità di muoversi verso luoghi con altre comunità ebraiche non tanto però per la ricerca di sicurezza fisica quanto come luogo di accoglienza. In questo la paura ha un suo ruolo anche se la ricerca rileva una contraddizione evidente: da un lato vi è la grandissima disponibilità dei giovani ebrei verso gli immigrati, la memoria dell’essere stati stranieri ‘in terra d’Egitto’ è molto forte, ma rispetto alla specificità dell’immigrazione islamica c’è una grande preoccupazione, e credo che questa crescerà. E’ importante anche tenere presente che molte famiglie di ebrei europei provengono da paesi arabi e conservano di questa fuga un ricordo effettivo. Anche quando la memoria famigliare riguarda cose belle si tratta comunque di un passato presentissimo. Credo però che eventi di riflessione pubblica e collettiva siano importanti, iniziative di dialogo interculturale nelle scuole per esempio credo che aiuterebbero molto anche in ragazzi ebrei presenti in quelle scuole. Stare insieme tra ‘diversi’ è difficile, esistono delle ragioni effettive di difficoltà che non si possono ignorare. Per quel che riguarda però lo specifico ebraico, non solo giovanile, credo ci sia la necessità di chiarezza assoluta circa il diritto di cittadinanza, conquistato con difficoltà dagli ebrei nei loro paesi, e Israele: ciò che gli ebrei devono chiedere è la loro sicurezza e la loro tutela nel paese di cui sono cittadini. Israele è un luogo di riferimento ma la priorità è difendere il loro diritto nei paesi dove vivono e di cui sono cittadini. Se poi gli ebrei vorranno andare in Israele ciò deve essere, auspicabilmente, il risultato di una scelta e non di una fuga. Gavriel Levi, neuropsichiatra infantile In una civiltà sempre più globale anche i singoli traumi hanno una ripercussione, un’onda globale. E i mezzi di comunicazione di massa, per l’appunto globali, trasmettono alle notizie un impatto forte ed immediato. Eppure, nel valutare l’urto dell’evento traumatico sul singolo, è necessario sapere come e in che modo agisce, rispetto al fatto traumatizzante, l’aggancio personale. Ad esempio: un terremoto in California non è diverso dal terremoto all’Aquila eppure, nel secondo caso, è probabile che per un bambino italiano la prossimità geografica agisca come aggancio ciascun bambino sviluppa fin dai suoi primissimi anni di vita. ‘Perché dai a lui due caramelle e a me ne dai solo una?’ È una frase familiare a ciascun genitore o educatore su cui si può costruire molto. Ed è in funzione di questo vissuto personale che è fondamentale tenere presente che qualunque trauma viene vissuto tanto in relazione alla propria storia individuale quanto a quella famigliare entro cui viene letta. In generale rispetto ai traumi – che ci sono sempre e non si possono misurare (per molti anche il cambio di casa può essere come una morte traumatica e dolorosa del proprio ambiente) - è fondamentale che non si creino atteggiamenti che vengono chiamati ‘nevrosi di indennizzo’: interiorizzare che si ha sempre diritto ad essere risarcito. Così, per gli ebrei, una cosa è pensare che vi sia stata nella storia una frequente componente antisemita, un’altra è interpretare la realtà soltanto attraverso lo specchio dell’eterno antisemitismo. Quanto al ruolo dell’educazione io credo che niente porterà a superare un trauma passato se non occuparti e accudire te stesso e gli altri. Non si tratta di un generico buonismo moralistico, si tratta di educare a fare e non a comparire poiché è nella dimensione del fare, senza scivolare nel ‘fare per raccontare’, che qualunque cosa si può affrontare. Magari con fatica e dolore ma diviene affrontabile. In questo il contributo ebraico è fondamentale: i modi di leggere la Torah sono tanti ma è importante sottolineare che non c’è scritto da nessuna parte che siamo i migliori, anzi. Di ciascuno dei personaggi della Torah sono riportati i limiti e le ambivalenze. La differenza è in questo, c’è scritto che ognuno di noi fa delle cose sbagliate e che solo da questo si può partire. Ed è con questa consapevolezza che l’educazione a fare il bene per sé e per gli altri diviene centrale. Anche per elaborare un trauma. A CURA DI LIA TAGLIACOZZO Due vendette Meir Shalev Bompiani, p. 403 € 19 “E’ così. La storia degli ebrei in Terra d’Israele e del Sionismo, non è fatta di comitati e dispute ideologiche… Si tratta prima di tutto di amori e odi e nascite e morti e vendette, e famiglie…”. E la famiglia Taburi non ha fatto eccezione. La sua storia in Terra Promessa inizia con un carretto carico di passato, giunto dai Monti della Galilea, pieno di speranze alla ricerca di un suolo in cui mettere radici. A distanza di settantanni dal tragico evento che segnerà per sempre la vita di Zeev, Rut e della loro discendenza, la nipote Ruta ne ripercorre le vicende umane, i sentimenti d’amore ma anche di odio e di gelosia. Ma soprattutto riemergerà dalla memoria familiare una sanguinosa catena di eventi, “vendette” appunto, iniziati una piovosa e buia notte del 1930, rimasti a scandire la storia dei Taburi. Un racconto aspro quello di Meir Shalev, narrato attraverso un continuo salto temporale tra passato e presente, ironia e amarezze, rassegnazione e spirito indomito. Potente fino all’ultima riga. Charlotte David Foenkinos Mondadori, p.204 € 16 Il romanzo è ispirato alla vita drammatica di Charlotte Salomon, pittrice scomparsa ad Auschwitz nel 1943 a soli 26 anni, incinta. Foenkinos narra non solo la triste infanzia di Charlotte a Berlino, colpita da tragedie e lutti familiari ma anche gli incontri con i grandi artisti dell’epoca. La grande passione per la pittura permette alla ragazza di essere ammessa, unica studentessa ebrea, all’Accademia delle Belle Arti. L’amore per Alfred, che riconosce le sue notevoli capacità artistiche e la incoraggia a coltivare il suo interesse verso la pittura. Poi, con l’avvento del nazismo, la pittrice è costretta a rifugiarsi in Francia: qui, sentendosi in pericolo, consegna la cartella con tutti i disegni, “la sua vita”, al suo medico. L’autore racconta la storia di Charlotte in versi liberi: una frase per riga, in un ritmo nervoso e incalzante, da leggere tutto d’un fiato. Travolgente. La strada per Itaca Ben Pastor Sellerio editore Palermo, p 512 € 15 “Se Martin Bora avesse saputo che entro mille giorni avrebbe perso tutto ciò che aveva (ed era), quella domenica non si sarebbe comportato in modo apprezzabilmente diverso.” E così il lettore sa già per mano di chi si farà guidare in questo thriller d’atmosfera, tra spie e criminali, sullo sfondo di un’Europa incendiata dall’ideologia nazista. Quinto romanzo dedicato all’inquieto Martin Bora, in questo capitolo della serie l’investigatore della Wehrmacht si trova a Mosca, nella fase di alleanza Hitler-Stalin. Proprio a seguito di un ordine russo il capitano viene mandato in missione a Creta, inizialmente per motivi del tutto futili, salvo poi ritrovarsi davanti ad un vero e proprio massacro di civili a cui trovare soluzione. Nessuna ipotesi può essere trascurata: spionaggio, vendetta tra papaveri di regime, movente passionale. Ancora una volta il detective-ufficiale creato da Ben Pastor non tradisce le aspettative e senza mai abbandonare l’intima repulsione verso l’ideologia nazista, onorerà l’imprescindibile impegno umano di giungere alla verità, qualunque essa si riveli. Un noir storico da non perdere. A cura di JACQUELINE SERMONETA FEBBRAIO 2015 • SHEVAT 5775 personale. Oppure, al contrario, che ci sia in California una persona che conosciamo e a cui vogliamo bene. La notizia quindi non è mai neutrale poiché ad essa si sommano i riferimenti personali dei singoli. Ma, terremoto a parte, nel caso dei bambini agiscono anche altri elementi: in particolare se sono proprio i bambini ad essere protagonisti, se, per esempio, si parla di bimbi uccisi. Vi sono infatti notizie che consentono identificazioni ancora più forti: viviamo in una fase in cui i bambini sono spesso oggetto delle cronache, si parla di bambini rubati, di pedofilia. Nella confusione gli elementi si sommano ed impediscono, per chi è esposto alla notizia, di focalizzare il nucleo traumatico, inoltre in un flusso continuo di notizie c’è un effetto anestetizzante. Nel caso dei bambini l’effetto dell’esposizione ad un trauma dipende anche dalla propria storia individuale, dall’esperienza che si è vissuta di dolore, paura, ansia, pregiudizi e dall’impatto con il senso di giustizia che 37 ROMA EBRAICA Bilancio preventivo 2015 N La relazione dell’Assessore Tony Spizzichino ell’anno 2015 la CER dovrà pagare costi ordinari per circa 11,6 milioni di euro, cui vanno sommati € 200mila stimati per il rimborso della quota capitale del mutuo ipotecario originario pari a €3,5 milioni, (debito residuo attuale circa 2,4 milioni), ovvero costi di natura finanziaria; significa dover preventivare entrate, ovvero trovare risorse, di pari importo. Le entrate a bilancio sono state divise secondo questo elenco: Proventi istituzionali; Ricavi immobiliari; Proventi mobiliari; Proventi culto; Proventi attività sociali; Proventi attività culturali; Proventi scuola; Proventi editoria-libreria-biblioteca; Proventi museo; Proventi casherut; Proventi vari, cui si contrappone l’esposizione dei costi direttamente riconducibili a ciascun settore, visto come Cdc/Cdr (centro di costo/ ricavo), e di cui, nel prospetto di bilancio, si riporta l’avanzo/disavanzo atteso. “Rispetto allo scorso anno – ha spiegato l’Assessore Spizzichino abbiamo attese di minori entrate per almeno € 400mila (fondamentalmente per minori incassi di rette scolastiche e di contributi da iscritti) ed è quindi necessario predisporre un mix di maggiori risorse da incassare/minori oneri da sostenere per ritrovare il pareggio”. Osserva Spizzichino: “Il bilancio CER è strutturalmente in deficit, sconta una difficoltà a ridurre i costi, giacché circa il 70% del totale delle uscite è rappresentato da voci stipendiali. Esso si fonda, tra l'altro, su alcune voci di entrata 'precarie', cioè non stabili (alcune cicliche, ovvero legate alla congiuntura) e su costi certi e difficilmente riducibili (oltre al costo del lavoro, le imposte e tasse)". Per giungere ad un equilibrio finanziario la Comunità ha quindi due opzioni, non necessariamente alternative: “tagli lineari e/o ristrutturazione dei dipartimenti, cioè razionalizzazione/miglioramento della quantità/qualità dei servizi erogati". Per poter raggiungere tali risultati, occorre che l'attività dell'Ente sia trasparente e coerente con le decisioni intraprese. “Un obiettivo nei prossimi bilanci - ha spiegato Spizzichino - dovrà essere quello di predisporre, oltre ai prospetti previsti dalla normativa privatistica, una relazione di missione ove indicare, per fini informativi e comunicativi, i livelli di efficacia ed efficienza raggiunti e raggiungi- bili Se in questi anni avessimo proceduto così, sicuramente risalterebbero molte cose fatte, e spesso con poche risorse, o almeno si comprenderebbe meglio come ogni assessorato ha gestito le risorse a propria disposizione, e quali e quante attività ha svolto". Il patrimonio immobiliare. Nel corso degli anni, la CER ha provveduto, compatibilmente con le proprie risorse, a mantenere funzionale il proprio patrimonio immobiliare, sia quello messo “a reddito” che utilizzato direttamente. “Si prevede di spendere per manutenzioni quanto circa nell’anno precedente e gli stanziamenti preventivati sono sufficienti a mantenere in stato decente il patrimonio immobiliare”. Le entrate relative alle locazioni immobiliari sono sostanzialmente in linea con quelle preventivate. La gestione delle scuole. Il numero di iscrizioni attese è in diminuzione e conseguentemente sono state previste minori entrate, rispetto allo scorso anno, per circa €300 mila. Attualmente (anno in corso) gli alunni iscritti sono 809; sembra plausibile una riduzione del numero che nel prossimo anno 2015/16 potrebbe essere pari a 776 (con un potenziale ulteriore diminuzione del 10%). Nel biennio 2009/2010 si era registrata una media di circa 1000 iscritti. Il trend al ribasso è dovuto principalmente al calo anagrafico ed alle recenti e rilevanti alyiot ma, forse, anche alla difficoltà di alcuni nuclei familiari a pagare le rette. Da un punto di vista economico, con un deficit complessivo di circa €2 M/anno (e nonostante i notevoli correttivi previsti in questo bilancio già da anni si è intrapreso un serio ed incisivo processo di revisione dei costi), le scuole rappresentano il maggior onere che la CER deve sopportare. Tuttavia, rappresentando la principale garanzia che la Comunità continui a rimanere viva negli anni a venire, tali uscite vanno considerate piuttosto un investimento. L'importo medio delle rette scolastiche è stato aggiornato solo una tantum, anche per allinearlo alla dinamica dei costi del personale. Nel loro complesso, e al netto delle borse di studio (il budget delle borse di studio si attesta a circa 120mila €, e potrebbe aumentare solo se fosse previsto il contributo per borse di studio dall’Ucei che lo scorso anno è La Relazione del Collegio Sindacale FEBBRAIO 2015 • SHEVAT 5775 C 38 ome qualsiasi altro bilancio preventivo, anche quello della CER non contiene dati storici, ma stime future di possibili ricavi e di relativi impegni di spesa, rispetto ai quali il Collegio Sindacale non può esprimere giudizi sul raggiungimento dei risultati illustrati. Ciò che il Collegio Sindacale è chiamato a verificare è la sostenibilità delle previsioni elaborate dal preventivo; che esse non siano irragionevoli; siano presentate correttamente e siano coerenti con l’informativa finanziaria storica; e che il Bilancio Preventivo sia stato redatto conformemente alle norme dello Statuto ed ai principi generali contenuti nelle “Linee Guida per la gestione dei bilanci delle Comunità Ebraiche Italiane”. In sostanza il Collegio Sindacale deve in sostanza verificare la sussistenza di un principio di ‘prudenza’, trattando si appunto di un bilancio preventivo. Sulla base di tali indicazioni il Collegio Sindacale (composto da Piero Milano, Piero Alberto Busnach e Stefano An- ticoli) ha espresso alcune osservazioni. “La quantificazione della previsione del contributo otto per mille, pari a € 1.116.854, risulta di importo maggiore rispetto a quanto riportato nel bilancio di previsione 2015 dell’Ente erogatore Ucei (€ 1.023.658). In relazione a questa voce, pertanto, evidenziamo che per € 93.196 non c’è legittimazione giuridica e, conseguentemente, è assente il presupposto della relativa previsione economica”. Il Bilancio Preventivo “non fornisce indicazioni utili a dimostrare anche l’equilibrio finanziario nella gestione dell’Ente”; “… il bilancio non lascia intravedere l’esistenza di un piano d’intervento per un possibile rientro dell’esposizione finanziaria”. Non è indicata “una strategia per recuperare il disavanzo degli esercizi precedenti che al 31/12/2013 ammontava ad € 2.941.157, né tantomeno un ripensamento nell’organizzazione, vastità ed onerosità dei servizi offerti che possa far prefigurare nel prossimo futuro un ripiana- mento dell’attuale deficit finanziario ed economico”. Il Collegio considera “assolutamente improcrastinabile un attento riesame dei centri di costo dell’Ente anche in considerazione del modestissimo accantonamento, in questo Preventivo, per spese di manutenzione e altro”, tanto più – osservano i revisori – “un possibile mancato rispetto del Preventivo, per fatti imprevisti e imprevedibili, ha generato in passato perdite economiche e finanziarie”. Il Collegio Sindacale osserva, inoltre, di non aver avuto “la previsione relativa al contributo obbligatorio degli iscritti con la c.d. matricola dell’anno 2015, in quanto quest’ultima non risulta ancora predisposta ed approvata”; e segnala che nella stima dei costi manca la voce “stanziamenti per fondo di riserva e stanziamenti per eventuali spese straordinarie e legali. Il Collegio ha evidenziato infine che il Bilancio Preventivo 2015 è stato approvato oltre il termine statutario del 31 ottobre 2014 e che non sono disponibili i dati di raffronto con un preconsuntivo al 31 dicembre 2014. coloro che avrebbero voluto il giornale solo sul web. A Shalom è stato chiesto un ulteriore piano di riduzione dei costi, riducendo il disavanzo pari a circa 115.000 euro. Museo e Libreria Il Museo oltre a rappresentare un ottimo “biglietto da visita” della Cer è ormai da qualche anno anche un interessante centro di profitto. Anche quest’anno per il Museo sono attese entrate per circa 815mila€, a fronte di spese dirette di circa 652mila€. La libreria, che accoglie ad oggi nei suoi locali anche il centro di cultura, e per cui stimiamo circa 230mila€ di uscite, le entrate preventivate, considerando una lieve diminuzione degli incassi consuntivati nel corso del 2014, sono state ribassate dell’8% rispetto al preventivo 2014 e vengono indicate in 165mila€. Nel 2015 è stato previsto lo spostamento del centro di cultura ed è stata data disdetta dell’attuale contratto di locazione della libreria; tuttavia, a bilancio, sono state stanziate le risorse necessarie alla ordinaria gestione della libreria in altra sede. Giovani e sport Non sono state previste riduzioni di contribuzione ai centri giovanili mentre si è ridotto lo stanziamento a favore del MACCABI. Situazione finanziaria La Cer ha un affidamento bancario di 3,5 milioni di euro, cui si applica un tasso decisamente più basso di quello di mercato. “Se considerassimo i flussi solo per competenza – ha spiegato Spizzichino - la gestione Cer causerebbe, cumulativamente nell’anno, deficit per almeno 4-4,5M€. Tale divario entrate/uscite si è andato ampliando negli ultimi anni in quanto la quasi totalità delle uscite ha un andamento lineare e regolare, ma lo stesso non può dirsi delle entrate. Per fortuna l’andamento dei “cd residui", ovvero l'incasso ed il pagamento dei crediti/debiti pregressi, è inverso e, in tal modo, si riesce parzialmente a compensare il gap finanziario causato nell'anno di riferimento". “Alcune entrate, poi, non vengono riscosse puntualmente, lasciando che molti crediti si accumulino… l’equilibrio finanziario si regge su una linea molto labile e su andamenti di entrate non regolari nei vari mesi.” Conclusioni Appare evidente come poter predisporre bilanci in equilibrio economico-finanziario diventi sempre più complesso. In una situazione di crisi straordinaria, lunga e profonda, quale quella di questi ultimi 7 anni, dovremmo rivedere ed approfondire, al livello comunitario nazionale, qual è il compromesso tra puntuale rispetto delle norme e del sistema di controlli, e la possibilità di disattenderli, temporaneamente, giustificandolo se a beneficio della vitalità delle comunità. Ove vi fossero determinate garanzie patrimoniali e fosse verificabile l'esistenza di un trend positivo degli indicatori di "buona salute" delle Comunità (che sarebbe bene capire quali sono, oltre quelli normalmente utilizzati ed indicati dalla buona tecnica e dottrina aziendalistica), andrebbe data la possibilità di derogare a certi impegni, se questo significa investire nel nostro futuro. In conclusione l’Assessore Spizzichino lancia un avvertimento: “Non ci si può illudere che la Comunità di Roma possa mantenere lo stesso livello/quantità di servizi (e quindi debba spesare così tanti costi), e un certo standard qualitativo, sicuramente migliorabile, senza considerare seriamente quanto stia cambiando la struttura e la consistenza delle proprie entrate; conseguentemente, non si può più rimandare una seria revisione della propria organizzazione tutta". Tanto a mi ‘un me tocca Il divertimento in giudaico-romanesco con il pubblico protagonista il prossimo 3 marzo Il giudaico-romanesco in un talk show, con spettacolo teatrale e dibattito con il pubblico, sul tema della comunicazione. Il primo evento al Teatro Italia (via Bari, 18) il 3 marzo alle 21.00 Per prontazione ed acquisto biglietti (proventi devoluti alla Deputazione): 06.68400636 - 06.5803657 - 06.6877594 - 06.5584325 338.1910525 - 389.6954012 FEBBRAIO 2015 • SHEVAT 5775 stato pari a 100mila € per tutte le scuole italiane),le rette coprono ancora, ed appena, un terzo dei costi. Per il prossimo anno, non è stato previsto alcun incremento delle rette. E’ attesa un’importante sovvenzione dalla Fondazione Lauder per 100mila€ che potrebbe anche divenire continuativa e che, nel caso erogata, farà aumentare il budget delle borse di studio di pari importo. Tributi/contributo volontario. La pesante situazione economica del paese incide anche sugli iscritti CER. Non è sostenibile un incremento, seppur minimo, dell'importo della c.d. "matricola", nonostante che l’accertato medio per iscritto oggi è ai livelli di molti anni fa e la contribuzione media, per nucleo familiare, è molto bassa. “Più in generale - sottolinea Spizzichino - va deciso se ‘spostare’ la contribuzione degli iscritti sui prezzi dei servizi piuttosto che lasciarla su un qualcosa che somiglia ad una imposta”. Gettito dell’otto x mille L’andamento delle entrate in Cer, da quando si beneficia di questo gettito, ha avuto un picco di oltre 1,2 M€ per poi scendere a 0,8 M€. L’entrata in questione sembra ora assestarsi sul milione/€ da almeno 2 anni. Culto e casherut I costi dell’Ufficio Rabbinico e dei servizi rituali sono in diminuzione (40mila€ circa, per voci stipendiali) rispetto al preventivo dello scorso anno (si prevede, comunque, un disavanzo complessivo di circa 750mila€). La contribuzione ai Batei Hakeneseth (140mila€ circa), che si reggono soprattutto con risorse proprie, è stata mantenuta, sebbene rimangano disparità di trattamento tra i vari templi. Quanto alla casherut, si rileva il costante aumento della domanda di prodotti casher, che ha comportato un rilevante potenziamento delle risorse impiegate in questo settore. Shalom Lo scorso anno il Consiglio della Cer aveva deliberato un aumento, su base volontaria, della tassazione di appena 5 euro all’anno, per ricevere Shalom a casa. Tale minimo aggravio avrebbe consentito di incassare almeno 30.000 euro, e avrebbe consentito di risparmiare le copie per 39 ROMA EBRAICA Insegnare l’uso responsabile di Internet È importante conoscere i pericoli che i giovani possono incontrare sulla Rete e nei Social Network. Lo ha spiegato ai genitori degli alunni della scuola media ebraica il Commissario di Polizia Roberto Giuli L o scorso 19 gennaio presso la Scuola Media ebraica “Angelo Sacerdoti” si è tenuto un incontro – rivolto soprattutto ai genitori degli alunni – con il sostituto Commissario della polizia postale Roberto Giuli, incentrato sui pericoli della Rete e sull’uso corretto di internet da parte dei ragazzi. L’evento è stato organizzato dal responsabile della sicurezza Gianni Zarfati, dall’assessore alle Politiche Educative Ruth Dureghello, dal preside rav Prof. Benedetto Carucci e dal vice preside Alfi Tesciuba. Vista l’importanza dell’argomento trattato, sono stati chiamati a partecipare anche rappresentanti della Deputazione ebraica, del Centro ebraico il Pitigliani e degli Asili infantili. L’incontro si è aperto con la consegna di una targa al Commissario come ringraziamento per l’ottimo e costante operato della polizia per mano di Gianni Zarfati che ha sottolineato come fosse la prima volta che questo tipo di incontro fosse aperto anche ai genitori. Il preside Carucci ha poi evidenziato l’importanza della sicurezza informatica e di come i genitori abbiano un ruolo fondamentale nel prevenire situazioni pericolose. “Una vigile e provvida paura è la madre della sicurezza” (cit. Edmund Burke): così il Consigli per una navigazione sicura su internet e per un uso responsabile del computer o dello smartphone Commissario ha esordito, spiegando come sia condizione indispensabile che gli adulti debbano conoscere delle semplici tecniche per un uso sicuro e responsabile da parte dei figli dei Social Networks e della Rete in generale, al fine di renderli meno vulnerabili di fronte a circostanze pericolose. Giuli ha sottolineato come i genitori debbano soprattutto aprire un canale comunicativo con i ragazzi, che sono dei “nativi informatici”, proprio per evitare di ritrovarsi di fronte a “minacce” come tentativi di adescamento, furti d’identità, cyberbullismo e quant’altro. Durante l’incontro il Commissario ha evidenziato quale siano gli strumenti per preparare i genitori ad ogni situazione. Consigli e regole di condotta: i figli vanno “rallentati” in una società che si muove con estrema velocità, imponendogli delle regole non solo nella vita ma anche nell’utilizzo del computer: il rischio è che i ragazzi, che utilizzano la rete informatica, avvertano un senso di deresponsabilizzazione e di onnipotenza che è di per se stesso pericoloso. Ad arricchire l’incontro hanno contribuito le numerose domande dei genitori rivolte al Commissario, che ha fornito risposte molto esaustive e chiare, tanto che unanime è stata la richiesta di poter ripetere incontri di questo tipo. JACQUELINE SERMONETA • Non dare informazioni personali o dati finanziari. • Non rispondere a messaggi imbarazzanti. • Non condividere la password con altre persone, anche amici (cambiarla spesso, utilizzando caratteri alfanumerici per renderla più sicura). • Non compilare moduli di iscrizione o profili personali. • Non partecipare a concorsi online. • Non accettare amicizie o incontrare persone conosciute in chat. • Non scaricare programmi senza il permesso dei genitori, in quanto, senza volerlo, potrebbero scaricare virus informatici. • Non mandare messaggi volgari on line. • Non aprire i messaggi indesiderati (spam). • Non effettuare acquisti online senza la supervisione dei genitori. • Non salvare i dati di login. • Non lasciare il PC/Smarthphone incustodito. • Controllare che nessuno ti stia osservando quando digiti la password. • Bloccare lo schermo. • Utilizzare un antivirus aggiornato. Autismo, progetto pilota nelle scuole ebraiche italiane Intervenire in tempo per curare i disturbi dell’apprendimento FEBBRAIO 2015 • SHEVAT 5775 L 40 a battaglia contro l’autismo sbarca negli asili nido e nelle scuole materne italiane. A partire dal mese di gennaio negli istituti delle Comunità Ebraiche di Roma, Milano, Torino, Firenze e Trieste prenderà infatti il via il progetto di prevenzione primaria “La salute psicomotoria”, che prevede l’individuazione di eventuali ritardi nello sviluppo del bambino, che possono rappresentare un campanello d’allarme anche per l’autismo, attraverso l’osservazione dei piccoli in età pre-scolare mentre sono in un ambiente ludico. L’iniziativa sarà realizzata in collaborazione con AME (Associazione Medica Ebraica - Italia) e Sochnut Italia - Agenzia Ebraica per Israele. Il progetto, voluto e finanziato dall’UCEI (Unione delle Comunità Ebraiche Italiane) tramite i fondi dell’8 per mille, prevede un impegno biennale per il 2015 e 2016, ed è frutto della collaborazione pluriennale con l’Ospedale Hadassah di Gerusalemme, l’Università Ebraica di Gerusalemme e il Centro di diagnosi e riabilitazione pediatrica dell’Ospedale di Beer Sheva (Israele). Suddiviso in tre fasi, quella di formazione degli educatori scolastici, quella di osservazione dei bambini e quella dei laboratori ludico-motori, il progetto utilizza una serie di strumenti di misurazione dello sviluppo psicomotorio elaborati ad hoc da terapiste e psicologhe della clinica comasca ‘Villa Santa Maria’. “L’aumento impressionante dei disturbi dello sviluppo ha notevolmente innalzato il livello di allarme nei genitori – spiega Enzo Grossi, Direttore scientifico di Villa Santa Maria -. Questo programma consente di fare uno screening sistematico in ambiente scolastico, cogliendo piccoli segnali di allarme che preludono a patologie dello sviluppo infantile nella condotta globale, nella gestualità, nei caratteri della motricità, nella comunicazione nel gioco, nelle difficoltà e, soprattutto, nell’efficacia delle risposte a determinati stimoli”. Foto: A. Nacamulli La grande famiglia di Sami Modiano a storia di Sami Modiano e sua moglie Selma Dulman è ben nota, ma non tutti sanno che il 10 Gennaio 1958, il giorno del loro matrimonio erano soli e senza famiglia. Sami aveva perso suo padre e sua sorella Lucia nel campo di sterminio di Auschwitz, mentre Selma aveva lasciato la casa di suo padre per raggiungere Sami in Congo. Lo scorso anno dopo una visita alla loro casa di Ostia, Daniel e Josef Di Porto insieme alla Dott.ssa Elvira Di Cave hanno deciso di organizzare una cerimonia a sorpresa per Sami e Selma in occasione dei loro 57 anni di matrimonio. L’evento pubblicato su Facebook ha avuto subito un enorme successo: tutti volevano partecipare e dare il loro contributo per regalare agli sposi una festa che non avrebbero mai dimenticato; in particolare hanno collaborato: “Le Bon Ton” di Giovanni Terracina, la macelleria di Claudio Spizzichino e “Granelli di pane” che hanno offerto il catering per la festa nel cortile della scuola; Graziella Terracina e Stella Calò che hanno pensato agli addobbi, ai fiori e al bouquet di Selma; i fotografi Ariel Nacamulli e Stefano Meloni; ovviamente la CER e la direttrice della scuola Vittorio Polacco Milena Pavoncello, che si è impegnata per rendere i bambini protagonisti di questa festa. Tra i sorrisi dei bambini, le lacrime dei presenti e l’emozione dei loro “fratelli” sopravvissuti (erano presenti Lello Di Segni, Alberto Sed, Mario Mieli e Piero Terracina), Sami e Selma hanno avuto una meravigliosa cerimonia; la celebrazione del loro amore è stata la risposta ai recenti avvenimenti terroristici di Parigi: con la presenza dei bambini e un tempio gremito di gente abbiamo dimostrato ai nostri nemici la forza del popolo d’Israele. “È un momento difficile per il popolo ebraico” - ha spiegato nel breve discorso rav Di Segni - “nella nostra Europa osserviamo una nuova forma, ma non imprevista, di odio antiebraico. La nostra presenza numerosa è una risposta alla storia di questa coppia, ma anche una risposta giusta di stare insieme di fronte alla violenza antisemita”. “È pericoloso - ha proseguito il rav - parlare dell’attentato di Parigi come di un 11 Set- tembre, perché l’11 Settembre è stato un complotto sanguinoso organizzato per danneggiare gli USA. Quello che è successo in Francia è il seguito di questi avvenimenti, ma quando vanno a uccidere i bambini nelle scuole ebraiche non viene considerato 11 Settembre. Perché per gli ebrei ammazzati nessuno esprime solidarietà? Questa cerimonia - ha concluso rav Di Segni - è una testimonianza, una prova della nostra volontà di andare avanti e ciò che succede contro di noi non ci indebolisce ma anzi ci rafforza. La nostra risposta al male che ci fanno non è la disperazione, ma la forza di andare avanti”. “Ad Auschwitz ho perso tutta la mia famiglia deportata da Rodi - le poche commosse parole che Modiano ha rivolto a tutti, in un ideale abbraccio - ma a Roma ho trovato una grande famiglia”. Il giorno della cerimonia all’interno del tempio è stato messo un bussolotto gigante in cui ciascuno ha potuto fare la propria offerta. Con il ricavato verrà creato tramite il KKL un progetto a nome di Sami e Selma a favore dei bambini in Israele. GIORGIA CALÒ Più chiamate a Sefer per tutti tutti”, ha ottenuto quasi trecento likes sulla sua homepage e quasi seicento commenti, il tutto in soli dieci giorni. Un successo straordinario, quindi, sottolineato soprattutto dalla grande partecipazione alla richiesta di indicare i possibili assessori sulla base di soprannomi veramente esistenti. E cosi sono saltati fuori ruoli azzeccatissimi come “mezzo milione” assessore alle entrate, “Biastimella” assessore al culto, “Sputacchio” alle politiche educative, “Pannolino” alla terza età, “Kissinger” assessore alle relazioni internazionali, “Bistecca” e “Simmenthal” in lotta per il posto di assessore alla Kasherut, “Scienza negra” alla cultura, “Topolino” alle attività ricreative, “Bavelle” ai grandi eventi, “Staccabraccia” assessore alla difesa e tantissimi altri ancora. L’idea nasce proprio come uno scherzo, inutile dire che l’autore stesso non si sarebbe mai aspettato tanto successo, ma soprattutto che molti iscritti alla comunità gli consigliassero di candidarsi per davvero. «Avevo già postato qualcosa di simile su Facebook a luglio, un progetto per un centro commerciale tutto “gnevrimme”, con dentro un’agenzia per le scommesse chiamata “Bado Snai”, un negozio di ottica “Bonocchio Cevenga”, una Banca-Vonodde e anche una bottega per le taglie forti chiamata “Ghibboro”», spiega Attilio. Non una novità per lui, quindi, creare uno spazio per sdrammatizzare le realtà della nostra comunità attraverso il Social Network più famoso e più utilizzato del mondo. Niente più che un po’ di Ironia, in un Giudaico Romanesco modernizzato che, ricordandoci le nostre origini, riesce a regalarci qualche minuto di risate in un periodo così importante per la nostra comunità. REBECCA MIELI L’esilarante proposta di Attilio Bondì per il prossimo Consiglio della Comunità: scegliere i candidati in base ai soprannomi C he ci sia fermento all’interno della Comunità in vista delle prossime elezioni, non è più un segreto ormai. Man mano che ci si avvicina al momento del voto i toni si alzano sempre di più ed emergono chiaramente simpatie, antipatie, contrasti e conflitti, come in ogni comunità che abbia la responsabilità di scegliere i propri rappresentanti. Non per questo non è concesso fare un po’ di ironia sulle elezioni, specialmente sulla scelta dei candidati, proprio come ha fatto Attilio Bondì con una “scherzosa” candidatura postata su Facebook. Il post, accentuato dallo slogan “Più chiamate a Sefer per FEBBRAIO 2015 • SHEVAT 5775 L In migliaia sono accorsi nel Tempio Maggiore per un festeggiamento a sorpresa in onore di Sami, sopravvissuto ad Auschwitz, e della moglie Selma Dulman 41 ROMA EBRAICA Gli ebrei romani e l’uso degli stemmi Nel Museo Ebraico una ricca collezione V isitando il Museo Ebraico di Roma si ha la possibilità di ammirare importanti testimonianze della storia della comunità ebraica romana e di venire a conoscenza di aspetti interessanti e meno noti che hanno caratterizzato la vita quotidiana degli ebrei romani nel corso di numerosi secoli. Fra queste testimonianze rientra certamente l’uso di stemmi. Questi sono visibili su numerosi oggetti, sono spesso estremamente differenti l’uno dall’altro e consentono di avere maggiori informazioni non solo sui preziosi oggetti esposti al Museo ma spesso anche sulle famiglie ebraiche che li hanno generosamente donati. Come si ricorda in Arte ebraica a Roma e nel Lazio, ‘si conoscono stemmi di ebrei romani fin dal XIII secolo: in un Machazor della Biblioteca Casanatense di Roma è miniato quello di David ben Ruben ha-Rofè (‘David figlio di Ruben il medico’: o forse Del Medigo)’. In passato si riteneva che l’uso di stemmi fosse stato importato dagli ebrei spagnoli che alla fine del Quattrocento giunsero numerosi a Roma dopo essere stati cacciati dalla Regina Isabella di Castiglia. In realtà si conoscono stemmi dell’ebraismo romano più antichi. Sembrano essere stati creati già a partire dal Medioevo, in parte per emulare la nobiltà romana e come simbolo di tentata emancipazione e in parte per distinguere la proprietà privata o famigliare degli oggetti. Anche nel lungo periodo della reclusione nel ghetto nacquero nuovi stemmi. Questi erano legati soprattutto al cognome della famiglia ebraica. Non era raro che famiglie con lo stesso cognome (provenienti probabilmente dalla stessa località) per differenziarsi da altre famiglie omonime, utilizzassero stemmi diversi. Alle figure araldiche usate dalle famiglie si aggiungono anche quelle forse più note delle diverse Scole. Gli stemmi sono presenti su numerosi oggetti esposti al Museo: Ketubot, Mappot, corone, rimmonim e molti altri. Sul prezioso bacile in argento donato dai fratelli Shelomò, Mordekhai e Avraham Ashkenazi alla Scola Catalana si può notare al centro lo stemma della Scola Catalana con un leone in movimento rivolto verso destra davanti ad una Menorah. Sull’addobbamento Alatri donato alla Scola Nova compaiono sui rimmonim i leoni rampanti su una colonna, stemma della famiglia realizzato dall’argentiere Francesco Teoli. ASSOCIAZIONE Piccoli alunni, grandi lettori AMICI MUSEO EBRAICO DI ROMA Su iniziativa delle morot Deborah Levi ed Elena Perugia, incontro tra la scrittrice Lia Levi e i bambini delle elementari D.A.N.I.E.L.A DI CASTRO L’“Associazione Daniela Di Castro Amici del Museo Ebraico di Roma” FEBBRAIO 2015 • SHEVAT 5775 è nata per aiutare il Museo Ebraico 42 di Roma nella tutela, conservazione, promozione, diffusione e sviluppo della ricchezza del suo patrimonio. PER INFORMAZIONI E PER ISCRIZIONI: www.associazionedanieladicastro.org [email protected] Tel. 334 8265285 L o scorso gennaio, nell’ambito dei programmi scolastici che vogliono educare i piccoli studenti delle elementari a conoscere e ad apprezzare il mondo della lettura, le Morot Deborah Levi ed Elena Perugia hanno organizzato un incontro tra i loro alunni e la scrittrice - e storica direttrice di ‘Shalom’ - Lia Levi. Lia Levi si è specializzata nell'editoria per ragazzi ed in questa veste ha parlato del suo ultimi libro - edito nella collana Il Battello a Vapore - “Io ci sarò”. E’ la storia di Riccardo e Lisetta, orfani, che vivono con gli zii in due città diverse. Ma Riccardo ha fatto una promessa alla sorellina: “Se un giorno avrai bisogno di me, io ci sarò”. E in quali pericoli maggiori ci si può imbattere nella vita se non quello di essere La torre circondata da leoni rampanti, simbolo della Sinagoga Castigliana, compare invece su dei rimmonim donati nel primo ventennio del Settecento dalla famiglia Efrati, mentre si può identificare lo stemma dorato della famiglia Corcos (con due leoni controrampanti che sostengono un monte di tre cime da cui si dipartono delle spighe di grano) all’apice dei rimmonim donati dalla famiglia stessa Scola Castigliana. Lo stemma della famiglia Mieli è rappresentato da tre api che volano in direzione di un contenitore di miele come si può vedere da uno splendido makhazor donato dalla famiglia nell’Ottocento. Molti degli stemmi rimandano dunque al cognome della famiglia: Di Cori (un cuore), Cammeo (con un cammello), Castelnuovo (una torre merlata), Del Monte (con un leone rampante su un monte con tre cime), Di Porto (un’imbarcazione con due vele rappresentata davanti ad un porto fortificato), Fiorentini (il braccio destro di una figura che tiene in mano tre gigli), Pontecorvo (con un corvo rappresentato sopra un monte di tre cime appoggiato sopra un ponte sotto al quale scorre un fiume). Ricorrono spesso le stesse figure come ad esempio il leone che simboleggia la forza e la tribù di Giuda oltre che il Regno di Leon da cui venivano molti ebrei spagnoli (Arte ebraica a Roma e nel Lazio) le spighe di grano che simboleggiano la prosperità e le opere buone o l’albero che invece rimanda all’Albero della vita. Un visitatore curioso della storia delle famiglie ebraiche romane potrà cercare questi simboli fra i numerosi oggetti esposti al Museo Ebraico: sono una preziosa testimonianza di una storia meno nota della nostra comunità. SARAH TAGLIACOZZO dei bambini ebrei nel bel mezzo delle persecuzioni razziali e della guerra? Riccardo, deciso ad andare da Ferrara a Roma per raggiungere la sorella, incontrerà mille agguati, vedrà di fronte a sé i malvagi, gli indifferenti e anche i buoni, finché non saranno i partigiani ad aiutarlo a mantenere la sua promessa. Lisetta e gli zii verranno salvati all’ultimo minuto, con uno spettacolare colpo di mano, quando già stanno per essere deportati. E Riccardo sarà in prima fila tra i salvatori. Tante le domande dei piccoli lettori che si sono stretti attorno a Lia Levi, desiderosi di avere una copia del libro firmata dall’autore. Con una cerimonia al tempio Maggiore, ha ricevuto il riconoscimento di Chacham Foto: M. Piazza Sed N ello scenario dell'ebraismo italiano, che ha recentemente visto l'insediamento di tre nuovi capi rabbini in tre piccole comunità, si è aggiunta, il 12 gennaio presso il Tempio Maggiore, la cerimonia per il conseguimento della laurea rabbinica di Roberto Di Veroli, già avente il titolo di maskil, sofer e shochet. L’evento ha visto la partecipazione di tutti i rabbanim della Comunità, del presidente CER Riccardo Pacifici e dei bambini delle Scuole Ebraiche, oltre che quella dei parenti e delle persone care al nuovo Rav. Il Rabbino Capo Riccardo Di Segni è intervenuto pronunciando un discorso su come lo studio della Toràh e l'adempimento alle mizvòt permetta ad ogni ebreo di innalzarsi spiritualmente e ha colto l'occasione per augurare a Rav Di Veroli di poter trasmettere alla Comunità ciò che lui ha imparato e continuerà ad imparare e che da ora in poi possa continuare il suo percorso in salita iniziando da questo "primo gradino" rappresentato dalla sua Semichà. La cerimonia è proseguita con la Berachà dello stesso Rabbino Capo a Rav Di Veroli, che ha poi dedicato il suo Dvar Torah alla memoria delle vittime ebree morte durante l’attentato all’Hyper chacher di Parigi per mano di terroristi islamici. Nel suo intervento, riprendendo il libro di Shemot, ha ripreso un commento del Rebbe di Lubavitch riguardo al compito svolto dagli ebrei ai tempi della schiavitù in Il mondo delle Tefillot I Insegnare ai bambini a pregare: una garanzia di sopravvivenza per il popolo ebraico l 18 gennaio scorso, presso gli Asili Israelitici Rav Elio Toaff, ha avuto luogo la presentazione del libro “Il mondo delle Tefillot”, creato dai bambini con le Morot, con l’intervento di Rav Roberto Della Rocca, Rav Roberto Colombo e Simona Nacamulli del Consiglio UCEI. A prendere la parola è stata la direttrice Judith Di Porto: “il nostro più grande desiderio e lavorare insieme, scuola e famiglia”. Ha spiegato che bisogna cominciare da subito ad insegnare ai bambini le cose basilari della cultura e della lingua ebraica poiché rappresentano un bagaglio possente. “La difficoltà – ha ammesso – sta nel farla diventare un’attività costante, nonostante sia molto astratta e i bambini, invece, sono molto concreti. Bisogna far entrare dentro di loro l’idea di D-o”. Questo libro è uno strumento dove ci sono i punti essenziali delle Tefillot con le spiegazioni. Molto emozionato Rav Della Rocca che ha ricordato che proprio all’interno di questo asilo ha iniziato a recitare le Tefillot. “Il siddur - ha spiegato - ci accompagna per tutta la vita e lo porteremo nella nostra memoria intima. La tefillà Egitto: la costruzione dei mattoni. Nel commento viene spiegato come, una volta reso libero dalla schiavitù egiziana, il popolo ebraico è automaticamente diventato "schiavo" di HaKadosh BarucHu e ha iniziato a "costruire i mattoni" per Lui. Se in Egitto gli ebrei erano obbligati a costruire i mattoni in maniera concreta, una volta resi liberi, hanno continuato a costruire mattoni: in generale, costruire mattoni significa partire da un materiale semplice come la paglia e migliorarlo con l'aggiunta di altri materiali. Oggi i mattoni che costruiamo rappresentano la società in cui viviamo: ognuno di noi all'inizio della propria vita è come paglia, ma studiando Torah e praticando mizvòt, quindi unendo delle cose che ci rendono migliori e che potenziano la nostra spiritualità, possiamo diventare noi i mattoni che contribuiscono al perfezionamento e alla crescita della società, ma non solo: possiamo aiutare a diventare mattoni anche i nostri fratelli aiutandoli nello studio e nella pratica della Torah. Dopo il discorso, Rav Roberto Di Veroli ha ringraziato i familiari e i membri del Collegio Rabbinico per averlo sia accompagnato nel percorso che lo ha portato al raggiungimento di questo traguardo che per la fiducia a lui affidata aiutandolo così, da "semplice paglia" a diventare un "mattone". YAEL DI CONSIGLIO ci insegna il senso di riconoscenza, proprio perché uno dei nostri problemi è quello di dare tutto per scontato e non ringraziare chi ci aiuta. Non tutti sanno che la riconoscenza è alla base di tutte le mitzvot” . Rav Colombo ha spiegato perché per aprire la Tefillà al Tempio usiamo una benedizione che usa la parola “Sekvì” (Gallo in ebraico antico). Una parola così antica e complicata che ormai non conosce nessuno. Con il libro “Il mondo delle Tefillot” in mano, ci spiega che “il significato antico di gallo vuol dire “cuore” e i chachamim volevano concentrarsi sul cuore delle persone. Il cuore ha un’unione significativa con la parola gallo. Il cuore, infatti, gestisce il futuro della nostra esistenza, proprio come il gallo che ha il sentore di ciò che accadrà nel futuro. Bisogna, quindi, rapportarsi con sentimento alla Tefillah e avere il “culto del cuore”. Questo libro darà un forte sentimento ebraico a figli e genitori”. Il libro è stato realizzato grazie al sussidio dell’UCEI tramite l’8x1000. Simona Nacamulli, consigliera UCEI, ha spiegato che “ogni progetto è un’emozione e quando si arriva alla fine non deve essere una “chiusura”, ma un inizio di qualcosa”. Infine, ha ricordato che “il Tempio Beth Michael ha attivato, grazie a Gadi Piperno, un corso di Tefillah Didattica. Il risultato è stato molto bello: le persone piano piano si avvicinano senza la vergogna di essere giudicate e imparano a pregare.” MIRIAM SPIZZICHINO FEBBRAIO 2015 • SHEVAT 5775 Rav Roberto Di Veroli, il nuovo 'mattone' della Comunità 43 ROMA EBRAICA Un rabbino a tutto tondo Presentato alla libreria Kiryat Sefer il volume di Paolo Orsucci “Quale è la via del vento?”, sulla figura di rav Isidoro Moshè Kahn Q ualcuno lo chiama "il caso", altri, come Einstein, lo definiscono come il modo del Signore di agire nell'anonimato comunque sia, il "destino" ha voluto che nel 1946 l'allora Direttore del Collegio Rabbinico David Prato andasse in cerca di ragazzi che studiassero per diventare rabbini: si recò a Napoli e scelse un piccolo ragazzo, orfano, Isidoro Kahn. Alla presentazione presso la libreria Kiryat Sefer del volume di Paolo Orsucci “Quale è la via del vento? Appunti su Isidoro Moshè Kahn (1934-2004)”, edito da Belforte e pubblicato con il patrocinio dell'Assemblea dei Rabbini d'Italia, Giacomo Kahn ricorda con affetto lo zio che veniva dalla Lettonia e diventò un "rabbino a tutto tondo", nel senso che faceva davvero tutto, era shochet, celebrava tutte le tefillot, componeva le recite per bambini a Purim, costruiva personalmente la succà. L'arrivo al Collegio Rabbinico di Isidoro Kahn è stato ricordato da Rav Vittorio Haim Della Rocca: si presentò con un berretto da marinaretto; all'inizio pareva avesse un carattere chiuso, ma dopo qualche giorno divennero grandi amici. L'editore Guido Belforte lo ha definito "un gran signore napoletano, un uomo di gran cuore" con un carattere "correttamente forte". E la sua correttezza è stata sottolineata anche da Rav Gianfranco Di Segni ricordando come, quando si dimise da Capo rabbino di Livorno, Una nuova app ti ricorda che la dispensa è vuota L’ha inventata Uriel Perugia FEBBRAIO 2015 • SHEVAT 5775 Q 44 uante volte ci è capitato, nel voler fare una torta, di accorgerci di aver finito le uova? Quante volte andando a fare la spesa, una volta a casa, ci ricordiamo di aver dimenticato di comprare quello di cui avevamo bisogno e abbiamo riempito il carrello di prodotti che già avevamo? Sono queste alcune tra le situazioni più comuni che hanno ispirato Uriel Perugia a creare SmartQsine. Questa applicazione innovativa, ci ricorda di fare la spesa solo quando è necessario avvisandoci su cosa sta per finire o meno nella nostra dispensa. Il sistema è formato, oltre che dalla App per smartphone e tablet, da una bilancia di piccole dimensioni e molto sottile, chiamata "Pad" dove possiamo pesare i prodotti che vogliamo siano sempre presenti in casa, in modo da poterne misurare il quantitativo standard e monitorarne le scorte. La bilancia è collegata all'applicazione che ci avvertirà quando le riserve di cibo che abbiamo deciso di tenere sotto controllo stanno per finire. Uriel racconta della sua idea: “come tutte le invenzioni è nata da una necessità. Ad ognuno di noi è capitato almeno una volta, disse a quella che era stata, fino a quel momento, la sua Comunità che, come insegnava l'Halakhà, da quel giorno egli avrebbe seguito in tutto e per tutto il nuovo Capo rabbino e che si aspettava lo stesso comportamento da tutti: un grande esempio di umiltà. E non è un caso il fatto che il suo insegnamento, come sostenuto da Orsucci, arrivava al cuore delle persone proprio attraverso l'esempio del proprio comportamento; era un uomo di cultura, un fine intellettuale, un rabbino che ha saputo portare l'ebraismo alla sua Comunità. A tale riguardo, Luciano Meir Caro, Rabbino Capo delle Comunità Ebraiche di Ferrara e Pisa, scrive nell'introduzione al libro: "Occorreva pochissimo tempo per percepire e apprezzare il suo grande cuore. Alieno da ogni forma di ostentazione, aveva la capacità di mettere immediatamente l'interlocutore a proprio agio. Al centro del suo agire poneva costantemente l'insegnamento a tutti i livelli, dispensato con grande capacità, entusiasmo e passione". "Le parole che Isidoro ci ha consegnato - ha scritto a tale riguardo Orsucci - sono un testamento morale. Sono una luce guida, che merita di restare accesa" ed esse, nella particolare struttura del libro, circondano il testo del volume che risulta impaginato come il Talmud. SILVIA HAIA ANTONUCCI Paolo Orsucci, Quale è la via del vento? Appunti su Isidoro Moshè Kahn (1934-2004), Livorno, Belforte, 2014, pp. 395, 22 euro. o spesso, di trovarsi a casa ed accorgersi di non avere più qualcosa che si utilizza quotidianamente. Pensiamo ad esempio quando abbiamo i bambini in casa: quante volte capita di dimenticarsi di comprare il latte una volta tornati la sera o, addirittura, la mattina stessa? SmartQsine ci permette dedicare più tempo alle cose importanti senza trascurare i beni di prima necessità, ed oltre a far fronte alle esigenze famigliari è utilizzabile anche da bar, pub e locali per ‘monitorare’ le scorte dei prodotti ottimizzando le quantità necessarie e conseguentemente le spese. L'idea è nata a febbraio dello scorso anno. Ci sono voluti due mesi per pianificare il progetto e intorno ad aprile abbiamo iniziato a metterci concretamente all’opera”. Ad oggi è pronta una pre-serie del prodotto e dal prossimo aprile sarà in commercio. Nel mese di gennaio l'App è stata presentata all'International Consumer Electronics Show di Las Vegas (una delle più grandi fiere mondiali dell'elettronica di consumo): il prodotto verrà mostrato su un sito di crowdfounding e in base alle richieste si procederà con la produzione dei pezzi. YAEL DI CONSIGLIO www.smartqsine.com facebook: smartqsine twitter: @smartqsine email: [email protected] È tornata Zì Fenizia! C hi ha vissuto a Roma, in particolar modo a Portico d’Ottavia, ricorderà sicuramente la pizzeria a taglio “Zì Fenizia”, meta di tanti turisti e considerata una delle migliori pizzerie “take away” da Gambero Rosso. Una volta chiuso ha lasciato un vuoto in tutti gli amanti della pizza a taglio kasher. Beh, l’attesa è finita... Zì Fenizia è tornata! In un piccolo punto su Via Ostiense, di fronte alla prefettura, spunta il tanto atteso “Zì Fenizia, Pezzi di Pizza”. Grande successo anche nei Social dove, nella bacheca della pagina facebook, spuntano elogi e vecchi ricordi. Come ci spiegano Cinzia e Michele, i proprietari, “la pizza è Chalav Israel e abbiamo deciso di fare il nostro ritorno in questa zona proprio per venire incontro a tutti i ragazzi di religione ebraica che studiano all’università qui vicino, Roma Tre, e non sanno dove andare a mangiare”. Basta varcare la soglia per risentirsi a casa: “Bella cucciola de zia, che te fa Zì Fenizia?”. E tra un pezzo di pizza e un po’ di concia, tornano alla mente i bei tempi andati. Un pezzo dell’infanzia, e dell’adolescenza, di tutti è tornata a deliziarci con la sua pizza a taglio kosher. Progetti per il futuro? “Cominciare a servire ai nostri clienti del sabato sera anche le pizze tonde e per chi, invece, vuole mangiare i nostri prodotti senza muoversi da casa... Ci stiamo attrezzando per le consegne a domicilio”. A questo punto non ci resta che augurarvi buon appetito... Pancia mia, fatti capanna! MIRIAM SPIZZICHINO I Love Libya l 6 gennaio al Teatro Argentina - su iniziativa della Deputazione - è stato presentato “I Love Libya”, uno spettacolo emozionante scritto e interpretato da David Gerbi e diretto da Tonino Tosto. E’ il racconto di una vita da rifugiato che è dovuto scappare con la sua famiglia dalla Libia per salvarsi, una storia unica ma uguale a quella di tante altre persone. “È una storia da raccontare”, dice Lillo Naman, il presidente della sinagoga di Beit Shmuel:. “Ho provato una grande emozione. La sua storia è simile anche alla storia della mia famiglia, anche noi siamo scappati”. Il Dr. Gerbi è psicologo, rappresentante dell’organizzazione mondiale degli ebrei di Libia che ha sede ad Or Yehuda in Israele e il presidente dell’associazione “I Love Libya”. Con la sua attività ha presentato spettacoli anche in giro per il mondo e pubblicato molti libri: Rifugiato, costruttori di pace, ecc. Inoltre, ha fondato “I Colibrì sognatori”, un gruppo di persone il cui obiettivo è di avvicinare tra loro popoli e religioni diversi. Il 30 Novembre 2014 è stata una giornata storica poiché il parlamento israeliano ha riconosciuto dei rifugiati ebrei provenienti dai paesi arabi. Gerbi ha presentato la sua storia come una serie di miracoli che hanno segnato la sua vita: il trasferimento in Italia nel 1967, la vita a Roma, la sua attività in giro nel mondo per la pace e contro il razzismo, l’antisemitismo, il terrorismo e la violazione dei diritti umani. Come nasce questa necessità di raccontare e trasmettere il ricordo della comunità ebraica libica? Non ho mai dimenticato la sofferenza della mia famiglia. Vedevo che loro cominciavano a invecchiare e morire e restava quest’ingiustizia. Allora con il passar del tempo ho deciso di prendere in mano la situazione. In particolare tutto è iniziato con l’11 settembre, quando ho visto il fuoco uscire dalle torri gemelle e mi sono ricordato di quando ero bambino. Allora c’era di fronte a casa mia un palazzo abitato da famiglie ebree e degli arabi ci avevano buttato del petrolio e gli avevano dato fuoco. Molti ebrei erano morti e altri erano scappati per non morire soffocati. Ricordo l’odore e il panico della gente, questo ha aperto la mia ferita. Tutte le emozioni sono uscite e ho deciso di dire: “Basta! Devo fare qualcosa”. Ho detto che anch’io ho sofferto, io sono un profugo ebreo dei paesi arabi, anche la mia famiglia ha sofferto ma non siamo diventati terroristi. Noi abbiamo cominciato a lavorare onestamente e ci siamo integrati nella società italiana, nella comunità romana. Ho detto che si può combattere contro l’ingiustizia ma senza diventare un terrorista, si può costruire la pace, difendendo i diritti umani e ho deciso di farlo. Ho messo a disposizione la mia vita, ho deciso di scrivere un libro. Lo spettacolo racconta momenti toccanti della tua vita: il ritrovamento di una tua zia per caso dopo 35 anni o la rottura del muro di ingresso della sinagoga di Tripoli… Sono stati dei miracoli. Ho trovato mia zia ancora viva, pensavamo fosse morta. Quando Gheddafi mi ha permesso di tornare in Libia dopo 35 anni e anche di portare via con me mia zia (adesso è sepolta in Israele e non in un cimitero musulmano libico), che era l’ultima ebrea in Libia, ci sono andato e mi volevano ammazzare. Sono riuscito a salvarmi. Uso quindi la mia storia come uno strumento per combattere il razzismo e l’antisemitismo, per aiutare le persone. Il momento in cui ho rotto il muro nella sinagoga in Libia è stato significativo, perché ho rotto il muro del silenzio. Che cosa hai pensato quando hai rotto il muro? In quel momento ho rotto la paura di duemila anni, e ho pensato agli insegnamenti di Jung: “… dover portare a compimento, o anche soltanto continuare, cose che le età precedenti avevano lasciato incompiute.” Dopo essere stato espulso dalla Libia, vi sei poi ritornato rischiando la vita. Perché? Ho fatto parte di un gruppo di persone (Associazione Colibrì) che vogliono combattere per la libertà, la democrazia, i diritti umani, la libertà di religione e il rispetto dei diritti delle minoranze. Io mi schiero per Israele che lotta per tutto questo. In Israele c’è tutto, convivono le sinagoghe, le chiese e le moschee. Sono come i colibrì, faccio la mia piccola parte come abbiamo visto durante lo spettacolo nel filmato di Wangari Maathai, che nel 2004 è diventata la prima donna africana ad aver ricevuto il Premio Nobel per la Pace. Lei racconta la storia del piccolo colibrì, in una foresta divorata dalle fiamme tutti gli animali scappano, ad eccezione di questo uccellino che dice: “devo fare qualcosa per questo incendio”. Quindi vola al fiume più vicino prende delle gocce d’acqua e le getta sul fuoco. Gli altri animali restano inerti e dicono al piccolo colibrì: “cosa pensi di fare? Sei troppo piccolo”, e il colibrì ha risposto:”sto facendo il meglio che posso”, e per me è quello che dovremmo fare tutti. Quale sarà il prossimo miracolo della tua vita? E qual è il messaggio che vuoi lasciare? Il miracolo sarà quello di portare lo spettacolo dal Papa perché anche lui sostiene gli stessi valori di cui io parlo nello spettacolo: la lotta contro il razzismo, l’aiuto ai poveri, l’aiuto ai rifugiati, la coesistenza di varie religioni, la lotta contro la violenza, tutti i messaggi di cui il Papa è portavoce. Il messaggio è semplice: bisogna avere il coraggio di fare perché le cose cambino. Se ognuno fa qualcosa anche di piccolo, alla fine qualcosa è successo. YAARIT RAHAMIM FEBBRAIO 2015 • SHEVAT 5775 I Lo spettacolo di una vita scritto ed interpretato da David Gerbi 45 DOVE E QUANDO FEBBRAIO 17 SHABAT SHALOM 16.30 ADEI-Wizo Parashà: Terumà Chiostro del Bramante, Via Arco della Pace, 5 Visita guidata dalla dott.ssa Sara Procaccia MARTEDI alla mostra “Escher”. Info in sede -------------------------------------------------------------------------------- 18 18.00 ADEI-Wizo e Centro di Cultura EbraicA Adei, Lungotevere Ripa, 6 MERCOLEDI Aperitivo con l’Autore: Daniele Scalise intervista 19 Venerdì 27 FEBBRAIO 17.00 Le Palme Mozè Shabath: h. 18.39 La Parashà della settimana: Terumà Sabato 28 FEBBRAIO Parashà: Ki Tissà Venerdì 6 MARZO Nerot Shabath: h. 17.47 Sabato 7 MARZO Mozè Shabath: h. 18.48 ---------------------------------------Parashà: Vaiakel-Pekudè Venerdì 13 MARZO Nerot Shabath: h. 17.55 Sabato 14 MARZO Mozè Shabath: h. 18.56 Centro di Cultura Ebraica Da lunedì 23 febbraio per 4 lunedì Fatti un maestro, trovati un compagno: lezione di Talmud a cura di Rav Benedetto Carucci Viterbi “A cosa serve la sapienza?” Prossimo incontro lunedì 16 marzo ore 20.00 -------------------------------------------------------------------------------- 17.00 Le Palme al Tempio dei Giovani Panzieri - Fatucci Piazza S. Bartolomeo all’Isola, 24, ore 20.30 Ciclo di incontri sulla tefillà con cena • Lunedì 23 febbraio: La tefillà nel pensiero ebraico: chassidismo e razionalismo con Rav Riccardo Di Segni Facciamo il punto: proposte e progetti per le nuove attività del Circolo MERCOLEDI -------------------------------------------------------------------------------- • Lunedì 2 marzo: Il Kaddish nella tradizione ebraica con Rav Benedetto Carucci Viterbi MARZO • Lunedì 16 marzo: L’Amidà nel commento tradizionale: passi della Amidà attraverso il commento dei Maestri con Rav Roberto Colombo 04 05 07 18.50 IL Pitigliani Meghillà delle donne per le donne. Sarà attivo il servizio di baby parking MERCOLEDI -------------------------------------------------------------------------------- 17.00 Le Palme Purim alle Palme, la festa più dolce che ci sia: G I O V E D I tortolicchio, pizza e ... altri dolci tipici -------------------------------------------------------------------------------- 20.30 IL Pitigliani Grande festa di Purim per adulti e famiglie S A B A T O -------------------------------------------------------------------------------- NOTES ADEI WIZO Lunedì 16 e 23 febbraio ore 15.00 in sede proseguono gli incontri di burraco. Corso per principianti con insegnante: lunedì 2-9-16 marzo FEBBRAIO 2015 • SHEVAT 5775 Sabato 21 FEBBRAIO Mozè Shabath: h. 18:31 ---------------------------------------Parashà: Tetzavè Nerot Shabath: h. 17.39 20.00 IL Pitigliani 46 Nerot Shabath: h. 17:30 Roberto Fiorentini in occasione dell’uscita del suo libro Le chajim Alla vita! -------------------------------------------------------------------------------- G I O V E D I spiegata da Rav Roberto Di Veroli 25 Venerdì 20 FEBBRAIO Giovedì 19 e 26 febbraio e 5 e 12 marzo corso base di lingua ebraica con la Prof.ssa Luisa Basevi, ore 9.00 -10.30 (un incontro a settimana di 1 ora e ½). Info e prenotazioni in sede Mercoledì 18 febbraio e 4 marzo ore 10.00 in sede Lezioni di Torah e pensiero ebraico a cura di Rav Chajm Vittorio Della Rocca SAVE THE DATE: 9 marzo pranzo della donna 17 marzo visita guidata alla mostra su Matisse. Info in sede IL PITIGLIANI Metodo Feuerstein Domenica 15 febbraio Inizio corso pas pasic. Info: Sarah [email protected] - www. pitigliani.it Gruppo Ghimel Tutti i giovedì dalle 16.30 con Davide Spagnoletto ed Elisabetta Anticoli Moscati Programmi educativi Domeniche di Ebraismo: attività divertenti su feste, tradizioni e lingua ebraica. Dalle 10.00 alle 15.30 domenica 15 febbraio e 1° marzo. Info: Roberta [email protected] Domenica 1° marzo ore 11.00 Festa di purim con spettacolo teatrale, attività e banchetto per bambini Info e prenotazioni: Giorgia Di Veroli [email protected] • Lunedì 9 marzo: La tefilla di Channà con Anna Arbib Lezione con cena a pagamento, posti limitati, prenotazione obbligatoria: Tel. 06.5897589 - [email protected] NASCITE AUGURI Benedetta, Simhà Panzieri di Cesare e Denise Di Castro Sarah Sassun di Ralph e Sharon Di Porto Joshua Di Nepi di Aron e Federica Di Castro Elio Nahum di Daniel Efraim e Alisa Ruth Toaff Samuel Frabetti di Nazzareno e Lina Zarfati BAR/BAT MITZVÀ Michelle Piperno di Simone e Anna Restino Carola Cousin di Richard e Alessia Astrologo Nicole Menasci di Massimo e Ines Bautista Michal Spagnoletto di Maurizio e Ester Terracina Rebecca Calò di Ariel e Tamara Zarfati Ludovico Pontecorvo di Andrea e Luisa Scalvedi Lo scorso 20 dicembre è nato David Caviglia di Giorgio e Sara Bisogno. La redazione formula i migliori auguri. È nato Joshua Di Nepi. I migliori auguri ai genitori Aron Di Nepi e Federica Di Castro, ai nonni, in particolare Sandro Di Castro, presidente del Benè Berith e Flora Sed Piazza, collaboratrice presso il Museo ebraico. Mazal tov a Daniele Efraim Nahum e Alisa Ruth Toaff, collaboratrice presso il Museo ebraico per la nascita di Elio. Auguri alla famiglia, in particolare al bisnonno Rav Elio Toaff. Mazal Tov a Lina Zarfati e Nazzareno Frabetti per la nascita del piccolo Samuel. Il Direttore e i colleghi della Cooperativa Avodà. Lo scorso numero, nell’annunciare le nozze di Cesare Gattegna con Giada Camerino, non abbiamo segnalato che lo sposo è il figlio di rav Settimio Raffael Gattegna z.l.. Ce ne scusiamo con la famiglia. Sara Coen di Climo e Marina Pavoncello RINGRAZIAMENTI Ilan Di Gioacchino di Bruno e Roberta Servi MATRIMONI Massimiliano Del Monte - Lia Pergola Marco Mosseri - Melissa Sonnino ANNUNCI Milano palazzo signorile con giardino condominiale e portineria in zona residenziale ben servita di fronte a scuola ebraica privato vende appartamento mt 200 su 3 esposizioni 3 bagni con box XL. Affittasi fino a eventuale vendita della stessa, Camera arredata con bagno, cucina kosher, lavatrice e wi-fi. Tel 02 48302412 - 335 6181855 Il Presidente Bonfiglioli e il Consiglio della Deputazione Ebraica desiderano ringraziare David Gerbi per aver organizzato la splendida rappresentazione teatrale “I Love Libya” il cui ricavato ha permesso di contribuire al sostegno delle fasce più deboli della nostra Comunità. Un ringraziamento particolare al Gruppo Colibrì che si è adoperato per il buon esito della serata. I figli Luciano, Elisabetta, Lidia e Giorgio Calò la sorella Giuliana, i cognati e i nipoti ringraziano parenti amici e colleghi per le amorevoli parole e per l’affetto che hanno ricevuto per la scomparsa di Franca Astrologo z”l. “A una donna di valore, a una madre esemplare, a una guida unica, all’amore della nostra vita”. Dopo una lunga malattia, è venuta a mancare lo scorso mese Tina Spizzichino madre di Alberto Piazza O Sed (‘Scienza’), assessore alla Kasherut della Cer. Sentite condoglianze alle famiglie. CI HANNO LASCIATO Child survivor / infanzia negata La Claims Conference – l’Ente che gestisce i risarcimenti per le vittime della persecuzione nazista – ha da poco approvato un nuovo fondo destinato all’infanzia negata, riconoscendo la sofferenza e il trauma inimmaginabile dei bambini che hanno vissuto l’esperienza della clandestinità, il terrore di essere scoperti, la separazione dai genitori, la privazione e gli abusi nei ghetti fino all’orrore dei campi di concentramento. Il fondo emetterà pagamenti una tantum pari a € 2.500,00 agli ebrei vittime dei nazisti e nati tra il 1 gennaio 1928 e l’8 maggio 1945 e che abbiano subito una delle seguenti persecuzioni: (I) Reclusione in un campo di concentramento; (II) Reclusione in un ghetto; (III) Essere vissuti in clandestinità o sotto falsa identità, per un periodo di almeno 6 mesi nei paesi occupati dai nazisti; Coloro che già ricevono rimborsi o risarcimenti dalla Claims Conference riceveranno una lettera in italiano con le istruzioni da seguire per avere accesso al fondo. Per tutti gli altri, l’elenco della documentazione necessaria e il formulario da compilare saranno disponibili sul sito della Claims Conference a partire dalla prima settimana di febbraio. Il personale della Deputazione Ebraica è a vostra disposizione sia per chiarimenti e/o eventuali informazioni ulteriori e sia per un supporto nella compilazione dei moduli (in questo caso, il martedì e il giovedì dalle 10:00 alle 13:00 previo appuntamento). Deputazione Ebraica Tel 06 5885656 / 06 5803657 Mail: [email protected] Costanza Anticoli 31/05/1933 – 31/12/2014 Franca Astrologo 21/04/1938 – 28/12/2014 Angelo Di Cori 03/11/1926 – 21/01/2015 Miriam Di Gioacchino 29/01/1960 – 06/01/2015 Franca Di Nepi 26/03/1929 – 05/01/2015 Piero Di Nepi 17/03/1922 – 14/01/2015 Donato Di Veroli 05/04/1955 – 06/01/2015 Luciano Marino 24/02/1934 – 14/01/2015 Giacomo Moscato 07/09/1940 – 04/01/2015 Lazzaro Moscato 27/01/1942 – 10/01/2015 Alberto Pavoncello 31/03/1938 – 01/01/2015 Silvia Piazza O Sed 13/07/1929 – 18/01/2015 Leone Pontecorvo 08/02/1936 – 05/01/2015 Tina Spizzichino 02/07/1934 – 06/01/2015 Silvana Terracina 04/02/1924 – 13/01/2015 Shalom Vaturi 16/07/1928 – 06/01/2015 IFI 00153 ROMA - VIA ROMA LIBERA, 12 A TEL. 06 58.10.000 FAX 06 58.36.38.55 FEBBRAIO 2015 • SHEVAT 5775 Michael Sonnino di Stefano e Laura Hannuna 47 ROMA EBRAICA Berto l’edicolante Q Je suis Charlie FEBBRAIO 2015 • SHEVAT 5775 uando ne capitava l’occasione, Berto asseriva con una punta d’orgoglio di essere un mezzo ebreo. Il che, nel suo lessico un po’ arcaico, valeva quanto i panni risciacquati in Arno da Alessandro Manzoni: una rivendicazione di appartenenza, una sacralità di natali. A dire il vero quella rivendicazione di appartenenza si era illanguidita nel corso delle generazioni attraverso i rami di un albero genealogico un po’ ondivago. E la sacralità dei natali era stata negata dai rabbini cui non bastava un padre ebreo per affrancarlo dal mondo dei goym. Ma tant’è. Al cuore non si comanda e a quello di Berto non occorrevano certificazioni rabbiniche per battere in sintonia col retaggio di suo padre e dei suoi nonni paterni. Per lui non c’erano Natale o Capodanno. E quando si avvicinavano Pesach o Kippur entrava in fibrillazione e mangiava qualche pezzo d’azzima o saltava una colazione più per dire a sé stesso: il mio posto è là, che per un vero afflato religioso. Così Berto viveva il suo doppio registro. In cuor suo, senza smanie e con quel tacito buon senso che per trent’anni aveva consentito a sua moglie, pace all’anima sua, di fare in casa albero e presepe. Tutto saltava però quando avvertiva in pericolo quelli che chiamava, con una punta di infastidita ironia, i suoi fratellastri ebrei. Allora il sangue delle origini sembrava ribollire. 48 Guerre, attentati, stragi e le vecchie paure riemergevano mettendo a nudo ferite mai rimarginate. Oggi era uno di quei giorni. Seduto al suo sgabello, dietro montagne di giornali, Berto scorreva le cronache da Parigi. Sangue, terrore. Una città sotto assedio e il diffuso senso di sgomento di fronte a un Male Assoluto che di nuovo insidiava l’Europa. Un tintinnio di monete lo fece sobbalzare. Di fronte a lui c’era quello che tutti chiamavano l’Onorevole. Basso, tarchiato, una barbetta incolta e stiracchiata, indossava un eskimo che sembrava un residuato bellico. Aveva la fissa della politica ma nessuno avrebbe potuto dire da che parte stesse. Destra o sinistra, ce l’aveva con tutti. “Dammi Libero e il Manifesto.” Berto trattenne un sorriso ma prese le monete e consegnò i giornali. “Hai visto che disastro?” stava dicendo intanto quello, evidentemente in vena di comizio. “Una città intera sotto coprifuoco. Ma questa volta non passeranno. Hanno osato troppo! La libertà di espressione non si tocca.” Nel dirlo scostò i lembi dell’eskimo mostrando la felpa rossa con la scritta bianca ‘Je Suis Charlie’. Ora Berto era di natura diffidente verso ogni gratuita ostentazione ma quella gli sembrava quanto mai bislacca. “Li fermerai con quella?” chiese con un sorrisetto provocatorio. “Beh, tu che sei nel settore della stampa dovresti essere il primo ad indossarla.” “Già, mi hai preso per Carlo De Benedetti… Io comunque una felpa come quella non la indosserò mai! Anzi, se vuoi saperlo mi fa proprio ridere!” “Beh, mi fai pena… Per battere il terrorismo ci vuole una mobilitazione. E se non reagiamo quando portano la strage in seno a un comitato di redazione, abbiamo già perso la nostra battaglia di civiltà. Io domani sarò idealmente a Parigi per levare al cielo una matita insieme a centinaia di migliaia di fratelli europei. E insieme grideremo a quei cialtroni che oggi siamo tutti vignettisti! Che ci hanno uccisi ma non imbavagliati!” Berto sospirò infastidito. “Mi hai frainteso” disse “io non ho niente contro quella felpa. E’ che sulla mia, le scritte dovranno essere più piccole.” “Più piccole…?” chiese l’Onorevole sospettoso. “Si, più piccole e più numerose. Comincerò con scrivere sono un atleta di Monaco 72 e poi sono una mamma uccisa da Sbarro a Gerusalemme e poi ho perso mio figlio in un bus di Tel Aviv. E ancora sono un giovane del Delphinarium.” L’Onorevole ora lo squadrava come se avesse di fronte un marziano. “Ci vorrà un po’ di pazienza ma ce li metterò tutti. Lascerò solo uno spazio libero per scriverci sopra: e tu dov’eri Onorevole quando è iniziata la mattanza?” Quello fece un balzo indietro, come se l’avessero schiaffeggiato. “Questa poi…!” esclamò oltraggiato, senza sapere cosa altro aggiungere. Girò sui tacchi e si allontanò furioso. “Un attimo, Onorevole…” gli gridò dietro Berto. “Quando parti per il tuo viaggio ideale a Parigi non dimenticare di avvertirmi. Verrò anch’io con te…” Quello era ormai lontano e non lo udiva più. “Si” concluse Berto sotto voce “verro anch’io... Ma non alzerò come gli altri una matita. Io leverò al cielo gli zaini insanguinati dei bimbi di Tolosa.” MARIO PACIFICI LETTERE AL DIRETTORE vocedeilettori Visitare il Verano è addirittura pericoloso Giorni fa mi sono recata la Cimitero Monumentale del Verano per visitare la tomba di mio padre Erberto Olper. L’ho trovata spaccata in due in uno scenario di tombe scoperchiate e pezzi di marmo sparsi per tutto il campetto che oltretutto rendevano pericoloso il già difficile accesso. Ma era soprattutto una scena sconvolgente. Il campo si trova su un montarozzo – il secondo a sinistra volgendo le spalle al Monumento ai deportati – forse costruito con terra di riporto che non ha resistito alle forti piogge dei mesi scorsi. Le tombe si possono ricostruire o aggiustare, ma che succederà se l’evento si ripeterà? Potremmo trovarci con le bare sul terreno circostante. Segnalo tutto questo a Shalom sperando che la Comunità faccia pressione sui responsabili (il Comune? l’AMA?) perché ripuliscano il campo evitando che qualcuno si rompa l’osso del collo e provvedano a verificarne la stabilità, e invito tutti quelli che si trovano nella mia situazione a fare fronte comune per riparare a un fatto così doloroso per noi e così vergognoso per chi dovrebbe provvedere. Un cordiale shalom. ISA DI NEPI OLPER Un grazie a tutti voi Ad Auschwitz ho perso tutta la mia famiglia ma qui a Roma ho trovato un grande famiglia. La bellissima sorpresa che la “mia grande famiglia” ci ha fatto domenica 11 gennaio, in cui hanno organizzato a nostra insaputa le nostre nozze d’oro al Tempio Maggiore, ci ha riempito di gioia e felicità. La cerimonia è stata molto emozionante e sentire intorno a noi la commozione della gente ci ha fatto comprendere ancora di più l’affetto che tutta la comunità ha per noi. E’ stata una mattinata meravigliosa che io e Selma ricorderemo sempre. Desideriamo condividere la nostra gioia con tutti voi e ringraziarvi uno ad uno per essere stati con noi. Un particolare ringraziamento vogliamo farlo alla Prof.ssa Elvira Di Cave, a Daniel e Joseph Di Porto, al Rav Riccardo Di Segni, a Riccardo Pacifici e a tutti coloro che hanno lavorato all’organizzazione dello straordinario evento. Un grazie anche ai sopravvissuti che hanno voluto essere presenti in questa magica mattinata: Lello Di Segni, Alberto Mieli, Alberto Sed e Piero Terracina. Grazie anche ai bambini della scuola ebraica che con il loro entusiasmo e vivacità hanno riempito di gioia la nostra giornata. Sami Modiano Quegli ebrei traditi dalla Patria In questi mesi ricorre il centenario della Prima Guerra Mondiale. Io non c’ero, ma c’erano già mio padre, che aveva 24 anni, e mia madre che ne aveva solo 8. Ho trovato tra le fotografie di famiglia questa di mio padre, Lello Della Seta, nella sua uniforme dell’Esercito Italiano, nel pieno della giovinezza, bello e molto distinto. Ripenso sempre alla sua storia, è qualcosa che mi ha sempre accompagnato da quando ero piccola, quando lui c’era, a quando non c’è stato più. La sua tragica fine e quella di mio fratello Giancarlo ha segnato irrimediabilmente tutta la mia vita, da bambina di circa 7 anni, fino ad oggi che ne ho 78. Questo immenso dolore lo porterò con me per sempre. Quanti giovani ebrei hanno creduto nell’Italia durante la Grande Guerra, pronti a morire per questa Patria che poi li avrebbe traditi mostruosamente. Circa 20 anni dopo la fine della Grande Guerra, Mussolini e il regime fascista avrebbero promulgato le leggi razziali che tolsero a tutti gli ebrei ogni diritto e dignità. Ho ricevuto tanti anni fa da una mia zia una medaglia appartenuta a mio padre in ricordo della Grande Guerra con incisi l’Altopiano dei Sette Camini e un cannone puntato contro il nemico (prima l’esercito austro-ungarico e poi i nazisti). Purtroppo, non so come né quando, con grande dolore negli anni l’ho persa. [email protected] Il 16 ottobre 1943 mio padre e mio fratello con più di duemila ebrei romani furono deportati nel campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau; sei milioni di ebrei morirono nei campi. I miei, come da testimonianza di un sopravvissuto, morirono dopo alcuni mesi di malattie e stenti nel Ghetto di Varsavia. Sempre a proposito della Grande Guerra desidero ricordare lo zio di mio marito, tenente Augusto Della Seta, di cui mio marito porta il nome, eroicamente caduto in battaglia e decorato con medaglia d’argento al valor militare. Una lapide nella tomba di famiglia lo ricorda. PAOLA DELLA SETA Un uomo dimenticato Vi sono uomini che non soffrono di protagonismo, ma che ciò nonostante si sono dati molto da fare per l’ebraismo e per Israele. C’è chi per esempio negli anni Sessanta, preoccupato dei numerosi attacchi sferrati all’ex Ghetto da parte di falange neonaziste, si adoperò per la costituzione della L.E.D. (Lega Ebraica Difesa), madre dell’attuale sorveglianza. C’è chi partì per la Guerra dei Sei Giorni e chi collaborò attivamente alla stesura di un vero giornale al di fuori dai normali bollettini, affinché il mondo ebraico romano e non solo, potesse avere una voce socioculturale ufficiale per comunicare con l’intero Paese. Una voce chiamata “Shalom”. Non riscontrare dalla comunità, ma soprattutto non leggere neanche su “Shalom”, un minimo segno di partecipazione per la morte di Alberto Baumann (z.l.) avvenuta il primo novembre scorso, testimonia come nel nostro microcosmo ebraico romano, spesso le persone vengono interpellate solo per il tempo nel quale possono essere utili, poi emarginate nell’oblio. Ringrazio invece gli amici (pochi ma buoni) e l’ADEI che hanno trasmesso il loro affetto a mia madre Eva Fischer ed a me. ALAN BAUMANN Grazie Caro Direttore, vorrei ringraziare il moel David Pavoncello per l’accurata professionalità e la cura prestata durante la milà di mio figlio Samuel. LINA ZARFATI Non chiamiamoli terroristi Caro direttore, smettiamola di definirli terroristi. Mi riferisco alle decine di sigle, gruppi islamisti alle migliaia di militanti che dal Medio Oriente all’Africa stanno facendo stragi ovunque si trovino, che si tratti di Siria o Nigeria. Che da anni stanno insanguinando le città del mondo occidentale, da Sidney a Parigi. Che usano metodi barbarici per uccidere, come far esplodere bimbe imbottite di tritolo nei mercati (Nigeria), usare scudi umani per difendersi (Gaza/Hamas), decapitare ostaggi, Siria, Irak, ad opera di uno psicopatico che si definisce l’erede di Maometto. Non è terrorismo, è una guerra non dichiarata. Iniziamo a chiamarla nel modo appropriato, non sono terroristi, sono movimenti che usano metodi si orribili, ma che hanno uno scopo ben preciso, fanno una guerra a loro più congeniale, impadronirsi di stati cosi detti “falliti”, impaurendo l’occidente che appoggia o aiuta quelle nazioni che vorrebbero loro, e far proseliti tra giovani nati e cresciuti nelle democrazie occidentali. Terrorista è una definizione minimalista, sono soldati e criminali allo stesso tempo. Sarebbe bene che l’Europa, aprisse gli occhi, siamo di fronte ad un evento epocale, la più grave minaccia dopo la scomparsa del nazismo, e nazisti lo sono loro nei metodi e nella visione apocalittica. Le nostre sono società pacifiche, in crisi economica e sociale, purtroppo quando la storia ci mette di fronte mostruosità come questa, non c’è altro da fare, bisogna affrontarla nel modo più appropriato. Magari iniziandoli a definire nel modo giusto. FEBBRAIO 2015 • SHEVAT 5775 La 49 LETTERE AL DIRETTORE L’islamismo integralista che ha dichiarato guerra alla civiltà. Non i musulmani che sono loro stessi le maggiori vittime, ma chi si è appropriato della loro cultura e religione. Non li facciamo crescere come il mondo intero fece con Hitler prima di fermarlo, è il momento di agire, non sarà facile né indolore, ma vanno affrontati dove si sono annidati, non possiamo continuare ad aspettarli a Parigi, Londra, Boston e domani chissà dove. ALBERTO DI CONSIGLIO Si cercano informazioni Raffaele Zicconi, ucciso alle Fosse Ardeatine, nonno di Massimo Ciancaglini, durante l’occupazione nazista nascose una famiglia ebrea nella cantina del suo appartamento in piazza Ledro 7 a Roma. Massimo Ciancaglini, che cura un blog sulla Resistenza romana e, in particolare, sulla strage delle fosse Ardeatine (http://lavitaelaresistenzaaroma-myway.blogspot.it/), vorrebbe rintracciare eventuali discendenti o superstiti di tale famiglia ebrea salvata dal nonno di cui purtroppo non sa nulla. Se qualcuno ha informazioni a riguardo, è pregato di contattare l’Archivio Storico della Comunità Ebraica di Roma, email: [email protected] La Biblioteca non può essere svanita nel nulla Caro Direttore, una recente intervista del Corriere della Sera ad Alessandra Di Castro e Serena Di Nepi ripropone vigorosamente all’attenzione generale il problema della ricerca e del recupero della biblioteca della Comunità ebraica di Roma e di quella del Collegio rabbinico, razziate dai nazisti nel 1943. Condivido pienamente la convinzione che la biblioteca non può essere sparita nel nulla, che appare fortemente motivare le intervistate nella ricerca che si accingono a compiere,. E’ la convinzione, che fin da epoca remota mi ha spinto a sollevare il problema del possibile ritrovamento; prima, in seno alla Commissione Anselmi e poi, in rappresentanza dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, forte delle raccomandazioni conclusive contenute nel rapporto finale di quella Commissione, presso il Governo dell’epoca. Una diversa Commissione, quella per la ricerca della biblioteca, istituita a seguito di ciò dalla Presidenza del Consiglio di Ministri, della quale facevano parte autorevoli storici e archivisti e che ebbi la ventura di presiedere, trasse la sua origine proprio da quel convincimento! Nella intervista al Corriere della Sera si fa un accenno, in verità breve, al lavoro di questa seconda Commissione, alle indagini che ha svolto, definite preziose, ed ai contatti che ha stabilito con stu- diosi nel mondo. Tuttavia, con la affermazione, che presumibilmente è dell’intervistatore, che non sarebbe “approdata a risultati”, si potrebbe lasciare al lettore la spiacevole sensazione che, alla fine, la Commissione abbia girato a vuoto. Non è, però, così. Tralasciando di dire che le notizie riportate in quella intervista sono fornite dal rapporto conclusivo della Commissione e che le vaste ricerche da questa compiute, rese più difficili dalla dispersione e spesso dalla distruzione dei documenti, hanno consentito di stabilire taluni punti fermi (il rapporto conclusivo può essere integralmente letto su: http://www.governo.it/ Presidenza/USRI/confessioni/commissioni.html), vorrei sottolineare come l’attività di scavo archivistico, l’azione di sensibilizzazione, le relazioni intrattenute e la partecipazione al dibattito internazionale avviata dalla Commissione medesima abbiano contribuito a dare rilievo internazionale alla questione, sorprendentemente ignorata quasi dappertutto, e a diffondere la consapevolezza della sua importanza. La avventurosa restituzione di un Pentateuco stampato ad Amsterdam nel 1680 e proveniente da Hungen, avvenuta in occasione della partecipazione a un convegno tenutosi ad Hannover nel 2005, gli inviti a convegni internazionali tenutisi sui beni razziati dai tedeschi con la pubblicazione delle relazioni ivi presentate dalla Commissione, sono testimonianza concreta dell’interesse suscitato. La Commissione ha concluso i propri lavori per la scadenza del termine (pur prorogato) assegnatole e per la impossibilità di avere altri finanziamenti oltre a quelli, per la verità erogati con il contagocce, già avuti per le missioni all’Estero. Nel rapporto finale, la Commissione aveva espresso l’auspicio che le indicazioni raccolte potessero in futuro incrociarsi con altri dati, da altri rinvenuti, magari con la esplorazione di archivi russi allora inaccessibili, e consentire il ritrovamento di un insostituibile patrimonio culturale che, ribadiva la Commissione, non poteva essere svanito nel nulla. Ripeto qui quell’auspicio, con l’augurio che possa realizzarsi con il pieno successo del lavoro che Alessandra Di Castro e Serena Di Nepi stanno per avviare. DARIO TEDESCHI Una compagnia di danza speciale A Morro d’Alba, piccolo paese rurale sito nelle campagne marchigiane in provincia di Ancona, a circa 30 km. dal capoluogo medesimo, vi è, già da molti anni, un gruppo, una compagnia/scuola di danza denominata “DANZINTONDO”. Ed io ne faccio parte già da circa tre anni. Si chiama così proprio perché, più che altro, effettua, Gan Eden FEBBRAIO 2015 • SHEVAT 5775 Agenzia di Onoranze Funebri ebraica 50 Siamo Kosher nei modi e nei prezzi Massimo rispetto per i defunti e per gli avelim Assistenza legale e cimiteriale Via Casilina 1854/c - Roma Tel. 327/8181818 (24 ore su 24) [email protected] - www.ganeden.eu organizza, si esibisce, ed insegna (anzi, effettuiamo, dato che ne faccio parte anche io) danze “in circolo”, “in tondo”, danze tipiche folkloristiche tradizionali popolari; sia italiane, come ad esempio il saltarello marchigiano, la pizzica pugliese, la tarantella calabrese, la tammurriata campana, ecc..... ma anche danze balcaniche, danze greche, danze francesi, danze occitane, del nord Italia, ecc.... insomma danze che spaziano un po’ su tutta Europa e non solo. Ci riuniamo il martedì sera per ballar tra di noi; il giovedì invece si riunisce il “gruppo” che effettua le coreografie esterne con i costumi di scena. Infatti, alcuni di noi ormai bravi e preparati, si esibiscono durante feste popolari, sagre di paese, manifestazioni sportive, ecc..... per rallegrare e portare musica e danza in giro per le Marche. Siamo un bel gruppo unito di varie età, e spesso organizziamo anche stage per approfondir delle danze, oppure feste a ballo e/o cene sociali, come momento di aggregazione socializzante. Ultimamente, con mio stupore e piacevole meraviglia, la nostra insegnante Lorena ha inserito anche danze tipiche ebraiche-israeliane. Balliamo infatti: Manavu’, Hava naghila, ecc.... ed anche recentemente stiamo imparando addirittura la bellissima e commovente danza yiddish Dona-dona, conosciutissima in tutto il mondo. Lo scorso anno poi, questa “mia” compagnia di danza DANZINTONDO, in occasione della giornata della Memoria, è stata invitata, sia sul palco del teatro comunale di Monte san Vito, che sul palco del teatro di Montecarotto, a portar in scena “Per non dimenticare”, commovente spettacolo sulla Shoah. Io son proprio orgoglioso di far parte di questa compagnia di danza, che sembrerebbe “specializzata” in danze della nostra cultura ebraica! Chi dovesse passare per Ancona, oltre a visitare la nostra bella ed antica Sinagoga, si ricordi quindi di venire a Morro d’Alba, dove lo attende quindi una bella serata di musica e danze tipiche della nostra millenaria cultura ebraica! SERGIO FORNARI Smokéd / affumicato: un gioco di parole. Una sfida nel segno di uno humor che non vuole offendere nessuno, ma sorridere di tutto. Prima presero gli zingari, i comunisti, i socialisti, gli omosessuali… poi presero gli ebrei… Ma io non mai dissi nulla. Poi quando arrivarono a me, non c’era più nessuno a dire qualcosa. Dopo le stragi di Parigi non ci sembra di averlo letto e ascoltato, qui in Italia, il celebre apologo in versi attribuito al pastore evangelico Martin Niemoller, poi a Bertolt Brecht, ed infine anche ad un’anonima tradizione degli antinazisti in clandestinità. Eppure è dal 1947 che gli ebrei di Israele e della diaspora vanno avvertendo il mondo intero: prima aggrediscono noi, poi verranno a cercare anche voi. L’ultima moda, anche tra gli ebrei liberal, è spiegare che “Israele scherza col fuoco”. Dunque si continua tranquillamente a biasimare Israele per eccesso di legittima difesa. A proposito, sorprendentemente la guerra all’Isis non sembra provocare danni collaterali. Un caso unico negli annali militari. O forse adesso i giornalisti non sono più autorizzati a documentarli. Smokéd SHALOMשלום EBRAISMO INFORMAZIONE CULTURA Giacomo Kahn Direttore responsabile Silvia Haia Antonucci Mario Pacifici Giorgia Calò Angelo Pezzana Ariel David Clelia Piperno Mario Del Monte Pierpaolo P. Punturello Jonatan Della Rocca Yaarit Rahamim Yael Di Consiglio Jacqueline Sermoneta JacquelinediSermoneta Segretaria redazione Piero Di Nepi Marco Spagnoli Alessandra Farkas Miriam Spizzichino Fabrizio Federici Lia Tagliacozzo Ghidon Fiano Sarah Tagliacozzo Giorgio Israel Francesca Tardella David Meghnagi Daniele Toscano Rebecca Mieli Ugo Volli Fiamma Nirestein Nicola Zecchini [email protected] Cell. 392.9395910 DIREZIONE, REDAZIONE Lungotevere Sanzio, 14 - 00153 Roma Tel. 06.87450205/6 - Fax 06.87450214 E-mail: [email protected] [email protected] - www.shalom.it Le condizioni per l’utilizzo di testi, foto e illustrazioni coperti da copyright sono concordate con i detentori prima della pubblicazione. 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