quando la passione diventa ossessione stalking: editoriale
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quando la passione diventa ossessione stalking: editoriale
ARETÆUS news Dicembre 2009 Centro Lucio Bini Newsletter Copyright © 2005-2009 Centro Lucio Bini editoriale www.centrobini.it Anno V, Numero 4 [email protected] embra proprio che negli Stati Uniti, il disturbo bipolare sia più frequente che in Europa. Non solo. È anche probabile che si presenti con manifestazioni più gravi tanto da rendere necessarie delle terapie più energiche. Va anche aggiunto che la concomitanza di altri disturbi (in gergo, ‘comorbilità’) è più alta al di là dell’Atlantico. Ad esempio, i disturbi d’ansia e i disturbi alimentari (bulimia e anoressia) sono più frequentemente associati a quello bipolare di quanto non lo siano da noi. Per non dire della comorbilità per abuso di sostanze, molto più prevalente negli Stati Uniti nonostante le leggi in materia siano sicuramente più severe che non in Europa (soprattutto quella del Nord). Molti sostengono che la causa di queste differenze debba essere cercata nel modello di vita nordamericano, più stressante del nostro (tutto da dimostrare), ma questo varrebbe soltanto per alcune aree delle grandi città. In generale, un’elevata prevalenza (proporzione di pazienti rispetto alla popolazione generale) di disturbi dell’umore, sia bipolari, sia depressivi, viene spesso spiegata con un migliore e più precoce riconoscimento diagnostico che si tradurrebbe in percentuali più elevate di prevalenza. Non tutti sono d’accordo su questo punto, visto che soprattutto negli ultimi anni, la sensibilità diagnostica dei medici nei confronti dei disturbi psichiatrici si è notevolmente affinata e le persone ricevono adeguate terapie piuttosto precocemente. Invece, le alte dosi di farmaci negli Stati Uniti sarebbero da attribuire a un atteggiamento generalmente più aggressivo nel trattamento delle malattie e alla maggiore spinta da parte dell’industria farmaceutica a usarne di più e per periodi prolungati. Va poi sottolineato che, sebbene il disturbo bipolare abbia una sua accertata componente genetica, questa non si esprime sempre allo stesso modo e con la stessa intensità. Intanto, vi possono essere forme molto gravi e altre così lievi da passare inosservate anche a una valutazione esperta. Questo significa sia che le spinte ambientali avrebbero un loro ruolo nello scatenamento precoce del disturbo, sia che il carico genetico potrebbe essere variabile da individuo a individuo. Un’interessante teoria spiegherebbe la stalking: quando la passione diventa ossessione S (Continua alla pagina 12) ANCHE IN QUESTO NUMERO aggiornamenti 2 psichiatria & arte 4 con parole mie 8 quella strana tribù 10 christmas blues 11 efinizioni precise di stalking sono difficili da dare perché non è costituito da un singolo atto bensì ne coinvolge una moltitudine: pedinamenti, telefonate oscene o indesiderate, lettere, fax, e-mail, spedizione di materiale insolito, lunghi appostamenti nei pressi del domicilio o degli ambienti comunemente frequentati dalla vittima, fino a graffiti intimidatori, minacce; tutte azioni che possono poi tradursi in violenze (per lo più sessuali) e omicidi. Il termine stalking (letteralmente: inseguire insistentemente) indica una costellazione di comportamenti intrusivi con cui un individuo cerca, in maniera asfissiante e ripetitiva, di stabilire un contatto con un altro che non lo desidera. Studi epidemiologici rivelano che il 12-16% delle donne e il 4-7% degli uomini hanno subito almeno un episodio di stalking durante la loro vita. Tra le varie tipologie esistenti, più della metà vede come protagonista lo “stalker respinto” che usa la persecuzione come arma per cercare di ristabilire il rapporto perso con l’ ex-partner. Gli “stalker cacciatori di intimità”, invece, sono persone che non hanno avuto una precedente relazione. Infatti, l’unico rapporto esistente tra stalker e vittima è proprio il processo di stalking. Tra questi ci sono gli “stalker incompetenti”, che intendono corteggiare qualcuno ma che ignorano o sono indifferenti alle convenzioni sociali del corteggiamento e di conseguenza risultano sgradevoli o terrorizzanti e, in fine, gli “stalker erotomani”, persone con un vero e proprio disturbo delirante (anche conosciuto come delirio erotomane o sindrome di De Clérambault), convinti, erroneamente, che la propria vittima sia follemente innamorata di loro, nonostante ogni evidenza dimostri il contrario. Per ultimo troviamo gli “stalker predatori” che traggono piacere dal senso di potere provato nel perseguitare le proprie vittime. Studi dimostrano che questi ultimi insieme agli “stalker respinti” sono più inclini a commettere violenze fisiche e stupri rispetto a quelli degli altri gruppi. D Come nasce John Reid Meloy, psicologo forense e psicanalista statunitense, ha definito lo stalking “un nuovo crimine ma anche un vecchio comportamento”. Il XIX secolo, in particolare, mostra una ricchezza di storie che somigliano ai moderni casi di stalking senza però coinvolgere un tribunale. Per esempio il comportamento di lady Caroline Lamb verso il leggendario poeta donnaiolo Lord George Byron quando egli decise di rompere la loro relazione appassionata. Cominciò prima a scrivergli lettere e ad andare a casa sua non (Continua alla pagina 3) aggiornamenti #1: ALOPERIDOLO E MORTE CARDIACA IMPROVVISA ’aloperidolo, meglio conosciuto con i nomi commerciali di Haldol© e Serenase©, è un farmaco antipsicotico capostipite della famiglia dei butirrofenoni, che agisce come antagonista competitivo della dopamina con attività prevalentemente sui recettori D2 della dopamina. Fu scoperto in Belgio da Paul Janssen nel 1958 e si rivelò un potente antipsicotico a dosi molto inferiori rispetto a quelle usate per la clorpromazina. Divenne uno dei farmaci più utilizzati in psichiatria e, nonostante sia uno dei più vecchi, resta tutt’ora la migliore arma farmacologica per il trattamento di episodi psicotici acuti, gravi eccitamenti maniacali ed episodi di agitazione psicomotoria. Il profilo di tollerabilità del farmaco è stato rivalutato al livello europeo alla luce di alcune evidenze di cardiotossicità. I maggiori effetti tossici sul sistema cardiovascolare includono ipotensione, aritmie cardiache e prolungamento dell’intervallo QT all’elettrocardiogramma. In particolare la torsione di punta (torsade de pointes), una grave tachiaritmia ventricolare responsabile di morti cardiache improvvise è stata associata alla somministrazione, soprattutto per via endovenosa, di alte dosi di aloperidolo. Queste evidenze cliniche hanno portato la Pharmacovigilance Working Party a emanare un preciso atto regolatorio, recepito in Italia da parte dell’AIFA che, dal Febbraio 2007, impone di effettuare accertamenti elettrocardiografici prima della somministrazione di aloperidolo, droperidolo e pimozide (1). Alla sezione “Avvertenze speciali e precauzioni per l’uso” compaiono le voci “Effettuare un ECG di base prima di iniziare il trattamento” ed “Effettuare un monitoraggio dell’ECG nel corso della terapia, sulla base delle condizioni cliniche del paziente”. Il fondamento scientifico di questa disposizione si basa sul presupposto che l’allungamento del QT sia il marker principale per il rischio di torsioni di punta, e che quindi l’aloperidolo non dovrebbe essere somministrato in pazienti con QT allungato, in quanto capace di allungare ulteriormente quest’intervallo causando l’insorgenza dell’aritmia e quindi il rischio di morte cardiaca improvvisa. L’utilizzo dell’aloperidolo riguarda spesso, come già accennato, il trattamento della psicosi acuta, che si configura generalmente con il quadro dell’agitazione psicomotoria, dell’aggressività e del rifiuto terapeutico. È pertanto intuibile che lo stato dei pazienti che necessitano di questo trattamento sia incompatibile con l’esecuzione preliminare di indagini cardiologiche considerate fondamentali come l’elettrocardiogramma. Questa normativa impone al clinico l’utilizzo, in acuto, di alcuni antipsicotici di seconda generazione, più costosi e forse non altrettanto efficaci dell’aloperidolo, ma “liberi” dalla normativa restrittiva che impone accertamenti elettrocardiografici prima della loro somministrazione. Studi più recenti tuttavia hanno dimostrato che il rischio di morte cardiaca improvvisa con la somministrazione di antipsicotici di seconda generazione, è uguale o maggiore a quello da aloperidolo, e che questo rischio è dose-dipendente per tutti gli agenti antipsicotici (2). Alla luce quindi delle più recenti evidenze si può affermare che l’atto regolatorio, che di fatto impedisce l’utilizzo dell’aloperidolo nel paziente con agitazione psicomotoria, costringe il medico a utilizzare altri farmaci forse non altrettanto efficaci e sicuramente non più sicuri se non addirittura più pericolosi nell’indurre aritmie cardiache fatali. Meriterebbe infine una attenta riflessione un editoriale apparso di recente sugli Annals of Internal Medicine (3), che a L proposito di alcune linee guida sull’uso del Metadone (farmaco molto più potente dell’aloperidolo nell’allungare il QT e secondo solo all’amiodarone come possibile responsabile di morti cardiache improvvise) che impongono la esecuzione dell’ECG prima dell’inizio del trattamento, afferma testualmente “Molti punti devono essere considerati prima di uno screening ECGrafico di routine. Sebbene molti farmaci possono prolungare l’intervallo QT, mancano pubblicazioni che documentano che la torsione di punta e la morte improvvisa possono essere evitate con un ECG di routine. D’altro canto, la letteratura è piena di esempi di test di screening che sembra giusto raccomandare ma i cui svantaggi, una volta considerati attentamente, non sono stati associati ad alcun vantaggio o peggio, hanno superato gli stessi benefici”. Giulia Serra, Azienda Ospedaliera Sant’Andrea, Dipartimento di Psichiatria, Università “La Sapienza” Francesca Zazzara, Centro Lucio Bini Roma Bibliografia 1. Agenzia italiana del farmaco: Determinazione 28 Febbraio 2007. GU 13-3-2007 Serie Generale n 60. 2. Ray W. A., Chung C.P., Murray K.T., Hall K., Stein C.M.: Atypical Antipsychotic Drugs and the Risk of Sudden Cardiac Death. N Engl J Med 2009; 361; January 15: 1814. 3. Gourevitch M.N.: First Do No Harm… Reduction? Ann Intern Med 2009; 150: 417–41. #2: LITIO E GRAVIDANZA a terapia a base di sali di litio è il più usato trattamento a lungo termine del disturbo bipolare. Il litio venne introdotto in medicina intorno al 1840 da Alexander Ure per il trattamento della calcolosi vescicale e da Alfred Garrod per quello della gotta. Fu nel 1949 che John Cade notò che l’urato di litio causava sedazione in pazienti con eccitazione maniacale. Negli anni ’60, Mogens Schou condusse fondamentali esperimenti che dimostrarono l’efficacia del litio nella prevenzione delle ricadute del disturbo bipolare. Nel 1970, la Food and Drug Administration (FDA) statunitense approvò il trattamento. Nel disturbo bipolare, gli episodi depressivi si alternano, in vario modo, a episodi maniacali o ipomaniacali. I primi sono caratterizzati da abbassamento dell’energia globale e del tono dell’umore, apatia, abulia, astenia, sentimenti di colpa, rallentamento psico-motorio, pensieri di morte. Quelli maniacali sono caratterizzati, al contrario, da energia e tono dell’umore aumentati, logorrea, disinibizione, diminuito bisogno di sonno e talvolta deliri di grandezza e onnipotenza. I rischi della farmacoterapia in gravidanza sono numerosi e sono correlati sia alle modifiche fisiologiche dell’organismo dovute allo stato gravidico, sia alle proprietà del farmaco stesso. La fisiologia della gravidanza è profondamente diversa rispetto alla fisiologia delle donna non gravida con modifiche che riguardano, per esempio, un’alterata funzione gastrointestinale, un aumento della filtrazione glomerulare e un alterato metabolismo epatico che possono produrre importanti cambiamenti nella farmacocinetica delle nostre medicine. Il clinico deve considerare con attenzione questi cambiamenti per cercare di minimizzare il rischio di eventi avversi, come effetti collaterali da accumulo o iperdosaggio o, al contrario, assenza di efficacia terapeutica dovuta a un L (Continua alla pagina 6) 2 ARETÆUS news stalking accompagnata (cosa scandalosa per una donna dell’epoca), poi le sue azioni divennero sempre più disperate e persecutorie, fino ad arrivare a spedirgli un taglio dei suoi peli pubici e accoltellarsi in pubblico di fronte a lui, ferendosi una mano. Altro esempio è quello di Stendhal che innamorato disperatamente di una donna italiana (Matilde Dembowski) la assediò con lettere e visite presso la sua casa in Lombardia sperando che ricambiasse il suo amore. I suoi tentativi inclusero il travestirsi con un soprabito e degli occhiali scuri per pedinarla. Un’ennesima testimonianza la abbiamo grazie al film di Truffaut Adèle H sull’ossessione amorosa di Adèle Hugo, figlia del famoso scrittore francese, per il tenente della marina britannica Pinson. Adèle (così scrive nel suo diario realmente esistente) lo inseguì addirittura ai Caraibi quando lui cercò di scappare da lei. Oltre ai casi reali di stalking, anche quelli letterari dimostrano come questo fenomeno si annidi nella nostra coscienza culturale da almeno duecento anni: Edgar Allan Poe scrisse L’uomo della folla, in cui il protagonista insegue per 24 ore una persona incontrata per caso; William molesta amorosamente Esther in Casa desolata di Dickens; in Un lungo fatale inseguimento d’amore di Louisa M. Alcott, l’eroina è perseguitata implacabilmente dal marito Rochester che si rifiuta di accettare la fine del loro matrimonio. Probabilmente questi autori non avrebbero mai immaginato che lo studio del fenomeno da loro narrato sarebbe divenuto di così grande interesse scientifico e culturale 150 anni dopo. Se volessimo invece fissare con precisione quando la moderna “cultura dello stalking” iniziò, ovvero quando i media cominciarono a utilizzare questo termine con l’uso corrente, fu probabilmente nel 1989, quando John Bardo assassinò l’attrice televisiva Rebecca Schaeffer. Bardo possedeva più di 100 cassette che la riprendevano. Spiegò che lei: “era brillante, la sua innocenza mi colpì. Divenne per me una dea, un idolo. Da quel momento diventai ateo, non adoravo che lei”. Quando però la Schaeffer girò una scena a letto con un uomo, Bardo si indignò e decise di punirla per la sua immoralità sparandole a bruciapelo sulla soglia di casa. Prima della Schaeffer ci fu l’omicidio di John Lennon da parte di Mark Chapman nel 1980 e l’attentato di John Hinckley a Ronald Reagan l’anno successivo, ma non venne mai utilizzato il termine “stalking” per descrivere questi eventi (pur avendone alcune caratteristiche). Il caso Bardo ebbe il pregio di sensibilizzare l’opinione pubblica verso le migliaia di normali cittadini che erano vittime di un crimine prima non considerato e per questo ignorati o screditati. Lo stalking: un nuovo crimine Nel 1990, lo stato della California approvò la prima legge anti-stalking seguita negli anni successivi non solo da tutti gli altri stati federali americani ma anche da molti altri paesi come l’Australia, il Canada, il Giappone e gran parte delle nazioni dell’Europa occidentale. Anche il legislatore italiano ha recentemente regolamentato il fenomeno con il D.L. 23 febbraio 2009 che introduce nel codice penale l´articolo 612bis: «Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni chiunque, con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita». Dal precedente enunciato si evince come lo stalking sia un crimine del tutto particolare in quanto la sua dignità (dalla prima pagina) giuridica è definita dalla vittima e non dall’offensore. Tempestare qualcuno di telefonate o seguirlo in luoghi pubblici non costituisce di per sé un crimine, è lo stato di ansia o di paura da cui scaturiscono che lo rendono tale. Stalking e Psichiatria Le intrusioni che le vittime di stalking subiscono sono sempre reiterate e persistenti. Da esse può originare uno stato di ansia permanente anche in assenza di una minaccia concreta. Ogni volta che il telefono squilla, ogni volta che controlli la tua e-mail o ritorni a casa c’è la possibilità di essere colpiti. Il mondo, gli spazi pubblici e quelli privati appaiono diversi in questo stato e divengono luoghi pieni di potenziali minacce. Sembra poi che la capacità della vittima di esercitare un livello ragionevole di controllo su questo mondo sia diminuita come risultato della propria esperienza. Alcune arrivano a cambiare il proprio numero di telefono, domicilio o nome, o modificare il proprio aspetto fisico. “Ciò che si perde è molto più che le ore o i giorni che passi a combattere. È la tua anima, la tua intimità, le tue emozioni… è il tuo “essere”, ogni cosa ti viene portata via: sei derubata di te stessa”: così, una donna perseguitata dall’ex compagno cercò di spiegare in tribunale il suo stato interiore. Da studi condotti sulle vittime di stalking si scopre che la prevalenza di disturbi psichiatrici è considerevolmente più elevata in esse rispetto alla popolazione generale. Sensazione di allarme continuo e insonnia sono pressoché costanti e con maggior frequenza questo provoca l’insorgere di disturbi d’ansia. Tuttavia troviamo anche un numero rilevante di pazienti depressi e con sintomi psico-somatici. Forti evidenze suggeriscono che si manifestano soprattutto sintomi accomunabili al disturbo post-traumatico da stress. Questa particolarità non può essere spiegata esclusivamente dal trauma derivante dalle aggressioni fisiche e dagli stupri subiti dalle vittime, infatti, sebbene siano abbastanza comuni (soprattutto quando lo stalker è l’ex-partner), interessano solo una parte relativamente piccola dei pazienti. Più verosimilmente le ripetute modalità di comunicazione intrusiva e le continue molestie hanno effetti simili a forti eventi traumatici isolati con conseguenze inaspettatamente deleterie per la vittima. Herald Dressing, tra i maggiori esperti nel campo, fa però un’osservazione al riguardo: “se da una parte lo stalking può essere visto come un fattore causale nella patogenesi del disturbo psichiatrico, dall’ altra la malattia psichiatrica potrebbe rappresentare un fattore di vulnerabilità nell’essere vittima di questo tipo di molestie”. Visto da questo punto di vista la stima epidemiologica reale degli effetti di tale comportamento sulla salute delle vittime risulta sovrastimata (pur mantenendo una indubbia rilevanza). A poter essere affetti da disturbi psichiatrici, però, non sono solamente i perseguitati ma anche (e maggiormente) i persecutori che possono e devono essere aiutati tramite psicoterapia o farmacologicamente. Oltre agli stalker con delirio erotomane di cui si è parlato prima, esistono stalker con diversi tipi di delirio (soprattutto persecutorio) sia nell’ambito di un disturbo dell’umore che del pensiero. Una grande importanza, inoltre, è rivestita dai disturbi di personalità caratterizzati da ferite narcisistiche (come il disturbo border-line o quello narcisistico). Meloy sottolinea l’importanza di quest’aspetto sostenendo che lo stalking inizia sempre con la creazione, nella mente del soggetto, di una fantasia di “legame narcisistico”. “Tali fantasie – sostiene Meloy – sono caratterizzate da pensieri consapevoli di essere amato dall’oggetto o di amarlo, ammirato o (Continua alla prossima pagina) ARETÆUS news 3 stalking psichiatria & arte (dalla pagina precedente) ammirarlo (idealizzazione), di essere esattamente uguale a esso (rispecchiamento) o complementare (gemellarità)”. Meloy precisa che tali fantasie non sono patologiche. Al contrario sono tipiche dell’attaccamento affettivo che si crea durante l’innamoramento. Come diceva Jaques Lacan: “L’amore può essere progettato solamente nel campo del narcisismo. Amare è essenzialmente desiderare di essere amati”. È nel momento del rifiuto che lo stalker non riesce a comportarsi normalmente. Data la tendenza dei narcisisti a percepire gli altri come “oggetti parziali”, la cui funzione è quella di gratificare la propria persona (in realtà fragile), essi possono essere straordinariamente sensibili al rifiuto o ai sentimenti di vergogna e umiliazione che l’accompagnano. Per affrontare questi sentimenti insopportabili lo stalker reagisce con la rabbia e tenta di svalutare l’oggetto prima idealizzato controllandolo, danneggiandolo o persino distruggendolo. Il processo per stalking a Babbo Natale continua... Sa quando dormo, quando sono sveglia, se sono stata buona o cattiva, mettetelo [email protected] in galera una buona volta!!! Commenti Lo stalking può essere considerato un “terrorismo interpersonale” e come tutti gli atti terroristici ci costringe a rivalutare alcuni aspetti della nostra vita che prima davamo per scontati. La cosa che più impaurisce dello stalking è proprio il fatto di derivare da impulsi e desideri normali nelle relazioni con le altre persone e che può essere commesso con gesti e comportamenti apparentemente di routine e innocui, se presi singolarmente. Quale è il limite superato il quale il corteggiamento di un estraneo o il tentativo di riavvicinarsi all’ex amante diventa inaccettabile? Quanto dovremmo essere liberi nella società? Lo stalking mette in evidenza l’importanza e allo stesso tempo la fragilità delle leggi implicite che regolano le nostre relazioni con gli altri e dalle quali dipende la normalità dell’esistenza sociale quotidiana. “Quando lo stalker guarda dentro le nostre finestre, ci ricorda la fragilità delle convenzioni di ogni giorno, una volta scardinate chiunque può terrorizzarci facilmente, se si mette in testa di farlo” (Robert Fine, dal suo resoconto autobiografico Being Stalked). Andrea Solfanelli 4 ARETÆUS news ANIMA E MUSICA NEL MEDIOEVO Il discepolo: “che cos’è la musica?” Il maestro: “è la scienza della buona modulazione”. (dal trattato Scholia Enchiriadis, X secolo, citato in Gerbert, Scriptores: Ecclesiastici de Musica Sacra Potissimum, vol. I, p. 173). l medioevo è un'epoca che copre quasi mille anni di storia (dalla fine del V secolo a quella del XV). Questo lungo periodo storico è ricchissimo di musica, che nella maggior parte dei casi si configura ancora come musica "di vita", da suonare per accompagnare un lavoro, una battaglia, un banchetto, una festa. Musica con una funzione pratica più che estetica. Questa viene spesso improvvisata o composta per delle occasioni particolari, non ha quindi bisogno di essere scritta e tramandata ai posteri, essendo destinata a essere eseguita una sola volta. Per questa ragione, la quantità di componimenti musicali documentati e disponibili è esigua. Un’eccezione è però costituita dalla musica religiosa, della quale sono reperibili numerose partiture. Questa abbondanza è dovuta alla funzione pratica della musica sacra che, dovendo accompagnare e accrescere l’importanza di riti e cerimonie religiose aventi regole ben definite, deve necessariamente essere scritta. Oltre ad avere una importante funzione nella vita quotidiana e nella liturgia, all’interno della società medievale la musica esercita un ruolo di assoluto rilievo come scienza, e in quanto tale, spesso viene accostata alla medicina. Lo stretto rapporto esistente tra queste due discipline, e in particolare tra musica e patologia mentale, è infatti ben documentato da numerose testimonianze raccolte lungo tutto il corso della storia medievale. Durante il medioevo la malattia mentale è considerata come risultante di “passioni o accidenti dell’anima”, che possono produrre squilibri nell’organismo, aggravare e complicare malattie fisiche già esistenti (da cui peraltro possono anche essere provocate), oltre a costituire talvolta delle vere e proprie patologie che coinvolgono il corpo non meno che l’anima. In ambito medico essa è classificata come ultima tra le res non naturales, ovvero quelle condizioni, situazioni, processi che non sono “contro” l’organismo, ma che non sono neppure necessarie e naturali strutture dell’organismo stesso (come umori, complessioni, membra), e che necessariamente ne condizionano l’equilibrio e la salute. Le strategie terapeutiche atte a sanare le res non naturales si identificano nei consilia, delle indicazioni precise e strutturate su come riuscire ad eliminare questi disturbi. Proprio nell’ambito dei consilia si inserisce il concetto di musica come terapia specifica della patologia mentale. La musica possiede la proprietà di far riacquistare la salute psichica, poiché riequilibra l’alterato rapporto tra anima e corpo (che è la base di tutte le patologie) agendo sullo spiritus, che rappresenta il punto di intersezione tra corpo e anima, ciò che lega il mondo materiale e non materiale dell’uomo. È bensì un corpo, ma di natura sottilissima, simile a quella dell’anima: per questi caratteri è in qualche modo affine alla stessa musica che ha bisogno per sussistere di supporti I e a? or materiali, ma che corporea non è. Spiritus e musica si configurano entrambi in una struttura aerea, che giustifica l’azione diretta della seconda sul primo. Alterazioni delle proporzioni dello spiritus sono alla base della disarmonia tra corpo e anima che si manifesta sottoforma di patologia mentale. La musica esplica la sua azione terapeutica riequilibrando la dimensione dello spiritus, in modo che esso riacquisti il suo giusto ordine e porti concordia tra anima e corpo. affinché ciò accada, nella struttura musicale deve sussistere una condizione di musicalis consonantia: per sortire il suo effetto la musica deve essere composta da una mescolanza di elementi opposti dal punto di vista sonoro (acuto e grave) contemperati secondo una giusta proporzione (proportio copulationis). Sarà questa proporzione a essere impressa nello spiritus per stabilizzarne la dimensione sanando la patologia mentale. La funzione stabilizzante della musica è confermata dal suo ampio utilizzo da parte dei medici dell’epoca nel trattare i disturbi dell’umore. Michele Savonarola, nella sua Practica Maior, parla della musica come mezzo per liberare l’animo dalla sollicitudo melanconica, una malattia psichica che causa languore, dimagramento, abulia, e che può portare alla follia o a mortis periculum. Gregorio Magno, trattando della struttura e dei modi della profezia, nota inoltre come la musica dei salmi sia capace di svuotare l’animo umano da tutte le sue afflizioni per prepararlo a ricevere Dio. Di estrema importanza si rivela il commento di Pietro D’Alvernia ai Problemi di Aristotele: egli afferma il valore stabilizzante della musica auletica (genere musicale prodotto dall’esecuzione solista dell’aulos, uno strumento ad ancia doppia) sottolineando che ad essa ricorrono sia coloro che sono afflitti dal dolore che quelli afflitti da eccessiva gioia. Nel puntualizzare quest’aspetto della terapia musicale, Pietro ne afferma il valore universale, capace di produrre effetti diversi in patologie diverse, soffermandosi inoltre su come malattie di natura apparentemente opposta possano aver bisogno dello stesso genere di cura. Pietro prosegue nella sua analisi affermando che la musica, per svolgere appieno il suo effetto terapeutico, ha bisogno della consuetudo che consiste nel riproporre per lunghi periodi lo stesso tipo di musica, inducendo in questo modo un potenziamento della sua azione sull’individuo. Non sempre però la musica serve a stabilizzare e a curare. Come avverte lo stesso Savonarola, la musica può svuotare l’anima dalla depressione, ma può anche sortire l’effetto opposto. Pietro d’Alvernia afferma, riprendendo i temi trattati nell’ottavo libro della Politica di Aristotele, come alcune melodie musicali (che non possiedono quella musicalis consonantia necessaria per stabilizzare lo spiritus) possano alterare il nostro umore fino a causare veri e propri quadri patologici. Ad esempio, le melodie appartenenti al terzo modo della scala musicale medievale (antica armonia frigia) agiscono fortemente sugli spiritus disponendo gli ascoltatori al raptus. Questo termine (che corrisponde al greco enthousiasmos) è un moto, un trasporto dell’anima, che consiste in una tensione, un desiderio, un piacere intensissimo. D’altra parte le melodie appartenenti al settimo modo del sistema musicale medievale (modo ritenuto equivalente all’antica melodia misolidia) percuotono fortiter gli spiritus e ne causano una retrazione verso l’interno, tale da indurre gli ascoltatori al pianto e alla compassione. Come si evince da queste testimonianze, la musica può essere un potentissimo strumento di cura, che porta sollievo e benessere, ma può causare anche disequilibrio, raptus e tristezza. La musica incanta, vincola, e d’altra parte cura, lenisce, può cancellare e fissare: un’ambivalenza di esiti che forse appartiene anche all’essere musica per natura “al confine”, come al confine sono gli spiritus su cui, attraverso l’udito, essa agisce per favorire profezia e malia, amore e oblio. Alessio Simonetti Pietro De Rossi Bibliografia Casagrande C.: Anima e corpo nella letteratura medievale, Atti del V Convegno di studi della Società Italiana per lo Studio del Pensiero medievale (Venezia, 25-28 settembre 1995), Sismel Edizioni del Galluzzo, 1999. Fattori M.: Spiritus. IV Colloquio Internazionale del Lessico Intellettuale Europeo (Roma, 7-9 gennaio 1983), Edizioni dell'Ateneo, 1984. Ferrari Barassi E.: Strumenti musicali e testimonianze teoriche del Medioevo, Fondazione Claudio Monteverdi, 1979. Grmek M. D.: Storia del pensiero medico occidentale. Antichità e Medioevo, Laterza Editore, 2007. Harvey E.R.: The invar Wits. Psychological Theory in the Middle Ages and in the Renaissance, The Warburg Institute, 1975. Letterio M.: La musica nel pensiero medievale. Atti del IX Congresso della Società Italiana per lo Studio del Pensiero Medievale. Ravenna 10-12 dicembre 1999, Longo Editore, 2001. Nagel A.: Il bambino, la parola, il silenzio nella cultura medievale, Edizioni Il Mulino, 1984. Onians R.B.: Le origini del pensiero europeo, Adelphi Editore, 1998. www.centrobini.it ARETÆUS news 5 aggiornamenti (dalla seconda pagina) dosaggio insufficiente. Inoltre, se è vero che il rischio teratogeno è legato alle proprietà biochimiche delle varie molecole, è ormai accertato che lo stesso rischio è legato alla dose. Se non si considerano le alterazioni farmacocinetiche delle medicine, si può assistere ad aumenti improvvisi delle concentrazioni plasmatiche dei farmaci con conseguente aumento del rischio teratogeno. L’uso dei farmaci psicotropi usati in gravidanza sono associati tre categorie di rischi: 1) rischio di teratogenicità somatica e malformazioni d’organo del feto; 2) tossicità neonatale (incluse sindromi perinatali e sindromi d’astinenza) e 3) effetti a lungo termine sullo sviluppo e sul comportamento. Considerata la gravità dei potenziali eventi avversi da una parte e dei disturbi psichiatrici non trattati dall’altra, la redazione di linee guida su questo problema non è semplice. Solo l’attenta valutazione, effettuata su ogni singola paziente, può guidare il clinico nella difficile valutazione dei rischi e dei benefici associati alla prosecuzione o all’inizio di una psicofarmacoterapia in gravidanza o, al contrario, alla sua interruzione. La FDA classifica i farmaci in ordine crescente di rischio teratogeno nel seguente modo: A - Studi controllati su uomini non mostrano alcun rischio; B - Nessuna evidenza di rischio sugli uomini (dati su uomini negativi e dati su animali positivi o studi su animali negativi) C - Non esclusione del rischio (dati su uomini mancanti; studi su animali positivi) D - Evidenze positive di rischio (dati su uomini mostrano rischio; il beneficio può superare il rischio) X - Controindicato in gravidanza (dati su uomini e animali positivi). La grande efficacia del litio nella prevenzione delle ricadute maniaco-depressive e l’elevato rischio di ricadute a seguito della sua sospensione, ha sollevato ben presto la necessità di comprenderne la gestione del trattamento durante la gravidanza. La situazione è resa ancora più complessa dal fatto che il rischio di ricadute non è solo favorito dalla sospensione del litio ma anche dallo stesso periodo del postpartum. D’altro canto, numerosi Autori hanno studiato, negli ultimi decenni, la sicurezza del trattamento con litio in gravidanza. Il Registro dei Bambini esposti al Litio è stato creato nel 1969 in Danimarca, dopo che erano stati riportati casi di malformazioni congenite associate all’uso del litio in gravidanza. Altri registri sono stati creati in Canada e negli Stati Uniti, sino alla creazione del International Register of Lithium Babies. Le analisi iniziali di questi dati descrivevano un aumentato rischio di malformazioni cardiovascolari, specialmente di malformazione di Ebstein, in neonati esposti al litio. Si tratta di un difetto caratterizzato dall’ipoplasia del ventricolo destro e dallo spostamento verso il basso della valvola tricuspide, spesso con variabili difetti del setto. Era stato proposto che il rischio per questa malformazione nei bambini esposti al litio durante il primo trimestre di gravidanza fosse di molte volte superiore rispetto all’1/20000 trovato nella popolazione generale. 6 ARETÆUS news Nonostante tali studi fossero stati condotti con molti bias metodologici, tali risultati influenzarono le successive due decadi. Recentemente diversi studi controllati hanno riscontrato un rischio teratogeno per malformazione di Ebstein che si attesta tra 1/1000 (0.1%) e 1/2000 (0.05%) nati vivi. Il tasso di altre cardiopatie congenite varia tra lo 0.9% e il 12%. Nonostante il rischio del difetto durante trattamento con litio sia da 10 a 20 volte più alto rispetto a quello presente nella popolazione generale, il rischio assoluto rimane molto basso. Considerate queste recenti stime, gli Autori concordano con Viguera e coll. (2002) nell’affermare che “il litio sia il più sicuro stabilizzatore dell’umore durante la gravidanza”. Nonostante ciò, la FDA situa il litio in classe D. I grandi fondi economici pubblici e privati non sembra abbiano mai avuto troppo interesse nel diffondere i più recenti studi a riguardo, né a rettificare il pensiero sulla teratogenicità del litio scaturito dalle prime pubblicazioni. Sono stati riportati alcuni casi di tossicità neonatale associata all’utilizzo del litio nell’ultimo trimestre di gravidanza: sindrome del floppy infant, ipotonia muscolare con cianosi e dispnea. Sono anche stati descritti isolati casi di ipotiroidismo neonatale, diabete nefrogenico insipido e polydramnios. Poca letteratura è disponibile sugli esiti comportamentali a lungo termine dei bambini esposti al litio in utero. Uno studio con un follow-up di 5 anni su 60 bambini esposti al litio durante il secondo e il terzo trimestre di gravidanza, non ha trovato alcuna alterazione di carattere comportamentale. Un rapporto preliminare su 13 bambini (età media 3.5 anni) di donne con disturbo bipolare che erano stati esposti al litio in utero e 11 bambini (età media 3.3 anni) di donne con disturbo bipolare che non erano stati esposti al litio in utero, non ha evidenziato significative differenze negli esiti neurocomportamentali. Gravidanza, rischio di ricadute e ruolo del litio Il rapporto tra gravidanza e malattia maniaco-depressiva è stato al centro di molti dibattiti. Per molti anni si è pensato che la gravidanza esercitasse un certo ruolo protettivo nei confronti delle patologie psichiatriche in genere. Deponevano in tal senso la minor frequenza di ricoveri in ambiente psichiatrico di donne gestanti, le imponenti remissioni di disturbi psiconevrotici, schizofrenici e depressivi e la scomparsa di malattie psicosomatiche. Alcune osservazioni cliniche suggeriscono che la gravidanza possa ridurre il rischio di malattie psichiatriche acute, e specificamente proteggere contro le ricadute del disturbo bipolare, della depressione unipolare e dei disturbi psicotici. Altri studi, sebbene abbiano confermato un tasso di ricovero inferiore o non modificato durante la gravidanza, non hanno valutato la morbidità in donne gestanti con disturbo bipolare. Con specifico riferimento al disturbo bipolare è stato suggerito che la gravidanza abbia un effetto protettivo sul decorso di pazienti affetti da disturbo bipolare grave. Altre recenti ricerche e la crescente esperienza clinica suggeriscono, viceversa, che la gravidanza non possegga alcun ruolo protettivo. Al contrario si è trovato che la gravidanza sia un periodo particolarmente a rischio di ricadute, particolarmente a seguito della sospensione delle terapie con stabilizzatori dell’umore. È stato riscontrato che circa il 45% di donne con disturbo bipolare hanno una esacerbazione della malattia durante la gravidanza e che almeno il 50% delle donne con disturbo bipolare divennero sintomatiche durante la gravidanza. Uno studio sul decorso di 101 pazienti affette da disturbo bipolare I e disturbo bipolare II, ha mostrato che fra 42 gestanti e 59 non gestanti, che avevano interrotto la terapia di mantenimento a base di sale di litio, le percentuali di ricadute sono state del 52% e del 58%, rispettivamente, durante i primi 9 mesi dalla sospensione. È importante notare come, durante l’anno precedente, solo il 21% dell’intero campione aveva manifestato episodi affettivi durante la terapia con litio. Questi risultati sembrano essere in linea con l’ipotesi che la gravidanza abbia un piccolo effetto protettivo verso le ricadute o che la sospensione della terapia di mantenimento rappresenti essa stessa un importante, e forse dominante, fattore di rischio. Ancora, qualsiasi efficacia protettiva abbia la gravidanza, sembra essere limitata e comunque insufficiente se la terapia di stabilizzazione viene sospesa. Post-partum, rischio di ricadute e ruolo del litio A differenza di quanto detto riguardo la gravidanza, vi è un ampio accordo nell’affermare che il periodo del post-partum sia ad alto rischio per ricadute dei manie, depressioni e altri disturbi di natura psichiatrica. Già nella metà del 19° secolo, Marcé (1858) descrisse casi di gravi episodi affettivi e psicotici insorti in donne nel periodo del post partum. Più tardi, Kraepelin, nella sua classica descrizione della malattia maniaco-depressiva, osservò che gli attacchi di mania e di melanconia erano comuni in gravidanza, ma ancora di più durante il post-partum. Studi recenti hanno confermato queste impressioni. Il tasso di ricadute tra il terzo e il sesto mese dopo il parto varia dal 20% all’80%. La psicosi post-partum è un evento raro tra la popolazione generale, con una prevalenza che oscilla tra lo 0.1% e lo 0.2%. Tra le donne con disturbo bipolare, al contrario, il rischio è forse 100 volte maggiore, con una percentuale che oscilla tra il 10% ed il 20%. La psicosi post-partum è caratterizzata dalla rapida insorgenza dei sintomi, spesso entro le prime 48-72 ore dopo il parto. Il disturbo si può manifestare con delirium (confusione mentale, disorientamento, agitazione psicomotoria, instabilità affettiva), ma è spesso indistinguibile da un attacco depressivo, maniacale o misto con sintomi psicotici. La psicosi post-partum è un’emergenza medica associata a un elevato rischio di infanticidio e suicidio. Richiede immediato trattamento, spesso in ambiente protetto, con stabilizzatori dell’umore, antipsicotici o terapia elettroconvulsivante. Dopo un episodio di questo tipo, il rischio di una ricaduta dopo una successiva gravidanza è di circa il 90%. Da quanto detto, emerge fortemente la gravità della sintomatologia e l’elevato rischio di vita per il neonato e per la donna. Sono stati condotti alcuni studi al fine di prevenire le ricadute attraverso una terapia stabilizzatrice somministrata durante le ultime settimane di gravidanza. Infatti, il 40-70% delle donne bipolari manifesta una mania o una depressione post-partum e tale percentuale scende al 10% se si segue una profilassi con stabilizzatori dell’umore. Gli studi sul litio sono limitati. Quando il litio è stato somministrato alcune settimane prima del parto o immediatamente dopo il parto, il rischio di ricadute è sceso da 2 a 5 volte, rispetto alle donne non trattate. Questi risultati sollevano importanti questioni ancora senza risposta, come la dose ottimale, il periodo gestazionale migliore nel quale introdurre o reintrodurre il litio, la sua efficacia rispetto agli altri stabilizzatori dell’umore. Considerazioni cliniche “Ha avuto una crisi di panico (crede che ‘panico’ sia la parola giusta). Ha provato a mettersi stesa per qualche minuto mentre il figlio dormiva; ha provato a leggere un po’, ma non riusciva a concentrarsi, è rimasta distesa sul letto con il libro tra le mani, sentendosi svuotata, esausta…: è questo che vuol dire impazzire? Non se l’era mai immaginato così – quando aveva pensato a qualcuno (a una donna come lei) che perdeva la testa, si era immaginata urla e lamenti, allucinazioni; ma in quel momento le era parso chiaro che c’era un altro modo, molto più tranquillo: un modo, più che confuso e disperato, piatto, tanto che un’emozione forte come il dolore sarebbe un sollievo, pensa che potrebbe essere profondamente confortante, la farebbe sentire libera: andarsene, semplicemente. Dire a tutti: ‘Non ce la facevo, non sapete com’è; non volevo provarci più…’ “ In queste poche frasi, Cunningham riassume lo strazio della depressione che vive una donna in attesa del suo secondo figlio. E le depressioni in gravidanza, ancor più che quelle che insorgono nel post-partum, sono del tipo peggiore. Ai sintomi tipicamente depressivi, infatti, si associano spesso sintomi di agitazione fisica (incapacità a rimanere fermi, irrequietezza, insonnia totale, aggressività, logorrea) e psichica (tensione interna, angoscia, sensazione di avere mille pensieri in testa che vorticano senza freno e senza fine). Non sono rari, infine, sintomi psicotici come allucinazioni e deliri (soprattutto di colpa, d’incapacità, di rovina e di persecuzione). Sono stati riportati disturbi psicomotori nel 98% (agitazione nel 57%, eccitazione catatonica nel 47%), disturbi affettivi nel 93% dei casi (di cui il 47% di tipo depressivo), deliri nel 80%, disturbi formali del pensiero nel 70% , aggressività nel 28% e (Continua alla prossima pagina) ARETÆUS news 7 aggiornamenti (dalla pagina precedente) idee di suicidio nel 23%. Il quadro clinico è drammatico, il dolore che attanaglia queste donne è insostenibile, i sintomi psicotici, qualora presenti, molto penosi. A rendere tutto ancora più insopportabile vi è la non rara incapacità da parte dei familiari, degli amici e della comunità in genere di comprendere come un momento che dovrebbe rappresentare, secondo la nostra cultura, l’apice della felicità per ogni donna, sia ragione di sofferenza e tormento. La morte appare l’unica soluzione. E spesso, in un tragico e definitivo gesto d’amore, le madri si uccidono insieme al proprio figlio. Non lo vogliono lasciare solo in questo mondo infernale e ogni tentativo di ridurre il rischio che episodi così gravi avvengano è doveroso. La terapia profilattica con litio è una strategia farmacologia imprescindibile, che va conosciuta e saputa gestire da chi si occupi di queste malattie. Abbiamo visto come il rischio teratogeno associato al litio in gravidanza, seppur minimo, sia presente, tanto che la FDA l’ha posto in categoria D. È necessario che il medico giudichi con attenzione ogni caso, valutando ogni volta i rischi e i benefici associati alla sospensione o alla prosecuzione della terapia profilattica. Qualora possibile, sarebbe auspicabile che una donna affetta da disturbo bipolare e in cura con litio (o con altri stabilizzatori dell’umore), programmi la gravidanza in accordo con il proprio psichiatra e il proprio ginecologo. Il rischio di una ricaduta, come già detto, è elevato dopo la sospensione del litio, ma è più ridotto in donne con un numero basso di episodi in anamnesi e se la sospensione si attua gradualmente e non bruscamente. Tali aspetti vanno analizzati con attenzione. Altra situazione è quella di una gravidanza non programmata. Seppure il rischio teratogeno è minimo, si è soliti interrompere la terapia con litio per i primi tre mesi di gravidanza, per poi riprenderla dopo il terzo mese, proseguirla sino a ridosso del parto. È da sottolineare che, mentre la riassunzione del litio dopo il parto agisce rapidamente nella prevenzione della mania, generalmente necessita di più tempo per agire nella prevenzione della depressione. Molti pazienti bipolari sopportano molto bene la terapia profilattica durante la gravidanza. Le recenti innovazioni tecnologiche permettono, d’altronde, uno screening ecocardiografico intrauterino per rilevare alterazioni cardiologiche e una correzione chirurgica precoce della maggior parte dei casi della rara anomalia di Ebstein. Inoltre un’attenta monitorizzazione dei livelli di litiemia materni può ridurre lo sviluppo di tossicità e riconoscere la dose minima efficace. Vogliamo infine ricordare che esistono altre terapie per la cura e la prevenzione di episodi affettivi in gravidanza. Le varie tecniche psicoterapeutiche, un adeguato supporto ambientale, la light therapy per la terapia per la depressione sono alcuni esempi. Nei casi di episodi psicotici o di agitazione psicofisica insorti durante la gravidanza si consiglia l’uso di neurolettici e antipsicotici atipici, anche se su questi ultimi mancano studi a lungo termine. Nei casi più gravi, comunque, è ormai universalmente riconosciuto che la terapia più efficace e più sicura, sia per la madre sia per il feto, sia la terapia elettroconvulsivante. Gabriele Sani 8 ARETÆUS news con parole mie Caro…, cerco di aggiornarti, anche se non so se ci riesco perché sono molto confusa. Da ieri mi sento un po’ meglio, nel senso che mi sono svegliata e ho poltrito fino alle 11, ma senza quell’angoscia attanagliante e le lacrime irrefrenabili dei giorni precedenti. Così ho fatto qualcosina, tipo buon lungo bagno rilassante e lettura... della Bibbia! Oggi ho impiegato tutta la mattina per spedire due pacchetti con due copie del mio libro a delle colleghe, e fare un minimo di spesa. Poi ho fatto i tortellini alla panna con una ricetta presa da internet ed erano proprio buoni. Poco, ho fatto, ma meglio di niente. Così mi sento un po’ meglio. Vedi. Ma ho quella terribile sensazione che ricordo dalle volte precedenti, tutte le volte, troppe, che si è chiuso un “episodio depressivo”: di dover ricominciare *tutto* daccapo. Di aver subito una frattura, una ferita profonda nella mia storia, nel mio senso di me stessa. Di aver fatto tanti errori e dover nonostante ciò ricostruire come dal nulla un’identità accettabile, considerando che alcuni sbagli sono irreparabili, che alcune persone non potrò più guardarle in viso. Mi sento, davvero, come un neonato che deve far finta di essere grande. E tutto questo mi fa fatica, una fatica enorme. Le prime volte che questo è avvenuto ho *davvero* ricostruito tutto: dopo ogni volta un anno di depressione (1980, 1985, 1990) risvegliatami dal buio e gettatami alle spalle le macerie delle precedenti situazioni ho iniziato tutto daccapo in senso letterale: finiti nel vuoto i vecchi fidanzamenti sono corsa incontro a nuove storie d'amore, abbandonato progetti di studio e iniziato nuovi percorsi, cambiato casa, città, nazione, amicizie, abitudini. Insomma ogni volta ho dovuto diventare un'altra, se non del tutto almeno in gran parte. In quest’opera di ricostruzione il fatto che dopo la depressione venisse l’euforia mi ha aiutato (almeno nel 1981, 1986 e 1991). Ora è diverso, non posso abbandonare tutto, e l’euforia la tieni sotto controllo: dunque mi tocca ricominciare senza entusiasmo da quello che c’è. Già nel 2003 è stato un po’ così. Meno male, dirai. Sì. E meno male che stavolta male ci sono stata due mesi e non un anno (ammesso e non concesso che sia finita, ma speriamo di sì). Certo. Ma sono stanca lo stesso. Stanca degli errori, stanca del vuoto, stanca di trovare sbagliata ogni scelta che faccio, da quelle importanti a quelle più banali (la mia psicoterapeuta dice che seguo il principio della ‘scelta sbagliata a priori’ :-). Dunque vedi, sto meglio, e te ne ringrazio, ma sono debole come un uccellino, temo anche gli sguardi, uscire mi fa ancora paura. Tutti hanno quei contorni netti che sempre mi mancheranno. I silenzi mi terrorizzano, soprattutto con i ragazzi. L'impressione che tutto mi scivoli addosso, che i? NI giorn amo. GIOR ervono i i i s ev v A che i sono dov ano. li n I gior o, ci sveg on g . n e t e V lici. en rvi fe utam Ripet o per esse vere n vi Servo ossiamo p i? e n v r o o D ei gi n n o se n niente si fermi nella mia testa, che dimentico tutto, che non ho idee su nulla. Tutto/nulla, sempre/mai: anche qui la terapeuta mi richiamerebbe all’ordine: possibile che ancora non abbia imparato ad apprezzare i chiaroscuri? Scusami se ti prendo tanto tempo, e soprattutto se mi piango così addosso; forse è il mio modo distorto di farmi amare; se mi rispondi te ne sono grata, e se mi rispondi più di due righe ti faccio un monumento. Come sempre grazie. [email protected] Caro…, come va? Il mio rientro è stato molto faticoso e molto di più. La gastrite stagionale produce un acido potentissimo che mi sta corrodendo senza pietà a dispetto di qualsiasi terapia! Sto aspettando con ansia mercoledì mattina per infilarmi un tronco endoscopico con telecamera per esporre anche la parte più viscerale di me in mondovisione, con frammenti bioptici, che suppongo verranno inviati al bioparco per essere catalogati più precisamente. In effetti quando sono in fase depressiva attraverso grandi periodi di misantropia e non mi riconosco facilmente con comportamenti e conversazioni comuni al genere umano... e verrò catalogata come uno di quegli animali proprio incasinati tipo ornitorinco, metà mammifero, metà uccello, metà acquatico o tipo casuario... Gli ornitorinchi quando va bene hanno tutti gli elementi, quando butta male non sanno bene come scendere dal mondo per un pò... a piedi, volando, nuotando? Improvvisamente si rendono conto di essere degli scherzi della natura cioè degli scherzi della natura con tante possibilità abbozzate ma ibride che li bloccano inesorabilmente sulla terra a camminare assai goffamente sognando di volare con delle rudimentali ali con cui tentano rovinosi salti che fanno solo male o tuffarsi nel più bello dei mari alla ricerca di nuovi orrizzonti e ritrovarsi a girare in tondo nel proprio fango. Il casuario, già il nome la dice tutta... (probabilmente deriva proprio da ‘scherzo del caso’). Trattasi di orrido e gigantesco struzzo australiano (dal sedere ancora più grande) dall'area sconvolta e scioccata... animale che vive nel sottobosco, riservato e timido. Un volta si diceva fosse un ‘caso’ in quanto il più veloce tra gli struzzi. Poi arrivò l’alta velocità e nello scontro ne uscì perdente spiegando così la sua espressione fisica così caratteristica, che è poi la mia ogni mattina guardandomi allo specchio. Quindi probabilmente verrò inviata a un bioparco per essere curata adeguatamente da un veterinario, razza di cui ho piena fiducia rispetto ai medici verso i quali nutro solo riserve e pensieri negativi... Un ringraziamento personale a mio figlio e alle tante ore passate a guardare National Geographic con lui e alla trasmissione il Ruggito del Coniglio per avermi informata dell'esistenza del casuario Gentile dottore, ieri Ludovico ha cantato nel coro natalizio della scuola. È stato bravissimo. Ha cantato tutte le canzoni fermo al suo posto e attentissimo alle indicazioni del maestro che dirigeva il coro. Quando, poi, si è dovuto spostare sul palcoscenico lo ha fatto con calma, lasciando passare prima le sue compagne e occupando il posto giusto. Sono stata davvero felice di vederlo così ed anche lui ha avuto grande soddisfazione. Se penso che solo un anno fa non riusciva a stare seduto in classe... Grazie (ndr: il bambino ha iniziato un anno fa un 9 trattamento con Ritalin per il suo disturbo di attenzione e iperattività, ADHD). Gentile signora, la ringrazio per questa sua bella lettera. Sa, quando riceviamo queste notizie, un po' crediamo di più in questo nostro strano mestiere (non fa mai male) e un po' umanamente, mettendomi nei vostri panni e mi commuovo. Un sereno Natale a tutti voi. Un r agno c io te he non s ono io so sse la te la: no u na vo mosc lt a un’a nel grov a la ltra l iglio a goc rugia , cia da perfe che brill di a tto d isegn nel o. Gentile dottore, mi lascio andare al dormire, ma al tempo stesso mi inquieta. Sono bizzarri quei sogni, colorati più dell’inverosimile e vividi, ha mai visto il film “Delicatessen”? Inverosimile. Rincorro una me stessa che non esiste. Insomma ho paura di addormentarmi ma al tempo stesso ho paura di svegliarmi. Ma storie così ne avrà sentite a centinaia, per questo spero mi perdoni quando le racconto la mia. Mi sento poco presente alla realtà attuale. Cerco di fare cose concrete e vado a correre, così, con la musica sparata nelle orecchie e il cuore a mille non penso, ma poi viene quella luce strana che precede la sera che se è piovuto si ingigantisce e quadruplica tra le foglie. È terribile dottore quella luce… ttere ta le ute i p s v ws o e rice S ne ta oppur Bini. In U Æ T is io ARE e alla riv entri Luc no pubo it C g d i e n e (se e p d s ici re v d e i m o ize t t n m e o l n e a l dai o t r caso odo o au o g n i e i n m nto dop p u b b l i t ta b l i c a sto) e sol a l l a l o r o e n t e . L e t e a i t t cesl mit rich cri ne s parte de e e, se ne o i z tt za a reda ne d cazio vengono ersone o ibili. sc ip re lette i nomi d irricono i , s o e i r r sa no hi so luog ARETÆUS news 9 quella strana tribù sa e riprovevole condizione di Gregory, che col tempo era peraltro diventato un ottimo medico, più volte sposato e più volte padre. Col passare degli anni si era però manifestata la prima violenta crisi maniaco-depressiva, che aveva portato Gregory a picchiare il direttore del suo ospedale, provocando il suo licenziamento. I medici cercarono di convincere Gregory a curarsi con il litio, ma lui rifiutò recisamente, cosicché le crisi continuarono con andamento sempre più drammatico: Gregory spaccò le vetrine di un ristorante, falsificò assegni, arrivò a molestare la compagna del figlio John. Piuttosto che sottoporsi a cure psichiatriche, scelse la prigione. Persistendo parallelamente le problematiche legate al suo disturbo di identità, Gregory chiese di essere sottoposto a un intervento per diventare donna. Ma i medici inizialmente tentarono di rifiutarglielo, perché lo consideravano un uomo sessualmente sano che cerca di nascondere l’aggressività dentro la veste femminile; per loro non era un vero transessuale, ma un maniaco-depressivo. urante la presentazione del suo libro, John fa un’appassionata e commossa esposizione del dramma vissuto da suo padre, rivelandosi un figlio amorevole e comprensivo. Egli ha voluto coraggiosamente mettere a confronto l’immagine del padre tanto amato ma transessuale, con quella di suo nonno, un’icona della mascolinità, sostenendo la tesi che il famoso “machismo” del famoso nonno non era altro che il rovescio della medesima medaglia di Gregory: infatti entrambi (come moltissimi membri della Strange Tribe) soffrirono di psicosi maniaco-depressive e furono ugualmente affascinati dal loro lato androgino. “Cos’è un uomo, cos’è una donna...” scoprirlo è sempre stato il demone di Gregory ed Ernest, infaticabili viaggiatori del profondo. Ernest tuttavia era riuscito a limitare il problema grazie a tutta una generazione di ammiratori ed emulatori, al suo successo e soprattutto alle sue più forti difese interiori. D ohn Hemingway, dopo aver vissuto a Milano dove nel 1983 aveva seguito un corso di scrittore e traduttore e collaborato a “L’Unità” e a “Libero”, ora vive con la moglie e i due figli a Montreal. È consapevole del rischio che potrebbe correre anche lui di ammalarsi di depressione (anche la madre Alice soffre di un disturbo psichiatrico), ma conosce i rimedi cui ricorrere, dalle terapie elettroconvulsivanti al “Lithium! Luckily, it does exist!” “E se dei problemi dovessero colpire uno dei suoi bambini?” “Gli direi solo: ‘Stai tranquillo figlio mio, tuo padre è sempre con te e ti vuole bene’.” J trange tribe: A family memoir è una raccolta di ricordi, in cui John Patrick Hemingway (1960), nipote del più famoso nonno Ernest, affronta coraggiosamente una serie di problematiche, a volte anche scomode, che riguardano i membri della sua famiglia. Con la faccia sorridente e l’espressione tipica da bravo ragazzo americano, durante la presentazione del libro, avvenuta a Milano nel Maggio 2008, John chiarisce subito che quel che ha voluto raccontare è innanzi tutto la positività del suo rapporto con suo padre Gregory. L’infanzia di John era stata molto difficile perché aveva dovuto convivere ben presto con le problematiche di suo padre Gregory. Infatti Gregory, fin da giovanissimo, aveva manifestato spiccate problematiche di identità sessuale, vissute come un dramma dal padre Ernest, il quale non mancava di esprimergli tutto il suo disprezzo, additandolo come “la pecora nera”. Ernest di sicuro non aveva né compreso né amato il figlio, e aveva sempre cercato di tener nascosta la vergogno- 10 ARETÆUS news John Hemingway S Marina Pellegrino christmas blues da “La piccola fiammiferaia” dei fratelli Grimm «….la bambina subito sfregò un altro fiammifero, che illuminò il muro rendendolo trasparente come un velo. Così poté vedere nella stanza una bella tavola imbandita, con una tovaglia bianca e vasellame di porcellana e un'oca arrosto fumante, ripiena di prugne e di mele! All'improvviso l'oca saltò giù dal vassoio e si trascinò sul pavimento, già con la forchetta e il coltello infilzati nel dorso, proprio verso la bambina: ma in quell'istante il fiammifero si spense e davanti alla bambina rimase solo il muro freddo. Allora ne accese un altro. E si trovò ai piedi del più bello degli alberi di Natale. Era ancora più grande e più decorato di quello che aveva visto l'anno prima attraverso la vetrina del ricco droghiere; migliaia di candele ardevano sui rami verdi e figure variopinte pendevano dall'albero, proprio come quelle che decoravano le vetrine dei negozi. Sembrava guardassero verso di lei. La bambina sollevò le manine per salutarle, ma il fiammifero si spense. Le innumerevoli candele dell'albero di Natale salirono sempre più in alto, fino a diventare le chiare stelle del cielo; poi una di loro cadde, formando nel buio della notte una lunga striscia di fuoco. "Ora muore qualcuno!" disse la bambina, perché la sua vecchia nonna, l'unica che era stata buona con lei, ma che ora era morta, le aveva detto: "Quando cade una stella, allora un'anima va al Signore". Accese un altro fiammifero che illuminò tutt'intorno, e in quel chiarore la bambina vide la nonna, lucente e dolce! "Nonna!" gridò "oh, prendimi con te! So che tu scomparirai quando il fiammifero si spegne, scomparirai come è scomparsa la stufa, l'oca arrosto, l'albero di Natale!" E accese tutti gli altri fiammiferi che aveva nel mazzetto, perché voleva mantenere la visione della nonna; e i fiammiferi arsero con un tale splendore che era più chiaro che di giorno. La nonna non era mai stata così bella, così grande. Trasse a sé la bambina e la tenne in braccio, insieme si innalzarono sempre più nel chiarore e nella gioia. Ora non c'era più né freddo, né fame, né paura: si trovavano presso Dio…» www.centrobini.it utti ricordiamo il personaggio della piccola fiammiferaia, protagonista di una delle più tristi favole, che come tante altre, non ha di certo contribuito ad allietare la nostra infanzia di bambini inconsapevoli, ma ci ha permesso di vivere una più vasta gamma di emozioni. La fine di questa famosa favola, rivisitata oggi in chiave medico-psicologica, potrebbe far pensare a un desiderio di morte, a uno stato patologico, forse a una depressione clinica come quella che al giorno d’oggi si verifica realmente proprio nel clima scintillante del Natale: la cosiddetta holiday season depression. Si presenta con i sintomi tipici di ogni depressione, minuziosamente descritti nelle varie ricerche: senso di tristezza persistente, ansia, senso di vuoto, pessimismo e paura del futuro, abulia, incapacità di divertirsi e condividere la gioia degli altri, aumentata litigiosità per motivi futili, facilità al pianto, sofferenza per coloro che sono mancati e non riuscire a godere della presenza e dell’affetto di chi ci è vicino. Sono presenti anche sintomi fisici quali: mal di testa, disturbi alimentari psicogeni con perdita o aumento di peso, diminuzione o aumento di sonno, dolori fisici persistenti, facilità al pianto. I sintomi dell’effetto Natale possono a volte comparire in forma leggera e affievolirsi notevolmente al termine delle feste, ma anche aggravarsi in persone già affette da episodi depressivi, e nei casi più estremi, portare al ricovero. I fattori che favoriscono l’insorgenza della sintomatologia possono essere: la frenesia della “febbre da acquisto” (in un periodo in cui i consumi eccessivi e debordanti sono socialmente incoraggiati), l’aumento della fatica e dello stress dovuto ai preparativi natalizi, il cambiamento della routine quotidiana e della dieta (pasti ipercalorici e consumo eccessivo di alcolici). Non va dimenticato che un altro fattore facilitante è l’accorciarsi delle giornate del mese di dicembre che presenta il minimo numero di ore di luce diurna dell’anno. T L’incapacità di condividere le gioie e i divertimenti legati alle festività, è spesso accompagnata da forti sensi di colpa. Sentirsi tristi a Natale, mentre parenti e familiari sono allegri, appare un’ingiustizia, un tradimento, un voler rovinare i festeggiamenti proprio alle persone che ci sono più care. Tali sensi di colpa sono ancora più dolorosi nel caso di persone sole, per le quali l’esaltazione dell’unità familiare a tutti i costi provoca un notevole aumento della sofferenza (soprattutto al ricordo di celebrazioni passate), e del senso di inadeguatezza. Come spiega esaurientemente Stefano Pallanti (direttore dell’istituto di Neuroscienza di Firenze): “È possibile però difendersi dagli effetti di questa ‘depressione’ mettendo in pratica una serie di consigli, come per esempio: non cambiare troppo i ritmi e in particolare quello del sonno e della veglia, non esagerare con cibi ipercalorici e non eccedere con l’alcol, non avere aspettative irrealizzabili per se stessi e per gli altri, non focalizzarsi su ciò che non si ha nel momento presente, non pensare al passato ma piuttosto fare piccoli propositi per il futuro, soprattutto realistici e concreti, dedicarsi in questo periodo a una vita sana all’aria aperta, non fare programmi per il dopo feste, vivere il Natale meno come occasione di festa e più come occasione ‘quotidiana’, semplice, tranquilla, quasi un giorno ‘normale’ “. In ogni caso chi si sente infelice potrebbe consolarsi pensando che è uno dei tanti che non hanno paura di un po’ di tristezza in una società che appare sempre più ‘depressofoba’, ovvero paurosa non solo della malattia depressiva ma anche intollerante di ogni forma di sofferenza. Giorgio Manganelli (1922-1990), in una lucida analisi, aveva in un certo senso anticipato quelli che sarebbero stati i futuri studi sulla depressione delle feste natalizie: “L’infelicità del Natale è un’infelicità elusiva, viscida, serpentesca, e insieme ‘calamitosa’, e vediamo tutte le imperfezioni dei rapporti umani, ne soffriamo di più, perché ci sembrano più che mai incompleti. La festa suprema è il momento della suprema vergogna. E prima tra tutte quella dei nostri sentimenti, miseri, sbilenchi. E mai come in questi momenti l’essenza dei nostri sentimenti amorosi, che avevamo serbato per ricorrenze speciali come le buone bottiglie, si disperde e soccombe tra i miasmi del disamore del mondo. È proprio il contrasto con l’ideale perfetto della ‘felicità natalizia’ che rende in questi giorni più aspra la pena. Tranquilli, non si tratta di una faccenda privata, poiché riguarda tante persone, basta domandarlo un po’ in giro, e poi perché, anche se lo abbiamo scordato, il Natale è intrinsecamente triste, seppure travestito di letizia”. Marina Pellegrino ARETÆUS news 11 editoriale chi siamo (dalla prima pagina) maggiore gravità dei disturbi dell’umore negli USA e potrebbe dipendere dalla particolarità della popolazione statunitense. È vero che sul piano genetico, tra noi europei e statunitensi non dovrebbero esserci grandi differenze, ma le persone che sono emigrate negli Stati Uniti nel 19mo e 20mo secolo, erano sicuramente diverse da quelle che rimasero da questa parte dell’oceano. I fautori di questa ipotesi sostengono che una persona proveniente da un piccolo paese italiano (o europeo), spesso semi-analfabeta per poter decidere di affrontare l’incognita totale di un’emigrazione da cui difficilmente sarebbe tornata indietro, doveva essere un po’ speciale. È ragionevole pensare che i nostri emigrati appartenessero a quel gruppo di persone con un disturbo bipolare latente che comportava però livelli elevati di energia, autostima e impulsività, uniti a una gran voglia di competere e di affrontare pericoli. In questo modo, negli Stati Uniti, per i decenni in cui sono durate le grandi emigrazioni, si sarebbe sempre più selezionata una popolazione con maggiore probabilità di trasmettere il disturbo alle generazioni successive. La spiegazione è abbastanza convincente per capire una maggiore prevalenza di bipolarità psichiatrica in America e un’aumentata difficoltà a curarlo. La teoria contribuirebbe a spiegare anche la minore capacità delle popolazioni afro-americane a emergere rispetto ai discendenti europei e, in parte, lo svantaggio socio-economico. Infatti, gli africani che arrivarono negli USA furono prelevati dagli schiavisti e probabilmente non erano i più combattivi delle loro popolazioni. Si tratta di ipotesi epidemiologiche che vanno valutate su un piano di neutralità visto che se si spingono su un terreno al limite del politicamente corretto. Ne sapremo sicuramente di più quando dal DNA di persone con disturbo bipolare si potrà confermare o meno la plausibilità di queste ipotesi. Leonardo Tondo Per assicurare un continuo progresso nella ricerca in psichiatria e psicologia e per garantire la continuità di questa newsletter, ARETÆUS accetta con gratitudine donazioni piccole e grandi da parte di chi fosse interessato ai progetti di ricerca e al contenuto della newsletter. 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I centri sono specializzati nel trattamento delle varie forme depressive e di ansia, dei disturbi dell'umore e del disturbo dell'attenzione con iperattività (ADHD). A Roma: Athanasios Koukopoulos, Daniela Reginaldi, Pamela Bruni, Paolo Caliari, Paola Cimbolli, Giorgio De Cesare, Marco De Murtas, Adele De Pascale, Eleonora De Pisa, Paolo Decina, Vittorio Digiacomoantonio, Paolo Girardi, Rosanna Izzo, Alexia Koukopoulos, Giovanni Manfredi, Maurizio Pompili, Gabriele Sani, Rosa Maria Sollazzo. A Cagliari: Leonardo Tondo, Gianfranco Floris, Maria Cantone, Simonetta Giagheddu, Carmen Ghiani, Beatrice Lepri, Eugenio Mangia, Simona Mercenaro, Marco Murtas, Maria Grazia Rachele, Enrico Perra, Marilena Serra. A New York: Gianni Faedda, Nancy Austin, Ngaere Baxter, Joseph Hirsch. ARETAEUS news Rivista Ufficiale del Centro Lucio Bini Direttore responsabile Leonardo Tondo Coordinamento e redazione Athanasios Koukopoulos, Daniela Reginaldi, Alexia Koukopoulos, Gabriele Sani, Gino Serra B da uon ll e di a re Fes da Are daz te i C tae ion di entri us e e Ca Rom Bin N glia a, i ew ri Yo e rk 12 Ricerca e amministrazione Giulio Ghiani e Elisabetta Migoni Design Joseph Akeley Stampa Grafiche Pisano (Cagliari) [email protected] Autorizzazione Tribunale di Cagliari N. 12/05 del 07/04/05 Potete mettervi in contatto con noi per commenti, suggerimenti, lettere o altri contributi: Roma: Via Crescenzio 42 · 00193 · Tel.: (+39) 06 6874415/75 · Fax: (+39) 06 68802345 Cagliari: Via Cavalcanti 28 · 09128 · Tel.: (+39) 070 486624 · Fax: (+39) 070 496354 [email protected] · www.centrobini.it