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Effetti processuali della fusione: le Sezioni Unite pongono fine all
n
DIRITTO COMMERCIALE E SOCIETARIO . GIURISPRUDENZA
Fusione
Effetti processuali della fusione:
le Sezioni Unite pongono fine
all’interruzione dei processi civili
CASSAZIONE CIVILE, Sez. un., 8 febbraio 2006, n. 2637 (ord.)
Pres. Carbone - Rel. Proto - Amit s.r.l. c. Lottomatica s.p.a.
Fusione - Fusione per incorporazione - In pendenza di giudizio - Conseguenze - Interruzione del processo - Esclusione
(Art. 2504 bis, codice civile; art. 300, codice procedura civile)
I. In base all’art. 2504 bis, comma 1, c.c., nel testo novellato dal D.Lgs. n. 6/2003, la fusione fra società non comporta l’estinzione di un soggetto e la correlativa creazione di un diverso soggetto, ma si
risolve in una vicenda meramente evolutiva-modificativa dello stesso soggetto, che conserva la propria identità, pur in un nuovo assetto organizzativo, e non determina pertanto la perdita della capacità processuale della società incorporata né, quindi, l’interruzione del processo ai sensi dell’art. 300
c.p.c. (massima non ufficiale).
La Corte (omissis).
1. I due ricorsi devono essere riuniti in quanto tendono
entrambi alla risoluzione della stessa questione di giurisdizione, in relazione alla domanda proposta dalla Amit
nei confronti delle attuali ricorrenti davanti al giudice
amministrativo (cfr. Cass. 17 ottobre 1992, n. 11436 e
Cass. 22 dicembre 2003, n. 19667).
2. Ancora in via preliminare va, poi, esaminata la istanza della Lottomatica, con la quale si chiede che sia dichiarata la interruzione del processo in virtù dell’avvenuta fusione per incorporazione della società stessa, assieme alla società FinEuroGames s.p.a., con atto notarile del 14 dicembre 2005, nella società NewGames s.p.a.
L’istanza non può essere accolta.
Occorre, anzitutto, ribadire - in conformità all’orientamento risalente di questa Corte - che l’estinzione del
soggetto ricorrente, dichiarata in sede di legittimità dal
suo difensore in udienza, non incide sullo svolgimento
del giudizio di cassazione, perché questo è dominato
dall’impulso di ufficio (Cass. 14 dicembre 2004; Cass.
15 ottobre 2004; Cass.18 agosto 2004, n. 16138; 27
giugno 2000, 8708, ex plurimis); principio da ritenersi
operante anche nel regolamento di giurisdizione, che,
una volta instaurato, si attua secondo le regole previste
per il ricorso ordinario e, come questo, resta dominato
dall’impulso di ufficio.
La questione, tuttavia, nella fattispecie, in effetti, neanche si pone, perché erroneamente l’istanza postula la
perdita della capacità processuale della Lottomatica in
conseguenza dell’avvenuta fusione per incorporazione
della società stessa.
L’art. 2505 bis c.c., nel testo vigente, stabilisce, infatti,
al primo comma, che la società risultante dalla fusione
o quella incorporante assumono i diritti e gli obblighi
delle società partecipanti alla fusione, proseguendo in
tutti i loro rapporti, anche processuali, anteriori alla fusione. Il legislatore ha cosı̀ (definitivamente) chiarito
che la fusione tra società, prevista dagli artt. 2501 e seguenti c.c. non determina, nella ipotesi di fusione per
incorporazione, l’estinzione della società incorporata, né
crea un nuovo soggetto di diritto nell’ipotesi di fusione
paritaria; ma attua l’unificazione mediante l’integrazione
reciproca delle società partecipanti alla fusione. Il fenomeno non comporta, dunque, l’estinzione di un soggetto e (correlativamente) la creazione di un diverso soggetto; risolvendosi (come è già stato rilevato in dottrina) in una vicenda meramente evolutiva-modificativa
dello stesso soggetto, che conserva la propria identità,
pur in un nuovo assetto organizzativo.
(omissis).
LE SOCIETA’ N. 4/2006
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DIRITTO COMMERCIALE E SOCIETARIO . GIURISPRUDENZA
n
IL COMMENTO
di Francesco Dimundo
L’art. 2504 bis c.c., nel testo novellato dal D.Lgs. n. 6/
2003, esprime il principio di continuità soggettiva nella
fusione, che esclude l’interruzione, ai sensi dell’art.
300 c.p.c., del processo di cui sia parte la società incorporata. La pronuncia delle Sezioni Unite della Cassazione, affermando per la prima volta tale principio, offre
l’occasione per ripercorrere il dibattito sviluppatosi,
prima e dopo la riforma, sulla natura e sugli effetti,
sostanziali e processuali, della fusione.
Introduzione
I. Segnando un radicale e - solo per certi versi sorprendente - revirement (1), e ponendosi in linea con l’orientamento accolto dalla dottrina prevalente, con l’ordinanza n. 2637 dell’8 febbraio 2006 in esame le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno abbandonato
il tralatizio principio secondo il quale la fusione darebbe
luogo all’estinzione della società incorporante, ed hanno
invece manifestato chiara ed inequivoca adesione alle
tesi «modificazioniste» della fusione, affermando che,
attraverso la riformulazione del primo comma dell’art.
2504 bis, operata in sede di riforma, «il legislatore ha
cosı̀ (definitivamente) chiarito che la fusione tra società
(...) non determina, nella ipotesi di fusione per incorporazione, l’estinzione della società incorporata, né crea
un nuovo soggetto di diritto nell’ipotesi di fusione paritaria; ma attua l’unificazione mediante l’integrazione reciproca delle società partecipanti alla fusione». Con la
conseguenza - proseguono i giudici di legittimità - che
«il fenomeno non comporta, dunque, l’estinzione di un
soggetto e (correlativamente) la creazione di un diverso
soggetto; risolvendosi (come è già stato rilevato in dottrina) in una vicenda meramente evolutiva-modificativa dello stesso soggetto, che conserva la propria identità, pur in un nuovo assetto organizzativo». Nella fattispecie concreta una società, in sede di regolamento di
giurisdizione, aveva chiesto in Camera di consiglio che
fosse dichiarata l’interruzione del processo, essendo nel
frattempo intervenuta la sua fusione per incorporazione
in altra società. Le Sezioni Unite hanno respinto tale richiesta, rilevando in primo luogo che - per orientamento consolidato - l’estinzione del soggetto ricorrente, dichiarata in sede di legittimità dal suo difensore in
udienza, non incide sullo svolgimento del giudizio di
cassazione; ed osservando, in secondo luogo, che, in
ogni caso, la questione nemmeno si poneva, perché
fondata sull’erroneo presupposto della perdita della capacità processuale della parte in conseguenza dell’avvenuta fusione per incorporazione della stessa.
L’intervento delle Sezioni Unite offre allora l’opportunità di un riesame dello stato della discussione sugli effetti e, soprattutto, sulla natura giuridica della fusione, posto
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che la soluzione di quest’ultima e delicata questione condiziona l’impostazione che deve seguirsi nella ricostruzione di quella degli «effetti» dell’operazione in esame (2).
La natura giuridica della fusione fra teorie
successorie e teorie modificazioniste
Costituisce un dato ormai da tempo acquisito che la
disciplina degli «effetti della fusione», originariamente
contenuta nell’art. 2504, quarto comma, c.c., e successivamente trasfusa, dopo la novella del 1991, nel primo
comma della norma in commento (3), ha tradizionalmente rappresentato il punto di emersione di un dibattito dottrinale e giurisprudenziale di più vasta portata,
che ha investito, a livello sistematico, la ricostruzione
della natura giuridica della fusione (4). Al pari di quanto si era verificato nel codice di commercio del 1882,
anche il legislatore del 1942 aveva infatti opportunamente scelto di non fornire all’interprete una definizione normativa della figura, per evitare che una sua identificazione astratta potesse «non verificarsi in concreto
per talune ipotesi di fusione» (5), e si era limitato, per
Note:
(1) Ha fatto recentemente notare G. Cottino, in sede di commento a
Cass. 25 novembre 2004, n. 22236, ed a Trib. Novara, 21 gennaio 2005,
in Giur. it., 2005, 1186-1187, che se il consolidato orientamento della
giurisprudenza di legittimità (secondo il quale la fusione realizza una successione universale, e determina pertanto l’interruzione del processo) aveva raccolto, «solo nel 2003, (...) ben tre pronunce conformi dello stesso
supremo collegio», il nuovo testo dell’art. 2504 bis non poteva non sollevare interrogativi «in ordine a una possibile revisione, alla sua luce, dell’indirizzo dominante».
(2) Il presente scritto riproduce, con i necessari adattamenti, il commento
al primo comma dell’art. 2504 bis, nel testo novellato dalla riforma, in
corso di pubblicazione nel volume dedicato alla trasformazione, fusione e
scissione del Commentario alla riforma delle società, diretto da P.G. Marchetti, L.A. Bianchi, F. Ghezzi, M. Notari.
(3) L’art. 2504, comma 4, c.c., nel testo in vigore sino al 1991, stabiliva
infatti che «la società incorporante o quella che risulta dalla fusione assume i diritti e gli obblighi delle società estinte». A seguito dell’entrata in
vigore del D.Lgs. 16 gennaio 1991, n. 22, che aveva dato attuazione in
Italia alle direttive n. 78/855/CEE e n. 82/891/CEE in materia di fusioni
e scissioni societarie, tale disposizione era stata trasfusa, senza sostanziali
modifiche, nel primo comma dell’art. 2504 bis, secondo il quale «la società che risulta dalla fusione o quella incorporante assumono i diritti e gli
obblighi delle società estinte».
(4) V. fra gli altri, in questo senso, G. Tantini, Trasformazione e fusione di
società, in Trattato Galgano, VIII, Padova, 1995, 282, secondo il quale dall’interpretazione del principio positivo sancito dal primo comma dell’art.
2504 bis, c.c., «dipende essenzialmente il modo di intendere la natura e
gli effetti della fusione». Nello stesso senso, fra i commentatori della nuova disciplina della fusione, introdotta dalla riforma del 2003, v. P. Lucarelli, La nuova disciplina delle fusioni e scissioni: una modernizzazione incompiuta, in Riv. soc., 2004, 1376.
(5) Per questo rilievo C. Santagata, La fusione fra società, Napoli, 1964,
16. Sottolineavano l’assenza, nel codice civile del 1942, di una definizione
legislativa della fusione, già A. Brunetti, Trattato del diritto delle società, II,
(segue)
n
DIRITTO COMMERCIALE E SOCIETARIO . GIURISPRUDENZA
un verso, a descrivere le due forme tipiche con le quali
la fusione può essere attuata, individuate dall’art. 2501
c.c. nella fusione propria o fusione in senso stretto
(quando due o più società danno vita ad una nuova, diversa, società), e nella fusione per incorporazione
(quando si realizza l’assorbimento in una società preesistente di una o più altre società); per altro verso, a disciplinare gli effetti della vicenda in questione nella sintetica disposizione contenuta nel quarto comma dell’art.
2502, c.c., a mente del quale «la società incorporante o
quella che risulta dalla fusione assume i diritti e gli obblighi delle società estinte».
In tale contesto normativo, il riferimento testuale
dell’art. 2502 previgente alle «società estinte», unitamente alla relativa novità del fenomeno ed al carattere
ancora marginale che esso pertanto rivestiva nell’ambiente economico dell’epoca (6), assunsero ben presto
il ruolo di fattori decisivi per orientare la qualificazione
giuridica della fusione in termini di vicenda avente natura tipicamente estintivo-successoria. Fatta eccezione
per alcune voci, pur autorevoli, rimaste peraltro isolate (7), la letteratura meno recente, ponendosi nel solco
dell’elaborazione dottrinale risalente al codice di commercio (8), si era mostrata infatti sostanzialmente compatta nel ritenere che la fusione societaria realizzasse un
fenomeno di successione a titolo universale, in virtù del
quale si determinerebbero l’estinzione della società incorporata (in caso di fusione per incorporazione) ovvero
di tutte le società fuse (in caso di fusione propria), e la
successione - rispettivamente - della società incorporante o della nuova società risultante dalla fusione in tutti i
rapporti giuridici già facenti capo alle società estinte (9). Nell’ambito di tale orientamento, l’unica incertezza riguardava, piuttosto, l’individuazione della «cadenza dei momenti» attraverso i quali la vicenda successoria, in cui la fusione si risolveva, doveva articolarsi (10), poiché, secondo taluni, la fusione rappresentava
necessariamente l’effetto di un atto volontario - l’atto di
fusione - che dava luogo ad una successione universale
per atto tra vivi, la quale non presupponeva, ma determinava, l’estinzione delle società (11); mentre secondo
altro, e senza dubbio prevalente, indirizzo ricostruttivo,
la fusione era invece riconducibile ad un’ipotesi di successione universale assimilabile, per analogia, alla successione mortis causa delle persone fisiche, nella quale
sussiste una relazione di consequenzialità tra l’estinzione
ed il subentro della società incorporante o risultante
dalla fusione nei diritti e negli obblighi delle società
estinte, tale per cui l’estinzione rappresenta la causa, e
non l’effetto dell’anzidetta successione a titolo universale (12).
Ciò che ha contribuito a rendere stabile il quadro
interpretativo in materia è peraltro la posizione assunta
dalla giurisprudenza, di legittimità e di merito, che - fatta eccezione per alcune rarissime occasioni (13) - ha da
sempre mostrato incondizionata adesione alla posizione
dottrinale che identifica nella fusione una vicenda suc-
Note:
(segue nota 5)
Società per azioni, Milano, 1948, 625, e, in tempi più recenti, A. Serra, La
trasformazione e la fusione delle società, in Trattato Rescigno, 17, Torino,
1985, 336, e F. Scardulla, La trasformazione e la fusione delle società, in
Trattato Cicu - Messineo, e continuato da L. Mengoni, XXX, t. 2, II ed.,
Milano, 2000, 308.
(6) Osservava A. Brunetti, Trattato, 626-627, che il fenomeno della fusione societaria aveva infatti iniziato a manifestarsi soltanto nella prima metà
del diciannovesimo secolo, «agli albori ella grande industria», evidenziando che «il codice napoleonico e i sui derivati quindi lo ignorano».
(7) Per la qualificazione della fusione come vicenda che realizza una successione a titolo particolare v., infatti, F. Santoro Passarelli, Dottrine generali del diritto civile, IX ed., Napoli, 1966, 95. Nello stesso ordine di idee
v., altresı̀, A. Brunetti, Trattato, cit., 649; R. Nicolò, L’adempimento dell’obbligo altrui, Milano, 1935, 291, L. Barassi, La teoria generale delle obbligazioni, Milano, 1946, 291, nonché, più di recente, F. Scardulla, La trasformazione, 312. Ma vedi, in senso critico, i rilievi recentemente formulati
da G. Oppo, Fusione e scissione delle società secondo il D.Lgs. n. 22/1991:
profili generali, in Riv. dir. civ., 1991, II, 505. La tesi in questione sembra
aver trovato recente eco in una inedita decisione del Tribunale di Milano, il quale ha affermato che, «poiché la successione universale determinata dalla fusione appare accomunata all’ipotesi della successione particolare (prevista dall’art. 111 c.p.c.) dagli elementi della volontarietà e della
consapevolezza, appare quanto mai ragionevole immaginare che l’incorporante assuma direttamente i rapporti processuali pendenti in capo alla incorporata, cosı̀ come l’acquirente a titolo particolare subentra nella posizione del suo dante causa nello stato in cui si trova» (cosı̀ Trib. Milano
19 gennaio 1998, Fall. L’Asfalto Ansani s.r.l/Banca Agricola Milanese
s.p.a., la cui massima è reperibile sul sito www.ghidini-associati.it).
(8) Che pure faceva riferimento, in tema di fusione, alle società che «cessano di esistere» (art. 194, comma 2) ed alle «società estinte» (art. 196):
v., fra gli altri, A. Scialoja, Natura giuridica della trasformazione di società, in
Saggi di vario diritto, Roma, 1928, 49 ss.; G. Frè, Sul diritto di recesso, in
Riv. dir. comm., 1933, I, 764; C. Vivante, Trattato di dir. commerciale, II,
V ed., Milano, 1935, 480; G. Ferri, La fusione delle società commerciali, Roma, 1936, 216 ss.; E. Soprano, Le società commerciali, I, Torino, 1934,
202; U. Navarrini, Delle società e delle associazioni commerciali. Commentario del Codice di Commercio, II, Milano, 1924, 738.
(9) In questa direzione, fra gli altri, G. Valeri, Manuale di diritto commerciale, I, Castellaccio, 1945, 110; A. Graziani, Diritto delle società, IV ed.,
Napoli, 1964, 516.
(10) A. Serra, La trasformazione e la fusione, 337.
(11) M. Ghidini, Società personali, Padova, 1972, 969. Nello stesso senso,
per la qualificazione della fusione come ipotesi di successione inter vivos,
A. Fiorentino, Sulla fusione di società commerciali, in Riv. trim. dir. proc.
civ., 1949, 645; S. Landolfi, Effetti della fusione sui rapporti giuridici delle società incorporate, in questa Rivista, 1986, 971.
(12) Esemplari, in questo senso, G. Ferri, La fusione, 220, per il quale la
fusione è «una successione universale per atto tra vivi, la quale non presuppone, ma determina l’estinzione della società e che si attua in virtù di
un procedimento il quale pone in essere un particolare legame fra la persona che scompare e quella che sorge o che rimane esistente»; nonché F.
Messineo, Manuale di diritto civile e commerciale, IV, Milano, 1954, 558.
Nella medesima direzione v., altresı̀, B. Visentini, La fusione fra società,
Roma, 1942, 37 ss.; G. Valeri, Manuale, 110; L. Mossa, Trattato del nuovo
diritto commerciale, IV, Padova, 1957, 586; A. Graziani, Diritto delle società,
IV ed., Napoli, 1964, 517; P. Greco, Le società nel sistema legislativo italiano, Torino, 1959, 459.
(13) V., ad es., nella giurisprudenza amministrativa, Cons. Stato, sez. V, 26
settembre 2002, n. 4940, in Giust. amm., 2002, 1061, il quale ha statuito
che «mediante la fusione per incorporazione di una società si determina
una successione inter vivos a titolo universale per cui la società incorporante
acquista, ai sensi dell’art. 2504 bis c.c., i diritti e gli obblighi di quella incorporata». Nello stesso senso, in motivazione, Trib. Ancona 16 novembre
1992, in Dir. fall., 1993, II, 565. Non mancano inoltre precedenti giurisprudenziali, sia pure episodici, che - più radicalmente - hanno negato la riconducibilità della fusione all’ambito della successione, ravvisandovi piuttosto
una ipotesi di modificazione statutaria: per i riferimenti v., infra, sub nota 52.
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cessoria assimilabile alla successione universale mortis
causa. Scorrendo i repertori, l’analisi del fronte giurisprudenziale ha fatto invero registrare in argomento, almeno fino alla recente riforma, la presenza di una massima ormai stereotipata, secondo la quale «la fusione o
incorporazione di società realizza una successione a titolo universale corrispondente alla successione mortis causa e produce gli effetti, tra di loro indipendenti, dell’estinzione della società incorporata e della contestuale
sostituzione a questa, nella titolarità dei rapporti giuridici attivi e passivi, anche processuali, della società incorporante, che rappresenta il nuovo centro di imputazione
e di legittimazione dei rapporti giuridici già riguardanti i
soggetti incorporati» (14), con la precisazione che tali
«effetti si producono dall’esecuzione dell’ultima delle
iscrizioni nel Registro delle imprese previste dall’art.
2504 c.c.» (15).
Muovendo da tale consolidato principio, le corti
hanno tratto alimento per attingere dalla disciplina della successione universale le regole operative necessarie
per la soluzione dei casi concreti, non solo sul piano sostanziale, ma anche - e soprattutto - sotto il profilo delle
implicazioni processuali. Cosı̀, sul fondamento dell’assimilazione della fusione societaria alla morte della persona fisica, e della riconduzione della vicenda alla successione universale, si è ritenuto, in particolare, che il subentro della società incorporante nei diritti e negli obblighi della società estinta riguarderebbe soltanto i rapporti trasmissibili, mentre resterebbero intrasmissibili
«quei rapporti il cui persistere è subordinato all’esistenza
della società come soggetto di diritto, e cioè al fatto che
il gruppo sociale conservi la propria individualità ed
autonomia anche sul piano patrimoniale» (16). In applicazione di tali regole di giudizio, le corti hanno cosı̀
deciso che:
a) i rapporti di lavoro dei dipendenti dell’incorporata
proseguono con la società incorporante, ove non sia intervenuta disdetta in tempo utile, e cioè «in modo che
la scadenza del preavviso abbia luogo prima che, col
perfezionarsi della fusione, abbia a verificarsi il trasferimento dell’azienda dall’una all’altra società» (17);
b) l’incorporante acquista il diritto dell’incorporata
alla denominazione sociale, cosı̀ come il diritto all’uso
esclusivo del marchio brevettato (18);
c) l’azione di responsabilità verso gli amministratori
dell’incorporata può essere esercitata non dagli ex soci
di questa, bensı̀ dagli organi rappresentativi dell’incorporante (19);
d) la società incorporante subentra all’incorporata in
tutte le situazioni possessorie facenti capo a quest’ultima,
con conseguente acquisto della legittimazione, «quale
titolare del diritto al ripristino del potere sulla cosa posseduta, ad ottenere la restituzione» del bene (20);
e) la società incorporante succede all’incorporata
nelle situazioni di scienza giuridicamente rilevanti, ivi
compresa l’eventuale conoscenza dello stato di insolvenza del soggetto, poi fallito, che ha effettuato un paga-
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n
mento nel periodo sospetto (21), nonché nelle situazioni di scienza determinate nella incorporata con notificazioni o comunicazioni (22);
f) il curatore del fallimento della società incorporante è legittimato a proporre l’azione revocatoria fallimentare contro gli atti solutori compiuti, prima dell’incorporazione, dalla società incorporata, salva la possibilità per
il convenuto di provare la mancata conoscenza, o l’insussistenza, dello stato d’insolvenza di quest’ultima (23);
g) la società incorporante assume la potenzialità economica dell’incorporata, ai fini della partecipazione alle
gare pubbliche e dell’esecuzione di contratti ad evidenza
pubblica (24).
Note:
(14) Cosı̀, da ultimo, Cass. 7 gennaio 2004, n. 50, in questa Rivista,
2004, 854; nello stesso senso, fra le tante, v. Cass. 25 novembre 2004, n.
22236, in Giur. it., 2005, I, 1183; Cass. 9 settembre 2004, n. 18176, ivi,
2005, I, 318; Cass. 11 aprile 2003, n. 5716, in Il Fallimento, 2004, 868;
Cass. 2 aprile 2002, n. 4679, in Corr. giur., 2003, 1085, con nota di Dalfino; Cass. 22 settembre 1997, n. 9349, in Giust. civ. Mass., 1992, fasc. 12;
Cass. 27 gennaio 1994, n. 833, in Giur. comm., 1994, II, 782. Fra le corti
di merito v. Trib. Novara 21 gennaio 2005, in Giur. it., 2005, I, 1184;
Trib. Brindisi 15 aprile 2004, in Juris Data, Milano; Trib. Mantova 28
aprile 2004, in www.ilcaso.it; Trib. Mantova 18 giugno 2003, ivi; App.
Milano 23 maggio 2003, in Giur. it., 2003, I, 1637; Trib. Perugia 18 marzo 2000, in Rep. Foro it., 2001, voce «Società», n. 976. Per ulteriori riferimenti si rinvia a O. Cagnasso, La fusione delle società, in O. Cagnasso, M.
Irrera, Società con partecipazione pubblica, società in accomandita per azioni,
società a responsabilità limitata, trasformazione e fusione di società, società estere, in Giur. sist. di dir. civ. e comm., fond. da W. Bigiavi, II ed., Torino,
1990, 383 ss.
(15) Cosı̀, fra le tante, Cass. 25 novembre 2004, n. 22236, in Giust. civ.
Mass., 2004, fasc. 11, e Cass. 27 agosto 1999, n. 9013, in Rep. Foro it.,
voce «Cassazione civile», n. 183.
(16) In questi termini Cass. 28 agosto 1963, n. 2372, in Riv. dir. comm.,
1963, II, 55.
(17) Cass. 29 novembre 1968, n. 3852, in Dir. fall., 1969, II, 711.
(18) Cass. 10 aprile 1968, n. 1078, in Riv. dir. comm., 1968, II, 197;
App. Lecce 16 luglio 1962, in Corti Bari, Lecce e Potenza, 1962, 390.
(19) App. Venezia 2 ottobre 1958, in Foro it., 1959, I, c. 1950. In argomento v. altresı̀ Trib. Milano 10 febbraio 2000, in Foro pad., 2000, I, c.
78.
(20) Cass. pen. 20 giugno 1994, Biasich, in Rep. Foro it., 1995, voce «Sequestro penale», n. 131.
(21) Cass. 11 aprile 2003, n. 5716, cit.
(22) Cass. 28 giugno 1984, n. 3836, in questa Rivista, 1984, 1219, che ha
pertanto ritenuto che una ingiunzione fiscale notificata all’incorporata si
considera, a seguito della fusione, conosciuta, iuris et de iure, dalla società
incorporante.
(23) Cass. 26 luglio 2000, n. 9796, in Foro it., 2001, I, c. 1296, con nota
di G. Tarzia; fra i giudici di merito v. Trib. Mantova 25 febbraio 2004, in
Fall., 2004, 1403.
(24) Tar Lazio, sez. III, 23 luglio 2004, n. 7296, in Foro amm., 2004,
2228; Tar Emilia Romagna 10 aprile 2003, n. 220, ivi, 2003, 1245. In
senso contrario si era inizialmente pronunciato, peraltro, il Consiglio di
Stato (Cons. Stato 13 maggio 1995, n. 761, e Cons. Stato 10 febbraio
2000, n. 754), che ha poi assunto una posizione più possibilista, statuendo
che, in caso di fusione per incorporazione di una società nel corso di una
procedura di gara pubblica, la verifica dei requisiti soggettivi di partecipazione va condotta dalla stazione appaltante in capo al nuovo soggetto,
«dovendosi escludere l’ammissibilità di una cessione automatica del rap(segue)
n
DIRITTO COMMERCIALE E SOCIETARIO . GIURISPRUDENZA
Sul piano degli effetti processuali, l’assimilazione della vicenda in esame alla successione mortis causa delle
persone fisiche ha condotto poi ad affermare, da un lato, che «ogni atto di natura sostanziale o processuale deve essere indirizzato al nuovo ente, che è l’unico e diretto obbligato per i debiti dei soggetti definitivamente
estinti per effetto della fusione» (25), e, dall’altro lato,
l’applicabilità degli artt. 110 e 299 ss. c.p.c. all’ipotesi in
cui la fusione abbia luogo nel corso del processo del
quale sia parte la società incorporata o che, a seconda
dei casi, ha partecipato insieme ad altre alla fusione. In
questo quadro la giurisprudenza, confortata dalla dottrina processualistica (26), ha cosı̀ ritenuto che:
a) sono nulli l’atto di citazione e l’atto di appello
notificati nei confronti di società incorporata in altra (27), cosı̀ come è nulla, perché emessa nei confronti di soggetto non più esistente, la sentenza dichiarativa
del fallimento di una società incorporata in altra società (28);
b) è inammissibile, in quanto proveniente da soggetto inesistente, il ricorso per cassazione proposto dalla società incorporata dopo il perfezionamento della fusione (29);
c) qualora la fusione si verifichi nel corso del giudizio
di primo grado, ancorché in quel giudizio non dichiarata in udienza o notificata, il difensore della società incorporata non può proporre impugnazione a nome dell’incorporante, in difetto di espresso mandato conferito
da quest’ultima, avvalendosi della procura conferita dalla società estinta (30);
d) il fenomeno estintivo nel quale si risolve la fusione per incorporazione deve, agli effetti processuali, essere assimilato alla morte della persona fisica e, pertanto,
produce l’interruzione del processo nel quale sia parte la
società estinta se il suo procuratore costituito abbia fatto
dichiarazione (in udienza o con notificazione alle altre
parti, fino alla chiusura della discussione) dell’evento
verificatosi nella fase attiva del rapporto processuale (31).
La tesi prevalente, nei termini dianzi illustrati, ha
tuttavia perso progressivamente terreno, almeno in dottrina, a partire dagli anni ’60, allorquando ha iniziato a
farsi strada un diverso approccio interpretativo che, eliminando la distanza fino ad allora manifestatasi nella
trattazione della fusione rispetto alla teorica della società, ha privilegiato le indicazioni offerte dai profili e dalla
disciplina dell’istituto di carattere più squisitamente societario.
A dire il vero, il distacco dall’orientamento tradizionale si è inizialmente manifestato in termini piuttosto
timidi, che non giungevano a negare completamente
l’effetto estintivo della fusione. Scriveva infatti un autore, in una monografia sul tema rimasta fondamentale (32), che la fusione non era riconducibile ad una vicenda successoria, e che il reale fondamento dell’istituto
dovesse piuttosto essere ricondotto ad una reciproca
modificazione statutaria delle società partecipanti all’o-
perazione, finalizzata ad assimilare le diverse posizioni
sociali allo statuto della società risultante dall’operazione
(nella fusione propria), ovvero ad adeguare lo statuto
ed il rapporto sociale dell’incorporata a quello dell’incorporante: modificazione alla quale sarebbe conseguita
«la coincidenza oggettiva» dei relativi statuti, e quindi
l’imputazione di tutti i rapporti ad un unico ente e «l’inutilità di distinti centri di imputazione». In altri termini, prosegue l’autore in questione, rispetto a tale modificazione statutaria l’effetto successorio deriverebbe direttamente dall’ordinamento statuale che, «nel constatare
tale coincidenza degli statuti, ne sanziona l’identità e regola corrispondentemente il fenomeno dell’imputazione» (33).
Era peraltro evidente - come è stato in seguito correttamente segnalato - che tale impostazione si muoveva ancora nella prospettiva tradizionale, dal momento
che, pur ravvisando l’essenza della fusione nella reciproca modificazione statutaria delle società che vi partecipano, continuava pur sempre a configurare l’istituto, sul
piano soggettivo, come vicenda squisitamente successoria (34). Ma erano ormai maturi i tempi per porre le
basi di una profonda revisione critica dell’orientamento
tradizionale, che negli anni successivi venne infatti ampiamente ridiscusso nelle sue premesse normative e dogmatiche, per fare posto ad un diverso inquadramento
della fusione fra le vicende modificative dell’atto costiNote:
(segue nota 24)
porto in difetto di tale accertamento» (Cons. Stato 26 settembre 2002, n.
4940, cit.). Occorre avvertire che sulla questione è peraltro intervenuto
l’art. 15, comma 9, del D.P.R. 25 gennaio 2000, n. 34 (v., infra, nel testo
sub § 3).
(25) Cass. 8 novembre 1983, n. 6612, in questa Rivista, 1984, 179.
(26) La letteratura processualcivilistica si segnala infatti per aver da sempre fornito adesione - per la verità piuttosto acritica - all’impostazione tradizionale, individuando nella fusione di società un fenomeno riconducibile al «venir meno» della parte di cui fa parola l’art. 110 c.p.c.: v. in questo senso, fra gli altri, C. Mandrioli, in Dir. proc. civ., I, XV ed., Torino,
2003 378; L. Montesano, G. Arieta, in Tratt. dir. proc. civ., I, Padova,
2001, 559 ss.; F. P. Luiso, «Venir meno» della parte e successione nel processo, in Riv. dir. proc., 1983, 209.
(27) Cass. 23 marzo 2001, n. 4180, in Rep. Foro it., 2001, voce «Società», n. 975; Cass. 26 novembre 1998, n. 12009, ivi, 1998, voce «Società», n. 897; Cass. 22 settembre 1997, n. 9349, cit. Fra i giudici di merito
v., da ultimo, App. Roma 27 gennaio 2005, in questa Rivista, 2006, 195,
secondo la quale è invalido l’atto di impugnazione con cui sia stata chiamata in giudizio la società incorporata.
(28) Trib. Roma 25 novembre 1975, in Giur. comm., 1976, II, 830.
(29) Cass. 2 aprile 2002, n. 4679, cit.
(30) Cass. 27 gennaio 1994, n. 833, cit.
(31) Cass. 21 agosto 1996, n. 7704, in Rep. Foro it., 1996, voce «Società», n. 872.
(32) C. Santagata, La fusione, 64.
(33) C. Santagata, La fusione, 181.
(34) Per questo rilievo v. N. Gasperoni, Trasformazione e fusione di società,
in Enc. dir., XLIV, Milano, 1992, 1049, nota 222; F. Galgano, Diritto civile, 526; A. Serra, La trasformazione, 339.
LE SOCIETA’ N. 4/2006
463
DIRITTO COMMERCIALE E SOCIETARIO . GIURISPRUDENZA
tutivo delle società partecipanti (35). In questa nuova
prospettiva la dottrina ha infatti sottolineato, sotto il
primo profilo, che il codice civile del 1942, diversamente dall’abrogato codice di commercio, non considerava
più la fusione come causa di scioglimento della società (36), con ciò escludendo che essa rappresentasse fatto idoneo a produrre il dissolvimento del complesso dei
rapporti che alla società facevano capo (37). Sempre discostandosi dalla codificazione previgente, - si è osservato - il codice del 1942 non attribuiva poi al socio assente o dissenziente il diritto di recedere in caso di fusione,
benché l’exit fosse invece accordato nell’ipotesi di semplice trasformazione della società, né richiedeva per l’approvazione della delibera di fusione il voto favorevole
della maggioranza qualificata prevista per la delibera di
trasformazione, anche in seconda convocazione, dal
quarto comma dell’art. 2369, c.c. (38), ma si accontentava piuttosto del quorum deliberativo richiesto in via
generale per le modifiche dell’atto costitutivo da parte
dell’assemblea straordinaria: con ciò palesando, sia pure
implicitamente, che il legislatore aveva inteso considerare la fusione, anche sotto tali ulteriori profili, come fenomeno meno grave, sul piano effettuale, rispetto alla
trasformazione, e quindi non riconducibile - per intuitive ragioni di coerenza logica - ad una vicenda estintivo-successoria (39).
Sul terreno più strettamente dogmatico l’idea della
fusione quale fenomeno successorio è stata poi contestata in quanto espressione di una concezione antropomorfica della società e dei rapporti sociali già da tempo posta in crisi dalle note teorie riduzionistiche della persona
giuridica, e pertanto in fase ormai recessiva (40). Collocandosi in tale prospettiva, alcuni autori hanno infatti
rilevato che discorrere della fusione in termini di estinzione e successione fra enti, analoga alla morte della persona fisica ed alla successione ereditaria, si risolve nella
sostanza in un artificioso concettualismo, che contrappone la società ai singoli soci, facendo della prima un soggetto di diritto totalmente distinto rispetto ai secondi,
ma che pretende di applicare ad entrambi rapporti giuridici di identico contenuto. Se infatti - veniva argomentato - si muove dalla premessa che il concetto di persona giuridica ha in realtà natura essenzialmente strumentale, perché sottende nient’altro che una speciale disciplina normativa di rapporti pur sempre riferiti a persone
fisiche, e si riconosce pertanto che esprimersi in termini
di diritti e doveri della persona giuridica è soltanto un
modo traslato per esprimere diritti e doveri dei singoli
appartenenti al gruppo, deve coerentemente concludersi
che affermare che la fusione comporta una successione
fra enti equivarrebbe al dire che i soci succedono a sé
stessi, ovvero che «una metafora è ... successore di altre
metafore» (41). L’accostamento della fusione di società
al fenomeno della successione universale rischia cosı̀, secondo questa prospettiva, di produrre risultati pratici
inaccettabili, se non vere e proprie «allucinazioni» (42),
fondati sull’indebita assimilazione di fenomeni del tutto
464
LE SOCIETA’ N. 4/2006
n
eterogenei: il testamento, cosı̀ come i negozi mortis causa
produttivi di una vicenda successoria - si rileva - rappresentano infatti l’effetto necessario di un antecedente naturale qual’è la morte della persona fisica, e sono anzi
precipuamente finalizzati a provvedere alla successione
del de cuius, mentre la fusione è, per contro, causa, e
non effetto, dell’estinzione della persona giuridica e del
subingresso della società risultante dalla fusione in tutti i
rapporti facenti capo alle società partecipanti (43).
Note:
(35) La critica più serrata all’orientamento tradizionale, che riconduceva
la fusione alle vicende estintive-successorie, è stata condotta da E. Simonetto, Della trasformazione e della fusione, in Commentario Scialoja - Branca,
Bologna-Roma, 1969, 81 ss., le cui argomentazioni sono state poi riprese
e sostanzialmente condivise dalla dottrina prevalente: v. fra gli altri D.
Corapi, Gli statuti delle società per azioni, Milano, 1971, 306 ss.; A. Serra,
La trasformazione, 339 ss.; C. Silvetti, Trasformazione e fusione di società, in
Noviss. Dig. it., XIX, Torino, 1973, 543 ss.; G. Tantini, Trasformazione e
fusione, 282 ss.; N. Gasparoni, Trasformazione e fusione, 1049 ss.; G. Marasà, Modifiche del contratto sociale e modifiche dell’atto costitutivo, in Trattato
Colombo - Portale, VI ed., Torino, 1993, 24 ss.; G. Cottino, Diritto commerciale, 741 ss.; G. Di Giovine, Fusione. La natura giuridica e l’ambito di
applicazione, in Trattato teorico pratico delle società. Trasformazione, fusione,
scissione, opa, società quotate, a cura di G. Schiano di Pepe, Milano, 1999,
124 ss.; F. Ferrara, F. Corsi, Gli imprenditori e le società, XII ed., Milano,
2001, 819 ss.; F. Di Sabato, Manuale delle società, Torino, 2001, 421 ss.;
F. Galgano, Diritto commerciale, Bologna, 2001, 439; nonché, con alcune
sfumature, A. Cerrai, Trasformazione, fusione e scissione, in AA.VV., Diritto commerciale, Bologna, 1993, 589 ss.; G. F. Campobasso, Diritto commerciale. 2. Diritto delle società, Torino, 2002, 612 ss. Per una analitica confutazione dei passaggi argomentativi sviluppati da Simonetto v., invece, P.
Guerra, In tema di effetto estintivo creativo della fusione, in Riv. dir. comm.,
1967, I, 34 ss.
(36) L’art. 189, n. 7, del codice di commercio del 1882 ricomprendeva la
fusione fra le cause di scioglimento della società.
(37) Cfr. sul punto E. Simonetto, Della trasformazione, 107. Sottolineano
la mancata inclusione della fusione fra le cause di scioglimento della società di cui all’art. 2448 c.c. anche G. Tantini, Trasformazione e fusione,
282 ss.; C. Silvetti, Trasformazione, 543-544.
(38) In argomento v., per tutti, G. Cabras, Le trasformazioni, in Trattato
Colombo - Portale, VII ed., Torino, 1997, 137 ss.
(39) Per questi rilievi v. ancora E. Simonetto, Della trasformazione, 108
ss., seguito poi da N. Gasperoni, Trasformazione e fusione, 1050, F. Di Sabato, Manuale, 421-422, e, fra i processualisti, da L. Salvaneschi, Ristrutturazioni delle banche pubbliche e successione nel processo, in Riv. dir. proc.,
1992, 479.
(40) La letteratura sul tema dell’evoluzione e della crisi del concetto classico di persona giuridica è vastissima. Limitandosi ai contributi essenziali,
si possono segnalare fra gli altri, ovviamente senza alcuna pretesa di completezza quelli di F. Galgano, Struttura logica e contenuto normativo del concetto di persona giuridica, in Riv. dir. civ., 1965, I, 553 ss.; Id., Delle persone
giuridiche, in Commentario Scialoja - Branca, Bologna-Roma, 1969; Id., voce «Persona giuridica», in Digesto, disc. priv., sez. civ., XIII, Torino, 1995,
392 ss. Per un quadro di sintesi v. G. Tamburrino, Persone giuridiche. Associazioni non riconosciute. Comitati, in Giur. sist. dir. civ. comm., Torino,
1997, 52 ss.
(41) In questi termini F. Galgano, Recensione a Carlo Santagata, La fusione
di società, in Riv. dir. civ., 1967, I, 102. Per analoghi rilievi v., altresı̀, G.
Tantini, Trasformazione e fusione, 293 ss., A. Serra, La trasformazione e la
fusione, 341, N. Gasperoni, Trasformazione e fusione, 1049, e G. Cottino,
Diritto commerciale, 753.
(42) L’icastica espressione è di G. Tantini, Trasformazione e fusione, 297.
(43) V., in questo senso, E. Simonetto, Della trasformazione, 105. Il rilievo
(segue)
n
DIRITTO COMMERCIALE E SOCIETARIO . GIURISPRUDENZA
Muovendo da tali obiezioni gli interpreti sono cosı̀
giunti, sul piano ricostruttivo, a ricondurre la fusione
nell’ambito delle modificazioni dell’atto costitutivo. A
sostegno di tale idea decisiva è risultata, in particolare,
la riconsiderazione del profilo funzionale dell’istituto.
Più che una vicenda «funeratizia» - si è detto -, la fusione è in realtà «un contratto di vita non un contratto di
morte» (44): nella prospettiva dei soci, l’operazione in
esame viene considerata infatti come strumento di crescita, e non certo di indebolimento o - peggio - di estinzione, dell’impresa, e risulta funzionale a rafforzare l’organismo sociale ed a formare «imprese di portata sempre più vasta con raggruppamento sempre più cospicuo
di persone e di capitali: di persone, fra le quali distribuire il rischio e il sacrificio economico dell’impresa, di capitali, per realizzare più compiutamente l’oggetto dell’attività sociale» (45). Nella prassi operativa, la fusione assume in particolare il ruolo di strumento di concentrazione delle imprese societarie (46), perché l’intento tipico che le parti mirano a realizzare attraverso tale operazione non è quello di cessare l’attività sociale, ma, al
contrario, quello della prosecuzione, «irrobustita e rafforzata, delle imprese preesistenti e dei vincoli sociali
che ne sono alla base» (47), mediante la compenetrazione dei patrimoni, delle strutture organizzative e delle
compagini sociali delle singole società partecipanti in
una realtà unitaria (la società incorporante ovvero quella risultante dalla fusione), che continua l’attività di
queste ultime (48).
Sotto il profilo strutturale l’essenza della fusione risiede quindi, secondo tale ricostruzione, nella reciproca
modificazione degli statuti sociali delle società interessate. Attraverso le delibere di fusione, i soci di ciascuna
società fusa o incorporata non danno vita ad un nuovo
contratto sociale, ma introducono nei relativi statuti le
variazioni e le modifiche necessarie per realizzare la «reciproca integrazione» degli originari contratti sociali, la
cui efficacia rimane intatta: e ciò - si precisa - non per
trasferire i rapporti pertinenti alla singola società partecipante alla società incorporante o risultante dalla fusione, bensı̀ al diverso fine di «disciplinare una variazione
della propria organizzazione nella prospettiva intesa ad
unificare, in una regolamentazione funzionale unitaria, i
propri rapporti in combinazione integrata con i rapporti
della società incorporante» (49). In altri termini, la fusione si risolve in una vicenda modificativa degli originari contratti sociali delle singole società coinvolte, attraverso la quale i primi si unificano in un medesimo
contratto, e le seconde continuano l’attività economica
in forma unitaria. E poiché non vi è formazione di un
nuovo contratto sociale, non v’è neppure trasferimento
della qualità di socio, perché ciascun socio conserva la
qualità di parte del contratto e dell’organizzazione cosı̀
unificata (50); né vi è trasferimento di beni dalle società partecipanti a quella risultante dalla fusione, ma conservazione della proprietà di essi in capo al soggetto unificato (51).
La contrapposizione fra teorie successorie e teorie
modificazioniste, che ha caratterizzato, nei termini dianzi illustrati, il dibattito teorico sulla natura giuridica della fusione, si è perpetuata sino a tempi recenti senza peraltro far registrare particolari spunti di novità sul fronte
giurisprudenziale, il quale ha continuato, infatti, a restituire l’immagine di una pressoché costante adesione all’impostazione tradizionale, che riconduce la fusione
nell’alveo delle vicende successorie, mentre del tutto
sporadiche ed isolate sono rimaste le prese di posizione
delle corti a favore dell’opinione che considera la fusione in termini di mera modifica statutaria (52). Né
Note:
(segue nota 43)
di Simonetto è stato poi ripreso e condiviso dalla dottrina maggioritaria:
v., fra gli altri, A. Serra, La trasformazione e la fusione, 339; G. Tantini,
Trasformazione e fusione, 287; N. Gasperoni, Trasformazione e fusione,
1049; A. Cerrai, Trasformazione, 585; G. F. Campobasso, Diritto commerciale, 612, nonché, nella letteratura civilistica, P. Rescigno, La successione
a titolo universale e particolare, in Riv. not., 1992, I, 1354.
(44) In questi termini G. Cottino, Diritto commerciale, 741; analogamente
E. Simonetto, Trasformazione e fusione, 102.
(45) Cosı̀ E. Simonetto, Della trasformazione, 82, e, in termini analoghi,
F. Ferrara jr., F. Corsi, Gli imprenditori, 819; A. Cerrai, Trasformazione,
590.
(46) G. F. Campobasso, Diritto commerciale, 611. Si è osservato peraltro
che le «motivazioni» sottostanti all’impiego della fusione non sempre si
identificano necessariamente con quella di porre in essere una «concentrazione» vera e propria, dal momento che la fusione può essere funzionale anche a semplificare e razionalizzare strutture societarie di «gruppo», a
fare affluire più rapidamente alla holding i dividendi distribuiti dalle società
controllate operative, ad ottenere vantaggi fiscali, o, ancora, ad eliminare
dal mercato un’impresa concorrente: cosı̀ L. A. Bianchi, La congruità del
rapporto di cambio nella fusione, Milano, 2002, 79, ove riferimenti, nonché,
da ultimo, Associazione Preite, Il diritto delle società, a cura di G. Olivieri,
G. Presti, F. Vella, Bologna, 2004, 439.
(47) V. G. Cottino, Diritto commerciale, 753.
(48) In questa prospettiva si è in particolare osservato che la fusione per
incorporazione darebbe luogo, sotto il profilo tecnico-giuridico, ad «un fenomeno di ‘‘docking’’, di aggancio tra i due gruppi (e tra i due patrimoni)
cui le società pervengono attraverso (autonome e reciproche) modifiche
statutarie, di cui le deliberazioni rappresentano un atto preparatorio, e l’atto di fusione il momento finale e conclusivo»: cosı̀ G. Tantini, Trasformazione e fusione, 283.
(49) Cosı̀ C. Santagata, Lineamenti generali dell’istituto della fusione: natura
giuridica e procedimento, in AA.VV., Fusioni e scissioni di società. Profili civili
e fiscali, Milano, 1993, 15.
(50) Nella fusione - spiega E. Simonetto, Della trasformazione, 116 - «i
partecipanti sono già soci delle società distinte e per effetto della fusione
diventano consoci: non si ha costituzione di alcuna partecipazione sociale,
ma riunione di partecipazioni sociali preesistenti». Nella medesima direzione v. altresı̀, fra gli altri, L. A. Bianchi, La congruità, 38-39.
(51) In questa direzione, E. Simonetto, Della trasformazione, 116 ss.; F.
Galgano, Diritto civile e commerciale, 526; A. Serra, La trasformazione e la
fusione, 340-341; F. Di Sabato, Manuale, 422; N. Gasperoni, Trasformazione e fusione, 1049-1050; F. Ferrara jr., F. Corsi, Gli imprenditori, 819-820.
(52) Se si prescinde dalle remote decisioni rese da Trib. Busto Arsizio 24
gennaio 1968, in Dir. fall., 1968, II, 617, e da Trib. Milano 24 settembre
1970, in Giur. it., 1971, I, 2, c. 431, gli unici precedenti giurisprudenziali
che, in tempi recenti, hanno apertamente aderito all’idea della fusione
quale modificazione statutaria sono Trib. Napoli 5 dicembre 1989, in
questa Rivista, 1990, 939, Trib. Napoli 17 luglio 1989, ivi, 1990, 356 (pe(segue)
LE SOCIETA’ N. 4/2006
465
DIRITTO COMMERCIALE E SOCIETARIO . GIURISPRUDENZA
spunti di discussione ulteriori, rispetto a quelli già noti,
sono stati offerti dal D.Lgs. 16 gennaio 1991, n. 22, che
ha dato attuazione in Italia alle direttive n. 78/855/CEE
e n. 82/891/CEE in materia di fusioni e scissioni societarie. Nel novellare la disciplina codicistica della fusione
il legislatore del 1991, per un verso, non ha invero recepito la configurazione dell’istituto in termini di «scioglimento senza liquidazione» offerta dagli artt. 3 e 4 della
terza direttiva (53), reputata comunque non vincolante
per l’interprete, in quanto meramente descrittiva di un
fenomeno ancora troppo eterogeneo nelle varie legislazioni nazionali per prestarsi ad una definizione unitaria.
Per altro verso, ha espressamente manifestato il proprio
deliberato agnosticismo sul tema, dichiarando che «il
compito del legislatore è quello di disciplinare il procedimento di fusione, piuttosto che quello di definire la
natura giuridica dell’istituto, prendendo posizione nel
dibattito fra coloro che ravvisano nella fusione un fenomeno di successione in universum jus e coloro che invece lo considerano alla stregua di una peculiare modificazione dell’atto costitutivo» (54).
La perdurante assenza di una definizione legislativa
della fusione, e la presenza invece di «indici normativi
molteplici e tra loro dissonanti» (55), hanno contribuito cosı̀ a lasciare sostanzialmente irrisolto, fino alle soglie della riforma del diritto societario, il problema della
natura giuridica della fusione (56), e - sul piano metodologico - hanno ulteriormente rafforzato la piena discrezionalità dell’interprete nella scelta «di privilegiare
gli uni o gli altri fra i dati ermeneutici» a favore di una
delle due ipotesi costruttive della fusione in precedenza
delineate (57).
Il problema della natura giuridica della fusione
dopo la riforma
Il legislatore del 2003 è intervenuto sul primo comma dell’art. 2504 bis c.c., e ne ha riformulato il testo,
per un verso, sostituendo l’espressione «società estinte»
con quella di «società partecipanti alla fusione», e, per
altro verso, precisando che la società incorporante o
quella risultante dalla fusione «prosegue» in «tutti i (...)
rapporti, anche processuali, anteriori alla fusione», che
facevano capo alle società fuse o incorporate.
Il nuovo volto assunto dalla disposizione in esame è
stato pressoché concordemente interpretato come
espressione della volontà del legislatore delegato di assumere direttamente posizione sul problema della ricostruzione teorica della fusione. L’eliminazione del riferimento normativo alla «estinzione» delle società partecipanti, che costituiva il principale dato testuale sul quale si
fondava la tradizionale prospettiva dell’istituto quale fenomeno estintivo-successorio, è stato infatti generalmente accolto e valutato come segno inequivoco e decisivo del definitivo abbandono di tale impostazione da
parte del legislatore e, per contro, come altrettanto
esplicita consacrazione normativa della tesi che, ripudiando ogni effetto estintivo per le società incorporate
466
LE SOCIETA’ N. 4/2006
n
o fuse, vede nella fusione una semplice vicenda modificativa degli statuti delle società coinvolte (58) (59).
Note:
(segue nota 52)
raltro riformato da App. Napoli 15 novembre 1989, ivi, 1990, 503), e
Trib. Napoli 3 giugno 1994, in Foro nap., 1995, 154, nonché l’inedita
sentenza del Trib. Livorno 5 dicembre 2000 (il cui testo è pubblicato sul
sito www. federnotizie.org/2001/genn/goa.htm).
(53) I successivi artt. 19 e 23 della direttiva in questione precisano poi
che la fusione produce l’effetto dell’estinzione dell’incorporata (o delle società fuse), e l’ulteriore effetto che gli azionisti della incorporata divengono azionisti dell’incorporante (e gli azionisti delle società fuse azionisti della nuova società risultante dalla fusione). La definizione della fusione in
termini di «scioglimento senza liquidazione» delle società partecipanti è
stata ribadita dall’art. 2.2 della recentissima direttiva 2005/56/CE del 26
ottobre 2005, relativa alle fusioni transfrontaliere delle società di capitali.
(54) Cosı̀ la Relazione allo schema di legge delegata per l’attuazione della
III e della VI direttiva CEE, in Riv. dir. comm., 1990, I, 126 ss., con commento di G. Scognamiglio.
(55) L. Salvaneschi, Ristrutturazione delle banche pubbliche, 483.
(56) M. S. Spolidoro, Effetti della fusione, in A. Serra, M. S. Spolidoro,
Fusioni e scissioni di società, Torino, 1993, 140. Nella medesima direzione
V. Afferni, Nota al D.Lgs. 16 gennaio 1991, n. 22, in Corr. giur., 1991,
407, e F. Scardulla, La trasformazione e la fusione, 309.
(57) È significativo, in questo senso, che sia i fautori della teoria successoria, sia i sostenitori della teoria modificazionista della fusione, abbiano entrambi ravvisato, nella nuova disciplina della fusione introdotta dal
D.Lgs. n. 22/1991, elementi ritenuti idonei a confortare la correttezza delle rispettive posizioni. In questa prospettiva si è cosı̀ ritenuto, ad esempio,
che la nuova formulazione del primo comma dell’art. 2504 bis c.c. avrebbe conferito «nuovo vigore» all’idea della fusione in termini di fenomeno
successorio, ribadendo l’effetto costitutivo-estintivo della fusione, e la successione universale dell’incorporante (o della società risultante dalla fusione) in tutti i rapporti facenti capo alle società fuse o incorporate: cosı̀ G.
Pettarin, Acquisizione, fusione e scissione di società, Milano, 1992, 76; analogamente, traendo spunto dalla nozione di fusione presente nella terza direttiva CEE, G. Oppo, Fusione e scissione, 505, e B. Quatraro, La fusione:
profili e natura giuridica, in Dir. fall., 1994, I, 575. Per l’opposta opinione
v. G. Tantini, Trasformazione e fusione, 288.
(58) Molto chiaramente, in questa direzione, B. Quatraro, G. Quatraro,
La fusione e la scissione, in AA. VV., Il nuovo diritto societario. Profili civilistici, processuali, concorsuali, fiscali e penali, a cura di S. Ambrosini, II, Torino, 2005, 164; L. A. Bianchi, M. Di Sarli, Commento all’art. 2504 bis
c.c., in Codice civile commentato, a cura di G. Alpa e V. Mariconda, III,
Milano, 2005, 1900, nonché A. Riccio, Nella fusione di società si ha, dunque, continuità dei rapporti giuridici anche processuali, in Contr. impr., 2005,
485-486, per il quale il D.Lgs. n. 6/2003. Nello stesso ordine di idee si
muovono peraltro quasi tutti i commentatori del novellato art. 2504 bis:
v. F. Magliulo, La fusione delle società, Milano, 2005, 15-16; M. Tamburini, Commento all’art. 2504 bis, in Il nuovo diritto delle società, a cura di A.
Maffei Alberti, IV, Padova, 2005, 2558; C. Santagata, Le fusioni, in Trattato Colombo - Portale, VII ed., Torino, 2004, 41 ss. (sia pure non escludendo la compresenza nella fusione di effetti estintivi, almeno sotto il profili formale); I. Capelli, Fusione e scissione, in AA.VV., La riforma delle società. Aspetti applicativi, a cura di A. Bortoluzzi, Torino, 2004, 537; F. Galgano, Il nuovo diritto societario, in Tratt. dir. comm. e dir. pubbl. econ.,
XXIX, Padova, 2003, 527 ss.; L. Lambertini, Commento all’art. 2504 bis,
in F. Abate, A. Dimundo, L. Lambertini, L. Panzani, A. Patti, Gruppi,
trasformazione, fusione e scissione, scioglimento e liquidazione, società estere, in
La riforma del diritto societario, a cura di G. Lo Cascio, 9, Milano, 2003,
483-484; M. E. Salerno, Commento all’art. 2504 bis c.c., in AA.VV., La
riforma delle società, a cura di M. Sandulli e V. Santoro, Torino, 2003,
458-459. Nella letteratura processualcivilistica si vedano, nel medesimo
senso, M. Fabiani, La partecipazione del giudice al processo societario, in Riv.
dir. proc., 2004, 195-196, e D. Dalfino, Fusione societaria e successione nel
processo senza pause, in Corr. giur., 2003, 1087. Dubitativa pare invece la
(segue)
n
DIRITTO COMMERCIALE E SOCIETARIO . GIURISPRUDENZA
Ad ulteriore conforto di tale interpretazione deporrebbe
d’altra parte - si è altresı̀ notato - l’espresso rilievo conferito dal novellato primo comma dell’art. 2504 bis c.c. al
principio, già elaborato a livello interpretativo, in virtù
del quale la società incorporante o risultante dalla fusione «prosegue» in tutti i rapporti giuridici, ivi compresi
quelli processuali, facenti capo alle società incorporate o
fuse. Secondo i commentatori della riforma, l’esplicitazione di tale regola costituirebbe infatti la traduzione,
con specifico riferimento alla fusione, di uno dei principi cardine delle operazioni straordinarie, ed in particolare quello della continuità sostanziale dell’impresa e della
relativa attività in occasione delle trasformazioni strutturali, che il decreto delegato ha valorizzato al fine di tutelare «l’interesse all’assunzione della più adeguata forma
organizzativa dell’impresa nel suo interrotto svolgimento» (60). Continuità che, oggi positivizzata dalla norma
in commento, confermerebbe come la fusione non sia
«diretta alla definizione dei rapporti sociali», né al relativo trasferimento (61), quanto piuttosto alla prosecuzione degli stessi, senza lo iato di una fattispecie estintiva, e come tale operazione debba pertanto essere configurata, al pari della trasformazione, quale vicenda evolutiva-modificativa, in virtù della quale l’ente incorporato
(ovvero le società partecipanti in caso di fusione paritaria) sopravve in tutti i suoi rapporti, sia pure con un
nuovo assetto organizzativo modificato, nella società incorporante o in quella risultante dalla fusione (62). Né
varrebbe in contrario - si aggiunge - enfatizzare la circostanza che l’art. 2504 bis ribadisca pur sempre, anche
nella nuova formulazione, che la società incorporante
(ovvero quella risultante dalla fusione) «assume» i diritti e gli obblighi delle società partecipanti, e faccia cosı̀
ricorso ad un’espressione diversa da quella utilizzata dall’art. 2498 c.c. per la società trasformata (che «conserva» gli obblighi anteriori alla trasformazione): ciò perché la locuzione in questione altro non è che «un mero
retaggio della vecchia concezione della fusione come vicenda successoria, e deve essere ora intesa nel senso che
tutti i rapporti giuridici delle società partecipanti fanno
capo alla società risultante dalla fusione ‘‘proseguendo’’
questa società in tutti quei rapporti» (63).
Del tutto impermeabile rispetto alla modificazione
del dato normativo è sembrata invece dimostrarsi, in un
primo momento, la giurisprudenza di merito, almeno
per quanto è dato finora desumere dall’analisi dei pochi
precedenti che hanno avuto modo di dare concreta applicazione, specie sul terreno processuale, alla disposizione qui esaminata. Alcune corti hanno infatti ritenuto
che, anche alla luce del nuovo testo dell’art. 2504 bis
c.c., la fusione per incorporazione dà vita ad una fattispecie estintiva assimilabile alla morte della persona fisica, e che la società incorporata perde quindi necessariamente la propria capacità processuale, con la conseguenza che, «nel caso in cui il procuratore abbia comunicato
l’evento, si impone l’interruzione e la prosecuzione del
giudizio nei confronti del successore a titolo universale,
nella specie nei confronti dell’incorporante» (64). Muovendo implicitamente dal medesimo presupposto, vale a
dire l’effetto estintivo che la fusione produce con riferimento alla società incorporata, il Conservatore del Registro delle imprese di Forlı̀-Cesena, con provvedimento
di accertamento del 25 gennaio 2005 (65), ha invece
Note:
(segue nota 58)
posizione di C. Mandrioli, Diritto processuale civile, I, XVII ed., Torino,
2005, 392. Del tutto minoritario è invece l’orientamento che, dopo la riforma, continua a configurare la fusione quale vicenda successoria: v. in
questa direzione G. F. Campobasso, La riforma delle società di capitali e delle
cooperative, Torino, 2003, 234; Associazione Preite, Il diritto delle società,
440; A. Genovese, Fusioni e scissioni, in AA.VV., La riforma delle società di
capitali e cooperative, a cura di L. Starola, Milano, 2003, 349, nonché, fra i
processualisti, L. Comoglio, C. Ferri, M. Taruffo, Lezioni sul processo civile,
I, Il processo ordinario di cognizione, Bologna, 2005, 549. Non prende invece posizione sul punto O. Cagnasso, Commento agli artt. 2504-2504 quater
c.c., in Il nuovo diritto societario. Commentario diretto da G. Cottino, G.
Bonfante, O Cagnasso, P. Montalenti, Torino, 2004, 2342.
(59) A conferma della circostanza che la fusione non determina alcuna
cesura o discontinuità nell’attività della società incorporata o fusa, risolvendosi la stessa in una modificazione dei «soggetti» societari, si è correttamente osservato che la riforma non ha imposto, con il nuovo art. 2504
bis, comma 4, la predisposizione di un bilancio di apertura post-fusione
della combined entity: v., in questo senso, l’ampio - ed allo stato inedito studio di L. A. Bianchi, Appunti sulla disciplina del «primo bilancio successivo
alla fusione», § 3, 11-12 del dattiloscritto, la cui consultazione è stata possibile grazie alla cortesia dell’Autore.
(60) In questi termini P. Lucarelli, La nuova disciplina delle fusioni e scissioni: una modernizzazione incompiuta, in Riv. soc., 2004, 1345.
(61) Cosı̀ C. Santagata, Le fusioni, 45.
(62) In questo senso A. Riccio, Nella fusione, 487-488. Analogamente F.
Magliulo, La fusione, 16, e M. E. Salerno, Commento, 459.
(63) In questi termini F. Di Sabato, Diritto delle società, Milano, 2003,
476; analogamente A. Riccio, Nella fusione, 489, nota 14, nonché V. Napoleoni, Le vicende modificative dell’ente, in AA.VV., Reati e responsabilità
degli enti, a cura di G. Lattanzi, Milano, 2005, 307, nota 71.
(64) Cosı̀ Trib. Mantova 9 giugno 2005, in questa Rivista, n. 1, 2006, 46,
con commento di B. Ianniello, il quale ha ulteriormente precisato che
«l’interruzione del processo non è fenomeno che contrasta con il concetto di prosecuzione del rapporto processuale introdotto dalla norma citata
(l’art. 2504 bis c.c.: N.d.R.), visto che il giudizio non si estingue e rimane
il medesimo se proseguito ai sensi dell’art. 303 c.p.c.», e che all’art. 2504
bis c.c. deve pertanto «attribuirsi valenza solo sostanziale, per cui la norma
nulla innova nell’ordinamento, ribadendo quanto già poteva desumersi
dall’art. 110 c.p.c., e quindi che la società incorporante succede in ogni
rapporto sostanziale e processuale dell’incorporata». In termini v. altresı̀,
con identica motivazione, Trib. Mantova 18 giugno 2003, consultabile
per esteso in www.ilcaso.it, nonché l’inedita pronuncia resa da Trib. Oristano 3 marzo 2005 (la cui motivazione è riportata nel saggio di A. Riccio, Nella fusione, 491-492). Trib. Roma 23 maggio 2005, in www.ilcaso.it, ha tuttavia affermato che «non può essere dichiarata la nullità dell’atto di citazione notificato a società estinta per fusione in altra società, e
ciò in quanto, a norma dell’art. 2504 bis c.c., la società che risulta dalla
fusione assume tutti i diritti e gli obblighi delle società partecipanti proseguendo in tutti i loro rapporti, anche processuali, anteriori alla fusione».
(65) Anche questo riportato nel già citato saggio di A. Riccio, Nella fusione, 492-493, il quale precisa peraltro che l’Ufficio Brevetti e Sanzioni della Camera di Commercio di Forlı̀-Cesena, con successivo provvedimento
del luglio 2005, ha disposto l’archiviazione degli atti, sul presupposto che
il notaio rogante l’atto di fusione non è più tenuto a depositare presso il
Registro delle imprese, oltre all’atto di fusione, anche l’atto di cancellazione della società incorporata, dal momento che quest’ultima non si estingue, ed i rapporti giuridici tra incorporata ed incorporante proseguono in
base al principio di continuità.
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DIRITTO COMMERCIALE E SOCIETARIO . GIURISPRUDENZA
contestato, al notaio rogante l’atto di fusione, il ritardato
deposito presso il competente Registro delle Imprese
dell’atto di cancellazione per fusione della società incorporata, in violazione di quanto disposto dagli artt. 2504
c.c., 33, comma 4, L. n. 340/2000, 8 L. n. 589/1993, 7
e 18 D.P.R. n. 581/1995.
Del tutto opposto è invece l’orientamento che, in
proposito, ha ora assunto la Suprema Corte con l’ordinanza oggetto del presente commento, la quale segna come si è ricordato - una netta cesura rispetto all’orientamento tradizionale, e si pone in linea con le tesi «modificazioniste» accolte dalla dottrina prevalente.
Pur non essendo certo questa la sede idonea per approfondire un tema cosı̀ complesso e ricco di implicazioni dogmatiche, e per sviluppare una compiuta indagine
sul piano teorico in merito alla ricostruzione dell’istituto
ed alla qualificazione giuridica della fusione dopo la riforma, sembra comunque opportuno, dopo la ricognizione appena svolta, evidenziare alcuni elementi che, già
ad una prima lettura, potrebbero risultare utili per orientare, almeno in prima battuta, i possibili percorsi interpretativi sull’argomento.
In questa prospettiva, giova, in primo luogo, rilevare
che l’inquadramento della fusione tra le vicende modificative dell’atto costitutivo delle società partecipanti è
tesi che senza dubbio trova sostegno, già prima dell’entrata in vigore della riforma, anche in altre disposizioni
contenute in discipline non aventi ad oggetto la fusione. Esemplare, in questo senso, è la normativa di cui al
D.Lgs. 8 giugno 2001, n. 231, che, in attuazione della
delega contenuta nell’art. 11 della L. 29 settembre
2000, n. 300, ha - come noto - per la prima volta introdotto nel nostro ordinamento, sovvertendo il tradizionale principio secondo cui «societas delinquere non potest», la responsabilità «amministrativa» (ma, in realtà,
penale a tutti gli effetti) degli enti, delle società e delle
associazioni, muniti o non di personalità giuridica, in relazione a determinati reati commessi da loro esponenti
in posizione cd. apicale, ovvero da soggetti sottoposti alla direzione o alla vigilanza di questi ultimi (66). Tale
decreto, nel disciplinare le «vicende modificative» dell’ente responsabile (artt. 28-32), accomuna infatti in tale categoria - significativamente - la fusione alla trasformazione, alla scissione ed al trasferimento di azienda, e
stabilisce, all’art. 29, che «nel caso di fusione, anche per
incorporazione, l’ente che ne risulta risponde dei reati
dei quali erano responsabili gli enti partecipanti alla fusione», vale a dire dei reati commessi da questi ultimi
prima della data in cui la fusione ha acquistato effetto,
anche se giudizialmente accertati in un momento successivo (67). Siamo in presenza, quindi, di una regola
dall’evidente funzione antielusiva, che costituisce una
chiara espressione del principio di continuità ora positivamente enunciato nel novellato art. 2504 bis c.c. (68),
e che trova ulteriore sviluppo sia sul piano della commisurazione della sanzione, sia sul terreno più strettamente
processuale. Sotto il primo profilo, l’art. 32, comma 1,
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n
del decreto n. 231, attribuisce infatti al giudice il potere
discrezionale di ravvisare la reiterazione del reato in capo alla società incorporante o risultante dalla fusione
«anche in rapporto a condanne pronunciate nei confronti degli enti partecipanti alla fusione per reati commessi anteriormente» alla data dalla quale la fusione ha
avuto effetto, con ciò confermando che, nella prospettiva del legislatore, «nella fusione non vi è creazione di
soggetti giuridici nuovi, bensı̀ solamente modificazione,
più o meno profonda ed incisiva, di quelli precedenti» (69). Sotto l’altro profilo, il successivo art. 42 del
decreto n. 231, rubricato «vicende modificative dell’ente nel corso del processo», dispone poi che nel caso di
fusione, trasformazione o scissione dell’ente originariamente responsabile, «il procedimento prosegue nei confronti degli enti risultanti da tali vicende modificative o
beneficiari della scissione, che partecipano al processo
nello stato in cui si trova», configurando con ciò «una
successione nel processo senza soluzione di continuità ...
in locum et ius dell’ente inizialmente sottopostovi» (70).
Oltre che nel decreto n. 231/2001, ulteriori indicazioni legislative a sostegno della teoria modificazionista
della fusione possono poi rinvenirsi nella disciplina degli
appalti pubblici di lavori, ed in particolare nel D.P.R.
25 gennaio 2000, n. 34 (cd. regolamento di attuazione
della L. 11 febbraio 1994, n. 109), il cui art. 15, recante
Note:
(66) La letteratura in materia è già molto vasta: limitandosi ai contributi
essenziali si segnalano quelli di C. De Maglie, L’etica e il mercato. La responsabilità penale delle società, Milano, 2002, e S. Bartolomucci, Corporate
governance e responsabilità delle persone giuridiche, Milano, 2004, nonché le
opere collettanee AA.VV., Societas puniri potest. La responsabilità da reato degli enti collettivi, Padova, 2003; AA.VV., Reati e responsabilità degli enti,
a cura di G. Lattanzi, Milano, 2005; AA.VV., La responsabilità amministrativa degli enti, Milano, 2002; AA.VV., Responsabilità degli enti per illeciti amministrativi dipendenti da reato, Padova, 2002.
(67) P. Sfameni, Responsabilità patrimoniale e vicende modificative dell’ente,
in AA.VV., La responsabilità amministrativa degli enti, 167.
(68) In questo senso L. De Angelis, Responsabilità patrimoniale e vicende
modificative dell’ente (trasformazione, fusione, scissione, cessione d’azienda), in
questa Rivista, 2001, 1329; De Marzo, Il D.Lgs. n. 231/2001: responsabilità
patrimoniale e vicende modificative dell’ente, in questa Rivista, 2001, 1532;
M. Roberti, La responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni prive di personalità giuridica e le vicende modificative,
in Nuove leggi civ. comm., 2001, 1138; G. Grasso, La responsabilità amministrativa dipendente da reato delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni prove di personalità giuridica, in Contr. impr., 2001, 1456; R. Santagata, Le fusioni, 45, nota 110; V. Napoleoni, Le vicende modificative, 307 ss.
La stessa relazione ministeriale al D.Lgs. n. 231/2001 precisa chiaramente
che, con riferimento all’ipotesi di fusione, «l’art. 29 prevede che l’ente
che ne risulta (compreso l’ente incorporante, nel caso di fusione per incorporazione) risponde dei reati dei quali erano responsabili gli enti partecipanti all’operazione», e che «tale soluzione si giustifica agevolmente alla
luce della considerazione che l’ente in parola, non solo assume tutti i diritti ed obblighi degli enti estinti (art. 2504 bis, comma 1, c.c.), ma ne accorpa le attività aziendali, comprese necessariamente, dunque, quelle nell’ambito delle quali sono stati posti in essere i reati di cui tali ultimi enti
dovevano rispondere».
(69) G. Scognamiglio, Trasformazione, fusione, scissione e responsabilità «penale» dell’ente, in Rass. giur. en. el., 2002, 336.
(70) V. Napoleoni, Le vicende modificative, 348.
n
DIRITTO COMMERCIALE E SOCIETARIO . GIURISPRUDENZA
disposizioni in ordine alla domanda di qualificazione delle imprese, stabilisce al nono comma che, «in caso di fusione o di altra operazione che comporti il trasferimento
di azienda o di un suo ramo, il nuovo soggetto può avvalersi per la qualificazione dei requisiti posseduti dalle
imprese che hanno dato ad esso origine»; nonché nella
disciplina del T.U. bancario (D.Lgs. 1 settembre 1993,
n. 385), il cui art. 57, comma 4, prevede che i privilegi
e le garanzie di qualsiasi tipo, da chiunque prestate o comunque esistenti, a favore di banche incorporate da altre banche ovvero di banche partecipanti a fusioni con
costituzione di nuove banche, mantengono la loro validità ed il loro grado, senza necessità di alcuna formalità
o annotazione, a favore - rispettivamente - della banca
incorporante o della banca risultante dalla fusione.
I rilievi sinora svolti, e la considerazione dell’intervento del legislatore delegato sulla formulazione testuale
del primo comma dell’art. 2504 bis c.c., non devono peraltro indurre ad accogliere acriticamente l’idea che la
riforma abbia definitivamente legittimato un approccio
interpretativo che riduce la fusione ad una pura e semplice modificazione statutaria, e che esclude in termini
assoluti qualsiasi profilo estintivo della vicenda. Sembra
invero corretto ritenere che la riproposizione, anche nel
nuovo sistema, della teoria modificazionista «pura» dell’istituto in esame, si presti in realtà a rilievi critici difficilmente superabili.
In proposito occorre infatti preliminarmente osservare che, come annotato da autorevole dottrina, l’intervenuta eliminazione, nel novellato art. 2504 bis, di ogni
riferimento alle «società estinte», non è circostanza che
merita di essere sopravvalutata sul piano esegetico, stante la nota assenza di vincolatività del lessico legislativo
per l’interprete, e che il problema della qualificazione
giuridica dell’istituto esige piuttosto, per la relativa soluzione, «una valutazione complessiva del ‘‘microsistema’’
della fusione» (71). In tale prospettiva merita in particolare evidenziare che la riforma del 2003 sembra aver
attenuato, sia pure parzialmente, il divario normativo
che, nel sistema previgente, separava la fusione dalla
trasformazione sul terreno degli strumenti di tutela offerti al socio che non concorre alla deliberazione che approva l’operazione. Se è vero infatti che l’attuale disciplina continua ad escludere, per le società per azioni,
che l’adozione di una delibera di fusione determini, in
capo ai soci delle società partecipanti, un diritto di recesso, ed invece ad ammetterlo in caso di trasformazione (72), diversa regola, rispetto a quanto previsto nell’impianto normativo del 1942, vale ora per le società a
responsabilità limitata e le società di persone: in relazione alle prime, l’attuale art. 2473 c.c. considera infatti
sia la fusione (in forma espressa), sia la trasformazione
(in forma implicita) come «causa» di recesso del socio
che non ha concorso alle relative deliberazioni (73); ed
altrettanto avviene in relazione alle seconde, dal momento che l’art. 2502, comma 1, e l’art. 2500 ter, comma 1, c.c., considerano - rispettivamente - la fusione
della società di persone, e la trasformazione di società di
persone in società di capitali, come motivi di recesso
per i soci che non hanno concorso alle decisioni. In sostanza, nel nuovo sistema normativo la fusione e la trasformazione sono ormai considerate, quanto meno nei
casi in cui riguardino società a responsabilità limitata e
di persone, fenomeni del tutto omologhi sul piano delle
conseguenze che essi sono suscettibili di produrre nei
confronti dei soci, e quindi equiparabili anche per
quanto attiene al rimedio (il recesso) che a questi ultimi
sono offerti. Ne consegue pertanto che la riforma del
2003 sembra aver sovvertito la scelta operata dal legislatore del 1942, che - come si è visto in precedenza - mostrava al contrario di considerare la fusione come fenomeno tout court meno grave, sul piano effettuale, rispetto alla trasformazione, dal momento che nella prima
ipotesi escludeva tout court, sia per le società azionarie
che per quelle a responsabilità limitata, il diritto di recesso, mentre lo ammetteva in caso di trasformazione.
Con l’ulteriore corollario che, in base alla nuova disciplina, non sembra quindi più corretto desumere dall’analisi della disciplina del recesso, come facevano i fautori delle teorie modificazioniste, che la fusione, in quanto
legislativamente considerata meno grave di una vicenda
modificativa quale la trasformazione, non potrebbe allora essere intesa - per intuitive ragioni di coerenza logica
- come vicenda estintivo-successoria.
Note:
(71) Per tale rilievo v. G. Portale, La riforma delle società di capitali tra diritto comunitario e diritto internazionale privato, in Europa e dir. priv., 2004,
117. Svaluta la portata della modificazione lessicale della disposizione in
esame anche M. Perrino, Commento agli artt. 2504-2504 ter c.c., in Società di capitali, Commentario a cura di G. Niccolini e A. Stagno d’Alcontres, Napoli, 2004, 1977.
(72) Ed invero: a) il nuovo art. 2437 c.c., che disciplina il diritto di recesso nelle società per azioni, considera espressamente la deliberazione di trasformazione, e non anche quella di fusione, tra quelle che legittimano il
socio a recedere dalla società; b) l’art. 131 del D.Lgs. n. 58/1998, che attribuiva il diritto di recesso «agli azionisti [di società quotate] dissenzienti
dalle deliberazioni di fusione (...) che comportino l’assegnazione di azioni
non quotate», è stato abrogato dal primo decreto correttivo della riforma
societaria (D.Lgs. 6 febbraio 2004, n. 37). Cionondimeno, secondo la prevalente dottrina, il diritto di recesso spetta comunque al socio quando,
«attraverso» la delibera di fusione, vengono realizzate le fattispecie previste all’art. 2437, comma 1, c.c. In argomento v., fra gli altri, G. Savioli,
Le operazioni di gestione straordinaria, Milano, 2005, 282; A. Paciello, Commento all’art. 2437, in Società di capitali, Commentario a cura di Niccolini
e Stagno d’Alcontres, 1111; M. Notari, Diritto delle società di capitali. Manuale breve, Milano, 2003, 62.
(73) L’art. 2473 c.c. non contempla espressamente la trasformazione della
società a responsabilità limitata quale causa di recesso, riconoscendo il relativo diritto solo ai «soci che non hanno consentito al cambiamento dell’oggetto o del tipo di società», ma si ritiene che il legislatore sia incorso
in un difetto di coordinamento, perché il recesso costituisce il naturale
contrappeso alla libera trasformabilità maggioranza, e spetta dunque in occasione di qualsiasi delibera di trasformazione di società a responsabilità limitata, indipendentemente dal fatto che riguardi il cambiamento del tipo
oppure il mutamento della struttura organizzativa e della causa del rapporto come avviene in caso di trasformazione eterogenea: cosı̀ M. Stella
Richter, Diritto di recesso e autonomia statutaria, in Riv. dir. comm., 2004, I,
406, nota 49.
LE SOCIETA’ N. 4/2006
469
DIRITTO COMMERCIALE E SOCIETARIO . GIURISPRUDENZA
Va inoltre rilevato, nella medesima prospettiva, che
la valorizzazione delle tesi riduzionistiche del concetto
di persona giuridica, impiegata in dottrina - come si è
visto - per negare alla fusione qualsiasi valenza estintiva,
presta il fianco alle medesime critiche formulate, in linea generale, da coloro che hanno denunciato gli eccessi in cui sono incorse le correnti di pensiero che hanno portato avanti il processo di deantropomorfizzazione
degli enti collettivi. Non essendo certo questa la sede
per affrontare un tema di tale complessità (74), si può
solo ricordare - in sintesi, e pur nell’inevitabile approssimazione che ciò comporta - che la tendenza a svuotare
di significato il concetto di persona giuridica si risolve come ha correttamente ricordato un autorevole studioso
- nel disconoscere quello che è il fenomeno sociale degli enti giuridici, cioè il dato di esperienza che tali enti,
come «organizzazioni unitarie dotate di propria capacità,
diventano centri operativi e destinatari di posizioni giuridiche che non sono ascrivibili a singole persone fisiche», ed agiscono come unità aventi ciascuna una propria identità ed un proprio ruolo (75). Sicché, anche a
voler ripudiare l’alterità fra società e le persone fisiche
dei soci, e ritenere che la prima si riduca ad una formula linguistica per enunciare in modo ellittico diritti e
doveri pur sempre riferibili ad una collettività organizzata di individui, occorre pur sempre riconoscere che ciò
«non impone di negare che, ad esempio, la collettività
organizzata Alfa sia altra dalla collettività organizzata
Beta», essendo qui «in gioco (...) il principio logico di
identità, non quello normativo della soggettività giuridica» (76). Trasponendo il discorso al tema che qui interessa, sembra quindi non arbitraria la conclusione che
la fusione determini pur sempre una vicenda estintiva
delle società incorporate o fuse, dal momento che queste vengono a perdere la propria autonoma ed originaria
identità nell’ambito dell’organismo unificato - la combined entity - nel quale esse si compenetrano.
Ma, a prescindere dalle considerazioni svolte, vi sono
ulteriori elementi che inducono a ritenere non condivisibile l’idea della fusione quale pura e semplice modifica
statutaria. Già in passato si era infatti correttamente osservato che una simile ricostruzione dell’istituto, a ben
vedere, non si pone in termini di assoluta inconciliabilità con il riconoscimento dell’estinzione delle società
coinvolte nell’operazione, perché la fusione si caratterizza in realtà come fenomeno peculiare, nel quale sono
contemporaneamente presenti gli elementi propri della
vicenda modificativa e di quella estintiva, e la cui essenza risiede proprio nella «conciliazione normativa fra
continuità ed estinzione» (77). In altri termini, si può
continuare a discorrere correttamente della fusione come reciproco mutamento degli atti costitutivi delle società interessate, purché tale opzione qualificatoria sia
consapevolmente riferita solo alla società come rapporto, e non anche alla società come soggetto di diritto, e
si eviti quindi di sovrapporre due prospettive visuali che
devono invece - come del resto già in passato si era
470
LE SOCIETA’ N. 4/2006
n
autorevolmente intuito - essere tenute distinte (78). Se
si guarda alla società come ente, risponde infatti ad
un’esigenza logica, prima ancora che giuridica, riconoscere necessariamente che, una volta esauritosi il procedimento di fusione, in luogo della preesistente pluralità
di società si riscontra, nella realtà effettuale, un unico
soggetto (vale a dire la società incorporante o risultante
dalla fusione), nel quale le società fuse o incorporate si
sono unificate, perdendo cosı̀ la loro originaria individualità e cessando di essere autonomi centri d’imputazione dei rispettivi rapporti aziendali. Il che significa come si è efficacemente notato - che «sul piano formale
dei soggetti di diritto la fusione comporta l’inutilità dei
plurimi centri d’imputazione e, quindi la disattivazione
dei meccanismi funzionali di taluna (o di tutte) le società partecipanti alla fusione. Vicenda che, utilizzando la
tradizionale terminologia del giurista, non può che indicarsi come ‘‘estinzione’’ del soggetto di diritto» (79). Se
si guarda invece alla società come rapporto, pare ragionevole ritenere che la fusione operi invece come vicenda modificativa, perché i diritti e gli obblighi facenti capo alle società preesistenti non vengono a cessare, ma
sono «assunti», ai sensi della norma in commento, dalla
Note:
(74) Per un «bilancio critico» delle dottrine negatrici della persona giuridica v. per tutti M. Basile, A. Falzea, voce «Persona giuridica (dir. priv.)»,
in Enc. dir., XXXIII, Milano, 1983, 264 ss. Con specifico riferimento alla
fusione ed alla scissione v. le considerazioni di A. Magrı̀, Natura ed effetti
delle scissioni societarie: profili civilistici, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1999, 31
ss.
(75) In questi termini C. M. Bianca, Diritto civile, I, La norma giuridica. I
soggetti, Milano, 2002, 326.
(76) Cosı̀, in sede di analisi dell’art. 2506 c.c., A. Picciau, Forme di scissione, § 9, inedito, il quale evidenzia che «un’attenta lettura della teoria riduzionista in tema di persona giuridica non impone l’accoglimento della
tesi modificazionista e che l’abbandono della tradizionale tesi della società
quale soggetto di diritto distinto rispetto ai soggetti-persone fisiche suoi soci non esige la negazione di un effetto traslativo nella scissione».
(77) Sono parole di G. F. Campobasso, Diritto commerciale, 613. In senso
conf. v., altresı̀, A. Cerrai, Trasformazione, fusione, 583, nonché A. Di Giovine, Fusione, 129. Occorre evidenziare che tale impostazione sembra aver
raccolto, prima della riforma, un autorevole avallo giurisprudenziale nella
decisione resa da Cass. 11 novembre 2000, n. 15599, in Foro it., 2001, I,
1932, che - sia pure in obiter - ha affermato: «che la fusione (...) sia inquadrabile tra le vicende modificative dell’atto costitutivo delle società partecipanti è tesi sostenuta da autorevole dottrina. Essa deve ritenersi corretta
perché l’effetto modificativo si produce, ma non è l’unico effetto della fusione medesima. Con la sua attuazione la società incorporante o che risulta
dalla fusione assume i diritti e gli obblighi delle società interessate all’operazione e queste si estinguono (art. 2504 bis, comma 1, c.c., introdotto dall’art. 13 D.Lgs. 16 gennaio 1991, n. 22, applicabile alla fattispecie in forza
dell’art. 25, comma 2), onde gli effetti sono certamente più pregnanti di
quelli riconducibili ad una semplice modifica dell’atto costitutivo».
(78) Cfr. G. Ferri, La fusione, 49 ss., e, più recentemente, G. Oppo, Fusione, 509, per il quale, «se non può escludersi che le nostre vicende (fusione e scissione: N.d.R.) siano, o possono essere, estintive e/o costitutive
della società come ente (o quanto meno della loro ‘‘individualità’’, ma in
questi termini la differenza è nominale), deve tuttavia riconoscersi che esse sono solo modificative della società come rapporto». Aderisce a tale
impostazione, dopo la riforma, M. Perrino, Commento, 1977.
(79) Cosı̀ C. Santagata, Le fusioni, 46.
n
DIRITTO COMMERCIALE E SOCIETARIO . GIURISPRUDENZA
società incorporante o risultante dalla fusione: per i creditori ed i soci delle società fuse o incorporate la fusione
implica quindi continuazione del contratto sociale, sia
pure in una struttura organizzativa unitaria, perché i primi possono far valere le rispettive pretese nei confronti
dell’incorporante o della società risultante dalla fusione,
mentre i secondi divengono soci di quest’ultima, sulla
base del conferimento originariamente effettuato e nella
proporzione risultante dall’applicazione del rapporto di
cambio di volta in volta determinato (80).
L’economia del presente lavoro non consente di
scendere ad un’analisi completa delle conseguenze applicative derivanti dalle conclusioni qui raggiunte sulla
natura giuridica del fenomeno, ed impone di limitare il
discorso alla questione che, statisticamente, ha fatto più
frequentemente ingresso nelle aule giudiziarie, e cioè al
tema degli effetti processuali della fusione.
In proposito occorre subito dire che la prospettata
qualificazione della fusione come vicenda (non solo
modificativa, ma anche) estintiva, e la circostanza che
l’art. 2504 bis disponga ora espressamente che la società
incorporante o risultante dalla fusione prosegue «in tutti
i rapporti, anche processuali, anteriori alla fusione», legittimano la conclusione che la fusione dà luogo al «venir meno della parte per altra causa» di cui fa parola
l’art. 110 c.p.c., perché le società incorporate o fuse perdono la propria individualità e cessano di esistere quali
autonomi centri di imputazione delle relative situazioni
giuridiche: trova quindi applicazione la relativa previsione, in virtù della quale il processo deve essere proseguito dalla (o nei confronti della) combined entity.
Ciò posto, si tratta però di verificare quali sia il meccanismo processuale in virtù del quale tale successione
del processo si realizza. Come si è dianzi ricordato, le soluzioni sul punto oscillano, anche dopo la riforma, fra la
posizione - ribadita soprattutto dai giudici di merito - secondo la quale, ove la società incorporata o fusa sia parte in un processo pendente al momento in cui acquista
efficacia l’operazione, si determina l’interruzione del giudizio ai sensi dell’art. 300 c.p.c., dovendosi assimilare il
fenomeno estintivo della persona giuridica alla morte
della persona fisica; e l’opposto indirizzo, prevalente in
dottrina ed ora condiviso dalle Sezioni Unite della Cassazione, che, muovendo dalla ricostruzione della fusione
quale mera vicenda evolutivo-modificativa, sostiene invece che la combined entity prosegua «senza pause» nel
processo, in luogo della società fuse o incorporate, senza
necessità di fare ricorso alle attività di impulso previste
dall’art. 300 c.p.c. per evitare l’interruzione del giudizio (81). Sembra tuttavia preferibile ritenere che un approccio corretto per impostare e risolvere la questione
presupponga in via preliminare l’individuazione della ratio sottesa all’istituto dell’interruzione del processo e dell’area di applicazione della relativa disciplina, acquisendo le conclusioni cui è recentemente giunta la letteratura specialistica sul tema. Il dato di partenza, ormai generalmente condiviso, è che la disciplina dell’interruzione
del processo risponde alla finalità di evitare, attraverso
la stasi del giudizio, che gli eventi interruttivi compromettano l’effettività del contraddittorio ed ostacolino la
possibilità per le parti di agire nel processo e di svolgervi
attività difensiva (82), consentendo alle medesime di
assumere gli atti di impulso necessari per evitare l’estinzione del procedimento. Ciò premesso, sembra doversi
convenire con l’opinione di chi, proprio in virtù della
funzione che l’interruzione è chiamata ad assolvere, ha
dimostrato come il relativo meccanismo possa trovare
applicazione in relazione all’estinzione delle sole persone
fisiche, e non anche con riferimento all’estinzione delle
persone giuridiche (83), perché «l’esigenza di ricorrere
al meccanismo interruttivo sorge soltanto in presenza di
fattori che non sono riconducibili a comportamenti
umani volontari, bensı̀ a cause del tutto estranee alla libera determinazione dei soggetti colpiti» (84). Risulta
infatti di intuitiva evidenza che la morte - ma il discorso
vale anche altri eventi altri interruttivi previsti dalla
legge (perdita della capacità processuale, eventi menomativi della capacità di stare in giudizio del rappresentante legale, cessazione dell’ufficio rappresentativo, etc.)
Note:
(80) V., in questo senso, fra i commentatori della disciplina introdotta
dalla riforma, oltre a M. Perrino, Commento, 1977; A. Ferrucci, C. Ferrentino, Le società di capitali, le società cooperative e le mutue assicuratrici, II,
Milano, 2005, 1814-1815; nonché, a quanto sembra, F. Guerrera, Trasformazione, fusione e scissione, in AA.VV., Diritto delle società. Manuale breve,
Milano, 2004, 419. Peculiare appare per contro la posizione di E. Civerra,
Le operazioni di fusione e scissione, Milano, 2003, 8, il quale parla di una
«contemporaneità di effetto costitutivo ed estintivo» della fusione, precisando tuttavia che «giuridicamente, questa contemporaneità si traduce in
un unico e complesso effetto modificativo».
(81) L’art. 305, commi 1 e 2, c.p.c. dispone che «se alcuno degli eventi
previsti nell’articolo precedente si avvera nei riguardi della parte che si è
costituita a mezzo di procuratore, questi lo dichiara in udienza o lo notifica alle altre parti. Dal momento di tale dichiarazione o notificazione il
processo è interrotto, salvo che avvenga la costituzione volontaria o la
riassunzione a norma dell’articolo precedente (...)». La giurisprudenza interpreta la norma nel senso che la morte della parte costituita, dichiarata
in udienza dal suo procuratore, comporti l’automatica interruzione del
processo, indipendentemente dalla successiva pronuncia del giudice che
ha valore puramente dichiarativo (Cass. 22 giugno, 1999, n. 6298; Cass.
20 maggio 1998, n. 5029; Cass. 28 febbraio 1996, n. 1581; Cass. 25 luglio
1996, n. 6721). Qualora invece l’evento interruttivo colpisca la parte
«prima della costituzione in cancelleria o all’udienza davanti al giudice
istruttore», il processo è parimenti interrotto, ed anche in tal caso automaticamente, senza necessità di pronuncia del giudice, «salvo che coloro
ai quali spetta di proseguirlo si costituiscano volontariamente, oppure l’altra parte provveda a citarli in riassunzione, osservati i termini di cui all’art.
163 bis» (art. 299 c.p.c.).
(82) Cosı̀, fra gli altri, C. Mandrioli, Diritto processuale, 341; C. Consolo,
F. P. Luiso, Codice di procedura civile commentato, I, Milano, 2000, 1492;
A. Saletti, Interruzione del processo, in Enc. giur., XVII, Roma, 1989, 1.
(83) Il riferimento è alla tesi sviluppata, già prima della riforma societaria,
da D. Dalfino, La successione tra enti nel processo, Torino, 2002, 103 e 219
ss., e ribadita poi in Fusione societaria e successione nel processo senza pause,
in Corr. giur., 2003, 1090 ss. In termini adesivi v. ora B. Ianniello, Fusione
per incorporazione: gli effetti estintivi dell’operazione impongono l’interruzione
del processo, in questa Rivista, 2006, 49. Nella medesima direzione, in giurisprudenza, Trib. Livorno 5 dicembre 2000, cit., sub nota 52.
(84) D. Dalfino, La successione, 219.
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- per definizione non è riconducibile alla sfera decisionale del soggetto che ne è colpito, ed espone il successore universale al rischio di dover subentrare in contenziosi di cui potrebbe non essere a conoscenza, «senza
poter scegliere se e come agire e contraddire» (85): sicché appare del tutto giustificato che, in questi casi, trovi
applicazione l’interruzione del processo, per far sı̀ che
l’adesione dell’erede alla continuazione del giudizio derivi dalla proposizione di un suo atto di impulso o che l’esercizio del diritto di difesa sia consentito attraverso la
riassunzione nei suoi confronti. Completamente diversa
si presenta invece la situazione in caso di fusione, che al contrario - è evento tutt’altro che ineluttabile e non
voluto, bensı̀ volontariamente previsto e preordinato
dalle parti, che si snoda seguendo un iter procedimentalizzato i cui passaggi sono normativamente previsti e disciplinati, e che impone in particolare l’osservanza di
una serie di adempimenti pubblicitari volti ad assicurare
la necessaria informazione in merito alla consistenza
qualitativa e quantitativa dei rapporti facenti capo alle
società coinvolte nell’operazione, ed in particolare in
merito all’esistenza di eventuali contenziosi. In tale situazione, è evidente pertanto che l’ente incorporato o
fuso «non può (...) aspettarsi che il processo si interrompa», non risultando pregiudicato il diritto di difesa dei
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soggetti partecipanti all’operazione: «non quello della
parte ‘‘colpità dall’evento’’, in quanto essa stessa vi dà
luogo deliberatamente; non quello dell’avversario, dal
momento che, indipendentemente dalla prospettazione
dell’evento in giudizio, può contare sull’estensione al
successore universale dell’efficacia e dell’autorità della
sentenza; non quello del successore universale, il quale,
non soltanto può intervenire nel processo, ma, anche se
ciò accade, ha comunque il potere di impugnare la sentenza emessa tra le parti originarie» (86). Mancando le
condizioni per l’applicazione dell’istituto dell’interruzione del processo, deve quindi concludersi che, in caso di
fusione, lo stesso è automaticamente proseguito, senza
soluzione di continuità, dalla società incorporante o risultante dalla fusione.
Note:
(85) Cosı̀, ancora, D. Dalfino, La successione, cit., 226. Analogamente il
già menzionato Trib. Livorno 5 dicembre 2000, per il quale, «nel caso
dell’erede, ove non esistesse il provvido istituto dell’interruzione e della
conseguente riassunzione, ben potrebbe il chiamato trovarsi ad essere condannato senza neppure aver avuto notizia del processo, con grave violazione del suo diritto alla difesa».
(86) D. Dalfino, La successione, cit., 229.
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