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Stiamo creando in laboratorio un rene per l`uomo

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Stiamo creando in laboratorio un rene per l`uomo
Cresciuta a Lodi, lavora
per l'istituto Mario Negri
• fjWHBI
Valentina Benedetti, 34 anni
Ricercatrice crea
il rene «hi-tech»
Adesso rischia
la fuga negli Usa
RICERCA D'ECCELLENZA
«Stiamo creando
in laboratorio
un rene per l'uomo»
La biologa Valentina Benedetti
LA PROFESSIONISTA
IL GIOCO DI SQUADRA
LA34ENNEL0DIGIANA
SVOLGE IL SUO LAVORO
ALL'ISTITUTO 'MARIO NEGRI'
NEL CENTRO ASTORI DI BERGAMO
OPERA L'EQUIPE SCIENTIFICA
DEL PROFESSOR XINARIS
di LAURA DE BENEDETTI
- LODI -
«CI CHIAMAVANO i fantascienziati perché eravamo un po' ambiziosi:
ma, anche se abbiamo dovuto affrontare diversi problemi, siamo gli unici al
mondo ad essere riusciti a generare
delle cellule renali funzionanti. Abbiamo iniziato con gli animali, ora stiamo già lavorando con cellule umane:
abbiamo stimato di poter arrivare alla
sperimentazione su pazienti umani
tra 3-4 anni». Valentina Benedetti, 34
kk
L'IMPORTANZA
DEL LAVORO
Gli 'organoidi' che realizziamo
sono già stati testati sui topi
ma contiamo di sperimentarli
anche sugli uomini
nel giro di circa quattro anni
anni, lodigiana, fa parte, insieme a Paola Rizzo, dell'equipe di riceratori gui-
data da Christodoulos Xinaris che,
presso il Centro Astori di Bergamo
dell'Istituto Mario Negri, ha creato
delle unità funzionanti di nefroni, degli 'organoidi' che, impiantati sotto la
capsula renale del soggetto ospite,
non solo sopravvivono ma diventano
parte integrante dell'organo, svolgendone tutte le funzioni. Una rivoluzione che potrebbe cambiare il destino
dei 26 milioni di persone nel mondo
che soffrono di patologie renali e, in
particolare, di quel 10%, che arriva al
punto di doversi sottoporre a trapianto o a dialisi.
Benedetti, cosa rende così unica
la vostra ricerca, a cui ha dato risalto anche il Journal of American Society of Nephrology?
«Molti ricercatori avevano provato a
creare dei nefroni, le unità funzionanti che compongono il rene, in provetta ma noi siamo stati i primi a capire
come impiantarli in un ospite e fare
crescere i vasi sanguigni: con la vascolarizzazione hanno cominiciato a funzionare».
È stato quello il momento di stappare una bottiglia?
«Sì. Poi una seconda quando abbiamo
visto che questo organoide riusciva a
riassorbire molecole importanti e a
produrre ormoni come l'eritropoietina. E così via».
Che strade apre questa ricerca?
«Oggi la dialisi sostituisce solo il 15%
della funzionalità renale, obbliga il paziente a trattamenti di due ore 3-4 volte a settimana e costa 200 mila dollari
l'anno a paziente. Per quanto riguarda
il trapianto i donatori sono sempre insufficienti e molti malati, nell'attesa,
muoiono; ci sono poi problemi di rigetto e quelli derivati dalle terapie immunodepressive cui il trapiantato viene sottoposto: infezioni virali, tumori. Nei paesi meno sviluppati queste
chance non ci sono neppure. Noi abbiamo cercato un'alternativa. Costruire un rene ex novo in laboratorio è difficilissimo: è un organo complesso,
composto da 35 cellule diverse. Noi
però noi siamo riusciti a creare in laboratorio i nefroni, unità funzionanti
del rene: un paziente entra in dialisi
quando i propri nefroni scendono sotto il 10% di funzionalità. Trapiantandone di nuovi possiamo riportare l'organo ad una funzionalità di livello
maggiore. Abbiamo trapiantato orga-
noidi renali di topi su dei ratti, due
specie diverse, e ha funzionato. Ora
stiamo lavorando su cellule umane.
Pensiamo che, prelevando le cellule
staminali dai pazienti, potremo creare
organoidi per ciascuno di essi, evitan-
kk
LA MISSIONE
DI VITA
La dialisi cura pochi pazienti
e tanti in attesa di trapianto
muoiono prima di ottenerlo
La tecnica con i nefroni
può eliminare molte sofferenze
do qualsiasi rigetto».
Arrivare all'uomo è la sfida più
ronde...
f nostro
obiettivo, al di là del clamo-
re, è sempre il paziente. Quando i primi risultati sono stati resi noti abbiamo conosciuto tanti casi di gente in
fin di vita, tra cui molti bambini. Persone così disperate che volevano candidarsi a una sperimentazione. Questi
pensieri ci accompagnano tutto il giorno: la nostra è diventata quasi una
missione».
IL C U R R I C U L U M
Studiosa apprezzata
Ma rischia di diventare
un «cervello in foga»
- LODI -
VALENTINA Benedetti, 34
anni, una figlia, Ginevra, di 4
anni, è nata a Milano ma ha
sempre vissuto a Lodi, dove ha
frequentato il liceo scientifico
Gandini, prima di scegliere
Biologia all'Università: «La
mia passione nel capire i meccanismi della natura mi ha portato a maturare l'idea di fare ricerca e di rendermi utile a livello
collettivo: ancor oggi sono tante le malattie di cui non si conosce la patogenesi. Ho lavorato 5
anni all'Istituto dei tumori di
Milano. Ho lasciato quando ho
avuto Ginevra: sposandomi mi
ero trasferita a Bergamo e fare
la pendolare era impossibile,
anche perché questo lavoro è
senza orari. Ho quindi partecipato ad un bando per una borsa
di studio dell'Armr, che si occupa di ricerca sulle malattie rare,
arrivando seconda. È così iniziata la mia avventura con l'Istituto Negri. Ho rivinto il bando
ogni anno ma nel 2013 si conclude».
E dopo, diverrà un cervello in
fuga? «Il problema della carenza di fondi per la ricerca è tipico italiano ma di sicuro l'Istituto vorrà concludere il progetto.
Io nel frattempo ho iniziato il
dottorato di ricerca: avrei ancora due anni. Ho ricevuto anche
una proposta per uno stage di 3
mesi in un laboratorio di New
York. Non so. Di certo non mi
trasferirò all'estero, soprattutto
per una scelta familiare». Benedetti alla spola tra continenti
preferisce quella tra Bergamo e
Lodi, dove vivono genitori e
suoceri: «Ci torno quasi ogni
week-end, a Lodi abbiamo
compagnia ed amici».
L.D.B.
TALENTI
Sotto, la ricercatrice
Valentina Benedetti, 34 anni;
a fianco, i colleghi Paola Rizzo
e Christodoulos Xinaris con la professionista
lodigiana mentre sono impegnati
in laboratorio
(De Benedetti)
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