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quando la passione diventa ossessione stalking: editoriale

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quando la passione diventa ossessione stalking: editoriale
ARETÆUS
news
Dicembre 2009
Centro Lucio Bini Newsletter
Copyright © 2005-2009 Centro Lucio Bini
editoriale
www.centrobini.it
Anno V, Numero 4
[email protected]
embra proprio che negli Stati Uniti, il
disturbo bipolare sia più frequente che in
Europa. Non solo. È anche probabile che si
presenti con manifestazioni più gravi tanto da
rendere necessarie delle terapie più energiche.
Va anche aggiunto che la concomitanza di altri
disturbi (in gergo, ‘comorbilità’) è più alta al di
là dell’Atlantico. Ad esempio, i disturbi d’ansia
e i disturbi alimentari (bulimia e anoressia)
sono più frequentemente associati a quello
bipolare di quanto non lo siano da noi. Per non
dire della comorbilità per abuso di sostanze, molto
più prevalente negli Stati Uniti nonostante le leggi in
materia siano sicuramente più severe che non in
Europa (soprattutto quella del Nord). Molti
sostengono che la causa di queste differenze debba
essere cercata nel modello di vita nordamericano, più
stressante del nostro (tutto da dimostrare), ma
questo varrebbe soltanto per alcune aree delle grandi
città. In generale, un’elevata prevalenza (proporzione
di pazienti rispetto alla popolazione generale) di
disturbi dell’umore, sia bipolari, sia depressivi, viene
spesso spiegata con un migliore e più precoce
riconoscimento diagnostico che si tradurrebbe in
percentuali più elevate di prevalenza. Non tutti sono
d’accordo su questo punto, visto che soprattutto
negli ultimi anni, la sensibilità diagnostica dei medici
nei confronti dei disturbi psichiatrici si è notevolmente affinata e le persone ricevono adeguate terapie
piuttosto precocemente. Invece, le alte dosi di
farmaci negli Stati Uniti sarebbero da attribuire a un
atteggiamento generalmente più aggressivo nel
trattamento delle malattie e alla maggiore spinta da
parte dell’industria farmaceutica a usarne di più e
per periodi prolungati. Va poi sottolineato che,
sebbene il disturbo bipolare abbia una sua accertata
componente genetica, questa non si esprime sempre
allo stesso modo e con la stessa intensità.
Intanto, vi possono essere forme molto
gravi e altre così lievi da
passare inosservate anche a
una valutazione esperta.
Questo significa sia che le
spinte ambientali avrebbero
un loro ruolo nello
scatenamento precoce del
disturbo, sia che il carico
genetico potrebbe essere
variabile da individuo a
individuo. Un’interessante
teoria spiegherebbe la
stalking:
quando la passione
diventa ossessione
S
(Continua alla pagina 12)
ANCHE IN QUESTO NUMERO
aggiornamenti 2
psichiatria & arte 4
con parole mie 8
quella strana tribù 10
christmas blues 11
efinizioni precise di stalking sono difficili da dare perché non è
costituito da un singolo atto bensì ne coinvolge una moltitudine: pedinamenti, telefonate oscene o indesiderate, lettere, fax,
e-mail, spedizione di materiale insolito, lunghi appostamenti nei
pressi del domicilio o degli ambienti comunemente frequentati dalla
vittima, fino a graffiti intimidatori, minacce; tutte azioni che possono
poi tradursi in violenze (per lo più sessuali) e omicidi. Il termine
stalking (letteralmente: inseguire insistentemente) indica una
costellazione di comportamenti intrusivi con cui un individuo cerca,
in maniera asfissiante e ripetitiva, di stabilire un contatto con un
altro che non lo desidera.
Studi epidemiologici rivelano che il 12-16% delle donne e il 4-7%
degli uomini hanno subito almeno un episodio di stalking durante
la loro vita. Tra le varie tipologie esistenti, più della metà vede come
protagonista lo “stalker respinto” che usa la persecuzione come
arma per cercare di ristabilire il rapporto perso con l’ ex-partner. Gli
“stalker cacciatori di intimità”, invece, sono persone che non hanno
avuto una precedente relazione. Infatti, l’unico rapporto esistente tra
stalker e vittima è proprio il processo di stalking. Tra questi ci sono
gli “stalker incompetenti”, che intendono corteggiare qualcuno ma
che ignorano o sono indifferenti alle convenzioni sociali del corteggiamento e di conseguenza risultano sgradevoli o terrorizzanti e, in
fine, gli “stalker erotomani”, persone con un vero e proprio disturbo
delirante (anche conosciuto come delirio erotomane o sindrome di
De Clérambault), convinti, erroneamente, che la propria vittima sia
follemente innamorata di loro, nonostante ogni evidenza dimostri il
contrario. Per ultimo troviamo gli “stalker predatori” che traggono
piacere dal senso di potere provato nel perseguitare le proprie
vittime. Studi dimostrano che questi ultimi insieme agli “stalker
respinti” sono più inclini a commettere violenze fisiche e stupri
rispetto a quelli degli altri gruppi.
D
Come nasce
John Reid Meloy, psicologo forense e psicanalista
statunitense, ha definito lo stalking “un nuovo
crimine ma anche un vecchio comportamento”. Il
XIX secolo, in particolare, mostra una ricchezza di
storie che somigliano ai moderni casi di
stalking senza però coinvolgere un
tribunale. Per esempio il comportamento
di lady Caroline Lamb verso il
leggendario poeta donnaiolo Lord
George Byron quando egli decise di
rompere la loro relazione appassionata. Cominciò prima a scrivergli
lettere e ad andare a casa sua non
(Continua alla pagina 3)
aggiornamenti
#1: ALOPERIDOLO E MORTE CARDIACA IMPROVVISA
’aloperidolo, meglio conosciuto con i nomi commerciali di
Haldol© e Serenase©, è un farmaco antipsicotico capostipite
della famiglia dei butirrofenoni, che agisce come antagonista
competitivo della dopamina con attività prevalentemente sui
recettori D2 della dopamina.
Fu scoperto in Belgio da Paul Janssen nel 1958 e si rivelò un
potente antipsicotico a dosi molto inferiori rispetto a quelle
usate per la clorpromazina. Divenne uno dei farmaci più
utilizzati in psichiatria e, nonostante sia uno dei più vecchi,
resta tutt’ora la migliore arma farmacologica per il trattamento
di episodi psicotici acuti, gravi eccitamenti maniacali ed episodi
di agitazione psicomotoria.
Il profilo di tollerabilità del farmaco è stato rivalutato al livello
europeo alla luce di alcune evidenze di cardiotossicità. I
maggiori effetti tossici sul sistema cardiovascolare includono
ipotensione, aritmie cardiache e prolungamento dell’intervallo
QT all’elettrocardiogramma. In particolare la torsione di punta
(torsade de pointes), una grave tachiaritmia ventricolare
responsabile di morti cardiache improvvise è stata associata alla
somministrazione, soprattutto per via endovenosa, di alte dosi
di aloperidolo.
Queste evidenze cliniche hanno portato la Pharmacovigilance
Working Party a emanare un preciso atto regolatorio, recepito in
Italia da parte dell’AIFA che, dal Febbraio 2007, impone di
effettuare accertamenti elettrocardiografici prima della
somministrazione di aloperidolo, droperidolo e pimozide (1).
Alla sezione “Avvertenze speciali e precauzioni per l’uso”
compaiono le voci “Effettuare un ECG di base prima di iniziare
il trattamento” ed “Effettuare un monitoraggio dell’ECG nel
corso della terapia, sulla base delle condizioni cliniche del
paziente”.
Il fondamento scientifico di questa disposizione si basa sul
presupposto che l’allungamento del QT sia il marker principale
per il rischio di torsioni di punta, e che quindi l’aloperidolo non
dovrebbe essere somministrato in pazienti con QT allungato, in
quanto capace di allungare ulteriormente quest’intervallo
causando l’insorgenza dell’aritmia e quindi il rischio di morte
cardiaca improvvisa.
L’utilizzo dell’aloperidolo riguarda spesso, come già
accennato, il trattamento della psicosi acuta, che si configura
generalmente con il quadro dell’agitazione psicomotoria,
dell’aggressività e del rifiuto terapeutico. È pertanto intuibile
che lo stato dei pazienti che necessitano di questo trattamento
sia incompatibile con l’esecuzione preliminare di indagini
cardiologiche considerate fondamentali come
l’elettrocardiogramma.
Questa normativa impone al clinico l’utilizzo, in acuto, di
alcuni antipsicotici di seconda generazione, più costosi e forse
non altrettanto efficaci dell’aloperidolo, ma “liberi” dalla
normativa restrittiva che impone accertamenti
elettrocardiografici prima della loro somministrazione.
Studi più recenti tuttavia hanno dimostrato che il rischio di
morte cardiaca improvvisa con la somministrazione di
antipsicotici di seconda generazione, è uguale o maggiore a
quello da aloperidolo, e che questo rischio è dose-dipendente
per tutti gli agenti antipsicotici (2).
Alla luce quindi delle più recenti evidenze si può affermare
che l’atto regolatorio, che di fatto impedisce l’utilizzo
dell’aloperidolo nel paziente con agitazione psicomotoria,
costringe il medico a utilizzare altri farmaci forse non altrettanto
efficaci e sicuramente non più sicuri se non addirittura più
pericolosi nell’indurre aritmie cardiache fatali.
Meriterebbe infine una attenta riflessione un editoriale
apparso di recente sugli Annals of Internal Medicine (3), che a
L
proposito di alcune linee guida sull’uso del Metadone
(farmaco molto più potente dell’aloperidolo nell’allungare il
QT e secondo solo all’amiodarone come possibile responsabile
di morti cardiache improvvise) che impongono la esecuzione
dell’ECG prima dell’inizio del trattamento, afferma
testualmente “Molti punti devono essere considerati prima di
uno screening ECGrafico di routine. Sebbene molti farmaci
possono prolungare l’intervallo QT, mancano pubblicazioni
che documentano che la torsione di punta e la morte
improvvisa possono essere evitate con un ECG di routine.
D’altro canto, la letteratura è piena di esempi di test di
screening che sembra giusto raccomandare ma i cui svantaggi,
una volta considerati attentamente, non sono stati associati ad
alcun vantaggio o peggio, hanno superato gli stessi benefici”.
Giulia Serra, Azienda Ospedaliera Sant’Andrea, Dipartimento di
Psichiatria, Università “La Sapienza”
Francesca Zazzara, Centro Lucio Bini Roma
Bibliografia
1. Agenzia italiana del farmaco: Determinazione 28 Febbraio
2007. GU 13-3-2007 Serie Generale n 60.
2. Ray W. A., Chung C.P., Murray K.T., Hall K., Stein C.M.:
Atypical Antipsychotic Drugs and the Risk of Sudden Cardiac
Death. N Engl J Med 2009; 361; January 15: 1814.
3. Gourevitch M.N.: First Do No Harm… Reduction? Ann
Intern Med 2009; 150: 417–41.
#2: LITIO E GRAVIDANZA
a terapia a base di sali di litio è il più usato trattamento a
lungo termine del disturbo bipolare.
Il litio venne introdotto in medicina intorno al 1840 da
Alexander Ure per il trattamento della calcolosi vescicale e da
Alfred Garrod per quello della gotta. Fu nel 1949 che John
Cade notò che l’urato di litio causava sedazione in pazienti
con eccitazione maniacale. Negli anni ’60, Mogens Schou
condusse fondamentali esperimenti che dimostrarono
l’efficacia del litio nella prevenzione delle ricadute del
disturbo bipolare. Nel 1970, la Food and Drug Administration
(FDA) statunitense approvò il trattamento.
Nel disturbo bipolare, gli episodi depressivi si alternano, in
vario modo, a episodi maniacali o ipomaniacali. I primi sono
caratterizzati da abbassamento dell’energia globale e del tono
dell’umore, apatia, abulia, astenia, sentimenti di colpa,
rallentamento psico-motorio, pensieri di morte. Quelli
maniacali sono caratterizzati, al contrario, da energia e tono
dell’umore aumentati, logorrea, disinibizione, diminuito
bisogno di sonno e talvolta deliri di grandezza e onnipotenza.
I rischi della farmacoterapia in gravidanza sono numerosi e
sono correlati sia alle modifiche fisiologiche dell’organismo
dovute allo stato gravidico, sia alle proprietà del farmaco
stesso.
La fisiologia della gravidanza è profondamente diversa
rispetto alla fisiologia delle donna non gravida con modifiche
che riguardano, per esempio, un’alterata funzione
gastrointestinale, un aumento della filtrazione glomerulare e
un alterato metabolismo epatico che possono produrre
importanti cambiamenti nella farmacocinetica delle nostre
medicine.
Il clinico deve considerare con attenzione questi
cambiamenti per cercare di minimizzare il rischio di eventi
avversi, come effetti collaterali da accumulo o iperdosaggio o,
al contrario, assenza di efficacia terapeutica dovuta a un
L
(Continua alla pagina 6)
2 ARETÆUS news
stalking
accompagnata (cosa scandalosa per una donna dell’epoca),
poi le sue azioni divennero sempre più disperate e
persecutorie, fino ad arrivare a spedirgli un taglio dei suoi
peli pubici e accoltellarsi in pubblico di fronte a lui,
ferendosi una mano. Altro esempio è quello di Stendhal che
innamorato disperatamente di una donna italiana (Matilde
Dembowski) la assediò con lettere e visite presso la sua casa
in Lombardia sperando che ricambiasse il suo amore. I suoi
tentativi inclusero il travestirsi con un soprabito e degli
occhiali scuri per pedinarla. Un’ennesima testimonianza la
abbiamo grazie al film di Truffaut Adèle H sull’ossessione
amorosa di Adèle Hugo, figlia del famoso scrittore francese,
per il tenente della marina britannica Pinson. Adèle (così
scrive nel suo diario realmente esistente) lo inseguì
addirittura ai Caraibi quando lui cercò di scappare da lei.
Oltre ai casi reali di stalking, anche quelli letterari
dimostrano come questo fenomeno si annidi nella nostra
coscienza culturale da almeno duecento anni: Edgar Allan
Poe scrisse L’uomo della folla, in cui il protagonista insegue
per 24 ore una persona incontrata per caso; William molesta
amorosamente Esther in Casa desolata di Dickens; in Un
lungo fatale inseguimento d’amore di Louisa M. Alcott, l’eroina
è perseguitata implacabilmente dal marito Rochester che si
rifiuta di accettare la fine del loro matrimonio.
Probabilmente questi autori non avrebbero mai immaginato
che lo studio del fenomeno da loro narrato sarebbe divenuto
di così grande interesse scientifico e culturale 150 anni dopo.
Se volessimo invece fissare con precisione quando la
moderna “cultura dello stalking” iniziò, ovvero quando i
media cominciarono a utilizzare questo termine con l’uso
corrente, fu probabilmente nel 1989, quando John Bardo
assassinò l’attrice televisiva Rebecca Schaeffer. Bardo
possedeva più di 100 cassette che la riprendevano. Spiegò
che lei: “era brillante, la sua innocenza mi colpì. Divenne
per me una dea, un idolo. Da quel momento diventai ateo,
non adoravo che lei”. Quando però la Schaeffer girò una
scena a letto con un uomo, Bardo si indignò e decise di
punirla per la sua immoralità sparandole a bruciapelo sulla
soglia di casa. Prima della Schaeffer ci fu l’omicidio di John
Lennon da parte di Mark Chapman nel 1980 e l’attentato di
John Hinckley a Ronald Reagan l’anno successivo, ma non
venne mai utilizzato il termine “stalking” per descrivere
questi eventi (pur avendone alcune caratteristiche).
Il caso Bardo ebbe il pregio di sensibilizzare l’opinione
pubblica verso le migliaia di normali cittadini che erano
vittime di un crimine prima non considerato e per questo
ignorati o screditati.
Lo stalking: un nuovo crimine
Nel 1990, lo stato della California approvò la prima legge
anti-stalking seguita negli anni successivi non solo da tutti
gli altri stati federali americani ma anche da molti altri paesi
come l’Australia, il Canada, il Giappone e gran parte delle
nazioni dell’Europa occidentale. Anche il legislatore italiano
ha recentemente regolamentato il fenomeno con il D.L. 23
febbraio 2009 che introduce nel codice penale l´articolo 612bis: «Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito
con la reclusione da sei mesi a quattro anni chiunque, con
condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da
cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura
ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumità
propria o di un prossimo congiunto o di persona al
medesimo legata da relazione affettiva ovvero da
costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita».
Dal precedente enunciato si evince come lo stalking sia un
crimine del tutto particolare in quanto la sua dignità
(dalla prima pagina)
giuridica è definita dalla vittima e non dall’offensore.
Tempestare qualcuno di telefonate o seguirlo in luoghi
pubblici non costituisce di per sé un crimine, è lo stato di
ansia o di paura da cui scaturiscono che lo rendono tale.
Stalking e Psichiatria
Le intrusioni che le vittime di stalking subiscono sono
sempre reiterate e persistenti. Da esse può originare uno
stato di ansia permanente anche in assenza di una minaccia
concreta. Ogni volta che il telefono squilla, ogni volta che
controlli la tua e-mail o ritorni a casa c’è la possibilità di
essere colpiti. Il mondo, gli spazi pubblici e quelli privati
appaiono diversi in questo stato e divengono luoghi pieni di
potenziali minacce. Sembra poi che la capacità della vittima
di esercitare un livello ragionevole di controllo su questo
mondo sia diminuita come risultato della propria
esperienza. Alcune arrivano a cambiare il proprio numero di
telefono, domicilio o nome, o modificare il proprio aspetto
fisico. “Ciò che si perde è molto più che le ore o i giorni che
passi a combattere. È la tua anima, la tua intimità, le tue
emozioni… è il tuo “essere”, ogni cosa ti viene portata via:
sei derubata di te stessa”: così, una donna perseguitata
dall’ex compagno cercò di spiegare in tribunale il suo stato
interiore.
Da studi condotti sulle vittime di stalking si scopre che la
prevalenza di disturbi psichiatrici è considerevolmente più
elevata in esse rispetto alla popolazione generale.
Sensazione di allarme continuo e insonnia sono pressoché
costanti e con maggior frequenza questo provoca l’insorgere
di disturbi d’ansia. Tuttavia troviamo anche un numero
rilevante di pazienti depressi e con sintomi psico-somatici.
Forti evidenze suggeriscono che si manifestano soprattutto
sintomi accomunabili al disturbo post-traumatico da stress.
Questa particolarità non può essere spiegata esclusivamente
dal trauma derivante dalle aggressioni fisiche e dagli stupri
subiti dalle vittime, infatti, sebbene siano abbastanza
comuni (soprattutto quando lo stalker è l’ex-partner),
interessano solo una parte relativamente piccola dei
pazienti. Più verosimilmente le ripetute modalità di
comunicazione intrusiva e le continue molestie hanno effetti
simili a forti eventi traumatici isolati con conseguenze
inaspettatamente deleterie per la vittima. Herald Dressing,
tra i maggiori esperti nel campo, fa però un’osservazione al
riguardo: “se da una parte lo stalking può essere visto come
un fattore causale nella patogenesi del disturbo psichiatrico,
dall’ altra la malattia psichiatrica potrebbe rappresentare un
fattore di vulnerabilità nell’essere vittima di questo tipo di
molestie”. Visto da questo punto di vista la stima
epidemiologica reale degli effetti di tale comportamento
sulla salute delle vittime risulta sovrastimata (pur
mantenendo una indubbia rilevanza).
A poter essere affetti da disturbi psichiatrici, però, non
sono solamente i perseguitati ma anche (e maggiormente) i
persecutori che possono e devono essere aiutati tramite
psicoterapia o farmacologicamente. Oltre agli stalker con
delirio erotomane di cui si è parlato prima, esistono stalker
con diversi tipi di delirio (soprattutto persecutorio) sia
nell’ambito di un disturbo dell’umore che del pensiero. Una
grande importanza, inoltre, è rivestita dai disturbi di
personalità caratterizzati da ferite narcisistiche (come il
disturbo border-line o quello narcisistico). Meloy sottolinea
l’importanza di quest’aspetto sostenendo che lo stalking
inizia sempre con la creazione, nella mente del soggetto, di
una fantasia di “legame narcisistico”. “Tali fantasie –
sostiene Meloy – sono caratterizzate da pensieri consapevoli
di essere amato dall’oggetto o di amarlo, ammirato o
(Continua alla prossima pagina)
ARETÆUS news 3
stalking
psichiatria & arte
(dalla pagina precedente)
ammirarlo (idealizzazione), di essere esattamente uguale a
esso (rispecchiamento) o complementare (gemellarità)”.
Meloy precisa che tali fantasie non sono patologiche. Al
contrario sono tipiche dell’attaccamento affettivo che si
crea durante l’innamoramento. Come diceva Jaques Lacan:
“L’amore può essere progettato solamente nel campo del
narcisismo. Amare è essenzialmente desiderare di essere
amati”. È nel momento del rifiuto che lo stalker non riesce
a comportarsi normalmente. Data la tendenza dei narcisisti
a percepire gli altri come “oggetti parziali”, la cui funzione
è quella di gratificare la propria persona (in realtà fragile),
essi possono essere straordinariamente sensibili al rifiuto o
ai sentimenti di vergogna e umiliazione che l’accompagnano. Per affrontare questi sentimenti insopportabili lo
stalker reagisce con la rabbia e tenta di svalutare l’oggetto
prima idealizzato controllandolo, danneggiandolo o
persino distruggendolo.
Il processo per stalking a Babbo Natale
continua...
Sa quando dormo, quando sono sveglia,
se sono stata buona o cattiva, mettetelo
[email protected]
in galera una buona volta!!!
Commenti
Lo stalking può essere considerato un “terrorismo
interpersonale” e come tutti gli atti terroristici ci costringe
a rivalutare alcuni aspetti della nostra vita che prima
davamo per scontati. La cosa che più impaurisce dello
stalking è proprio il fatto di derivare da impulsi e desideri
normali nelle relazioni con le altre persone e che può
essere commesso con gesti e comportamenti apparentemente di routine e innocui, se presi singolarmente. Quale è
il limite superato il quale il corteggiamento di un estraneo
o il tentativo di riavvicinarsi all’ex amante diventa
inaccettabile? Quanto dovremmo essere liberi nella
società? Lo stalking mette in evidenza l’importanza e allo
stesso tempo la fragilità delle leggi implicite che regolano
le nostre relazioni con gli altri e dalle quali dipende la
normalità dell’esistenza sociale quotidiana. “Quando lo
stalker guarda dentro le nostre finestre, ci ricorda la
fragilità delle convenzioni di ogni giorno, una volta
scardinate chiunque può terrorizzarci facilmente, se si
mette in testa di farlo” (Robert Fine, dal suo resoconto
autobiografico Being Stalked).
Andrea Solfanelli
4 ARETÆUS news
ANIMA E MUSICA NEL MEDIOEVO
Il discepolo: “che cos’è la musica?”
Il maestro: “è la scienza della buona modulazione”.
(dal trattato Scholia Enchiriadis, X secolo, citato in Gerbert,
Scriptores: Ecclesiastici de Musica Sacra Potissimum, vol. I, p. 173).
l medioevo è un'epoca che copre quasi mille anni di storia
(dalla fine del V secolo a quella del XV). Questo lungo periodo
storico è ricchissimo di musica, che nella maggior parte dei casi
si configura ancora come musica "di vita", da suonare per
accompagnare un lavoro, una battaglia, un banchetto, una festa.
Musica con una funzione pratica più che estetica. Questa viene
spesso improvvisata o composta per delle occasioni particolari,
non ha quindi bisogno di essere scritta e tramandata ai posteri,
essendo destinata a essere eseguita una sola volta. Per questa
ragione, la quantità di componimenti musicali documentati e
disponibili è esigua. Un’eccezione è però costituita dalla musica
religiosa, della quale sono reperibili numerose partiture. Questa
abbondanza è dovuta alla funzione pratica della musica sacra
che, dovendo accompagnare e accrescere l’importanza di riti e
cerimonie religiose aventi regole ben definite, deve
necessariamente essere scritta. Oltre ad avere una importante
funzione nella vita quotidiana e nella liturgia, all’interno della
società medievale la musica esercita un ruolo di assoluto rilievo
come scienza, e in quanto tale, spesso viene accostata alla
medicina.
Lo stretto rapporto esistente tra queste due discipline, e in
particolare tra musica e patologia mentale, è infatti ben
documentato da numerose testimonianze raccolte lungo tutto il
corso della storia medievale. Durante il medioevo la malattia
mentale è considerata come risultante di “passioni o accidenti
dell’anima”, che possono produrre squilibri nell’organismo,
aggravare e complicare malattie fisiche già esistenti (da cui
peraltro possono anche essere provocate), oltre a costituire
talvolta delle vere e proprie patologie che coinvolgono il corpo
non meno che l’anima. In ambito medico essa è classificata come
ultima tra le res non naturales, ovvero quelle condizioni,
situazioni, processi che non sono “contro” l’organismo, ma che
non sono neppure necessarie e naturali strutture dell’organismo
stesso (come umori, complessioni, membra), e che necessariamente ne condizionano l’equilibrio e la salute. Le strategie
terapeutiche atte a sanare le res non naturales si identificano nei
consilia, delle indicazioni precise e strutturate su come riuscire
ad eliminare questi disturbi. Proprio nell’ambito dei consilia si
inserisce il concetto di musica come terapia specifica della
patologia mentale. La musica possiede la proprietà di far
riacquistare la salute psichica, poiché riequilibra l’alterato
rapporto tra anima e corpo (che è la base di tutte le patologie)
agendo sullo spiritus, che rappresenta il punto di intersezione tra
corpo e anima, ciò che lega il mondo materiale e non materiale
dell’uomo. È bensì un corpo, ma di natura sottilissima, simile a
quella dell’anima: per questi caratteri è in qualche modo affine
alla stessa musica che ha bisogno per sussistere di supporti
I
e
a?
or
materiali, ma che corporea non è. Spiritus e musica si
configurano entrambi in una struttura aerea, che giustifica
l’azione diretta della seconda sul primo. Alterazioni delle
proporzioni dello spiritus sono alla base della disarmonia tra
corpo e anima che si manifesta sottoforma di patologia
mentale. La musica esplica la sua azione terapeutica
riequilibrando la dimensione dello spiritus, in modo che esso
riacquisti il suo giusto ordine e porti concordia tra anima e
corpo. affinché ciò accada, nella struttura musicale deve
sussistere una condizione di musicalis consonantia: per sortire il
suo effetto la musica deve essere composta da una
mescolanza di elementi opposti dal punto di vista sonoro
(acuto e grave) contemperati secondo una giusta proporzione
(proportio copulationis). Sarà questa proporzione a essere
impressa nello spiritus per stabilizzarne la dimensione
sanando la patologia mentale.
La funzione stabilizzante della musica è confermata dal suo
ampio utilizzo da parte dei medici dell’epoca nel trattare i
disturbi dell’umore. Michele Savonarola, nella sua Practica
Maior, parla della musica come mezzo per liberare l’animo
dalla sollicitudo melanconica, una malattia psichica che causa
languore, dimagramento, abulia, e che può portare alla follia
o a mortis periculum. Gregorio Magno, trattando della
struttura e dei modi della profezia, nota inoltre come la
musica dei salmi sia capace di svuotare l’animo umano da
tutte le sue afflizioni per prepararlo a ricevere Dio.
Di estrema importanza si rivela il commento di Pietro
D’Alvernia ai Problemi di Aristotele: egli afferma il valore
stabilizzante della musica auletica (genere musicale prodotto
dall’esecuzione solista dell’aulos, uno strumento ad ancia
doppia) sottolineando che ad essa ricorrono sia coloro che
sono afflitti dal dolore che quelli afflitti da eccessiva gioia. Nel
puntualizzare quest’aspetto della terapia musicale, Pietro ne
afferma il valore universale, capace di produrre effetti diversi
in patologie diverse, soffermandosi inoltre su come malattie
di natura apparentemente opposta possano aver bisogno
dello stesso genere di cura. Pietro prosegue nella sua analisi
affermando che la musica, per svolgere appieno il suo effetto
terapeutico, ha bisogno della consuetudo che consiste nel
riproporre per lunghi periodi lo stesso tipo di musica,
inducendo in questo modo un potenziamento della sua
azione sull’individuo.
Non sempre però la musica serve a stabilizzare e a curare.
Come avverte lo stesso Savonarola, la musica può svuotare
l’anima dalla depressione, ma può anche sortire l’effetto
opposto. Pietro d’Alvernia afferma, riprendendo i temi trattati
nell’ottavo libro della Politica di Aristotele, come alcune
melodie musicali (che non possiedono quella musicalis
consonantia necessaria per stabilizzare lo spiritus) possano
alterare il nostro umore fino a causare veri e propri quadri
patologici. Ad esempio, le melodie appartenenti al terzo
modo della scala musicale medievale (antica armonia frigia)
agiscono fortemente sugli spiritus disponendo gli ascoltatori al
raptus. Questo termine (che corrisponde al greco
enthousiasmos) è un moto, un trasporto dell’anima, che
consiste in una tensione, un desiderio, un piacere
intensissimo. D’altra parte le melodie appartenenti al settimo
modo del sistema musicale medievale (modo ritenuto
equivalente all’antica melodia misolidia) percuotono fortiter
gli spiritus e ne causano una retrazione verso l’interno, tale da
indurre gli ascoltatori al pianto e alla compassione.
Come si evince da queste testimonianze, la musica può
essere un potentissimo strumento di cura, che porta sollievo e
benessere, ma può causare anche disequilibrio, raptus e
tristezza. La musica incanta, vincola, e d’altra parte cura,
lenisce, può cancellare e fissare: un’ambivalenza di esiti che
forse appartiene anche all’essere musica per natura “al
confine”, come al confine sono gli spiritus su cui, attraverso
l’udito, essa agisce per favorire profezia e malia, amore e
oblio.
Alessio Simonetti
Pietro De Rossi
Bibliografia
Casagrande C.: Anima e corpo nella letteratura medievale, Atti
del V Convegno di studi della Società Italiana per lo Studio del
Pensiero medievale (Venezia, 25-28 settembre 1995), Sismel
Edizioni del Galluzzo, 1999.
Fattori M.: Spiritus. IV Colloquio Internazionale del Lessico
Intellettuale Europeo (Roma, 7-9 gennaio 1983), Edizioni
dell'Ateneo, 1984.
Ferrari Barassi E.: Strumenti musicali e testimonianze teoriche
del Medioevo, Fondazione Claudio Monteverdi, 1979.
Grmek M. D.: Storia del pensiero medico occidentale. Antichità
e Medioevo, Laterza Editore, 2007.
Harvey E.R.: The invar Wits. Psychological Theory in the
Middle Ages and in the Renaissance, The Warburg Institute,
1975.
Letterio M.: La musica nel pensiero medievale. Atti del IX
Congresso della Società Italiana per lo Studio del Pensiero
Medievale. Ravenna 10-12 dicembre 1999, Longo Editore, 2001.
Nagel A.: Il bambino, la parola, il silenzio nella cultura
medievale, Edizioni Il Mulino, 1984.
Onians R.B.: Le origini del pensiero europeo, Adelphi Editore,
1998.
www.centrobini.it
ARETÆUS news 5
aggiornamenti
(dalla seconda pagina)
dosaggio insufficiente. Inoltre, se è vero che il rischio
teratogeno è legato alle proprietà biochimiche delle varie
molecole, è ormai accertato che lo stesso rischio è legato alla
dose. Se non si considerano le alterazioni farmacocinetiche
delle medicine, si può assistere ad aumenti improvvisi delle
concentrazioni plasmatiche dei farmaci con conseguente
aumento del rischio teratogeno.
L’uso dei farmaci psicotropi usati in gravidanza sono
associati tre categorie di rischi: 1) rischio di teratogenicità
somatica e malformazioni d’organo del feto; 2) tossicità
neonatale (incluse sindromi perinatali e sindromi d’astinenza)
e 3) effetti a lungo termine sullo sviluppo e sul
comportamento.
Considerata la gravità dei potenziali eventi avversi da una
parte e dei disturbi psichiatrici non trattati dall’altra, la
redazione di linee guida su questo problema non è semplice.
Solo l’attenta valutazione, effettuata su ogni singola paziente,
può guidare il clinico nella difficile valutazione dei rischi e dei
benefici associati alla prosecuzione o all’inizio di una
psicofarmacoterapia in gravidanza o, al contrario, alla sua
interruzione.
La FDA classifica i farmaci in ordine crescente di rischio
teratogeno nel seguente modo:
A - Studi controllati su uomini non mostrano alcun rischio;
B - Nessuna evidenza di rischio sugli uomini (dati su uomini
negativi e dati su animali positivi o studi su animali negativi)
C - Non esclusione del rischio (dati su uomini mancanti; studi
su animali positivi)
D - Evidenze positive di rischio (dati su uomini mostrano
rischio; il beneficio può superare il rischio)
X - Controindicato in gravidanza (dati su uomini e animali
positivi).
La grande efficacia del litio nella prevenzione delle ricadute
maniaco-depressive e l’elevato rischio di ricadute a seguito
della sua sospensione, ha sollevato ben presto la necessità di
comprenderne la gestione del trattamento durante la
gravidanza. La situazione è resa ancora più complessa dal
fatto che il rischio di ricadute non è solo favorito dalla
sospensione del litio ma anche dallo stesso periodo del postpartum.
D’altro canto, numerosi Autori hanno studiato, negli ultimi
decenni, la sicurezza del trattamento con litio in gravidanza.
Il Registro dei Bambini esposti al Litio è stato creato nel 1969
in Danimarca, dopo che erano stati riportati casi di
malformazioni congenite associate all’uso del litio in
gravidanza. Altri registri sono stati creati in Canada e negli
Stati Uniti, sino alla creazione del International Register of
Lithium Babies. Le analisi iniziali di questi dati descrivevano
un aumentato rischio di malformazioni cardiovascolari,
specialmente di malformazione di Ebstein, in neonati esposti
al litio. Si tratta di un difetto caratterizzato dall’ipoplasia
del ventricolo destro e dallo spostamento verso il
basso della valvola tricuspide, spesso con variabili
difetti del setto. Era stato proposto che il
rischio per questa malformazione nei
bambini esposti al litio durante il
primo trimestre di gravidanza
fosse di molte volte superiore
rispetto all’1/20000
trovato nella
popolazione
generale.
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ARETÆUS news
Nonostante tali studi fossero stati condotti con molti bias
metodologici, tali risultati influenzarono le successive due
decadi.
Recentemente diversi studi controllati hanno riscontrato un
rischio teratogeno per malformazione di Ebstein che si attesta
tra 1/1000 (0.1%) e 1/2000 (0.05%) nati vivi. Il tasso di altre
cardiopatie congenite varia tra lo 0.9% e il 12%.
Nonostante il rischio del difetto durante trattamento con
litio sia da 10 a 20 volte più alto rispetto a quello presente
nella popolazione generale, il rischio assoluto rimane molto
basso. Considerate queste recenti stime, gli Autori concordano
con Viguera e coll. (2002) nell’affermare che “il litio sia il più
sicuro stabilizzatore dell’umore durante la gravidanza”.
Nonostante ciò, la FDA situa il litio in classe D. I grandi fondi
economici pubblici e privati non sembra abbiano mai avuto
troppo interesse nel diffondere i più recenti studi a riguardo,
né a rettificare il pensiero sulla teratogenicità del litio
scaturito dalle prime pubblicazioni.
Sono stati riportati alcuni casi di tossicità neonatale
associata all’utilizzo del litio nell’ultimo trimestre di
gravidanza: sindrome del floppy infant, ipotonia muscolare
con cianosi e dispnea. Sono anche stati descritti isolati casi di
ipotiroidismo neonatale, diabete nefrogenico insipido e
polydramnios.
Poca letteratura è disponibile sugli esiti comportamentali a
lungo termine dei bambini esposti al litio in utero. Uno studio
con un follow-up di 5 anni su 60 bambini esposti al litio
durante il secondo e il terzo trimestre di gravidanza, non ha
trovato alcuna alterazione di carattere comportamentale.
Un rapporto preliminare su 13 bambini (età media 3.5 anni)
di donne con disturbo bipolare che erano stati esposti al litio
in utero e 11 bambini (età media 3.3 anni) di donne con
disturbo bipolare che non erano stati esposti al litio in utero,
non ha evidenziato significative differenze negli esiti neurocomportamentali.
Gravidanza, rischio di ricadute e ruolo del litio
Il rapporto tra gravidanza e malattia maniaco-depressiva è
stato al centro di molti dibattiti. Per molti anni si è pensato
che la gravidanza esercitasse un certo ruolo protettivo nei
confronti delle patologie psichiatriche in genere. Deponevano
in tal senso la minor frequenza di ricoveri in ambiente
psichiatrico di donne gestanti, le imponenti remissioni di
disturbi psiconevrotici, schizofrenici e depressivi e la
scomparsa di malattie psicosomatiche.
Alcune osservazioni cliniche suggeriscono che la
gravidanza possa ridurre il rischio di malattie psichiatriche
acute, e specificamente proteggere contro le ricadute del
disturbo bipolare, della depressione unipolare e dei disturbi
psicotici. Altri studi, sebbene abbiano confermato un tasso di
ricovero inferiore o non modificato durante la gravidanza,
non hanno valutato la morbidità in donne gestanti con
disturbo bipolare. Con specifico riferimento al disturbo
bipolare è stato suggerito che la gravidanza abbia un effetto
protettivo sul decorso di pazienti affetti
da disturbo bipolare
grave.
Altre recenti ricerche e la crescente esperienza clinica
suggeriscono, viceversa, che la gravidanza non possegga
alcun ruolo protettivo. Al contrario si è trovato che la
gravidanza sia un periodo particolarmente a rischio di
ricadute, particolarmente a seguito della sospensione delle
terapie con stabilizzatori dell’umore.
È stato riscontrato che circa il 45% di donne con disturbo
bipolare hanno una esacerbazione della malattia durante la
gravidanza e che almeno il 50% delle donne con disturbo
bipolare divennero sintomatiche durante la gravidanza. Uno
studio sul decorso di 101 pazienti affette da disturbo bipolare
I e disturbo bipolare II, ha mostrato che fra 42 gestanti e 59
non gestanti, che avevano interrotto la terapia di
mantenimento a base di sale di litio, le percentuali di ricadute
sono state del 52% e del 58%, rispettivamente, durante i primi
9 mesi dalla sospensione. È importante notare come, durante
l’anno precedente, solo il 21% dell’intero campione aveva
manifestato episodi affettivi durante la terapia con litio.
Questi risultati sembrano essere in linea con l’ipotesi che la
gravidanza abbia un piccolo effetto protettivo verso le
ricadute o che la sospensione della terapia di mantenimento
rappresenti essa stessa un importante, e forse dominante,
fattore di rischio. Ancora, qualsiasi efficacia protettiva abbia la
gravidanza, sembra essere limitata e comunque insufficiente
se la terapia di stabilizzazione viene sospesa.
Post-partum, rischio di ricadute e ruolo del litio
A differenza di quanto detto riguardo la gravidanza, vi è un
ampio accordo nell’affermare che il periodo del post-partum
sia ad alto rischio per ricadute dei manie, depressioni e altri
disturbi di natura psichiatrica.
Già nella metà del 19° secolo, Marcé (1858) descrisse casi di
gravi episodi affettivi e psicotici insorti in donne nel periodo
del post partum. Più tardi, Kraepelin, nella sua classica
descrizione della malattia maniaco-depressiva, osservò che gli
attacchi di mania e di melanconia erano comuni in
gravidanza, ma ancora di più durante il post-partum. Studi
recenti hanno confermato queste impressioni. Il tasso di
ricadute tra il terzo e il sesto mese dopo il parto varia dal 20%
all’80%.
La psicosi post-partum è un evento raro tra la popolazione
generale, con una prevalenza che oscilla tra lo 0.1% e lo 0.2%.
Tra le donne con disturbo bipolare, al contrario, il rischio è
forse 100 volte maggiore, con una percentuale che oscilla tra il
10% ed il 20%.
La psicosi post-partum è caratterizzata dalla rapida
insorgenza dei sintomi, spesso entro le prime 48-72 ore dopo
il parto. Il disturbo si può manifestare con delirium
(confusione mentale, disorientamento, agitazione
psicomotoria, instabilità affettiva),
ma è spesso
indistinguibile da un attacco depressivo, maniacale o misto
con sintomi psicotici. La psicosi post-partum è un’emergenza
medica associata a un elevato rischio di infanticidio e suicidio.
Richiede immediato trattamento, spesso in ambiente protetto,
con stabilizzatori dell’umore, antipsicotici o terapia
elettroconvulsivante. Dopo un episodio di questo tipo, il
rischio di una ricaduta dopo una successiva gravidanza è di
circa il 90%. Da quanto detto, emerge fortemente la gravità
della sintomatologia e l’elevato rischio di vita per il neonato e
per la donna. Sono stati condotti alcuni studi al fine di
prevenire le ricadute attraverso una terapia stabilizzatrice
somministrata durante le ultime settimane di gravidanza.
Infatti, il 40-70% delle donne bipolari manifesta una mania o
una depressione post-partum e tale percentuale scende al 10%
se si segue una profilassi con stabilizzatori dell’umore.
Gli studi sul litio sono limitati. Quando il litio è stato
somministrato alcune settimane prima del parto o
immediatamente dopo il parto, il rischio di ricadute è sceso da
2 a 5 volte, rispetto alle donne non trattate. Questi risultati
sollevano importanti questioni ancora senza risposta, come la
dose ottimale, il periodo gestazionale migliore nel quale
introdurre o reintrodurre il litio, la sua efficacia rispetto agli
altri stabilizzatori dell’umore.
Considerazioni cliniche
“Ha avuto una crisi di panico (crede che ‘panico’ sia la parola
giusta). Ha provato a mettersi stesa per qualche minuto
mentre il figlio dormiva; ha provato a leggere un po’, ma non
riusciva a concentrarsi, è rimasta distesa sul letto con il libro
tra le mani, sentendosi svuotata, esausta…: è questo che vuol
dire impazzire? Non se l’era mai immaginato così – quando
aveva pensato a qualcuno (a una donna come lei) che perdeva
la testa, si era immaginata urla e lamenti, allucinazioni; ma in
quel momento le era parso chiaro che c’era un altro modo,
molto più tranquillo: un modo, più che confuso e disperato,
piatto, tanto che un’emozione forte come il dolore sarebbe un
sollievo, pensa che potrebbe essere profondamente
confortante, la farebbe sentire libera: andarsene,
semplicemente. Dire a tutti: ‘Non ce la facevo, non sapete
com’è; non volevo provarci più…’ “ In queste poche frasi,
Cunningham riassume lo strazio della depressione che vive
una donna in attesa del suo secondo figlio.
E le depressioni in gravidanza, ancor più che quelle che
insorgono nel post-partum, sono del tipo peggiore. Ai sintomi
tipicamente depressivi, infatti, si associano spesso sintomi di
agitazione fisica (incapacità a rimanere fermi, irrequietezza,
insonnia totale, aggressività, logorrea) e psichica (tensione
interna, angoscia, sensazione di avere mille pensieri in testa
che vorticano senza freno e senza fine). Non sono rari, infine,
sintomi psicotici come allucinazioni e deliri (soprattutto di
colpa, d’incapacità, di rovina e di persecuzione). Sono stati
riportati disturbi psicomotori nel 98% (agitazione
nel 57%, eccitazione catatonica nel 47%),
disturbi affettivi nel 93% dei casi (di cui il
47% di tipo depressivo), deliri nel 80%,
disturbi formali del pensiero nel
70% , aggressività nel 28% e
(Continua alla prossima pagina)
ARETÆUS news
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aggiornamenti
(dalla pagina precedente)
idee di suicidio nel 23%.
Il quadro clinico è drammatico, il dolore che attanaglia
queste donne è insostenibile, i sintomi psicotici, qualora
presenti, molto penosi. A rendere tutto ancora più
insopportabile vi è la non rara incapacità da parte dei
familiari, degli amici e della comunità in genere di
comprendere come un momento che dovrebbe
rappresentare, secondo la nostra cultura, l’apice della
felicità per ogni donna, sia ragione di sofferenza e
tormento. La morte appare l’unica soluzione. E spesso,
in un tragico e definitivo gesto d’amore, le madri si
uccidono insieme al proprio figlio. Non lo vogliono
lasciare solo in questo mondo infernale e ogni tentativo
di ridurre il rischio che episodi così gravi avvengano è
doveroso.
La terapia profilattica con litio è una strategia
farmacologia imprescindibile, che va conosciuta e saputa
gestire da chi si occupi di queste malattie.
Abbiamo visto come il rischio teratogeno associato al
litio in gravidanza, seppur minimo, sia presente, tanto
che la FDA l’ha posto in categoria D. È necessario che il
medico giudichi con attenzione ogni caso, valutando
ogni volta i rischi e i benefici associati alla sospensione o
alla prosecuzione della terapia profilattica. Qualora
possibile, sarebbe auspicabile che una donna affetta da
disturbo bipolare e in cura con litio (o con altri
stabilizzatori dell’umore), programmi la gravidanza in
accordo con il proprio psichiatra e il proprio ginecologo.
Il rischio di una ricaduta, come già detto, è elevato
dopo la sospensione del litio, ma è più ridotto in donne
con un numero basso di episodi in anamnesi e se la
sospensione si attua gradualmente e non bruscamente.
Tali aspetti vanno analizzati con attenzione.
Altra situazione è quella di una gravidanza non
programmata. Seppure il rischio teratogeno è minimo, si
è soliti interrompere la terapia con litio per i primi tre
mesi di gravidanza, per poi riprenderla dopo il terzo
mese, proseguirla sino a ridosso del parto. È da
sottolineare che, mentre la riassunzione del litio dopo il
parto agisce rapidamente nella prevenzione della mania,
generalmente necessita di più tempo per agire nella
prevenzione della depressione. Molti pazienti bipolari
sopportano molto bene la terapia profilattica durante la
gravidanza. Le recenti innovazioni tecnologiche
permettono, d’altronde, uno screening ecocardiografico
intrauterino per rilevare alterazioni cardiologiche e una
correzione chirurgica precoce della maggior parte dei
casi della rara anomalia di Ebstein. Inoltre un’attenta
monitorizzazione dei livelli di litiemia materni può
ridurre lo sviluppo di tossicità e riconoscere la dose
minima efficace.
Vogliamo infine ricordare che esistono altre terapie
per la cura e la prevenzione di episodi affettivi in
gravidanza. Le varie tecniche psicoterapeutiche, un
adeguato supporto ambientale, la light therapy per la
terapia per la depressione sono alcuni esempi.
Nei casi di episodi psicotici o di agitazione psicofisica
insorti durante la gravidanza si consiglia l’uso di
neurolettici e antipsicotici atipici, anche se su questi
ultimi mancano studi a lungo termine. Nei casi più
gravi, comunque, è ormai universalmente riconosciuto
che la terapia più efficace e più sicura, sia per la madre
sia per il feto, sia la terapia elettroconvulsivante.
Gabriele Sani
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ARETÆUS news
con parole mie
Caro…,
cerco di aggiornarti, anche se non so se ci riesco perché sono
molto confusa.
Da ieri mi sento un po’ meglio, nel senso che mi sono
svegliata e ho poltrito fino alle 11, ma senza quell’angoscia
attanagliante e le lacrime irrefrenabili dei giorni precedenti.
Così ho fatto qualcosina, tipo buon lungo bagno rilassante e
lettura... della Bibbia! Oggi ho impiegato tutta la mattina per
spedire due pacchetti con due copie del mio libro a delle
colleghe, e fare un minimo di spesa. Poi ho fatto i tortellini
alla panna con una ricetta presa da internet ed erano proprio
buoni. Poco, ho fatto, ma meglio di niente. Così mi sento un
po’ meglio. Vedi.
Ma ho quella terribile sensazione che ricordo dalle volte
precedenti, tutte le volte, troppe, che si è chiuso un “episodio
depressivo”: di dover ricominciare *tutto* daccapo. Di aver
subito una frattura, una ferita profonda nella mia storia, nel
mio senso di me stessa. Di aver fatto tanti errori e dover
nonostante ciò ricostruire come dal nulla un’identità
accettabile, considerando che alcuni sbagli sono irreparabili,
che alcune persone non potrò più guardarle in viso. Mi
sento, davvero, come un neonato che deve far finta di essere
grande. E tutto questo mi fa fatica, una fatica enorme. Le
prime volte che questo è avvenuto ho *davvero* ricostruito
tutto: dopo ogni volta un anno di depressione (1980, 1985,
1990) risvegliatami dal buio e gettatami alle spalle le macerie
delle precedenti situazioni ho iniziato tutto daccapo in senso
letterale: finiti nel vuoto i vecchi fidanzamenti sono corsa
incontro a nuove storie d'amore, abbandonato progetti di
studio e iniziato nuovi percorsi, cambiato casa, città, nazione,
amicizie, abitudini. Insomma ogni volta ho dovuto diventare
un'altra, se non del tutto almeno in gran parte. In quest’opera
di ricostruzione il fatto che dopo la depressione venisse
l’euforia mi ha aiutato (almeno nel 1981, 1986 e 1991). Ora è
diverso, non posso abbandonare tutto, e l’euforia la tieni
sotto controllo: dunque mi tocca ricominciare senza
entusiasmo da quello che c’è. Già nel 2003 è stato un po’ così.
Meno male, dirai. Sì. E meno male che stavolta male ci sono
stata due mesi e non un anno (ammesso e non concesso che
sia finita, ma speriamo di sì). Certo.
Ma sono stanca lo stesso. Stanca degli errori, stanca del
vuoto, stanca di trovare sbagliata ogni scelta che faccio, da
quelle importanti a quelle più banali (la mia psicoterapeuta
dice che seguo il principio della ‘scelta sbagliata a priori’ :-).
Dunque vedi, sto meglio, e te ne ringrazio, ma sono debole
come un uccellino, temo anche gli sguardi, uscire mi fa
ancora paura. Tutti hanno quei contorni netti che sempre mi
mancheranno. I silenzi mi terrorizzano, soprattutto con i
ragazzi. L'impressione che tutto mi scivoli addosso, che
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niente si fermi nella mia testa, che dimentico tutto, che non ho
idee su nulla. Tutto/nulla, sempre/mai: anche qui la terapeuta
mi richiamerebbe all’ordine: possibile che ancora non abbia
imparato ad apprezzare i chiaroscuri?
Scusami se ti prendo tanto tempo, e soprattutto se mi
piango così addosso; forse è il mio modo distorto di farmi
amare; se mi rispondi te ne sono grata, e se mi rispondi più di
due righe ti faccio un monumento.
Come sempre grazie.
[email protected]
Caro…,
come va? Il mio rientro è stato molto faticoso e molto di più.
La gastrite stagionale produce un acido potentissimo che mi
sta corrodendo senza pietà a dispetto di qualsiasi terapia! Sto
aspettando con ansia mercoledì mattina per infilarmi un
tronco endoscopico con telecamera per esporre anche la parte
più viscerale di me in mondovisione, con frammenti bioptici,
che suppongo verranno inviati al bioparco per essere
catalogati più precisamente.
In effetti quando sono in fase depressiva attraverso grandi
periodi di misantropia e non mi riconosco facilmente con
comportamenti e conversazioni comuni al genere umano... e
verrò catalogata come uno di quegli animali proprio
incasinati tipo ornitorinco, metà mammifero, metà uccello,
metà acquatico o tipo casuario...
Gli ornitorinchi quando va bene hanno tutti gli elementi,
quando butta male non sanno bene come scendere dal mondo
per un pò... a piedi, volando, nuotando? Improvvisamente si
rendono conto di essere degli scherzi della natura cioè degli
scherzi della natura con tante possibilità abbozzate ma ibride
che li bloccano inesorabilmente sulla terra a camminare assai
goffamente sognando di volare con delle rudimentali ali con
cui tentano rovinosi salti che fanno solo male o tuffarsi nel più
bello dei mari alla ricerca di nuovi orrizzonti e ritrovarsi a
girare in tondo nel proprio fango.
Il casuario, già il nome la dice tutta... (probabilmente deriva
proprio da ‘scherzo del caso’). Trattasi di orrido e gigantesco
struzzo australiano (dal sedere ancora più grande) dall'area
sconvolta e scioccata... animale che vive nel sottobosco,
riservato e timido. Un volta si diceva fosse un ‘caso’ in quanto
il più veloce tra gli struzzi. Poi arrivò l’alta velocità e nello
scontro ne uscì perdente spiegando così la sua espressione
fisica così caratteristica, che è poi la mia ogni mattina
guardandomi allo specchio.
Quindi probabilmente verrò inviata a un bioparco per
essere curata adeguatamente da un veterinario, razza di cui
ho piena fiducia rispetto ai medici verso i quali nutro solo
riserve e pensieri negativi...
Un ringraziamento personale a mio figlio e alle tante ore
passate a guardare National Geographic con lui e alla
trasmissione il Ruggito del Coniglio per avermi informata
dell'esistenza del casuario
Gentile dottore,
ieri Ludovico ha cantato nel coro natalizio della scuola. È stato
bravissimo. Ha cantato tutte le canzoni fermo al suo posto e
attentissimo alle indicazioni del maestro che dirigeva il coro.
Quando, poi, si è dovuto spostare sul palcoscenico lo ha fatto
con calma, lasciando passare prima le sue compagne e
occupando il posto giusto. Sono stata davvero felice di
vederlo così ed anche lui ha avuto grande soddisfazione. Se
penso che solo un anno fa non riusciva a stare seduto in
classe... Grazie (ndr: il bambino ha iniziato un anno fa un
9
trattamento con Ritalin per il suo disturbo di attenzione e
iperattività, ADHD).
Gentile signora,
la ringrazio per questa sua bella lettera. Sa, quando riceviamo
queste notizie, un po' crediamo di più in questo nostro strano
mestiere (non fa mai male) e un po' umanamente, mettendomi
nei vostri panni e mi commuovo.
Un sereno Natale a tutti voi.
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Gentile dottore,
mi lascio andare al dormire, ma al tempo stesso mi inquieta.
Sono bizzarri quei sogni, colorati più dell’inverosimile e
vividi, ha mai visto il film “Delicatessen”? Inverosimile.
Rincorro una me stessa che non esiste. Insomma ho paura di
addormentarmi ma al tempo stesso ho paura di svegliarmi.
Ma storie così ne avrà sentite a centinaia, per questo spero mi
perdoni quando le racconto la mia. Mi sento poco presente
alla realtà attuale. Cerco di fare cose concrete e vado a correre,
così, con la musica sparata nelle orecchie e il cuore a mille non
penso, ma poi viene quella luce strana che precede la sera che
se è piovuto si ingigantisce e quadruplica tra le foglie. È
terribile dottore quella luce…
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ARETÆUS news
9
quella strana tribù
sa e riprovevole condizione di Gregory, che col
tempo era peraltro diventato un ottimo medico, più
volte sposato e più volte padre.
Col passare degli anni si era però manifestata la
prima violenta crisi maniaco-depressiva, che aveva
portato Gregory a picchiare il direttore del suo
ospedale, provocando il suo licenziamento.
I medici cercarono di convincere Gregory a
curarsi con il litio, ma lui rifiutò recisamente, cosicché le crisi continuarono con andamento sempre
più drammatico: Gregory spaccò le vetrine di un
ristorante, falsificò assegni, arrivò a molestare la
compagna del figlio John. Piuttosto che sottoporsi a
cure psichiatriche, scelse la prigione. Persistendo
parallelamente le problematiche legate al suo
disturbo di identità, Gregory chiese di essere sottoposto a un intervento per diventare donna. Ma i
medici inizialmente tentarono di rifiutarglielo, perché lo consideravano un uomo sessualmente sano
che cerca di nascondere l’aggressività dentro la
veste femminile; per loro non era un vero transessuale, ma un maniaco-depressivo.
urante la presentazione del suo libro, John fa
un’appassionata e commossa esposizione del
dramma vissuto da suo padre, rivelandosi un figlio
amorevole e comprensivo. Egli ha voluto coraggiosamente mettere a confronto l’immagine del padre
tanto amato ma transessuale, con quella di suo
nonno, un’icona della mascolinità, sostenendo la
tesi che il famoso “machismo” del famoso nonno
non era altro che il rovescio della medesima medaglia di Gregory: infatti entrambi (come moltissimi
membri della Strange Tribe) soffrirono di psicosi
maniaco-depressive e furono ugualmente affascinati dal loro lato androgino.
“Cos’è un uomo, cos’è una donna...” scoprirlo è
sempre stato il demone di Gregory ed Ernest, infaticabili viaggiatori del profondo. Ernest tuttavia era
riuscito a limitare il problema grazie a tutta una
generazione di ammiratori ed emulatori, al suo
successo e soprattutto alle sue più forti difese interiori.
D
ohn Hemingway, dopo
aver vissuto a Milano
dove nel 1983 aveva
seguito un corso di scrittore e traduttore e collaborato a “L’Unità” e a
“Libero”, ora vive con la
moglie e i due figli a
Montreal. È consapevole
del rischio che potrebbe
correre anche lui di
ammalarsi di depressione
(anche la madre Alice soffre di un disturbo psichiatrico), ma conosce i rimedi
cui ricorrere, dalle terapie
elettroconvulsivanti al
“Lithium! Luckily, it does exist!” “E se dei problemi
dovessero colpire uno dei suoi bambini?” “Gli direi
solo: ‘Stai tranquillo figlio mio, tuo padre è sempre
con te e ti vuole bene’.”
J
trange tribe: A family memoir è una raccolta di ricordi, in
cui John Patrick Hemingway (1960), nipote del più famoso nonno Ernest, affronta coraggiosamente una serie di problematiche, a volte anche scomode, che riguardano i membri della sua famiglia.
Con la faccia sorridente e l’espressione tipica da bravo
ragazzo americano, durante la presentazione del libro, avvenuta a Milano nel Maggio 2008, John chiarisce subito che
quel che ha voluto raccontare è innanzi tutto la positività del
suo rapporto con suo padre Gregory.
L’infanzia di John era stata molto difficile perché aveva
dovuto convivere ben presto con le problematiche di suo
padre Gregory.
Infatti Gregory, fin da giovanissimo, aveva manifestato
spiccate problematiche di identità sessuale, vissute come un
dramma dal padre Ernest, il quale non mancava di esprimergli tutto il suo disprezzo, additandolo come “la pecora
nera”. Ernest di sicuro non aveva né compreso né amato il
figlio, e aveva sempre cercato di tener nascosta la vergogno-
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ARETÆUS news
John Hemingway
S
Marina Pellegrino
christmas blues
da “La piccola fiammiferaia” dei fratelli Grimm
«….la bambina subito sfregò un altro fiammifero, che illuminò il muro
rendendolo trasparente come un velo. Così poté vedere nella stanza una
bella tavola imbandita, con una tovaglia bianca e vasellame di porcellana
e un'oca arrosto fumante, ripiena di prugne e di mele! All'improvviso
l'oca saltò giù dal vassoio e si trascinò sul pavimento, già con la forchetta
e il coltello infilzati nel dorso, proprio verso la bambina: ma in
quell'istante il fiammifero si spense e davanti alla bambina rimase solo il
muro freddo. Allora ne accese un altro. E si trovò ai piedi del più bello
degli alberi di Natale. Era ancora più grande e più decorato di quello che
aveva visto l'anno prima attraverso la vetrina del ricco droghiere;
migliaia di candele ardevano sui rami verdi e figure variopinte pendevano
dall'albero, proprio come quelle che decoravano le vetrine dei negozi.
Sembrava guardassero verso di lei. La bambina sollevò le manine per
salutarle, ma il fiammifero si spense. Le innumerevoli candele dell'albero
di Natale salirono sempre più in alto, fino a diventare le chiare stelle del
cielo; poi una di loro cadde, formando nel buio della notte una lunga
striscia di fuoco. "Ora muore qualcuno!" disse la bambina, perché la sua
vecchia nonna, l'unica che era stata buona con lei, ma che ora era morta,
le aveva detto: "Quando cade una stella, allora un'anima va al Signore".
Accese un altro fiammifero che illuminò tutt'intorno, e in quel chiarore
la bambina vide la nonna, lucente e dolce! "Nonna!" gridò "oh, prendimi
con te! So che tu scomparirai quando il fiammifero si spegne, scomparirai
come è scomparsa la stufa, l'oca arrosto, l'albero di Natale!" E accese tutti
gli altri fiammiferi che aveva nel mazzetto, perché voleva mantenere la
visione della nonna; e i fiammiferi arsero con un tale splendore che era più
chiaro che di giorno. La nonna non era mai stata così bella, così grande.
Trasse a sé la bambina e la tenne in braccio, insieme si innalzarono
sempre più nel chiarore e nella gioia. Ora non c'era più né freddo, né
fame, né paura: si trovavano presso Dio…»
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utti ricordiamo il personaggio della piccola fiammiferaia,
protagonista di una delle più tristi favole, che come tante
altre, non ha di certo contribuito ad allietare la nostra infanzia
di bambini inconsapevoli, ma ci ha permesso di vivere una più
vasta gamma di emozioni.
La fine di questa famosa favola, rivisitata oggi in chiave
medico-psicologica, potrebbe far pensare a un desiderio di
morte, a uno stato patologico, forse a una depressione clinica
come quella che al giorno d’oggi si verifica realmente proprio
nel clima scintillante del Natale: la cosiddetta holiday season
depression. Si presenta con i sintomi tipici di ogni depressione,
minuziosamente descritti nelle varie ricerche: senso di tristezza
persistente, ansia, senso di vuoto, pessimismo e paura del
futuro, abulia, incapacità di divertirsi e condividere la gioia
degli altri, aumentata litigiosità per motivi futili, facilità al
pianto, sofferenza per coloro che sono mancati e non riuscire a
godere della presenza e dell’affetto di chi ci è vicino. Sono
presenti anche sintomi fisici quali: mal di testa, disturbi
alimentari psicogeni con perdita o aumento di peso,
diminuzione o aumento di sonno, dolori fisici persistenti,
facilità al pianto.
I sintomi dell’effetto Natale possono a volte comparire in
forma leggera e affievolirsi notevolmente al termine delle feste,
ma anche aggravarsi in persone già affette da episodi
depressivi, e nei casi più estremi, portare al ricovero.
I fattori che favoriscono l’insorgenza della sintomatologia
possono essere: la frenesia della “febbre da acquisto” (in un
periodo in cui i consumi eccessivi e debordanti sono
socialmente incoraggiati), l’aumento della fatica e dello stress
dovuto ai preparativi natalizi, il cambiamento della routine
quotidiana e della dieta (pasti ipercalorici e consumo eccessivo
di alcolici). Non va dimenticato che un altro fattore facilitante è
l’accorciarsi delle giornate del mese di dicembre che presenta il
minimo numero di ore di luce diurna dell’anno.
T
L’incapacità di condividere le gioie e i divertimenti legati alle
festività, è spesso accompagnata da forti sensi di colpa. Sentirsi
tristi a Natale, mentre parenti e familiari sono allegri, appare
un’ingiustizia, un tradimento, un voler rovinare i
festeggiamenti proprio alle persone che ci sono più care. Tali
sensi di colpa sono ancora più dolorosi nel caso di persone
sole, per le quali l’esaltazione dell’unità familiare a tutti i costi
provoca un notevole aumento della sofferenza (soprattutto al
ricordo di celebrazioni passate), e del senso di inadeguatezza.
Come spiega esaurientemente Stefano Pallanti (direttore
dell’istituto di Neuroscienza di Firenze): “È possibile però
difendersi dagli effetti di questa ‘depressione’ mettendo in
pratica una serie di consigli, come per esempio: non cambiare
troppo i ritmi e in particolare quello del sonno e della veglia,
non esagerare con cibi ipercalorici e non eccedere con l’alcol,
non avere aspettative irrealizzabili per se stessi e per gli altri,
non focalizzarsi su ciò che non si ha nel momento presente,
non pensare al passato ma piuttosto fare piccoli propositi per il
futuro, soprattutto realistici e concreti, dedicarsi in questo
periodo a una vita sana all’aria aperta, non fare programmi per
il dopo feste, vivere il Natale meno come occasione di festa e
più come occasione ‘quotidiana’, semplice, tranquilla, quasi un
giorno ‘normale’ “.
In ogni caso chi si sente infelice potrebbe consolarsi
pensando che è uno dei tanti che non hanno paura di un po’ di
tristezza in una società che appare sempre più ‘depressofoba’,
ovvero paurosa non solo della malattia depressiva ma anche
intollerante di ogni forma di sofferenza.
Giorgio Manganelli (1922-1990), in una lucida analisi, aveva
in un certo senso anticipato quelli che sarebbero stati i futuri
studi sulla depressione delle feste natalizie: “L’infelicità del
Natale è un’infelicità elusiva, viscida, serpentesca, e insieme
‘calamitosa’, e vediamo tutte le imperfezioni dei rapporti
umani, ne soffriamo di più, perché ci sembrano più che mai
incompleti. La festa suprema è il momento della suprema
vergogna. E prima tra tutte quella dei nostri sentimenti, miseri,
sbilenchi. E mai come in questi momenti l’essenza dei nostri
sentimenti amorosi, che avevamo serbato per ricorrenze
speciali come le buone bottiglie, si disperde e soccombe tra i
miasmi del disamore del mondo. È proprio il contrasto con
l’ideale perfetto della ‘felicità natalizia’ che rende in questi
giorni più aspra la pena. Tranquilli, non si tratta di una
faccenda privata, poiché riguarda tante persone, basta
domandarlo un po’ in giro, e poi perché, anche se lo abbiamo
scordato, il Natale è intrinsecamente triste, seppure travestito
di letizia”.
Marina Pellegrino
ARETÆUS news
11
editoriale
chi siamo
(dalla prima pagina)
maggiore gravità dei disturbi dell’umore negli USA e
potrebbe dipendere dalla particolarità della popolazione
statunitense. È vero che sul piano genetico, tra noi europei e
statunitensi non dovrebbero esserci grandi differenze, ma le
persone che sono emigrate negli Stati Uniti nel 19mo e 20mo
secolo, erano sicuramente diverse da quelle che rimasero da
questa parte dell’oceano. I fautori di questa ipotesi sostengono
che una persona proveniente da un piccolo paese italiano (o
europeo), spesso semi-analfabeta per poter decidere di
affrontare l’incognita totale di un’emigrazione da cui
difficilmente sarebbe tornata indietro, doveva essere un po’
speciale. È ragionevole pensare che i nostri emigrati
appartenessero a quel gruppo di persone con un disturbo
bipolare latente che comportava però livelli elevati di energia,
autostima e impulsività, uniti a una gran voglia di competere
e di affrontare pericoli. In questo modo, negli Stati Uniti, per i
decenni in cui sono durate le grandi emigrazioni, si sarebbe
sempre più selezionata una popolazione con maggiore
probabilità di trasmettere il disturbo alle generazioni
successive. La spiegazione è abbastanza convincente per
capire una maggiore prevalenza di bipolarità psichiatrica in
America e un’aumentata difficoltà a curarlo. La teoria
contribuirebbe a spiegare anche la minore capacità delle
popolazioni afro-americane a emergere rispetto ai discendenti
europei e, in parte, lo svantaggio socio-economico. Infatti, gli
africani che arrivarono negli USA furono prelevati dagli
schiavisti e probabilmente non erano i più combattivi delle
loro popolazioni. Si tratta di ipotesi epidemiologiche che
vanno valutate su un piano di neutralità visto che se si
spingono su un terreno al limite del politicamente corretto.
Ne sapremo sicuramente di più quando dal DNA di persone
con disturbo bipolare si potrà confermare o meno la
plausibilità di queste ipotesi.
Leonardo Tondo
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