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Prasomaso: - Le Montagne Divertenti
ABBONAMENTO POSTALE 70% DCB-SONDRIO IN POSTE ITALIANE SPA - SPEDIZIONE m Trimestrale di Valtellina e ValchiaT RIMESTRALE DI A LPINISMO E C ULTURA A LPINA N°8 - PRIMAVERA 2009 - EURO 3 Mar Marco Ma ar ar Confortola Co Con n Interv Intervista all'alpinista di Valfurva Val Valchiavenna V alc alc Le tre Le trre torri: Suretta, Segname e Culumbée Seg S egna eg na Oltre O ltr sci e cia ciaspole Sci Sc S ccii di d fondo esc ees s ur u escursionistico, pro pr rropo p proposte nel Sobretta Passo P dopo passo Da Sondrio a Tirano con Antonio Boscacci Alta Valle La bella e facile salita al Monte Forcellino Valmalenco Scialpinismo al Sasso Moro (m 3108) Orobie Splendide escursioni in Val Tartano Fotografia I segreti dei controsole e dei controluna. Conflitti La “guerra” del latte crudo Poesie e Personaggi "QUESTA NOTTE HO FATTO UN SOGNO: QUALCUNO AVEVA LIBERATO UN PEZZO DI VALLE, LASCIANDO SOLO LEI, LA TERRA, LE SUE PIANTE E LE TANE CON GLI ANIMALI. E CHI VOLEVA POTEVA SDRAIARSI LI' E GUARDARE IL CIELO. CHIUDERE GLI OCCHI E SENTIRSI UN GIARDINIERE DI DIO." 114 LE MONTAGNE DIVERTENTI Giuseppe Cederna Il mutare del tempo e dell'uomo Inoltre Prasomaso: gli spettri dei sanatori Ricette, poesie, giochi, leggende... Primavera 2009 VALCHIAVENNA BASSA SSA VALLE VERSANTI RETICO E OROBICO VALMALENCO ALTA VALLE VALMASINO V 1 LE MONTAGNE DIVERTENTI Editoriale Beno Ma ch'el sücèss? Le Montagne Divertenti sboccia a primavera con una nuova veste grafica, più fluida e ordinata, e con contenuti sempre più accurati. Un grosso sforzo per migliorarci, reso possibile da nuovi e validi collaboratori con cui abbiamo scritto una lunga lettera d'amore alle nostre montagne. Il terrore e la consapevolezza che questa primavera in molti luoghi della nostra valle neon luminosi e gru saranno le uniche specie colorate a fiorire, conferma la necessità di sensibilizzare le persone sulle grottesche condizioni del fondovalle valtellinese. Non è un messaggio ridondante, bensì uno stimolo a trovare in tempi brevi una soluzione al problema della cementificazione . Mi è spiaciuto constatare in questi mesi quanti siano i surfisti che, dopo le inchieste della stampa locale sul deleterio proliferare dei capannoni, si sono fatti belli scrivendo sui giornali il loro pieno appoggio all'evidente insofferenza cementizia della maggioranza della popolazione valtellinese. Queste dichiarazioni non si sono mai trasformate in fatti e il sacco edilizio prosegue dappertutto imperterrito. Con questo non voglio colpevolizzare nessuno, ma sollecitare tutti a una presa di posizione vera. Se non si uniscono le forze, senza nascondersi dietro a fallimentari interessi/ consuetudini, o addirittura dietro a ragioni di appartenenza politica – il cui valore fu già messo in dubbio nella tarda Età del Rame-, la Valtellina non fiorirà più. 2 LE MONTAGNE DIVERTENTI Primavera 2009 LE MONTAGNE DIVERTENTI Anemone di primavera [Pulsatilla vernalis] all'alpe Mara (23 maggio 2008, foto Beno). In copertina: il lago di Montespluga (10 maggio 2007, foto Roberto Moiola). Ultima di copertina: Pettirosso su pianta di Viburnum (foto Franco Benetti). 1 Legenda Spiegazione delle schede tecniche Una breve e divertente spiegazione dei gradi di difficoltà (in “scala Beno”) che vengono assegnati agli itinerari nelle schede sintetiche, così che possiate scegliere quelli a voi più congeniali. I gradi si riferiscono al periodo in cui è stato compiuto l’itinerario, sono quindi influenzati dalle condizioni del tracciato. Non sono contemplate le difficoltà estreme, che esulano dalle finalità di questa rivista e dalle nostre stesse capacità. In DETTAGLI, invece, viene espressa la difficoltà in caso di condizioni ideali del tracciato secondo la scala alpinistica convenzionale. Le schede sintetiche sono anche corredate da indicatori grafici che vi permetteranno, a colpo d’occhio, di valutare l’itinerario. BELLEZZA PERICOLOSITÀ Quasi meglio il centro commerciale Assolutamente sicuro Carino Basta stare un po’ attenti Ne vale veramente la pena Richiesta discreta tecnica alpinistica Assolutamente fantastico Pericoloso (è necessaria una guida) FATICA ORE DI PERCORRENZA DISLIVELLO IN SALITA Una passeggiata! meno di 5 ore meno di 800 metri Nulla di preoccupante dalle 5 alle 10 ore dagli 800 ai 1500 metri Impegnativo dalle 10 alle 15 ore dai 1500 ai 2500 metri Un massacro oltre le 15 ore oltre i 2500 metri Ottimo anche per anziani non autosufficienti o addirittura sprovveduti turisti di città. Ideale per la camporella, anche per le coppiette meno esperte. Si comincia a dover stare attenti alle storte, alle cavallette carnivore e nello zaino è meglio mettere qualche provvista e qualche vestito. Le scarpe da ginnastica cominciano ad essere sconsigliate (sono d’obbligo abito da sera e mocassini). E’ meglio stare attenti a dove si mettono i piedi. Vertigini vietate! SU RADIO TSN FM 101.100/97.700 ogni martedì con Beno e Giordi ore 7:45 - 8:45 - 11:15 - 12:45 - 18:45 WWW.RADIOTSN.IT Montagna divertente, itinerario molto lungo e ricco di insidie di varia specie. Sconsigliato a tutti gli appassionati di montagna non esperti e non dopati. Itinerario abbastanza lungo, ma senza particolari difficoltà alpinistiche. E’ richiesta una buona conoscenza dell’ambiente alpino, discreta capacità di arrampicare e muoversi su ghiacciaio o terreni friabili come la pasta sfoglia. E’ consigliabile una guida. E’ una valida alternativa al suicidio. Solo per persone con un’ottima preparazione fisicoatletica e buona esperienza alpinistica. Servono sprezzo del pericolo e, soprattutto, barbe lunghe e incolte. Le Montagne Divertenti Trimestrale sull’ambiente alpino di Valtellina e Valchiavenna Registrazione Tribunale di Sondrio n° 369 Editore Beno Direttore Responsabile Maurizio Torri Redazione Enrico Benedetti (Beno) Roberto Moiola Valentina Messa Responsabile della fotografia Roberto Moiola Realizzazione grafica Beno Revisore di bozze Mario Pagni Hanno collaborato Alessandra Morgillo, Alessio Gusmeroli, Antonio Boscacci, Arturo Baracchi, Ambrogio Riva, Carlo Pelliciari, Claudio Rossattini (www.prasomaso.it), Damiano e Samuele Miotti, Enrico Minotti, Fabio Meraldi, Fabio Pusterla, Fabrizio Ceriani, Francesco Avanti, Eliana e Nemo Canetta, Franco Benetti, Franco Cirillo, Gianni De Stefani, Giordano Gusmeroli, Gioia Zenoni, Jacopo Merizzi, Josef Ruffoni, Luca Bono, Luciano Benedetti, Luciano Bruseghini, Maicol Formolli, Manuela Vanotti, Marcello Di Clemente, Michele Corti, Marco Confortola, Marino Amonini, Maristella Sceresini, Matteo Gianatti, Matteo Monti, Nicola Giana, Piergiorgio Spini, Pietro Crapella, Renzo Benedetti, Riccardo Stefanelli, Ricky Scotti, Sergio Scuffi, Giorgio Orsucci. Si ringraziano inoltre Franco e Marina Monteforte, Giuseppe Cederna, Anna Giannoni, Franco Pinchetti, Eliwork, Ezio Gianatti, Irma Gusmeroli, Mario Mafezzini, Matteo Tarabini, Riccardo Ghislanzoni, Fabrizia Vido, Luigino Negri, Mirko Rosina, Johnny Mitraglia, Roby Lisignoli, Serena Piganzoli, Eva Fattarelli, la Tipografia Bonazzi, Plum comunicazione visiva e design per la consulenza grafica, tutti gli edicolanti che ci aiutano nel promuovere la rivista e tutti gli sponsor che credono in noi e in questo progetto. Un saluto speciale a Bianco e Giovanni. Redazione Via S.Francesco, 33 – 23020 Montagna (SO) Abbonamenti per l’Italia annuale (4 numeri della rivista): costo €20 euro da versarsi sul c/c 3057/50 Banca Popolare di Sondrio Sede di Sondrio IT17 I056 9611 0000 0000 3057 X50 intestato a: Beno di Benedetti Enrico Via S.Francesco 33/C 23020 Montagna SO NELLA CAUSALE specificare: nome, cognome, indirizzo, “abbonamento a Le Montagne Divertenti” comunicare il versamento con email a: [email protected] oppure telefonicamente (0342 380151 - basta lasciare i dati in segreteria) Arretrati [email protected] - E 5,00 PDF scaricabili dal sito della rivista Prossimo numero 21 giugno 2009 Pubblicità e distribuzione [email protected] tel. 0342 380151 Stampa Bonazzi Grafica Via Francia, 1 23100 Sondrio Loghi sezioni Bongio Design / Franz / Plizar Disegni Carlo Pelliciari / Dicle Cartografia Beno, Matteo Gianatti e Matteo Monti Per ricevere la nostra newsletter fate richiesta a: [email protected] Sommario Speciali di Primavera 6 17 20 27 31 33 4 - LE LE M MONTAGNE ONTAGNE DIVERTENTI DIVERTENTI Itinerari d’escursionismo 53 Valchiavenna: l'otto della Torre di Segname 58 Cà Pipéta Rubriche Gli spettri dei sanatori di Prasomaso Confortola: si riparte 83 Montagne di ciliegie 35 40 Valchiavenna: con le pelli al Pizzo Suretta (m 3027) I ghiacciai del Suretta 87 59 Alta valle: sci di fondo escursionistico nel gruppo del Sobretta 64 Passo dopo passo: la nuova rubrica di Antonio Boscacci A piedi da Sondrio a Tirano 65 Artigiani: il serpentino artistico di Floriana Palmieri 91 Flora della Valtellina: le latifoglie (parte II) 95 42 Fauna della Valtellina: giochi di colore e mimetismo Alta valle: scialpinismo al Monte Forcellino 62 La guerra del latte crudo La Torre del Culumbèe Valtellinesi nel mondo: Alessio Gusmeroli alle isole Svalbard "Aštrunumìa" Contatti e informazioni [email protected] www.lemontagnedivertenti.com Itinerari d’alpinismo Orobie: rinasce uno splendido percorso in Val Tartano 98 Poesie e Personaggi: il mutare del tempo e dell'uomo 100 L'arte della fotografia: i segreti dei controsole e dei controluna 46 52 Valmalenco: ascensione al Sasso Moro (m 3108) Glacialismo del Sasso Moro 76 Passeggiate vicino a Sondrio tra le rocce montonate e i vigneti della Sassella 105 Le foto dei lettori 111 Giochi 1 12 Le ricette della nonna Speciali di primavera Gli spettri dei sanatori di Prasomaso Beno Il falso specchio al primo piano del Preventorio F. e G. Gatti. Nella pagina a fianco, il corridoio al II piano dell'Umberto I (3 febbraio 2009, foto Beno). Tutte le foto d'epoca contenute in questo articolo sono tratte dall'archivio di www.prasomaso.it. Vorrei raccontarvi la vera storia dei sanatori di Prasomaso, quella che nemmeno io mi aspettavo, oramai convinto di trovare nello specchio l’immagine che vedo tutte le mattine quando mi alzo, oramai abituato a vestire di orrore ciò che non conosco. C'è un lungo corridoio buio con le porte tutte aperte o cadute, i calcinacci del soffitto pendolano pericolosamente. Ci sono scritte demenziali sui muri che violentano vecchi affreschi di innocenza infantile. Dalle finestre entrano nebbia e vento: i vetri sono a terra frantumati e scricchiolano sotto le mie scarpe. Ogni tanto qualche camera ha la luce murata e le goccioline d’acqua che rintoccano sul pavimento rimbalzano umidità come se qualcuno mi stesse fiatando sul collo. Ci sono delle sedie sgangherate illuminate da fasci luminosi. Sembra che 6 LE MONTAGNE DIVERTENTI Primavera 2009 LE MONTAGNE DIVERTENTI chi c’era seduto sopra sia svanito nel nulla. Per terra si nascondono pezzi di porfido che ancora si vergognano per aver spaccato le finestre. Qualche termosifone porta i segni della colluttazione per aver resistito all’essere portato via. Sono solo, entro in una stanza dai muri bianchi. La luce è ovattata e c’è uno specchio sul lato lungo della stanza. Ha pure i portalampade. Uno specchio? Come mai s’è salvato? Hanno rubato persino gli scalini! E’ pulitissimo, ci vedo riflessa dentro la finestra in fondo alla stanza e le piante che ci sono all’esterno. Mi avvicino e si disegna il muro alle mie spalle, poi mi ci porto di fronte. La mia immagine non c'è! Mi si gela il sangue. Prima mi tocco il viso con una mano, poi trattengo il respiro e allungo l’altra, lentamente verso lo specchio. La mano passa al di là. Non c’è nessuno specchio, sono solo due stanze simmetriche del primo piano del padiglione Francesco e Giulia Gatti, il preventorio per bambini del Sanatorio Umberto I. Un’illusione ottica, la paura di non vedere ciò che mi aspettavo di vedere, il credere all’abitudine che le cose vadano in un certo modo, come sempre, come ti dicono. Talvolta, tuttavia, conviene guardare in profondità e sfatare i luoghi comuni che offuscano la realtà. Vorrei raccontarvi la vera storia dei sanatori di Prasomaso, quella che nemmeno io mi aspettavo, oramai convinto di trovare nello specchio l’immagine che vedo tutte le mattine quando mi alzo, oramai abituato a vestire di orrore ciò che non conosco. Lo ammetto, anch’io avevo dipinto di nero quella gigantesca e tetra rovina a 1200 metri sopra l’abitato di Tresivio. Dicono che questo sia un posto di morte, di tragedie, di sofferenza. Ma anche questa è un’illusione, una finzione horror ingiusta per un luogo che invece ha ridato la vita a molti che, colpiti dalla tubercolosi, pensavano di averla persa per sempre. Convinto di calpestare la carcassa di una creatura malvagia, ho invece scoperto lo spettro di un gigante buono. Sì, malattia, sofferenza, ma anche pace e guarigione. La dimora di una comunità giovane che si rigenerava e combatteva contro la TBC grazie all’aria buona. Eh già, come l’aria inquinata è un veleno, quella buona è miracolosa. Non lo immaginavate? I SANATORI DI P RASOMASO 7 Speciali di primavera "Ricordo il cortile del preventorio, lo schiamazzo di tutti, io fuori dalla confusione che appoggiato alla staccionata sognavo di scavalcare la rete di recinzione e volare via come un uccello. 2008: la mia professione mi ha portato all'aereoporto di Caiolo, faccio l'istruttore di paracadutismo specializzato in tandem. Carico uno dei passeggeri e, facendo quota con l'aereo, riconosco Prasomaso dall'alto! Commuovendomi ho ringraziato il Signore di avermi fatto realizzare quel sogno di volare." Agostino www.prasomaso.it Ripresa aerea del preventorio per bambini Giulia e Francesco Gatti e, a fianco, de L'Alpina (21 febbraio 2007, Foto J. Merizzi). Una malattia mortale, incurabile per molti anni negli ospedali, che qui veniva sconfitta grazie alla simbiosi con la Natura. Due complessi, L’Alpina e l’Umberto I, con cinque padiglioni che potevano contenere fino a novecento pazienti. Guardate le foto: i bambini che sorridono, i malati che sembrano in villeggiatura. Malati giovani che qui si conoscevano e talvolta s’innamoravano. Un pezzo di vita che in molti hanno condiviso. Gli stessi giovani di Tresivio la sera salivano quassù perché c’era molta più vita che in paese. Come spiegarvi? Il sanatorio rispecchiava l’ideale del “luogo romantico”, dove benessere fisico e psichico vanno di pari passo. Thomas Mann nel romanzo La Montagna Incantata descrive molto bene la vita sanatoriale ed è emblematico come lo stesso Castorp, protagonista del romanzo, una volta dichiarato guarito, si rifiuti di lasciare la clinica. Ripresa aerea del sanatorio Umberto I a Prasomaso (21 febbraio 2007, foto J. Merizzi). 8 LE MONTAGNE DIVERTENTI Primavera 2009 LE MONTAGNE DIVERTENTI “Morivano tante persone a Prasomaso?” “Che io mi ricordi, la morte era un caso eccezionale. Una volta un pakistano era morto, ma era già arrivato a Prasomaso in fin di vita” mi ha raccontato Claudio Rossattini, uno che lassù ci è nato, visto che i genitori gestivano l’albergo1 vicino all’Umberto I. Claudio è anche l’ideatore del sito www.prasomaso.it, dove si leggono le testimonianze dei vecchi pazienti dei sanatori, e gli stessi ritrovano i contatti con i compagni ricoverati e poi più rivisti. “Chi era la clientela del vostro albergo?” “C’era molto movimento quegli anni, sia di parenti che venivano a trovare i 1 - L’albergo è stato aperto costantemente fino alla stagione 69/70, poi saltuariamente fino alla chiusura definitiva dell’86/87. 1960: Fiorenza con una compagna e la madre nel piazzale del preventorio F. e G. Gatti. I SANATORI DI P RASOMASO 9 Speciali di primavera Speciale Prasomaso degenti, sia di ex malati che tornavano in albergo a Prasomaso per trascorre un periodo a respirare nuovamente l’aria fine”. “Quando è cominciata la devastazione barbarica di questi posti?” 1960: nel retro del preventorio F. e G. Gatti. 1969: Roberto con due amiche nelle verande per riposo giornaliero dell'Umberto I. "Prasomaso era un prezioso gioiello, le aiuole ben curate da un esperto giardiniere stavano ai lati del grande viale che portava verso la portineria; il profumo che emanava dai pini si diffondeva nell'aria unendosi a quello più delicato dei roseti in fiore." un'infermiera di Prasomaso “I sanatori erano tutti chiusi già nel 1971 per l’estinguersi dell’epidemia, ma poi, fino all’inizio degli anni ‘80, furono presidiati da custodi che si occupavano anche della manutenzione ordinaria. L’Umberto I era legato al Morelli di Sondalo, L’Alpina era già privata. All’interno era tutto pulito ed intonso, come se la gente fosse appena uscita. Quando se ne sono andati i custodi, beh, è sotto gli occhi di tutti. E non erano solo i delinquenti che venivano quassù a fare barbarie e razzie, ma anche la “brava gente”, presa da un impulso irrefrenabile di portarsi via qualcosa per sé o di distruggere per dare sfogo alle proprie ire represse. Uno strano comportamento, ma tipico dell’uomo.” “Spregevole”, aggiungo io. “E’ sputare nel piatto in cui si è mangia- La tisi, “il male che più di tutti uccide”1, è una malattia nota fin dalla notte dei tempi. E’ un’infezione causata da un microorganismo metà fungo e metà batterio2 che può colpire vari organi del corpo, anche se la sua espressione più nota è quella polmonare. Il termine tubercolosi deriva dalla formazione nell’organismo, a seguito dell’infezione, di caratteristiche strutture cellulari, dette tubercoli, in cui i batteri vengono intrappolati e isolati. 1950: il laboratorio odontotecnico de L'Alpina. 1 - Affermazione di Ippocrate (460-377 a.C.), medico greco di Cos. 2 - Mycobacterium tuberculosis 3 - Solamente i pazienti con tubercolosi attiva sono contagiosi, cioè quelli in cui la malattia si sia manifestata pienamente. 1950: Marisa con gli altri bambini nel piazzale del preventorio F. e G. Gatti. LE LE M MONTAGNE ONTAGNE DIVERTENTI DIVERTENTI to, picchiare la vecchia signora che ti dava le caramelle solo perchè ora non c’è più nessuno che la difende.” Capisco ora che gli spettri dei morti di TBC sono irreali, capisco che qui non veniva portata la gente a morire, capisco che queste stanze pericolanti non mi devono più spaventare. Sento il profumo delle rose, la lieve musica di sottofondo diffusa dagli altoparlanti, la quiete che si fonde con le risate dei bambini che giocano nel cortile: i mostri si nascondono dietro alla normalità di tutti i giorni e in questo pomeriggio di neve sono ben lontani da Prasomaso. Tubercolosi e sanatori Contagiosa3 e mortale, verso la seconda metà dell’’800, di pari passo con lo sviluppo industriale, assunse carattere epidemico. Gli ambienti chiusi, poco luminosi e male areati – quali quelli delle fabbriche - erano il luogo ideale perché 10 - 1967: Mirco coi "compagni d'avventura" dell'Umberto I. Sulle reti. Foto Mirco. Primavera2009 2009 Primavera L EM ONTAGNE DIVERTENTI LE MONTAGNE DIVERTENTI il bacillo di Koch4 potesse proliferare e diffondersi5. A inizio ‘900 si contavano 50-60mila morti l’anno per tubercolosi. Tanto più un soggetto era debilitato e mal nutrito, tanto più la malattia era letale6. I fondamenti delle cure sanatoriali derivavano da una valutazione attenta di tutte queste premesse. La sanatorializzazione del malato mirava sia alla prevenzione (il malato veniva isolato dal resto della società), sia alla guarigione dello stesso: sottraendolo all’ambiente malsano in cui viveva e portandolo in luoghi dall’“aria buona”. L’ipernutrizione, la crioterapia, il lungo 4 -Robert Koch scoprì nel 1882 il fitobatterio responsabile della tubercolosi, che prende il nome di bacillo di Koch. 5 - I bacilli della TBC vengono trasmessi per via aerea, mediante le goccioline di saliva e di muco espulse dal malato con la tosse o con gli starnuti. 6 - Scrive nel 1899 il medico Ausonio Zubiani: “Vi sono due tisi, quella dei ricchi che qualche volta guarisce e quella dei poveri che non guarisce mai”. riposo7 e l’elioterapia accrescevano, infine, le difese immunitarie, fornendo così al paziente i mezzi necessari per lottare contro la terribile malattia. L’inutilità delle tradizionali cure ospedaliere8 e l’efficacia del ricovero sanatoriale fu da subito dimostrata. I pazienti, se ricoverati in sanatorio quando la malattia non aveva raggiunto uno stadio troppo avanzato, avevano ottime possibilità di guarire. 7 - “L’unità di misura minima del tempo era il mese”, scrive Thomas Mann ne “La Montagna Incantata”, in cui viene descritta con realismo la degenza sanatoriale del protagonista a Davos, che costituisce però solo la cornice di un romanzo per il resto densamente filosofico. 8 - Il primo antibiotico attivo contro la tubercolosi non tossico per l’uomo fu la strepctomicina, scoperta dal microbiologo ucraino Waksman nel 1943. In Italia le sperimentazioni cliniche su larga scala iniziarono nel 1948. I ISANATORI SANATORIDI DIPPRASOMASO RASOMASO - 11 Speciali di primavera Speciale Prasomaso L'UmbertoI e L'Alpina Tresivio e i suoi sanatori: un'incredibile pagina della lotta contro la tubercolosi in Italia. Con cinque padiglioni potevano essere ospitati in quota quasi novecento malati, in strutture all'avanguardia per efficienza e funzionalità. I n Italia si iniziarono a costruire sanatori solo a inizio ‘900, in ritardo rispetto al resto d’Europa. La presenza in quegli anni di luminari tisiologi di origini valtellinesi, fra cui in primis Ausonio Zubiani1 , quindi Eugenio Morelli2, contribuirono a fare della verde e pura Valtellina il luogo ideale per l’istallazione delle strutture di cura. Il primo vero sanatorio italiano fu quello di “Pineta di Sortenna” a Sondalo (1903), fondato da Ausonio Zubiani sul modello dei sanatori svizzeri di Davos. Contemporaneamente Francesco 1 - Ausonio Zubiani (1869-1921) tisiologo sondalino allievo di Golgi all'Università di Pavia, autore nel 1898 de "Il privilegio della salute" - in cui teorizza i sanatori popolari - e fondatore nel 1899 dell'Associazione valtellinese per la lotta alla tubercolosi, fra le prime a sorgere in Italia. Va sottolineato che l'Umberto I a Prasomaso fu aperto anche grazie all'interessamento di Zubiani. 2 - Eugenio Morelli (1881-1960) fu caposcuola della tisiologia italiana e organizzatore della rete sanatoriale nazionale. 12 LE MONTAGNE DIVERTENTI Gatti, che da anni sosteneva l’esigenza di sanatori per i tubercolitici poveri, convinse nobiltà e borghesia milanesi a donare i fondi necessari per la creazione del primo sanatorio popolare in Italia. Su consiglio del medico condotto di Tresivio, il Dott. Linneo Corti, e visto l’atteggiamento favorevole del Comune di Tresivio3, Gatti scelse come ubicazione Prasomaso, a oltre m 1200 e con ottime caratteristiche climatiche: riparato dal vento, asciutto e soleggiato. Iniziarono così, nel 1903, i lavori per la costruzione del sanatorio Umberto I, destinato ai malati poveri di Milano e provincia. Furono lavori faraonici per l’epoca. Il materiale venne trasportato a monte dall’asse ferroviario grazie ad una teleferica ad acqua; fu costruita una rota3 - Il Comune di Tresivio ebbe ottima lungimiranza; infatti sia i lavori di costruzione dei sanatori, che il loro successivo funzionamento, portarono un notevole e benevolo impulso all’economia locale. bile “molto panoramica”4 che collegava Tresivio a Prasomaso e che, negli anni, fu sede di molti incidenti. L’Umberto I fu aperto ai malati il 29 luglio 1909. In stile liberty, aveva un corpo centrale di 107 metri e si sviluppava su 4 piani. Era collegato ad altri edifici satellite destinati alla disinfezione, alla lavanderia, alla camera mortuaria, nonché all’abitazione del medico e del direttore. Potevano accedervi tutti i tubercolitici poveri5 con malattia non oltre il primo stadio6 e senza compli4 - La strada era molto stretta e a ridosso di imponenti precipizi. 5 - La diaria era piuttosto popolare e per i meno abbienti si aggirava sulle 4 lire al giorno. 6 - La malattia nel suo primo stadio, quello asintomatico e quiescente, può essere diagnosticato con il test della tubercolina (inventato da Koch nel 1890). La TBC evolve quindi a seguito di una reinfezione dovuta o a una nuova esposizione all’agente tubercolitico, o ad un indebolimento delle difese immunitarie. Si presentano solo allora i sintomi tipici: tosse, perdita di peso, affaticamento ed escreato tinto di sangue. Nelle forme più acute (tisi e tubercolosi miliare) la TBC si rivela mortale in poche settimane oltre il primo stadio. Primavera 2009 cazioni. Aveva una capienza di circa 100 posti. Fabrizio Maffi, su invito dell'amico Zubiani, ne assunse la direzione sanitaria. I risultati furon da subito eccezionali e, numeri alla mano, il Dott. Gatti non poteva che esser orgoglioso nel vedere la gioia dei ricoverati che scendevano da Prasomaso dopo aver ritrovato quella salute che avevano creduto persa per sempre. Il sanatorio non era un luogo dove si moriva, ma dove si guariva grazie alla pace, al riposo, al cibo e all’aria buona. Ai degenti erano offerte diverse attività ricreative, sia culturali che sportive (emeroteca, biblioteca, biliardo, cinema, teatro, palestra...). Dal 1919 in Italia la lotta antitubercolare passò dal privato al pubblico, con una massiccia politica statale di creazione di strutture idonee alla cura dei malati ed una sistematica campagna preventiva della TBC. Dal 1925 LE MONTAGNE DIVERTENTI al 1940 la mortalità per tubercolosi dimezzò (dall’1.5 allo 0.75 ogni mille abitanti). Sul finire degli anni venti, immediatamente a ponente dell’Umberto I, fu creato il sanatorio per ragazzi intitolato a Giulia Rogorini, moglie di Francesco Gatti7. Era un sanatorio scuola decisamente moderno dove, compatibilmente con le condizioni cliniche, veniva impartito ai ragazzi (4-15 anni) un regolare insegnamento scolastico. Nel marzo 1928 si costituì a Sondrio una società, L’Alpina S.p.A., con lo scopo di costruire e gestire case di cura. Visti i testati vantaggi climatici della zona di Prasomaso e l’esistenza di tutte quelle infrastrutture già create per l’Umberto I, sul finire degli anni Trenta, 50 metri più in basso del sanatorio popolare, all’Alpe Mugo, venne eretta una casa di cura privata: L’Alpina. Aperta nel 1930, tre piani, una capienza di 120 pazienti e prezzi sala- 7 - Alla morte di Francesco Gatti la struttura prese il nome di “Giulia e Francesco Gatti”. ti8, era un sanatorio per abbienti. Nel 1934 a levante de L’Alpina viene costruito un padiglione da un centinaio di posti chiamato “Casa Nuova”, e più tardi un padiglione INFPS della capienza di 250-300 posti. L’intero complesso sanatoriale sopra Tresivio arrivava a contenere un migliaio di persone, dipendenti compresi: una vera e propria cittadella in quota. Gli stessi giovani di Tresivio, come ci confermano molte testimonianze, frequentavano i sanatori: cinema, teatro e vitalità giovanile rendevano questo posto molto più vivo del paese. Dal periodo di massima concentrazione di degenti (1945-1950), il numero di malati andò via via calando, fino a portare, nel 1971, alla chiusura sia de L’Alpina che dell’Umberto I. I pochi malati rimasti furono trasferiti al Morelli di Sondalo. Per qualche anno la presenza di più custodi li preservò integri e ordinati, come difficilmente immaginabile per delle strutture non più utilizzate. Poi, all’inizio degli anni ’80, se ne andaro8 - La diaria era di 28.5 lire. I SANATORI DI P RASOMASO 13 Speciali di primavera no anche i guardiani e tutto fu preda del volgare saccheggio di vandali provenienti dalla stessa comunità che dai sanatori aveva tratto enormi giovamenti negli anni precedenti. Fu portato via tutto il rubabile e devastato, per il mero gusto di demolire, tutto ciò di cui non era possibile impadronirsi. La sala da pranzo de L'Alpina. Una delle cappellette de L'Alpina. COME APPARE OGGI (foto Matteo Gianatti). Nemmeno il pavimento della chiesa fu risparmiato. Un’esternazione della barbarie umana che trova pochi esempi eguali (il Rifugio Scerscen-Entova in Valmalenco è un altro di questi). Nessun progetto di recupero e riutilizzo delle strutture è andato a buon fine quand’era ancora il tempo utile perché ciò avvenisse. I padiglioni sanatoriali, fatiscenti, pericolanti, del tutto irrecuperabili se non già crollati, sono ora tutti di proprietà privata. Parte delle abitazioni satellite sono invece state vendute, e ora sono restaurate e utilizzate per lo più come baite. Afferma Mario Baruffi9, classe 1911 e per molti anni lavoratore a Prasomaso: “La chiusura dei sanatori è stato un grave danno per Tresivio: oltre alle persone stabilmente impiegate nel lavo- COME APPARE OGGI (foto Matteo Gianatti). 9 - AAVV, Tresivio , a cura del Comune di Tresivio. La chiesetta di Prasomaso, "perla ed orgoglio del Sacerdote". 1969: Roberto nelle verande per il riposo giornaliero. ro, altre lo erano occasionalmente, altre ancora avevano col Sanatorio un piccolo commercio di frutta e verdura [...]. Avendo passato tanti anni a Prasomaso, io ho sicuramente qualche motivo più di altri per rattristarmi nel vedere lo stato in cui è ormai ridotto quel luogo, ma penso che quasi tutti gli abitanti di Tresivio, anziani come me o giovani che hanno ascoltato i racconti dei loro genitori o nonni, condividano questo sentimento di tristezza e anche di vergogna per dovere constatare l’esistenza, nella nostra comunità, di volgari ladri e vandali che hanno distrutto un ambiente che, oltre ad essere stato luogo di cura per tante persone, è stato di vantaggio per tutto il paese.” COME APPARE OGGI (foto Matteo Gianatti). Ricostruzione di un piano vandalizzato del sanatorio Umberto I a Prasomaso all'inizio degli anni '90 (foto e composizione Michela Fomiatti). L'Alpina negli anni '50. 14 LE MONTAGNE DIVERTENTI COME APPARE OGGI (foto Matteo Gianatti). Primavera 2009 LE MONTAGNE DIVERTENTI I SANATORI DI P RASOMASO 15 Speciali di primavera Da Tresivio a Prasomaso ALPINE ICE Mario Sertori CLAUDE GARDIEN : «·UN INVITO AL VIAGGIO, AGLI INCONTRI E ALLA SCOPERTA DI GHIACCI LONTANI E POCO CONOSCIUTI. » Un must per l'ice- Beno climber evoluto, primo libro nel suo genere in Europa, prende in esame quasi 600 cascate in un territorio molto vasto com’è quello della catena alpina. Alla parte fotografica è stato dato speciale rilievo, con spettacolari immagini d’azione e i tracciati degli itinerari sulle foto. 289 proposte in ITALIA 106 proposte in FRANCIA 58 proposte in SVIZZERA 54 proposte in AUSTRIA 59 proposte in SLOVENIA DISPONIBILE in italiano, francese, inglese e tedesco. Pagine: 446 a colori Formato: 15 x 21 cm Prezzo: 31,50 euro A quest'opera hanno collaborato: P atrick Gabarrou, U eli Steck, E zio Marlier, B eat Kammerlander, P eter Podgornik. 16 LE MONTAGNE DIVERTENTI Primavera 2009 Amor dell’orrido, amore per la decadenza o semplice curiosità? Molte sono le ragioni per visitare le rovine dei sanatori di Prasomaso. Edifici che stanno crollando, scheletri di quell’architettura liberty che ha segnato l’edilizia ospedaliera nella prima metà del ‘900. Uno stile costruttivo che faceva da specchio alle tipologie terapeutiche sanatoriali; uno stile tanto luminoso e sobrio da rendere terrificante la vista di quest’abbandono. I sanatori, però, sono solo la meta conclusiva di questo affascinante viaggio a Tresivio: vecchie chiese e cappelle, antichi dipinti e storiche contrade unite da mulattiere, impreziosiscono il semplice camminare su un tracciato sempre intiepidito dal sole. LE MONTAGNE DIVERTENTI D A T RESIVIO A P RASOMASO 17 Speciali di primavera Versante retico Itinerario Partenza: Confine tra Poggiridenti e Tresivio sulla Strada Panoramica (m 508 – IGM). Itinerario automobilistico: da BELLEZZA FATICA PERICOLOSITÀ - Sondrio si prende la Strada Panoramica dei Castelli in direzione Teglio. Si passano Montagna e Poggiridenti, e, al confine tra i comuni di Poggiridenti e Tresivio appena dopo il ponte sulla Rogna-, si svolta a sx e si lascia l’auto nel piccolo parcheggio (slargo) adiacente alla Strada Panoramica. Itinerario sintetico: parcheggio (cartello che indica l’ingresso in Tresivio, m 508) - Santuario della Santa Casa (m 529) - Torchio (m 603) - Piedo (m 620 ca) - Sant’Abbondio (m 665) Sant’Antonio (chiesetta - m 745 ca) – Casa di Cura l’Alpina (m 1150 ca) – Sanatorio Umberto I a Prasomaso (m 1200 ca). Tempo di percorrenza previsto: 2:15 ore per la salita. Difficoltà: 1 su 6. Dislivello complessivo in salita: 700 metri circa. Dettagli: E. Non avvicinatevi troppo agli edifici dei sanatori: sono tutti pericolanti e pericolosi! D al ponte sulla Rogna seguiamo la strada asfaltata che sale brevemente per poi piegare a dx (E) e puntare al maestoso Santuario della Santa Casa (m 529, ore 0:10). Un “pellegrinaggio” è d’obbligo, quindi torniamo sui nostri passi (O) fino a trovare e risalire Via Beccaria. Incrociata la stradella che porta a Poggiridenti, prendiamo a sx (O) e seguitiamo un centinaio di metri fino a vedere sulla dx una valletta erbosa. La risaliamo, appoggiandoci infine al sentiero che ne solca l’idrografica sx (sponda dx per chi sale). Dopo alcuni orti, rientriamo nel bosco, quindi svoltiamo decisamente a dx (O) e raggiungiamo lo splendido nucleo rurale del Torchio, parte bassa della contrada di Piedo. Una famigliola è intenta a raccogliere il falécc’1 per le bestie. Mamma, papà e due bambine piccole che sorridono biricchine, tutti armati di rastrello che ammucchian le 1 - Fogliame per far letto alle bestie. 18 LE MONTAGNE DIVERTENTI Primavera 2009 LE MONTAGNE DIVERTENTI foglie nel frutteto. E’ una scena tenera, d’altri tempi. Ci fermiamo a far due parole sul bestiame e, in particolare, sulla moria di capre disperse sui monti dopo le abbondanti nevicate di quest’inverno. Sul muro di una casa si può ammirare un bell’affresco raffigurante la Madonna seduta sul trono che sorregge, sulle proprie ginocchia, il bambino benedicente (nell’affresco è riportata la data 1613). Proseguiamo su tratturo quasi pianeggiante (E) e raggiungiamo il cuore della contrada Piedo2, dove imbocchiamo, vicino ad un negozietto di alimentari, l’asfaltata che sale a Boirolo. Camminiamo lungo la via Piedo, che diventa via S. Abbondio, quando, in alto sulla sx, avvistiamo la fatiscente chiesetta seicentesca di S. Abbondio. Seguitiamo sull’asfaltata e, al cartello che indica Via Masotti, prendiamo il risc sulla sx, che, dopo 2 - Nella contrada si possono ammirare antichi edifici rurali con barbacani, aperture architravate in legno e in pietra, ballatoi e terrazzi in legno, portali con archi a tutto sesto e vari archi di sostegno. Il risc che unisce Piedo a Sant'Antonio (17 gennaio 2009). Nella pagina a fianco: Tresivio all'inizio del '900 (archivio prasomaso.it). Sotto: la contrada Sant'Antonio e , sullo sfondo, le Alpi Orobie (17 gennaio 2009, foto Beno). A pag.17: verso la Santa Casa (17 gennaio 2009, foto Beno). D A T RESIVIO A P RASOMASO 19 Speciali di primavera un sottopasso, ci porterà alla seicentesca chiesa di Sant’Antonio, sita nella contrada omonima (m 745, ore 0:50). L’esterno della chiesa è piuttosto povero. Sbirciando all’interno osserviamo che è una chiesa ad una sola navata con volte a crociera. Il pavimento è lastricato, l’altare maggiore è in legno scolpito e sormontato da una tela raffigurante S. Francesco e S. Antonio da Padova3. Nella cappella a sx c’è un quadro con S. Vincenzo Ferrer che indica Dio. Anche l’altare della cappella di dx è, a sua volta, sormontato da una tela raffigurante due angeli che reggono un dipinto dedicato alla Madonna del Buon Consiglio, a S. Lucia e a S. Agata. Oltre la fontana, posta sul tornante della strada asfaltata, il risc seguita imperterrito verso N, lasciando dietro a noi le zone antropizzate. Riattraversiamo la strada4 e riprendiamo verso N. La via si fa più ripida confluendo in un bel sentiero cinto tra i muretti delle selve di castagni abbandonate. Dopo qualche curva raggiungiamo una cappelletta affrescata adiacente ai ruderi di una baita. Il sentiero punta ora verso NO, fino a passare vicino ad un nucleo abitativo al cui centro troviamo un agriturismo (m 1000 ca). Attraversiamo nuovamente l’asfaltata. La mulattiera quassù è poco curata: rovi, alberi caduti e sassi. Dopo una curva verso dx tagliamo nuovamente la rotabile e raggiungiamo la fatiscente casa di cura L’Alpina (m 1150 ca, ore 1:15). Dopo un ultimo attraversamento stradale, la via acciottolata ci porta al primo inquietante palazzo sanatoriale. Il tetro edificio fa parte del complesso L’Alpina, ben visibile sullo sfondo (17 gennaio 2009). La viuzza s’insinua fra le macerie di due padiglioni in eternit (“Casa Nuova “ e INFPS a sx) e il pericolante Versante retico scheletro della casa di cura privata L’Alpina (a dx), quindi seguita a salire e ci porta dinnanzi al cancello dell’immenso sanatorio Umberto I (oltre 100 metri di lunghezza). L’atmosfera è surreale. Se contorniamo il perimetro di cinta dell’Umberto I (sentiero ben tracciato) vediamo la casa di cura per bambini Francesco e Giulia Gatti, forse il padiglione meglio conservato. La tentazione di entrare a sbirciare è sempre molto forte, ma sta crollando tutto e ci si potrebbe far male. E’ difficile tornare indietro di una Cappelletta con affresco lungo la mulattiera per Prasomaso cinquantina di anni fa (17 gennaio 2009, foto Beno). ed immaginare centinaia e centinaia di pazienti, medici e infermieri, un vero vole delle strutture analoghe nate in e proprio paese in quota che lotta- Valtellina negli stessi anni (tra cui, va contro “il mal sottile”. E’ difficile ad esempio, il Morelli, l’Abetina e la immaginare pure le modalità curative Pineta di Sortenna a Sondalo) e oggi sanatoriali, basate più sul riposo ed il destinati a nuove funzioni. silenzio5 che su terapie medicinali vere Il ritorno avviene per la stessa via di salita. e proprie. Spiace vedere come questi sanatori abbiano avuto sorte ben più misere5 - I cartelli con scritto “SILENZIO” tappezzano ancor’oggi i muri. 3 - La tela è attribuita a M. Annoni. 4 - Il tratto di strada S. Antonio – Prasomaso fu costruito a spese del Sanatorio Umberto I, che ne deteneva la proprietà - comunque vincolata ad uso pubblico. Iniziato nel 1903, lungo circa 7 km, fu concepito in modo da toccare il maggior numero possibile di contrade e così unire la funzionalità ospedaliera all’utilità pubblica. Il primo collaudo provvisorio avvenne il 18 gennaio 1906: Era un tracciato molto panoramico: stretto, esposto e privo di parapetti sui burroni, che verranno applicati nel 1907 a spese del Comune. 20 LE MONTAGNE DIVERTENTI Tresivio e la Santa Casa di Loreto Gioia Zenoni Situato in un dolce avvallamento della costiera retica a metà strada fra Sondrio e Teglio, il paese di Tresivio vanta una posizione privilegiata, ben protetta e favorevole alle attività agricole. Le prime tracce di frequentazione umana risalgono all’Età del Rame: si tratta di incisioni rupestri individuate intorno al Calvario, lo sperone roccioso strapiombante sul fondovalle attorno a cui si è sviluppato il centro abitato in virtù delle sue qualità strategiche e difensive. Proprio qui sorsero, a partire dall’epoca medievale, le sedi della vita civile e religiosa: il castello, il palazzo del vescovo e quello del governatore. In età viscontea, infatti, Tresivio era diventata capoluogo della Valtellina, ospitandone il governatore e il tribunale e accogliendo per tre mesi all’anno il vescovo di Como. Tale egemonia durò fino all’avvento dei Grigioni, quando il fulcro delle attività politiche venne spostato a Sondrio. Notevoli cambiamenti intercorsero anche nella stessa Tresivio: con la costruzione della chiesa dei SS. Pietro e Paolo e di Palazzo Guicciardi (ora sede del Comune), la contrada Romanasca divenne centro del paese. In quegli anni le vicende del paese furono simili a quelle di molti altri centri valtellinesi, caratterizzate da una forte rivalità fra i signori e dal veloce susseguirsi di rovesciamenti di potere in conseguenza del quadro politico internazionale. Il XVII sec. vide Tresivio, comunità rimasta pressoché totalmente cattolica, schierata in prima linea nella rivolta contro i Grigioni: proprio nella sua piazza si riunì il drappello di uomini che diede inizio al Sacro Macello. Frutto del fervore religioso di una popolazione provata da anni di peste e di guerra è l’edificazione dell’edificio che più di ogni altro rappresenta ancora oggi la devozione degli abitanti di Tresivio1. Il Santuario della Santa Casa di Loreto, eretto sul poggio coltivato a vite dove nel medioevo sorgeva la cappella della Madonna di Tronchedo (XI sec.), in posizione tale da poter esser visto da ogni punto della media valle, fu edificato nel 1646 come voto alla Vergine che aveva liberato Tresivio e la Valtellina dalla peste del 1630. 1 - Papa Giovanni Paolo II, nella sua visita a Como del 5 maggio 1996, durante la recita del “Regina coeli”, parlò del Santuario della Santa Casa di Tresivio, definendolo “monumento di arte e di fede sincera, meta di devoti pellegrinaggi”. Primavera 2009 LE MONTAGNE DIVERTENTI I lavori furono segnati da vari cambi di progetto e di stile, ben riscontrabili in vari punti della struttura, come nella cripta, ricavata dall’antica chiesa medievale e dal primo impianto secentesco. L’esterno spicca per la facciata barocca rivolta a sud, di matrice transalpina, unica nel suo genere in Italia: per l’imponenza della struttura ricorda un castello, quasi come se si fosse voluto creare una roccaforte della fede cattolica. L’interno del Santuario, strutturato su una sola navata, può ospitare circa mille fedeli, ma è abbastanza spoglio di opere, in parte in fase di restauro, in parte vittime dello sciacallaggio2. Sotto la cupola si trova la Santa Casa (riproduzione datata 1701 dell’originale S. Casa di Loreto), una cappelletta dal soffitto azzurro stellato in cui è custodito il simulacro della Madonna Nera. 2 - Anche l'ex parroco di Tresivio Don Simonetto ha venduto le statue poste nelle logge esterne del simulacro della Madonna Nera. Il simulacro della Madonna Nera all’interno della Santa Casa. Splendido il soffitto azzurro stellato (3 febbraio 2009, foto Beno - si ringraziano Sabrina e Maria per aver aperto il santuario per il servizio fotografico). In alto: Sulla facciata N della Santa Casa, nella nicchia centrale, si trova un affresco che raffigura la Madonna Nera attorniata da quattro angeli adoranti (3 febbraio 2009, foto Beno). D A T RESIVIO A P RASOMASO 21 Speciali di primavera L'intervista Confortola: si riparte Parliamo un po’ di te. Come stai? Estate 2009, dopo l’ascesa al K2 costata la vita a ben undici alpinisti, si è fatto un gran parlare di sicurezza in montagna e su quanto sia o meno etica la forsennata corsa ai 14 Ottomila. A distanza di mesi, quando le luci della ribalta si sono finalmente spente, abbiamo incontrato Marco Confortola nella sua Valfurva. Lo abbiamo trovato decisamente in forma: le ferite ai piedi dovute all’amputazione delle falangi sono ormai rimarginate e, anche se il dolore agli arti sembra essere un fedele compagno di viaggio, Marco non ha certo perso l’entusiasmo e la voglia d’andare in montagna. In questi ultimi tempi di convalescenza, qual è la tua giornata tipo? Maurizio Torri I n questo lungo periodo di convalescenza hai preso parte a numerose serate. In alcune di queste ti abbiamo seguito e abbiamo notato l’occhio di riguardo che hai per i più piccoli. Cosa può insegnare un alpinista ai bambini? «Penso che ti riferisca in particolare a quella di Traona presso la Piccola Opera. Sinceramente non conoscevo quella realtà e sono rimato piacevolmente stupito da quello che fanno con i ragazzini e, soprattutto, l’amore con cui lo fanno – ha esordito -. Da parte mia non ho potuto insegnare a quei ragazzini nulla che gli educatori già non abbiano detto. Il mio consiglio è stato di “non mollare mai”, di fare bene il loro lavoro che è lo studio, di ubbidire e di praticare tanto sport. Sono un alpinista, ma soprattutto uno sportivo. Penso che lo sport mi abbia dato molto e mi abbia permesso di arrivare dove sono arrivato. Per questo non mi stancherò mai di consigliarlo ai giovani e di spingerlo a tutti i livelli. Bisogna investire sullo sport. Anche se alcuni politici non lo capiscono, è importantissimo per la formazione dei giovani. Chi fa sport cresce sano, sta lontano dalle strade e pure dalle brutte compagnie». «Ho sempre male ai piedi; ormai sono sei mesi che questo dolore mi è fedele compagno. Ma va bene così: il dolore passerà. Ciò che più conta è essere tornato a casa con il bene più importante che ho: la vita. Ho passato un periodo difficile. Fortunatamente la voglia di andare avanti non mi ha mai abbandonato». «Mi sento un po’ un lazzarone. In passato ho sempre lavorato molto; ora invece la maggior attenzione ai piedi non mi permette di essere iperattivo. Anche se non sarebbe una cosa da dire, è un po’ di tempo che non do più retta ai medici. Loro hanno delle tempistiche che per uno come me sono troppo lunghe. Preferisco dunque ascoltare il mio corpo. Se tutto va bene in aprile ripartirò. In programma ho una spedizione al Colle Sud per montare altri strumenti del CNR. Il condizionale è d’obbligo perché zoppico ancora e, come ho già detto, il dolore è tutt’altro che passato». Psicologicamente la spedizione al K2 ti ha davvero provato. Ora come sta Marco Confortola? «Sto bene. Sembra una cosa assurda o inconsueta, ma il mio atteggiamento di guardare sempre avanti p penso mi d uscire da abbia non poco aiutato a voltare pagina e ad nno ampuquell’incubo. Sono morte undici persone, mi hanno tato tutte le dita dei piedi e sto soffrendo ancoraa tanto. Se rei spaccianon guardassi al futuro con fiducia e serenità, sarei to». poi raccoglie. Io non ho mai fatto del male a nessuno. Penso di essere un alpinista un po’ anomalo: in un ambiente dove vige la rivalità e anche un bel po’ di invidia, vado sempre avanti a testa alta per la mia strada. Quando vedo che uno porta a casa un bell’exploit sono il primo a prendere in mano il telefono e a complimentarmi. Questa dovrebbe essere la normalità; invece ancora troppo pochi lo fanno». Nei mesi scorsi, complice la morbosa attenzione dei media, hai tirato alcune frecciate alla stampa. Cosa ti ha dato più fastidio? «Innanzitutto vorrei fare una dovuta precisazione. Anche in questo settore come negli altri c’è chi lavora con passione e chi invece insegue lo scoop senza guardare in faccia alle persone, ai loro sentimenti e alle storie che vi sono dietro ad ogni articolo. Io me la sono presa con chi scriveva quanti centimetri di dita mi venivano amputate, ma non si è mai chiesto perché queste dita mi sono state amputate. Queste persone non sapevano nemmeno che ho perso tutte le falangi per tentare di salvare delle vite umane. Queste sono le stesse persone che si svegliano, accendono il pc e scrivono di montagna solo per scrivere di tragedie o incidenti. Questo non è fare informazione, ma gettare la gente nel p panico». All’orizzonte vi è una prima spedizione. one. E se non partirai per il Colle Sud, a breve tornerai comunque operativo. Cosa fai per tenerti in forma? Marco Confortola è già tornato attivo dopo l'infortunio sul K2: conferenze esci. A fianco: Marco in compagnia del padre. «Ho ripreso a fare scialpinismo anche se infilare are gli scarponi è “una tragedia”: ci metto dieci minuti. Mii fanno un ngere o fare male pazzesco. Nei piani non riesco ancora a spingere ritmo, ma ho una gran voglia di ricominciare. Ho iniziato pure a fare palestra per ricostruire la muscolatura che avevo. mi 20 metri Il mese scorso, quando sono riuscito a fare i primi ino. Avevo di corsa, mi sono emozionato come un bambino. osa mi ha una gran paura di non riuscirvi più. Questa cosa davvero rincuorato». In una società dove si brucia tutto a subito, anche a distanza di tempo la gente ti dimostra ancora tantissimo affetto. Questa cosa ti fa piacere? «Sicuro. Me ne accorgo ogni singolo giorno. Sono convinto del fatto che come uno semina, 22 LE MONTAGNE DIVERTENTI Primavera 2009 LE MONTAGNE DIVERTENTI I NT NTERVISTA N TE T ERV ER E RV R V I ST STA S TA T A A MA ARCO ARC AR RC R CO C O C ON ONFORTOLA O NFORT NFOR N NF FORT FOR FO F ORT O RT R TOL OLA O LA L A 23 23 Speciali di primavera Poesie dialettali Aštrunumía Ai buşàcc’ da la mala furtüna D’aštà el sù, d’invèrn la lüna1. Arturo Baracchi (Barachìn) Gli abitanti di Albosaggia hanno inventato la storiella di un asino, “l’àşen di montagnùn”, volta a schernire l’ignoranza degli abitanti della vicina Montagna. Raccontano, infatti, di un asino di un contadino montagnone che, finita la stagione della soma, viene relegato nella stalla con modeste dosi di fieno. L’inverno si rivela più lungo del previsto e il fieno finisce, cosicché il proprietario si vede costretto a nutrire l’asinello con insulsi vedisciùn1. Anche questi, però, iniziano a scarseggiare finchè, ridotta sempre più la razione giornaliera, l’asino muore di stenti. L’ingenuo contadino, così ignorante da ritener la morte dell’animale un’inspiegabile sciagura, girovaga per il paese piagnucolando uno strano motivetto (lo scrivo direttamente in italiano): “ Povero asinello, mi è morto proprio ora che aveva imparato a non mangiare!”. Con questo racconto i buşàcc’ 2 continuano a schernire noi muntagnùn3, ho scritto questi versi traendone spunto da una storiella che una volta circolava a Montagna. 1 - Tralci della vite. 2 - Abitanti di Albosaggia. 3 - Abitanti di Montagna. Ün dì ‘n buşàcc’ cul can al va al marcà, in Ciazza Zundra, quéla de Campèll; al tö sü ‘l gerlu e pö ‘l se via là cul panétt2 russ al coll e cul capèll El gerlu all’à ilò ras3 de caštégnna, e sur amò ün cavagnùn de nus, prüm de traversà l’Adda al se segnna4, , al can che šcursa5 ün gatt ghe dà la us6. A Sundra al pògia al gerlu a la funtàna che š’ciüda7 acqua sutt al campanin: “Vignite!” al ciàma “che gh'ò la caštagna e i nus dešparasciàda8 gil ceštin.” Intànt ch’al met in mustra i sò marùn al vet rüà dal Curs un munsignùr cul capèll russ, ch’al bàija sü9 cunt ‘n um ch’à sü ‘n mantèll a röda: ün quài dutùr? I dü ai crida e ai mulìna ì brasc’10, ai fa ‘nte l’aria tanc’ de scersc’ cui man; el munsignùr cun sü ‘l so capélàsc al cita Tuluméo11: l’egiziàn. Al dis che ‘l Tulume’ al gh’à reşùn: “El munt l’è fiss e atùrn ghe gira el sù, pür i Sacra Šcritüra i dà leziùn e s’à da cret, al dis el nos Signù.” Al cita Koppernìk12 quél dal mantèll, ch’al völ che ‘l munt al giri inturn al sù: “L’ò à provàto” al dis “el Gavinèll,13” ma ‘l Sant Ufìzi al gh’à dicc’: “Tas giù!” cunt un’uréggia al šta a sentì qui sciùr che passa e che dišcüt a alta us: gh’avràl reşùn el Don u ‘l sciùr dutùr? Adèss che l’à furnìt la mercanzìa, int el panétt al ciàcca14 el sò “arzàn”15, al tö sü ‘l gerlu, pö ‘l se via via cun quél baštàrt pelùs che l’è ‘l so can. Lü ‘l va denànz, dedré ghe ve ‘l Šparmìs16 e per el Port17 al ciàppa sü la štrada, al pensa al munt, se ‘l gira u se l’è fiss; el can l’ušma18 giù bass ogni pisàda. Travérsàt l’Adda, e rüàt al Port, a l’ustarìa al và cun tanta sé, al ne bef ün quartìn, al se sent fort, e vers la Moia19 al va cul can de dré. **** L’è scià l’invèren. Tant l’è gèlt e frecc’ che sutt’al nas al se fa i candelìn; el nos buşàcc’ al solta fö dal lecc’, e ‘l pùcia20 el müs gin l’acqua del cadìn. Al fa pö culeziùn cun dü farüda21 e tri brašchè22 vanzàt int ün ciapèll, al trà de fö ‘l cagnòtt ch’a ‘lla già aüda23, e ‘l dorma facc’ sü com’ ün gamüsèll24. Sint ün banchèll25 al se mett pö sentàt, denànz a ‘n feneštrö che varda in là, al tö-scià ‘n par d’arlòtt26 (qui da suldàt), cun la tümèra rutta da giüštà. Intànt ch’al pùncia27 e ch’el tira el špach, el calighè28 al varda vérs Muntàgnna29 din gù el sù al picca giù da matt, e per i muntagnùn l’è ‘ne cücàgnna. El nos buşàcc’, intant ch’al vent i nus, 1 - In Albosaggia si ha d’estate molto sole perchè, vista la posizione del paese, il tramonto avviene molto più tardi che a Montagna (il sole non è coperto dalla collina di Triangia). Inoltre la luna, molto bassa all’orizzonte, non appare mai. In inverno accade il contrario: il sole sparisce dietro alle Orobie, mentre la luna, che sorge dal lato N della valle, illumina molto di più i paesi orobici di quelli retici. 2 - Fazzoletto. 3 - Raso. 4 - Si fa il segno della croce. 5 - Spaventa per mandar via. 6 - Lo richiama. 7 - Sputa. 8 - Prive del mallo. 9 - Chiacchera. 10 - Si sbracciano. 11 - Claudio Tolomeo, astronomo egiziano del II sec. dC. Pose la terra al centro dell’universo e il sole e gli altri pianeti che gli girano attorno. 12 - Nome originario dell’astronomo polacco Nicolò Copernico del 1500, che mise il sole al centro del sistema solare con i pianeti, terra compresa, che gli giravano attorno. 13 - Falco. Qui storpiatura del soprannome di Galileo Galilei, l’aquila (o falco) dell’astronomia. 24 LE MONTAGNE DIVERTENTI Primavera 2009 LE MONTAGNE DIVERTENTI Al vet i cuntadìn sutt’ al Castèll30 14 - Nasconde. 15 - Denaro. 16 - Nomignolo dato al cane magro e macilento perchè nutrito con risparmio (derivato da šparmì=risparmiare) 17 - Contrada di Albosaggia in riva all’Adda. 18 - Annusa. 19 - Contrada alta di Albosaggia. 20 - Intinge. 21 - Castagne lessate con la pelle. 22 - Caldarroste. 23 - Che l’ha già avuta (la colazione). 24 - Gomitolo. 25 - Sedile di legno. 26 - Scarpacce rotte. 27 - Che dà i punti (cuce). 28 - Ciabattino. 29 - Montagna in Valtellina, detta Cà Nossa dagli autoctoni. 30 - Castel Grumello. P OESIE DIALETTALI 25 Speciali di primavera che i poda i ciànta sü31, e dopu i drizza32 i vignna sint i roccia del Grümèll, da ingù al vé quél vin che fa šcarìzza. Al mét in bücca un pizzéch de tabàcch, e al šuspìra: “Varda che furtüna, d’invèrén lù de sù ai ghe n’à ‘n sacch, e nü apéna umbrìa e tanta lüna.” Intànt ch’al và de fö a tö ‘n po’ ‘llegnna al pensa a quéla volta int al marcà quant l’era ‘ndacc’ a vent nus e caštégnna, e ai dü sciùr che iera dré a rugnà. “Chi mai gh’arrà aüt la maciavèlica33 da š’ciarì fö ala fin quél giübilé34, che a tropp pensàgga al fa girà l’élica e anch ‘l rešt che nu se po’ vedé?” A fa l’aštrònum lü al völ pruà: al liga el can cunt ün curdùn a ‘n pal, e pö pian pian al pröva a fal andà, e quél ghe gira atùrn, poru animàl. El can, che l’ubedìs, al fa la olta, cume i duaréss35 pö fa el munt u ‘l sù, ma ‘l por buşàcc’ amò anca štavòlta d’aštrunumìa nu ghe ne capìss giù. Inütil l’è pö stacc’ l’ešperimént: al štreppa el pal, e al dešlìga el can, 31 - Fissano e/o sostituiscono i pali delle vigne. 32 - Legano i tralci delle viti alle pertiche. 33 - Intuito nel comprendere le cose complicate o l’arte di ottenere qualcosa con qualsiasi mezzo (da Macchiavelli). 34 - Grande confusione. 35 - Come dovrebbero. 26 LE MONTAGNE DIVERTENTI Montagne di ciliegie el dübi amò ‘l ghe rešta int-te la mént ciantàt in quél scervéll miga tropp san. Marino Amonini Al turna in cà, e pö a pesciadùn36 al šcuìsscia37 la padèlla di brašchè (che a cà sua l’è pö i brüşegù38) e al cagnüsc’ al ghe le tira dré. Al ciàppa la pignàtta di farüda (che per i buşagìn l’è i tetafò39) da sur al föch dingù l’era metüda e da la porta pö ‘lle pica fò40. Intànt ch’al pešta i pé tütt imbüzìt41, ‘n antèll42 al ghe se dèrf43 int i scérvèi: “El Tulumé niententu l’à capìt, ai gh’à reşùn Kupèrnik, Galilèi.” Cul pügn i muntagnùn al tö de mira44: “Da nù gh’è tetafò e brüşegù, ma se l’è vera po che ‘l munt al gira, ‘na volta a’ nu a Muntàgna a ciapà ‘l sù!” El por Šparmìs che ‘l dorma int ün cantùn, al dèrf ün öcc’ e ‘l fa: “Poru cuiùn!” 36 - Con grandi pedate. 37 - Schiaccia. 38 - Caldarroste nel dialetto di Albosaggia. 39 - Castagne bollite in dialetto di Albosaggia. 40 - Il termine fò non è montagnone, ma dialetto d’Albosaggia. 41 - Imbronciato. 42 - Finestrella. 43 - Si apre. 44 - Minaccia col pugno i montagnoni. Primavera 2009 LE MONTAGNE DIVERTENTI “C’era una volta… — Un re! — diranno subito i miei piccoli lettori. No, ragazzi, avete sbagliato. C’era una volta un pezzo di legno. Non era un legno di lusso, ma un semplice pezzo da catasta, di quelli che d’inverno si mettono nelle stufe e nei caminetti per accendere il fuoco e per riscaldare le stanze. M ONTAGNE DI CILIEGIE 27 Speciali di primavera Ciliegi in autunno, località Santa Maria Perlungo (2 novembre 2007, foto M. Amonini). A pag 27: ciliegi in fiore (15 aprile 2007, foto M. Amonini). A pag 30: l'autunno a Portola (31 ottobre 2007) e l'inverno a Montagna(6 gennaio 2008, foto M. Amonini). Non so come andasse, ma il fatto gli è che un bel giorno questo pezzo di legno capitò nella bottega di un vecchio falegname, il quale aveva nome mastr’Antonio, se non che tutti lo chiamavano maestro Ciliegia, per via della punta del suo naso, che era sempre lustra e paonazza, come una ciliegia matura. Appena maestro Ciliegia ebbe visto quel pezzo di legno, si rallegrò tutto e dandosi una fregatina di mani per la contentezza, borbottò a mezza voce: — Questo legno è capitato a tempo: voglio servirmene per fare una gamba di tavolino. Detto fatto, prese subito l’ascia arrotata per cominciare a levargli la scorza e a digrossarlo, ma quando fu lì per lasciare andare la prima asciata, rimase col braccio sospeso in aria, perché sentì una vocina sottile, che disse raccomandandosi: — Non mi picchiar tanto forte! Figuratevi come rimase quel buon vecchio di maestro Ciliegia!” C osì si apre il romanzo di Carlo Lorenzini, universalmente conosciuto come Collodi, Le avventure di Pinocchio. Non potrebbe esservi migliore premessa per elaborare qualche modesta annotazione sui ciliegi. Certo, Collodi non indica con che qualità di legno abbia dato vita al famosissimo burattino, ma visto che tutto prende le mosse nella bottega di maestro Ciliegia ci piace immaginare che quel “ciocco di legno” fosse di ciliegio. Perché è legno nobile, benché di questi tempi essenze esotiche lo abbiano eclissato e quasi relegato all’oblio. Eppure ricordo che un vecchio zio, che poteva vantare un pizzico di genialità nel saper far di tutto, ricavava i mobili più eleganti da stagionate assi di ciliegio. Il colore caldo delle venature, la buona lavorabilità, l’eccellente durata e la comodità di poterselo produrre nei propri boschi ne determinavano la preferenza. Dai comodini alle credenze, dagli attaccapanni alle “ottomane” dai braccioli finemente lavorati, tutto profumava di legno e di fascino ai miei ingenui sguardi di bimbo. Ma se l’ammirazione per quegli oggetti era castigata al silenzio dal burbero carattere dello zio che borbottava su tutto ed inveiva per un niente, una vera esplosione di gioia deflagrava quando da monelli potevamo assaltare una cavagna de sciaresi1. Sarà per questi incancellabili ricordi d’infanzia che in ogni luogo, ad ogni stagione, in tutte quelle inquadrature che catturano la mia passione fotografica, spesso sono rapito dalla bellezza dei ciliegi. In Valtellina se ne è smarrita l’attenzione nonostante questa pianta, per molteplici valenze, abbia rappresentato una grande risorsa durante decenni 1 - Cesto di ciliege. 28 LE MONTAGNE DIVERTENTI Primavera 2009 LE MONTAGNE DIVERTENTI di dignitosa miseria. Le spietate regole consumistiche hanno reso antieconomico la raccolta dei prelibati frutti, le mode hanno sovvertito i gusti per i legni d’arredo, le monoculture a vite, mele e kiwi hanno cancellato da giardini e frutteti i ciliegi. Resiste, però, il selvatico; domina l’incolto dei boschi. Ed è in quest’ambito che il prunus avium, ossia il ciliegio, si prende sonore rivincite. Non vi è angolo di Valtellina e Valchiavenna ove non si manifesti ed è un vero peccato che non gli si dedichino le dovute attenzioni e cure. Quando la morsa dell’inverno allenta la sua presa e tutte le altre piante del bosco paiono ancora assopite nel grigiore, le fioriture dei ciliegi punteggiano i versanti, li risalgono, precedendo le esplosioni di colori primaverili e catturando i nostri sguardi avidi di sciamate tra i nuovi tepori. Come le api che tra quei grappoli di fiori rinnovano il miracolo che li porterà a diventare irresistibili manciate di turgide ciliegie. Durante l’estate sono i prelibati frutti a giocare a nascondino nei boschi; uccelli e volpi si pappano il meglio da maggio ad agosto. E’davvero malinconico osservare, oggi, che gli adolescenti, annoiati e sazi, prediligono l’ozio, piuttosto che ingegnarsi come i loro nonni che liberavano adrenalina pura rubando ciliegie ai temibili padrùn de li sciareséri, incappando inevitabilmente prima nei crapadùn dei genitori, per poi essere infilati in confessionale a scontare in pater-ave-gloria le malandrine incursioni per sciarése. E’ altrettanto triste vedere come gli spot televisivi ci portino a evitare i saporiti frutti nostrani nella dieta dei piccoli: genitori terrorizzati che i loro putti possano incappare in un cagnunìn (detti anche giovannini) annidato in una purpurea ciliegia carnosa di maturazione! L’autunno, invece, è la stagione che esalta i ciliegi rendendoli un incanto. Basta alzare lo sguardo sui versanti per leggere, nella ricca tavolozza di colori, il fiammeggiare dei ciliegi; nitidamente, inconfondibilmente quelle chiome che virano dal giallo al bruno appartengono alle tante varietà del prunus avium. Quasi in ogni vecchia contrada, in ogni rudere d’insediamento ora avvolto dal bosco o dai rovi, spicca la colorata presenza dei ciliegi, mutati da risorsa di un tempo a odierno complemento estetico del paesaggio. L’inverno rende più uniforme e meno leggibile il bosco; gli abeti si ergono a dominatori e possono fregiarsi di rallegrare il Natale. Anche da spogli, infatti, i ciliegi continuano a distinguersi: dove non hanno dovuto elevarsi allo spasimo per catturare la luce e sono serenamente invecchiati possono vantare una folta capigliatura sulla quale si depositano le nevicate. M ONTAGNE DI CILIEGIE 29 Speciali di primavera L'inchiesta La “guerra” del latte crudo vista dalla Valtellina e dalla Valchiavenna Se lo dice Maurice Mességué Prof. Michele Corti Docente di sistemi zootecnici e pastorali montani presso l’UNIMI Se nel vostro frutteto il melo merita il posto d’onore, al secondo non esitate a piantare il ciliegio. In primavera farete una deliziosa cura di ciliegie fresche: che siate ammalati o godiate buona salute, non potrete che trarne dei benefici. Per i botanici, i ciliegi dai grappoli vermigli, gli stupendi ciliegi che danno frutti belli come labbra di fanciulle, non sono altro che dei prugni : infatti vengono classificati nel genere Prunus! Triste destino per un albero che dà a Flora i pendenti per le orecchie e in autunno la ammanta del rosso più fastoso. Quando parliamo di piante medicinali s’impone un certo rigore. Suddivido la tribù dei ciliegi in due grandi gruppi: uno riconoscibile dai fiori e dai frutti disposti in lunghi grappoli (ciliegio a grappoli o pado, lauroceraso), l’altro, molto caratteristico per la disposizione a ventaglio dei fiori e dei frutti (viscido, durone). Non tratterò qui dei due primi, pur essendo anch’essi varietà medicinali, perché sono (nel loro insieme e in alcune loro parti) fortemente tossici. Dal viscido e dal durone invece, possiamo aspettarci tutte le virtù senza correre rischi. Il ciliegione, cioè il ciliegio vero nella sua forma selvatica, coltivato ci ha dato delle varietà deliziose come la ciliegia tenerina e la ciliegia duracina. Le prime selezioni sono state fatte probabilmente in Asia Minore e dobbiamo a Lucullo di averle introdotte nel mondo romano dal quale si sono poi propagate nel mondo intero. Come alimento la ciliegia è ricca di zuccheri facilmente assimilabili (levulosio) e senza pericolo per i diabetici; contiene anche il carotene, amico degli occhi e precursore della vitamina A, che dà frutto il suo colore vermiglio. Come medicamento, la ciliegia è, prima di tutto, diuretica, e più ancora il picciolo (chi di noi non conosce almeno di fama la tisana di gambi di ciliegio?). Il vesciolo, detto anche marasca o ciliegia asprina, si distingue dal precedente per essere più piccolo e per frutti aciduli più carnosi, rosso chiaro, a picciòli più corti. Ha le sue origini in Persia e in Kurdistan ed è diffuso oggi in tutte le zone temprate dell’emisfero settentrionale. In fitoterapia il vesciolo viene usato per combattere le febbri (corteccia), contro le bronchiti e come diuretico (i suoi picciòli sono più attivi di quelli del durone). Preparazione e impiego TISANA di picciòli di ciliegia: quando sono stati ben essicati all’ombra (si conservano per diversi mesi) sono pronti; fateli ammollare per una giornata in acqua, tritateli al momento dell’uso, misuratene una manciata per un litro d’acqua. (da 3 a 4 tazze al giorno) ALTRA RICETTA : quando il vostro decotto di picciòli è pronto, invece di berlo tale e quale, versatelo su delle ciliegie fresche o essiccate; lasciate riposare per mezz’ora, filtrate. (Stesse dosi) S i definisce “latte crudo” il latte allo stato naturale, così com’è prodotto dalla mucca, prima ancora che venga pastorizzato e impacchettato. È latte che non ha subito trattamenti termici: intero e genuino, saporito, cremoso, vivo, con tante vitamine1. Da qualche periodo, finalmente, si stanno installando in tutta Italia distributori automatici di latte crudo, per accorciare una filiera troppo lunga, madre di sovrapprezzi del prodotto, involucri usa e getta e causa di grandi dilatazioni delle distanze tra luogo di mungitura e consumatore. Ai distributori automatici si può acquistare un litro di latte crudo ad un euro (o anche meno) e riutilizzare la stessa bottiglia di vetro tutti i giorni, evitando in questo modo di produrre rifiuti. I distributori automatici, tuttavia, sono fortemente 1 - Tratto da www.milkmaps.com . BAGNI ALLE MANI E PEDILUVI di picciòli: misuratene una piccola manciata per litro d’acqua. (Due volte al giorno) Da “Maurice Mességué , Il mio erbario, Club degli Editori - Nuova Stampa Mondadori Cles TN 1979 La ricetta Ciliegie fiammeggiate alla grappa PREPARAZIONE Preparare una ventina di ciliegie a testa. Togliere alle ciliegie il picciuolo ed il nocciolo. Cuocerle in sciroppo di zucchero profumato al maraschino. Tritare due cucchiai di nocciole e cospargerle di zucchero prima di farle tostare leggermente al forno. Accomodare le ciliegie in una pirofila, dove si sarà già messo lo sciroppo addensato, se occorre, con una piccola presa di fecola. Cospargere di nocciole e riporre per pochi minuti in forno, presentare in tavola, spruzzare di grappa già riscaldata e fiammeggiare. Da “Renato Sozzani , Tavola imbandita in Valtellina, Camera di Commercio Industria Artigianato e Agricoltura Sondrio - Bonazzi grafica 1988 30 - LE LE M MONTAGNE ONTAGNE DIVERTENTI DIVERTENTI Primavera2009 2009 Primavera L EM ONTAGNE DIVERTENTI LE MONTAGNE DIVERTENTI MM ONTAGNE ONTAGNEDI DICILIEGIE CILIEGIE - 31 Speciali di primavera osteggiati dai big del settore. Casi non chiariti a grande riscontro mediatico di presunte intossicazioni stanno gettando discredito sul latte crudo. Ma quanto è vero e quanto è invece detto solo per eliminare un fastidioso concorrente? Dall’ “osservatorio” della provincia di Sondrio i termini della polemica sul latte “alla spina” appaiono particolarmente chiari. Ci sono in provincia pochi distributori (meno di uno ogni 10000 abitanti). Eppure, nel suo piccolo, il mondo industriale e commerciale valtellinese si è sentito minacciato. Nel comunicato del presidente della Camera di Commercio del 28 novembre dello scorso anno Speciali di primavera si paventavano “seri danni al sistema produttivo ed a quello della distribuzione, senza reali e duraturi vantaggi e garanzie per il consumatore”. Queste prese di posizione erano parte di una campagna politico-industriale partita da Roma e promossa dal Sen. De Castro (ex ministro dell’agricoltura) presidente della Sisag (finanziaria dell’industria alimentare con forte presenza di Granarolo, leader indiscusso nel mercato del “latte fresco”). Come si sa, tale campagna ha portato all’ordinanza del 18 dicembre, che impone l’affissione, presso ogni distributore, di cartelli con l’avvertimento che il latte crudo deve essere consumato previa bollitura. Con il latte crudo ci guadagnano il produttore e il consumatore, ma ci guadagna anche la salute (come dimostrato da serissime indagini mediche), l’ambiente e il traffico (grazie a tanti camion in meno sulle strade). Chi compra il latte crudo lo fa anche perché si stabilisce un rapporto personale di fiducia con un produttore che ci mette la faccia (la migliore garanzia igienica). Va poi detto che, su quasi 1.500 analisi eseguite dalle ASL in Lombardia, non un campione è risultato positivo per la presenza di Escherichia coli O157 verocitotossica, il batterio “imputato” delle supposte tossinfezioni. Tornando al caso della Valtellina, Bertolini (Presidente della Camera di Commercio di Sondrio), nel comunicato già citato, sosteneva che: “I modelli di filiera corta validi per le metropoli non mi sembrano facilmente o automaticamente esportabili nella nostra provincia, costituita da piccoli centri”. Affermazioni sconclusionate. A Milano ci sono solo quattro distributori per il semplice motivo che i produttori per portare ogni giorno un quintale di latte devono perdere troppo tempo nel traffico, riducendo quindi l’interesse economico. In provincia di Sondrio ci sono sì piccoli centri di poche centinaia di abitanti, ma la maggior parte della popolazione vive in località di “taglia” giusta per avere il proprio distributore, con la possibilità per parecchie aziende di trovare uno sbocco remunerativo. I distributori automatici nella provincia di Sondrio elenco aggiornato al 27 gennaio 2009 Ubicazione del distributore Chiavenna Via Largo Antonino Pio Talamona Via Ceresola Talamona Via Gavazzeni (Piazzale scuola elementare) Cosio Valtellino Via Roma Valdidentro Via Nazionale Sondrio Viale De Simoni 2 Tirano Piazza Marinoni Tirano Via Fucine Mantello via Lungo Adda Allevatore Az. Agr. Sala Fabio Latte crudo Az. Agr. Sassella di F.lli Sassella & C. snc Az. Agr. Sassella di F.lli Sassella & C. snc Az. Agr. Sassella di F.lli Sassella & C. snc Az. Agr. Urbani Agostino F.lli Trivella s.n.c. di Trivella Dario e Ivana Romegioli Emanuele Romegioli Emanuele La Fiorida S.R.L Delebio via Stelvio 139 (Alla fine del paese, presso lo spaccio della Latteria Cooperativa Sociale di Delebio) Prodotto dai soci della cooperativa Bormio via Galletto 1 Piuro via Nazionale Ceinini Andrea Del Curto Davide 32 LE MONTAGNE DIVERTENTI Samolaco: la Torre del Culumbée diventa museo fotografico Sergio Scuffi R icordo il fascino, l’alone di mistero che circondava certi vecchi edifici, quando da ragazzi vi passavamo accanto per raggiungere la scuola. Tra tutti i vecchi ruderi si distingueva quella torre, attorno alla quale si aggrappavano altri vecchi fabbricati, quasi a cercare protezione: edifici tutti quanti dalle mura scrostate che qua e là lasciavano intravedere pochi resti di calce. Non indagavamo su quella singolare denominazione, “Culumbée”, ma intuivamo che si dovesse trattare di un edificio dal passato particolare. Dell’antica torre molto si è detto, intrecciando spesso storia e leggenda. La più nota e suggestiva (quanto improbabile) credenza è che vi abbia trovato rifugio addirittura Federico Barbarossa, durante i suoi numerosi passaggi verso la pianura nel periodo delle famigerate battaglie contro i Comuni. Lo affermava anche il vecchio Dolci, ultimo ad abitare, con un tenore di vita quasi eremitico, il piano terreno del vetusto edificio. Egli intercalava questa leggenda ad altre storie affascinanti che incantavano i ragazzi quando lo andavano a trovare durante il percorso verso la scuola1. Certamente, ragionando sul nome, il primo pensiero va ad una consuetudine piuttosto diffusa nel passato: quella di utilizzare i piani più alti di certi edifici proprio per la cattura dei piccioni, che potevano così integrare ottimamente le scarse risorse alimentari disponibili. In effetti, all’ultimo piano si può ancora vedere, appesa ad una parete, una cassetta di legno con tanto di porticina, predisposta per farvi entrare i volatili 1 - Amleto Del Giorgio, Il Culumbée di San Pietro a Samòlaco: leggende, ipotesi e realtà in “Clavenna”, Bollettino del Centro di Studi Storici Valchiavennaschi, XIII (1984), pp. 129-132. Primavera 2009 LE MONTAGNE DIVERTENTI Il Culumbée è una torre medioevale che si trova a S. Pietro di Samolaco, sulla strada che conduce alla chiesa, dalla quale dista una cinquantina di metri. S. Pietro viene raggiunto seguendo la Strada Provinciale n. 2 (dalla SS 36 il percorso più diretto si imbocca a S. Cassiano, in corrispondenza del sottopassaggio denominato “la Tomba”). Presso il distributore di benzina Tamoil salire in paese, seguendo le indicazioni; superato (sulla dx) un negozio di alimentari, svoltare subito a sx in corrispondenza di una piazzetta: il Culumbée è a meno di cento metri. (curiosamente ricavata da un conteni- quadrata con lato esterno di cinque tore del famoso DDT, ormai bandito metri, ha un’altezza di quindici metri da parecchi decenni, con tanto di nome ed ospita quattro piani rialzati più un pianterreno, in parte sotto il livello del fabbricante). Scarsi sono gli studi di carattere del suolo: si ritiene che, nel tempo, storico sull’edificio, anche se diversi sia stata ribassata ed utilizzata come particolari architettonici possono avva- abitazione. Il progetto di utilizzare questo lorare l’ipotesi che esso risalga al periodo medioevale. “Lo direbbero i massicci muri in pietra della costruzione, alcune delle volte nei piani bassi, la tecnica costruttiva”: così afferma l’architetto Stefano Succetti, che per incarico del Comune ha curato il restauro conservativo (2007-2008), tramite lavori di rifacimento (tetto, solai, scale) e consolidamento della muratura (tiranti in corrispondenza di ciascun piano), conclusi poi con l’installazione di un idoneo impianto di illuminazione. Il Culumbée (18 giugno 2008, foto Sergio Scuffi). La torre, di pianta M ONTAGNE DI CILIEGIE 33 Speciali di primavera edificio come museo era allo studio da alcuni anni da parte dell’Associazione Culturale Biblioteca di Samolaco; dopo il necessario intervento di restauro conservativo, promosso dal Comune anche con il lodevole contributo di Emanuele Barelli2, questa idea ha potuto tradursi in realtà. Si deve rilevare come l’evento (inaugurazione ufficiale avvenuta sabato 4 ottobre 2008) abbia destato non poca meraviglia e curiosità anche per i molti samolachesi che non vi erano mai entrati. La prevalenza di spazi verticali in un edificio come questo ha portato alla scelta di collocarvi delle immagi- ni, dato che le superfici dei pavimenti sono assai ridotte. Si è così provveduto a selezionare alcune fra le fotografie del passato. L’inaugurazione ha offerto l’occa2 - Emanuele Barelli, emigrato negli Stati Uniti, ha lasciato una generosa donazione poco prima della prematura scomparsa, seguendo l’esempio di altri illustri benefattori (Elmo Falcinella per la biblioteca comunale, Agostino Baretta per l’asilo di Era, negli anni cinquanta). 34 LE MONTAGNE DIVERTENTI sione per ringraziare quanti hanno messo a disposizione le proprie foto di famiglia, consentendone la copia e la pubblicazione. Chi vuole può ancora dare il proprio contributo, in quanto i volontari dell’Associazione stanno riordinando il materiale, catalogandolo e annotando tutte le possibili informazioni (le date, le persone, i luoghi). Si tratta, insieme ad altri documenti importanti (lettere di emigranti, trascrizioni di antichi atti di compravendita, testamenti, contratti di lavoro…), di preziosi materiali, che potranno essere utilizzati anche per nuove ricerche e pubblicazioni. Le fotografie del Museo sono collocate per gruppi su pannelli (circa cm 100 x 75), realizzati con grande competenza e professionalità da Mauro Franchi nel suo bel laboratorio di Isola (Madesimo). I pannelli, ciascuno corredato da sintetiche didascalie3, sono collocati come segue: Piano primo: Il Culumbée tra storia e leggenda Samolaco nelle carte di diverse epoche Vecchie immagini e cartoline Piano secondo: Famiglie numerose Coscritti - Militari Vita sociale, religione, scuola Vita sugli alpeggi Piano terzo: Abbigliamento Lavoro e attrezzi Il cavallo Piano quarto: Vedute panoramiche Immagini di oggi: Centri abitati principali e minori Vecchi nuclei di mezza costa Alpeggi e maggenghi Architettura: strutture varie, dipinti, chiese, cappelle. Al Piano seminterrato, che presenta rischi di umidità, vi sono invece utensili ed attrezzi; tuttavia alcuni oggetti del passato si trovano anche nei piani superiori, negli angoli e presso le ripide scalette. L’idea dell’Associazione è quella di continuare la raccolta di oggetti, garantendone la conservazione (se necessario il restauro) e l’ esposizio3 - Si pensa di realizzare, in seguito, degli opuscoli più dettagliati per i visitatori. ne negli ambienti che man mano si spera di poter avere a disposizione (tra questi la stalla adiacente, che potrebbe ospitare attrezzi di lavoro nei campi). Ciascun oggetto è accompagnato da una sintetica scheda con descrizione (nome, in italiano e dialetto, utilizzazione, epoca, materiali) e i nomi dei proprietari o donatori. Il progetto si dovrebbe poi concludere e completare con un video per visionare tutte le immagini disponibili, dato che qui si espone solo una parte selezionata. La realizzazione di questo Museo si inserisce nel progetto più generale perseguito dall’Associazione, ossia quello di recuperare e valorizzare alcuni ambienti che possano costituire punti di riferimento per un ideale percorso museale diffuso sul territorio, tenendo in considerazione le varie frazioni (si pensi alla caratteristica “Cà Pipéta”, poco discosta dalla più famosa Torre di Segname, all’antico nucleo di Era-Cuéta, alla possibilità di un museo del Cavallo Avelignese a Somaggia…) e mirando anche a valorizzare i diversi percorsi via via resi disponibili dal recupero dei sentieri storici. Le visite sono, per ora, possibili su richiesta, telefonando agli uffici del Comune (0343 38003): si conta sulla disponibilità di volontari per definire giorni ed orari di apertura. BIBLIOGRAFIA Amleto Del Giorgio, Samolaco ieri ed oggi, Chiavenna 1965 (Raccolta di studi sulla Valchiavenna, IV), pp. 30 e 34. Guido Scaramellini (a cura di) Schede di censimento delle opere fortificate, realizzate dall’Istituto italiano dei castelli di Roma, scheda n. 16, Provincia di Sondrio, Milano 1975, p. 3. Guido Scaramellini, Barbarossa ed Enrico il Leone a Chiavenna, Chiavenna 1976 (Raccolta di studi storici sulla Valchiavenna, V), pp. 19-20. Mario Gianasso, Guida turistica della provincia di Sondrio, Sondrio 1979 (Storia e arte in Valchiavenna a cura di Guido Scaramellini) , p. 348. Amleto Del Giorgio, Il Culumbée di San Pietro a Samòlaco: leggende, ipotesi e realtà in “Clavenna”, Bollettino del Centro di Studi Storici Valchiavennaschi, XIII (1984), pp. 129-132. Albano Marcarini, Il Sentiero della Regina -Dieci passeggiate da Como a Chiavenna Sondrio, 2000, p.176 Con le pelli al Suretta (m 3027) Luca Bono Verso il ghiacciaio del Suretta (19 marzo 2006, foto R. Scotti). Primavera 2009 LE MONTAGNE DIVERTENTI Il Pizzo Suretta (m 3027) è una meta scialpinistica molto apprezzata, tanto per la comodità della salita che non presenta avvicinamenti impegnativi (si può partire con gli sci da Montespluga), sia per l’esposizione a S che mitiga le gelide giornate invernali. P IZZO S URETTA 35 Alpinismo Vista dal ghiacciaio di Suretta Sud. Al centro si vede la minuscola sagoma del Bivacco Suretta (19 marzo 2006, foto R.Scotti). BELLEZZA FATICA Partenza: Montespluga (m 1908). Itinerario automobilistico: Da Chiavenna si prende la Statale 36 fino a Campodolocino, poi si sale Montespluga (14 km da Chiavenna). Non ci sono possibilità di perdersi! Itinerario sintetico: Montespluga PERICOLOSITÀ (m 1908) – Bivacco Suretta (m 2747) – Pizzo Suretta (m 3027). Il gruppo del Suretta kit antivalanga. Difficoltà: 3+ su 6. Tratti ripidi (oltre 40°). Con poca neve ci sono passi su roccia fino al II. Dislivello in salita: 1119 metri. Dettagli: MSA (la dicitura Medio Sciatore Alpinista indica la presenza di tratti alpinistici, se si fosse usata la sola dicitura MS sarebbe altresì significato che non ci sono tratti alpinistici lungo il percorso). Tempo di percorrenza previsto: 4 ore per la salita. Attrezzatura richiesta: ramponi, piccozza, 36 LE MONTAGNE DIVERTENTI Primavera 2009 Il Suretta (o Gruppo del Suretta) è un gruppo montuoso al limite occidentale del Passo dello Spluga, il primo delle Alpi Orientali. La vetta principale è il Pizzo Suretta (m 3027), detto anche Punta Nera (o come la chiamano a Splügen “Surettahorn”). La vetta fu raggiunta per la prima volta il 18 luglio 1869 da Arnold Baltzer con Georg Trepp per la cresta NNE. La prima invernale è di Gaetano Scotti, Angelo e Romano Calegari per la cresta SE. A E della Punta Nera ci sono altre due evidenti elevazioni: la Punta Rossa (m 3020) e la Punta Adami o Punta Bianca (m 2968). I due soli punti d’appoggio del gruppo sono il Rifugio Giovanni Bertacchi al Lago d’Emet (m 2175, piuttosto lontano dalle cime principali del gruppo) e il Bivacco del Suretta , posto a m 2753 su un dosso roccioso dinnanzi al Ghiacciaio di Suretta Sud. Il versante svizzero è invece privo di strutture d’appoggio. Il gruppo è chiuso a occidente dalle Cime Cadenti, una successione di torrioni rocciosi (quota massima m 3015) sorretti da alti speroni e suddivisi da profondi canali. La maggiore elevazione delle Cime Cadenti fu raggiunta in prima ascensione da Battista Scaramellini nell'agosto 1906, seguendo il ghiacciaio del Surretta quindi la cresta NE (via Normale - presenta difficoltà in caso di scarso innevamento del ghiacciaio), e in prima invernale da C. Re nel dicembre 1940, per la parete O. Oggi sono numerose le vie di roccia e ghiaccio che ne percorrono gli speroni e i profondi canali tra di essi. Tra gli itinerari da segnalare vi sono la cresta ONO (AD+, spesso parte della traversata in cresta fino al Pizzo Suretta), la via “Anime Cadenti” sullo sperone a NO della quota 3015 (passi dal III al V-) e le vie di ghiaccio e misto con inclinazioni tra i 50° e gli 80° che salgono i vari canali della parete NO. LE MONTAGNE DIVERTENTI Le Cime Cadenti dalla cima del Suretta (17 marzo 2002, foto R. Scotti). P IZZO S URETTA 37 Alpinismo L a mia prima volta sul gruppo del Suretta risale all’ormai lontano 2002, quando decisi di partecipare al tradizionale raduno scialpinistico della Strada Storta di Lecco. All’epoca mi muovevo esclusivamente con scarponi e ramponi guardavo con scarso interesse alla moltitudine di persone che salivano con le pelli. Era una giornata perfetta: neve levigata e cielo blu cobalto. Forse ero troppo distratto dalla bellezza dell’ambiente, che sapeva già un po’ di alta quota, oppure dalla voglia di mettere i ramponi e imbracciare la piccozza. Sono dovuti passare quattro anni perché il Suretta mi rivedesse, questa volta con gli sci ai piedi. Mi ricordo di quella giornata di primavera del 2006 come fosse ieri: la sciata fu entusiasmante, il firn da manuale… fu allora che mi resi conto di quanto questa meta, che rappresenta un “classico” per gli appassionati, proponesse caratteristiche particolarmente apprezzabili dagli scialpinisti: dislivello (circa 1000 metri) e sviluppo modesti, ma da pendii sempre piuttosto ripidi, aperti e solivi, necessari oltretutto alla formazione di un manto nevoso perfettamente trasformato. L’itinerario che stiamo andando a descrivere si svolge sul versante S del Suretta e si discosta dalla più facile via classica di salita, quella degli svizzeri per intenderci, che, invece, parte dal Passo dello Spluga e si sviluppa sul versante N appena al di sotto della cresta occidentale della montagna. La salita da Montespluga S i parte dallo spiazzo posto poco prima di Montespluga (m 1908) e si sale in diagonale verso dx, infilandosi nel vallone che s’innalza verso N. Superato il ripido pendio che porta al margine S del Lago Azzurro (m 2429, ore 1:15), si traversa con percorso piuttosto vario (ENE) fino a guadagnare la conca posta sotto la cima del Suretta e dimora del Ghiacciaio di Suretta Sud. Alla propria dx si nota il risalto roccioso su cui è posto il Bivacco Suretta (m 2747). Ci si porta ora sotto la verticale della cima e si affronta con attenzione il ripido pendio che ne scende, avendo l’accortezza di scegliere, a seconda delle condizioni d’innevamento, il tracciato migliore per guadagnare o la cresta a pochi metri dalla vetta, o direttamente la sommità stessa. Se la neve è buona si riesce a raggiungere la cima con gli sci ai piedi. Dalla vetta il panorama è incantevole (Pizzo Suretta, m 3027, ore 1:15 – 2:30 da Montespluga). La zona del Suretta è soggetta a violente precipitazioni, l’itinerario si svolge su pendii soggetti a valanghe, per cui è buona norma effettuare l’uscita solo con buone condizioni sia meteo, che del manto nevoso. In alto: la salita al Suretta. Sullo sfondo la valle di San Giacomo e il lontano Legnone (19 marzo 2006, foto R. Scotti). A sx: la prima parte della salita (19 marzo 2006, foto R. Scotti). A dx: il Bivacco Suretta (19 marzo 2006, foto R. Scotti). A pag. 38 in basso: il tracciato di salita visto dagli Andossi (26 dicembre 2003, foto R. Moiola). 38 38 LE L EM MO MONTAGNE ONT NTAGN NTAG NTA N TAGN TA T AGN A GN G NE DIVERTENTI DIV DI DIIV VE ERTEN ERTE ERT ER RTEN RTE RT R TEN TE T EN E NT TII Primavera Prim Pri Pr P rri rim iim m aav aver ave ver vve eerr a 2009 20 2 0 09 09 LE MONTAGNE DIVERTENTI P IZZO S URETTA 39 Alpinismo Il Ghiacciaio di Suretta Sud Riccardo Scotti 2008 - D'AMICO 1931 - PIGANELLI Il ghiacciaio di Suretta Sud (1931, foto Piganelli). A sx: il ghiacciaio di Suretta Sud nel 1990 (foto M. Lojacono). In alto: il ghiacciaio di Suretta Sud nel 2008 (foto M. D'Amico). 1990 - LOJACONO N onostante la quota piuttosto modesta, il Suretta è una montagna ampiamente glacializzata a tutte le esposizioni. Verso NE, in territorio svizzero, si trova il grande Surettagletscher, oggi disgregato in diversi placche, ma pur sempre con una superficie complessiva prossima ai 100 ha. Curiosamente alla base della austera parete NO, dove la morfologia sembrerebbe ottimale per ospitare un grosso ghiacciaio, non si trovano che modeste placche di ghiaccio o nevai semipermamenti; di contro sul versante meridionale della montagna, in 40 LE MONTAGNE DIVERTENTI territorio italiano, si estende il ghiacciaio di Suretta Sud che, con i suoi 23.7 ha (1999), è uno dei più grandi della Valle Spluga. Il Ghiacciaio occupa per intero il circo-vallone che dalla vetta conduce ai pianori e ai dossi dove è collocato il Bivacco Suretta. I primi studi scientifici risalgono al secolo scorso quando le immagini e le misure frontali venivano gestite dal Prof. Pignanelli. Come per molti altri ghiacciai lombardi dalla fine degli anni ‘60 la serie di misure si interrompe per poi riprendere saltuariamente dal 1976. Dagli anni ‘80 in poi i rilievi sono stati portati avanti dal Prof. Scaramellini e dal Servizio Glaciologico Lombardo. Alcune particolarità caratterizzano questo piccolo apparato glaciale: innanzitutto occorre chiedersi come possa un ghiacciaio esistere in una collocazione topografica così sfavorevole. Le pareti del Pizzo Suretta non garantiscono certo apporti valanghivi capaci di “fare la differenza”, così come l’altitudine del ghiacciaio risulta estremamente modesta se rapportata all’esposizione perfettamente meridionale. La spiegazione Primavera 2009 più plausibile e corroborata dai dati di terreno è nell’eccellente nevosità tipica dell’Alta Valle Spluga che, comunque, da sola non può spiegare un comportamento tanto virtuoso. Con molta probabilità le tempeste di vento da nord, oltre a portare un po’ di neve meteorica per “sfondamento” favoriscono meccanicamente l’accumulo della neve e non l’erosione, come di contro accade su molti altri ghiacciai lombardi. In ultimo, il tempo “pessimo”, così frequente durante i mesi estivi sulle vette di confine, non può che favoLE MONTAGNE DIVERTENTI studio del bilancio di massa è estremarire la conservazione della neve. Una seconda particolarità riguardan- mente importante perché ci consente te il Ghiacciaio di Suretta Sud riguar- di definire quantitativamente lo stato da il suo andamento rispetto al clima. di salute del ghiacciaio anno dopo anno Sembra, infatti, che la fase positiva, che e stimare il rilascio stagionale di acqua fra la seconda metà degli anni ‘70 e la causata dalla fusione nivo-glaciale. prima degli anni ‘80, ha interessato i ghiacciai alpini, qui sia arrivata in ritardo. I rilevamenti condotti dal Prof. Scaramellini segnalano un ghiacciaio ancora in arretramento nei primi anni ‘80 (-21.5 m dal 1980 al 1984), mentre la piccola avanzata, testimoniata da una piccola morena depositata dal ghiacciaio, è avvenuta fra l’84 ed il ‘90. In seguito il Ghiacciaio si è riallineato all’andamento generale presentando un marcato e costanFig. 1. Il bilancio netto di massa è qui misurato in te regresso che lo sta mettendo millimetri di equivalente in acqua. 1000 mm di equivalente in acqua, considerando una densità attualmente in pericolo di estinziomedia del ghiaccio di 0.9, coincidono con circa 1.1 m ne. Negli ultimi anni il ghiacciaio di spessore. Seguendo la curva dei valori cumulati, è stato oggetto di studi glaciologici dal 2002 al 2008 sono andati perduti quasi 12 m di ghiaccio. Tutti i bilanci sono stati negativi con un molto approfonditi da parte del picco massimo nel 2003 (dati a cura di A. Tamburini Servizio Glaciologico Lombardo. - SGL). Dal 1999 viene misurata l’altezza della neve ad inizio estate e l’eventuale perdita di spessore con due paline infisse nel ghiaccio (fig. 1). Dal 2002, grazie al lavoro del team capitanato da Andrea Tamburini e Maurizio Lojacono, si aggiunge il calcolo del bilancio di massa netto annuale dell’intero ghiacciaio con tecnica geodetica (GPS differenziale). Grazie a questo studio è possibile conoscere Fig. 2. L’altezza della neve al suolo sul ghiacciaio a inizio estate (generalmente fra fine maggio e le variazioni di spessore del ghiacinizio giugno). L’annata più nevosa è stata il 2001 ciaio in ogni settore e la variazione con oltre 6 m di neve al suolo nel punto di misura. mediata sull’intera superficie. Lo Manca il dato relativo al 2002 (dati SGL). P IZZO S URETTA 41 Alpinismo A Al Alp iini niismo mo mo Monte Forcellino (m 2842) Beno con Fabio Meraldi (Guida Alpina tel. 328.7654564) BELLEZZA FATICA PERICOLOSITÀ Partenza: San Gottardo (m 1381). Itinerario automobilistico: Da Bormio 4 ore e 30 per la salita. prendere la SP EX SS300 per Santa Caterina. Si passeranno Uzza, San Nicolò, Sant’Antonio per arrivare nella frazione di San Gottardo. Appena oltre il ponte sul torrente Zebrù, si lascia la macchina nel parcheggio sulla dx (5.5 km). Non ci sono possibilità di perdersi! Attrezzatura richiesta: sci d’alpinismo o Itinerario sintetico: San Gottardo (m 1381) un discreto sviluppo altimetrico. LE MONTAGNE DIVERTENTI In vetta al Forcellino (9 febbraio 2009, foto Beno). L'abitato di San Gottardo (9 febbraio 2009, foto Beno). Tempo di percorrenza previsto: ciaspole, kit antivalanga. Difficoltà: 2 su 6. Dislivello in salita: 1461 metri. Dettagli: MS. Tracciato privo di difficoltà ma con – Gerlong (m 1800 ca) – Baite di Cavallaro (m 2190) – Passo Forcellino (m 2778) – Monte Forcellino (m 2842). 42 Uno degli itinerari scialpinistici più facili e sicuri dell’Alta Valle è la salita al Monte Forcellino da San Gottardo. L’itinerario si sviluppa in Valfurva su pendii piuttosto dolci e generalmente non coinvolti da distacchi nevosi, tuttavia, oltre le baite di Cavallaro, è bene prestare attenzione agli accumuli e ai costoloni più pendenti. Primavera 2009 D al al parcheggio a San Gottardo prendiamo la stradina che si diparte a NE della provinciale fino alle ultime case della frazione. Con belle serpentine saliamo verso E per boschi e prati. Incontriamo su una bella radura alcuni minuscoli fienili (taulà). Ci portiamo quindi leggermente a dx e raggiungiamo le belle baite di Gerlong (m 1800 ca). La parte alta delle case è in legno. L’isolamento fra le assi è fatto col muschio, una valida e ecologica alternativa alle schiume sintetiche. Mi spiega Fabio che il muschio viene raccolto ancora verde e pressato nelle intercapedini da sigillare. Il sole lo secca e lo rende perfettamente isolante. La salita prosegue verso ENE e ci porta fuori dalla fascia alberata, sui vasti pascoli delle Baite di Cavallaro (m 2190, ore 2:30). Il Passo Forcellino è la chiara depressione a NE. Il Monte Forcellino da qui non è visibile, ma a dx del passo si erge chiara la Cima di Saline, poco frequentata scialpinisticamente per la presenza di grossi e fastidiosi massi che impediscono al manto nevoso di regolarizzarsi. Arrivare al passo (m 2778) è estremamente facile e senza tracciato obbligato, ma con neve instabile LE MONTAGNE DIVERTENTI M ONTE F ORCELLINO 43 Alpinismo Sul versante occidentale del Monte Confinale è presente un piccolo ghiacciaio di circo: il Ghiacciaio di Confinale Ovest. L’apparato glaciale è rimasto pressoché stazionario dal 1992 al 2000 mantenendo una superficie di 12 ha mentre dal 2002 in poi la perdita di superficie è stata netta ed evidente. Negli ultimi anni il ghiacciaio ha adottato una tattica di autodifesa per poter contrastare le alte temperature estive. La perdita di spessore e le numerose piccole frane della parete rocciosa sovrastante hanno ricoperto il ghiacciaio di detrito, un ottimo isolante che ne sta rallentando il declino. (19 agosto 2008, foto Davide Colombarolli). conviene evitare le zone ventate e gli accumuli, per salire invece lungo il crinale sulla sx. Oggi che c’è pericolo 4 su 5, anche in questi tratti apparentemente sicuri, abbiamo assistito a pericolosi assestamenti e all’apertura di crepe dovute al nostro passaggio. Dal passo, con una diagonale che mira direttamente alla vetta, raggiungiamo facilmente il Monte Forcellino (m 2842, ore 2). La vetta offre un panorama eccelso sia sulla Val Zebrù e le cime vicine, tra cui svettano la Punta del Cristallo a N (m 3393) e il Monte Confinale a SE (m 3370), che sulle montagne più lontane e sull’abitato di Bormio. Spettacolari sono i colori della cresta di Reit a NO. La discesa per San Gottardo può essere effettuata per la stessa via della salita, oppure (varianti indicate in verde a pag. 42), con neve assestata, per il Valun di Selina (E poi N) fino al Rifugio Campo (m 2080). Da qui si deve però affrontare un lungo tratto noioso, dove in parte occorre spingersi (10 km). Un’altra alternativa di salita/discesa è quella dal parcheggio di Niblogo (m 1600 ca), raggiungibile in macchina da San Nicolò (prendere a sx dal municipio, quindi, dopo Piazzola, sulla dx). Dopo aver seguito la rotabile a transitabilità limitata fino al ponte di Pecenaccio, si piega a S verso Pradaccio di Sopra (m 1700 ca), per poi salire a ESE alle baite di Cavallaro e ricongiungersi all’itinerario da San Gottardo. Dalla cima del Monte Forcellino si ha una vista privilegiata su Bormio, 1600 metri più basso (9 febbraio 2009, foto Beno). 44 LE MONTAGNE DIVERTENTI Primavera 2009 LE MONTAGNE DIVERTENTI I tipici fienili in legno nei pascoli sopra San Gottardo (9 febbraio 2009, foto Beno). Nelle baite di Gerlònc si possono ammirare le intercapedini isolate con muschio secco (9 febbraio 2009, foto Beno). M ONTE F ORCELLINO 45 Alpinismo Dai vari paesi della Valmalenco il Sasso Moro non è visibile, incastonato com’è nel gruppo del Bernina; solamente uscendo dalla penultima galleria lungo la strada che porta a Campo Franscia, nel comune di Lanzada, appare in tutta la sua maestosità. E’ una montagna piuttosto estrosa, con un aspetto differente ad ogni versante: piramidale a S, con varie guglie a O, pendio addolcito a N e “gandùn” a E. Deve il suo nome alle rocce scure che lo compongono: rocce famose, le serpentiniti della Valmalenco Sasso Moro (m 3108) Luciano Bruseghini Il Sasso Moro da Campagneda (8 dicembre 2008, foto Luciano Bruseghini). 46 LE MONTAGNE DIVERTENTI Primavera 2009 LE MONTAGNE DIVERTENTI S ASSO M ORO 47 Alpinismo Alp A Al piini in n smo mo Valmalenco L'ultimo ripido tratto verso la vetta (5 gennaio2009, foto Luciano Bruseghini). Il tracciato di salita al Sasso Moro visto dal rifugio Carate, m 2636 (1 gennaio2009, foto Beno). BELLEZZA FATICA PERICOLOSITÀ Partenza: Campo Moro (Lanzada) (m 2000). Itinerario automobilistico: da Sondrio prendere la strada provinciale SP15 per la Valmalenco. Arrivati a Lanzada (15 Km) proseguire lungo la strada che attraversa l’intero paese e le varie frazioni in direzione Campo Franscia (5 Km). Da qui spesso la strada è innevata per tutto il periodo invernale. Proseguendo per altri 5 Km si giunge a Campo Moro nei pressi della diga. Itinerario sintetico: Campo Moro (m 2000) - Sette sospiri - Forcella di Fellaria (m 2819) - Sasso Moro (m 3108). Variante di ritorno per la Valle di Fellaria - Rifugio Bignami (m 2401) - Diga Alpe Gera. Tempo di percorrenza previsto: 5 ore per la salita. Calcolare 40’ in più per il ritorno dalla Valle di Fellaria. Attrezzatura richiesta: sci o ciaspole, ramponi, piccozza, kit antivalanga. Difficoltà: 3 su 6. 4 su 6 se si rientra per la Val Fellaria (pericolo valanghe). Dislivello in salita: 1317 metri (misurato con apparecchio GPS). Dettagli: BSA. OSA se si rientra per la Val Fellaria. P oco frequentato durante il periodo estivo, il Sasso Moro è trascurato anche in inverno, soprattutto perché nelle immediate vicinanze vi è il blasonato Pizzo Scalino, meta classica per migliaia di scialpinisti. L’isolamento, d’altro canto, regala oltre al silenzio quei bellissimi pendii di neve immacolata che hanno spesso accolto le mie serpentine in libertà. Lasciata la macchina nel piazzale sovrastante l’invaso artificiale di Campo Moro (m 2000), mettiamo gli sci in spalla e ci abbassiamo a sx in direzione del muro di contenimento (il camminamento della diga è privo di neve per consentire il passaggio dei mezzi dei guardiani). Giunti alla casa dei guardiani, inforchiamo gli sci e scendiamo a sx lungo una stradina che porta ai piedi dell’invaso. Normalmente io e i miei amici la percorriamo già con le pelli di foca, visto che si tratta di un breve pendio, anche se presenta diverse curve e due tornanti. Raggiunto il pianoro sottostante, seguiamo i cartelli indicatori del sentiero che nel periodo estivo porta ai Rifugi Carate e Marinelli. Qui siamo a quota 1900 metri, il punto più basso dell’itinerario. Alzando gli occhi al cielo scorgiamo là in alto la cima che ci attende. Il Sasso Moro ci accompagnerà sulla dx per la totalità dell’itinerario; infatti per raggiungere la sua vetta dobbiamo compiere il periplo completo. Inizialmente il percorso si svolge lungo un tracciato tortuoso in direzione SO, incastonato fra le rocce e baciato dal sole, dove spesso manca anche la neve. Capita alle volte di dover togliere gli sci e di salire tratti di questa diagonale a piedi. Forse è anche tale difficoltà iniziale a scorag- RIFUGIO CA’ R UNCASCH giare tanti scialpinisti e a farli rinunciare a questa spettacolare cima. Dopo circa mezz’ora di salita raggiungiamo un poggio a 2050 metri di quota. Da qui in avanti il tracciato piega in direzione NO, la neve è sempre abbondante e farinosa. Davanti a noi appare il Monte delle Forbici (m 2910), mentre in basso a sx è visibile l’Alpe Musella (m 2021), alpeggio ancora caricato nel periodo estivo, dove sorgono i rifugi Mitta e Musella, un tempo utilizzati come punto di appoggio per le salite nel gruppo del Bernina. Il sentiero, quasi pianeggiante, attraversa un fitto bosco di larici, profumatissimo d’estate e scheletrico in inverno. A dx domina sempre il Sasso Moro: noi continuiamo a contemplarlo. Dopo un’altra mezz’ora di sciata si arriva alla base dei “sette sospiri”, una serie di infide “collinette” che sembrano non voler far raggiungere agli escursionisti il rifugio Carate (m 2636), ben visibile in alto, nei pressi della Bocchetta delle Forbici. Di fronte ci sormontano le imponenti Cime di Musella (m 3088) simili ai denti di un’enorme sega. Con diverse serpentine e alcuni ampi traversi, superiamo i primi quattro dossi dei “sette sospiri”. Sulla dx si aprono due canali: entrambi sono percorribili per raggiungere la Forcella di Fellaria (m 2819), nostra meta intermedia. Preferiamo quello ALL’ALPE CAMPAGNEDA LANZADA (SO) - TEL. 347 9804 889 per gli amanti di neve, sci, ciaspole e polenta! www.caruncasch.it 48 LE MONTAGNE DIVERTENTI Primavera 2009 LE MONTAGNE DIVERTENTI APERTURA: MARZO E APRILE APERTO TUTTI I GIORNI; DA METÀ GIUGNO A METÀ SETTEMBRE TUTTI I GIORNI; TUTTI I WEEKEND SINO AI PRIMI DI NOVEMBRE. CAMERE A 2 O 4 POSTI, CON SERVIZI PRIVATI, CUCINA TIPICA. S ASSO M ORO 49 Alpinismo Valmalenco amano il brivido, consiglio invece la discesa dal versante E. Entrambi portano sempre in Val Fellaria. Sottolineo che questi ultimi due itinerari sono solamente per sciatori esperti e vanno fatti in condizione di innevamento stabile, perché obbligano il passaggio lungo pendii verticali, a picco sull’invaso idroelettrico. Il percorso da me preferito prevede il recupero degli sci sotto la guglia terminale e la discesa in direzione E nell’ampio canalone costellato da grossi massi, tenendosi sul lato sx, proprio sotto una grande parete rocciosa. Dopo un centinaio di metri circa, il canale si restringe molto fino a una larghezza massima di cinque metri e la pendenza aumenta enormemente. Ma non c’è da preoccuparsi: qui la neve, protetta dai pericolosi raggi solari, è abbondante e farinosa. E’ una super discesa che ha sempre entusiasmato tutti gli amici che vi ho portato! Raggiunto il pianoro di fondoval- I tracciati di discesa dal Sasso Moro visti dal Bivacco Pansera (9 aprile 2007, foto Beno). In giallo la via classica, in verde per la via di salita, in rosso per il canalone ripido. più a monte, appena sotto le Cime di Musella, perchè ha una pendenza più regolare, mentre l’altro sale dapprima dolcemente per poi impennarsi bruscamente nel tratto finale. Il tragitto lungo questo canale è molto sconnesso, a volte anche con grandi quantità di neve, perchè il fondo è costituito da enormi massi caduti a valle dalle cime sovrastanti. Consiglio di percorrere questo tratto proprio nel fondo del canale e non lungo i bordi per evitare continui slalom tra gli enormi macigni. Terminato il canale, una breve e facile salita conduce alla Forcella di Fellaria (m 2819 ore 3:30). Qui si ricollega anche l’altro canale, citato in precedenza, che può essere utilizzato come alternativa per il ritorno a valle. Siamo al cospetto del versante N del Sasso Moro che ci appare sicuramente meno impervio di quello visto dal parcheggio della macchina. Ancora uno sforzo e raggiungeremo l’agognata meta. Dal passo, senza togliere le pelli, ci abbassiamo verso dx di una cinquan- 50 LE MONTAGNE DIVERTENTI tina di metri e percorriamo un traverso in leggera salita fino a raggiungere un’ampia conca occupata da un piccolo apparato glaciale. Con diversi zig zag in direzione SE vinciamo il pendio sovrastante e raggiungiamo il vallone che scende dall’anticima (ore 4:00). Qui si trova sempre una superba neve che permette delle divertentissime discese. Se lo si percorre tutto, dalla alto fino al Vallone di Fellaria è lungo circa un chilometro! Arrivati sulla sommità del canalone non bisogna farsi ingannare dalla guglia a dx, non è la cima. Per raggiungere la vetta bisogna compiere un traverso verso sx, sotto degli sfasciumi e fare lo slalom tra alcune rocce taglienti che affiorano appena dalla neve. Lasciati gli sci alla base dell’imponente torrione che ci si para davanti, raggiungiamo la sommità utilizzando, sulla dx, gli ampi gradini rocciosi, da cui si ha un’ottima vista sulla vertiginosa parete O. E’ fatta, siamo in vetta al Sasso Moro (m 3108, ore 5:00). La vista è fantastica: verso S la pira- mide perfetta del Pizzo Scalino, con il nugolo di formichine [scialpinisti] che risalgono il suo ghiacciaio; verso N il Bernina e i suoi poderosi vicini Scerscen, Roseg, Argent e Zupò. Verso O in lontananza il solitario Monte Disgrazia, mentre a E la bassa cresta della Valmalenco permette di vedere le montagne della Val Poschiavo, con il Sassalbo che emerge sulle altre. Ancora più lontano il gruppo dell’Ortles – Cevedale e l’Adamello. Ma la vista più impressionante la si ha se si guarda in basso, oltre il bacino idroelettrico, e si scorge la propria minuscola macchina nel lontano parcheggio. Ora si ha veramente la consapevolezza della salita percorsa! L a discesa offre diverse alternati- ve. La più classica prevede il rientro utilizzando l’itinerario di salita, optando anche per la variante del secondo avvallamento (quello più a S) alla Forcella di Fellaria. Chi ama le serpentine ampie su neve morbida non potrà che utilizzare tutto l’immenso canale che dall’anticima si abbassa lungo il versante N. Per quelli che come me Primavera 2009 L'ampia conca oltre la Forcella di Fellaria (5 gennaio 2009, foto L. Bruseghini). le bisogna spingersi con i bastoncini per alcune centinaia di metri fino all’alpeggio di Fellaria (m 2400) dove sorge anche il rifugio Bignami. Da questo punto bisogna percorrere l’ulteriore canale, alle spalle del rifugio, che scende fino alla diga. Da evitare assolutamente il sentiero, con esposizione S, che costeggia in diagonale e in leggera discesa il bacino di Campo Gera e porta al muro dell’invaso: le enormi valanghe che si staccano ogni anno dai pendii sovrastanti occludono alcuni passaggi fra le rocce e rendono Alpinismo inagibile questa strada. Ho sperimentato sulla mia pelle, l’ultima volta che ho raggiunto questa cima, che tale tracciato presenta veramente delle insidie quasi insuperabili! Raggiunto il bordo del lago, rimesse le pelli ai piedi, si risale il versante opposto fino all’alpe Gembrè (m 2224) e si procede quindi per il sentiero, con esposizione N, che arriva sempre alla diga. Scesi a piedi lungo la passerella arroccata al muro del bacino idroelettrico fino alla casa dei guardiani, si rimettono gli sci e si percorrono gli ultimi 2 Km di strada carrozzabile che conducono al parcheggio di Campo Moro. 1953 - Riva 2006 - Gusmeroli Il rifugio Bignami (5 gennaio 2009, foto L. Bruseghini). La diga dell'Alpe Gera vista dal Rifugio Bignami (5 gennaio 2009, foto L. Bruseghini). Il Sasso Moro è una gigantesca montagna di serpentino con relitti di rocce pirosseniche dal tipico colore brunastro che s'erge a N dei bacini di Campo Moro e a S della Forcella di Fellaria. Dalla vetta, data la sua posizione eccentrica, si gode un'ottima vista sui gruppi di Bernina, Scalino, Palù e Disgrazia. Data la sua vastità, il Sasso Moro presenta caratteristiche diverse a seconda dei versanti. A S la parete precipita per oltre mille metri fino ai bacini di Campo Moro, interrotta da alcuni larghi ripiani e cenge. Gli altri versanti sono per lo più ricoperti da sfasciumi, ad eccezione della conca settentrionale, dove si estende ciò che resta dei Ghiacciai del Sasso Moro. Il Ghiacciai, Nord Est e Nord Ovest, vennero riconosciuti ufficialmente da Giuseppe Nangeroni nel 1928 quando complessivamente occupavano una superficie superiore ai 10 ettari e scendevano con la fronte fino a m 2800. Nel 1990 il Ghiacciaio Nord Ovest si presentava già diviso in due placche. L’incremento della fase di regresso registrata dopo il 1990 ha portato all’estinzione della placca orientale e di quella occidentale inferiore avvenuta nel 2006. Quel che resta ad oggi è una piccola placca di ghiacciaio, appiattita e priva di dinamismo, che copre a malapena 2 ettari di superficie. Per quel che riguarda gli altri versanti, la spalla OSO s'abbassa fino al ripiano di Franscia, quella N giunge alla Forcella di Fellaria, mentre la E scende al rifugio Bignami. (1) GALLUCCIO A., CATASTA G. (a cura di) - Ghiacciai in Lombardia, nuovo catasto dei ghiacciai lombardi, Edizioni Bolis, Bergamo 1992 (2) CGI (1961) – Catasto dei Ghiacciai italiani, CNR. ,Torino 1961 Il Pan di Zucchero della Valchiavenna Giorgio Orsucci - www.orsu.it 52 - LE MONTAGNE DIVERTENTI LE MONTAGNE DIVERTENTI T ORRE DI S EGNAME 53 Escursionismo Valchiavenna Importante punto di osservazione nell'anno 1000, ai giorni nostri, nei mesi in cui le nevi assediano gelide le montagne, la Torre di Segname, sorgendo alla modesta altezza di 655 metri, si presta per una gita di scarso impegno fisico e mentale, ma di interesse storico, paesaggistico ed etnografico. Partenza: Bedogna (San Pietro di Samolaco) (m 323). Itinerario automobilistico: Da Sondrio percorrere la SS 38 della Valtellina fino a Delebio (30 km). Dopo il ponte, alla rotonda, svoltare a dx sulla SP 4, quindi raggiungere Nuova Olonio sulla SS 402 (39 km). Qui imboccare la SS 36 e percorrerla fino a Novate Mezzola, dove si svolta per Samolaco tramite sottopasso ferroviario (46 km). Proseguire lungo la Piana di Chiavenna, attraversare la Mera, superare Era quindi, giunti a San Pietro, entrare in paese risalendo per intero Via Tonaia, superare il ponte sul Mengasca e salire fino a Bedogna (54 km). 323) – Bivio (m 480 circa) - Torre di Segname (m 655) – Alpe Segname (m 543) - Bivio (m 480 circa) - Ca’ Pipéta (m 500 circa) – Bedogna (m 323). Tempo di percorrenza previsto: 2 ore per l’intero giro. Attrezzatura richiesta: Difficoltà: 1 su 6. Dislivello in salita: 400 metri circa. Dettagli: E. Itinerario sintetico: Bedogna (m La Torre di Segname (foto E. Minotti). In basso: panorama sulla Valchiavenna dalla Torre di Segname (foto E. Minotti). A pag. 55: sulla via di salita alla torre, lassù in alto (foto R. Moiola). Valtellina e Valchiavenna hanno costituito per lungo tempo dei corridoi commerciali di grande importanza nel collegamento fra nord e sud delle Alpi, fra Milano e i Grigioni. All’inizio del secondo millennio, queste valli erano perciò munite di notevoli apparati difensivi e di postazioni di controllo, in grado di sorvegliare, nel fondovalle, i movimenti dei traffici regolari così come di eventuali soldatesche nemiche. In particolare, il corridoio geografico da Milano a Chiavenna, e ancora oltre fino ai valici dello Spluga e del Maloja, era servito da una linea di torri di avvistamento che, tramite segnalazioni ottiche, rendevano possibile, in situazioni di emergenza, un’immediata richiesta di soccorso e un rapido intervento di armate alleate. Stiamo parlando di un’edilizia difensiva che per certi aspetti non aveva nulla da invidiare a quella che in quei tempi potevamo trovare, per esempio, nelle vallate altoatesine; tuttavia, una serie di fattori politici e geografici hanno privato le valli di Sondrio di molte torri e castelli: più precisamente, come causa di ciò, possiamo identificare, da una parte, l’opera di distruzione o sabotaggio di tutti i fortilizi di uso bellico, compiuta nel 1639 sotto la dominazione elvetica delle Tre Leghe; dall’altra, il naturale degrado delle torri di avvistamento, rese inutili dall’affermarsi dell’artiglieria. Un’eccezione, in questo quadro di degrado, è costituita dalla Torre di Segname, il cui nome ne rivela fin BELLEZZA FATICA PERICOLOSITÀ da subito la funzione. Un’eccezione, dicevo, poiché è rimasta relativamente intatta nei suoi corpi costitutivi fino ai giorni nostri. I motivi? Posta in felicissima posizione sulla sommità di un severo colle roccioso che si alza di quattrocento metri sulla Piana di Chiavenna (un autentico Pan di Zucchero chiavennasco), la torre ha visto la sua ancora di salvezza proprio nel suo isolamento e nella sua sensazionale panoramicità, aspetto che la rendeva utile anche ai nuovi dominatori. Itinerario L ’itinerario proposto è a forma di otto, del quale però seguiremo prima tutto il suo lato destro, quindi quello sinistro. Ci portiamo a San Pietro di Samolaco, tranquilla località vicina alla riva occidentale della Mera, e seguiamo le indicazioni per Ronscione, che superiamo per arrivare alle case di Bedogna (m 323), nostro punto di partenza: alla fine della strada troviamo uno slargo che permette il parcheggio per tre o quattro macchine. La segnaletica indica due ore e mezza per effettuare l’anello della torre (segnavia D 15), una 54 LE MONTAGNE DIVERTENTI Primavera 2009 LE MONTAGNE DIVERTENTI previsione che tiene in considerazione le varie soste che ci saranno imposte dalle attrattive del luogo che stiamo andando ad esplorare. Ci incamminiamo, la torre ben visibile di fronte a noi, sulla cima del suo panoramico poggio; oltrepassiamo vari corsi d’acqua, che scendono in gran numero da queste montagne, e numerose baite e casolari, tutti abbandonati al loro degrado (ad eccezione del primissimo edificio che incontriamo subito alla partenza, adibito a stalla). A neanche 10 minuti dalla macchina arriviamo ad un primo bivio: a dx è indicata la “Torre”, a sx la “Ca’ Pipéta”. Faremo ritorno da quest’ultima via, ma ora proseguiamo in falsopiano verso dx (direzione N) . Ad un tratto nel bosco segue un passaggio più panoramico, che regala le prime viste sulle cime della Val Codera e sul Pizzo di Prata; sotto i nostri piedi, placche di rocce montonate, forgiate dai movimenti dei ghiacciai quaternari. Poco oltre andiamo a risalire, con un paio di tornanti, un ripido pendio alla cui sommità troviamo i ruderi di un T ORRE DI S EGNAME 55 Escursionismo casolare isolato (m 460, ore 0:301). Alle sue spalle una traccia di sentiero, una “via direttissima” per la torre, che noi ignoriamo per proseguire invece in piano verso NO. Veniamo qui iniziati ad una bella e tranquilla conca, fittamente boscosa, chiusa fra le pendici del Borlasca (a sx) e il dosso della torre (a dx), allietata dal mormorio di un torrente. Alcuni enormi massi, incastrati fra betulle e querce, completano la composizione. Al centro della conca troviamo un crocevia (m 480, ore 0:10), l’asola centrale del nostro 8. Dall’estate 2008 questi boschi sono dotati di una nuova cartellonistica che facilitano l’orientamento: proseguendo verso N, ci informano i nuovi cartelli, si arriva all’Alpe Segname, mentre il sentiero che si allontana sulla sx conduce alla Ca’ Pipéta: ci serviremo di queste due direttive per l’itinerario di ritorno. Ora invece pieghiamo a dx, imboccando la traccia che taglia in diagonale il colle della torre; risalendo non troppo faticosamente fra boschi di betulle, ne conquistiamo la cima (m 655, ore 0:20). La sommità del colle che ospita la Torre di Segname si estende longitudinalmente in direzione N-S; la sensazione di lunghezza e di strettezza, accentuata dalle linee rette disegnate nelle rocce montonate, ci fa pensare di trovarci sullo scafo di un enorme sommergibile, del quale la torre costituisce la torretta di controllo, se non fosse che, verso E, subito al di là di una recinzione metallica, non c’è acqua bensì un salto nel vuoto di quattrocento metri. La Torre di Segname, alta quasi 10 metri, 2 metri e qualcosa per lato, è in 1 - Le tempistiche indicano il tempo necessario per raggiungere la località citata dall'ultima località in grassetto. 56 LE MONTAGNE DIVERTENTI Valchiavenna percepire le condizioni di vita di una società contadina di duecento anni fa. Il viaggio nella storia e nella tradizione prosegue, poco più in basso, presso un altro minuscolo nucleo di baite (località Burdèl): una di queste riporta, sull’architrave sopra il portone d’ingresso, la data del 1798, mischiata fra altre lettere e simboli di difficile interpretazione (ho posto la questione anche ad un importante epigrafista lombardo); verso valle, invece, espone il basamento, ricavato da un blocco unico, di un antico torchio; incise nella roccia, le scanalature per lo scolo del vino. Da qui il tracciato, piuttosto ripidamente, ci riconduce al primo bivio, dove avevamo seguito l’indicazione per la “Torre”. Con poche falcate facciamo ritorno alla nostra auto, parcheggiata a Bedogna (m 323, ore 0:20), andando a richiudere il nostro "8". Un itinerario escursionistico breve e di poco impegno, ma al contempo ricco di spunti: ai panorami che si gustano dalla torre si aggiunge una gran quantità di baite, casolari e modeste dimore contadine, sparse per questi boschi, che raccontano di un tempo in cui molte persone vivevano in un rapporto indissolubile con una montagna che, in cambio del loro duro lavoro, concedeva loro il necessario per vivere. La Torre di Segname (29 gennaio 2009, foto Ciardiello Cassandra). grado di mostrarsi nella sua completezza solo dopo il 1999, a seguito dei restauri e delle ristrutturazioni effettuate dal Comune di Gordona. Non solo si è potuto preservare da possibili crolli un monumento storico della Valchiavenna, ma si è anche resa possibile una migliore e più interessante fruizione della torre da parte del turismo: tramite tre rampe di una ripida scaletta a pioli si possono infatti superare gli 8 metri di dislivello che separano la base della torre dalla sua terrazza sommitale. Vi si può accedere liberamente aprendo l’inferriata che protegge la breccia sul lato N, aperta a inizio Novecento per consentire l’ingresso nella torre; la chiave che apre il lucchetto, di norma, è appesa ad un cordino sull’inferriata. Di grande interesse il panorama sul verdissimo Piano di Chiavenna e sui monti che lo cingono, che sembrano tuffarsi nei campi coltivati. Dopo una sosta dovuta, riprendia- Il basamento di pietra dell'antico torchio in località Burdèl (18 gennaio 2009, foto G.Orsucci). A sx: all'interno della Torre di Segname (18 gennaio 2009, foto G. Orsucci). mo il nostro itinerario: ci incamminiamo verso N, lasciandoci la torre alle spalle, dapprima in falsopiano, quindi in lieve discesa attraverso un suggestivo corridoio naturale che lentamente piega verso sx, in fondo al quale troviamo i tre casolari (uno dei quali ristrutturato e occasionalmente abitato) che compongono l’Alpe Segname (Avert Segname, m 543, ore 0:10). Ignoriamo il sentiero per Gordona che scende sulla dx, e voltiamo verso S: eccoci ora all’interno di un’altra suggestiva conca, incredibilmente pianeggiante, una sorta di campo da calcio seminato a betulle e faggi e cinto lungo il perimetro da un muretto a secco. In pochi minuti di cammino, i nostri passi ci riportano al bivio incontrato sulla via della salita (m 480, ore 0:10); come preannunciato, prendiamo ora il sentiero che sale dolcemente verso dx (SO) e che, in meno di 3 minuti, ci conduce nella radura che ospita la Ca’ Pipéta (m 500, ore 0:05). Importante monumento di interesse etnografico, la Ca’ Pipéta è un’abitazione contadina della fine del Settecento interamente ricavata sotto un mastodontico monolito; nonostante lo stato di decadenza che regna all’interno delle otto stanze dell’umile dimora, si è comunque in grado di Primavera 2009 LE MONTAGNE DIVERTENTI T ORRE DI S EGNAME 57 Escursionismo Ca' Pipéta Sergio Scuffi Ca Pipéta (6 ottobre 2007, foto Enrico Minotti). Secondo alcune testimonianze orali, la casa sarebbe stata abitata fino ai primi del Novecento. Non fu l’unica. Allo stesso periodo occorre far risalire l’ultima utilizzazione, come stabile dimora, anche delle abitazioni che si trovano sulla stessa fascia altimetrica (andando verso Sud: Piazza Bedogna,Monastero, Macolino, Piazza, Montenuovo, Ronco, Fontanedo e altri minori). A seguito della bonifica del piano della Mera, negli ultimi decenni dell’Ottocento, le famiglie, infatti, scesero gradualmente a valle: già negli anni ‘50 nessuno più viveva lassù, con conseguente aumento di popolazione negli attuali nuclei abitati, generalmente in corrispondenza dei conoidi dei vari torrenti (Mengasca, Bolgadregna, Valle d’Era, Casenda). Certo è che la Ca’ Pipéta necessita ora di un intervento di ripristino e di valorizzazione, come l’ha ricevuto la Torre di Segname. I Comuni di Samolaco (sul cui territorio si trova l’interessante costruzione) e quello di Gordona, anche su sollecitazione dell’Associazione Culturale Biblioteca di Samolaco, che aveva a sua volta interpellato il direttivo della Comunità Montana, hanno avuto di recente in donazione l’edificio e il terreno circostante, ragion per cui si sono assunti l’impegno di risistemare Ca’ Pipéta e renderla disponibile per le visite. In compenso, i ragazzi della Scuola Media di Samolaco (classe 1aD, anno scolastico 1987-88) hanno raccolto documentazione e immagini relative alle costruzioni tipiche del luogo, facendone una mostra e pubblicando il fascicolo “Samolaco: tra materiale immaginario”. Qui hanno dedicato tutta la seconda parte alla Ca’ Pipéta. I più curiosi possono trovare la pubblicazione presso la scuola medesima (ora intitolata all’ex presidente dell’Argentina Arturo Umberto Illia, originario di qui), oppure preso la Biblioteca Comunale, con sede a S. Pietro. Presso la stessa Biblioteca o gli uffici del Comune si può acquistare per pochi euro anche la fiaba: “Storia di un uomo chiamato Pipetta”: un racconto, come dice l’autrice Silvana Battistessa, “dedicato ai bambini e... a tutti coloro che, un pochino, si sentono ancora tali…” Riscoprire lo sci di fondo escursionistico Eliana e Nemo Canetta Sci di fondo escursionistico nella provincia di Sondrio: salendo lungo la strada che porta al Passo Spluga (foto Nemo Canetta). Un po’ di storia, ricordi e tre proposte nel gruppo del Sobretta, a quote inusuali per i fondisti Quando, nell’ormai lontano 1968, Franco Nones vinse la medaglia d’oro nei 30 km di fondo a Grenoble, l’Italia rimase stupefatta. Benché gli sport invernali nel secondo dopoguerra fossero divenuti via via più popolari, lo sci di fondo restava per gli italiani qualcosa di ignoto. Ricordo ancora quando, nella prima metà degli anni sessanta, con un compagno di classe mi iscrissi alle prove invernali fondistiche del liceo. Il professore ci chiese se avevamo gli sci da fondo. E noi, lasciandolo di sasso, rispondemmo tranquillamente che 58 LE MONTAGNE DIVERTENTI Primavera 2009 LE MONTAGNE DIVERTENTI “avremmo corso con quelli da sci alpinismo”. Pur praticando la montagna da quasi 20 anni e sciando da 15, non avevamo la minima idea di quanto gli sci da fondo fossero differenti dagli altri. Ecco quindi che quella medaglia d’oro del tutto imprevista, in un Paese che del resto non si è mai molto interessato ad altri sport che non fossero il pallone, creò una fortissima corrente di interesse verso le discipline olimpioniche. Non è quindi un caso che, pochi anni dopo, si corresse nelle valli di Fiemme e di Fassa la prima Marcialonga: la gara di sci “di massa” che rese popolare lo sci di fondo, non solo tra gli addetti ai lavori ma un poco in tutta Italia. Tra di noi, appassionati di neve, la Marcialonga apparve subito come una sfida. Nelle settimane successive alla prima edizione, fu un intrecciarsi di telefonate, incontri e progetti. Tutto il nostro gruppo, dai giovani rampolli quindicenni ai più attempati padri di 40/50 anni, voleva esserci alla seconda competizione. Come sempre accade, il tempo F ONDO ESCURSIONISTICO 59 Escursionismo raffreddò un poco gli entusiasmi, ma una bella comitiva a Sant’Ambrogio del ‘71 si trovò sulle nevi malenche per iniziare gli allenamenti. La cosa più buffa era che nessuno aveva mai fatto un metro di fondo. C’eravamo addestrati leggendo un manuale, l’unico manuale esistente ai tempi, scritto da uno svedese e tradotto in italiano. Dovemmo imparare tutto sulla nostra pelle, dall’uso delle misteriosissime scioline alla spalmatura della mitica grundvalla, una pestilenziale mistura di pece e catrame studiata Chiareggio o mete similari con lunghi tratti pianeggianti di strada con gli sci da discesa o gli sci da alpinismo era alquanto faticoso e non troppo divertente. Invece con gli sci da fondo … Parallelamente in Lombardia -e non solo- altri giunsero alla stessa conclusione. Tra i tanti, mette conto di citare l’ing. Zanchi del CAI Milano che, nel giro di un paio di anni, fondò addirittura la prima scuola di sci di fondo escursionistico del sodalizio. Eravamo tra la fine degli anni settanta e l’inizio degli ottanta. Una delle prime mete sci-escursionistiche “scoperte” in Valmalenco: Chiareggio. Alla fine degli anni settanta il borgo alpestre in inverno era totalmente abbandonato (foto N. Canetta). per impegnare e impermeabilizzare le solette degli sci, che erano ovviamente di fragile legno. E venne finalmente la gelida mattina della competizione. Alla fine il nostro gruppetto di eroi riuscì, con qualche rara eccezione, a terminare l’impresa: 70 km filati non erano certo poco per dei neofiti. Ma l’anno dopo mentre cercavamo terreni di allenamento un poco più adatti della Valmalenco, mio padre ed io ci trovammo quasi per caso sull’altopiano di Asiago. E là assistemmo a una sorta di gara di sci alpinismo, il Trofeo Campi di Battaglia, che con grande nostra meraviglia tutti correvano con gli sci da fondo. L’idea ci fulminò. Perché allora non percorrere liberamente, con quegli stessi sci, strade forestali, strade militari o pianori? Anche prima lo si faceva legni ai piedi, ma, inutile negarlo, raggiungere 60 LE MONTAGNE DIVERTENTI Il successo fu travolgente poiché un gran numero di appassionati, che non osavano cimentarsi con lo sci alpinismo ed erano stufi di code e rumori dello sci alpino, scoprì un nuovo modo per vivere e conoscere la montagna invernale. In realtà, soprattutto sconfinando, si poteva fare sci escursionismo anche su lunghissime piste tranquille. Già allora, infatti, l’Engadina era quasi tutta percorribile in sci da fondo e poco dopo fu la volta della Pusteria e di altre mete fondistiche che hanno fatto la storia, non solo sul piano sportivo ma pure su quello turistico, di questo modo di “andar per monti”. Ma se le piste turistiche attiravano le masse, i puristi cercavano la neve fresca. E fu una vera e propria corsa estesa a tutte le Alpi e ben oltre, sino ai Sudeti, al Giura franco-svizzero, alla Foresta Nera, a cercare e dise- gnare tracciati ove far correre i legni tra lo scricchiolio della neve vergine. Le scuole si moltiplicarono, le riviste del settore iniziarono a interessarsi al fenomeno, uscirono le prime guide con tracciati di sci di fondo escursionistico. Il CAI Milano organizzò addirittura una spedizione in Groenlandia per testare la possibilità di effettuare questa disciplina. Quanto a noi, ci spingemmo a esplorare i boschi infiniti della Slovenia e della Polonia (e più di recente pure dei Carpazi ucraini e della Siberia), scoprendo ambienti che forse si prestavano ancor più delle Alpi al fondo escursionistico. Ma gli italiani sono sensibili alle mode e forse meno amanti della natura vissuta con sudore e fatica di quanto lo siano altri popoli europei. Inoltre l’introduzione del passo di pattinaggio, perfetto sulle piste ma improponibile in neve fresca, fece sì che il fondo escursionistico prendesse una strada opposta a quello agonistico, con cui invece aveva sempre convissuto e convive ancor oggi nel Nord Europa. Infine vennero le racchette da neve che, chissà perché tutti oggi chiamano ciaspole con un termine prettamente dialettale trentino. Le racchette da neve sono sempre esistite. Ne parla Strabone a proposito dei popoli del Caucaso. Ma quando l’ingegner Kind portò i primi sci sulle Alpi a cavallo tra il XIX e il XX secolo, le prove comparative dimostrarono l’assoluta prevalenza del mezzo che veniva dalla Norvegia. Ma le mode sono mode e, lo abbiamo detto, gli italiani sono modaioli. Intendiamoci non c’è dubbio che le racchette, o ciaspole che dir si voglia, permettano di percorrere agevolmente tracciati poco adatti sia allo sci alpinismo che allo sci escursionismo. Ma è altrettanto vero che su una stradella o un pianoro non c’è paragone. Tuttavia la moda ha deciso ed oggi lo sci da fondo escursionistico un po’ ovunque, ma nel nostro Paese in maniera sostanziale, non solo ha perso posizione ma quasi è stato dimenticato. Al punto che i più giovani neppure lo conoscono. Primavera 2009 Partenza: Sunny Valley Resort di S.Caterina Attrezzatura richiesta: Valfurva (m 2650 ca). 1) e 2) Sufficiente quello da sci da fondo classico. 3) Indispensabile quella da sci da fondo escursionistico (vedi box), consigliabile kit antivalanga. Itinerario automobilistico: da Bormio si imbocca la strada statale del Passo di Gavia, risalendo, nel cuore del Parco Nazionale, tutta la Valfurva. Poco prima dell’abitato di S.Caterina di Valfurva si incontra il grande impianto di risalita (costruito per gli ultimi Mondiali in Alta Valle) che ci porterà in quota. A dx ampio parcheggio. Il parcheggio dista circa 1 o 2 km dal centro di S.Caterina. itinerari 1 e 2 Difficoltà: BELLEZZA 1) 1 su 6, nel primo tratto. 2 su 6 la salita alla Costa Sobretta; 2) 2 su 6; 3) 3 su 6. FATICA Itinerario sintetico: Dislivello in salita: PERICOLOSITÀ 1) Sunny Valley Resort (m 2650) – Dosso Sobretta (2617); 2) Sunny Valley Resort – Cameraccia – quota 2615; 3) Sunny Valley Resort - Sommità meridionale del Sobretta (m 3271). 1) 2) Anelli di fondo con dislivelli minimi; 3) 620 metri. Tempo di percorrenza previsto: Dettagli: 1) e 2) medio sciatore fondo-escursionista 3) ottimo sciatore fondo-escursionista, con esperienza d’alta montagna. 1) e 2) 1:30/2:00 ore per l’intero giro. 3) 3:30/4:00 ore A/R. itinerario 3 BELLEZZA FATICA PERICOLOSITÀ Equipaggiamento per lo sci da fondo escursionistico E’ evidente che per fare sci di fondo escursionistico l’attrezzatura da skating è alquanto inadatta. Meglio i “normali” sci da fondo, da sciolinare oppure nelle versione antiscivolo, con scaglie. Magari non velocissimi ma che permettano di evitare il classico rebus del tipo di sciolina da utilizzare. Ma esistono anche versioni di sci da fondo un poco più larghi e robusti con lame, nonché pelli di foca autocollanti su misura. Se non si scia a quote particolarmente elevate il normale abbigliamento da LE MONTAGNE DIVERTENTI fondo (facciamo riferimento al passo classico e non alle tute tecniche da passo pattinato) è sufficiente. Ma nei casi, come quello proposto, in cui si viaggia a 2500/3000 metri, se ne deve tener conto: un gilet, giacca a vento, guanti e berretto ben caldi, ecc. Uno zainetto sarà sempre utile: per metterci la cartina (indispensabile nelle escursioni), qualche alimento e bevanda (meglio energetici), un raschietto (capita, in escursione, che la neve “faccia zoccolo”). Ovviamente se non ci si limita a qualche tranquilla strada forestale, si consulti il bollettino meteo e valanghe. Fidarsi è bene ma ... Non scordatevi la macchina fotografica: l’escursionismo permette di sostare per immortalare la natura invernale! Informazioni APT Ufficio di S. Caterina Valfurva Piazza Magliavaca 23030 S.Caterina Valfurva Tel. 0342 935598 Fax 0342 925549 [email protected] Consorzio Tourisport S. Caterina Valfurva Piazza Magliavaca 23030 Santa Caterina Valfurva (So) tel (0039)(0)342.935544 fax (0039)(0)342.935342 www.santacaterina.it Sunny Valley Kelo Resort (prenotazioni e informazioni) +39 0342 902 222 [email protected] www.sunnyvalleyresort.it F ONDO ESCURSIONISTICO 61 Escursionismo Il Sunny Valley Resort con la sua struttura interamente lignea si inserisce nel paesaggio invernale delle pendici meridionali del Sobretta, con un panorama amplissimo sulla costiera del Tresero (foto N. Canetta). Vogliamo proporre tre tracciati che a nostro parere si prestano per questa disciplina. Tracciati che hanno oltretutto il vantaggio di un innevamento praticamente certo. Ci riferiamo al Monte Sobretta, quella strana montagna cupoliforme che si inframmezza tra la Valdisotto e la Valfurva e che domina con i suoi Alta Valle pendii prima boscosi, poi di prati, infine di rocce Santa Caterina di Valfurva. Chi conosce l’area certo ricorderà le polemiche non del tutto sopite per il rinnovo degli impianti di Santa Caterina, ormai giunti per età al di là delle possibilità di impiego. Grazie agli ultimi Mondiali nell’Alta Valle, gli impianti sono stati rifatti completamente e oggi con due campate si giunge comodamente a quota 2650, su una sorta di altopiano che si innalza gradatamente a NO verso la vetta. Qui è stato costruito il Sunny Valley Resort, oggi solo bar e ristorante ma tra breve pure albergo di montagna che serve ottimamente come punto di partenza per le piste di sci alpino. Nonché da base per i numerosi sci alpinisti che di qui vogliono raggiungere la sommità del Sobretta, oppure divallare al Passo dell’Alpe per discendere poi la mitica Val di Rezzalo. Ma anche con gli sci da fondo si possono avere delle belle soddisfazioni! Proprio sotto il Resort vi è un minuscolo tracciato fondistico, tra i più elevati delle nostre Alpi. Lo possiamo raggiungere con una mezza costa sempre battuta e poi, tenendoci accanto alle piste di sci, guadagnare il costone di quota 2578, proteso sopra la valle del Gavia. La neve copre tutto, ma qui erano i trinceramenti delle nostre seconde linee di difesa, se gli austriaci avessero sfondato la prima linea ai Forni. Al di là della pista di discesa, è pure possibile guadagnare la quota 2617, detta Dosso Sobretta, che offre una vista spettacolare su gran parte della Valfurva. Un’altra possibilità è, sempre dal Resort, prendere a SSO su splendidi pianori debolmente ondulati, lasciando a sx la stazione a valle di una seggiovia. Si giunge così nella conca indicata sulle carte come Cameraccia, ove in estate vi è un ameno laghetto. Si risale sull’opposto versante (in genere il tracciato è pistato) e si guadagna un dosso, che culmina con la quota 2615 circa. Ci troviamo a picco sopra la Valle dell’Alpe in questa incassata zona a guisa di forra, ove i nostri soldati avevano ricavato gallerie e trincee per controllare il sottostante Passo dell’Alpe. Questi due percorsi sono agibili a chiunque abbia un minimo di conoscenza della montagna invernale e una discreta capacità fondistica. Vi è tuttavia anche una meta ben Eliana e Nemo Canetta Beno Il Sobretta da N (9 febbraio 2009, foto Beno). più di prestigio, che richiede però eccellenti capacità e condizioni della montagna del tutto sicure. Forse Beppe Bonseri, il realizzatore del Resort, potrà tracciarvi la pista coi suoi gatti e in questo caso tutto risulterà più facile. Raggiunto il dosso della proposta precedente, si prende a NO risalendo la tranquilla Valle dell’Alpe sotto la rocciosa quota 2738. Ci si porta così, senza particolari problemi, verso i 2700 metri. A questo punto un pendio più ripido richiede attenzione; lo superiamo per trovarci su uno splendido amplissimo ripiano verso quota 2750. Siamo qui giunti ove un tempo si spingeva l’antico ghiacciaio orientale del Sobretta. La zona è libera da ostacoli e il fondista qui può tracciare le sue piste senza limiti. Ma se le vette sono per lui un impulso irrinunciabile, deve puntare a NNO verso la quota 2854. Qui è un secondo pendio assai ripido, che richiede decisamente attenzione e ottima tecnica. Lo si traversa verso SO per portarsi verso i m 2900 a un nuovo ripiano, lasciando le difficoltà maggiori alle spalle. Innalzatisi lungo valloni dall’inclinazione costante in direzione ONO, si supera senza problemi il “muro” dei 3000, per raggiungere infine verso i 3150 i resti dell’antico ghiacciaio. Senza via obbligata lo risaliamo sino alla selletta di quota 3237, da cui in breve saremo sulla sommità meridionale del Sobretta, a m 3271, forse una delle quote più elevate che si possano raggiungere con gli sci da fondo. Il panorama attorno è immenso, anche perché il Sobretta -decentrato rispetto agli altri gruppi montuosi della media ed alta Valtellina- offre una vista circolare che da sola merita la fatica. LE MONTAGNE DIVERTENTI Nemo ed Eliana Canetta. Eliana e Nemo Canetta, dal 2002 residenti in Valtellina sebbene entrambi di origine milanese, condividono da 31 anni la vita quotidiana e una grande passione per la montagna, l’escursionismo culturale la Storia Militare delle Retiche. Ne è riprova una delle loro creature più famose: l'Alta Via della Valmalenco. Si interessano ai Musei della Provincia di Sondrio, con particolare riguardo a quello della Valmalenco (creato da loro assieme ad altri amici) e a quello di Tirano, ove stanno portando avanti un ambizioso progetto di recupero storico-culturale delle opere della “piazza” tiranese durante il Primo Conflitto Mondiale, in collaborazione con l’ANA e l’Amministrazione locale. Autori di più di 40 volumi di montagna, collaborano con molte testate di escursionismo estivo ed invernale e di cultura alpina. Appassionati di viaggi, le loro ricerche si sono spinte dall’Islanda all’Atlante marocchino, dai Carpazi ucraini ai monti dei Balcani. Da qualche anno si sono appassionati alla Federazione Russa, che hanno iniziato a percorrere lontano dalle mete battute dal turismo di massa: Siberia, Elbrus, Polo del Freddo, Urali. Particolare menzione merita la loro ultima fatica: Storia della Grande Guerra in Valtellina e Valchiavenna – Volume I – Le premesse: dal 1815 al 1915, Edizioni Libreria Militare, Sondrio 2008. Non un libro di itinerari escursionistici, né un'opera “archivistica”, ma un piacevole ed interessante scritto che spiega, con linguaggio semplice, le premesse alla Grande Guerra in Valtellina. Un approfondito studio di documenti, mappe, vecchi testi e sopralluoghi effettuati dagli stessi autori che, oltre ad un quadro chiaro della situazione politico-militare di quegli anni, regala anche le testimonianze dei protagonisti più umili. Il libro brilla prima per la linearità e la semplicità dell'esposizione, poi per l'incredibile corredo di documenti e immagini. Stupisce anche i lettori più attenti per alcune deduzioni e considerazioni inedite che rompono consolidati luoghi comuni sulle strategie belliche che movimentarono mezzi e uomini nella nostra valle. Un volume che non può mancare a nessun appassionato di storia militare, ma neppure ai valtellinesi che vogliono conoscere meglio la loro storia. F ONDO ESCURSIONISTICO 63 Passo dopo passo Escursionismo Da Sondrio aTiranoo lungo l'Adda INTRODUZIONE L’INTERVISTA Beno Beno Sono stato da subito entusiasta quando Antonio Boscacci, ha offerto a “Le Montagne Divertenti” i suoi racconti di passeggiate descritte con lo stesso affascinante stile del capolavoro di Bruno Galli-Valerio “Cols et Sommets”1, di cui assieme a Luisa Angelici aveva curato la traduzione in italiano. Le narrazioni diaristiche di Antonio Boscacci, inserite in questa nuova rubrica “PASSO dopo PASSO”, parleranno di belle camminate effettuate tra il dal 1998 al e il 2007 nella nostra provincia, del fascino di andare a piedi, percorrere chilometri e guardarsi attorno, di dialoghi con le persone incontrate lungo il tragitto, di riflessioni sulla natura e sulle circostanze. I racconti di Antonio hanno in sé quel tocco di umanità e calore e sanno trasmettere, insegnare o rievocare le sensazioni che sfiorano il cuore di ogni viandante in terra di Valtellina. Camminare non è la condanna di chi non ha l’automobile o la pena d’aver scelto come propria meta una zona interdetta al traffico, quanto l’opportunità di riscoprire un viver lento e sano, di sentirsi parte e osservatori privilegiati della bellezza della natura e non arroganti e finti despoti d’un mondo che spesso, malati di frenesia e deliri d’onnipotenza tecnologico-motoristica, ci scordiamo d’ammirare con la giusta calma. 1 -Bruno Galli-Valerio, , Edwin Frankfurter, Losanna 1912. Cols et Sommets, Ascensions et traversées dans les Alpes, des Grisons et du Tyrol. Il volume contiene una raccolta di ascensioni ed escursioni effettuate dall’autore fra Valtellina, Grigioni e Tirolo dal 1888 al 1910. 64 LE MONTAGNE DIVERTENTI ri” è cresciuto moltissimo, a fronte di una sostanziale stasi del trekking in medio-alta montagna. E’ un freddo e uggioso pomeriggio d’inverno, quando mi trovo con Antonio Boscacci a parlare della sua nuova rubrica per “Le Montagne Divertenti”, a discutere di cammino ed educazione, di libri e ricerche. Antonio, la tua vita alpinistica è costellata da imprese tecnicamente difficili, esplorazioni e sperimentalismi – specie in ambito sciistico. Mi risulta difficile collocare queste gite, alla portata di tutti, all’interno del tuo percorso di ricerca. Io ho sempre cercato di sperimentare, di conoscere, di capire cosa sta là, cosa sta al di là delle cose, dei miei limiti e delle consuetudini. La roccia, lo scialpinismo sono delle parti di questo mio percorso esplorativo, ma lo è parimenti il camminare. Nessuno o quasi si sposta più a piedi, perciò il mio è stato un recuperare un modo di vivere, uno stile di vita, oggi desueto, e perciò nuovamente all’avanguardia. Media Valtellina Diario di Viaggio di Antonio Boscacci Che tipo di tracciati serve? Per una passeggiata occorrono itinerari semplici e ben segnalati. Purtroppo la tendenza attuale è quella di segnare molti sentieri senza prevederne la manutenzione. Così tutto decade e viene riassorbito dalla vegetazione. Occorrerebbe una maggiore attenzione da parte delle amministrazioni e lavori svolti con maggiore lungimiranza. Detto ciò, però, esistono alcuni esempi d’eccellenza anche nella nostra valle; ad esempio li ho visti nel tiranese dove si trovano sentieri decisamente ben tenuti. Antonio Boscacci Hanno cambiato l’ora legale e quindi si dovrebbe dormire un’ora in più. Mi alzo come faccio da mesi alla stessa ora e parto da Sondrio che sono quasi le 7. Attraverso una città ancora addormentata, con una pioggerellina sottile sottile che mi costringe ad aprire quasi subito l’ombrello. Le montagne intorno, in un cielo che si sta lentamente schiarendo, appaiono avvolte da dense cortine di nuvole. Mentre mi dirigo verso i Trippi, camminando lungo la pista ciclabile al bordo della strada, osservo, ancora distesa sui prati, una spessa coltre di nebbia. L’umidità del mattino che si sta aprendo al giorno sembra per un momento sollevarsi e svanire. Attraverso la statale 38 ai Trippi e imboc- (24 Ottobre 1998) co la strada per Piateda, osservato, mentre attraverso il ponte sull’Adda, da un grosso corvo nero appollaiato su un grande albero. Leggo gli avvisi di una pesa pubblica e, poco dopo, mi infilo a sinistra lungo una strada sterrata che mi porterà a Piateda. Chiedo conferma ad un contadino mattiniero, intento a spargere letame sull’argine di un fosso e lui annuisce. La pioggia cessa e posso infilare l’ombrello dentro lo zaino. Ma è una tregua di brevissima durata perché, fatti duecento metri, la pioggia riprende più vigorosa di prima. E’ una pioggia fastidiosa e, quando passo davanti al centro sportivo e al municipio di Piateda, mi accorgo di avere le scarpe già per metà bagnate. Restando sulla Coltivazioni a Poggiridenti Piano (18 giugno 2008, foto Marino Amonini). Quand’è nata la tua passione per le lunghe escursioni? Da piccino ho avuto la fortuna di conoscere Don Vittorio Chiari. Lui Egli portava i bambini dell’oratorio a fare delle gite lunghissime. Pensa, ragazzini dai 7 ai 15 anni che salivano Corna Mara, Corno Stella o Pizzo Scalino a piedi da Sondrio. Al giorno d’oggi è difficile trovare un adulto che riesce ad affrontare sfacchinate simili e a quei tempi ci riuscivano i piccoli! Quelle avventure erano stupende e le ricordo con nostalgia ancora oggi: una sera eravamo partiti con lui dall’oratorio che erano le 6 di sera. Siamo saliti a piedi da Sondrio sulla Corna Mara e, con la luce delle lampade ad olio, siamo arrivati in cima alle 2 di notte. Abbiamo atteso che il sole sorgesse; erano le 4 di mattina e puoi immaginarti con che gioia ed emozione noi bambini guardavamo il cielo accendersi. Cos’è che t’ha fatto decidere di iniziare a scrivere di passeggiate? La molla è scattata sicuramente durante la traduzione di “Cols et Sommets”, il magnifico libro di Bruno Galli-Valerio. Questo lavoro mi ha aperto una nuova porta, quella dell’ “andare a piedi”, Il lavoro mi ha fatto entrare nel filone dell’”andare a piedi” di cui il celeberrimo Dott. Rossi fu il capostipite1. Ritieni che una semplice camminata sul fondovalle possa essere la giusta palestra/incentivo per poi affrontare tracciati in quota? Sicuramente può essere propedeutica ad un’evoluzione in tale senso, anche se non devi trascurare il fatto che, negli ultimi anni, il movimento dei “passeggiato1 - Il Dottor Alessandro Rossi, altrimenti noto come Dottor Succ’ (pseudonimo derivatogli dalla sua scarsa adipe), fu famoso per esser solito andare tutte le domeniche a piedi da Sondrio a Colico per fare una nuotata nel lago, quindi, sempre a piedi, tornare nel capoluogo. Fu anche un forte alpinista e, assieme a Bruno Galli-Valerio, aprì la bella Via dei Campanili alla Vetta di Ron. Primavera 2009 LE MONTAGNE DIVERTENTI D A S ONDRIO A T IRANO 65 Escursionismo sinistra idrografica dell’Adda, arrivo alle case di Boffetto. Poco avanti sento suonare la campana della piccola chiesa di Carolo e, vedendola aperta, ne approfitto per guardare com’è dentro; cosa che non sono mai riuscito a fare perché l’ho sempre trovata chiusa. Con la pioggia che scende in grandi sguazzi, arrivo al ponte di Sazzo. C’è un tale che porta a spasso i cani e così lo fermo per chiedergli se ci sono problemi a continuare lungo l’Adda. Mi dice che gli pare di aver sentito che avevano messo un ponte per superare il torrente Armisa, ma non ne è sicuro. Percorro una stretta stradicciola che costeggia dall’alto l’Adda e posso per fortuna constatare che si può superare il torrente allo sbocco della valle d’Arigna. Non è un ponte, ma un semplice tubo provvisorio. Però è più che sufficiente per le mie necessità. Arrivo alle prime case del Baghetto e mi fermo a chiedere informazioni ad un giovane contadino che sta sistemando il mangime di mais appena raccolto. Mi dice che è possibile continuare lungo l’Adda e mi dà alcune indicazioni su quale strada prendere ai bivi che incontrerò. Mi sembra di aver capito. Passo dopo passo Lo saluto e lo lascio allo sgradevole odore del mais che inizia a fermentare. Arrivo al ponte del Baghetto, seguo per pochi metri la strada verso Castello dell’Acqua, poi imbocco sulla sinistra una strada sterrata che scende verso l’Adda [l’attuale pista ciclabile ndr]. Al primo bivio prendo a sinistra e al secondo ancora a sinistra. E sbaglio. Dopo un po’ infatti la strada, che corre dentro un fitto bosco di ontani, si arresta sulle rive dell’Adda. Torno indietro, prendo un altro ramo: stessa sorte. Anche questo si arresta sulle rive dell’Adda. A questo punto capisco che l’unico modo per continuare è quello di seguire un sentierino da pescatori che costeggia il fiume, andando su e giù dalle sponde. La faccenda non è complicata. Se non fosse che il sentierino corre dentro una fitta vegetazione e che sta piovendo a dirotto. Dopo dieci minuti ho le scarpe ed i pantaloni fradici. Forse è meglio così, almeno non ci penso più. Fatti alcuni saliscendi e dopo aver attraversato alcuni rigagnoli, saltel- Diario di Viaggio di Antonio Boscacci lando come una rana, mi ritrovo in un vastissimo campo. Hanno appena tagliato il mais e le ruote di un trattore sono ancora ben visibili. - Se c’è un campo, ci sarà una strada? – mi dico per rassicurarmi. Intanto cerco di strizzare un po’ i pantaloni e la cosa mi fa sorridere. Sono ai bordi di un gigantesco ex campo di mais, c’è una nebbia fitta che sfiora gli alberi, piove a più non posso, ed io mi preoccupo dei miei pantaloni bagnati. Mica morirò per un po’ di umidità nelle gambe! Attraverso in tutta la sua lunghezza il campo e, seguendo i segni lasciati dalle ruote del trattore, imbocco una stradicciola. E’ piena di grosse pozzanghere, ma è sempre meglio del sentierino pieno di vegetazione appena percorso. Mi sto allontanando dall’Adda e, lasciate le pozzanghere, mi ritrovo sulla strada che da S. Giacomo porta a Castello dell’Acqua. Fermo un vecchio contadino che passa con l’ape e gli domando se posso continuare sulla sinistra del fiume. Mi risponde che sì, si può passare, basta A dx: Tirano palazzzo Paribelli (30 aprile 2006, foto Marino Amonini). L'Adda a San Giacomo di Teglio (12 febbraio 2009, foto Beno). continuare diritto, dopo la cava di sabbia. Mi faccio ripetere le indicazioni, lo ringrazio e continuo seguendo il ciglio della strada. Dopo pochi minuti, vedo l’ape che torna indietro e, quando arrivo ad imboccare la strada che mi era stata indicata, trovo il vecchio contadino, che mi ferma. – Ci ho pensato, è meglio che non vada di lì – mi dice – potrebbe esserci troppa acqua. Poi mi spiega un altro itinerario che lui ritiene molto migliore e più semplice. Così attraverso il ponte sull’Adda, percorro un breve tratto della statale 38 e, al primo passaggio a livello, attraverso la statale e la ferrovia. Imbocco così una larga strada di campagna, che sta tra i prati e la ferrovia. Mentre cammino guardando alcuni cacciatori, lontano tra i prati, mi accorgo che la pioggia è molto diminuita. Non ancora per fare a meno dell’ombrello. Anche i pantaloni si stanno adagio adagio asciugando e la linea del bagnato è quasi sotto il ginocchio e sta scendendo, anche se lentamente, verso le scarpe. Ci sono 66 LE MONTAGNE DIVERTENTI Media Valtellina Primavera 2009 LE MONTAGNE DIVERTENTI quattro uccelletti che volano veloci da un salice all’altro. Forse non sono specie cacciabili. Che vita, poveracci! Passo accanto ad un piccolo gruppo di case, poi la strada si fa asfaltata e mi porta tra le case di Tresenda. Attraverso l’Adda sul ponte della centrale e mi immetto sulla strada che porta all’Aprica. E’ un lungo rettilineo, nel quale le auto sfrecciano a grande velocità. Fortuna che sono poche. Al termine del rettilineo, raggiunto il piede della montagna, devo attraversare due gallerie. Mi sembra che non arrivino auto e, stando contro il muro di destra, dove mi pare ci sia un po’ più spazio, attraverso la prima galleria. La seconda è più stretta. Aspetto che passino una corriera e alcune auto, poi di corsa, messo via l’ombrello, attraverso anche la seconda. Un tentativo di suicidio in caso di traffico. All’uscita della galleria imbocco sulla sinistra una stradina che scende per qualche metro e poi diventa pianeggiante. Sento in alto le auto che percorrono la statale dell’Aprica, ma qui non c’è nessuno e la strada è tutta per me. Attraverso le poche case di Calcarola (c’era un’antica fornace per la preparazione della calce) accompagnato da una grosso cane lupo che mi osserva con attenzione; per farmi comprendere che non gli sono simpatico e che devo andarmene al più presto, improvvisa anche un paio di bau-bau, che, vista la sua mole, mi fanno allungare il passo. Passando sotto le case di Canterana, incontro una fontana. Mi fermo a bere un po’ di tè e intanto osservo la santella che si trova lì vicino. E’ dedicata alla Madonna e vi si trovano affrescati ai lati S. Rocco e S. Sebastiano. Una piccola scritta in alto ricorda che è stata costruita nel 1785 e restaurata due secoli dopo, nel 1985. La pioggia è cessata e i boschi, che all’inizio costeggiavano la strada, hanno lasciato il posto a diffusi meleti. Ci sono centinaia di mele per terra. Pur avendone già due nello zaino, non resisto quando vedo una bella mela gialla che D A S ONDRIO A T IRANO 67 Escursionismo occhieggia per terra, sotto un grosso albero. Mi chino, la raccolgo e la metto a far compagnia alle altre due. La strada è tornata intanto sulle rive dell’Adda e mi fermo un momento ad osservare l’assordante fuoriuscita dell’acqua dalla centrale di Stazzona. Più avanti vedo il filare di platani di Stazzona e mi ricordo che questo tratto di strada era un tempo chiamato “via dell’amore”, perché luogo di ritrovo per incontri fugaci e clandestini. Attraverso la strada che porta alle case di Stazzona e continuo lungo l’Adda, mentre stanno suonando le campane del mezzogiorno. La strada segue l’argine del fiume, passa accanto ad un bel frutteto. Quando sono ormai in vista di Tirano, il cielo si apre, compare qualche sprazzo di azzurro e il sole, finalmente si degna di affacciarsi tra le nuvole. I calzoni ormai non li può più asciugare perché camminando si sono asciugati da soli; però è molto piacevole Passo dopo passo Diario di Viaggio di Antonio Boscacci ANTONIO BOSCACCI quella sensazione di caldo che mi colpisce alla schiena e sul collo. Un cartello, appiccicato ad una costruzione, mi avvisa che sto passando accanto al foro boario e alla dogana boaria di Tirano. Raggiungo la via di Porta Milanese e la casa del mio amico Roberto alle 12:50. Ha un buonissimo strüdel fatto da sua madre e, con grande sfacciataggine, glielo mangio quasi tutto (sotto lo sguardo meravigliato di sua moglie Isa che, vedendo la mia fame, vorrebbe a tutti i costi prepararmi una pastasciutta). Più tardi, in piazza della stazione, mentre sono intento ad osservare gli orari dei treni, mi sento chiamare e ritrovo un vecchio amico che non vedevo da decenni. Così, senza “perdere un minuto” ritorno a Sondrio su una vecchia, ma ben tenuta R5, immerso nel fumo denso delle sue sigarette e dei suoi racconti di contrabbando e di donne. Jacopo Merizzi Antonio Boscacci è nato a Sondrio nel 1949, dove tutt’ora vive e lavora. Laureato in matematica, ha insegnato per molti anni nella scuola. Ha dedicato molta parte della sua vita alla montagna ed è stato riconosciuto tra i più forti arrampicatori in “aderenza” del mondo. Tra gli scopritori della Val di Mello, ha scritto numerose guide di escursionismo, arrampicata, alpinismo e scialpinismo, di cui è stato uno dei precursori nella nostra provincia. La sua passione per la fotografia storica si è concretizzata nella cura di libri fotografici e mostre su alcuni dei principali fotografi valtellinesi del passato. Ha collaborato con molte riviste e giornali occupandosi di viaggi, storia locale e argomenti naturalistici. Sta raccogliendo il materiale per un volume sul pipistrello albino della valle del Bekàa. Agli amici confessa che, se potesse, gli piacerebbe diventare un Macroglossum stellatarum, un piccolo lepidottero, che sembra un colibrì e che compare ogni sera sui fiori del suo balcone, non appena, esausto, il sole ha trascinato i suoi raggi dietro il monte Rolla. Ha pubblicato un libro di favole in collaborazione con Luisa Angelici e, nel 2008, il suo primo romanzo (Odore di merda. Romanzo. Ed. Nuceröla, tip. Polaris, Sondrio 2008). Tra le sue numerosissime pubblicazioni ricordiamo inoltre: A dx: il Santuario della Madonna di Tirano (22 aprile 2007, foto R. Moiola). Il Punt di Sass, antico ponte romano a Villa di Tirano (22 aprile 2007, foto R. Moiola). Il ghiaccio sui meli a Stazzona (22 marzo 2007, foto Jacopo Merizzi). Talvolta, in caso di gelate primaverili, si attiva l'irrigazione per proteggere le gemme dal freddo e salvare così il raccolto. 68 LE MONTAGNE DIVERTENTI Media Valtellina Il Sasso di Remenno, C.A.I. Sondrio 1976 Val di Mello, Tamari, Bologna 1980 Sci alpinismo nelle Orobie Valtellinesi, Bissoni, Sondrio 1982 Sci alpinismo in Valmalenco, Valmasino, Valchiavenna,Zanichelli, Bologna. Guida al Sasso di Remenno e dintorni, Il Gabbiano, Cremnago Sci alpinismo in Alta Valtellina, Il Gabbiano, Cremnago Ascensioni Classiche in Valtellina, Il Gabbiano, Cremnago 1986 Il Leprassero ed altri racconti (disegni di Luisa Angelici), l’Officina del Libro, Sondrio Tirano ed il suo Santuario, Albatros, Valmadrera Le vignette di Antonio Boscacci, Albatros, Valmadrera con Luisa Angelici, Valtellina facile. Brevi itinerari alla scoperta delle valli dell’Adda, Albatros, Valmadrera 1994 Una vita di fotografie (dall’archivio di Mosè Bartesaghi), Credito Valtellinese, Sondrio con Luisa Angelici, Castelli e Torri della Valtellina e della Valchiavenna, Albatros, Valmadrera Scialpinismo in Valtellina e Valchiavenna, Lyasis, Sondrio 1996 A cura di Antonio Boscacci e Luisa Angelici, Bruno Galli Valerio: Punte e Passi, C.A.I. Valtellinese, tip. Bettini, Sondrio 1999 Jacopo Merizzi, Antonio Boscacci, Pietre allineate, terrazzamenti, vite e vino in Valtellina, ed. Stefanoni, Lecco 2009. Primavera 2009 LE MONTAGNE DIVERTENTI D A S ONDRIO A T IRANO 69 Escursionismo Versante orobico Sentiero 163: Itinerario storico in Valtartano Valentina Messa Campo Tartano è il primo paese che si incontra imboccando la Val Tartano. Prima che costruissero l’attuale strada asfaltata, voluta dal ministro Ezio Vanoni negli anni ’50, esistevano due mulattiere che dal fondovalle portavano al paese: la prima risaliva la val Fabiolo partendo dalla Sirta (dopo le abbondanti piogge del 2008 versa in rovina); la seconda, raggiungeva la Val Tartano partendo da Talamona. Quindi si dipartivano numerosi sentieri che salivano ai maggenghi, fra cui uno, recentemente ripulito e classificato Sentiero 163, è meta di numerosi escursionisti in cerca di itinerari suggestivi. Partenza: Campo Tartano – cimitero (m 1049). Itinerario automobilistico: lasciare la statale 38 allo Stelvio all’altezza del viadotto sul torrente Tartano (a dx se si proviene da Morbegno); percorrere circa 800 metri della Pedemontana orobica e imboccare la strada per la val di Tartano. Risalendo il fianco occidentale del Crap di Mezzodì, si raggiunge dopo circa 10 km Campo Tartano. Per informazioni e indicazioni alla partenza segnalo Albergo Miralago a Campo Tartano (tel. 0342.645052 – www.miralago.net). Itinerario sintetico: Campo Tartano (m 1049) – Diga di Colombera (m 960) - Frasnii (m 1074) – Fopp (m 1368) - Marscia (m 1581) – Cuùrt (m 1713) - Alpeggio Pustarèsc (m 1713) – Anello dela “Via dei Mirtilli” – Cùurt – Casera Piscino (m 1682) – Cà Fognini (m 1290) - Tartano loc. Biorca (m 1160) – Tartano (m 1215) – Ponte del Tartano – Campo Tartano. Tempo di percorrenza previsto: 5 ore 30 per l’intero giro. Attrezzatura richiesta: Difficoltà: 1 su 6. Dislivello in salita: 800 metri circa. Dettagli: E. Punto informazioni: Albergo BELLEZZA FATICA PERICOLOSITÀ Miralago a Campo Tartano (tel. 0342-645052). 70 LE MONTAGNE DIVERTENTI Campo Tartano (8 luglio 2008, foto P. Spini). Primavera 2009 LE MONTAGNE DIVERTENTI D A S ONDRIO A T IRANO 71 Escursionismo Il sentiero tra Campo e località Foppe (foto P. Spini). Il Ponte della Corna (8 luglio 2008, foto Piergiorgio Spini). Pustarésc (27 agosto 2007, foto P. Spini). Frasnii (20 maggio 2008, foto P. Spini) L'alpeggio Pustarèsc con vista sul Disgrazia (20 agosto 2005, foto P. Spini). ITINERARIO1 iunti a Campo, località Cimitero, occorre abbandonare la straG da asfaltata, imboccare la deviazione sulla dx fino alla diga Colombera. Oltrepassato lo sbarramento attraverso il camminamento della diga, si prosegue l’escursione sul lato opposto della valle, sfruttando un ripido sentiero, il Pic, che conduce al maggengo di Frasnino, meglio detto il Frasnii (m 1074, ore 0:20). Il panorama che si può godere è incantevole: scorci suggestivi su Campo Tartano, sul Disgrazia e sui Corni Bruciati. Giunti al maggengo ci accoglie un piccolo gruppo di case e baite in sasso e legno, dove fa capolino una fontana dall’aria originale: dalla bocca di un’artigianale La diga di Colombera (foto P. Spini). 72 LE MONTAGNE DIVERTENTI scultura in legno a forma di camoscio, zampilla acqua fresca. Il sentiero piega di nuovo verso sx, tagliando il fianco occidentale della bassa valle. La vegetazione a tratti stupisce: i muri di contenimento sono ornati di muschio; siepi di felci e slanciati abeti costeggiano il selciato, per confluire poi in una meravigliosa galleria naturale all’ombra di lunghi e intrecciati rami di abete rosso. Per i più devoti, numerose santelle permettono una sosta in raccoglimento per una breve preghiera. Il passo si fa più felpato e il rumore più sordo: un soffice tappeto di aghi attutisce il cammino. Siamo arrivati al Fòp (m 1368, ore 0:50 da Frasnii), un gruppo di baite dalle quali si possono raggiungere la Marcia (Màrscia) e l’alpe Postareccio (Pustarèsc2, m 1713, ore 1). Se siete fortunati al Fopp vi capiterà di incontrare il Gigi e la Candida che di sicuro vi offriranno un caffè, dopo avervi presentato i loro 2 - L’Alpe Pustarésc è un gruppo di vecchie baite recentemente sistemate. 1 - Informazioni tratte dal testo di Carla Pasina dedicato al sentiero 163. Primavera 2009 LE MONTAGNE DIVERTENTI amici: la Vegia e il Tuco , due simpatici asinelli. Il sentiero prosegue, quindi, verso la Marcia, dove ci si imbatte in una baita diroccata, antico testimone del duro lavoro dei nostri avi. Poco lontano troviamo uno stagno, nelle cui acque, nei mesi di giugno e luglio fioriscono in abbondanza candidi eriofori. Inizia il pascolo e risalendo il tracciato si giunge alla Cùurt. Il panorama diventa mozzafiato: lo sguardo spazia dalla Val Vicima alla Val Lunga fino alla Val Corta. D A S ONDRIO A T IRANO 73 Escursionismo Fòpp (27 agosto 2007, foto P. Spini). Ci si incammina poi verso il Piz de la Prùna dove, ai margini di un pianoro ornato da cespugli di ginepro e rododendro, a quasi m 1300, troneggia una maestosa croce in larice datata 1991. Da qui, lungo la “Via dei mirtilli” si raggiunge la Mùta, prima di ridiscendere verso l’alpe Pustarèsc (per effettuare l’anello calcolare ore 1:15). Dalla Cùurt imbocchiamo il ramo del sentiero (cartello segnavia) che ci conduce a Tartano passando per la Casera del Piscino3 e la contrada Fugnii, un antico nucleo abitativo al centro del quale si può ammirare una caratteristica baita in legno. Raggiunta la Fòpa, contornata da prati che testimoniano il tenace lavoro dei contadini che ancora falciano l’erba per le mucche, proseguiamo fino alla Biorca (m 1160, ore 1:15). La via del ritorno si svolge lungo 3 - Due baite a monte di un gruppo di abeti rossi secolari che proteggono un abbeveratoio in legno. 74 LE MONTAGNE DIVERTENTI la carrozzabile fino al grande ponte di Tartano, oltre il quale, sulla sx, si diparte un sentiero non segnalato, che, con andamento parallelo alla rotabile, ci riporta a Campo Tartano (m 1049, ore 1). al passaggio. Le forre profonde del torrente attraggono con la loro voce cupa. Una ripida scalinata riporta, infine, alla strada provinciale che seguiamo fino a Campo Tartano (m 1049, ore 0:50). VARIANTE Il percorso offre anche un’altra valida alternativa. Una volta giunti al maggengo Fòp, è possibile ridiscendere verso valle lungo un sentiero che attraversa lussureggianti boschi di faggio. Arrivati in località Corna ci si può dissetare con l’ acqua rugena che sgorga da rocce rossicce e ferrose, lasciando il caratteristico colore della ruggine sui bordi dell’artigianale fontana in legno. La discesa verso il torrente Tartano termina col Ponte de la Còrna (m 1077, ore 0:40) che dondola Attraversando la diga di Colombera (13 giugno 2008). Primavera 2009 LE MONTAGNE DIVERTENTI D A S ONDRIO A T IRANO 75 Escursionismo Una passeggiata facile nei dintorni di Sondrio, adatta a nordic walker e non, percorribile in tutte le stagioni e con qualsiasi tempo atmosferico. Si svolge interamente sul versante bacìo e per questo consigliato, soprattutto durante i mesi invernali, nelle ore a cavallo del mezzodì. Rocce montonate e vigneti della Sassella Nicola Giana - istruttore di Nordic Walking e Accompagnatore di Media Montagna - tel. 3408958565 I vigneti della Sassella (25 novembre 2008, foto Jacopo Merizzi). 76 LE MONTAGNE DIVERTENTI Primavera 2009 LE MONTAGNE DIVERTENTI G IRO DELLA S ASSELLA 77 Escursionismo Partenza: stazione FS di Sondrio (m 299). BELLEZZA FATICA PERICOLOSITÀ Itinerario sintetico: Sondrio (stazione FS - m 299) Sassella (m 299) - Ca’ Bianca (m 337) Grigioni Loc. Casacce (m 430) - La Ganda (m 519) - Triasso (m 430) - Colombera - Maioni (m 398) Sondrio (FS). Tempo di percorrenza previsto: 3:30 ore per l’intera escursione. Difficoltà: 1 su 6. Dislivello complessivo in salita: 330 m. Dettagli: T - Guide e carte; Gogna A., Miotti G. “Guida Turistica della Provincia di Sondrio”, B.P.S. II edizione 2000 - U. Sansoni, S. Gavaldo, C. Gastaldi, Simboli sulla Roccia, Edizioni del Centro, 1999, Capo di Ponte (BS) - F. Monteforte, L’immagine della Sassella, in Notiziario BPS, n. 105, dicembre 2007 - Kompass n. 93 “Bernina Sondrio” 1:50.000. quale prospettano prestigiosi edifici ottocenteschi: il nostro sguardo, però, vola alto, verso il colle di Triangia e l’imponente convento di S. Lorenzo; e più sopra sulla cima del Monte Rolla, da sempre conteso tra sundràsch e castiùn. Imboccata via Dante si continua diritti sino a Piazza Cavour (già Piazza Vecchia), un tempo molto animata e sede del mercato cittadino e delle più importanti fiere. Guadagnato l’argine on la primavera, ecco risvegliarsi con insistenza la voglia C di muoversi, di togliersi la ”ruggine” dalle articolazioni e l’adipe accumulatosi durante i mesi invernali. Arrivano i colori delle prime timide fioriture, aleggia, seppur leggero, l’odore della terra che si scalda al sole accompagnato dal cinguettare degli uccelli che salutano l’avvicinarsi della bella stagione. Ed ecco questo itinerario alle porte di Sondrio: un percorso semplice che rivela numerosi aspetti di grande interesse: evidenti contenuti storici, culturali, ambientali e paesaggistici (in particolare geologici e archeologici) emergono a fianco di aspetti enogastronomici. Considerato che il nordic walking è una disciplina motoria che si pratica tranquillamente anche in ambiente urbano, consiglio di partire direttamente dal centro di Sondrio, sia per evitare l’uso dell’auto, sia per godere delle bellezze e delle emozioni che alcuni luoghi ancora suscitano. Lungo l’antica via Valeriana prima, e successivamente salendo attraverso i terrazzamenti e le nude rocce della Sassella e dei Grigioni, nuove ed intense suggestioni si profilano all’orizzonte e sul fondovalle pur pesantemente alterato dall’edificazione dissennata dei capannoni. 78 LE MONTAGNE DIVERTENTI Sopra: oltre il ponte elevabile sul Mallero (16 gennaio 2009, foto N. Giana). A pag. 78: Palazzo Carbonera (16 gennaio 2009, foto N. Giana). A dx: il santuario delle Sassella (20 aprile 2008, foto M. Amonini). In basso: la Cappella dell’Annunziata (16 gennaio 2009, foto N. Giana). Eppure non è certamente questo che voglio mettere in risalto, bensì gli ultimi angoli preservati dagli interventi speculativi e in grado di farci sognare una vita sana, dai ritmi lenti e rispettosa dell’ambiente dal quale dipendiamo, fortunatamente, non solo per ricavarne vil denaro. La speranza è di ritrovare qui le nostre radici, quelle dell’albero della cultura e dell’identità valtellinese che noi de “Le Montagne Divertenti”, e non solo, ci ostiniamo a “bagnare” perchè germogli nuovamente. del Mallero, lo si attraversa sul ponte coperto ed elevabile in caso di un nuovo ’87. Alle nostre spalle il possente Castel Masegra. Volgendo lo sguardo a S, chiudono l’orizzonte il Pizzo Meriggio, la Punta della Pessa e la Punta di S. Stefano. All’imbocco di via Romegialli, l’insegna curiosa de ”Il Bacaro”, invita ad una sosta per gustare dell’ottimo pesce. La stretta via, spina dorsale dell’antica contrada Cantone, ricca di edifici storici, conduce in Piazzetta Carbonera. Al civico n. 4 sorge il Palazzo Carbonera (XVI sec.) nella cui corte interna aggettano un interessante portico con volte a vela sormontato da logge ad archi e colonne dei due piani superiori. Si continua diritti lungo via De Simoni (200 m), quindi si prende a dx via E. Bassi al cui inizio s’impone la Cappella dell’Annunziata o Madonna della Rocca (1713), la prima di una serie di quindici dedicate ai Misteri del Rosario e che sarebbero dovute sorgere lungo la via Valeriana costituendo il “Sacro Monte della Sassella”, al quale i fratelli Francesco Saverio e Giovan Battista Sertoli dedicarono le loro energie all’inizio del ‘700. Dal rione di Cantone sino alla chiesa della Madonna della Sassella, si sarebbe snodata la Via Matris della Vergine del Rosario, partecipe dei misteri dolorosi, gaudiosi e gloriosi Itinerario Si parte dalla stazione FS (m 299) del capoluogo in direzione N. Lontano, sopra i rami ancora spogli dei tigli che ornano Piazzale Bertacchi, si staglia nel cielo terso il Pizzo Tramogge ancora coperto di neve. Tenendo il lato sx dei giardini, si prosegue per Corso Vittorio Veneto costeggiando l’interessante palazzo sede degli uffici della Provincia, opera moderna progettata dall’architetto Giovanni Muzio. Il corso conduce in Piazza Garibaldi (attualmente sottosopra per i lavori per i nuovi parcheggi) sulla Primavera 2009 LE MONTAGNE DIVERTENTI G IRO DELLA S ASSELLA 79 Escursionismo di Cristo e della salvezza. Ne vennero realizzate sei delle quali ne rimangono solo quattro. Giunti in Largo Stella, dominato dalla facciata della moderna Chiesa Parrocchiale della Beata Vergine del Rosario, si prende via F.S. Quadrio e la si percorre sin dove attraversa la provinciale per la Val Malenco, quindi ci si immette sulla via Valeriana. L’azienda vitivinicola G. & B. Leusciatti è l’ultimo baluardo di una zona un tempo esclusivamente agricola ed ora residenziale di un certo pregio. In prossimità dell’incrocio con la via D. Lucchinetti, sparsi tra gli ultimi prati spuntano i resti del vecchio tiro a segno, fantasmi del periodo fascista (seconda metà degli anni ’30). Dietro lo stadio, addossata ad un rustico, la seconda cappella, priva di alcun dipinto, passa quasi inosservata. Poco avanti, sotto monte, il Centro Fojanini di Studi Superiori ci rammenta che la vocazione agraria della Valtellina è sempre viva. Un cartello giallo indica che siamo in località Castelletto (m 285) e la direzione per il santuario della Sassella, dove siamo diretti. All’inizio della salita per Triasso, la terza cappella pare contribuire al faticoso sostegno dei terrazzi soprastanti. Anch’essa di forma ottagonale, all’interno è vuota. Al tornante, abbandonato l’asfalto, si procede sull’antico sterrato tra i vigneti verso il santuario della Sassella. Gradatamente si prende quota tra rocce lisciate e montonate dall’azione erosiva dei ghiacciai sui quali sapientemente i nostri antenati hanno costruito i muri dei terrazzi messi a vigna. Si gode ora la vista dell’Adda che tra alti pioppi scorre ai piedi del conoide di Albosaggia, ultimi resti dell’antica boschina. Il sole riscalda i nostri animi, ma soprattutto i muri e le rocce, che restituiranno il calore accumulato all’imbrunire, mitigandone il microclima. In una valletta poco prima del santuario s’incontra l’ultima cappella, detta degli Apostoli (1713-14; forse su disegno di Pietro Ligari) e dedicata alla Pentecoste; all’interno si trovano dodici statue lignee realizzate da G. B. Zotti, rappresentanti la Vergine e gli Apostoli che recano sul capo la fiammella dello Spirito Santo. Raggiunta 80 LE MONTAGNE DIVERTENTI I Grigioni da Cà Bianca (16 gennaio 2009, foto N. Giana). la chiesa della Madonna della Sassella (m 299), è d’obbligo una sosta per ammirare i magnifici affreschi di Andrea De Passeris1, che ne arricchiscono l’interno, e per godere della meravigliosa vista che si apre tutt’intorno. Oltrepassata la Torre della Sassella, parte di un progetto incompiuto del 1720 che prevedeva la sistemazione della piazza e la realizzazione di diversi fabbricati ad uso deposito per le merci durante le fiere e i mercati, si scende verso il piano rasentando le pareti della palestra di roccia e poco più avanti s’imbocca a dx la sterrata che dolcemente sale, ahimè, dietro ai capannoni, tra stupende rocce montonate e ordinati filari sino ad un avvallamento 1 - 1488/1517 originario di Como, importante per i erboso. Sulla sx, un folto groviglio di numerosi interventi in valle. rampicanti cela i resti di un antico edificio conferendogli un aspetto quasi misterioso. Si supera la conca tenendosi al bordo dx, quindi si continua su sentiero che tra le piante sale brevemente per poi scendere alla località Ca’ Bianca (m 337). Nel piano, ai piedi di questa contrada, spicca come un’oasi l’ultimo lembo di pianura a vocazione agricola a cui fan da cornice l’enorme distesa di capannoni e di cantieri, che metteranno in piedi nuovi mostri di cemento. Ogni volta che passo, osservo questo luogo come fosse una rivelazione e mi chiedo quanto tempo ancora resisteIl tratto Sassella Cà Bianca (16 gennaio 2009, foto N. Giana). rà alla stupidità degli Primavera 2009 speculatori; poi sospirando riprendo la via. Poco prima delle case, sulla dx si torna a salire zigzagando tra i muri a secco e le balze rocciose levigate dall’esarazione delle lingue glaciali; è impossibile non rimanere affascinati da questo luogo. Dopo un lungo diagonale si approda ai Grigioni in contrada Casacce (m 430). Oltre le case, alla fontana ci si immette sulla strada che volge a E. Si procede ora su strada asfaltata per un lungo tratto sino al bivio per scendere a Triasso. Una breve deviazione a sx (m 750 ca.) conduce alla località La Ganda (m 519) dove, sulle rocce ai piedi di un rustico, è possibile ammirare le incisioni rupestri considerate di maggior pregio storico ed estetico del circondario di Sondrio (oltre 80 figure tra antropomorfi, segni circolari e sistemi complessi di coppelle, attribuibili all’età del Bronzo mediotarda). Un pannello nelle vicinanze aiuta alla lettura delle raffigurazioni. Tornati al bivio, si scende alla frazione Triasso (m 430); oltrepassato l’abitato ed un castagneto si prende a sx la strada interpoderale che sviluppandosi tra i vigneti porta alla contrada Colombera (m 550). Lo sforzo impiegato per superare i primi 200 metri di erta salita è ripagato dalle notevoli prospettive che mutano man mano che si avanza verso Sondrio. La vista spazia sulle Orobie dalla diga del Publino in Val del Livrio sino al passo dell’Aprica e oltre sul Corno Baitone (Adamello), mentre verso N rispettivamente su Teglio, Boirolo, Carnale, l’imponente Corna Mara e il monte Foppa all’imbocco della Val Malenco. LE MONTAGNE DIVERTENTI Il convento di San Lorenzo (foto N. Giana). Le incisioni ruprestri in località La Ganda (foto J. Merizzi). Le cime sono ammantate dell’ultima neve, mentre il verde tenue dei primi germogli contrasta coi toni grigi e bruni del terreno. La presenza del convento G IRO DELLA S ASSELLA 81 Escursionismo di S. Lorenzo diventa importante ed è sorprendente la sensazione che si prova osservandolo: l’edificio sembra vegliare sulla città sottostante così come un tempo fece il castello di S. Giorgio. Al bivio prima di Colombera (bacheca con mappa) si scende diritti per l’ampio sentiero che, aggirando il possente muro del vigneto sotto il convento, sale sino ad incrociare la strada per il cimitero di S. Anna. La si attraversa, non prima di aver ammirato di fronte a noi l’ardito abitato dei Ronchi e l’ampia dorsale del monte Foppa sulla quale spiccano i nuclei di Mialli e Portola, quindi si scende passando davanti alle scuole di Mossini dove ha sede anche il Museo delle Moto d’Epoca (visite su prenotazione). Si attraversa la provinciale della Val Malenco e si prende la strada pianeggiante per Mossini (N). Cento metri dopo si svolta a dx raggiungen- do la contrada di Maioni2 (m 398). Da qui, con comodo sentiero, in pochi minuti si può salire in centro Mossini alla Trattoria “Il Lavécc’ ” e gustare le prelibatezze culinarie di Paolo, oppure scendere a dx (SE) dove i passaggi voltati di Maioni stuzzicano curiosità e ammirazione. Si esce dall’abitato e superati gli orti nel tratto pianeggiante, si percorre la mulattiera che con stretti tornanti scende alle case di Gombaro. Mi riferisco in particolare alle “cassandre” il cui aspetto misterioso ha attratto tanto da costruire delle passerelle sui passaggi più impervi. Singolari gli imbocchi dei malleretti che ancor si vedono nella roccia dal ponte ad arco e che un tempo dispensavano l’acqua per azionare gli opifici e irrigare prati e campi del fondovalle. Quanto tempo ho passato ad esplorare questi luoghi proibiti! Attraversato il Mallero, si rasenta per breve tratto il massiccio argine sino a prendere sulla sx la stretta via Fracaiolo, che passa a ridosso delle rupi strapiombanti del Castello e lungo la quale un tempo erano distribuite le maggiori attività artigianali della città. Oggi non rimangono altro che il canale di derivazione dell’acqua e il vecchio lavatoio nei pressi di una cappelletta anonima e priva di dipinti. Purtroppo, i recenti interventi edili sono stati assolutamente irrispettosi del passato ed hanno completamente stravolto la memoria del luogo. La via sbocca sul Lungomallero; di fronte, gli edifici della vecchia filanda giacciono silenti sotto le rocce a picco, da cui domina, nascosta, la fatiscente chiesetta quattrocentesca di S. Bartolomeo. In breve si raggiunge la Piazza Cavour dalla quale, per le stesse vie dell’andata, si ritorna alla stazione FS. La primavera ha fatto sbocciare all’interno de "Le Montagne Divertenti" tante nuove rubriche. Un’idea che in redazione covavamo da tempo - e che in questo spazio si realizza - è quella di pubblicare i racconti di amici valtellinesi che vivono esperienze importanti all’estero, in terre così lontane e diverse dalla nostra da sconvolgere ed emozionare sia chi le ha vissute, sia chi ne leggerà. VALTELLINESI NEL MONDO Il paradiso fra i ghiacci Alessio Gusmeroli La fronte crepacciata del grande ghiacciaio Kronebreen (foto A. Gusmeroli). 2 - Il nome pare derivi dai magli utilizzati in passato per lavorare il ferro proveniente dalla Val Malenco. Il ponte del Gombaro a Sondrio (16 gennaio 2009, foto Nicola Giana). L’ autunno stava arrivando anche in quella parte di Norvegia dimenticata da Dio, dove non esistono gli alberi e il bianco domina su qualunque altro colore. Un posto in cui a mezzogiorno può esser buio e a mezzanotte può 82 LE MONTAGNE DIVERTENTI Primavera 2009 LE MONTAGNE DIVERTENTI esserci luce, un posto in cui, alcune volte, non è piacevole stare. Faceva un freddo dannato nelle isole Svalbard, macchie di terra galleggianti in mezzo al Mar Glaciale Artico, a soli mille chilometri dal Polo Nord. Una terra di vento e ghiaccio lonta- na dalla mia Valtellina, una terra in cui non è facile vivere. Io, giovane geologo, ci arrivai lo scorso anno, a metà febbraio. Zainone da montagna, sci, scarponi e pelli di foca. Presi posto a Ny Ålesund. Il viaggio doveva durare due mesi... adrenaIL PARADISO FRA I GHIACCI 83 Rubriche Alessio Gusmeroli Alessio Gusmeroli è studente di dottorato nel Gruppo di Glaciologia dell’Università di Swansea (UK). E’ nato scientificamente cartografando la costituzione rocciosa delle cime della Val Tartano. Grazie al Servizio Glaciologico Lombardo ha sviluppato, fra i ghiacciai della nostra valle, la sua passione per la scienza. Ora si occupa di glaciologia artica ed ha partecipato a diverse spedizioni scientifiche nelle isole Svalbard e nell’Artico Svedese. I suoi studi, recentemente pubblicati da una rivista internazionale (*), sono concentrati sull’esplorazione dei ghiacciai utilizzando tecniche geofisiche. La sua ricerca è supportata anche da istituzioni valtellinesi come il BIM dell’Adda. (*) Gusmeroli, A., Murray, T., Barrett, B., Clark, R., Booth, A. Estimates of water content in glacier ice using vertical radar profiles: a modified interpretation for the temperate glacier Falljökull, Iceland. Journal of Glaciology, 2008. lina allo stato puro: volevo imparare, vedere e conoscere. Così fu e, in un soffio, arrivarono gli ultimi giorni di questa magnifica esperienza. ...“5 aprile 2008 ore 0.49: pensieri a voce alta - E’ venerdì notte e qualcuno di voi in questo preciso momento starà ballando o sfidando qualche bicchiere di troppo nella bettola del paese, qualcun’altro starà dormendo o coccolando una donzella. Abbiamo raccolto tutti i dati che volevamo raccogliere e domani ci recheremo sul ghiacciaio per un ultimo esperimento. Siamo agli sgoccioli di questo fantastico viaggio... 84 LE MONTAGNE DIVERTENTI Ripenso a Ny Ålesund, che mi ha accolto in questi mesi, a King’s bay (la Baia del Re), situata sul fiordo del Re, e alle tre Corone, le tre splendide montagne che custodiscono il Ghiacciaio Kronebreen e il Ghiacciaio del Re. Bellezza suprema, pura e indescrivibile: acqua, ghiaccio, roccia, aria, cielo, neve e colori. Questa sera ho preso un pezzetto del mio cuore e l’ho lasciato qui. Dopo cena, mentre gli altri riposavano, ho preso il fucile e ho camminato per un paio di ore verso est. Nella direzione del sole avevo la Groenlandia e nella direzione del mio cammino avevo le isole dell’artico russo: Zemlya e altre terre. Il bianco delle Svalbard è splendido: il suo cielo sa tingersi di strane sfumature, così bizzarre da farti sentire su un altro pianeta, in un posto visivamente simile allo stereotipo del paradiso. Ma quando tira vento è un inferno! Il vento a -45°C è spaventoso, un coltello che ti penetra lentamente la pelle. Solo, come da solo tante volte nelle Alpi, ho chiacchierato tra me e me, ripensando alla Valtellina, alla Val Tartano, alla mia famiglia e ai miei amici. Ho camminato lungo il mare. Iceberg dalle mille forme e colori galleggiavano nel gelido fiordo; altri, trascinati dalla corrente, finivano il loro cammino arenandosi a terra. A Nord drammatiche montagne metamorfiche e Primavera 2009 Vista su Kongfjord dalla baia dove è ospitata la base scientifica di Ny Ålesund (foto A. Gusmeroli). Sculture bianche emergono dal Mar Glaciale Artico a S delle Svalbard (foto A. Gusmeroli). In viaggio verso il ghiacciaio con l'equipaggiamento scientifico (foto A. Gusmeroli). LE MONTAGNE DIVERTENTI piccoli ghiacciai dominavano il paesaggio, a sud strati sedimentari inclinati ospitavano correnti di ghiaccio e a est, illuminati dalla luce possente della sera artica, gli immensi ghiacciai si tuffavano nel fiordo. Ho imparato che, in mezzo alla neve, si deve stare attenti ad ogni impronta. L’orso da queste parti può pesare 800 kg e muoversi a 40 km/h, ha denti forti e artigli pericolosi. I norvegesi lo chiamano Isbjorn, che significa orso dei ghiacci. E’ bianco e sorride sempre perché è il capo! Quando si lavora sul ghiacciaio o si va per montagne si può stare più tranquilli: l’orso preferisce il mare dove ci sono le foche, il suo piatto preferito. Ho imparato ad usare il fucile, ma mi auguro di non doverlo mai puntare contro il re dell’artico. Ho scattato duecento foto, le ultime. Ho guardato, ho pensato. Ho fatto mio tutto quello che ho potuto.. Il villaggio di Ny Ålesund è popolato da una trentina di persone, tutti ricercatori e scienziati. Il loro lavoro è far funzionare delle basi scientifiche che ospitano un sacco di gente durante l’anno. Tutti sorridono. Come puoi non sorridere quando puoi chiamare questo paradiso “casa”? IL PARADISO FRA I GHIACCI 85 LE CONDIZIONI ECONOMICHE E CONTRATTUALI SONO DETTAGLIATE NEI “FOGLI INFORMATIVI” DISPONIBILI PRESSO TUTTI I NOSTRI OPERATORI DI SPORTELLO. MESSAGGIO PUBBLICITARIO CON FINALITA’ PROMOZIONALE. Rubriche Sculture di pietra ollare Francesco Avanti Dalla natura l’energia, dalla tua banca il finanziamento. Investire nella tutela dell’ambiente conviene, e da oggi ancora di più. Creval Energia Pulita è il finanziamento, a tassi e condizioni particolarmente vantaggiosi, destinato a privati e imprese che acquistano un impianto fotovoltaico, installano pannelli solari o investono in progetti finalizzati alla salvaguardia ambientale. CrevalEnergiaPulita Floriana Palmieri nel suo studio di Sondrio (5 febbraio 2009, foto Matteo Gianatti). Diamo valore alla natura. 86 LE MONTAGNE DIVERTENTI CREDITO VALTELLINESE, CREDITO ARTIGIANO, CREDITO SICILIANO, BANCA DELL’ARTIGIANATO E DELL’INDUSTRIA, CREDITO PIEMONTESE, BANCAPERTA. Primavera 2009 www.creval.it LE MONTAGNE DIVERTENTI L’ ULTIMO DEGLI ARTIGIANI 87 Rubriche S iamo abituati ad associare la pietra ollare alle classiche “piode” o alle bellissime pentole chiamate “lavecc”. In realtà c’e chi, come Floriana, ha saputo guardare oltre e, attraverso l’arte, è riuscita a dare nuove forme e colori a questa magnifica pietra. Floriana Palmieri vive e lavora a Sondrio dove scolpisce la pietra ollare, sola o combinata con vetro, titanio, argento. Questa pietra, che per la sua duttilità riflette un po’ il carattere d’artista innovativa qual'è Floriana, è l’ideale per questo tipo di lavorazione: blocchi di pietra diventano vasi-scultura, basi per lampade, complementi d’arredo ma anche vere e proprie sculture spesso di dimensioni rilevanti. Come ha iniziato quest’avventura nel mondo della pietra ollare? “E' stato un passaggio graduale quello dal mondo dell’arte a quel- Artigiani lo dell’artigianato artistico. Mia zia, Ginevra Mattioli, aveva fatto lo stesso percorso e si era trovata, quasi per caso, a disegnare la pietra ollare. Ne nacque un’attività che ho visto svilupparsi fin da bambina assistendo alla trasformazione nel modo di lavorarla, di renderla duttile alle esigenze stilistiche dei tempi. Piano piano, ho finito col lasciarmi coinvolgere dedicando più attenzioni a questa attività che alla pittura che già praticavo da un po’. In quanto al tempo, ne è passato tanto; l’attività è iniziata circa sessanta anni fa, io mi sono inserita seriamente circa trent’anni dopo.” Come ha imparato? “Quando si ha una solida base di disegno, poi le tecniche si imparano. Per la pietra ollare, il disegno è fondamentale dal momento che si deve disegnare con sicurezza. Si incide la pietra - che per sua natura è piuttosto tenera – con una punta di acciaio e con un piccolo scalpello.” Di solito siamo abituati a vedere la pietra ollare diventare “lavecc'”. Ha iniziato con i lavecc' anche lei? “Le pentole di pietra ollare hanno reso famosa questa pietra fin dall’antichità e la loro bella forma è da ascrivere alla bravura dei tornitori. Io non ho nessun merito in questo tipo di lavorazione e mi limito ad esserne utente visto che ci si cucina molto bene!” Dove si trova il suo laboratorio e quali sono i suoi strumenti di lavoro? “Il mio laboratorio si trova a Sondrio in via Visconti Venosta al n° 5, all’imbocco della Valmalenco. I miei strumenti sono una puntina di un particolare acciaio resistente all’usura e uno scalpellino. Per la scultura ho, naturalmente, una serie di scalpelli, gradine etc.” Ci racconta una sua giornata tipo in laboratorio? “Come tutte le donne che lavorano e hanno famiglia mi rammarico di non poter dedicare tutto il tempo che vorrei al mio lavoro, però riesco a organizzarmi per evadere le richieste nei tempi previsti e sfatare il detto che gli artigiani siano poco affidabili…” Una delle tecniche più particolari usate da Floriana per lavorare la Pietra ollare è quella del titanio dipinto in elettrolisi, con la quale riesce a fare delle cose veramente eccezionali. Incuriosito e, dimostrata tutta la mia ignoranza in fatto di tecniche artistiche, chiedo a Floriana di spiegarmi in cosa consista: “Il titanio dipinto in elettrolisi consiste in scariche elettriche su metallo immerso in liquido. E’ il risultato di una delle tante notevoli ricerche scientifiche del Prof. Pietro Pedeferri del Politecnico di Milano, nostro grande valtellinese. Mi regalava i suoi piccoli capolavori e li inserivo nella pietra cercando di proseguirne il disegno per rendere più armonico l’insieme. Insieme a mia zia, quasi novantenne ma di spirito giovanile, abbiamo sperimentato i più diversi materiali e ci siamo divertite a spaziare dalla creta, trasformandola in ceramica con forni di cottura nostri, alla decorazione su porcellana, a marmi e vetri (smalti).” Ha ricevuto, nel corso della sua carriera, notevoli riconoscimenti per il suo lavoro. Quale ricorda con più affetto? “Il riconoscimento che mi ha fatto, e mi fa tuttora, più piacere è quello di 88 LE MONTAGNE DIVERTENTI Primavera 2009 LE MONTAGNE DIVERTENTI Alcune opere di Floriana Palmieri (5 febbraio 2009, foto Matteo Gianatti). essere inserita nel gruppo ristretto di Artigianarte Lombardia, nato in seno alla Regione per far conoscere in tutto il mondo la creatività italiana. E’ successo in seguito ad una visita, in incognito dell’Art Director di Artigianarte che ha apprezzato il mio lavoro: da allora sono regolarmente invitata a partecipare alle esposizioni internazionali. Poi, naturalmente, siccome amo viaggiare, mi è capitata anche l’occasione di dover presenziare a qualche mostra. Ricordo con nostalgia una settimana a New York, una in Tunisia… Fra le cose gradite anche quella di essere stata insignita del titolo di ‘Senatore dell’artigianato’, il premio Humanware presso la M.I.A di Monza, una personale a Berlino e a Kyoto e soprattutto le ESPOSIZIONI UNIVERSALI, l’ultima nel 2005 ad Aichi, in Giappone.” ollare. Alla lista aggiungerei anche la parete esterna della Casa di Riposo di Chiuro, dove campeggia un graffito di tre metri con la “ Madonna della Neve.” Chi è il suo cliente tipo? “Non mi sembra che ci sia molto interesse per l’artigianato di questo tipo, che si nutre di passione, ma che non nutre. Insomma è evidente che ci sono lavori più redditizi. Quando qualcuno si è presentato, è stato accolto volentieri, ma mi risulta che solo una, ormai non più ragazza, ha proseguito su questa strada.” “I miei clienti tipo sono soprattutto i negozi turistici per i quali preparo quasi esclusivamente quelle che noi chiamiamo “schegge”, pannelli di forma irregolare con disegni che spaziano dalle riproduzioni sacre agli animali, ai fiori, ai paesaggi Negli anni ho realizzato anche opere cimiteriali: qui a Sondrio, a Morbegno, a Montagna, ad Ardenno, a Chioggia, ad Adria, e una Via Crucis in rilievo ad Abbadia Lariana. Inoltre esterni di case in mosaico e in pietra Ci sono delle opere che fa solo per se stessa? “Ideare e realizzare pezzi nuovi, mosaici, rilievi è il toccasana per recuperare quella creatività che dopo mesi di “schegge” comincia a scalpitare. Di sicuro i vasi – sculture, che sono fra le mie opere preferite e che per alcuni rimpiango di non avere altro che le foto.” Nel suo laboratorio fa anche dei corsi per chi vuole imparare quest’arte? L’ ULTIMO DEGLI ARTIGIANI 89 Rubriche La flora della Valtellina Franco Cirillo 90 LE MONTAGNE DIVERTENTI Primavera 2009 LE MONTAGNE DIVERTENTI LA FLORA DELLA V ALTELLINA 91 Rubriche R iprendiamo il nostro excursus dedicato alle latifoglie della Valtellina. Dopo aver trattato, nel precedente numero, l’associazione del Querceto, conosciamo le altre principali essenze arboree del Castanetum, di cui avevamo già visto il castagno (Castanea sativa L.), e del Fagetum. Ciliegio selvaggio (Prunus avium L., ted. Wilde Vogel-kirsche, valtell. scérésèra, fam. Rosacee). Poco abbondante e disperso nei boschi, è un albero a fusto dritto e cilindrico a crescita rapida. I frutti sono drupe, appetite non solo dagli umani, ma anche da parecchi animali. I contadini usavano piantarne esemplari qua e là in mezzo ai coltivi per dar cibo agli uccelli che, saziati dalle ciliegie, non attaccavano ulteriormente i coltivi; concetto questo chiaramente espresso dal nome tedesco attribuito alla specie: Vogel-kirsche = ciliegie degli uccelli. Caratteristica la corteccia, levigata porpora marrone, con lenticelle orizzontali grigio marroni. Il legno, pregiato per l’industria del mobile, è di colore bruno rosato, usato a volte per rimpiazzare legni preziosi. Il ciliegio è anche impiegato come ornamento nelle alberature stradali, per le belle fioriture e i colori rossastri delle foglie in autunno. Per le fioriture e per il fogliame in veste autunnale si distingue a colpo d’occhio in mezzo alle coltivazioni e ai boschi tra le altre essenze. La resina aromatica emessa dalle ferite dei tronchi viene usata come aroma alimentare. Un'antica leggenda Un mito greco racconta che la ninfa Filira (dal greco: “Tiglio”), figlia di Oceano e Teti, durante uno dei suoi incontri segreti con l’amato Crono, venne sorpresa dalla moglie di quest’ultimo, Rea. Crono, per sfuggire alle ire della moglie, si trasformò in uno stallone allontanandosi si al galoppo. La dea, allora, scagliò scaggliò l una malemaledizione contro la l fanciulla, che partorì pa torì un mostro,, par mezzo uomo omo e mezzo cavallo: Chirone. Ch rovò una tale vergogna che Ne provò chiese al pa padre adre di essere mutata ro che da allora nell’albero porta il suo nome. Il figlio b guaritodivenne un celebre re graziee al poter potere ereditato t e ered dita i to dalla madre trasformata nell’albero ro dalle tante virtù ali. Le foglie dde medicinali. dell tiglio, infatti, nfatti, hanno proprietàà sedative e leggermente nte ipnon rimetiche, un dio ideale eale osi per nervosi e insonni. i. Acero (Acer campestre L., ted. Feld-Ahorn, valtell. àsér, fam. Aceraceae). Arbusti e alberi che raggiungono anche i 30 m di altezza. Caratteristica la foglia a 5 lobi, che è stata assunta come simbolo nella bandiera canadese. I frutti sono acheni, chiamati “disamare” (cioè samare doppie, perché provviste di due ali). L’acero è una pianta mellifera, cioè è pregiato il miele che le api producono succhiando il nettare dei fiori. D’autunno le foglie assumono splendidi colori, di solito giallo chiarissimo; anche per questo ne deriva l’impiego come albero ornamentale. Il legno è pregiato per l’uso nella costruzione di strumenti musicali. Una menzione particolare merita lo sciroppo d’acero, ottenuto bollendo la linfa delle varietà acero nero e acero da zucchero1. Maggiociondolo (16 maggio 2004, foto Franco Cirillo). A pag. 92: Acero (31 maggio 2008, foto Franco Cirillo) e Chirone (Maicol Formolli). Betulle sul sentiero per l'Alpe Pidocchio (24 gennaio 2006, foto franco Benetti). A pag. 91: faggio (10 ottobre 2007, foto F. Cirillo). Tiglio selvatico (Tilia cordata Mill., ted. WinterLinde, valtell. téi, fam. Tiliaceae). E' un bell’albero robusto e longevo; il nome deriva dal greco ptilon che vuol dire ala. Infatti i frutti, che sono acheni, grandi come un nocciolo di ciliegia, sono provvisti di un peduncolo con una brattea2 a forma d’ala. Quando si staccano dalla pianta vengono giù lentamente ruotando: così il vento ha tempo di diffondere questi semi prima che si depositino al suolo. Il tiglio ha una forma tondeggiante, e le foglie sono tipicamente cuoriformi. Vive in luoghi freschi, nelle zone del Castanetum e del Fagetum. 1 - È il dolcificante naturale meno calorico dopo la melassa (circa 250 calorie per cento grammi). Prodotto per la maggior parte in Canada con un procedura già nota agli indiani irochesi, ha un alto contenuto di elementi essenziali quali calcio, ferro e vitamina B1. 2 - Foglia modificata che accompagna fiori o infiorescenze. 92 LE MONTAGNE DIVERTENTI Primavera 2009 LE MONTAGNE DIVERTENTI LA FLORA DELLA V ALTELLINA 93 Rubriche Non forma boschi puri e quindi non costituisce un’associazione botanica. Sono note anche le proprietà medicinali, come il decotto di corteccia uso esterno (lenitivo per scottature), la tisana di fiori anticatarrale. Il miele di tiglio è pure noto insieme al profumo delicato delle fioriture in maggio. Il legno è bello bianco, pastoso, uniforme e adatto per intagli, sculture e costruzione di parti per strumenti musicali. Fagetum: faggio, maggiociondolo, betulla Faggio (Fagus sylvatica L., ted. Rotbuche, valtell. fò, fam. Fagaceae). Costituisce un’associazione botanica detta faggeta, spesso insieme ad Abete bianco e Abete rosso. Il nome deriva dal greco faghein = mangiare, a causa dei frutti eduli di cui i maiali sono ghiotti. È uno splendido albero alto anche 35 m. Le foglie sono ovali, lucide e ciliate da giovani. La colorazione autunnale dei boschi di faggio è spettacolare. I frutti si chiamano faggiole e sono racchiusi in un involucro spinoso, simile ma più piccolo di quello del castagno (d’altronde entrambe le essenze appartengono alla stessa famiglia). Segnalo in Valtellina, salendo ai bagni di Masino, lo stupendo bosco puro di faggio che attraverserete seguendo la strada carrozzabile. Predilige i climi freschi e nebbiosi. Il legno, di color rossiccio chiaro con tipiche fibre a piccole lenti che lo rende inequivocabilmente riconoscibile, è uno splendido materiale per mobilio. A quote più elevate ha portamento nano e contorto (si comporta quasi come il pino mugo) ben adatto a sopportare il carico della neve. Esemplari così sono più frequenti sui passi appenninici che non in Valtellina. Il legno di faggio fornisce il creosoto, liquido oleoso utilizzato come disinfettante ed espettorante. Maggiociondolo (Laburnum alpinum Mill., ted. Gemeine Goldregen, valtell. égen, fam. Fabaceae o Leguminose). Ha portamento arbustivo, corteccia liscia, rami verde scuro, foglie a gruppi di tre su lungo picciolo. I fiori costituiscono un’esplosione di giallo in primavera (maggio) e sono infiorescenze pendule caratteristiche; il nome tedesco significa infatti “(piccola) pioggia d’oro”. I frutti sono dei baccelli, cioè dei legumi. Vegeta in ambienti umidi e temperati, ai margini dei prati montani. Le varietà alpine hanno fiori intensamente profumati, similmente a quelli della robinia, però più forte. Verso fondovalle si ritrova la specie Laburnum anagyroides, i cui fiori non sono profumati: di questa il legno di esemplari molto vecchi 94 LE MONTAGNE DIVERTENTI era ricercato e noto come falso ebano (avorniello) talmente duro da poter essere usato in sostituzione dell’ebano per fare raggi per le ruote dei carri, denti per i rastrelli, ecc… Non costituisce associazione botanica: vive in esemplari sparsi. Betulla (Betula L., ted. Birken, valtell. bedùiia, fam. Betulaceae). Si riconosce immediatamente per il colore bianco argentato della corteccia. Il nome dovrebbe provenire dal celtico “betu”, che significa albero. I frutti sono acheni alati. Sono molteplici le specie di betulla: Betula alba, che è la più comune, oppure Betula pubescens o betulla delle torbiere, mentre Betula nana e Betula humilis sono alto alpine. Predilige terreni acidi, sabbiosi e ciottolosi. Resiste a geli improvvisi e prolungati. Si trova sia nel Fagetum, sia nel Picetum che nel Castanetum. Si spinge verso l’orizzonte alpino, ove costituisce specie pioniera sui prati rocciosi ad alta quota. Il legno è caratteristico: chiaro-olivastro estremamente elastico, molto usato per mobilio. Alessandra Morgillo Ciliegi d'autunno (1 novembre 2007, foto M. Amonini). È primavera. Il paesaggio diventa la tela di un fantasioso artista che con le sue variopinte pennellate illumina di colore il mondo vegetale e animale. Dispone di una tavolozza con infinite sfumature, con cui osa i contrasti, sperimenta i più strani accostamenti, veste di un vivace splendore la Natura, che agli occhi dello spettatore appare in tutta la sua straordinaria bellezza e varietà. Ma non si tratta solo di un inno al risveglio della vita, dietro a questa poesia in realtà si nascondono molteplici significati. I colori, il più delle volte, sono sofisticati messaggi che la Natura stessa invia per regolare l’equilibrio delle interazioni tra i suoi esseri viventi. Primavera 2009 Cinciarella sulle canne lungo l'Adda a Sondrio (foto Franco Benetti). LE MONTAGNE DIVERTENTI LA FAUNA DELLA V ALTELLINA 95 Rubriche M Fauna della Valtellina ediante i segnali visivi, gli organismi comunicano fra di loro; possono essere comunicazioni tra cospecifici (cioè tra individui della stessa specie) o tra individui appartenenti a specie o addirittura classi diverse. Persino le piante interagiscono con gli animali mediante i colori, così i fiori, ad esempio, sono delle piste d’atterraggio ben segnalate per gli insetti che riescono ad individuare con facilità il loro bottino e a ricambiare la cortesia provvedendo inconsapevolmente all’impollinazione. Al di là del loro gradevole aspetto, inoltre, molti fiori celano ai nostri occhi la straordinaria gamma dell’ultravioletto, a cui, invece, è molto sensibile la maggior parte degli impollinatori. Perciò nei paesi tropicali, dove tale ruolo è ricoperto dagli uccelli (per esempio i colibrì), la maggior parte delle piante si orna di grandi fiori di un bel rosso vivace, mentre nelle nostre zone sono pochi i fiori di questo colore, perché il rosso non è percepito dalle api e dagli altri principali insetti impollinatori. È importante saper decodificare correttamente un messag- tori. In molti casi, quindi, disegni e colori brillanti vengono mostrati soltanto per il periodo riproduttivo e comunque i gio cromatico, poiché talvolta in gioco c’è la sopravvivenza stessa. Un colore, o la combinazione di diversi colori, diventa, quindi, un codice che può indicare: pericolo, inganno, aggressività, difesa, ma anche risorse, cibo o attrazione. maschi esibizionisti devono stare sempre molto all’erta per sfuggire rapidamente ai possibili attacchi. Le femmine manifestano, invece, tinte più smorte, proprio perché una colorazione mimetica durante la cova è indispensabile per la sopravvivenza della nidiata. La vivace cresta di penne del pavone arlecchino (foto A.Morgillo). Una cavalletta (Anacridium sp.) cerca di mimetizzarsi rimanendo immobile tra le foglie (foto A.Morgillo). Segnali di pericolo Prima regola: farsi notare Si pensi agli uccelli, ornati di un piumaggio vivace e appariscente; solitamente sono i maschi ad assumere in primavera la livrea nuziale, sfoggiando penne dai pigmenti sgargianti e lucenti, a volte persino creste e code importanti, per far colpo sulle femmine. Queste ultime, infatti, scelgono con cura chi indossa l’abito più elegante, garanzia di buona salute e di un patrimonio genetico di qualità. A tal riguardo, basti citare l’emblematico pavone (Pavo cristatus), il montano gallo cedrone (Tetrao tetrix) e l’acquatico germano reale (Anas platyrhyncos). Esiste, tuttavia, un rovescio della medaglia: queste colorazioni vistose possono catturare anche l’attenzione dei preda- 96 LE MONTAGNE DIVERTENTI criptico (dal greco mimesis = imitazione e kryptos = nascosto) ed è presente in moltissime specie animali, anche nei mammiferi; si pensi, per esempio, a quelle specie montane, come la lepre bianca (Lepus variabilis), che in inverno si vestono di bianco per camuffarsi con efficacia nella neve. Perché però questa strategia abbia successo, l’animale deve rimanere immobile o muoversi lentamente per aumentare così le probabilità di non essere individuato. L’arte dell’inganno Sono gli insetti i più camaleontici e originali attori del mondo animale. Proprio per le loro ridotte dimensioni, la qualità dei loro segnali cromatici deve essere il più possibile sofisticata e i loro messaggi chiari ed inequivocabili. Così si sono specializzati, assumendo colorazioni che consentono loro di evitare la predazione o sorprendere le loro prede senza essere notati. Una soluzione vincente è stata l’acquisizione di colori simili a quelli prevalenti nell’ambiente in cui si vive, così da confondersi con esso. Questa capacità si chiama mimetismo Primavera 2009 in chi pericoloso non lo è affatto, come gli innocui sifiridi, piccoli insetti della stessa famiglia delle mosche, che imitando i colori delle specie nocive, riescono a confondere i predatori e spesso anche gli uomini. Lampi di colore C’è chi poi usa il colore per giocarsi la carta dell’effetto sorpresa. Un tipico esempio è rappresentato dalla locusta (Oedipoda coerulescens) che passa la maggior parte del tempo nascondendosi nell’ambiente in cui vive mediante un criptismo perfetto, ma se si trova in pericolo mette in mostra, volando, le ali posteriori che hanno una colorazione azzurra molto intensa. Per lo stesso principio alcune farfalle notturne (ad esempio Saturnia pyri, Smerinthus ocellata), hanno un colore mimetico ma possiedono sulle ali delle “macchie oculari”, così quando si sentono in pericolo, spiegando rapidamente le ali, mostrano ai loro potenziali attaccanti un disegno che raffigura colorati occhi inquietanti frontali, proprio come Esiste poi un’altra forma di mimetismo, poco conosciuta, ma molto diffusa in natura e particolarmente interessante. È il mimetismo fanerico (dal greco phaneros = manifesto, evidente) che consiste nell’abilità di farsi notare. Molti insetti, anfibi, rettili spesso, infatti, assumono colori vivacissimi che contrastano con l’ambiente circostante e li rendono assai visibili. Apparentemente controproducente, questo stratagemma è necessario per avvertire i potenziali predatori che sono pericolosi (tossici o velenosi) oppure che hanno semplicemente un sapore sgradevole e che non è, quindi, conveniente tentare un assaggio. I colori che vengono solitamente utilizzati per questo tipo di difesa vengono detti aposemantici e sono pochi: giallo, rosso, arancio, azzurro, in genere collocati su uno sfondo tale da esaltare il contrasto, come il nero, il bianco o il marrone. Sono numerosissimi gli esempi che si presentano quotidianamente ai nostri occhi: api e vespe godono di un ottimo contrasto cromatico (giallo-nero) che le rende ben riconoscibili a prima vista, persino la simpatica coccinella, che risulta tossica per piccoli predatori come le lucertole Salamandra pezzata (Salamandra salamandra). Il suo goffo deambulare la rendrebbe una facile preda se non o uccelli, ostenta un bril- disponesse di un altro strumento di difesa che ostenta con il suo particolare colore: la sua pelle secerne una sostanza che pizzica il muso di gatti, volpi o mustelidi che avessero l'ardire di addentarla. (foto A.Morgillo). lante rosso-nero. Al predatore basterà, quindi, subire solo qualche cattiva esperienza per associare a quella quelli di temibili predatori come i gufi. colorazione un invito ad evitare in futuro la predazione di tali animali. Nella vita degli animali il colore riveste, dunque, un ruolo Interessante è ciò che può verificarsi quando un accosta- fondamentale nella trasmissione di informazioni ed è da mento di colori risulta particolarmente efficace: la stessa considerarsi una geniale arma di difesa o offesa quando formula vincente viene adottata da diversi animali. Così, non si hanno a disposizione altri mezzi altrettanto efficaci. per esempio, l’associazione del giallo con il nero la possiamo trovare, oltre che nelle citate vespe, anche in alcune farfalle, bruchi o anfibi, come la salamandra pezzata (Salamandra salamandra), le cui ghiandole cutanee possono secernere una sostanza irritante per le mucose, ma persino LE MONTAGNE DIVERTENTI LA FAUNA DELLA V ALTELLINA 97 POESIE & PERSONAGGI Il Cervino versante N (foto J. Merizzi). Montagna, che nel mutar delle stagioni cambi il tuo volto, regalando a noi mortali, giorno dopo giorno, un’immagine diversa, dallo sbocciar dei fiori della primavera, all’azzurro cielo intenso dell’estate, che fa da contrasto ai verdi pascoli, all’autunno che si tinge di mille colori, dal verde al giallo al rosso e marrone, mentre chiude l’inverno con il suo manto nevoso, di un unico bianco brillar, coprendo in silenzio tutte le vergogne dell’umanità. Gianni De Stefani È difficile andare bene a scuola quando c’è una passione che ti brucia l’anima, che ti cattura ogni istante della vita, ogni alito di pensiero. E’ difficile anche solo andare a scuola, quando sai che gli altri, tormentati dalla stessa passione, hanno bigiato e sono sulla roccia. E poi perché sprecare il tempo a scuola, il diploma a che serve? Chi ne avrà mai bisogno della laurea? Giò Pira di Sondrio faceva parte di quel minuscolo gruppo di Sassisti che a metà degli anni settanta sconvolse l’ambiente classico dell’alpinismo italiano. I Sassisti vivevano alla giornata. Sospesi sugli strapiombi, correndo rischi altissimi nelle loro scalate, si ripetevano: “La vita è adesso e non sarà mai così lunga fino al lavoro”. Giò arrampicava sempre, ogni giorno, ogni ora, indipendentemente dalla stagione e dalla materia: roccia, ghiaccio, misto di terra, alberi, granito, calcare, scisto e serpentino; in libera o appeso ai chiodi. Giò Pira di sedici anni, era anche tra i più vecchi e questo gli conferiva una certa autorità anche perché di sera in discoteca era il migliore. Ma era timido con le ragazze, timido e solitario come l’alpinismo che amava più fare. Inverno 2001 ed estate 2002 a Lendine (foto Gianni De Stefani). A ppena sceso dal bus che lo aveva portato a Cervinia, attraversò la strada per entrare all’Ufficio Guide. La segretaria lo guardò perplessa: il ragazzino che aveva di fronte gli stava chiedendo qual era l’itinerario migliore per la nord del Cervino. Gli rispose distrattamente che la parete Nord era sull’altro versante. Giò risalì il ghiacciaio fino al passo, ma sull’altro versante trovò una cascata di seracchi impossibile da attraversare. Che fare? “Pira bivacca poi vedrà perché raramente lui torna in dietro”. [n.d.r. quando Giò Pira raccontava di sè spesso usava la terza persona] La mattina dopo salì velocissimo la Cresta del Leone, (la più impegnativa e rischiosa del Cervino: 800 metri di roccia verticale e friabile con passi di V+) e scese con tempi da record dal versante est. Probabilmente, se la segretaria gli avesse dato le informazioni corrette, Giò Pira sarebbe stato il primo ragazzino della storia a passeggiare sulla Nord del Cervino. Timido, timidissimo con le ragazze, alpinista esordiente di altissimo livello, con un odio quasi viscerale per lo studio, mai e poi mai si sarebbe immaginato l’uomo che è oggi: Giovanni Pirana, cinquant’anni, quattro mogli, laureato in economia e impegnato a dirigere un istituto bancario nelle isole Cayman. Jacopo Merizzi 98 LE MONTAGNE DIVERTENTI Primavera2009 2009 Primavera LE MONTAGNE DIVERTENTI F OTO E P ERSONAGGI 99 L’ARTE Rubriche DELLA FOTOGRAFIA Sfruttare il sole, la luna e le stelle Roberto Moiola Montespluga la notte (8 dicembre 2008, foto R. Moiola). 100 LE MONTAGNE DIVERTENTI Primavera 2009 LE MONTAGNE DIVERTENTI L' ARTE DELLA FOTOGRAFIA 101 L’ARTE Rubriche DELLA FOTOGRAFIA S e dovessimo fare una statistica nel nostro archivio fotografico, noteremmo che la luce del sole, seppur indirettamente, è l’assoluta protagonista delle nostre immagini. Capita talvolta di dover rinunciare ad un escursione proprio a causa della sua mancanza, come se il sole fosse la nostra guida. Sappiamo bene che non si tratta solo di una questione di temperatura o del rischio maltempo, ma di molto altro. Pensiamo ad una bella giornata assolata: sarà naturale catturare il paesaggio nella migliore illuminazione disponibile, in modo che contenga la maggior quan- Andossi (7 dicembre 2008, foto R. Moiola). tità di dettagli e colori. Questo corrisponde sempre con il lato opposto al sole. Basta sperimentarlo sul campo per capire re ad inserire il sole nella foto e, ancor meglio, catturarne la direzione verso cui il nostro occhio sarà meno attratto e in modo perfetto i raggi che si proiettano nella scena. Per dove probabilmente rinuncerà allo scatto. La scelta è dovu- avere dei raggi geometrici possiamo, sulle fotocamere reflex, ta ad una carenza di tonalità, ad una luce che non vivacizza utilizzare dei filtri che creano delle simpatiche punte ai come potrebbe il panorama. Ciò spesso mi porta a ritorna- raggi solari (i cosiddetti filtri cross screen). Un metodo ben re nello stesso luogo ad orari differenti nell’arco della gior- più economico è quello di lavorare con la tecnica: proviamo ad impostare lo scatto su priorità di diaframmi (AV) e nata, talvolta addirittura in un periodo differente. In questo numero vogliamo infrangere le regole e cerca- quindi scegliamo un diaframma molto chiuso (un valore re di capire come realizzare degli scatti nel verso opposto. che si aggiri verso f/20). L’effetto finale cambierà anche in Come si usa dire, realizzeremo dei “controluce” o dei funzione del tipo di obbiettivo che stiamo utilizzando, ma “controsole”. Si potrebbe pensare che tale sperimentazione in tutti i casi si potrà ottenere un “sole perfetto”, stando dia come risultato soltanto foto poco apprezzabili. In real- sempre attenti al rischio del “mosso” (ricordo infatti che tà, saper padroneggiare la tecnica del “controluce” ci farà chiudendo molto il diaframma entrerà meno luce verso il sensore e quindi si allungherà il tempo dello scatto). ottenere risultati spesso creativi e di particolare effetto. Tenetevi pronti in una giornata dal meteo variabile, Tutte le macchine fotografiche sono dotate di un esposimetro, cioè uno strumento che, proprio come l’occhio perché con degli specchi d’acqua, se vi trovate in posizione umano, analizza la quantità di luce e quindi ne regola il rialzata rispetto ad essi, potrete realizzare delle simpatiche flusso verso il sensore. Ciò permette di cogliere un’immagi- silhouette semplicemente aspettando che una nuvola si interponga tra voi ed il sole, come nella foto di esempio in ne corretta dal punto di vista della luminosità. Quando scattiamo in controluce, l’esposimetro, che questo articolo. Anche la forte luce della luna piena o l’apparente debosi trova di fronte una scena scura (in quanto in ombra visto che il sole sta illuminando la parte opposta) tende- le luce delle stelle possono risultare elementi di spicco per rà a schiarire l’immagine allungando il tempo dello scatto una foto da ricordare. Cominciamo con le stelle. Trovandoci in alta montagna, in termini di millesimi di secondo (ad esempio potrebbe scattare a 1/100 di secondo e non a 1/500 di secondo). Il lontano da troppi disturbi luminosi, in una notte particorisultato sarà per noi una spiacevole sorpresa, dato che ci larmente nitida, bastano pochi minuti per realizzare uno aspettiamo l’effetto contrario: vogliamo un risultato in cui scatto memorabile (meglio vestirsi a dovere ed avere con sé le figure appaiano in silhouette e in cui siano evidenti solo un paio di guanti!). Scelto il luogo dello scatto, cominciamo con il posii contorni. Come fare? In tutte le macchine di moderna concezione c’è un zionare il nostro cavalletto. Solitamente le notti stellate pulsante o una voce del menù chiamata “EV”: il “pulsante particolarmente lucenti corrispondono con la presenza di di compensazione dell’esposizione”. Visto, come abbiamo vento, quindi facciamo attenzione ad assicurare a dovere detto, che l’esposimetro cercherà sempre di creare un’im- il cavalletto. Preferisco realizzare questo genere di scatti in magine che non sia troppo chiara o troppo scura, è necessa- periodi del mese in cui la luna è nascente o calante. La luna rio intervenire, ad esempio con un valore EV-2, per scurire piena diminuisce la presenza della maggior parte delle stelle visibili ad occhio nudo, mentre la luna nuova ci obbliga l’immagine e quindi ottenere il controluce. Una singolare inquadratura sarà l’elemento che farà la ad allungare troppo a lungo il tempo dello scatto, con il differenza. Per completare l’opera, infine, possiamo prova- rischio mosso e lo spiacevole effetto delle stelle leggermente 102 LE MONTAGNE DIVERTENTI Primavera 2009 Alpe Cermine (7 dicembre 2008, foto R. Moiola). “sciate” in cielo. Solitamente imposto un ISO tra i 200 e i 400, un tempo di 60 secondi e quindi gioco sull’apertura del diaframma per catturare più o meno luce nella scena. La presenza di alcune luci artificiali, meglio se in lontananza, sarà un piacevole surplus. Saremo molto fortunati se alcune nuvole (ad esempio i cirri alti) faranno la loro comparsa di tanto in tanto e, sospinti dal vento, creeranno dei piacevoli effetti LE MONTAGNE DIVERTENTI allungati nel blu profondo della notte. D’inverno il bianco della neve e la presenza della luna piena nello scatto faranno pensare di primo acchito ad uno scatto realizzato di giorno. Ma un’attenta analisi delle ombre e la presenza delle stelle colpiranno senz’altro l’osservatore, inconsapevole che la macchina fotografica, se impostata correttamente, può arrivare a tanto. Sarà il nostro segreto. Teniamocelo stretto! L' ARTE DELLA FOTOGRAFIA 103 LE FOTO DEI LETTORI Rubriche Due sezioni dedicate ai nostri lettori: una che premia il fotografo più bravo, l’altra che mostra la fantasia di chi ha portato “Le Montagne Divertenti” a spasso per il mondo e i personaggi che con simpatia seguono il nostro progetto. Per ogni numero de “Le Montagne Divertenti” sceglieremo e premieremo la foto migliore fra quelle che ci avrete inviato a [email protected] e la pubblicheremo con una recensione dettagliata e la scheda del fotografo. Lo scatto scelto in questo numero, quello che rappresenta al meglio il tema primaverile, è di Ganassa Roberto e ritrae le cime della Val Lesina. IL VINCITORE Mi chiamo Ganassa Roberto, ho 36 anni e vivo a Morbegno. Ho sempre amato la montagna e fin da piccolo la frequento anche se è da 10 anni che mi è venuta una vera e propria malattia. Devo ringraziare i miei genitori che fin da piccolo mi portavano in montagna e che mi hanno messo gli sci all'età di 4 anni, questo mi ha notevolmente avvantaggiato con lo sci alpinismo. Frequento la montagna in tutte le stagioni, 6 mesi di sci alpinismo e 6 mesi di escursionismo, mi piace scoprire sempre posti diversi, con gli sci alla ricerca della sciata perfetta e in estate o autunno alla ricerca di laghetti alpini, fiori, colori autunnali da fotografare: è una ricerca senza fine. Non saprei dire quali posti preferisco, anche perchè mi piacciono tutti, ma l' Engadina occupa una bella fetta nel mio cuore. IL GIUDIZIO DEL SELEZIONATORE Roberto Moiola L’immagine proposta da Ganassa Roberto è senza alcun dubbio la migliore che abbiamo ricevuto nello scorso trimestre, senza nulla togliere agli innumerevoli scatti pervenuti in redazione (molti sono stati pubblicati su www.waltellina.it). Ho scelto questa fotografia perché credo che riassuma con il giusto spirito la stagione primaverile. E’ comune abitudine associare alla primavera i primi caldi raggi del sole, le variopinte fioriture, il risveglio della fauna di montagna, il ritirarsi della neve; in ogni caso a delle sensazioni di risveglio. Eppure, a pensarci bene, i mesi di Marzo e Aprile ci regalano ogni anno delle piacevoli nevicate che per un attimo possono celare la fine dell’inverno. Dobbiamo essere bravi a cogliere questi contrasti, intrecciando i manifesti momenti di risveglio con l’imprevedibilità della natura che, per un attimo, rallenta il veloce scorrere del tempo. In questa fotografia il nostro lettore è riuscito a catturare uno di quei momenti magici ed emozionanti. La neve ai bordi del lago completa una situazione già di per sé avvolta da quiete e armonia quasi surreali. Dal basso possiamo notare i vari livelli di cui è composta la fotografia: il blu del lago, poi le montagne specchiate, quindi la neve, poi ghiaccio e di nuovo neve: delle geometrie che catturano lo sguardo dell’osservatore. Il fotografo deve saper osservare, deve essere temerario, deve studiare le situazioni. Sono sicuro che il nostro lettore aveva già immaginato questa fotografia o una situazione simile, mentre, durante un’uscita in pieno inverno, con sci o ciaspole, passava accanto ad una conca e immaginava quel laghetto con il ghiaccio che lasciava spazio all’acqua. 104 LE MONTAGNE DIVERTENTI Primavera 2009 LE MONTAGNE DIVERTENTI LE FOTO DEI LETTORI 105 ASSO C SP Rubriche Rosita e Aldo di Mese portano Le Montagne Divertenti nella Monument Valley tra lo stato dell' Arizona e dello Utah durante il loro viaggio negli USA nel gennaio 2009. Un ringraziamento ai fotografi: Matteo e Giacomo. RI A OI NOST I OR Xxxxxxxxxxxxxxxx LETT Ugo Giordani e Giorgio Dioli alle rovine di Persepoli, Iran (novembre 2008). Alan porta Le Montagne Divertenti ai Forni (21 dicembre 2008). Alberto Piganzoli, secondo classificato al "Ma ch'el dacc' giù", in località Larice in Valgerola (21 gennaio 2009). Martino Taloni, vincitore del "Ma ch'el dacc' giù", fotografato dalla moglie a Nesarolo sopra Montagna (14 febbraio 2009). Le Montagne Divertenti a Pantelleria (17 ottobre 2008, foto Marino Amonini). Passo del Maloja. Sara, Marco e Mattia si divertono col bob (15 febbraio 2009, foto Dario Songini). 106 - LE LE M MONTAGNE ONTAGNE DIVERTENTI DIVERTENTI Primavera2009 2009 Primavera L EM ONTAGNE DIVERTENTI LE MONTAGNE DIVERTENTI LL E EFOTO FOTODEI DEILETTORI LETTORI - 107 RI A I OR OI NOST ASSO C SP Rubriche LETT Bepi Buzzetti sale al Pizzo Berro con l’ultimo numero della rivista (26 gennaio 2009). Masha Lukyanova alla chiesa Ortodossa di Minsk la sera del Natale Ortodosso (7 gennaio 2008, foto Josef Ruffoni). Mitta Vittorio porta Le Montagne Divertenti sul ponte di Brooklyn. Ultimato nel 1883 ad opera dell'ingegnere tedesco John Augustus Roebling, è stato per molti anni il più grande ponte sospeso al mondo; collega l'isola di Manhattan al quartiere di Brooklyn passando sopra il fiume East River (New York, 27 novembre 2008, foto Leusciatti Giovanna). Lendine (Valle del Drogo): anche i ragazzi del gruppo di Alpinismo Giovanile del CAI di Colico leggono Le Montagne Divertenti (28 settembre 2008, foto archivio Sergio Acquistapace). Le Montagne Divertenti 108 LE MONTAGNE DIVERTENTI 108 PrimaveraSezione 2009 LE MONTAGNE DIVERTENTI LE FOTO DEI LETTORI 109 Rubriche Giochi šch'éi dupéra da fa? PLUM PUBBLICITà Ti senti un bravo agricolo? Gli attrezzi del nonno per te non hanno segreti? Dimmi allora a cosa servono gli utensili ritratti in questa fotografia (foto D.Miotti). Due di loro vengono utilizzati per el stés méšté , quali sono? Il più veloce dalle ore 00:00 del 25 marzo 2009 vincerà l’esclusiva maglietta de “Le Montagne Divertenti”. Il secondo classificato porterà a casa la fascetta. Manda le tue risposte a: concorsi@lemontagnedivertenti. com oggetto della mail: “šch'éi dupéra da fa” ma 'n gh'el Se sei un attento osservatore, indovina da dove è stata scattata questa fotografia (foto archivio Corti). Il più veloce dalle ore 00:00 del 25 marzo 2009 vincerà l’esclusiva maglietta de “Le Montagne Divertenti”. Il secondo classificato porterà a casa la fascetta. Manda le tue risposte a [email protected] oggetto della mail: “ma 'n gh'el”. ATTENZIONE: LE RISPOSTE DATE IN ANTICIPO VERRANNO RITENUTE NULLE. CONCORSI INVERNO 2008 Mentre nessuno è stato in grado di risolvere il “Ma se i-è olta”, in molti hanno riconosciuto il Ponte di Caiolo crollato nell’alluvione del 1917 con alle sue spalle la piana di Castione Andevenno, soluzione del “Ma ch’el dacc’ giù”. I vincitori sono: (1) Martino Taloni (2) Piganzoli Alberto (3) Patrick Spagnolatti (4) Nicoletta Colombera (5) Samuele Grossi (6) Valentino Grossi (7) Daniele Morella (8) Giulia Moroni ... 110 LE MONTAGNE DIVERTENTI Primavera 2009 LE MONTAGNE DIVERTENTI G IOCHI 111 Rubriche LE RICETTE DELLA NONNA Pan di mej Damiano Miotti L e quantità riportate in questa ricetta sono necessarie per la preparazione di circa 30 pezzi. F > 3 uova; ate ammollare l’uvetta, asciugatela ed infarinatela. Impastate omogeneamente tutti gli altri ingredienti, regolando la consistenza con il latte. Aggiungete anche l’uvetta e un pizzico di sale. Dall’impasto formate tanti piccoli panetti piatti, disponeteli successivamente in una teglia protetta dalla carta da forno. Prima di procedere con la cottura in forno a 180° per circa mezz’ora, cospargete di zucchero i panetti senza esagerare. > mezzo bicchiere di latte Buon appetito! Vi occorrono: > 200g di farina gialla grossa; > 200g di farina gialla fine; > 200g di farina bianca > 200g di zucchero; > 150g di burro; > 3 cucchiai da tavola di fiori di sambuco secchi; > 200g di uvetta 112 LE MONTAGNE DIVERTENTI Primavera 2009 LE MONTAGNE DIVERTENTI R ICETTE 113 LE MONTAGNE DIVERTENTI R ICETTE 115