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ISSN 1825-0211
IL COMMERCIO ITALO SOVIETICO E GLI UOMINI
D’AFFARI ITALIANI NELLA RUSSIA DEI PIANI
QUINQUENNALI
Anna Maria FALCHERO
Quaderno n. 126 — Dicembre 2013
QUADERNI DEL DIPARTIMENTO
DI ECONOMIA, FINANZA
E STATISTICA
IL COMMERCIO ITALO SOVIETICO E GLI UOMINI
D’AFFARI ITALIANI NELLA RUSSIA DEI PIANI
QUINQUENNALI
Anna Maria FALCHERO1
Riassunto
L’intervento ripercorre sinteticamente le “impressioni” ed i giudizi espressi dagli uomini d’affari italiani
nei loro viaggi in Unione Sovietica dopo l’avvio dei Piani quinquennali, alla luce sia della pubblicistica
fascista dell’epoca che dell’andamento e delle problematiche connesse all’interscambio commerciale tra
Italia e Russia nel corso degli anni Trenta.
Abstract
The essay is a brief recollection of “impressions” and evaluations by Italian businessmen voyaging in
Sovietic Union after the engagement of the “Platilekta”, considering both the fascist journalistic
publications in the period and the problematic trend of Italo-Russian commercial trade during the
Thirties.
Atti del II Convegno “Viaggio in Italia – Viaggio in Russia”, Università Statale di
Mosca, 27-28 marzo 2013, editi dall’Istituto Italiano di Cultura a Mosca, di prossima
pubblicazione (in italiano e in lingua russa)
1
Department of Economics, University of Perugia – email: [email protected]
Il commercio italo sovietico e gli uomini d’affari italiani
nella Russia dei piani quinquennali
Anna Maria Falchero
Sulla natura e sugli esiti effettivi del primo piano quinquennale sovietico
vennero versati, in Italia (ma non solo), fiumi d’inchiostro: com’è noto, uno
stuolo di giornalisti, “osservatori” di vario genere, tecnici e ingegneri,
nonché, ovviamente, politici ed economisti, più o meno ardentemente
fascisti, si dedicò, nel corso della prima metà degli anni Trenta, all’improbo
compito di descrivere e, ovviamente, commentare, con diversi gradi di
ferocia critica, la sconvolgente novità rappresentata dalla pianificazione
sovietica, giungendo peraltro, in maniera pressoché unanime, alla scontata
conclusione che, nonostante gli immani sforzi del popolo russo, il
bolscevismo era destinato certamente a fallire, magari “evolvendosi” in
fascismo o, più prosaicamente, adottando le immarcescibili regole
capitalistiche, mentre dal canto suo il fascismo rappresentava l’autentica
“rivoluzione” antiborghese.
Non c’è spazio, in queste brevi note, per inoltrarsi nei meandri delle diverse
sfumature che connotavano i resoconti dei numerosi e variegati
“viaggiatori”, per le quali rimandiamo ai più approfonditi, e di gran lunga
più documentati, lavori di studiosi delle relazioni internazionali1.
Ci limitiamo, quindi, a sottolineare come le scarne (e decisamente scarse)
annotazioni pervenute da alcuni dei pur numerosi industriali e uomini
d’affari interessati allo sviluppo delle relazioni commerciali italosovietiche, non si discostino dal “coro”, pur non condividendo affatto le
1
Per una breve rassegna, non del tutto esaustiva, cfr. Rosaria Quartararo, Roma e
Mosca. L’immagine dell’URSS nella stampa fascista (1925-1935), in «Storia
Contemporanea», a. XXVII, n. 3, 1996, pp. 447-472, Roberto Romani, Il piano
quinquennale sovietico nel dibattito corporativo italiano. 1928-1936, in «Italia
contemporanea», n. 155, 1984, pp. 27-41, Giorgio Petracchi, “Il colosso dai piedi
d’argilla”: l’URSS nell’immagine del fascismo, in Ennio Di Nolfo, Romani H. Rainero,
Brunello Vigezzi (a cura di), L’Italia e la politica di potenza in Europa (1938-40),
Marzorati Editore, Milano, 1985, e, dello stesso autore, Roma e/o Mosca. Il fascismo di
fronte allo specchio, in Totalitarismo e totalitarismi, Marsilio, Venezia, 2003, pp.3-36,
nonché Pier Luigi Bassignana, Fascisti nel paese dei Soviet, Bollati Boringhieri, Torino,
2000. Tra le “testimonianze” più citate, Ettore Lo Gatto, URSS 1931. Vita quotidiana –
Piano quinquennale, Anonima Romana Ed., Roma, 1932, Pietro Maria Bardi, Un
fascista al paese dei Soviet, Le Edizioni d’Italia, Roma, 1933, Renzo Bertoni, Il trionfo
del fascismo nell’URSS, Tip. Operaia romana, Roma, 1934 e Gaetano Ciocca, Giudizio
sul bolscevismo, Bompiani, Milano, 1933, mentre minore attenzione sembra destinata al
più equilibrato volume di Rodolfo Mosca, Russia 1932, Agnelli, Milano, 1932.
catastrofiche previsioni di alcuni osservatori in ordine ad un possibile,
esiziale dumping sovietico che avrebbe “asservito economicamente
l’Europa” soffocandola “in una morsa di concorrenza industriale senza
salvezza”2.
D’altronde, a determinare l’atteggiamento e le valutazioni del mondo
industriale italiano nei confronti della pianificazione sovietica, non erano
certamente tanto le “impressioni” raccolte nel corso di qualche visita, che
pure non era mancata, in URSS, quanto le più prosaiche e concrete cifre del
commercio italo-russo.
Riteniamo opportuno ripercorrere, sulle orme di un pregevole saggio
pubblicato quasi un ventennio orsono3, le altalenanti e ondivaghe vicende
dell’interscambio commerciale tra i due Paesi, la cui unica “costante”
sembra costituita, come risulta evidente dalle tabelle 1 e 1a, da rapporti
commerciali “sbilanciati” da un più o meno accentuato surplus di
esportazioni sovietiche in Italia, il che non rappresentava una novità, dal
momento che lo scarso interscambio commerciale con la Russia zarista tra
il 1900 ed il 1915 mostrava lo stesso andamento, anche se il disavanzo era
in realtà inferiore a quello apparente perché parte delle esportazioni
italiane, effettuate tramite Germania ed Austria, non figuravano nelle
statistiche ufficiali.
Al contrario, dopo il 1924 il disavanzo risulta sottostimato, giacché
l’importazione italiana di petrolio dall’URSS era decisamente superiore a
quanto riportato dalla statistiche ufficiali, in cui non erano considerate le
importazioni della Marina militare italiana, che rappresentavano tra il 30 ed
il 50% del totale delle importazioni di petrolio ed olii lubrificanti.
L’Italia era al 21esimo (ultimo) posto tra i fornitori dell’URSS, e contava
solo per lo 0,4% delle importazioni sovietiche nel 1924. I sovietici,
2
Tra i sostenitori di tale ipotesi ricordiamo in particolare Mario Sertoli, La crisi in
Russia e il piano industriale, in «Nuova Antologia», n. 362 (16 luglio 1932), pp. 234254 e Idem, Il piano quinquennale è finito, in «Nuova Antologia», n. 370 (16 novembre
1933), pp. 273-281, nonché Carlo Costamagna, Per un piano quinquennale europeo.
(La marca orientale), in «Lo Stato», 1932, p.453. Un ben più pacato accenno alla
possibilità che l’URSS potesse, in futuro, mettersi in grado di esportare prodotti
industriali e di ricorrere al dumping, specialmente su filati e tessuti, venne avanzata
anche dall’economista liberista Giorgio Mortara, recatosi in Russia nel 1930. Cfr.
Giorgio Mortara, Impressioni sull’economia sovietica, in «Rivista bancaria», 1930, pp.
885-894.
3
Ira A. Glazier e Vladimir Bandera, Italian-Soviet Trade during the interwar years:
Some Insights from the Past, in Ilaria Zilli (a cura di), Fra spazio e tempo. Studi in
onore di Luigi De Rosa. Il Novecento, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 1995, pp.
293-339.
peraltro, erano larghi esportatori in Italia, che figurava per circa il 4,1% del
totale delle esportazioni russe4.
Tra il 1924 ed il 1926, dopo un periodo di contatti preliminari che
iniziarono nel 1920 e si conclusero con il Trattato Italo-sovietico del 7
febbraio 1924, il commercio italo-russo, in cui un ruolo importante spettava
alla Compagnia Italiana Commercio Estero (CICE), che rappresentava un
numero consistente di grandi imprese italiane5, segnava una netta
espansione, seguita da un collasso, tra il 1927 ed il 1928, dovuto sia a
speculazioni, inflazione e bilancia commerciale russa in deficit che alla
rivalutazione della lira e al cambio di politica monetaria dell’Italia, che,
oltre ad attuare una stretta creditizia, tentava di bilanciare il proprio
commercio estero stimolando le esportazioni e riducendo le importazioni
per stabilizzare la moneta.
All’avvio del primo piano quinquennale sovietico, nel tratteggiare il
bilancio del commercio italo russo per il quinquennio 1923-1928, l’ex
amministratore delegato dell’ormai decotta CICE, Franco Marinotti, che
forniva peraltro cifre abissalmente inferiori a quelle riportate nelle tabelle,
sottolineava non solo che le esportazioni italiane nell’URSS risultavano
«molto al di sotto di quanto era dato sperare dopo la definizione del trattato
di commercio»6, ma anche, se non soprattutto, che, in base ai piani
4
Ibidem. Secondo i calcoli degli autori, le esportazioni italiane in Russia nel periodo
pre-bellico variavano da 6,4 a 11,5 milioni di dollari. Erano tra 5,4 e 2,5 milioni nel
1919-1920; meno di un milione tra 1921 e 1924; 2,6 milioni nel 1925; 1,5 milioni nel
1926-1927; meno di 1 milione nel 1928 e ripresero grazie alle garanzie di Stato alle
esportazioni a 13,9 e 12,2 milioni di dollari nel 1931-1932. Il valore delle esportazioni
russe fluttuava tra 36 e 50 milioni di dollari nel 1923-1927; tra 11,7 e 29 milioni nel
1927-1930 e scese a 17 milioni nel 1932. Il deficit della bilancia commerciale italiana
con l’URSS fluttuò tra 28,7 e 40,6 milioni di dollari prima della guerra. Declinò a 23,7
milioni nel 1930, a 14,4 milioni nel 1931 e cadde a 5 milioni di dollari nel 1932.
5
Valerio Castronovo e Anna Maria Falchero, L’avventura di Franco Marinotti.
Impresa, finanza e politica nella vita di un capitano d’industria, Christian Marinotti
Edizioni, Milano, 2008, cap. I e la documentazione citata nelle relative note, in
particolare il dattiloscritto di Valerji P. Ljubin, Il ruolo di Franco Marinotti e della
Società Cice nel rinnovamento e sviluppo dei rapporti economico-commerciali fra
l’Italia e la Russia negli anni ’20.
6
Stando all’accurata analisi di Franco Marinotti, nel 1913 le importazioni italiane dalla
Russia ammontavano a 73,8 milioni di rubli, mentre le esportazioni italiane
ammontavano a 16,8 milioni di rubli. Nell’intero quinquennio 1923-1928 le
importazioni italiane ammontavano a 127,7 milioni di rubli e le esportazioni a 39,8.
Queste ultime «per l’esercizio 1923-24 […] raggiungono l’8,5% del totale degli scambi
italo-russi; per l’esercizio 1924-25 salgono al 33,7% e arrivano al cospicuo valore del
69,2% nel 1925-26. Nel successivo esercizio la caduta è fortissima, toccandosi l’8,4%;
ma nel 1927-28 le nostre esportazioni risalgono al 26,7% del valore globale degli
scambi italo-russi». Cfr. F. M. (Franco Marinotti), Il commercio estero della Repubblica
elaborati dal Consiglio dell’Economia dell’U.R.S.S. per lo sviluppo del
commercio sovietico, «le possibilità di rifornimento dall’Italia [esistessero]
in misura considerevole»7, ma «solo l’unione delle forze produttrici e
finanziarie nazionali [poteva] permettere una ripresa di regolare lavoro con
l’U.R.S.S.»8.
E in effetti, almeno per un breve periodo, tra il 1929 ed il 1932, le cifre
complessive riferite all’interscambio commerciale tra i due Paesi
aumentarono in misura considerevole, grazie, come vedremo, ad un sistema
di crediti con cui l’Italia finanziò l’esportazione verso l’URSS, ma
declinarono bruscamente a partire dal 1933, con la firma del nuovo trattato
commerciale, per poi collassare a partire dal 1936, quando il Ministro degli
affari esteri, Costanzo Ciano, ruppe le trattative per il rinnovo del trattato di
commercio con i sovietici, ritenendo inaccettabile il mantenimento di un
largo margine di surplus della bilancia commerciale a favore dell’URSS9.
Tabella 1. Importazioni ed esportazioni italiane in URSS (milioni di lire)
Importazioni
Esportazioni
Bilancia
1924
161,000
14,000
-147,000
1925
145,470
66,475
-78,995
1926
325,767
37,193
-288,574
1927
340,590
32,527
-308,063
1928
222,693
84,014
-138,679
1929
340,449
70,611
-269,838
dei Soviet e la posizione dell'Italia, in «Nuova Antologia», n. 347 (1 febbraio 1930),
pp. 374-383.
7
Ibidem, p. 377. Secondo le previsioni del piano quinquennale, scriveva Marinotti, «le
esportazioni, nell’esercizio 1932-33 dovrebbero salire a rubli 2.047 milioni divisi quasi
in egual misura tra prodotti agricoli e merci di provenienza industriale; le importazioni
dovrebbero salire a rubli 1.705 milioni, divise circa per un miliardo in sole installazioni
tecniche, un altro mezzo miliardo nell’acquisto di materie prime per i bisogni
dell’industria, il resto in merci di consumo corrente. E’ da notare che mentre tali merci
nel decorso esercizio non figurarono che per circa 70 milioni di rubli, dovrebbero
oltrepassare largamente i duecento milioni fra quattro anni, sempre secondo le
previsioni del “Gosplan”. Di più, il quinquennio 1928-29, 1932-33 dovrebbe chiudersi
con un saldo attivo di circa 800 milioni di rubli, e questo sopra un commercio estero
complessivo di 13 miliardi di rubli.»
8
Ibidem, pp. 380-381. «Se questa unione che già esisteva» - proseguiva Marinotti
riferendosi chiaramente alla CICE, senza mai peraltro nominarla - «debba aver oggi
nuova forma e più alta guida, ciò non ha importanza, l’essenziale è che si crei una
disciplina per le negoziazioni con l’U.R.S.S..»
9
Stando al citato lavoro di Ira A. Glazier e Vladimir Bandera, oltre 1 miliardo di lire in
crediti all’esportazione vennero garantiti ai sovietici tra il 1930 ed il 1936, contribuendo
ad alleviare i problemi della bilancia dei pagamenti russa.
1930
1931
1932
1933
1934
1935
1936
1937
1938
553,589
561,275
333,484
225,479
221,133
184,328
154,853
100,000
6,800
102,045
275,665
237,000
124,947
124,013
55,858
9,157
9,500
5,000
-451,544
-285,610
-96,484
-100,532
-97,120
-128,470
-145,696
-90,500
-1,800
Fonte: Direzione Generale delle Dogane e delle Imposte Indirette, Movimento
Commerciale del regno d’Italia 1924-1938, Roma, 1924-1938
Tabella 1a. Importazioni ed esportazioni italiane in URSS (milioni di
rubli)
Importazioni
Esportazioni
Bilancia
1913
73,8
16,8
-57,0
1924
53,8
18,3
-35,5
1925
116,7
81,1
-35,6
1926
131,2
11,5
-119,7
1927
90,0
32,1
-57,9
1928
30,0
7,1
-22,9
1929
114,5
26,7
-87,8
1930
185,2
37,6
-147,6
1931
138,5
103,7
-34,8
1932
94,2
94,6
0,4
1933
77,5
58,9
-18,6
1934
66,3
41,2
-25,1
1935
44,9
19,7
-25,2
1936
33,8
4,6
-29,2
1937
12,5
2,3
-10,2
1938
0,2
0,2
Fonte: Ira A. Glazier e Vladimir Bandera, Italian-Soviet Trade during the interwar
years: Some Insights from the Past, in Ilaria Zilli (a cura di), Fra spazio e tempo. Studi
in onore di Luigi De Rosa. Il Novecento, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 1995, p.
299 e, per il 1913, F. M. (Franco Marinotti), Il commercio estero della Repubblica dei
Soviet e la posizione dell'Italia, in «Nuova Antologia», n. 347 (1 febbraio 1930), p. 378
Quanto alla tipologia di merci scambiate, questa variò in misura notevole,
come risulta dalle Tabelle 2 e 3.
Tabella 2. Composizione delle importazioni italiane dall’URSS (milioni di lire)
Totale
1925
145,47
1926
325,77
1927
340,54
1928
222,69
1929
340,45
1930
553,59
1931
561,27
1932
333,48
1933
225,48
1934
1935
1936
221,13 184,33 154,80
Prodotti
Agricoli
% totale
Grano
Petrolio
e derivati
% totale
Altre materie
prime
% totale
28,72
19,74
24,02
157,94
48,48
145,14
187,32
35,00
172,78
58,41
26,22
0,817
90,19
26,99
-
268,97
48,58
216,62
276,63
44,28
223,95
119,16
35,73
86,53
92,62
18,90
25,20
37,54
16,97
13,24
11,79
8,87
--
0,56
0,36
0
52,04
35,77
113,52
34,84
120,87
35,44
109,90
39,34
148,18
43,52
172,22
31,47
145,99
26,01
89,92
26,96
67,34
29,86
58,71
25,56
---
44,51
28,74
34,70
23,37
48,09
14,76
23,43
6,88
38,42
17,25
94,65
27,80
63,30
11,42
64,17
11,43
46,65
13,98
57,83
51,34
65,85
29,77
19,70
10,67
73,29
47,33
Fonte: Direzione Generale delle Dogane e delle Imposte Indirette, Movimento Commerciale del regno d’Italia 1924-1938, Roma,
1924-1938
Tabella 3. Composizione delle esportazioni italiane in URSS (milioni di lire)
1925
66,47
1926
37,19
1927
32,53
1928
84,01
1929
70,61
1930
102,04
1931
275,66
1932
237,00
1933
124,95
1934
124,01
1935
55,85
1936
9,16
Prodotti
Alimentari
% totale
2,78
4,19
1,06
2,86
8,04
24,7
7,81
9,29
6,03
8,53
2,59
2,53
0,34
0,14
0,12
0
1,49
1,19
3,18
2,56
0,81
1,45
1,30
14,19
Manufatti e
Macchinari
% totale
58,40
87,85
16,18
43,50
11,55
35,65
50,50
60,10
34,48
48,82
77,27
75,74
229,73
80,40
197,94
83,51
93,12
74,53
76,46
61,65
52,38
93,78
6,72
73,40
5,25
7,90
9,12
48,72
10,20
31,34
24,59
29,26
25,90
36,00
19,42
19,03
42,00
15,26
37,05
15,63
20,46
16,31
28,02
16,10
1,76
3,5
1,06
11,59
Totale
Altri prodotti
% totale
Fonte: Direzione Generale delle Dogane e delle Imposte Indirette, Movimento Commerciale del regno d’Italia 1924-1938, Roma,
1924-1938
Prima del 1915 il commercio italo russo appariva non solo fortemente
sbilanciato in favore della Russia, ma anche poco diversificato: l’80% delle
importazioni italiane era costituito da frumento mentre le esportazioni
consistevano essenzialmente in seta greggia (80%), zolfo e agrumi,
Nel dopoguerra, il commercio con la Russia sovietica appare molto più
diversificato, anche se i cereali continuano a figurare per cifre importanti:
tra il 1923 ed il 1929 aumentarono le importazioni italiane di petrolio,
manganese e carbone che nel 1930-1932 rappresentavano, insieme al
grano, le principali voci di importazione. Anche le esportazioni italiane
appaiono essenzialmente diverse: scomparsa del tutto la seta e ridotta la
percentuale degli agrumi, tra le voci principali comparvero, tra il 1921 ed il
1924, i tessuti di cotone, la automobili, i pellami, gli oli essenziali e lo
zolfo; dopo il 1928 automobili, zolfo e macchinari e nel 1931-1932
macchinari, parti meccaniche (75% delle esportazioni), alluminio, leghe
ferrose, navi mercantili e aeroplani.
L’impatto del primo piano quinquennale sovietico sull’interscambio
commerciale italo-russo appare evidente: alle importazioni russe di beni di
consumi e alimentari si sostituiscono quelle di prodotti destinati
all’industrializzazione. Senza contare le importazioni di “conoscenza
tecnica”, che nelle statistiche ovviamente non figurano se non per via
“trasversale” attraverso l’importazione di macchinari e di parti meccaniche.
In complesso, però, nonostante facesse registrare brevi momenti di
“boom”, il commercio italo-sovietico, tra le due guerre, di fatto non
mantenne mai le promesse né realizzò le ottimistiche aspettative di ambo i
lati.
Ad alimentare tali aspettative contribuivano considerazioni almeno
apparentemente condivise: se da un lato l’Italia aveva bisogno di trovare
mercati per la sua industria meccanica e per quella degli armamenti,
specialmente durante la grande depressione dei primi anni Trenta, ed era
alla ricerca di fonti di materie prime a buon mercato, quindi
comprensibilmente attratta dalla visione di vaste risorse ancora disponibili
in Unione Sovietica, dall’altro l’URSS era ansiosa di rompere l’isolamento
e di accedere alla tecnologia occidentale ed aveva necessità di beni
strumentali e di moderni armamenti, ma specialmente di acquistarli a buone
condizioni di credito.
Le ottimistiche prospettive in ordine ad un’espansione dell’interscambio
commerciale italo-russo, apertesi con la firma del Trattato Italo-sovietico
del 7 febbraio 1924 e rafforzate dalle “pragmatiche” prese di posizione di
Mussolini vennero però in larga misura disattese, ed alla vigilia del primo
piano quinquennale sia le esportazioni che le importazioni raggiungevano a
stento il 30% del pur scarso valore, in rubli, del 1913, anno in cui, peraltro,
le esportazioni russe in Italia erano costituite principalmente da frumento,
ed in base al quale erano state stipulate le clausole che impegnavano i
sovietici ad un minimo di acquisti in Italia pari al 30% del valore delle
importazioni italiane di frumento russo10.
L’andamento della produzione e delle esportazioni granarie russe, ridotti a
ben poca cosa nel quinquennio 1923-1928, aveva quindi contribuito a
ridimensionare notevolmente, rispetto alle previsioni, le corrispondenti
esportazioni italiane in Urss, mentre le importazioni italiane di petrolio e di
altre materie prime (non contemplate dal Trattato) cresceva a ritmi
imponenti11, ma il nodo cruciale, di fronte all’aumento previsto dal Gosplan
per il quinquennio successivo, era e, come vedremo, sarebbe rimasto,
quello finanziario.
10
Cfr. F. M. (Franco Marinotti), Il commercio estero della Repubblica dei Soviet … cit.,
pp. 378-379
11
Ibidem. Le esportazioni sovietiche di nafta verso l’Italia, che nel 1923-24
ammontavano a circa 42.500 tonnellate, poco più del 5,8% del totale esportato, nel
1926-27 raggiungevano le 537.500 tonnellate, il 26,4% degli oltre 2 milioni di
tonnellate esportate.
Infatti, se era pur vero che il commercio con l’Italia non aveva mai
costituito una priorità per i sovietici e che i loro agenti commerciali
seguivano la tradizionale preferenza russa per prodotti inglesi, tedeschi ed
americani di alta reputazione, finché rimasero accessibili, a risultare
determinante era l’incapacità degli industriali italiani a reperire crediti a
lungo termine per finanziare le importazioni di prodotti italiani da parte
della Russia12.
Non si trattava certo di una novità, per un capitalismo “straccione” come
quello italiano, ma al più dell’accentuazione di un problema costante nei
rapporti con la Russia, zarista o sovietica che fosse.
I settori più dinamici dell’industria italiana erano infatti già interessati al
mercato russo nel periodo prebellico: la Fiat, ad esempio, aveva dato vita
nel 1912 alla Società per azioni russa automobili Fiat, con sede in
Pietroburgo, in vista di consistenti ordinazioni di autocarri militari da parte
del Governo zarista, per poi concludere, nel 1916, un accordo di
collaborazione con la neonata AMO per la costruzione in Russia di
autocarri13, mentre un altro industriale e finanziere piemontese,
l’”immaginifico” Riccardo Gualino, rilevò una grande proprietà boschiva
dell’estensione di 20 mila ettari in Ucraina, destinata alla produzione di
legname per il mercato interno russo, nonché un vasto appezzamento di
terra in un quartiere semiperiferico di San Pietroburgo al fine di realizzare
la costruzione di un grande complesso residenziale, progetti entrambi
vanificati dal conflitto mondiale e dalla Rivoluzione d’ottobre14.
12
Ibidem. Marinotti sottolineava che «le condizioni pretese dai Russi non sono per nulla
in rapporto alle normali consuetudini commerciali. Esiste una scala di condizioni, che
varia a seconda dei prodotti, ma che parte da un minimo di sei mesi, e va sino ai cinque
anni. A copertura di questi crediti, i Russi rilasciano effetti spesso a quattro mesi, per
permettere al fornitore uno smobilizzo finanziario, ma con diritto al rinnovo, in base alle
reali scadenze pattuite. Per l’industria fornitrice, queste condizioni diventano spesso
insuperabili, specialmente nel nostro paese, dove esiste accanto a poche grandi
industrie, una categoria media di produttori, che potrebbero aspirare ad una notevole
parte nell’esportazione verso l’U.R.S.S., se le loro condizioni finanziarie o di
finanziamento da parte di terzi, lo consentissero.»
13
Cfr. Valerio Castronovo, Fiat 1899-1999. Una storia italiana, Rizzoli, Milano, 1999,
pp.119-124 e Duccio Bigazzi, Esportazione e investimenti esteri: la Fiat sul mercato
mondiale fino al 1940,, in Progetto Archivio Storico Fiat, Fiat 1899-1930. Storia e
documenti, Fabbri Editori, Milano, 1991, pp. 93-98
14
Cfr. in proposito Francesco Chiapparino, Gualino in Europa Orientale (1908-1915),
in D. Bigazzi, F. Rampini (a cura di), Imprenditori italiani nel mondo ieri e oggi, Libri
Scheiwiller, Milano, 1996, pp. 99-124 e Claudio Bermond, Riccardo Gualino finanziere
e imprenditore. Un protagonista dell’economia italiana del Novecento, Centro Studi
Piemontesi, Torino, 2005, pp. 25-28.
Al di là di tali iniziative, l’esportazione italiana verso la Russia zarista
risultava decisamente limitata, in parte per la scarsa conoscenza del
mercato e la mancanza di una struttura organizzativa commerciale, nonché
per le scarse e difficoltose condizioni dei trasporti, ma soprattutto per la
scarsa disponibilità di credito degli industriali italiani, incapaci di offrire
agli importatori russi le stesse facilitazioni creditizie dei concorrenti inglesi
e tedeschi15.
La soluzione, suggerita da più osservatori, sembrava la costituzione di una
Banca italo-russa per finanziare le esportazioni italiane.
Un primo progetto, che comportava grandiose prospettive di sviluppo del
settore elettrico, meccanico, automobilistico, tessile e petrolifero in Russia,
venne ipotizzato tra Giuseppe Volpi ed il finanziere Nikolaj Rafalovich
all’indomani della Rivoluzione di febbraio, per naufragare pochi mesi
dopo.
Sfumata, con la rivoluzione bolscevica, l’ipotesi del “grande affare” che
avrebbe dovuto coinvolgere buona parte delle grandi imprese italiane, i
grandi gruppi finanziario-industriali italiani si sarebbero mossi in ordine
sparso, dando vita a progetti diversi e spesso antitetici.
Tra il 1918 ed il 1921 si consumarono, infatti, sia il tentativo di
penetrazione nel Caucaso, incarnato dalla Banca Italo-caucasica, che faceva
capo alla Banca Italiana di Sconto16, sia la più modesta iniziativa del Banco
di Roma, la Banca Commerciale italo-russa per operazioni commerciali e
industriali in Russia e nelle regioni del bacino del Mar Nero17, sia gli
15
Giorgio Petracchi, La Russia rivoluzionaria nella politica italiana 1917-25, Laterza,
Roma-Bari, 1982, pp.196-206
16
Ivi, pp. 116-146. Sulle vicende relative alla penetrazione italiana nel Caucaso, si
vedano inoltre Richard Webster, Una speranza rinviata. L'espansione industriale
italiana e il problema del petrolio dopo la prima guerra mondiale, «Storia
Contemporanea», a. XI (1980), p. 219-281, Luigi De Matteo, Alla ricerca di materie
prime e nuovi mercati nella crisi postbellica. L’Italia e la Transcaucasia 1919-1921,
Napoli, 1990, Marta Petricioli, L'occupazione italiana del Caucaso: un ingrato servizio
da rendere a Londra, Milano, 1972 e Anna Maria Falchero, La Banca «Italianissima»
di Sconto tra guerra e dopoguerra (1914-1921), CRACE, 2012, pp. 178-195.
17
La Banca italo-russa venne fondata a Roma il 23 ottobre 1919, con un capitale di 3
milioni, da Giuseppe Vicentini (presidente), Angelo Belloni, Delfino Parodi, Secondo
Pennazio e Davide Brailowsky, consigliere d'amministrazione della società anonima
Commerciale e Industriale dell'Asia Occidentale (gli ultimi due amministratori
delegati), per svolgere esercizio di credito in generale e in particolare per operazioni
commerciali e industriali in Russia e nelle regioni del bacino del Mar Nero.
Strettamente legata al Sindacato industriale commerciale italo russo e al Sindacato
coloniale italiano, emanazione diretta del Banco di Roma, nel 1921 risultava presieduta
da Pennazio, e il barone Alberto Winspeare figurava tra i collaboratori, tuttavia l'istituto
risultava quasi inattivo e chiuse i battenti nel 1923.
accordi tra la Comit, il gruppo inglese capitanato da Alfred Nobel ed alcuni
capitalisti russi, che peraltro implicava l’appoggio alle “armate bianche” di
Denikin18.
Sta di fatto che, naufragati i vari progetti basati sulla convinzione che la
Rivoluzione bolscevica sarebbe stata rapidamente e facilmente sconfitta, a
partire dal 1921 i gruppi industriali e finanziari ancora vivamente
interessati al commercio con la Russia si accinsero a fare i conti con il
Governo sovietico e con le nuove limitazioni poste dalla nazionalizzazione
di tutte le attività economiche russe e, soprattutto, dal monopolio statale del
commercio estero.
Condizioni, entrambe, che subordinavano esplicitamente sia le
importazioni che le esportazioni russe alle considerazioni politiche del
Governo sovietico.
Inevitabilmente, pur partendo dal comune interesse per una pronta ripresa
degli scambi commerciali con l’URSS, che aveva portato tra l’altro alla
costituzione di un certo numero di organismi di vario genere 19, tra cui
18
La Società italiana per il Mar Nero venne fondata nel 1919 con il nome di Società
italo-russa per il Mar nero da un eterogeneo gruppo di imprenditori e promotori di
azioni internazionali a supporto della fazione rivoluzionaria bianca della Russia e dei
paesi confinanti con essa con l'avallo ufficiale del governo Nitti; il suo capitale, di 3
milioni di lire dell'epoca, fu fornito prevalentemente dalla Banca Commerciale Italiana.
Lo scopo principale era la fornitura di materiali militari, strategici e logistici in funzione
antisovietica in maniera similare a quanto veniva già fatto da parte di altre potenze
europee come Francia e Inghilterra. Non erano esclusi anche motivi di ritorno quali
interessi economici minerari e petroliferi e forniture industriali e ferroviarie. Nel 1920 la
società cambiò ragione sociale costituendosi come Società italiana per il Mar Nero. In
seguito alla vittoria bolscevica, nel 1922, cessata la sua ragione primaria di esistenza la
società venne messa in liquidazione; la procedura si concluse nel 1928. Cfr. Enrico
Serra, Nitti e la Russia, Edizioni Dedalo, Bari, 1975, pp. 77-78
19
Alla costituzione della Società Commerciale italo-russa nel 1917, fece seguito nel
1918 quella della Camera di commercio italo-russa per l’Italia, assorbita nel 1925
dall’Istituto economico italiano per la Russia, fondato l’anno precedente. In aperta
concorrenza con la CICE vennero poi fondate due società commerciali: il Sindacato
Italiano per il commercio italo-russo, una cooperativa presieduta da Dino Alfieri,
esponente di spicco del nazionalismo e membro del Gran Consiglio del fascismo e la
Italo-russa, presieduta dall’ex deputato comunista Nicola Bombacci. Espulso nel 1927
dal PCd’I, del quale era stato tra i fondatori, Nicola Bombacci non aveva mai interrotto
completamente i propri rapporti con l’Ambasciata dell’URSS e in particolare con
l’addetto commerciale; nella sua qualità di intermediario d’affari della Delegazione
Commerciale sovietica, nel 1930 aveva agevolato l’acquisto di grano russo da parte
dell’Italia. Nel 1931, in ogni caso, sembra aver avuto termine “ogni rapporto, anche di
natura tecnico-commerciale, tra Bombacci e l’Ambasciata sovietica a Roma, dove aveva
trovato nel frattempo lavoro anche il figlio Raoul, rientrato nel 1925 dalla Russia per
assolvere gli obblighi di leva. Una volta in Italia, Raoul Bombacci – che a Mosca era
avrebbe finito con l’assumere un ruolo preminente la CICE, Compagnia
Italiana per il Commercio Estero, fondata nel 1921 su iniziativa di Franco
Marinotti, i vari gruppi industriali e finanziari finirono per dividersi
nettamente tra i fautori dei “piccoli affari” che, Fiat compresa, facevano
capo alla CICE, e gli ambienti legati alla Banca Commerciale Italiana, che
riproponevano, attraverso un ipotetico accordo con i capitali americani (o
con quelli tedeschi), i “grandi affari” a suo tempo progettati da Giuseppe
Volpi, con l’acquisizioni di grandi concessioni minerarie e di vasti
complessi industriali sul territorio russo, nella immutata speranza che il
regime bolscevico finisse per crollare20.
Com’è noto, i risultati furono deludenti: la convenzione raggiunta “a latere”
della Conferenza di Genova, che pure sembrava aprire rosee prospettive per
gli “affari” italiani, non venne sottoscritta dal Governo sovietico, deciso ad
ottenere da parte dell’Italia il riconoscimento de jure, mentre gli accordi
preliminari già sottoscritti,che comprendevano l’opzione alla Società Breda
per l’acquisto di 200 mila tonnellate di carbone del bacino del Donetz in
cambio di materiale ferroviario e di macchine agricole, la concessione al
gruppo Parodi Delfino di 100 mila ettari nel governatorato del Don ed
un’altra concessione di pari entità al Consorzio metallurgico italiano ed alle
cooperative rosse di Forlì, restarono lettera morta.
Nel biennio successivo, sino alla firma, il 7 febbraio 1924, del Trattato di
commercio che sanciva il riconoscimento italiano dell’URSS e la ripresa
dei normali rapporti diplomatici, la Russia venne presa d’assalto da un gran
numero di pretesi “uomini d’affari” e di cosiddetti “agenti commerciali”,
gran parte dei quali non avevano i mezzi adeguati per concludere i contratti
e, spesso, neppure quelli necessari per pagare il proprio soggiorno a Mosca,
mentre le scarse esportazioni italiane in Russia, crollate a meno di un
milione di dollari, sembrano dovute agli occasionali successi del
entrato in rapporti con l’ambasciatore italiano Manzoni – aveva collaborato col padre
all’interno della Società L’Italo-Russa, una società anonima per gli scambi commerciali
con l’URSS (Cfr. G. Salotti, Nicola Bombacci da Mosca a Salò, Bonacci, Roma 1986,
pp. 92-93). Tale società aveva ottenuto dalle autorità fasciste il permesso di pubblicare
una rivista sovvenzionata da Mosca, la quale si proponeva di “illustrare le ricchezze
dell’URSS e le sue audaci innovazioni politiche, economiche e culturali per dimostrare
agli italiani che l’Italia risolverà i suoi problemi e la sua dura crisi economica solo
quando avrà compresa la necessità di un’unione solida e fraterna con la Russia
soviettista” (A. Petacco, Il comunista in camicia nera. Nicola Bombacci tra Lenin e
Mussolini, Mondadori, Milano 1996, p. 105).
20
Cfr. in proposito G. Petracchi, La Russia rivoluzionaria… cit., pp. 212-214
rappresentante della CICE, Domenico Anghileri, ed alla buona qualità dei
prodotti italiani esposti alla Fiera Panrussa di Mosca nel 192321.
Solo la firma del Trattato e la partecipazione alla Fiera di Nizjnij Novgorod
consentirono però alla CICE di concludere finalmente il primo (e unico)
“affare globale”, ribattezzato “Zelevoi Zakaz”, che contemplava la
fornitura di uno stock di merci italiane (tessuti, calzature, macchine
agricole) per un ammontare di circa 300 milioni di lire.
Proprio questo primo importante successo, che sanciva il “monopolio”
della CICE, rese evidenti i limiti e le difficoltà cui andavano incontro le
esportazioni italiane in URSS, prima tra tutte quella di procurare il credito
necessario agli acquirenti sovietici, credito che i maggiori Istituti bancari
italiani finirono col concedere alla CICE, in parte, soltanto dopo
l’intervento “decisivo” di Mussolini.
Dopo che una prima proposta per la costituzione di un Istituto di credito
italo-russo, avanzata nel novembre 1922 da Vincenzo Miglietta per conto
del Credito Italiano e del Banco di Roma, era stata respinta dalla Gosbank
perché “riduttiva” in confronto alla già costituita banca italo-svedese,
l’ipotesi di dar vita, in collaborazione con la Gosbank e la Banca d’Italia,
ad una Banca italo russa in grado di scontare gli effetti a lunga scadenza dei
sovietici tornò sul tavolo nel luglio 1924, dopo la firma del Trattato, ma si
scontrò con la ferma opposizione della Banca Commerciale Italiana e
venne accantonata. Né ebbe miglior fortuna, alla fine dell’anno successivo,
il tentativo del direttore della Gosbank, Katzellenbaum, di concludere con
le maggiori banche italiane un accordo per lo sconto reciproco, sulla
falsariga di quello concluso con un consorzio di banche tedesche capitanato
dalla Deutsche Bank, giacché gli esponenti dei quattro principali Istituti di
credito rimandarono la questione al Governo, che doveva fornire la
necessaria autorizzazione e, soprattutto, garantire le banche stesse.
Svariati altri piani per stimolare le esportazioni italiane verso l’URSS
vennero avanzati tra il 1926 e la prima metà del 1927, sia dal consigliere
economico a Mosca, Enrico Mariani, che dal rappresentante dell’Ansaldo
in Russia, Cesadio Del Proposto, che, ovviamente, dalla CICE, ma la
soluzione porta la firma di Alberto Pirelli, direttore dell’Istituto Nazionale
per l’Esportazione, creato nel 1926.
Il 2 giugno 1927, con un apposito Regio Decreto Legge, venne costituito
infatti l’Istituto per il Commercio con l’Europa Orientale, una agenzia
finanziaria governativa dotata di un capitale di 100 milioni, in parte
21
A proposito degli “agenti commerciali” italiani più o meno improvvisati, di cui il
Ministero degli Affari Esteri finì col lamentarsi presso la Confindustria, si veda il caso
della Motomeccanica Pavesi in Ira A. Glazier e Vladimir Bandera, Italian-Soviet Trade
… cit., pp.306-311.
sottoscritto dalla Banca d’Italia, destinato a concedere credito alle
esportazioni italiane, principalmente verso la Russia, ed autorizzato ad
assicurare i rischi presso l’Istituto Nazionale delle Assicurazioni22.
Il meccanismo si sarebbe rivelato però lento, farraginoso e decisamente
costoso, senza contare che la resistenza opposta dagli Istituti di credito
italiani allo sconto degli effetti russi avrebbe finito col dissuadere gran
parte delle industrie minori dal tentare l’avventura sul mercato sovietico,
nonostante la successiva stipula di tre accordi speciali destinati a stimolare
le esportazioni italiane, che portavano la garanzia statale dal 65% al 75%
del credito sulle esportazioni industriali, garanzie peraltro limitate ad
alcune categorie di prodotti23.
Comunque, grazie alle garanzie offerte dall’Istituto e, soprattutto, alla
rottura delle relazioni commerciali sovietiche con Londra, nella seconda
metà del 1927, alla vigilia del primo piano quinquennale, si assistette ad
una nuova ondata di attivismo da parte degli “uomini d’affari” italiani a
Mosca e, nonostante l’ostilità mai sopita del rappresentante sovietico a
Milano, Dossert, anche il nuovo rappresentante della CICE, il conte
Gavardo, riuscì a piazzare una partita di macchinari elettrici.
Ma la CICE era ormai agli sgoccioli: qualche spiacevole polemica sulla
qualità di alcune partite di prodotti e, soprattutto, sui prezzi praticati dalla
Compagnia, unite alla necessità di ridurre le importazioni ai materiali e
macchinari essenziali, accettando solo acquisti finanziati da crediti a lungo
termine, finirono col decretare la fine dell’esperienza della CICE in URSS.
I sovietici, decisi a fare acquisti in Italia trattando direttamente con le
singole industrie attraverso la loro Rappresentanza commerciale, finirono
col rifiutarsi, nel 1928, di rinnovare la licenza. Analoga sorta sarebbe
toccata, peraltro, alla Italo-Russa, di cui la CICE aveva assunto il controllo
nel 1926.
Ma già tra la fine del 1926 ed il 1927 alcuni degli azionisti della Cice, ed in
primo luogo Piero Pirelli, Giorgio Enrico Falck e lo stesso presidente della
società, Giuseppe Gavazzi, avvisati che la presenza di società intermediarie
era del tutto sgradita ai sovietici, si erano sganciati dalla Compagnia, che
era poi passata interamente nelle mani dei Borletti.
22
Il limite di rischio venne fissato a 200 milioni di lire per il 1927-28 e per il 1928-29,
con un massimo di credito di 100 milioni per ciascun Paese, con un premio del 4%
annuo per le garanzie, per poi essere elevato a 120 milioni nel 1930, a 350 milioni nel
1931 e ridotto a 200 milioni nel 1933.
23
Ibidem, p. 335. La garanzia statale riguardava automobili, aeroplani, navi, cuscinetti a
sfera, materiale elettrico, prodotti chimici e macchine industriali, e ne restavano quindi
esclusi tutti i prodotti di consumo, a partire da quelli tessili.
Quanto alla Fiat, Agnelli non si era limitato ad uscire dal novero degli
azionisti, ma si era assicurato anche la collaborazione di Domenico
Anghileri, che, sia pur “a malincuore”, aveva lasciato la CICE per
diventare il rappresentante ufficiale della Fiat e della RIV in URSS.
E quanto fosse preziosa la sua presenza, non foss’altro che per la
padronanza della lingua e per la sua ormai lunga esperienza nel trattare con
il Commissariato per il Commercio Estero sovietico, divenne evidente nel
quinquennio successivo, giacché non solo Anghileri riuscì ad ottenere
ordini per automobili ed autocarri Fiat e SPA, nonché ad assicurare alla
RIV nel 1929 ordini che coprivano il 60% della produzione di cuscinetti a
sfera, ma elaborò insieme ai russi il piano per affidare alla stessa RIV la
costruzione a Mosca del I G.P.Z., la “Prima Fabbrica Statale di Cuscinetti a
Sfere”, una delle opere più significative del I piano quinquennale, destinata
a produrre 24 milioni di pezzi l’anno, di 120 tipi diversi.
Anghileri lasciò Mosca nel marzo 1931, cogliendo i segnali che definivano
i vari “uomini d’affari” stranieri installatisi in U.R.S.S. come “sgraditi”24.
A partire da quell’anno, ordini e commesse erano ormai saldamente in
mano al Commissariato per il Commercio Estero ed alla Rappresentanza
commerciale sovietica in Italia e vennero indirizzati chiaramente in due
direzioni: l’acquisto di materiale aeronautico (tra cui spiccano le decine di
idrovolanti S-62 bis acquistati dalla SIAI tra il 1930 ed il 1933 e i motori
acquistati dalla Isotta Fraschini) e la stipula di contratti per collaborazioni
tecniche, trattando direttamente in Italia con le maggiori imprese
meccaniche e cantieristiche.
D’altronde, a partire dal 1931, mentre le esportazioni di prodotti italiani
verso l’U.R.S.S. declinavano e si diradavano le “visite” di esponenti
industriali italiani e dei loro rappresentanti, si apriva invece il campo della
collaborazione tecnica tra i due Paesi.
I casi più famosi riguardano, appunto, la consulenza della RIV per la
costruzione della fabbrica di cuscinetti a sfera e la consulenza affidata allo
studio dell’ing. Angelo Omodeo per i problemi di irrigazione, bonifica e
produzione di energia25.
Il primo contratto venne concluso il 22 maggio 1930 ed ebbe termine il 22
maggio 1935, ma lo stabilimento fu inaugurato il 29 marzo 1932, quando la
produzione era ancora di soli 125 pezzi al giorno, mentre la consulenza
24
Cfr. Archivio Franco Marinotti, Serie Miscellanea, f. 6, La storia del nonno
Domenico. Autobiografia di Domenico Anghileri. Anghileri, peraltro, aveva dovuto
“sudare sette camice” per convincere Agnelli ed il suo staff a correre il rischio di
impiantare lo stabilimento di cuscinetti a sfera.
25
Marcella Cecchini, Due missioni tecniche italiane in URSS 1930-1936, in «Storia
Contemporanea», a.XVIII (1987), n. 4, pp. 731-765
Omodeo sembra essere uno dei pochi risultati raggiunti dal famoso viaggio
in U.R.S.S. organizzato dalla Confindustria, cui parteciparono
rappresentanti di enti finanziari dello Stato, delle maggiori banche, di
cantieri marittimi e aeronautici, oltre a Giovanni Agnelli, Adriano Olivetti
e lo stesso Omodeo, una “missione economica” di cui era a capo Felice
Guarneri e che durò circa un mese, dal 17 giugno al 13 luglio 193126.
Omodeo, che non era rientrato in Italia al termine della missione, inviò poi
in Russia il genero, Claudio Marcello, nell’ottobre dello stesso anno, a capo
di uno staff di ingegneri suddiviso in due diversi uffici, uno presso il
Narkomzen, che si occupava di irrigazioni e bonifiche, e l’altro presso
l’Energocentr, per il campo idroelettrico.
La consulenza, che prevedeva la presentazione da parte dello staff di
Omodeo di numerosi progetti che vennero poi, almeno in parte, realizzati,
come la diga di Kamysin sul Volga, si concluse tra il 1936 ed il 1937.
Sempre nello stesso periodo, tra il 1931 ed il 1936, i sovietici si
assicurarono la consulenza del generale Umberto Nobile, peraltro caduto in
disgrazia dopo la tragedia del dirigibile “Italia” nel tentativo di sorvolare il
Polo, per impiantare un primo grande cantiere di costruzione di dirigibili
nei dintorni di Mosca, con allegata una scuola-piloti27.
L’interscambio commerciale italo-russo, già fortemente ridotto nel 193334, sarebbe crollato a partire dal 1935 e nel 1938 era ormai ridotto a circa 5
milioni di lire.
Anche la composizione era cambiata ed i sovietici acquistavano in larga
misura materiali da guerra: due navi militari dall’Ansaldo nel 1934,
mitragliere da 20 mm Scotti dalla Isotta Fraschini nel 1935 e, infine,
l’esploratore veloce Tashkent, ordinato alla Odero-Terni-Orlando di
Livorno nel 1937 e consegnato nel maggio 193928, mentre la proposta
dell’Ansaldo di fornire un carro armato C.V. 33 all’Unione Sovietica, in
vista della possibile cessione della licenza di fabbricazione o quanto meno
26
Luciano Zani, Introduzione, in Felice Guarneri, Battaglie economiche tra le due
guerre, Bologna, Il Mulino, 1988
27
Luciano Zani, Fra due totalitarismi. Umberto Nobile e l’Unione Sovietica (19311936), in «Quaderni di Ricerca del Dipartimento Innovazione e Società», Università
degli Studi di Roma La Sapienza, n. 1, 2005. Nobile, dopo aver costruito un dirigibile, il
V6, da 18.500 mc e due da 9.500, rientrò in Italia alla fine del 1936, mentre il V6 si
schiantò, esplodendo, contro il fianco di una montagna il 5 febbraio 1938, ponendo fine
all’avventura russa con i dirigibili.
28
Sulle costruzioni navali militari italiane per l’estero, cfr. Andrea Filippo Saba,
L’imperialismo opportunista. Politica estera italiana e industria degli armamenti
(1919-1941), Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 2001
dell’acquisto di almeno venti unità, avanzata nel luglio 1936, non venne
autorizzata dal Ministero della Guerra29.
Non stupisce, quindi, che, fatta eccezione per i soliti giornalisti, gran parte
delle “testimonianze” italiane sulla realtà della pianificazione sovietica
nella prima metà degli anni Trenta siano dovute, principalmente, ai
“tecnici”, ed in particolare agli ingegneri, coinvolti nelle realizzazioni
industriali, mentre per rendere ragione delle valutazioni dei principali
esponenti dell’industria italiana, è giocoforza accontentarsi di quanto
ritennero opportuno pubblicare, nel secondo dopoguerra, Felice Guarneri
ed Ettore Conti.
Guarneri, che aveva guidato la missione economica italiana in URSS
nell’estate 1931, si era poi incaricato di riassumere in un documento di
sintesi le 13 relazioni di settore degli altri membri, dai cui giudizi trapelava
peraltro un «fondo pessimista», concludendo con un invito alla «maggiore
prudenza nelle previsioni» che anticipava, in qualche misura, la disillusione
in ordine alle reali opportunità offerte dal mercato sovietico e la proposta,
avanzata dallo stesso Guarneri pochi mesi dopo, di ricorrere, unicamente
nel caso della Russia, al sistema degli scambi bilanciati, «dato che non
possiamo continuare a pagare tranquillamente le merci che importiamo
senza pretendere che ci vengano regolarmente pagate quelle che
esportiamo»30.
Ben lungi dal temere un’improbabile concorrenza dei prodotti industriali
sovietici, il futuro dittatore delle valute puntava il dito su quegli elementi di
squilibrio della bilancia commerciale che avrebbero infine portato, nel
1936, alla rottura delle trattative per il rinnovo del trattato commerciale con
l’U.R.S.S.31.
Quanto alle impressioni personali di Guarneri in ordine al piano
quinquennale e al «gran rumore» che suscitava, non parevano certo
improntate a «grandi paure» né ai toni sprezzanti di parecchi osservatori,
giacché «la grandiosità e la serietà [dello sforzo di industrializzazione]
apparivano evidenti anche all’occhio del profano», sforzo accompagnato
però da una altrettanto grandiosa propaganda «che ti attanagliava in ogni
ora del giorno e non ti dava respiro»32.
29
Diana Shendrikova, I rapporti italo-russi nella prima metà' del Novecento,
Geopolitica.it, 4.9.2012
30
Cfr. in proposito Luciano Zani, Introduzione, in Felice Guarneri, Battaglie
economiche … cit., pp. 36-39.
31
Ibidem, pp. 623-624
32
Ibidem, pp. 104-106. Guarneri ne aveva riportato «la visione di un mondo che, a
prezzo di errori e di sperperi, di immensi dolori e sacrifici, era avviato verso una
profonda trasformazione.[…] Un mondo che, valendosi del sussidio della più progredita
tecnica americana, tedesca e anche italiana […] tentava di scavalcare ogni fase
Quanto ad Ettore Conti, protagonista delle trattative con Cicerin e Krassin
alla Conferenza di Genova nel 1922 e quindi, in qualità di Presidente
dell’A.G.I.P., della stipula di un corposo contratto di forniture petrolifere
russe nel 192633, egli visitò, insieme alla moglie Gianna, Leningrado e
Mosca, tra la fine di agosto e la metà di settembre del 1932, come semplice
“turista”, per «cavar[si] il gusto del giramondo, cioè il piacere e la fatica di
imparare dagli uomini e di ammirare la natura».
Pur sostenendo di voler stare «in guardia nell’interpretazione di fenomeni
indecisi, allenando[si] a quella imparzialità senza della quale ogni giudizio
è infirmato», le impressioni che Conti riporta della «civiltà emergente dai
conclamati piani quinquennali», ripropongono, quasi pedestremente,
immagini e valutazioni così spesso ripetute dalla pubblicistica fascista del
tempo da risultare chiaramente banali, talché lo stesso Conti le riassume
«in tre parole: miseria, rassegnazione, monotonia», per poi aggiungere che
«tuttavia, malgrado le lunghe code che si debbono fare per ottenere pochi
alimenti o merci di prima necessità; malgrado la scarsità del vestiario e la
sua uniforme bruttezza, e le sofferenze di ogni genere, il popolo non
sembra infelice»34.
Quanto ai possibili esiti della “Platilekta”, che gli furono «ampiamente
illustrati» nel corso di un incontro con il capo della Gosbank, Conti si
mostrava decisamente scettico in ordine al temuto “dumping” russo, che gli
pareva «un pericolo molto lontano», però «con un regime disposto a
sacrificare l’attuale generazione, ed un popolo rassegnato a sopportare
privazioni e sacrifici; con un paese grande come un continente e ricco di
nafta, di carbone, di forze idrauliche, di ferro, di cotone, di manganese e
perfino di oro e di platino, grandi progressi industriali si sono fatti,
grandissimi si faranno», per poi concluderne che i sovietici «dovranno per
forza adattarsi, sia pure per gradi, ad introdurre delle modificazioni di
carattere politico od amministrativo che mettano di nuovo in gioco
l’interesse individuale, altrimenti, una volta assicurato il pane quotidiano,
nessuno vorrà seccarsi a sopportare delle nuove fatiche»35.
intermedia nel processo di industrializzazione e di realizzare di colpo in ogni settore
impianti che fossero “i più grandi del mondo”, un po’ per inesperienza, e quasi vorrei
dire per infantilismo, un po’ perché così richiedeva la mistica del regime il quale, a
calmare le ansie e a sostenere lo sforzo di un popolo lungamente e duramente provato e
in preda a un evidente stato di diffusa miseria […] tendeva ad alimentare le speranze e
anzi infondere la certezza di un domani felice»
33
Cfr. Ettore Conti, Dal taccuino di un borghese, Milano, Garzanti, 1946, pp. 181-189.
34
Ibidem, p. 317.
35
Ibidem, pp. 313-321.
Conclusione inevitabile, provenendo, per l’appunto, dal Taccuino di un
borghese, peraltro, com’è noto, ampiamente rimaneggiato col “senno di
poi” dallo stesso autore!
ISSN 1825-0211
QUADERNI DEL DIPARTIMENTO DI ECONOMIA, FINANZA E
STATISTICA
Università degli Studi di Perugia
Quaderni pubblicati nel 2012
101 Febbraio 2012
Carlo Andrea BOLLINO
Gianfranco DI VAIO
Paolo POLINORI
102 Marzo 2012
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103 Agosto 2012
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107 Ottobre 2012
108 Ottobre 2012
109 Ottobre 2012
110 Ottobre 2012
111
Novembre 2012
112 Dicembre 2012
Spillover ed eterogeneità spaziali nei livelli
d’efficienza delle amministrazioni locali:
un’applicazione ai comuni dell’Emilia
Romagna
2000-2010, the decade that led to the
employment decline in Europe
ICT spillovers, absorptive capacity and
productivity performance
The determinants of inward foreign direct
investment in business services across
european regions
The Drivers of Household OverIndebtedness and Delinquency on
Mortgage Loans: Evidence from Italian
Microdata
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On an implicit assessment of fuzzy
Gianna FIGÀ-TALAMANCA volatility in the Black and Scholes
environment
David ARISTEI
Interest Rate Pass-Through in the Euro
Manuela GALLO
Area during the Financial Crisis: a
Multivariate Regime-Switching Approach
Simona BIGERNA
Electricity demand in wholesale italian
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market
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La conoscenza collettiva e il web: le
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Delta Hedging in Discrete Time under
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Stochastic Interest Rate
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Labour
Shares
and
Employment
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Protection in European Economies
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Bisogni contro utilità: un’interpretazione
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bioeconomica della crisi
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I
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Integration and convergence in European
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Hourly Electricity Demand in Italian
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La vera storia di XS0189741001
Sul VaR di una obbligazione Lehman a
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The measurement of underground
economy: a dynamic-simulation based
approach
Wages and Labour Productivity: the role
of performance-related pay in Italian
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II
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Equity Market Integration with the Euro
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The role of education of entrepreneurs on
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schemes: evidence from Italian firms
Identification of casual effects in linear
models beyond Instrumental Variables
Efficiency of Collective Bargaining in the
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An evaluation of climate change effects
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Il commercio italo sovietico e gli uomini
d’affari italiani nella Russia dei piani
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