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ISSN 1825-0211 IL COMMERCIO ITALO SOVIETICO E GLI UOMINI D’AFFARI ITALIANI NELLA RUSSIA DEI PIANI QUINQUENNALI Anna Maria FALCHERO Quaderno n. 126 — Dicembre 2013 QUADERNI DEL DIPARTIMENTO DI ECONOMIA, FINANZA E STATISTICA IL COMMERCIO ITALO SOVIETICO E GLI UOMINI D’AFFARI ITALIANI NELLA RUSSIA DEI PIANI QUINQUENNALI Anna Maria FALCHERO1 Riassunto L’intervento ripercorre sinteticamente le “impressioni” ed i giudizi espressi dagli uomini d’affari italiani nei loro viaggi in Unione Sovietica dopo l’avvio dei Piani quinquennali, alla luce sia della pubblicistica fascista dell’epoca che dell’andamento e delle problematiche connesse all’interscambio commerciale tra Italia e Russia nel corso degli anni Trenta. Abstract The essay is a brief recollection of “impressions” and evaluations by Italian businessmen voyaging in Sovietic Union after the engagement of the “Platilekta”, considering both the fascist journalistic publications in the period and the problematic trend of Italo-Russian commercial trade during the Thirties. Atti del II Convegno “Viaggio in Italia – Viaggio in Russia”, Università Statale di Mosca, 27-28 marzo 2013, editi dall’Istituto Italiano di Cultura a Mosca, di prossima pubblicazione (in italiano e in lingua russa) 1 Department of Economics, University of Perugia – email: [email protected] Il commercio italo sovietico e gli uomini d’affari italiani nella Russia dei piani quinquennali Anna Maria Falchero Sulla natura e sugli esiti effettivi del primo piano quinquennale sovietico vennero versati, in Italia (ma non solo), fiumi d’inchiostro: com’è noto, uno stuolo di giornalisti, “osservatori” di vario genere, tecnici e ingegneri, nonché, ovviamente, politici ed economisti, più o meno ardentemente fascisti, si dedicò, nel corso della prima metà degli anni Trenta, all’improbo compito di descrivere e, ovviamente, commentare, con diversi gradi di ferocia critica, la sconvolgente novità rappresentata dalla pianificazione sovietica, giungendo peraltro, in maniera pressoché unanime, alla scontata conclusione che, nonostante gli immani sforzi del popolo russo, il bolscevismo era destinato certamente a fallire, magari “evolvendosi” in fascismo o, più prosaicamente, adottando le immarcescibili regole capitalistiche, mentre dal canto suo il fascismo rappresentava l’autentica “rivoluzione” antiborghese. Non c’è spazio, in queste brevi note, per inoltrarsi nei meandri delle diverse sfumature che connotavano i resoconti dei numerosi e variegati “viaggiatori”, per le quali rimandiamo ai più approfonditi, e di gran lunga più documentati, lavori di studiosi delle relazioni internazionali1. Ci limitiamo, quindi, a sottolineare come le scarne (e decisamente scarse) annotazioni pervenute da alcuni dei pur numerosi industriali e uomini d’affari interessati allo sviluppo delle relazioni commerciali italosovietiche, non si discostino dal “coro”, pur non condividendo affatto le 1 Per una breve rassegna, non del tutto esaustiva, cfr. Rosaria Quartararo, Roma e Mosca. L’immagine dell’URSS nella stampa fascista (1925-1935), in «Storia Contemporanea», a. XXVII, n. 3, 1996, pp. 447-472, Roberto Romani, Il piano quinquennale sovietico nel dibattito corporativo italiano. 1928-1936, in «Italia contemporanea», n. 155, 1984, pp. 27-41, Giorgio Petracchi, “Il colosso dai piedi d’argilla”: l’URSS nell’immagine del fascismo, in Ennio Di Nolfo, Romani H. Rainero, Brunello Vigezzi (a cura di), L’Italia e la politica di potenza in Europa (1938-40), Marzorati Editore, Milano, 1985, e, dello stesso autore, Roma e/o Mosca. Il fascismo di fronte allo specchio, in Totalitarismo e totalitarismi, Marsilio, Venezia, 2003, pp.3-36, nonché Pier Luigi Bassignana, Fascisti nel paese dei Soviet, Bollati Boringhieri, Torino, 2000. Tra le “testimonianze” più citate, Ettore Lo Gatto, URSS 1931. Vita quotidiana – Piano quinquennale, Anonima Romana Ed., Roma, 1932, Pietro Maria Bardi, Un fascista al paese dei Soviet, Le Edizioni d’Italia, Roma, 1933, Renzo Bertoni, Il trionfo del fascismo nell’URSS, Tip. Operaia romana, Roma, 1934 e Gaetano Ciocca, Giudizio sul bolscevismo, Bompiani, Milano, 1933, mentre minore attenzione sembra destinata al più equilibrato volume di Rodolfo Mosca, Russia 1932, Agnelli, Milano, 1932. catastrofiche previsioni di alcuni osservatori in ordine ad un possibile, esiziale dumping sovietico che avrebbe “asservito economicamente l’Europa” soffocandola “in una morsa di concorrenza industriale senza salvezza”2. D’altronde, a determinare l’atteggiamento e le valutazioni del mondo industriale italiano nei confronti della pianificazione sovietica, non erano certamente tanto le “impressioni” raccolte nel corso di qualche visita, che pure non era mancata, in URSS, quanto le più prosaiche e concrete cifre del commercio italo-russo. Riteniamo opportuno ripercorrere, sulle orme di un pregevole saggio pubblicato quasi un ventennio orsono3, le altalenanti e ondivaghe vicende dell’interscambio commerciale tra i due Paesi, la cui unica “costante” sembra costituita, come risulta evidente dalle tabelle 1 e 1a, da rapporti commerciali “sbilanciati” da un più o meno accentuato surplus di esportazioni sovietiche in Italia, il che non rappresentava una novità, dal momento che lo scarso interscambio commerciale con la Russia zarista tra il 1900 ed il 1915 mostrava lo stesso andamento, anche se il disavanzo era in realtà inferiore a quello apparente perché parte delle esportazioni italiane, effettuate tramite Germania ed Austria, non figuravano nelle statistiche ufficiali. Al contrario, dopo il 1924 il disavanzo risulta sottostimato, giacché l’importazione italiana di petrolio dall’URSS era decisamente superiore a quanto riportato dalla statistiche ufficiali, in cui non erano considerate le importazioni della Marina militare italiana, che rappresentavano tra il 30 ed il 50% del totale delle importazioni di petrolio ed olii lubrificanti. L’Italia era al 21esimo (ultimo) posto tra i fornitori dell’URSS, e contava solo per lo 0,4% delle importazioni sovietiche nel 1924. I sovietici, 2 Tra i sostenitori di tale ipotesi ricordiamo in particolare Mario Sertoli, La crisi in Russia e il piano industriale, in «Nuova Antologia», n. 362 (16 luglio 1932), pp. 234254 e Idem, Il piano quinquennale è finito, in «Nuova Antologia», n. 370 (16 novembre 1933), pp. 273-281, nonché Carlo Costamagna, Per un piano quinquennale europeo. (La marca orientale), in «Lo Stato», 1932, p.453. Un ben più pacato accenno alla possibilità che l’URSS potesse, in futuro, mettersi in grado di esportare prodotti industriali e di ricorrere al dumping, specialmente su filati e tessuti, venne avanzata anche dall’economista liberista Giorgio Mortara, recatosi in Russia nel 1930. Cfr. Giorgio Mortara, Impressioni sull’economia sovietica, in «Rivista bancaria», 1930, pp. 885-894. 3 Ira A. Glazier e Vladimir Bandera, Italian-Soviet Trade during the interwar years: Some Insights from the Past, in Ilaria Zilli (a cura di), Fra spazio e tempo. Studi in onore di Luigi De Rosa. Il Novecento, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 1995, pp. 293-339. peraltro, erano larghi esportatori in Italia, che figurava per circa il 4,1% del totale delle esportazioni russe4. Tra il 1924 ed il 1926, dopo un periodo di contatti preliminari che iniziarono nel 1920 e si conclusero con il Trattato Italo-sovietico del 7 febbraio 1924, il commercio italo-russo, in cui un ruolo importante spettava alla Compagnia Italiana Commercio Estero (CICE), che rappresentava un numero consistente di grandi imprese italiane5, segnava una netta espansione, seguita da un collasso, tra il 1927 ed il 1928, dovuto sia a speculazioni, inflazione e bilancia commerciale russa in deficit che alla rivalutazione della lira e al cambio di politica monetaria dell’Italia, che, oltre ad attuare una stretta creditizia, tentava di bilanciare il proprio commercio estero stimolando le esportazioni e riducendo le importazioni per stabilizzare la moneta. All’avvio del primo piano quinquennale sovietico, nel tratteggiare il bilancio del commercio italo russo per il quinquennio 1923-1928, l’ex amministratore delegato dell’ormai decotta CICE, Franco Marinotti, che forniva peraltro cifre abissalmente inferiori a quelle riportate nelle tabelle, sottolineava non solo che le esportazioni italiane nell’URSS risultavano «molto al di sotto di quanto era dato sperare dopo la definizione del trattato di commercio»6, ma anche, se non soprattutto, che, in base ai piani 4 Ibidem. Secondo i calcoli degli autori, le esportazioni italiane in Russia nel periodo pre-bellico variavano da 6,4 a 11,5 milioni di dollari. Erano tra 5,4 e 2,5 milioni nel 1919-1920; meno di un milione tra 1921 e 1924; 2,6 milioni nel 1925; 1,5 milioni nel 1926-1927; meno di 1 milione nel 1928 e ripresero grazie alle garanzie di Stato alle esportazioni a 13,9 e 12,2 milioni di dollari nel 1931-1932. Il valore delle esportazioni russe fluttuava tra 36 e 50 milioni di dollari nel 1923-1927; tra 11,7 e 29 milioni nel 1927-1930 e scese a 17 milioni nel 1932. Il deficit della bilancia commerciale italiana con l’URSS fluttuò tra 28,7 e 40,6 milioni di dollari prima della guerra. Declinò a 23,7 milioni nel 1930, a 14,4 milioni nel 1931 e cadde a 5 milioni di dollari nel 1932. 5 Valerio Castronovo e Anna Maria Falchero, L’avventura di Franco Marinotti. Impresa, finanza e politica nella vita di un capitano d’industria, Christian Marinotti Edizioni, Milano, 2008, cap. I e la documentazione citata nelle relative note, in particolare il dattiloscritto di Valerji P. Ljubin, Il ruolo di Franco Marinotti e della Società Cice nel rinnovamento e sviluppo dei rapporti economico-commerciali fra l’Italia e la Russia negli anni ’20. 6 Stando all’accurata analisi di Franco Marinotti, nel 1913 le importazioni italiane dalla Russia ammontavano a 73,8 milioni di rubli, mentre le esportazioni italiane ammontavano a 16,8 milioni di rubli. Nell’intero quinquennio 1923-1928 le importazioni italiane ammontavano a 127,7 milioni di rubli e le esportazioni a 39,8. Queste ultime «per l’esercizio 1923-24 […] raggiungono l’8,5% del totale degli scambi italo-russi; per l’esercizio 1924-25 salgono al 33,7% e arrivano al cospicuo valore del 69,2% nel 1925-26. Nel successivo esercizio la caduta è fortissima, toccandosi l’8,4%; ma nel 1927-28 le nostre esportazioni risalgono al 26,7% del valore globale degli scambi italo-russi». Cfr. F. M. (Franco Marinotti), Il commercio estero della Repubblica elaborati dal Consiglio dell’Economia dell’U.R.S.S. per lo sviluppo del commercio sovietico, «le possibilità di rifornimento dall’Italia [esistessero] in misura considerevole»7, ma «solo l’unione delle forze produttrici e finanziarie nazionali [poteva] permettere una ripresa di regolare lavoro con l’U.R.S.S.»8. E in effetti, almeno per un breve periodo, tra il 1929 ed il 1932, le cifre complessive riferite all’interscambio commerciale tra i due Paesi aumentarono in misura considerevole, grazie, come vedremo, ad un sistema di crediti con cui l’Italia finanziò l’esportazione verso l’URSS, ma declinarono bruscamente a partire dal 1933, con la firma del nuovo trattato commerciale, per poi collassare a partire dal 1936, quando il Ministro degli affari esteri, Costanzo Ciano, ruppe le trattative per il rinnovo del trattato di commercio con i sovietici, ritenendo inaccettabile il mantenimento di un largo margine di surplus della bilancia commerciale a favore dell’URSS9. Tabella 1. Importazioni ed esportazioni italiane in URSS (milioni di lire) Importazioni Esportazioni Bilancia 1924 161,000 14,000 -147,000 1925 145,470 66,475 -78,995 1926 325,767 37,193 -288,574 1927 340,590 32,527 -308,063 1928 222,693 84,014 -138,679 1929 340,449 70,611 -269,838 dei Soviet e la posizione dell'Italia, in «Nuova Antologia», n. 347 (1 febbraio 1930), pp. 374-383. 7 Ibidem, p. 377. Secondo le previsioni del piano quinquennale, scriveva Marinotti, «le esportazioni, nell’esercizio 1932-33 dovrebbero salire a rubli 2.047 milioni divisi quasi in egual misura tra prodotti agricoli e merci di provenienza industriale; le importazioni dovrebbero salire a rubli 1.705 milioni, divise circa per un miliardo in sole installazioni tecniche, un altro mezzo miliardo nell’acquisto di materie prime per i bisogni dell’industria, il resto in merci di consumo corrente. E’ da notare che mentre tali merci nel decorso esercizio non figurarono che per circa 70 milioni di rubli, dovrebbero oltrepassare largamente i duecento milioni fra quattro anni, sempre secondo le previsioni del “Gosplan”. Di più, il quinquennio 1928-29, 1932-33 dovrebbe chiudersi con un saldo attivo di circa 800 milioni di rubli, e questo sopra un commercio estero complessivo di 13 miliardi di rubli.» 8 Ibidem, pp. 380-381. «Se questa unione che già esisteva» - proseguiva Marinotti riferendosi chiaramente alla CICE, senza mai peraltro nominarla - «debba aver oggi nuova forma e più alta guida, ciò non ha importanza, l’essenziale è che si crei una disciplina per le negoziazioni con l’U.R.S.S..» 9 Stando al citato lavoro di Ira A. Glazier e Vladimir Bandera, oltre 1 miliardo di lire in crediti all’esportazione vennero garantiti ai sovietici tra il 1930 ed il 1936, contribuendo ad alleviare i problemi della bilancia dei pagamenti russa. 1930 1931 1932 1933 1934 1935 1936 1937 1938 553,589 561,275 333,484 225,479 221,133 184,328 154,853 100,000 6,800 102,045 275,665 237,000 124,947 124,013 55,858 9,157 9,500 5,000 -451,544 -285,610 -96,484 -100,532 -97,120 -128,470 -145,696 -90,500 -1,800 Fonte: Direzione Generale delle Dogane e delle Imposte Indirette, Movimento Commerciale del regno d’Italia 1924-1938, Roma, 1924-1938 Tabella 1a. Importazioni ed esportazioni italiane in URSS (milioni di rubli) Importazioni Esportazioni Bilancia 1913 73,8 16,8 -57,0 1924 53,8 18,3 -35,5 1925 116,7 81,1 -35,6 1926 131,2 11,5 -119,7 1927 90,0 32,1 -57,9 1928 30,0 7,1 -22,9 1929 114,5 26,7 -87,8 1930 185,2 37,6 -147,6 1931 138,5 103,7 -34,8 1932 94,2 94,6 0,4 1933 77,5 58,9 -18,6 1934 66,3 41,2 -25,1 1935 44,9 19,7 -25,2 1936 33,8 4,6 -29,2 1937 12,5 2,3 -10,2 1938 0,2 0,2 Fonte: Ira A. Glazier e Vladimir Bandera, Italian-Soviet Trade during the interwar years: Some Insights from the Past, in Ilaria Zilli (a cura di), Fra spazio e tempo. Studi in onore di Luigi De Rosa. Il Novecento, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 1995, p. 299 e, per il 1913, F. M. (Franco Marinotti), Il commercio estero della Repubblica dei Soviet e la posizione dell'Italia, in «Nuova Antologia», n. 347 (1 febbraio 1930), p. 378 Quanto alla tipologia di merci scambiate, questa variò in misura notevole, come risulta dalle Tabelle 2 e 3. Tabella 2. Composizione delle importazioni italiane dall’URSS (milioni di lire) Totale 1925 145,47 1926 325,77 1927 340,54 1928 222,69 1929 340,45 1930 553,59 1931 561,27 1932 333,48 1933 225,48 1934 1935 1936 221,13 184,33 154,80 Prodotti Agricoli % totale Grano Petrolio e derivati % totale Altre materie prime % totale 28,72 19,74 24,02 157,94 48,48 145,14 187,32 35,00 172,78 58,41 26,22 0,817 90,19 26,99 - 268,97 48,58 216,62 276,63 44,28 223,95 119,16 35,73 86,53 92,62 18,90 25,20 37,54 16,97 13,24 11,79 8,87 -- 0,56 0,36 0 52,04 35,77 113,52 34,84 120,87 35,44 109,90 39,34 148,18 43,52 172,22 31,47 145,99 26,01 89,92 26,96 67,34 29,86 58,71 25,56 --- 44,51 28,74 34,70 23,37 48,09 14,76 23,43 6,88 38,42 17,25 94,65 27,80 63,30 11,42 64,17 11,43 46,65 13,98 57,83 51,34 65,85 29,77 19,70 10,67 73,29 47,33 Fonte: Direzione Generale delle Dogane e delle Imposte Indirette, Movimento Commerciale del regno d’Italia 1924-1938, Roma, 1924-1938 Tabella 3. Composizione delle esportazioni italiane in URSS (milioni di lire) 1925 66,47 1926 37,19 1927 32,53 1928 84,01 1929 70,61 1930 102,04 1931 275,66 1932 237,00 1933 124,95 1934 124,01 1935 55,85 1936 9,16 Prodotti Alimentari % totale 2,78 4,19 1,06 2,86 8,04 24,7 7,81 9,29 6,03 8,53 2,59 2,53 0,34 0,14 0,12 0 1,49 1,19 3,18 2,56 0,81 1,45 1,30 14,19 Manufatti e Macchinari % totale 58,40 87,85 16,18 43,50 11,55 35,65 50,50 60,10 34,48 48,82 77,27 75,74 229,73 80,40 197,94 83,51 93,12 74,53 76,46 61,65 52,38 93,78 6,72 73,40 5,25 7,90 9,12 48,72 10,20 31,34 24,59 29,26 25,90 36,00 19,42 19,03 42,00 15,26 37,05 15,63 20,46 16,31 28,02 16,10 1,76 3,5 1,06 11,59 Totale Altri prodotti % totale Fonte: Direzione Generale delle Dogane e delle Imposte Indirette, Movimento Commerciale del regno d’Italia 1924-1938, Roma, 1924-1938 Prima del 1915 il commercio italo russo appariva non solo fortemente sbilanciato in favore della Russia, ma anche poco diversificato: l’80% delle importazioni italiane era costituito da frumento mentre le esportazioni consistevano essenzialmente in seta greggia (80%), zolfo e agrumi, Nel dopoguerra, il commercio con la Russia sovietica appare molto più diversificato, anche se i cereali continuano a figurare per cifre importanti: tra il 1923 ed il 1929 aumentarono le importazioni italiane di petrolio, manganese e carbone che nel 1930-1932 rappresentavano, insieme al grano, le principali voci di importazione. Anche le esportazioni italiane appaiono essenzialmente diverse: scomparsa del tutto la seta e ridotta la percentuale degli agrumi, tra le voci principali comparvero, tra il 1921 ed il 1924, i tessuti di cotone, la automobili, i pellami, gli oli essenziali e lo zolfo; dopo il 1928 automobili, zolfo e macchinari e nel 1931-1932 macchinari, parti meccaniche (75% delle esportazioni), alluminio, leghe ferrose, navi mercantili e aeroplani. L’impatto del primo piano quinquennale sovietico sull’interscambio commerciale italo-russo appare evidente: alle importazioni russe di beni di consumi e alimentari si sostituiscono quelle di prodotti destinati all’industrializzazione. Senza contare le importazioni di “conoscenza tecnica”, che nelle statistiche ovviamente non figurano se non per via “trasversale” attraverso l’importazione di macchinari e di parti meccaniche. In complesso, però, nonostante facesse registrare brevi momenti di “boom”, il commercio italo-sovietico, tra le due guerre, di fatto non mantenne mai le promesse né realizzò le ottimistiche aspettative di ambo i lati. Ad alimentare tali aspettative contribuivano considerazioni almeno apparentemente condivise: se da un lato l’Italia aveva bisogno di trovare mercati per la sua industria meccanica e per quella degli armamenti, specialmente durante la grande depressione dei primi anni Trenta, ed era alla ricerca di fonti di materie prime a buon mercato, quindi comprensibilmente attratta dalla visione di vaste risorse ancora disponibili in Unione Sovietica, dall’altro l’URSS era ansiosa di rompere l’isolamento e di accedere alla tecnologia occidentale ed aveva necessità di beni strumentali e di moderni armamenti, ma specialmente di acquistarli a buone condizioni di credito. Le ottimistiche prospettive in ordine ad un’espansione dell’interscambio commerciale italo-russo, apertesi con la firma del Trattato Italo-sovietico del 7 febbraio 1924 e rafforzate dalle “pragmatiche” prese di posizione di Mussolini vennero però in larga misura disattese, ed alla vigilia del primo piano quinquennale sia le esportazioni che le importazioni raggiungevano a stento il 30% del pur scarso valore, in rubli, del 1913, anno in cui, peraltro, le esportazioni russe in Italia erano costituite principalmente da frumento, ed in base al quale erano state stipulate le clausole che impegnavano i sovietici ad un minimo di acquisti in Italia pari al 30% del valore delle importazioni italiane di frumento russo10. L’andamento della produzione e delle esportazioni granarie russe, ridotti a ben poca cosa nel quinquennio 1923-1928, aveva quindi contribuito a ridimensionare notevolmente, rispetto alle previsioni, le corrispondenti esportazioni italiane in Urss, mentre le importazioni italiane di petrolio e di altre materie prime (non contemplate dal Trattato) cresceva a ritmi imponenti11, ma il nodo cruciale, di fronte all’aumento previsto dal Gosplan per il quinquennio successivo, era e, come vedremo, sarebbe rimasto, quello finanziario. 10 Cfr. F. M. (Franco Marinotti), Il commercio estero della Repubblica dei Soviet … cit., pp. 378-379 11 Ibidem. Le esportazioni sovietiche di nafta verso l’Italia, che nel 1923-24 ammontavano a circa 42.500 tonnellate, poco più del 5,8% del totale esportato, nel 1926-27 raggiungevano le 537.500 tonnellate, il 26,4% degli oltre 2 milioni di tonnellate esportate. Infatti, se era pur vero che il commercio con l’Italia non aveva mai costituito una priorità per i sovietici e che i loro agenti commerciali seguivano la tradizionale preferenza russa per prodotti inglesi, tedeschi ed americani di alta reputazione, finché rimasero accessibili, a risultare determinante era l’incapacità degli industriali italiani a reperire crediti a lungo termine per finanziare le importazioni di prodotti italiani da parte della Russia12. Non si trattava certo di una novità, per un capitalismo “straccione” come quello italiano, ma al più dell’accentuazione di un problema costante nei rapporti con la Russia, zarista o sovietica che fosse. I settori più dinamici dell’industria italiana erano infatti già interessati al mercato russo nel periodo prebellico: la Fiat, ad esempio, aveva dato vita nel 1912 alla Società per azioni russa automobili Fiat, con sede in Pietroburgo, in vista di consistenti ordinazioni di autocarri militari da parte del Governo zarista, per poi concludere, nel 1916, un accordo di collaborazione con la neonata AMO per la costruzione in Russia di autocarri13, mentre un altro industriale e finanziere piemontese, l’”immaginifico” Riccardo Gualino, rilevò una grande proprietà boschiva dell’estensione di 20 mila ettari in Ucraina, destinata alla produzione di legname per il mercato interno russo, nonché un vasto appezzamento di terra in un quartiere semiperiferico di San Pietroburgo al fine di realizzare la costruzione di un grande complesso residenziale, progetti entrambi vanificati dal conflitto mondiale e dalla Rivoluzione d’ottobre14. 12 Ibidem. Marinotti sottolineava che «le condizioni pretese dai Russi non sono per nulla in rapporto alle normali consuetudini commerciali. Esiste una scala di condizioni, che varia a seconda dei prodotti, ma che parte da un minimo di sei mesi, e va sino ai cinque anni. A copertura di questi crediti, i Russi rilasciano effetti spesso a quattro mesi, per permettere al fornitore uno smobilizzo finanziario, ma con diritto al rinnovo, in base alle reali scadenze pattuite. Per l’industria fornitrice, queste condizioni diventano spesso insuperabili, specialmente nel nostro paese, dove esiste accanto a poche grandi industrie, una categoria media di produttori, che potrebbero aspirare ad una notevole parte nell’esportazione verso l’U.R.S.S., se le loro condizioni finanziarie o di finanziamento da parte di terzi, lo consentissero.» 13 Cfr. Valerio Castronovo, Fiat 1899-1999. Una storia italiana, Rizzoli, Milano, 1999, pp.119-124 e Duccio Bigazzi, Esportazione e investimenti esteri: la Fiat sul mercato mondiale fino al 1940,, in Progetto Archivio Storico Fiat, Fiat 1899-1930. Storia e documenti, Fabbri Editori, Milano, 1991, pp. 93-98 14 Cfr. in proposito Francesco Chiapparino, Gualino in Europa Orientale (1908-1915), in D. Bigazzi, F. Rampini (a cura di), Imprenditori italiani nel mondo ieri e oggi, Libri Scheiwiller, Milano, 1996, pp. 99-124 e Claudio Bermond, Riccardo Gualino finanziere e imprenditore. Un protagonista dell’economia italiana del Novecento, Centro Studi Piemontesi, Torino, 2005, pp. 25-28. Al di là di tali iniziative, l’esportazione italiana verso la Russia zarista risultava decisamente limitata, in parte per la scarsa conoscenza del mercato e la mancanza di una struttura organizzativa commerciale, nonché per le scarse e difficoltose condizioni dei trasporti, ma soprattutto per la scarsa disponibilità di credito degli industriali italiani, incapaci di offrire agli importatori russi le stesse facilitazioni creditizie dei concorrenti inglesi e tedeschi15. La soluzione, suggerita da più osservatori, sembrava la costituzione di una Banca italo-russa per finanziare le esportazioni italiane. Un primo progetto, che comportava grandiose prospettive di sviluppo del settore elettrico, meccanico, automobilistico, tessile e petrolifero in Russia, venne ipotizzato tra Giuseppe Volpi ed il finanziere Nikolaj Rafalovich all’indomani della Rivoluzione di febbraio, per naufragare pochi mesi dopo. Sfumata, con la rivoluzione bolscevica, l’ipotesi del “grande affare” che avrebbe dovuto coinvolgere buona parte delle grandi imprese italiane, i grandi gruppi finanziario-industriali italiani si sarebbero mossi in ordine sparso, dando vita a progetti diversi e spesso antitetici. Tra il 1918 ed il 1921 si consumarono, infatti, sia il tentativo di penetrazione nel Caucaso, incarnato dalla Banca Italo-caucasica, che faceva capo alla Banca Italiana di Sconto16, sia la più modesta iniziativa del Banco di Roma, la Banca Commerciale italo-russa per operazioni commerciali e industriali in Russia e nelle regioni del bacino del Mar Nero17, sia gli 15 Giorgio Petracchi, La Russia rivoluzionaria nella politica italiana 1917-25, Laterza, Roma-Bari, 1982, pp.196-206 16 Ivi, pp. 116-146. Sulle vicende relative alla penetrazione italiana nel Caucaso, si vedano inoltre Richard Webster, Una speranza rinviata. L'espansione industriale italiana e il problema del petrolio dopo la prima guerra mondiale, «Storia Contemporanea», a. XI (1980), p. 219-281, Luigi De Matteo, Alla ricerca di materie prime e nuovi mercati nella crisi postbellica. L’Italia e la Transcaucasia 1919-1921, Napoli, 1990, Marta Petricioli, L'occupazione italiana del Caucaso: un ingrato servizio da rendere a Londra, Milano, 1972 e Anna Maria Falchero, La Banca «Italianissima» di Sconto tra guerra e dopoguerra (1914-1921), CRACE, 2012, pp. 178-195. 17 La Banca italo-russa venne fondata a Roma il 23 ottobre 1919, con un capitale di 3 milioni, da Giuseppe Vicentini (presidente), Angelo Belloni, Delfino Parodi, Secondo Pennazio e Davide Brailowsky, consigliere d'amministrazione della società anonima Commerciale e Industriale dell'Asia Occidentale (gli ultimi due amministratori delegati), per svolgere esercizio di credito in generale e in particolare per operazioni commerciali e industriali in Russia e nelle regioni del bacino del Mar Nero. Strettamente legata al Sindacato industriale commerciale italo russo e al Sindacato coloniale italiano, emanazione diretta del Banco di Roma, nel 1921 risultava presieduta da Pennazio, e il barone Alberto Winspeare figurava tra i collaboratori, tuttavia l'istituto risultava quasi inattivo e chiuse i battenti nel 1923. accordi tra la Comit, il gruppo inglese capitanato da Alfred Nobel ed alcuni capitalisti russi, che peraltro implicava l’appoggio alle “armate bianche” di Denikin18. Sta di fatto che, naufragati i vari progetti basati sulla convinzione che la Rivoluzione bolscevica sarebbe stata rapidamente e facilmente sconfitta, a partire dal 1921 i gruppi industriali e finanziari ancora vivamente interessati al commercio con la Russia si accinsero a fare i conti con il Governo sovietico e con le nuove limitazioni poste dalla nazionalizzazione di tutte le attività economiche russe e, soprattutto, dal monopolio statale del commercio estero. Condizioni, entrambe, che subordinavano esplicitamente sia le importazioni che le esportazioni russe alle considerazioni politiche del Governo sovietico. Inevitabilmente, pur partendo dal comune interesse per una pronta ripresa degli scambi commerciali con l’URSS, che aveva portato tra l’altro alla costituzione di un certo numero di organismi di vario genere 19, tra cui 18 La Società italiana per il Mar Nero venne fondata nel 1919 con il nome di Società italo-russa per il Mar nero da un eterogeneo gruppo di imprenditori e promotori di azioni internazionali a supporto della fazione rivoluzionaria bianca della Russia e dei paesi confinanti con essa con l'avallo ufficiale del governo Nitti; il suo capitale, di 3 milioni di lire dell'epoca, fu fornito prevalentemente dalla Banca Commerciale Italiana. Lo scopo principale era la fornitura di materiali militari, strategici e logistici in funzione antisovietica in maniera similare a quanto veniva già fatto da parte di altre potenze europee come Francia e Inghilterra. Non erano esclusi anche motivi di ritorno quali interessi economici minerari e petroliferi e forniture industriali e ferroviarie. Nel 1920 la società cambiò ragione sociale costituendosi come Società italiana per il Mar Nero. In seguito alla vittoria bolscevica, nel 1922, cessata la sua ragione primaria di esistenza la società venne messa in liquidazione; la procedura si concluse nel 1928. Cfr. Enrico Serra, Nitti e la Russia, Edizioni Dedalo, Bari, 1975, pp. 77-78 19 Alla costituzione della Società Commerciale italo-russa nel 1917, fece seguito nel 1918 quella della Camera di commercio italo-russa per l’Italia, assorbita nel 1925 dall’Istituto economico italiano per la Russia, fondato l’anno precedente. In aperta concorrenza con la CICE vennero poi fondate due società commerciali: il Sindacato Italiano per il commercio italo-russo, una cooperativa presieduta da Dino Alfieri, esponente di spicco del nazionalismo e membro del Gran Consiglio del fascismo e la Italo-russa, presieduta dall’ex deputato comunista Nicola Bombacci. Espulso nel 1927 dal PCd’I, del quale era stato tra i fondatori, Nicola Bombacci non aveva mai interrotto completamente i propri rapporti con l’Ambasciata dell’URSS e in particolare con l’addetto commerciale; nella sua qualità di intermediario d’affari della Delegazione Commerciale sovietica, nel 1930 aveva agevolato l’acquisto di grano russo da parte dell’Italia. Nel 1931, in ogni caso, sembra aver avuto termine “ogni rapporto, anche di natura tecnico-commerciale, tra Bombacci e l’Ambasciata sovietica a Roma, dove aveva trovato nel frattempo lavoro anche il figlio Raoul, rientrato nel 1925 dalla Russia per assolvere gli obblighi di leva. Una volta in Italia, Raoul Bombacci – che a Mosca era avrebbe finito con l’assumere un ruolo preminente la CICE, Compagnia Italiana per il Commercio Estero, fondata nel 1921 su iniziativa di Franco Marinotti, i vari gruppi industriali e finanziari finirono per dividersi nettamente tra i fautori dei “piccoli affari” che, Fiat compresa, facevano capo alla CICE, e gli ambienti legati alla Banca Commerciale Italiana, che riproponevano, attraverso un ipotetico accordo con i capitali americani (o con quelli tedeschi), i “grandi affari” a suo tempo progettati da Giuseppe Volpi, con l’acquisizioni di grandi concessioni minerarie e di vasti complessi industriali sul territorio russo, nella immutata speranza che il regime bolscevico finisse per crollare20. Com’è noto, i risultati furono deludenti: la convenzione raggiunta “a latere” della Conferenza di Genova, che pure sembrava aprire rosee prospettive per gli “affari” italiani, non venne sottoscritta dal Governo sovietico, deciso ad ottenere da parte dell’Italia il riconoscimento de jure, mentre gli accordi preliminari già sottoscritti,che comprendevano l’opzione alla Società Breda per l’acquisto di 200 mila tonnellate di carbone del bacino del Donetz in cambio di materiale ferroviario e di macchine agricole, la concessione al gruppo Parodi Delfino di 100 mila ettari nel governatorato del Don ed un’altra concessione di pari entità al Consorzio metallurgico italiano ed alle cooperative rosse di Forlì, restarono lettera morta. Nel biennio successivo, sino alla firma, il 7 febbraio 1924, del Trattato di commercio che sanciva il riconoscimento italiano dell’URSS e la ripresa dei normali rapporti diplomatici, la Russia venne presa d’assalto da un gran numero di pretesi “uomini d’affari” e di cosiddetti “agenti commerciali”, gran parte dei quali non avevano i mezzi adeguati per concludere i contratti e, spesso, neppure quelli necessari per pagare il proprio soggiorno a Mosca, mentre le scarse esportazioni italiane in Russia, crollate a meno di un milione di dollari, sembrano dovute agli occasionali successi del entrato in rapporti con l’ambasciatore italiano Manzoni – aveva collaborato col padre all’interno della Società L’Italo-Russa, una società anonima per gli scambi commerciali con l’URSS (Cfr. G. Salotti, Nicola Bombacci da Mosca a Salò, Bonacci, Roma 1986, pp. 92-93). Tale società aveva ottenuto dalle autorità fasciste il permesso di pubblicare una rivista sovvenzionata da Mosca, la quale si proponeva di “illustrare le ricchezze dell’URSS e le sue audaci innovazioni politiche, economiche e culturali per dimostrare agli italiani che l’Italia risolverà i suoi problemi e la sua dura crisi economica solo quando avrà compresa la necessità di un’unione solida e fraterna con la Russia soviettista” (A. Petacco, Il comunista in camicia nera. Nicola Bombacci tra Lenin e Mussolini, Mondadori, Milano 1996, p. 105). 20 Cfr. in proposito G. Petracchi, La Russia rivoluzionaria… cit., pp. 212-214 rappresentante della CICE, Domenico Anghileri, ed alla buona qualità dei prodotti italiani esposti alla Fiera Panrussa di Mosca nel 192321. Solo la firma del Trattato e la partecipazione alla Fiera di Nizjnij Novgorod consentirono però alla CICE di concludere finalmente il primo (e unico) “affare globale”, ribattezzato “Zelevoi Zakaz”, che contemplava la fornitura di uno stock di merci italiane (tessuti, calzature, macchine agricole) per un ammontare di circa 300 milioni di lire. Proprio questo primo importante successo, che sanciva il “monopolio” della CICE, rese evidenti i limiti e le difficoltà cui andavano incontro le esportazioni italiane in URSS, prima tra tutte quella di procurare il credito necessario agli acquirenti sovietici, credito che i maggiori Istituti bancari italiani finirono col concedere alla CICE, in parte, soltanto dopo l’intervento “decisivo” di Mussolini. Dopo che una prima proposta per la costituzione di un Istituto di credito italo-russo, avanzata nel novembre 1922 da Vincenzo Miglietta per conto del Credito Italiano e del Banco di Roma, era stata respinta dalla Gosbank perché “riduttiva” in confronto alla già costituita banca italo-svedese, l’ipotesi di dar vita, in collaborazione con la Gosbank e la Banca d’Italia, ad una Banca italo russa in grado di scontare gli effetti a lunga scadenza dei sovietici tornò sul tavolo nel luglio 1924, dopo la firma del Trattato, ma si scontrò con la ferma opposizione della Banca Commerciale Italiana e venne accantonata. Né ebbe miglior fortuna, alla fine dell’anno successivo, il tentativo del direttore della Gosbank, Katzellenbaum, di concludere con le maggiori banche italiane un accordo per lo sconto reciproco, sulla falsariga di quello concluso con un consorzio di banche tedesche capitanato dalla Deutsche Bank, giacché gli esponenti dei quattro principali Istituti di credito rimandarono la questione al Governo, che doveva fornire la necessaria autorizzazione e, soprattutto, garantire le banche stesse. Svariati altri piani per stimolare le esportazioni italiane verso l’URSS vennero avanzati tra il 1926 e la prima metà del 1927, sia dal consigliere economico a Mosca, Enrico Mariani, che dal rappresentante dell’Ansaldo in Russia, Cesadio Del Proposto, che, ovviamente, dalla CICE, ma la soluzione porta la firma di Alberto Pirelli, direttore dell’Istituto Nazionale per l’Esportazione, creato nel 1926. Il 2 giugno 1927, con un apposito Regio Decreto Legge, venne costituito infatti l’Istituto per il Commercio con l’Europa Orientale, una agenzia finanziaria governativa dotata di un capitale di 100 milioni, in parte 21 A proposito degli “agenti commerciali” italiani più o meno improvvisati, di cui il Ministero degli Affari Esteri finì col lamentarsi presso la Confindustria, si veda il caso della Motomeccanica Pavesi in Ira A. Glazier e Vladimir Bandera, Italian-Soviet Trade … cit., pp.306-311. sottoscritto dalla Banca d’Italia, destinato a concedere credito alle esportazioni italiane, principalmente verso la Russia, ed autorizzato ad assicurare i rischi presso l’Istituto Nazionale delle Assicurazioni22. Il meccanismo si sarebbe rivelato però lento, farraginoso e decisamente costoso, senza contare che la resistenza opposta dagli Istituti di credito italiani allo sconto degli effetti russi avrebbe finito col dissuadere gran parte delle industrie minori dal tentare l’avventura sul mercato sovietico, nonostante la successiva stipula di tre accordi speciali destinati a stimolare le esportazioni italiane, che portavano la garanzia statale dal 65% al 75% del credito sulle esportazioni industriali, garanzie peraltro limitate ad alcune categorie di prodotti23. Comunque, grazie alle garanzie offerte dall’Istituto e, soprattutto, alla rottura delle relazioni commerciali sovietiche con Londra, nella seconda metà del 1927, alla vigilia del primo piano quinquennale, si assistette ad una nuova ondata di attivismo da parte degli “uomini d’affari” italiani a Mosca e, nonostante l’ostilità mai sopita del rappresentante sovietico a Milano, Dossert, anche il nuovo rappresentante della CICE, il conte Gavardo, riuscì a piazzare una partita di macchinari elettrici. Ma la CICE era ormai agli sgoccioli: qualche spiacevole polemica sulla qualità di alcune partite di prodotti e, soprattutto, sui prezzi praticati dalla Compagnia, unite alla necessità di ridurre le importazioni ai materiali e macchinari essenziali, accettando solo acquisti finanziati da crediti a lungo termine, finirono col decretare la fine dell’esperienza della CICE in URSS. I sovietici, decisi a fare acquisti in Italia trattando direttamente con le singole industrie attraverso la loro Rappresentanza commerciale, finirono col rifiutarsi, nel 1928, di rinnovare la licenza. Analoga sorta sarebbe toccata, peraltro, alla Italo-Russa, di cui la CICE aveva assunto il controllo nel 1926. Ma già tra la fine del 1926 ed il 1927 alcuni degli azionisti della Cice, ed in primo luogo Piero Pirelli, Giorgio Enrico Falck e lo stesso presidente della società, Giuseppe Gavazzi, avvisati che la presenza di società intermediarie era del tutto sgradita ai sovietici, si erano sganciati dalla Compagnia, che era poi passata interamente nelle mani dei Borletti. 22 Il limite di rischio venne fissato a 200 milioni di lire per il 1927-28 e per il 1928-29, con un massimo di credito di 100 milioni per ciascun Paese, con un premio del 4% annuo per le garanzie, per poi essere elevato a 120 milioni nel 1930, a 350 milioni nel 1931 e ridotto a 200 milioni nel 1933. 23 Ibidem, p. 335. La garanzia statale riguardava automobili, aeroplani, navi, cuscinetti a sfera, materiale elettrico, prodotti chimici e macchine industriali, e ne restavano quindi esclusi tutti i prodotti di consumo, a partire da quelli tessili. Quanto alla Fiat, Agnelli non si era limitato ad uscire dal novero degli azionisti, ma si era assicurato anche la collaborazione di Domenico Anghileri, che, sia pur “a malincuore”, aveva lasciato la CICE per diventare il rappresentante ufficiale della Fiat e della RIV in URSS. E quanto fosse preziosa la sua presenza, non foss’altro che per la padronanza della lingua e per la sua ormai lunga esperienza nel trattare con il Commissariato per il Commercio Estero sovietico, divenne evidente nel quinquennio successivo, giacché non solo Anghileri riuscì ad ottenere ordini per automobili ed autocarri Fiat e SPA, nonché ad assicurare alla RIV nel 1929 ordini che coprivano il 60% della produzione di cuscinetti a sfera, ma elaborò insieme ai russi il piano per affidare alla stessa RIV la costruzione a Mosca del I G.P.Z., la “Prima Fabbrica Statale di Cuscinetti a Sfere”, una delle opere più significative del I piano quinquennale, destinata a produrre 24 milioni di pezzi l’anno, di 120 tipi diversi. Anghileri lasciò Mosca nel marzo 1931, cogliendo i segnali che definivano i vari “uomini d’affari” stranieri installatisi in U.R.S.S. come “sgraditi”24. A partire da quell’anno, ordini e commesse erano ormai saldamente in mano al Commissariato per il Commercio Estero ed alla Rappresentanza commerciale sovietica in Italia e vennero indirizzati chiaramente in due direzioni: l’acquisto di materiale aeronautico (tra cui spiccano le decine di idrovolanti S-62 bis acquistati dalla SIAI tra il 1930 ed il 1933 e i motori acquistati dalla Isotta Fraschini) e la stipula di contratti per collaborazioni tecniche, trattando direttamente in Italia con le maggiori imprese meccaniche e cantieristiche. D’altronde, a partire dal 1931, mentre le esportazioni di prodotti italiani verso l’U.R.S.S. declinavano e si diradavano le “visite” di esponenti industriali italiani e dei loro rappresentanti, si apriva invece il campo della collaborazione tecnica tra i due Paesi. I casi più famosi riguardano, appunto, la consulenza della RIV per la costruzione della fabbrica di cuscinetti a sfera e la consulenza affidata allo studio dell’ing. Angelo Omodeo per i problemi di irrigazione, bonifica e produzione di energia25. Il primo contratto venne concluso il 22 maggio 1930 ed ebbe termine il 22 maggio 1935, ma lo stabilimento fu inaugurato il 29 marzo 1932, quando la produzione era ancora di soli 125 pezzi al giorno, mentre la consulenza 24 Cfr. Archivio Franco Marinotti, Serie Miscellanea, f. 6, La storia del nonno Domenico. Autobiografia di Domenico Anghileri. Anghileri, peraltro, aveva dovuto “sudare sette camice” per convincere Agnelli ed il suo staff a correre il rischio di impiantare lo stabilimento di cuscinetti a sfera. 25 Marcella Cecchini, Due missioni tecniche italiane in URSS 1930-1936, in «Storia Contemporanea», a.XVIII (1987), n. 4, pp. 731-765 Omodeo sembra essere uno dei pochi risultati raggiunti dal famoso viaggio in U.R.S.S. organizzato dalla Confindustria, cui parteciparono rappresentanti di enti finanziari dello Stato, delle maggiori banche, di cantieri marittimi e aeronautici, oltre a Giovanni Agnelli, Adriano Olivetti e lo stesso Omodeo, una “missione economica” di cui era a capo Felice Guarneri e che durò circa un mese, dal 17 giugno al 13 luglio 193126. Omodeo, che non era rientrato in Italia al termine della missione, inviò poi in Russia il genero, Claudio Marcello, nell’ottobre dello stesso anno, a capo di uno staff di ingegneri suddiviso in due diversi uffici, uno presso il Narkomzen, che si occupava di irrigazioni e bonifiche, e l’altro presso l’Energocentr, per il campo idroelettrico. La consulenza, che prevedeva la presentazione da parte dello staff di Omodeo di numerosi progetti che vennero poi, almeno in parte, realizzati, come la diga di Kamysin sul Volga, si concluse tra il 1936 ed il 1937. Sempre nello stesso periodo, tra il 1931 ed il 1936, i sovietici si assicurarono la consulenza del generale Umberto Nobile, peraltro caduto in disgrazia dopo la tragedia del dirigibile “Italia” nel tentativo di sorvolare il Polo, per impiantare un primo grande cantiere di costruzione di dirigibili nei dintorni di Mosca, con allegata una scuola-piloti27. L’interscambio commerciale italo-russo, già fortemente ridotto nel 193334, sarebbe crollato a partire dal 1935 e nel 1938 era ormai ridotto a circa 5 milioni di lire. Anche la composizione era cambiata ed i sovietici acquistavano in larga misura materiali da guerra: due navi militari dall’Ansaldo nel 1934, mitragliere da 20 mm Scotti dalla Isotta Fraschini nel 1935 e, infine, l’esploratore veloce Tashkent, ordinato alla Odero-Terni-Orlando di Livorno nel 1937 e consegnato nel maggio 193928, mentre la proposta dell’Ansaldo di fornire un carro armato C.V. 33 all’Unione Sovietica, in vista della possibile cessione della licenza di fabbricazione o quanto meno 26 Luciano Zani, Introduzione, in Felice Guarneri, Battaglie economiche tra le due guerre, Bologna, Il Mulino, 1988 27 Luciano Zani, Fra due totalitarismi. Umberto Nobile e l’Unione Sovietica (19311936), in «Quaderni di Ricerca del Dipartimento Innovazione e Società», Università degli Studi di Roma La Sapienza, n. 1, 2005. Nobile, dopo aver costruito un dirigibile, il V6, da 18.500 mc e due da 9.500, rientrò in Italia alla fine del 1936, mentre il V6 si schiantò, esplodendo, contro il fianco di una montagna il 5 febbraio 1938, ponendo fine all’avventura russa con i dirigibili. 28 Sulle costruzioni navali militari italiane per l’estero, cfr. Andrea Filippo Saba, L’imperialismo opportunista. Politica estera italiana e industria degli armamenti (1919-1941), Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 2001 dell’acquisto di almeno venti unità, avanzata nel luglio 1936, non venne autorizzata dal Ministero della Guerra29. Non stupisce, quindi, che, fatta eccezione per i soliti giornalisti, gran parte delle “testimonianze” italiane sulla realtà della pianificazione sovietica nella prima metà degli anni Trenta siano dovute, principalmente, ai “tecnici”, ed in particolare agli ingegneri, coinvolti nelle realizzazioni industriali, mentre per rendere ragione delle valutazioni dei principali esponenti dell’industria italiana, è giocoforza accontentarsi di quanto ritennero opportuno pubblicare, nel secondo dopoguerra, Felice Guarneri ed Ettore Conti. Guarneri, che aveva guidato la missione economica italiana in URSS nell’estate 1931, si era poi incaricato di riassumere in un documento di sintesi le 13 relazioni di settore degli altri membri, dai cui giudizi trapelava peraltro un «fondo pessimista», concludendo con un invito alla «maggiore prudenza nelle previsioni» che anticipava, in qualche misura, la disillusione in ordine alle reali opportunità offerte dal mercato sovietico e la proposta, avanzata dallo stesso Guarneri pochi mesi dopo, di ricorrere, unicamente nel caso della Russia, al sistema degli scambi bilanciati, «dato che non possiamo continuare a pagare tranquillamente le merci che importiamo senza pretendere che ci vengano regolarmente pagate quelle che esportiamo»30. Ben lungi dal temere un’improbabile concorrenza dei prodotti industriali sovietici, il futuro dittatore delle valute puntava il dito su quegli elementi di squilibrio della bilancia commerciale che avrebbero infine portato, nel 1936, alla rottura delle trattative per il rinnovo del trattato commerciale con l’U.R.S.S.31. Quanto alle impressioni personali di Guarneri in ordine al piano quinquennale e al «gran rumore» che suscitava, non parevano certo improntate a «grandi paure» né ai toni sprezzanti di parecchi osservatori, giacché «la grandiosità e la serietà [dello sforzo di industrializzazione] apparivano evidenti anche all’occhio del profano», sforzo accompagnato però da una altrettanto grandiosa propaganda «che ti attanagliava in ogni ora del giorno e non ti dava respiro»32. 29 Diana Shendrikova, I rapporti italo-russi nella prima metà' del Novecento, Geopolitica.it, 4.9.2012 30 Cfr. in proposito Luciano Zani, Introduzione, in Felice Guarneri, Battaglie economiche … cit., pp. 36-39. 31 Ibidem, pp. 623-624 32 Ibidem, pp. 104-106. Guarneri ne aveva riportato «la visione di un mondo che, a prezzo di errori e di sperperi, di immensi dolori e sacrifici, era avviato verso una profonda trasformazione.[…] Un mondo che, valendosi del sussidio della più progredita tecnica americana, tedesca e anche italiana […] tentava di scavalcare ogni fase Quanto ad Ettore Conti, protagonista delle trattative con Cicerin e Krassin alla Conferenza di Genova nel 1922 e quindi, in qualità di Presidente dell’A.G.I.P., della stipula di un corposo contratto di forniture petrolifere russe nel 192633, egli visitò, insieme alla moglie Gianna, Leningrado e Mosca, tra la fine di agosto e la metà di settembre del 1932, come semplice “turista”, per «cavar[si] il gusto del giramondo, cioè il piacere e la fatica di imparare dagli uomini e di ammirare la natura». Pur sostenendo di voler stare «in guardia nell’interpretazione di fenomeni indecisi, allenando[si] a quella imparzialità senza della quale ogni giudizio è infirmato», le impressioni che Conti riporta della «civiltà emergente dai conclamati piani quinquennali», ripropongono, quasi pedestremente, immagini e valutazioni così spesso ripetute dalla pubblicistica fascista del tempo da risultare chiaramente banali, talché lo stesso Conti le riassume «in tre parole: miseria, rassegnazione, monotonia», per poi aggiungere che «tuttavia, malgrado le lunghe code che si debbono fare per ottenere pochi alimenti o merci di prima necessità; malgrado la scarsità del vestiario e la sua uniforme bruttezza, e le sofferenze di ogni genere, il popolo non sembra infelice»34. Quanto ai possibili esiti della “Platilekta”, che gli furono «ampiamente illustrati» nel corso di un incontro con il capo della Gosbank, Conti si mostrava decisamente scettico in ordine al temuto “dumping” russo, che gli pareva «un pericolo molto lontano», però «con un regime disposto a sacrificare l’attuale generazione, ed un popolo rassegnato a sopportare privazioni e sacrifici; con un paese grande come un continente e ricco di nafta, di carbone, di forze idrauliche, di ferro, di cotone, di manganese e perfino di oro e di platino, grandi progressi industriali si sono fatti, grandissimi si faranno», per poi concluderne che i sovietici «dovranno per forza adattarsi, sia pure per gradi, ad introdurre delle modificazioni di carattere politico od amministrativo che mettano di nuovo in gioco l’interesse individuale, altrimenti, una volta assicurato il pane quotidiano, nessuno vorrà seccarsi a sopportare delle nuove fatiche»35. intermedia nel processo di industrializzazione e di realizzare di colpo in ogni settore impianti che fossero “i più grandi del mondo”, un po’ per inesperienza, e quasi vorrei dire per infantilismo, un po’ perché così richiedeva la mistica del regime il quale, a calmare le ansie e a sostenere lo sforzo di un popolo lungamente e duramente provato e in preda a un evidente stato di diffusa miseria […] tendeva ad alimentare le speranze e anzi infondere la certezza di un domani felice» 33 Cfr. Ettore Conti, Dal taccuino di un borghese, Milano, Garzanti, 1946, pp. 181-189. 34 Ibidem, p. 317. 35 Ibidem, pp. 313-321. Conclusione inevitabile, provenendo, per l’appunto, dal Taccuino di un borghese, peraltro, com’è noto, ampiamente rimaneggiato col “senno di poi” dallo stesso autore! ISSN 1825-0211 QUADERNI DEL DIPARTIMENTO DI ECONOMIA, FINANZA E STATISTICA Università degli Studi di Perugia Quaderni pubblicati nel 2012 101 Febbraio 2012 Carlo Andrea BOLLINO Gianfranco DI VAIO Paolo POLINORI 102 Marzo 2012 Massimiliano DEIDDA 103 Agosto 2012 Ana RINCON Michela VECCHI Francesco VENTURINI Davide CASTELLANI Valentina MELICIANI Loredana MIRRA David ARISTEI Manuela GALLO 104 Settembre 2012 105 Settembre 2012 106 Ottobre 2012 107 Ottobre 2012 108 Ottobre 2012 109 Ottobre 2012 110 Ottobre 2012 111 Novembre 2012 112 Dicembre 2012 Spillover ed eterogeneità spaziali nei livelli d’efficienza delle amministrazioni locali: un’applicazione ai comuni dell’Emilia Romagna 2000-2010, the decade that led to the employment decline in Europe ICT spillovers, absorptive capacity and productivity performance The determinants of inward foreign direct investment in business services across european regions The Drivers of Household OverIndebtedness and Delinquency on Mortgage Loans: Evidence from Italian Microdata Andrea CAPOTORTI On an implicit assessment of fuzzy Gianna FIGÀ-TALAMANCA volatility in the Black and Scholes environment David ARISTEI Interest Rate Pass-Through in the Euro Manuela GALLO Area during the Financial Crisis: a Multivariate Regime-Switching Approach Simona BIGERNA Electricity demand in wholesale italian Carlo Andrea BOLLINO market Francesca CECCACCI La conoscenza collettiva e il web: le Paola DE SALVO Online Knowledge Communities Giovanna DEVETAG Flavio ANGELINI Delta Hedging in Discrete Time under Stefano HERZEL Stochastic Interest Rate Mirella DAMIANI Labour Shares and Employment Fabrizio POMPEI Protection in European Economies Andrea RICCI Fabrizio LUCIANI Bisogni contro utilità: un’interpretazione Stefano ZAMBERLAN bioeconomica della crisi Quaderni pubblicati nel 2013 113 Gennaio 2013 Misbah TANVEER Choudhry 114 Gennaio 2013 Carlo Andrea BOLLINO Davide CIFERRI Paolo POLINORI I Age Dependency and Labor Productivity Divergence Integration and convergence in European electricity markets 115 Gennaio 2013 Slawomir I. BUKOWSKI 116 Aprile 2013 Mirella DAMIANI Andrea RICCI 117 Maggio 2013 Elena STANGHELLINI Eduwin PAKPAHAN 118 Luglio 2013 Costi impliciti e profilo rischioconvenienza di prodotti finanziari illiquidi 119 Settembre 2013 Flavio ANGELINI Stefano HERZEL Marco NICOLOSI Katrin OLAFSDOTTIR 120 Settembre 2013 Elena VAKULENKO Labour Market Analysis using Time Series Models: Russia 1999-2011 121 Ottobre 2013 122 Ottobre 2013 Simona BIGERNA Carlo Andrea BOLLINO Flavio ANGELINI 123 Novembre 2013 Amedeo ARGENTIERO Carlo Andrea BOLLINO 124 Novembre 2013 125 Dicembre 2013 Mirella DAMIANI Fabrizio POMPEI Andrea RICCI Antonio BOGGIA Fabrizio LUCIANI Gianluca MASSEI Luisa PAOLOTTI Lucia ROCCHI Tommaso SEDIARI Anna Maria FALCHERO Hourly Electricity Demand in Italian Market La vera storia di XS0189741001 Sul VaR di una obbligazione Lehman a tasso variabile The measurement of underground economy: a dynamic-simulation based approach Wages and Labour Productivity: the role of performance-related pay in Italian firms 126 Dicembre 2013 II The Degree of the Polish and Slovak Equity Market Integration with the Euro Area Equity Market The role of education of entrepreneurs on adoption of different contingent pay schemes: evidence from Italian firms Identification of casual effects in linear models beyond Instrumental Variables Efficiency of Collective Bargaining in the Public Sector: a Natural Experiment An evaluation of climate change effects on agricultural systems: the case of Trasimeno Lake Il commercio italo sovietico e gli uomini d’affari italiani nella Russia dei piani quinquennali