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Prasomaso: - Le Montagne Divertenti

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Prasomaso: - Le Montagne Divertenti
ABBONAMENTO POSTALE 70% DCB-SONDRIO
IN
POSTE ITALIANE SPA - SPEDIZIONE
m
Trimestrale di Valtellina e ValchiaT RIMESTRALE DI A LPINISMO E C ULTURA A LPINA
N°8 - PRIMAVERA 2009 - EURO 3
Mar
Marco
Ma
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Confortola
Co
Con
n
Interv
Intervista
all'alpinista
di Valfurva
Val
Valchiavenna
V
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Le tre
Le
trre torri: Suretta,
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escursionistico,
pro
pr
rropo
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proposte
nel Sobretta
Passo
P
dopo passo
Da Sondrio a Tirano
con Antonio Boscacci
Alta Valle
La bella e facile salita
al Monte Forcellino
Valmalenco
Scialpinismo al Sasso
Moro (m 3108)
Orobie
Splendide escursioni
in Val Tartano
Fotografia
I segreti dei controsole
e dei controluna.
Conflitti
La “guerra”
del latte crudo
Poesie
e Personaggi
"QUESTA NOTTE HO FATTO UN SOGNO:
QUALCUNO AVEVA LIBERATO UN PEZZO DI VALLE,
LASCIANDO SOLO LEI, LA TERRA, LE SUE PIANTE E LE
TANE CON GLI ANIMALI.
E CHI VOLEVA POTEVA SDRAIARSI LI' E GUARDARE IL
CIELO. CHIUDERE GLI OCCHI E SENTIRSI
UN GIARDINIERE DI DIO."
114
LE MONTAGNE DIVERTENTI
Giuseppe Cederna
Il mutare del tempo
e dell'uomo
Inoltre
Prasomaso:
gli spettri dei sanatori
Ricette, poesie, giochi,
leggende...
Primavera 2009
VALCHIAVENNA
 BASSA
SSA VALLE  VERSANTI RETICO E OROBICO  VALMALENCO  ALTA VALLE  VALMASINO
V
1
LE MONTAGNE DIVERTENTI
Editoriale
Beno
Ma ch'el sücèss?
Le Montagne Divertenti sboccia a primavera con una nuova veste grafica, più fluida e ordinata,
e con contenuti sempre più accurati. Un grosso sforzo per migliorarci, reso possibile da nuovi
e validi collaboratori con cui abbiamo scritto una lunga lettera d'amore alle nostre montagne.
Il terrore e la consapevolezza che questa primavera in molti luoghi della nostra valle neon luminosi
e gru saranno le uniche specie colorate a fiorire, conferma la necessità di sensibilizzare le persone
sulle grottesche condizioni del fondovalle valtellinese. Non è un messaggio ridondante, bensì
uno stimolo a trovare in tempi brevi una soluzione al problema della cementificazione .
Mi è spiaciuto constatare in questi mesi quanti siano i surfisti che, dopo le inchieste della stampa
locale sul deleterio proliferare dei capannoni, si sono fatti belli scrivendo sui giornali il loro pieno
appoggio all'evidente insofferenza cementizia della maggioranza della popolazione valtellinese.
Queste dichiarazioni non si sono mai trasformate in fatti e il sacco edilizio prosegue dappertutto
imperterrito. Con questo non voglio colpevolizzare nessuno, ma sollecitare tutti a una presa
di posizione vera. Se non si uniscono le forze, senza nascondersi dietro a fallimentari interessi/
consuetudini, o addirittura dietro a ragioni di appartenenza politica – il cui valore fu già messo
in dubbio nella tarda Età del Rame-, la Valtellina non fiorirà più.
2
LE MONTAGNE DIVERTENTI
Primavera 2009
LE MONTAGNE DIVERTENTI
Anemone di primavera [Pulsatilla vernalis]
all'alpe Mara (23 maggio 2008, foto Beno).
In copertina: il lago di Montespluga
(10 maggio 2007, foto Roberto Moiola).
Ultima di copertina: Pettirosso su pianta di
Viburnum (foto Franco Benetti).
1
Legenda
Spiegazione delle schede tecniche
Una breve e divertente spiegazione dei gradi di difficoltà (in “scala Beno”) che vengono assegnati
agli itinerari nelle schede sintetiche, così che possiate scegliere quelli a voi più congeniali. I gradi si
riferiscono al periodo in cui è stato compiuto l’itinerario, sono quindi influenzati dalle condizioni
del tracciato. Non sono contemplate le difficoltà estreme, che esulano dalle finalità di questa
rivista e dalle nostre stesse capacità. In DETTAGLI, invece, viene espressa la difficoltà in caso di
condizioni ideali del tracciato secondo la scala alpinistica convenzionale.
Le schede sintetiche sono anche corredate da indicatori grafici che vi permetteranno, a colpo
d’occhio, di valutare l’itinerario.
BELLEZZA
PERICOLOSITÀ
Quasi meglio il centro commerciale
Assolutamente sicuro
Carino
Basta stare un po’ attenti
Ne vale veramente la pena
Richiesta discreta tecnica alpinistica
Assolutamente fantastico
Pericoloso (è necessaria una guida)
FATICA
ORE DI PERCORRENZA
DISLIVELLO IN SALITA
Una passeggiata!
meno di 5 ore
meno di 800 metri
Nulla di preoccupante
dalle 5 alle 10 ore
dagli 800 ai 1500 metri
Impegnativo
dalle 10 alle 15 ore
dai 1500 ai 2500 metri
Un massacro
oltre le 15 ore
oltre i 2500 metri
Ottimo anche per anziani non autosufficienti
o addirittura sprovveduti turisti di città.
Ideale per la camporella, anche per le
coppiette meno esperte.
Si comincia a dover stare
attenti alle storte,
alle cavallette carnivore
e nello zaino è meglio
mettere qualche provvista
e qualche vestito.
Le scarpe da ginnastica
cominciano ad essere
sconsigliate (sono d’obbligo
abito da sera e mocassini).
E’ meglio stare attenti
a dove si mettono i piedi.
Vertigini vietate!
SU RADIO TSN
FM 101.100/97.700
ogni martedì con Beno e Giordi
ore 7:45 - 8:45 - 11:15 - 12:45 - 18:45
WWW.RADIOTSN.IT
Montagna divertente,
itinerario molto lungo
e ricco di insidie di varia
specie. Sconsigliato a tutti
gli appassionati di montagna
non esperti e non dopati.
Itinerario abbastanza
lungo, ma senza
particolari difficoltà
alpinistiche.
E’ richiesta una
buona conoscenza
dell’ambiente alpino,
discreta capacità
di arrampicare
e muoversi su ghiacciaio
o terreni friabili come
la pasta sfoglia.
E’ consigliabile una
guida.
E’ una valida alternativa
al suicidio. Solo per
persone con un’ottima
preparazione fisicoatletica e buona
esperienza alpinistica.
Servono sprezzo del
pericolo e, soprattutto,
barbe lunghe e incolte.
Le Montagne Divertenti
Trimestrale sull’ambiente alpino di Valtellina e Valchiavenna
Registrazione Tribunale di Sondrio n° 369
Editore
Beno
Direttore Responsabile
Maurizio Torri
Redazione
Enrico Benedetti (Beno)
Roberto Moiola
Valentina Messa
Responsabile della fotografia
Roberto Moiola
Realizzazione grafica
Beno
Revisore di bozze
Mario Pagni
Hanno collaborato
Alessandra Morgillo, Alessio Gusmeroli, Antonio Boscacci,
Arturo Baracchi, Ambrogio Riva, Carlo Pelliciari, Claudio
Rossattini (www.prasomaso.it), Damiano e Samuele Miotti,
Enrico Minotti, Fabio Meraldi, Fabio Pusterla, Fabrizio
Ceriani, Francesco Avanti, Eliana e Nemo Canetta, Franco
Benetti, Franco Cirillo, Gianni De Stefani, Giordano
Gusmeroli, Gioia Zenoni, Jacopo Merizzi, Josef Ruffoni, Luca
Bono, Luciano Benedetti, Luciano Bruseghini, Maicol Formolli,
Manuela Vanotti, Marcello Di Clemente, Michele Corti, Marco
Confortola, Marino Amonini, Maristella Sceresini, Matteo
Gianatti, Matteo Monti, Nicola Giana, Piergiorgio Spini,
Pietro Crapella, Renzo Benedetti, Riccardo Stefanelli, Ricky
Scotti, Sergio Scuffi, Giorgio Orsucci.
Si ringraziano inoltre
Franco e Marina Monteforte, Giuseppe Cederna, Anna
Giannoni, Franco Pinchetti, Eliwork, Ezio Gianatti, Irma
Gusmeroli, Mario Mafezzini, Matteo Tarabini, Riccardo
Ghislanzoni, Fabrizia Vido, Luigino Negri, Mirko Rosina,
Johnny Mitraglia, Roby Lisignoli, Serena Piganzoli, Eva
Fattarelli, la Tipografia Bonazzi, Plum comunicazione visiva
e design per la consulenza grafica, tutti gli edicolanti che ci
aiutano nel promuovere la rivista e tutti gli sponsor che credono
in noi e in questo progetto.
Un saluto speciale
a Bianco e Giovanni.
Redazione
Via S.Francesco, 33 – 23020 Montagna (SO)
Abbonamenti per l’Italia
annuale (4 numeri della rivista):
costo €20 euro da versarsi sul
c/c 3057/50 Banca Popolare di Sondrio Sede di Sondrio
IT17 I056 9611 0000 0000 3057 X50
intestato a:
Beno di Benedetti Enrico
Via S.Francesco 33/C
23020 Montagna SO
NELLA CAUSALE specificare: nome, cognome,
indirizzo, “abbonamento a Le Montagne Divertenti”
comunicare il versamento con email a:
[email protected]
oppure telefonicamente
(0342 380151 - basta lasciare i dati in segreteria)
Arretrati
[email protected] - E 5,00
PDF scaricabili dal sito della rivista
Prossimo numero
21 giugno 2009
Pubblicità e distribuzione
[email protected]
tel. 0342 380151
Stampa
Bonazzi Grafica
Via Francia, 1
23100 Sondrio
Loghi sezioni Bongio Design / Franz / Plizar
Disegni Carlo Pelliciari / Dicle
Cartografia Beno, Matteo Gianatti e Matteo Monti
Per ricevere la nostra newsletter fate richiesta a:
[email protected]
Sommario
Speciali
di Primavera
6
17
20
27
31
33
4 -
LE
LE M
MONTAGNE
ONTAGNE DIVERTENTI
DIVERTENTI
Itinerari
d’escursionismo
53
Valchiavenna: l'otto
della Torre di Segname
58
Cà Pipéta
Rubriche
Gli spettri dei sanatori di Prasomaso
Confortola: si riparte
83
Montagne di ciliegie
35
40
Valchiavenna: con le pelli
al Pizzo Suretta (m 3027)
I ghiacciai del Suretta
87
59
Alta valle: sci di fondo
escursionistico nel gruppo
del Sobretta
64
Passo dopo passo: la nuova
rubrica di Antonio Boscacci
A piedi da Sondrio
a Tirano
65
Artigiani: il serpentino
artistico di Floriana
Palmieri
91
Flora della Valtellina:
le latifoglie (parte II)
95
42
Fauna della Valtellina:
giochi di colore
e mimetismo
Alta valle: scialpinismo
al Monte Forcellino
62
La guerra del latte crudo
La Torre del Culumbèe
Valtellinesi nel mondo:
Alessio Gusmeroli
alle isole Svalbard
"Aštrunumìa"
Contatti e informazioni
[email protected]
www.lemontagnedivertenti.com
Itinerari
d’alpinismo
Orobie: rinasce uno
splendido percorso
in Val Tartano
98
Poesie e Personaggi:
il mutare del tempo
e dell'uomo
100 L'arte della fotografia:
i segreti dei controsole
e dei controluna
46
52
Valmalenco: ascensione
al Sasso Moro (m 3108)
Glacialismo del Sasso Moro
76
Passeggiate vicino
a Sondrio tra le rocce
montonate e i vigneti
della Sassella
105 Le foto dei lettori
111
Giochi
1 12
Le ricette della nonna
Speciali di primavera
Gli spettri
dei sanatori
di Prasomaso
Beno
Il falso specchio al primo piano del Preventorio F. e G. Gatti. Nella pagina a fianco, il corridoio al II piano dell'Umberto I (3 febbraio 2009, foto Beno).
Tutte le foto d'epoca contenute in questo articolo sono tratte dall'archivio di www.prasomaso.it.
Vorrei raccontarvi la
vera storia dei sanatori
di Prasomaso, quella
che nemmeno io mi
aspettavo, oramai
convinto di trovare nello
specchio l’immagine che
vedo tutte le mattine
quando mi alzo, oramai
abituato a vestire di
orrore ciò che non
conosco.
C'è un lungo corridoio buio con le
porte tutte aperte o cadute, i calcinacci del soffitto pendolano pericolosamente.
Ci sono scritte demenziali sui muri
che violentano vecchi affreschi di
innocenza infantile. Dalle finestre
entrano nebbia e vento: i vetri sono a
terra frantumati e scricchiolano sotto
le mie scarpe. Ogni tanto qualche
camera ha la luce murata e le goccioline d’acqua che rintoccano sul pavimento rimbalzano umidità come se
qualcuno mi stesse fiatando sul collo.
Ci sono delle sedie sgangherate illuminate da fasci luminosi. Sembra che
6
LE MONTAGNE DIVERTENTI
Primavera 2009
LE MONTAGNE DIVERTENTI
chi c’era seduto sopra sia svanito nel
nulla. Per terra si nascondono pezzi
di porfido che ancora si vergognano
per aver spaccato le finestre. Qualche
termosifone porta i segni della colluttazione per aver resistito all’essere
portato via.
Sono solo, entro in una stanza dai
muri bianchi. La luce è ovattata e c’è
uno specchio sul lato lungo della stanza. Ha pure i portalampade.
Uno specchio? Come mai s’è salvato? Hanno rubato persino gli scalini!
E’ pulitissimo, ci vedo riflessa dentro
la finestra in fondo alla stanza e le
piante che ci sono all’esterno. Mi
avvicino e si disegna il muro alle mie
spalle, poi mi ci porto di fronte.
La mia immagine non c'è! Mi si gela
il sangue.
Prima mi tocco il viso con una
mano, poi trattengo il respiro e allungo l’altra, lentamente verso lo specchio. La mano passa al di là.
Non c’è nessuno specchio, sono
solo due stanze simmetriche del
primo piano del padiglione Francesco e Giulia Gatti, il preventorio per
bambini del Sanatorio Umberto I.
Un’illusione ottica, la paura di
non vedere ciò che mi aspettavo di
vedere, il credere all’abitudine che le
cose vadano in un certo modo, come
sempre, come ti dicono. Talvolta,
tuttavia, conviene guardare in profondità e sfatare i luoghi comuni che
offuscano la realtà.
Vorrei raccontarvi la vera storia
dei sanatori di Prasomaso, quella che
nemmeno io mi aspettavo, oramai
convinto di trovare nello specchio
l’immagine che vedo tutte le mattine
quando mi alzo, oramai abituato a
vestire di orrore ciò che non conosco.
Lo ammetto, anch’io avevo dipinto di
nero quella gigantesca e tetra rovina a
1200 metri sopra l’abitato di Tresivio.
Dicono che questo sia un posto
di morte, di tragedie, di sofferenza.
Ma anche questa è un’illusione, una
finzione horror ingiusta per un luogo
che invece ha ridato la vita a molti
che, colpiti dalla tubercolosi, pensavano di averla persa per sempre.
Convinto di calpestare la carcassa
di una creatura malvagia, ho invece scoperto lo spettro di un gigante
buono. Sì, malattia, sofferenza, ma
anche pace e guarigione. La dimora di
una comunità giovane che si rigenerava e combatteva contro la TBC grazie
all’aria buona. Eh già, come l’aria
inquinata è un veleno, quella buona è
miracolosa. Non lo immaginavate?
I
SANATORI DI
P RASOMASO
7
Speciali di primavera
"Ricordo il cortile del preventorio,
lo schiamazzo di tutti, io fuori dalla
confusione che appoggiato alla
staccionata sognavo di scavalcare
la rete di recinzione e volare via come
un uccello.
2008: la mia professione mi ha
portato all'aereoporto di Caiolo,
faccio l'istruttore di paracadutismo
specializzato in tandem. Carico
uno dei passeggeri e, facendo quota
con l'aereo, riconosco Prasomaso
dall'alto! Commuovendomi
ho ringraziato il Signore di avermi
fatto realizzare quel sogno di volare."
Agostino
www.prasomaso.it
Ripresa aerea del preventorio per bambini Giulia e Francesco Gatti e, a fianco, de L'Alpina (21 febbraio 2007, Foto J. Merizzi).
Una malattia mortale, incurabile
per molti anni negli ospedali, che qui
veniva sconfitta grazie alla simbiosi con
la Natura. Due complessi, L’Alpina e
l’Umberto I, con cinque padiglioni che
potevano contenere fino a novecento
pazienti.
Guardate le foto: i bambini che
sorridono, i malati che sembrano in
villeggiatura. Malati giovani che qui si
conoscevano e talvolta s’innamoravano.
Un pezzo di vita che in molti hanno
condiviso. Gli stessi giovani di Tresivio la sera salivano quassù perché c’era
molta più vita che in paese.
Come spiegarvi? Il sanatorio rispecchiava l’ideale del “luogo romantico”,
dove benessere fisico e psichico vanno di
pari passo. Thomas Mann nel romanzo
La Montagna Incantata descrive molto
bene la vita sanatoriale ed è emblematico come lo stesso Castorp, protagonista
del romanzo, una volta dichiarato guarito, si rifiuti di lasciare la clinica.
Ripresa aerea del sanatorio Umberto I a Prasomaso (21 febbraio 2007, foto J. Merizzi).
8
LE MONTAGNE DIVERTENTI
Primavera 2009
LE MONTAGNE DIVERTENTI
“Morivano tante persone a
Prasomaso?”
“Che io mi ricordi, la morte era un
caso eccezionale. Una volta un pakistano era morto, ma era già arrivato a Prasomaso in fin di vita” mi ha
raccontato Claudio Rossattini, uno
che lassù ci è nato, visto che i genitori
gestivano l’albergo1 vicino all’Umberto I. Claudio è anche l’ideatore del sito
www.prasomaso.it, dove si leggono le
testimonianze dei vecchi pazienti dei
sanatori, e gli stessi ritrovano i contatti con i compagni ricoverati e poi più
rivisti.
“Chi era la clientela del
vostro albergo?”
“C’era molto movimento quegli anni,
sia di parenti che venivano a trovare i
1 - L’albergo è stato aperto costantemente fino alla
stagione 69/70, poi saltuariamente fino alla chiusura
definitiva dell’86/87.
1960: Fiorenza con una compagna e la madre
nel piazzale del preventorio F. e G. Gatti.
I
SANATORI DI
P RASOMASO
9
Speciali di primavera
Speciale Prasomaso
degenti, sia di ex malati che tornavano
in albergo a Prasomaso per trascorre un
periodo a respirare nuovamente l’aria
fine”.
“Quando è cominciata la
devastazione barbarica di
questi posti?”
1960: nel retro del preventorio F. e G. Gatti.
1969: Roberto con due amiche nelle verande per riposo giornaliero
dell'Umberto I.
"Prasomaso era un prezioso
gioiello, le aiuole ben curate
da un esperto giardiniere
stavano ai lati del grande viale
che portava verso
la portineria; il profumo che
emanava dai pini
si diffondeva nell'aria
unendosi a quello più delicato
dei roseti in fiore."
un'infermiera di Prasomaso
“I sanatori erano tutti chiusi già nel
1971 per l’estinguersi dell’epidemia,
ma poi, fino all’inizio degli anni ‘80,
furono presidiati da custodi che si
occupavano anche della manutenzione ordinaria. L’Umberto I era legato
al Morelli di Sondalo, L’Alpina era già
privata. All’interno era tutto pulito ed
intonso, come se la gente fosse appena uscita. Quando se ne sono andati i custodi, beh, è sotto gli occhi di
tutti. E non erano solo i delinquenti
che venivano quassù a fare barbarie
e razzie, ma anche la “brava gente”,
presa da un impulso irrefrenabile
di portarsi via qualcosa per sé o di
distruggere per dare sfogo alle proprie
ire represse. Uno strano comportamento, ma tipico dell’uomo.”
“Spregevole”, aggiungo io. “E’
sputare nel piatto in cui si è mangia-
La tisi, “il male che più di tutti uccide”1,
è una malattia nota fin dalla notte dei
tempi. E’ un’infezione causata da un
microorganismo metà fungo e metà
batterio2 che può colpire vari organi del
corpo, anche se la sua espressione più nota
è quella polmonare. Il termine tubercolosi
deriva dalla formazione nell’organismo,
a seguito dell’infezione, di caratteristiche
strutture cellulari, dette tubercoli, in cui i
batteri vengono intrappolati e isolati.
1950: il laboratorio odontotecnico de L'Alpina.
1 - Affermazione di Ippocrate (460-377 a.C.),
medico greco di Cos.
2 - Mycobacterium tuberculosis
3 - Solamente i pazienti con tubercolosi attiva
sono contagiosi, cioè quelli in cui la malattia si
sia manifestata pienamente.
1950: Marisa con gli altri bambini nel piazzale del preventorio F. e G. Gatti.
LE
LE M
MONTAGNE
ONTAGNE DIVERTENTI
DIVERTENTI
to, picchiare la vecchia signora che ti
dava le caramelle solo perchè ora non
c’è più nessuno che la difende.”
Capisco ora che gli spettri dei morti
di TBC sono irreali, capisco che qui
non veniva portata la gente a morire,
capisco che queste stanze pericolanti
non mi devono più spaventare. Sento
il profumo delle rose, la lieve musica
di sottofondo diffusa dagli altoparlanti, la quiete che si fonde con le risate
dei bambini che giocano nel cortile:
i mostri si nascondono dietro alla
normalità di tutti i giorni e in questo
pomeriggio di neve sono ben lontani
da Prasomaso.
Tubercolosi e sanatori
Contagiosa3 e mortale, verso la seconda
metà dell’’800, di pari passo con lo
sviluppo industriale, assunse carattere
epidemico. Gli ambienti chiusi, poco
luminosi e male areati – quali quelli delle
fabbriche - erano il luogo ideale perché
10 -
1967: Mirco coi "compagni d'avventura" dell'Umberto I.
Sulle reti. Foto Mirco.
Primavera2009
2009
Primavera
L
EM
ONTAGNE DIVERTENTI
LE
MONTAGNE
DIVERTENTI
il bacillo di Koch4 potesse proliferare e
diffondersi5.
A inizio ‘900 si contavano 50-60mila
morti l’anno per tubercolosi.
Tanto più un soggetto era debilitato
e mal nutrito, tanto più la malattia
era letale6. I fondamenti delle cure
sanatoriali derivavano da una valutazione
attenta di tutte queste premesse. La
sanatorializzazione del malato mirava
sia alla prevenzione (il malato veniva
isolato dal resto della società), sia alla
guarigione dello stesso: sottraendolo
all’ambiente malsano in cui viveva e
portandolo in luoghi dall’“aria buona”.
L’ipernutrizione, la crioterapia, il lungo
4 -Robert Koch scoprì nel 1882 il fitobatterio
responsabile della tubercolosi, che prende il
nome di bacillo di Koch.
5 - I bacilli della TBC vengono trasmessi per
via aerea, mediante le goccioline di saliva e di
muco espulse dal malato con la tosse o con gli
starnuti.
6 - Scrive nel 1899 il medico Ausonio Zubiani:
“Vi sono due tisi, quella dei ricchi che qualche
volta guarisce e quella dei poveri che non
guarisce mai”.
riposo7 e l’elioterapia accrescevano, infine,
le difese immunitarie, fornendo così al
paziente i mezzi necessari per lottare
contro la terribile malattia. L’inutilità delle
tradizionali cure ospedaliere8 e l’efficacia
del ricovero sanatoriale fu da subito
dimostrata. I pazienti, se ricoverati in
sanatorio quando la malattia non aveva
raggiunto uno stadio troppo avanzato,
avevano ottime possibilità di guarire.
7 - “L’unità di misura minima del tempo era il
mese”, scrive Thomas Mann ne “La Montagna Incantata”, in cui viene descritta con realismo la degenza sanatoriale del protagonista a
Davos, che costituisce però solo la cornice di
un romanzo per il resto densamente filosofico.
8 - Il primo antibiotico attivo contro la tubercolosi non tossico per l’uomo fu la strepctomicina, scoperta dal microbiologo ucraino
Waksman nel 1943. In Italia le sperimentazioni
cliniche su larga scala iniziarono nel 1948.
I ISANATORI
SANATORIDI
DIPPRASOMASO
RASOMASO
- 11
Speciali di primavera
Speciale Prasomaso
L'UmbertoI e L'Alpina
Tresivio e i suoi sanatori: un'incredibile pagina della lotta contro la tubercolosi in Italia.
Con cinque padiglioni potevano essere ospitati in quota quasi novecento malati,
in strutture all'avanguardia per efficienza e funzionalità.
I
n Italia si iniziarono a costruire sanatori solo a inizio ‘900, in
ritardo rispetto al resto d’Europa.
La presenza in quegli anni di luminari
tisiologi di origini valtellinesi, fra cui
in primis Ausonio Zubiani1 , quindi
Eugenio Morelli2, contribuirono a fare
della verde e pura Valtellina il luogo
ideale per l’istallazione delle strutture
di cura.
Il primo vero sanatorio italiano
fu quello di “Pineta di Sortenna” a
Sondalo (1903), fondato da Ausonio
Zubiani sul modello dei sanatori svizzeri di Davos.
Contemporaneamente Francesco
1 - Ausonio Zubiani (1869-1921) tisiologo sondalino allievo di Golgi all'Università di Pavia, autore nel
1898 de "Il privilegio della salute" - in cui teorizza
i sanatori popolari - e fondatore nel 1899 dell'Associazione valtellinese per la lotta alla tubercolosi,
fra le prime a sorgere in Italia. Va sottolineato che
l'Umberto I a Prasomaso fu aperto anche grazie
all'interessamento di Zubiani.
2 - Eugenio Morelli (1881-1960) fu caposcuola
della tisiologia italiana e organizzatore della rete
sanatoriale nazionale.
12
LE MONTAGNE DIVERTENTI
Gatti, che da anni sosteneva l’esigenza
di sanatori per i tubercolitici poveri,
convinse nobiltà e borghesia milanesi
a donare i fondi necessari per la creazione del primo sanatorio popolare in
Italia. Su consiglio del medico condotto di Tresivio, il Dott. Linneo Corti,
e visto l’atteggiamento favorevole
del Comune di Tresivio3, Gatti scelse
come ubicazione Prasomaso, a oltre
m 1200 e con ottime caratteristiche
climatiche: riparato dal vento, asciutto
e soleggiato. Iniziarono così, nel 1903,
i lavori per la costruzione del sanatorio
Umberto I, destinato ai malati poveri
di Milano e provincia.
Furono lavori faraonici per l’epoca.
Il materiale venne trasportato a monte
dall’asse ferroviario grazie ad una teleferica ad acqua; fu costruita una rota3 - Il Comune di Tresivio ebbe ottima lungimiranza;
infatti sia i lavori di costruzione dei sanatori, che il
loro successivo funzionamento, portarono un notevole e benevolo impulso all’economia locale.
bile “molto panoramica”4 che collegava
Tresivio a Prasomaso e che, negli anni,
fu sede di molti incidenti.
L’Umberto I fu aperto ai malati il 29
luglio 1909. In stile liberty, aveva un
corpo centrale di 107 metri e si sviluppava su 4 piani. Era collegato ad altri
edifici satellite destinati alla disinfezione, alla lavanderia, alla camera mortuaria, nonché all’abitazione del medico e
del direttore. Potevano accedervi tutti
i tubercolitici poveri5 con malattia non
oltre il primo stadio6 e senza compli4 - La strada era molto stretta e a ridosso di imponenti precipizi.
5 - La diaria era piuttosto popolare e per i meno
abbienti si aggirava sulle 4 lire al giorno.
6 - La malattia nel suo primo stadio, quello asintomatico e quiescente, può essere diagnosticato con il
test della tubercolina (inventato da Koch nel 1890).
La TBC evolve quindi a seguito di una reinfezione
dovuta o a una nuova esposizione all’agente tubercolitico, o ad un indebolimento delle difese immunitarie. Si presentano solo allora i sintomi tipici: tosse,
perdita di peso, affaticamento ed escreato tinto di
sangue. Nelle forme più acute (tisi e tubercolosi
miliare) la TBC si rivela mortale in poche settimane
oltre il primo stadio.
Primavera 2009
cazioni. Aveva una capienza di circa
100 posti. Fabrizio Maffi, su invito
dell'amico Zubiani, ne assunse la direzione sanitaria.
I risultati furon da subito eccezionali e, numeri alla mano, il Dott. Gatti
non poteva che esser orgoglioso nel
vedere la gioia dei ricoverati che scendevano da Prasomaso dopo aver ritrovato quella salute che avevano creduto
persa per sempre.
Il sanatorio non era un
luogo dove si moriva,
ma dove si guariva grazie
alla pace, al riposo, al cibo
e all’aria buona.
Ai degenti erano offerte diverse
attività ricreative, sia culturali che
sportive (emeroteca, biblioteca, biliardo, cinema, teatro, palestra...).
Dal 1919 in Italia la lotta antitubercolare passò dal privato al pubblico,
con una massiccia politica statale di
creazione di strutture idonee alla cura
dei malati ed una sistematica campagna preventiva della TBC. Dal 1925
LE MONTAGNE DIVERTENTI
al 1940 la mortalità per tubercolosi
dimezzò (dall’1.5 allo 0.75 ogni mille
abitanti).
Sul finire degli anni venti, immediatamente a ponente dell’Umberto
I, fu creato il sanatorio per ragazzi
intitolato a Giulia Rogorini, moglie
di Francesco Gatti7. Era un sanatorio
scuola decisamente moderno dove,
compatibilmente con le condizioni
cliniche, veniva impartito ai ragazzi
(4-15 anni) un regolare insegnamento
scolastico.
Nel marzo 1928 si costituì a
Sondrio una società, L’Alpina S.p.A.,
con lo scopo di costruire e gestire case
di cura. Visti i testati vantaggi climatici della zona di Prasomaso e l’esistenza
di tutte quelle infrastrutture già create
per l’Umberto I, sul finire degli anni
Trenta, 50 metri più in basso del sanatorio popolare, all’Alpe Mugo, venne
eretta una casa di cura privata: L’Alpina. Aperta nel 1930, tre piani, una
capienza di 120 pazienti e prezzi sala-
7 - Alla morte di Francesco Gatti la struttura prese
il nome di “Giulia e Francesco Gatti”.
ti8, era un sanatorio per abbienti.
Nel 1934 a levante de L’Alpina viene
costruito un padiglione da un centinaio di posti chiamato “Casa Nuova”, e
più tardi un padiglione INFPS della
capienza di 250-300 posti. L’intero
complesso sanatoriale sopra Tresivio
arrivava a contenere un migliaio di
persone, dipendenti compresi: una
vera e propria cittadella in quota.
Gli stessi giovani di Tresivio, come
ci confermano molte testimonianze,
frequentavano i sanatori: cinema,
teatro e vitalità giovanile rendevano
questo posto molto più vivo del paese.
Dal periodo di massima concentrazione di degenti (1945-1950), il
numero di malati andò via via calando, fino a portare, nel 1971, alla chiusura sia de L’Alpina che dell’Umberto
I. I pochi malati rimasti furono trasferiti al Morelli di Sondalo.
Per qualche anno la presenza di più
custodi li preservò integri e ordinati,
come difficilmente immaginabile per
delle strutture non più utilizzate. Poi,
all’inizio degli anni ’80, se ne andaro8 - La diaria era di 28.5 lire.
I
SANATORI DI
P RASOMASO
13
Speciali di primavera
no anche i guardiani e tutto fu preda
del volgare saccheggio di vandali
provenienti dalla stessa comunità che
dai sanatori aveva tratto enormi giovamenti negli anni precedenti.
Fu portato via tutto il
rubabile e devastato, per
il mero gusto di demolire,
tutto ciò di cui non era
possibile impadronirsi.
La sala da pranzo de L'Alpina.
Una delle cappellette de L'Alpina.
COME APPARE OGGI (foto Matteo Gianatti).
Nemmeno il pavimento della chiesa
fu risparmiato. Un’esternazione della
barbarie umana che trova pochi esempi eguali (il Rifugio Scerscen-Entova
in Valmalenco è un altro di questi).
Nessun progetto di recupero e riutilizzo delle strutture è andato a buon
fine quand’era ancora il tempo utile
perché ciò avvenisse. I padiglioni sanatoriali, fatiscenti, pericolanti, del tutto
irrecuperabili se non già crollati, sono
ora tutti di proprietà privata. Parte
delle abitazioni satellite sono invece
state vendute, e ora sono restaurate e
utilizzate per lo più come baite.
Afferma Mario Baruffi9, classe 1911
e per molti anni lavoratore a Prasomaso: “La chiusura dei sanatori è stato
un grave danno per Tresivio: oltre alle
persone stabilmente impiegate nel lavo-
COME APPARE OGGI (foto Matteo Gianatti).
9 - AAVV, Tresivio , a cura del Comune di Tresivio.
La chiesetta di Prasomaso, "perla ed orgoglio del Sacerdote".
1969: Roberto nelle verande per il riposo giornaliero.
ro, altre lo erano occasionalmente, altre
ancora avevano col Sanatorio un piccolo
commercio di frutta e verdura [...].
Avendo passato tanti anni a Prasomaso, io ho sicuramente qualche motivo
più di altri per rattristarmi nel vedere lo
stato in cui è ormai ridotto quel luogo,
ma penso che quasi tutti gli abitanti
di Tresivio, anziani come me o giovani
che hanno ascoltato i racconti dei loro
genitori o nonni, condividano questo
sentimento di tristezza e anche di vergogna per dovere constatare l’esistenza,
nella nostra comunità, di volgari ladri e
vandali che hanno distrutto un ambiente che, oltre ad essere stato luogo di cura
per tante persone, è stato di vantaggio
per tutto il paese.”
COME APPARE OGGI (foto Matteo Gianatti).
Ricostruzione di un piano vandalizzato del sanatorio Umberto I a Prasomaso all'inizio degli anni '90 (foto e composizione Michela Fomiatti).
L'Alpina negli anni '50.
14
LE MONTAGNE DIVERTENTI
COME APPARE OGGI (foto Matteo Gianatti).
Primavera 2009
LE MONTAGNE DIVERTENTI
I
SANATORI DI
P RASOMASO
15
Speciali di primavera
Da Tresivio
a Prasomaso
ALPINE ICE
Mario Sertori
CLAUDE GARDIEN : «·UN INVITO AL VIAGGIO, AGLI INCONTRI E ALLA SCOPERTA DI GHIACCI LONTANI E POCO CONOSCIUTI. »
Un must per l'ice-
Beno
climber evoluto, primo
libro nel suo genere
in Europa, prende
in esame quasi 600
cascate in un territorio
molto vasto com’è
quello della catena
alpina.
Alla parte fotografica
è stato dato
speciale rilievo, con
spettacolari immagini
d’azione e i tracciati
degli itinerari sulle foto.
289 proposte in ITALIA
106 proposte in FRANCIA
58 proposte in SVIZZERA
54 proposte in AUSTRIA
59 proposte in SLOVENIA
DISPONIBILE in
italiano, francese, inglese
e tedesco.
Pagine: 446 a colori
Formato: 15 x 21 cm
Prezzo: 31,50 euro
A quest'opera hanno collaborato:
P atrick Gabarrou, U eli Steck,
E zio Marlier, B eat Kammerlander,
P eter Podgornik.
16
LE MONTAGNE DIVERTENTI
Primavera 2009
Amor dell’orrido, amore per la decadenza o semplice
curiosità? Molte sono le ragioni per visitare le rovine
dei sanatori di Prasomaso. Edifici che stanno crollando,
scheletri di quell’architettura liberty che ha segnato
l’edilizia ospedaliera nella prima metà del ‘900.
Uno stile costruttivo che faceva da specchio alle tipologie
terapeutiche sanatoriali; uno stile tanto luminoso e sobrio
da rendere terrificante la vista di quest’abbandono.
I sanatori, però, sono solo la meta conclusiva di questo
affascinante viaggio a Tresivio: vecchie chiese e cappelle,
antichi dipinti e storiche contrade unite da mulattiere,
impreziosiscono il semplice camminare su un tracciato
sempre intiepidito dal sole.
LE MONTAGNE DIVERTENTI
D A T RESIVIO
A
P RASOMASO
17
Speciali di primavera
Versante retico
Itinerario
Partenza: Confine tra Poggiridenti
e Tresivio sulla Strada Panoramica
(m 508 – IGM).
Itinerario automobilistico: da
BELLEZZA
FATICA
PERICOLOSITÀ
-
Sondrio si prende la Strada Panoramica
dei Castelli in direzione Teglio. Si passano
Montagna e Poggiridenti, e, al confine
tra i comuni di Poggiridenti e Tresivio appena dopo il ponte sulla Rogna-, si
svolta a sx e si lascia l’auto nel piccolo
parcheggio (slargo) adiacente alla Strada
Panoramica.
Itinerario sintetico: parcheggio
(cartello che indica l’ingresso in Tresivio,
m 508) - Santuario della Santa Casa
(m 529) - Torchio (m 603) - Piedo (m
620 ca) - Sant’Abbondio (m 665) Sant’Antonio (chiesetta - m 745 ca)
– Casa di Cura l’Alpina (m 1150 ca)
– Sanatorio Umberto I a Prasomaso (m
1200 ca).
Tempo di percorrenza
previsto: 2:15 ore per la salita.
Difficoltà: 1 su 6.
Dislivello complessivo
in salita: 700 metri circa.
Dettagli: E. Non avvicinatevi troppo
agli edifici dei sanatori: sono tutti
pericolanti e pericolosi!
D
al ponte sulla Rogna
seguiamo la strada asfaltata
che sale brevemente per poi
piegare a dx (E) e puntare al maestoso
Santuario della Santa Casa (m 529,
ore 0:10).
Un “pellegrinaggio” è d’obbligo,
quindi torniamo sui nostri passi (O)
fino a trovare e risalire Via Beccaria.
Incrociata la stradella che porta a
Poggiridenti, prendiamo a sx (O) e
seguitiamo un centinaio di metri fino
a vedere sulla dx una valletta erbosa.
La risaliamo, appoggiandoci infine al
sentiero che ne solca l’idrografica sx
(sponda dx per chi sale).
Dopo alcuni orti, rientriamo nel
bosco, quindi svoltiamo decisamente
a dx (O) e raggiungiamo lo splendido
nucleo rurale del Torchio, parte bassa
della contrada di Piedo. Una famigliola è intenta a raccogliere il falécc’1 per le
bestie. Mamma, papà e due bambine
piccole che sorridono biricchine, tutti
armati di rastrello che ammucchian le
1 - Fogliame per far letto alle bestie.
18
LE MONTAGNE DIVERTENTI
Primavera 2009
LE MONTAGNE DIVERTENTI
foglie nel frutteto. E’ una scena tenera, d’altri tempi. Ci fermiamo a far
due parole sul bestiame e, in particolare, sulla moria di capre disperse sui
monti dopo le abbondanti nevicate di
quest’inverno. Sul muro di una casa
si può ammirare un bell’affresco raffigurante la Madonna seduta sul trono
che sorregge, sulle proprie ginocchia,
il bambino benedicente (nell’affresco
è riportata la data 1613).
Proseguiamo su tratturo quasi
pianeggiante (E) e raggiungiamo il
cuore della contrada Piedo2, dove
imbocchiamo, vicino ad un negozietto di alimentari, l’asfaltata che sale a
Boirolo. Camminiamo lungo la via
Piedo, che diventa via S. Abbondio,
quando, in alto sulla sx, avvistiamo
la fatiscente chiesetta seicentesca di
S. Abbondio. Seguitiamo sull’asfaltata
e, al cartello che indica Via Masotti,
prendiamo il risc sulla sx, che, dopo
2 - Nella contrada si possono ammirare antichi
edifici rurali con barbacani, aperture architravate in
legno e in pietra, ballatoi e terrazzi in legno, portali
con archi a tutto sesto e vari archi di sostegno.
Il risc che unisce Piedo a Sant'Antonio
(17 gennaio 2009).
Nella pagina a fianco: Tresivio all'inizio del
'900 (archivio prasomaso.it).
Sotto: la contrada Sant'Antonio e , sullo
sfondo, le Alpi Orobie (17 gennaio 2009, foto
Beno).
A pag.17: verso la Santa Casa (17 gennaio
2009, foto Beno).
D A T RESIVIO
A
P RASOMASO
19
Speciali di primavera
un sottopasso, ci porterà alla seicentesca chiesa di Sant’Antonio, sita
nella contrada omonima (m 745, ore
0:50).
L’esterno della chiesa è piuttosto
povero. Sbirciando all’interno osserviamo che è una chiesa ad una sola
navata con volte a crociera. Il pavimento è lastricato, l’altare maggiore
è in legno scolpito e sormontato da
una tela raffigurante S. Francesco e S.
Antonio da Padova3. Nella cappella
a sx c’è un quadro con S. Vincenzo
Ferrer che indica Dio. Anche l’altare della cappella di dx è, a sua volta,
sormontato da una tela raffigurante
due angeli che reggono un dipinto
dedicato alla Madonna del Buon
Consiglio, a S. Lucia e a S. Agata.
Oltre la fontana, posta sul tornante della strada asfaltata, il risc seguita
imperterrito verso N, lasciando dietro
a noi le zone antropizzate.
Riattraversiamo la strada4 e riprendiamo verso N. La via si fa più ripida
confluendo in un bel sentiero cinto
tra i muretti delle selve di castagni
abbandonate. Dopo qualche curva
raggiungiamo una cappelletta affrescata adiacente ai ruderi di una baita.
Il sentiero punta ora verso NO, fino
a passare vicino ad un nucleo abitativo al cui centro troviamo un agriturismo (m 1000 ca). Attraversiamo
nuovamente l’asfaltata. La mulattiera
quassù è poco curata: rovi, alberi
caduti e sassi. Dopo una curva verso
dx tagliamo nuovamente la rotabile e
raggiungiamo la fatiscente casa di cura
L’Alpina (m 1150 ca, ore 1:15).
Dopo un ultimo attraversamento
stradale, la via acciottolata ci porta al
primo inquietante palazzo sanatoriale.
Il tetro edificio fa parte del complesso
L’Alpina, ben visibile sullo sfondo (17
gennaio 2009).
La viuzza s’insinua fra le macerie
di due padiglioni in eternit (“Casa
Nuova “ e INFPS a sx) e il pericolante
Versante retico
scheletro della casa di
cura privata L’Alpina
(a dx), quindi seguita a salire e ci porta
dinnanzi al cancello
dell’immenso sanatorio
Umberto I (oltre 100
metri di lunghezza).
L’atmosfera è surreale. Se contorniamo
il perimetro di cinta
dell’Umberto I (sentiero ben tracciato) vediamo la casa di cura per
bambini
Francesco
e Giulia Gatti, forse
il padiglione meglio
conservato.
La tentazione di
entrare a sbirciare è
sempre molto forte, ma
sta crollando tutto e ci
si potrebbe far male.
E’ difficile tornare indietro di una
Cappelletta con affresco lungo la mulattiera per Prasomaso
cinquantina di anni fa
(17 gennaio 2009, foto Beno).
ed immaginare centinaia e centinaia di
pazienti, medici e infermieri, un vero vole delle strutture analoghe nate in
e proprio paese in quota che lotta- Valtellina negli stessi anni (tra cui,
va contro “il mal sottile”. E’ difficile ad esempio, il Morelli, l’Abetina e la
immaginare pure le modalità curative Pineta di Sortenna a Sondalo) e oggi
sanatoriali, basate più sul riposo ed il destinati a nuove funzioni.
silenzio5 che su terapie medicinali vere
Il ritorno avviene per la stessa via di
salita.
e proprie.
Spiace vedere come questi sanatori
abbiano avuto sorte ben più misere5 - I cartelli con scritto “SILENZIO” tappezzano
ancor’oggi i muri.
3 - La tela è attribuita a M. Annoni.
4 - Il tratto di strada S. Antonio – Prasomaso fu
costruito a spese del Sanatorio Umberto I, che ne
deteneva la proprietà - comunque vincolata ad uso
pubblico. Iniziato nel 1903, lungo circa 7 km, fu
concepito in modo da toccare il maggior numero
possibile di contrade e così unire la funzionalità
ospedaliera all’utilità pubblica. Il primo collaudo
provvisorio avvenne il 18 gennaio 1906: Era un
tracciato molto panoramico: stretto, esposto e privo
di parapetti sui burroni, che verranno applicati nel
1907 a spese del Comune.
20
LE MONTAGNE DIVERTENTI
Tresivio e la Santa Casa di Loreto
Gioia Zenoni
Situato in un dolce avvallamento della costiera retica a metà strada fra Sondrio e Teglio,
il paese di Tresivio vanta
una posizione privilegiata, ben protetta e favorevole alle attività agricole. Le prime tracce di
frequentazione umana
risalgono all’Età del Rame: si tratta di incisioni
rupestri individuate intorno al Calvario, lo sperone roccioso strapiombante sul fondovalle
attorno a cui si è sviluppato il centro abitato in virtù delle sue qualità strategiche e difensive. Proprio qui sorsero, a partire dall’epoca
medievale, le sedi della vita civile e religiosa: il castello, il palazzo del vescovo e quello del governatore. In
età viscontea, infatti, Tresivio era diventata capoluogo
della Valtellina, ospitandone il governatore e il tribunale e accogliendo per tre mesi all’anno il vescovo di Como. Tale egemonia durò fino all’avvento dei Grigioni,
quando il fulcro delle attività politiche venne spostato a
Sondrio. Notevoli cambiamenti intercorsero anche nella stessa Tresivio: con la costruzione della chiesa dei SS.
Pietro e Paolo e di Palazzo Guicciardi (ora sede del Comune), la contrada Romanasca divenne centro del paese. In quegli anni le vicende del paese furono simili a
quelle di molti altri centri valtellinesi, caratterizzate da
una forte rivalità fra i signori e dal veloce susseguirsi di
rovesciamenti di potere in conseguenza del quadro politico internazionale.
Il XVII sec. vide Tresivio, comunità rimasta pressoché
totalmente cattolica, schierata in prima linea nella rivolta contro i Grigioni: proprio nella sua piazza si riunì
il drappello di uomini che diede inizio al Sacro Macello.
Frutto del fervore religioso di una popolazione provata
da anni di peste e di guerra è l’edificazione dell’edificio
che più di ogni altro rappresenta ancora oggi la devozione degli abitanti di Tresivio1.
Il Santuario della Santa Casa di Loreto, eretto sul
poggio coltivato a vite dove nel medioevo sorgeva la
cappella della Madonna di Tronchedo (XI sec.), in posizione tale da poter esser visto da ogni punto della media valle, fu edificato nel 1646 come voto alla Vergine che aveva liberato Tresivio e la Valtellina dalla peste
del 1630.
1 - Papa Giovanni Paolo II, nella sua visita a Como del 5 maggio 1996,
durante la recita del “Regina coeli”, parlò del Santuario della Santa Casa di
Tresivio, definendolo “monumento di arte e di fede sincera, meta di devoti
pellegrinaggi”.
Primavera 2009
LE MONTAGNE DIVERTENTI
I lavori furono segnati da vari cambi di progetto e di stile,
ben riscontrabili in vari punti della struttura, come nella cripta, ricavata dall’antica chiesa medievale e dal primo impianto
secentesco. L’esterno spicca per la facciata barocca rivolta a
sud, di matrice transalpina, unica nel suo genere in Italia: per
l’imponenza della struttura ricorda un castello, quasi come se
si fosse voluto creare una roccaforte della fede cattolica.
L’interno del Santuario, strutturato su una sola navata, può
ospitare circa mille fedeli, ma è abbastanza spoglio di opere, in parte in fase di restauro, in parte vittime dello sciacallaggio2. Sotto la cupola si trova la Santa Casa (riproduzione
datata 1701 dell’originale S. Casa di Loreto), una cappelletta
dal soffitto azzurro stellato in cui è custodito il simulacro della Madonna Nera.
2 - Anche l'ex parroco di Tresivio Don Simonetto ha venduto le statue poste nelle
logge esterne del simulacro della Madonna Nera.
Il simulacro della Madonna Nera all’interno della Santa Casa. Splendido il
soffitto azzurro stellato (3 febbraio 2009, foto Beno - si ringraziano Sabrina
e Maria per aver aperto il santuario per il servizio fotografico).
In alto: Sulla facciata N della Santa Casa, nella nicchia centrale, si trova
un affresco che raffigura la Madonna Nera attorniata da quattro angeli
adoranti (3 febbraio 2009, foto Beno).
D A T RESIVIO
A
P RASOMASO
21
Speciali di primavera
L'intervista
Confortola: si riparte
Parliamo un po’ di te. Come stai?
Estate 2009, dopo l’ascesa al K2 costata la vita a ben undici alpinisti, si è fatto un gran
parlare di sicurezza in montagna e su quanto sia o meno etica la forsennata corsa ai 14
Ottomila.
A distanza di mesi, quando le luci della ribalta si sono finalmente spente, abbiamo
incontrato Marco Confortola nella sua Valfurva. Lo abbiamo trovato decisamente in
forma: le ferite ai piedi dovute all’amputazione delle falangi sono ormai rimarginate e,
anche se il dolore agli arti sembra essere un fedele compagno di viaggio, Marco non ha
certo perso l’entusiasmo e la voglia d’andare in montagna.
In questi ultimi tempi di convalescenza,
qual è la tua giornata tipo?
Maurizio Torri
I
n questo lungo periodo di convalescenza hai preso parte
a numerose serate. In alcune di queste ti abbiamo seguito e abbiamo notato l’occhio di riguardo che hai per i più
piccoli.
Cosa può insegnare un alpinista ai
bambini?
«Penso che ti riferisca in particolare a quella di Traona
presso la Piccola Opera. Sinceramente non conoscevo
quella realtà e sono rimato piacevolmente stupito da quello che fanno con i ragazzini e, soprattutto, l’amore con cui
lo fanno – ha esordito -.
Da parte mia non ho potuto insegnare a quei ragazzini
nulla che gli educatori già non abbiano detto. Il mio consiglio è stato di “non mollare mai”, di fare bene il loro lavoro
che è lo studio, di ubbidire e di praticare tanto sport. Sono
un alpinista, ma soprattutto uno sportivo. Penso che lo
sport mi abbia dato molto e mi abbia permesso di arrivare
dove sono arrivato. Per questo non mi stancherò mai di
consigliarlo ai giovani e di spingerlo a tutti i livelli.
Bisogna investire sullo sport. Anche se alcuni politici
non lo capiscono, è importantissimo per la formazione dei
giovani. Chi fa sport cresce sano, sta lontano dalle strade e
pure dalle brutte compagnie».
«Ho sempre male ai piedi; ormai sono sei mesi che questo
dolore mi è fedele compagno. Ma va bene così: il dolore
passerà. Ciò che più conta è essere tornato a casa con il
bene più importante che ho: la vita. Ho passato un periodo
difficile. Fortunatamente la voglia di andare avanti non mi
ha mai abbandonato».
«Mi sento un po’ un lazzarone. In passato ho sempre
lavorato molto; ora invece la maggior attenzione ai piedi
non mi permette di essere iperattivo. Anche se non sarebbe
una cosa da dire, è un po’ di tempo che non do più retta
ai medici. Loro hanno delle tempistiche che per uno come
me sono troppo lunghe. Preferisco dunque ascoltare il mio
corpo. Se tutto va bene in aprile ripartirò. In programma
ho una spedizione al Colle Sud per montare altri strumenti
del CNR. Il condizionale è d’obbligo perché zoppico ancora e, come ho già detto, il dolore è tutt’altro che passato».
Psicologicamente la spedizione al K2 ti
ha davvero provato. Ora come sta Marco
Confortola?
«Sto bene. Sembra una cosa assurda o inconsueta, ma
il mio atteggiamento di guardare sempre avanti p
penso mi
d uscire da
abbia non poco aiutato a voltare pagina e ad
nno ampuquell’incubo. Sono morte undici persone, mi hanno
tato tutte le dita dei piedi e sto soffrendo ancoraa tanto. Se
rei spaccianon guardassi al futuro con fiducia e serenità, sarei
to».
poi raccoglie. Io non ho mai fatto del male a nessuno. Penso
di essere un alpinista un po’ anomalo: in un ambiente dove
vige la rivalità e anche un bel po’ di invidia, vado sempre
avanti a testa alta per la mia strada. Quando vedo che uno
porta a casa un bell’exploit sono il primo a prendere in
mano il telefono e a complimentarmi. Questa dovrebbe
essere la normalità; invece ancora troppo pochi lo fanno».
Nei mesi scorsi, complice la morbosa
attenzione dei media, hai tirato alcune
frecciate alla stampa. Cosa ti ha dato più
fastidio?
«Innanzitutto vorrei fare una dovuta precisazione. Anche
in questo settore come negli altri c’è chi lavora con passione e chi invece insegue lo scoop senza guardare in faccia
alle persone, ai loro sentimenti e alle storie che vi sono
dietro ad ogni articolo. Io me la sono presa con chi scriveva
quanti centimetri di dita mi venivano amputate, ma non
si è mai chiesto perché queste dita mi sono state amputate.
Queste persone non sapevano nemmeno che ho perso tutte
le falangi per tentare di salvare delle vite umane. Queste
sono le stesse persone che si svegliano, accendono il pc e
scrivono di montagna solo per scrivere di tragedie o incidenti. Questo non è fare informazione, ma gettare la gente
nel p
panico».
All’orizzonte vi è una prima spedizione.
one.
E se non partirai per il Colle Sud, a breve
tornerai comunque operativo. Cosa fai per
tenerti in forma?
Marco Confortola è
già tornato attivo dopo
l'infortunio sul K2:
conferenze esci.
A fianco: Marco in
compagnia del padre.
«Ho ripreso a fare scialpinismo anche se infilare
are gli scarponi è “una tragedia”: ci metto dieci minuti. Mii fanno un
ngere o fare
male pazzesco. Nei piani non riesco ancora a spingere
ritmo, ma ho una gran voglia di ricominciare. Ho iniziato
pure a fare palestra per ricostruire la muscolatura che avevo.
mi 20 metri
Il mese scorso, quando sono riuscito a fare i primi
ino. Avevo
di corsa, mi sono emozionato come un bambino.
osa mi ha
una gran paura di non riuscirvi più. Questa cosa
davvero rincuorato».
In una società dove si brucia tutto
a
subito, anche a distanza di tempo la
gente ti dimostra ancora tantissimo
affetto. Questa cosa ti fa piacere?
«Sicuro. Me ne accorgo ogni singolo giorno.
Sono convinto del fatto che come uno semina,
22
LE MONTAGNE DIVERTENTI
Primavera 2009
LE MONTAGNE DIVERTENTI
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Speciali di primavera
Poesie dialettali
Aštrunumía
Ai buşàcc’ da la mala furtüna
D’aštà el sù, d’invèrn la lüna1.
Arturo Baracchi (Barachìn)
Gli abitanti di Albosaggia hanno inventato la storiella di un asino, “l’àşen
di montagnùn”, volta a schernire l’ignoranza degli abitanti della vicina
Montagna.
Raccontano, infatti, di un asino di un contadino montagnone che, finita
la stagione della soma, viene relegato nella stalla con modeste dosi
di fieno. L’inverno si rivela più lungo del previsto e il fieno finisce, cosicché
il proprietario si vede costretto a nutrire l’asinello con insulsi vedisciùn1.
Anche questi, però, iniziano a scarseggiare finchè, ridotta sempre più
la razione giornaliera, l’asino muore di stenti. L’ingenuo contadino, così
ignorante da ritener la morte dell’animale un’inspiegabile sciagura, girovaga
per il paese piagnucolando uno strano motivetto (lo scrivo direttamente
in italiano): “ Povero asinello, mi è morto proprio ora che aveva imparato a
non mangiare!”.
Con questo racconto i buşàcc’ 2 continuano a schernire noi muntagnùn3,
ho scritto questi versi traendone spunto da una storiella che una volta
circolava a Montagna.
1 - Tralci della vite.
2 - Abitanti di Albosaggia.
3 - Abitanti di Montagna.
Ün dì ‘n buşàcc’ cul can al va al marcà,
in Ciazza Zundra, quéla de Campèll;
al tö sü ‘l gerlu e pö ‘l se via là
cul panétt2 russ al coll e cul capèll
El gerlu all’à ilò ras3 de caštégnna,
e sur amò ün cavagnùn de nus,
prüm de traversà l’Adda al se segnna4, ,
al can che šcursa5 ün gatt ghe dà la us6.
A Sundra al pògia al gerlu a la funtàna
che š’ciüda7 acqua sutt al campanin:
“Vignite!” al ciàma “che gh'ò la caštagna
e i nus dešparasciàda8 gil ceštin.”
Intànt ch’al met in mustra i sò marùn
al vet rüà dal Curs un munsignùr
cul capèll russ, ch’al bàija sü9 cunt ‘n um
ch’à sü ‘n mantèll a röda: ün quài dutùr?
I dü ai crida e ai mulìna ì brasc’10,
ai fa ‘nte l’aria tanc’ de scersc’ cui man;
el munsignùr cun sü ‘l so capélàsc
al cita Tuluméo11: l’egiziàn.
Al dis che ‘l Tulume’ al gh’à reşùn:
“El munt l’è fiss e atùrn ghe gira el sù,
pür i Sacra Šcritüra i dà leziùn
e s’à da cret, al dis el nos Signù.”
Al cita Koppernìk12 quél dal mantèll,
ch’al völ che ‘l munt al giri inturn al sù:
“L’ò à provàto” al dis “el Gavinèll,13”
ma ‘l Sant Ufìzi al gh’à dicc’: “Tas giù!”
cunt un’uréggia al šta a sentì qui sciùr
che passa e che dišcüt a alta us:
gh’avràl reşùn el Don u ‘l sciùr dutùr?
Adèss che l’à furnìt la mercanzìa,
int el panétt al ciàcca14 el sò “arzàn”15,
al tö sü ‘l gerlu, pö ‘l se via via
cun quél baštàrt pelùs che l’è ‘l so can.
Lü ‘l va denànz, dedré ghe ve ‘l Šparmìs16
e per el Port17 al ciàppa sü la štrada,
al pensa al munt, se ‘l gira u se l’è fiss;
el can l’ušma18 giù bass ogni pisàda.
Travérsàt l’Adda, e rüàt al Port,
a l’ustarìa al và cun tanta sé,
al ne bef ün quartìn, al se sent fort,
e vers la Moia19 al va cul can de dré.
****
L’è scià l’invèren. Tant l’è gèlt e frecc’
che sutt’al nas al se fa i candelìn;
el nos buşàcc’ al solta fö dal lecc’,
e ‘l pùcia20 el müs gin l’acqua del cadìn.
Al fa pö culeziùn cun dü farüda21
e tri brašchè22 vanzàt int ün ciapèll,
al trà de fö ‘l cagnòtt ch’a ‘lla già aüda23,
e ‘l dorma facc’ sü com’ ün gamüsèll24.
Sint ün banchèll25 al se mett pö sentàt,
denànz a ‘n feneštrö che varda in là,
al tö-scià ‘n par d’arlòtt26 (qui da suldàt),
cun la tümèra rutta da giüštà.
Intànt ch’al pùncia27 e ch’el tira el špach,
el calighè28 al varda vérs Muntàgnna29
din gù el sù al picca giù da matt,
e per i muntagnùn l’è ‘ne cücàgnna.
El nos buşàcc’, intant ch’al vent i nus,
1 - In Albosaggia si ha d’estate molto sole perchè, vista la posizione del paese, il
tramonto avviene molto più tardi che a Montagna (il sole non è coperto dalla
collina di Triangia). Inoltre la luna, molto bassa all’orizzonte, non appare mai. In
inverno accade il contrario: il sole sparisce dietro alle Orobie, mentre la luna, che
sorge dal lato N della valle, illumina molto di più i paesi orobici di quelli retici.
2 - Fazzoletto.
3 - Raso.
4 - Si fa il segno della croce.
5 - Spaventa per mandar via.
6 - Lo richiama.
7 - Sputa.
8 - Prive del mallo.
9 - Chiacchera.
10 - Si sbracciano.
11 - Claudio Tolomeo, astronomo egiziano del II sec. dC. Pose la terra al centro
dell’universo e il sole e gli altri pianeti che gli girano attorno.
12 - Nome originario dell’astronomo polacco Nicolò Copernico del 1500, che
mise il sole al centro del sistema solare con i pianeti, terra compresa, che gli giravano attorno.
13 - Falco. Qui storpiatura del soprannome di Galileo Galilei, l’aquila (o falco)
dell’astronomia.
24
LE MONTAGNE DIVERTENTI
Primavera 2009
LE MONTAGNE DIVERTENTI
Al vet i cuntadìn sutt’ al Castèll30
14 - Nasconde.
15 - Denaro.
16 - Nomignolo dato al cane magro e macilento perchè nutrito con risparmio
(derivato da šparmì=risparmiare)
17 - Contrada di Albosaggia in riva all’Adda.
18 - Annusa.
19 - Contrada alta di Albosaggia.
20 - Intinge.
21 - Castagne lessate con la pelle.
22 - Caldarroste.
23 - Che l’ha già avuta (la colazione).
24 - Gomitolo.
25 - Sedile di legno.
26 - Scarpacce rotte.
27 - Che dà i punti (cuce).
28 - Ciabattino.
29 - Montagna in Valtellina, detta Cà Nossa dagli autoctoni.
30 - Castel Grumello.
P OESIE
DIALETTALI
25
Speciali di primavera
che i poda i ciànta sü31, e dopu i drizza32
i vignna sint i roccia del Grümèll,
da ingù al vé quél vin che fa šcarìzza.
Al mét in bücca un pizzéch de tabàcch,
e al šuspìra: “Varda che furtüna,
d’invèrén lù de sù ai ghe n’à ‘n sacch,
e nü apéna umbrìa e tanta lüna.”
Intànt ch’al và de fö a tö ‘n po’ ‘llegnna
al pensa a quéla volta int al marcà
quant l’era ‘ndacc’ a vent nus e caštégnna,
e ai dü sciùr che iera dré a rugnà.
“Chi mai gh’arrà aüt la maciavèlica33
da š’ciarì fö ala fin quél giübilé34,
che a tropp pensàgga al fa girà l’élica
e anch ‘l rešt che nu se po’ vedé?”
A fa l’aštrònum lü al völ pruà:
al liga el can cunt ün curdùn a ‘n pal,
e pö pian pian al pröva a fal andà,
e quél ghe gira atùrn, poru animàl.
El can, che l’ubedìs, al fa la olta,
cume i duaréss35 pö fa el munt u ‘l sù,
ma ‘l por buşàcc’ amò anca štavòlta
d’aštrunumìa nu ghe ne capìss giù.
Inütil l’è pö stacc’ l’ešperimént:
al štreppa el pal, e al dešlìga el can,
31 - Fissano e/o sostituiscono i pali delle vigne.
32 - Legano i tralci delle viti alle pertiche.
33 - Intuito nel comprendere le cose complicate
o l’arte di ottenere qualcosa con qualsiasi mezzo
(da Macchiavelli).
34 - Grande confusione.
35 - Come dovrebbero.
26
LE MONTAGNE DIVERTENTI
Montagne di ciliegie
el dübi amò ‘l ghe rešta int-te la mént
ciantàt in quél scervéll miga tropp san.
Marino Amonini
Al turna in cà, e pö a pesciadùn36
al šcuìsscia37 la padèlla di brašchè
(che a cà sua l’è pö i brüşegù38)
e al cagnüsc’ al ghe le tira dré.
Al ciàppa la pignàtta di farüda
(che per i buşagìn l’è i tetafò39)
da sur al föch dingù l’era metüda
e da la porta pö ‘lle pica fò40.
Intànt ch’al pešta i pé tütt imbüzìt41,
‘n antèll42 al ghe se dèrf43 int i scérvèi:
“El Tulumé niententu l’à capìt,
ai gh’à reşùn Kupèrnik, Galilèi.”
Cul pügn i muntagnùn al tö de mira44:
“Da nù gh’è tetafò e brüşegù,
ma se l’è vera po che ‘l munt al gira,
‘na volta a’ nu a Muntàgna a ciapà ‘l sù!”
El por Šparmìs che ‘l dorma int ün cantùn,
al dèrf ün öcc’ e ‘l fa: “Poru cuiùn!”
36 - Con grandi pedate.
37 - Schiaccia.
38 - Caldarroste nel dialetto di Albosaggia.
39 - Castagne bollite in dialetto di Albosaggia.
40 - Il termine fò non è montagnone, ma dialetto d’Albosaggia.
41 - Imbronciato.
42 - Finestrella.
43 - Si apre.
44 - Minaccia col pugno i montagnoni.
Primavera 2009
LE MONTAGNE DIVERTENTI
“C’era una volta…
— Un re! — diranno subito i miei piccoli lettori.
No, ragazzi, avete sbagliato. C’era una volta un pezzo di legno.
Non era un legno di lusso, ma un semplice pezzo da catasta, di
quelli che d’inverno si mettono nelle stufe e nei caminetti per
accendere il fuoco e per riscaldare le stanze.
M ONTAGNE DI CILIEGIE
27
Speciali di primavera
Ciliegi in autunno, località Santa Maria
Perlungo (2 novembre 2007, foto
M. Amonini).
A pag 27: ciliegi in fiore (15 aprile 2007,
foto M. Amonini).
A pag 30: l'autunno a Portola (31 ottobre
2007) e l'inverno a Montagna(6 gennaio
2008, foto M. Amonini).
Non so come andasse, ma il fatto gli è che un bel giorno questo pezzo di legno capitò
nella bottega di un vecchio falegname, il quale aveva nome mastr’Antonio, se non che
tutti lo chiamavano maestro Ciliegia, per via della punta del suo naso, che era sempre
lustra e paonazza, come una ciliegia matura.
Appena maestro Ciliegia ebbe visto quel pezzo di legno, si rallegrò tutto e dandosi una
fregatina di mani per la contentezza, borbottò a mezza voce:
— Questo legno è capitato a tempo: voglio servirmene per fare una gamba di tavolino.
Detto fatto, prese subito l’ascia arrotata per cominciare a levargli la scorza e a
digrossarlo, ma quando fu lì per lasciare andare la prima asciata, rimase col braccio
sospeso in aria, perché sentì una vocina sottile, che disse raccomandandosi:
— Non mi picchiar tanto forte!
Figuratevi come rimase quel buon vecchio di maestro Ciliegia!”
C
osì si apre il romanzo di Carlo
Lorenzini, universalmente
conosciuto come Collodi, Le
avventure di Pinocchio. Non potrebbe
esservi migliore premessa per elaborare qualche modesta annotazione sui
ciliegi. Certo, Collodi non indica con
che qualità di legno abbia dato vita al
famosissimo burattino, ma visto che
tutto prende le mosse nella bottega di
maestro Ciliegia ci piace immaginare
che quel “ciocco di legno” fosse di
ciliegio. Perché è legno nobile, benché
di questi tempi essenze esotiche lo
abbiano eclissato e quasi relegato
all’oblio.
Eppure ricordo che un vecchio
zio, che poteva vantare un pizzico di
genialità nel saper far di tutto, ricavava i mobili più eleganti da stagionate
assi di ciliegio.
Il colore caldo delle venature, la
buona lavorabilità, l’eccellente durata
e la comodità di poterselo produrre
nei propri boschi ne determinavano la
preferenza. Dai comodini alle credenze, dagli attaccapanni alle “ottomane”
dai braccioli finemente lavorati, tutto
profumava di legno e di fascino ai
miei ingenui sguardi di bimbo.
Ma se l’ammirazione per quegli
oggetti era castigata al silenzio dal
burbero carattere dello zio che borbottava su tutto ed inveiva per un niente,
una vera esplosione di gioia deflagrava
quando da monelli potevamo assaltare
una cavagna de sciaresi1.
Sarà per questi incancellabili ricordi
d’infanzia che in ogni luogo, ad ogni
stagione, in tutte quelle inquadrature
che catturano la mia passione fotografica, spesso sono rapito dalla bellezza dei
ciliegi.
In Valtellina se ne è smarrita l’attenzione nonostante questa pianta, per
molteplici valenze, abbia rappresentato una grande risorsa durante decenni
1 - Cesto di ciliege.
28
LE MONTAGNE DIVERTENTI
Primavera 2009
LE MONTAGNE DIVERTENTI
di dignitosa miseria.
Le spietate regole consumistiche
hanno reso antieconomico la raccolta dei prelibati frutti, le mode hanno
sovvertito i gusti per i legni d’arredo, le
monoculture a vite, mele e kiwi hanno
cancellato da giardini e frutteti i ciliegi.
Resiste, però, il selvatico; domina
l’incolto dei boschi.
Ed è in quest’ambito che il prunus
avium, ossia il ciliegio, si prende sonore rivincite.
Non vi è angolo di Valtellina e
Valchiavenna ove non si manifesti ed
è un vero peccato che non gli si dedichino le dovute attenzioni e cure.
Quando la morsa dell’inverno allenta la sua presa e tutte le altre piante
del bosco paiono ancora assopite nel
grigiore, le fioriture dei ciliegi punteggiano i versanti, li risalgono, precedendo le esplosioni di colori primaverili
e catturando i nostri sguardi avidi di
sciamate tra i nuovi tepori.
Come le api che tra quei grappoli
di fiori rinnovano il miracolo che li
porterà a diventare irresistibili manciate di turgide ciliegie.
Durante l’estate sono i prelibati frutti a giocare a nascondino nei boschi;
uccelli e volpi si pappano il meglio da
maggio ad agosto.
E’davvero malinconico osservare,
oggi, che gli adolescenti, annoiati e
sazi, prediligono l’ozio, piuttosto che
ingegnarsi come i loro nonni che liberavano adrenalina pura rubando ciliegie ai temibili padrùn de li sciareséri,
incappando inevitabilmente prima nei
crapadùn dei genitori, per poi essere
infilati in confessionale a scontare in
pater-ave-gloria le malandrine incursioni per sciarése.
E’ altrettanto triste vedere come gli
spot televisivi ci portino a evitare i
saporiti frutti nostrani nella dieta dei
piccoli: genitori terrorizzati che i loro
putti possano incappare in un cagnunìn (detti anche giovannini) annidato
in una purpurea ciliegia carnosa di
maturazione!
L’autunno, invece, è la stagione che
esalta i ciliegi rendendoli un incanto.
Basta alzare lo sguardo sui versanti
per leggere, nella ricca tavolozza di
colori, il fiammeggiare dei ciliegi; nitidamente, inconfondibilmente quelle
chiome che virano dal giallo al bruno
appartengono alle tante varietà del
prunus avium.
Quasi in ogni vecchia contrada,
in ogni rudere d’insediamento ora
avvolto dal bosco o dai rovi, spicca la
colorata presenza dei ciliegi, mutati da
risorsa di un tempo a odierno complemento estetico del paesaggio.
L’inverno rende più uniforme e
meno leggibile il bosco; gli abeti
si ergono a dominatori e possono
fregiarsi di rallegrare il Natale. Anche
da spogli, infatti, i ciliegi continuano
a distinguersi: dove non hanno dovuto elevarsi allo spasimo per catturare
la luce e sono serenamente invecchiati
possono vantare una folta capigliatura
sulla quale si depositano le nevicate.
M ONTAGNE
DI CILIEGIE
29
Speciali di primavera
L'inchiesta
La “guerra” del latte
crudo vista
dalla Valtellina
e dalla Valchiavenna
Se lo dice Maurice Mességué
Prof. Michele Corti
Docente di sistemi zootecnici e pastorali montani presso l’UNIMI
Se nel vostro frutteto il melo merita il
posto d’onore, al secondo non esitate
a piantare il ciliegio. In primavera
farete una deliziosa cura di ciliegie
fresche: che siate ammalati o godiate
buona salute, non potrete che trarne
dei benefici. Per i botanici, i ciliegi
dai grappoli vermigli, gli stupendi
ciliegi che danno frutti belli come
labbra di fanciulle, non sono altro
che dei prugni : infatti vengono
classificati nel genere Prunus! Triste
destino per un albero che dà a
Flora i pendenti per le orecchie e in
autunno la ammanta del rosso più
fastoso. Quando parliamo di piante
medicinali s’impone un certo rigore.
Suddivido la tribù dei ciliegi in due
grandi gruppi: uno riconoscibile
dai fiori e dai frutti disposti in
lunghi grappoli (ciliegio a grappoli
o pado, lauroceraso), l’altro, molto
caratteristico per la disposizione
a ventaglio dei fiori e dei frutti
(viscido, durone). Non tratterò qui
dei due primi, pur essendo anch’essi
varietà medicinali, perché sono (nel
loro insieme e in alcune loro parti)
fortemente tossici. Dal viscido e dal
durone invece, possiamo aspettarci
tutte le virtù senza correre rischi.
Il ciliegione, cioè il ciliegio vero
nella sua forma selvatica, coltivato
ci ha dato delle varietà deliziose
come la ciliegia tenerina e la ciliegia
duracina. Le prime selezioni sono
state fatte probabilmente in Asia
Minore e dobbiamo a Lucullo di
averle introdotte nel mondo romano
dal quale si sono poi propagate nel
mondo intero. Come alimento la
ciliegia è ricca di zuccheri facilmente
assimilabili (levulosio) e senza
pericolo per i diabetici; contiene
anche il carotene, amico degli occhi
e precursore della vitamina A, che
dà frutto il suo colore vermiglio.
Come medicamento, la ciliegia è,
prima di tutto, diuretica, e più ancora
il picciolo (chi di noi non conosce
almeno di fama la tisana di gambi
di ciliegio?). Il vesciolo, detto anche
marasca o ciliegia asprina, si distingue
dal precedente per essere più piccolo
e per frutti aciduli più carnosi, rosso
chiaro, a picciòli più corti. Ha le
sue origini in Persia e in Kurdistan
ed è diffuso oggi in tutte le zone
temprate dell’emisfero settentrionale.
In fitoterapia il vesciolo viene usato
per combattere le febbri (corteccia),
contro le bronchiti e come diuretico
(i suoi picciòli sono più attivi di quelli
del durone).
Preparazione e impiego
TISANA di picciòli di ciliegia: quando
sono stati ben essicati all’ombra
(si conservano per diversi mesi)
sono pronti; fateli ammollare per
una giornata in acqua, tritateli al
momento dell’uso, misuratene una
manciata per un litro d’acqua.
(da 3 a 4 tazze al giorno)
ALTRA RICETTA : quando il vostro
decotto di picciòli è pronto, invece di
berlo tale e quale, versatelo su delle
ciliegie fresche o essiccate; lasciate
riposare per mezz’ora, filtrate.
(Stesse dosi)
S
i definisce “latte crudo” il latte allo stato naturale,
così com’è prodotto dalla mucca, prima ancora
che venga pastorizzato e impacchettato. È latte
che non ha subito trattamenti termici: intero e genuino,
saporito, cremoso, vivo, con tante vitamine1.
Da qualche periodo, finalmente, si stanno installando in
tutta Italia distributori automatici di latte crudo, per accorciare una filiera troppo lunga, madre di sovrapprezzi del
prodotto, involucri usa e getta e causa di grandi dilatazioni
delle distanze tra luogo di mungitura e consumatore. Ai
distributori automatici si può acquistare un litro di latte
crudo ad un euro (o anche meno) e riutilizzare la stessa
bottiglia di vetro tutti i giorni, evitando in questo modo di
produrre rifiuti.
I distributori automatici, tuttavia, sono fortemente
1 - Tratto da www.milkmaps.com .
BAGNI ALLE MANI E PEDILUVI
di picciòli: misuratene una piccola
manciata per litro d’acqua. (Due
volte al giorno)
Da “Maurice Mességué , Il mio erbario,
Club degli Editori - Nuova Stampa
Mondadori Cles TN 1979
La ricetta
Ciliegie fiammeggiate alla grappa
PREPARAZIONE
Preparare una ventina di ciliegie a testa.
Togliere alle ciliegie il picciuolo ed il nocciolo.
Cuocerle in sciroppo di zucchero profumato al maraschino.
Tritare due cucchiai di nocciole e cospargerle di zucchero prima
di farle tostare leggermente al forno. Accomodare le ciliegie in
una pirofila, dove si sarà già messo lo sciroppo addensato, se
occorre, con una piccola presa di fecola.
Cospargere di nocciole e riporre per pochi minuti in forno,
presentare in tavola, spruzzare di grappa già riscaldata e
fiammeggiare.
Da “Renato Sozzani , Tavola imbandita in Valtellina, Camera di
Commercio Industria Artigianato e Agricoltura Sondrio - Bonazzi
grafica 1988
30 -
LE
LE M
MONTAGNE
ONTAGNE DIVERTENTI
DIVERTENTI
Primavera2009
2009
Primavera
L
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ONTAGNE DIVERTENTI
LE
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DIVERTENTI
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ONTAGNE
ONTAGNEDI
DICILIEGIE
CILIEGIE
- 31
Speciali di primavera
osteggiati dai big del settore. Casi non chiariti a grande riscontro mediatico di presunte intossicazioni stanno
gettando discredito sul latte crudo. Ma quanto è vero e
quanto è invece detto solo per eliminare un fastidioso
concorrente?
Dall’ “osservatorio” della provincia di Sondrio i termini della polemica sul latte “alla spina” appaiono particolarmente chiari. Ci sono in provincia pochi distributori
(meno di uno ogni 10000 abitanti). Eppure, nel suo piccolo, il mondo industriale e commerciale valtellinese si è
sentito minacciato. Nel comunicato del presidente della
Camera di Commercio del 28 novembre dello scorso anno
Speciali di primavera
si paventavano “seri danni al sistema produttivo ed a quello
della distribuzione, senza reali e duraturi vantaggi e garanzie
per il consumatore”.
Queste prese di posizione erano parte di una campagna politico-industriale partita da Roma e promossa dal
Sen. De Castro (ex ministro dell’agricoltura) presidente
della Sisag (finanziaria dell’industria alimentare con forte
presenza di Granarolo, leader indiscusso nel mercato del
“latte fresco”). Come si sa, tale campagna ha portato all’ordinanza del 18 dicembre, che impone l’affissione, presso
ogni distributore, di cartelli con l’avvertimento che il latte
crudo deve essere consumato previa bollitura.
Con il latte crudo ci guadagnano il produttore e il consumatore, ma ci guadagna anche la salute (come dimostrato
da serissime indagini mediche), l’ambiente e il traffico
(grazie a tanti camion in meno sulle strade). Chi compra
il latte crudo lo fa anche perché si stabilisce un rapporto
personale di fiducia con un produttore che ci mette la
faccia (la migliore garanzia igienica).
Va poi detto che, su quasi 1.500 analisi eseguite dalle
ASL in Lombardia, non un campione è risultato positivo
per la presenza di Escherichia coli O157 verocitotossica, il
batterio “imputato” delle supposte tossinfezioni.
Tornando al caso della Valtellina, Bertolini (Presidente
della Camera di Commercio di Sondrio), nel comunicato
già citato, sosteneva che: “I modelli di filiera corta validi per
le metropoli non mi sembrano facilmente o automaticamente
esportabili nella nostra provincia, costituita da piccoli centri”.
Affermazioni sconclusionate. A Milano ci sono solo quattro distributori per il semplice motivo che i produttori per
portare ogni giorno un quintale di latte devono perdere
troppo tempo nel traffico, riducendo quindi l’interesse
economico. In provincia di Sondrio ci sono sì piccoli centri
di poche centinaia di abitanti, ma la maggior parte della
popolazione vive in località di “taglia” giusta per avere il
proprio distributore, con la possibilità per parecchie aziende di trovare uno sbocco remunerativo.
I distributori automatici nella provincia di Sondrio
elenco aggiornato al 27 gennaio 2009
Ubicazione del distributore
Chiavenna Via Largo Antonino Pio
Talamona Via Ceresola
Talamona Via Gavazzeni (Piazzale scuola elementare)
Cosio Valtellino Via Roma
Valdidentro Via Nazionale
Sondrio Viale De Simoni 2
Tirano Piazza Marinoni
Tirano Via Fucine
Mantello via Lungo Adda
Allevatore
Az. Agr. Sala Fabio Latte crudo
Az. Agr. Sassella di F.lli Sassella & C. snc
Az. Agr. Sassella di F.lli Sassella & C. snc
Az. Agr. Sassella di F.lli Sassella & C. snc
Az. Agr. Urbani Agostino
F.lli Trivella s.n.c. di Trivella Dario e Ivana
Romegioli Emanuele
Romegioli Emanuele
La Fiorida S.R.L
Delebio via Stelvio 139 (Alla fine del paese, presso lo
spaccio della Latteria Cooperativa Sociale di Delebio)
Prodotto dai soci della cooperativa
Bormio via Galletto 1
Piuro via Nazionale
Ceinini Andrea
Del Curto Davide
32
LE MONTAGNE DIVERTENTI
Samolaco: la Torre
del Culumbée diventa
museo fotografico
Sergio Scuffi
R
icordo il fascino, l’alone
di mistero che circondava
certi vecchi edifici, quando
da ragazzi vi passavamo accanto per
raggiungere la scuola. Tra tutti i vecchi
ruderi si distingueva quella torre,
attorno alla quale si aggrappavano
altri vecchi fabbricati, quasi a cercare
protezione: edifici tutti quanti dalle
mura scrostate che qua e là lasciavano intravedere pochi resti di calce.
Non indagavamo su quella singolare denominazione, “Culumbée”, ma
intuivamo che si dovesse trattare di
un edificio dal passato particolare.
Dell’antica torre molto si è detto,
intrecciando spesso storia e leggenda. La più nota e suggestiva (quanto
improbabile) credenza è che vi abbia
trovato rifugio addirittura Federico
Barbarossa, durante i suoi numerosi
passaggi verso la pianura nel periodo delle famigerate battaglie contro
i Comuni. Lo affermava anche il
vecchio Dolci, ultimo ad abitare, con
un tenore di vita quasi eremitico, il
piano terreno del vetusto edificio. Egli
intercalava questa leggenda ad altre
storie affascinanti che incantavano i
ragazzi quando lo andavano a trovare
durante il percorso verso la scuola1.
Certamente, ragionando sul nome, il
primo pensiero va ad una consuetudine
piuttosto diffusa nel passato: quella di
utilizzare i piani più alti di certi edifici
proprio per la cattura dei piccioni, che
potevano così integrare ottimamente
le scarse risorse alimentari disponibili.
In effetti, all’ultimo piano si può ancora vedere, appesa ad una parete, una
cassetta di legno con tanto di porticina,
predisposta per farvi entrare i volatili
1 - Amleto Del Giorgio, Il Culumbée di San Pietro
a Samòlaco: leggende, ipotesi e realtà in “Clavenna”,
Bollettino del Centro di Studi Storici Valchiavennaschi, XIII (1984), pp. 129-132.
Primavera 2009
LE MONTAGNE DIVERTENTI
Il Culumbée è una torre medioevale che si trova a S. Pietro
di Samolaco, sulla strada che conduce alla chiesa, dalla quale dista
una cinquantina di metri.
S. Pietro viene raggiunto seguendo la Strada Provinciale n. 2
(dalla SS 36 il percorso più diretto si imbocca a S. Cassiano,
in corrispondenza del sottopassaggio denominato “la Tomba”).
Presso il distributore di benzina Tamoil salire in paese, seguendo
le indicazioni; superato (sulla dx) un negozio di alimentari, svoltare
subito a sx in corrispondenza di una piazzetta: il Culumbée
è a meno di cento metri.
(curiosamente ricavata da un conteni- quadrata con lato esterno di cinque
tore del famoso DDT, ormai bandito metri, ha un’altezza di quindici metri
da parecchi decenni, con tanto di nome ed ospita quattro piani rialzati più un
pianterreno, in parte sotto il livello
del fabbricante).
Scarsi sono gli studi di carattere del suolo: si ritiene che, nel tempo,
storico sull’edificio, anche se diversi sia stata ribassata ed utilizzata come
particolari architettonici possono avva- abitazione.
Il progetto di utilizzare questo
lorare l’ipotesi che esso risalga al periodo medioevale. “Lo
direbbero i massicci
muri in pietra della
costruzione,
alcune delle volte nei
piani bassi, la tecnica costruttiva”: così
afferma l’architetto
Stefano
Succetti,
che per incarico del
Comune ha curato il
restauro conservativo
(2007-2008), tramite
lavori di rifacimento
(tetto, solai, scale) e
consolidamento della
muratura
(tiranti
in
corrispondenza
di ciascun piano),
conclusi poi con
l’installazione di un
idoneo impianto di
illuminazione.
Il Culumbée (18 giugno 2008, foto Sergio Scuffi).
La torre, di pianta
M ONTAGNE
DI CILIEGIE
33
Speciali di primavera
edificio come museo era allo studio
da alcuni anni da parte dell’Associazione Culturale Biblioteca di Samolaco; dopo il necessario intervento di
restauro conservativo, promosso dal
Comune anche con il lodevole contributo di Emanuele Barelli2, questa idea
ha potuto tradursi in realtà. Si deve
rilevare come l’evento (inaugurazione
ufficiale avvenuta sabato 4 ottobre
2008) abbia destato non poca meraviglia e curiosità anche per i molti
samolachesi che non vi erano mai
entrati.
La prevalenza di spazi verticali in
un edificio come questo ha portato
alla scelta di collocarvi delle immagi-
ni, dato che le superfici dei pavimenti
sono assai ridotte. Si è così provveduto a selezionare alcune fra le fotografie
del passato.
L’inaugurazione ha offerto l’occa2 - Emanuele Barelli, emigrato negli Stati Uniti, ha
lasciato una generosa donazione poco prima della
prematura scomparsa, seguendo l’esempio di altri
illustri benefattori (Elmo Falcinella per la biblioteca
comunale, Agostino Baretta per l’asilo di Era, negli
anni cinquanta).
34
LE MONTAGNE DIVERTENTI
sione per ringraziare quanti hanno
messo a disposizione le proprie foto di
famiglia, consentendone la copia e la
pubblicazione. Chi vuole può ancora
dare il proprio contributo, in quanto
i volontari dell’Associazione stanno
riordinando il materiale, catalogandolo e annotando tutte le possibili informazioni (le date, le persone, i luoghi).
Si tratta, insieme ad altri documenti
importanti (lettere di emigranti,
trascrizioni di antichi atti di compravendita, testamenti, contratti di
lavoro…), di preziosi materiali, che
potranno essere utilizzati anche per
nuove ricerche e pubblicazioni.
Le fotografie del Museo sono collocate per gruppi su pannelli (circa
cm 100 x 75), realizzati con grande competenza e professionalità da
Mauro Franchi nel suo bel laboratorio
di Isola (Madesimo).
I pannelli, ciascuno corredato da
sintetiche didascalie3, sono collocati
come segue:
Piano primo:
Il Culumbée tra storia e leggenda
Samolaco nelle carte di diverse
epoche
Vecchie immagini e cartoline
Piano secondo:
Famiglie numerose
Coscritti - Militari
Vita sociale, religione, scuola
Vita sugli alpeggi
Piano terzo:
Abbigliamento
Lavoro e attrezzi
Il cavallo
Piano quarto:
Vedute panoramiche
Immagini di oggi:
Centri abitati principali e minori
Vecchi nuclei di mezza costa
Alpeggi e maggenghi
Architettura: strutture varie, dipinti,
chiese, cappelle.
Al Piano seminterrato, che presenta rischi di umidità, vi sono invece
utensili ed attrezzi; tuttavia alcuni
oggetti del passato si trovano anche
nei piani superiori, negli angoli e presso le ripide scalette.
L’idea dell’Associazione è quella
di continuare la raccolta di oggetti,
garantendone la conservazione (se
necessario il restauro) e l’ esposizio3 - Si pensa di realizzare, in seguito, degli opuscoli
più dettagliati per i visitatori.
ne negli ambienti che man mano si
spera di poter avere a disposizione (tra
questi la stalla adiacente, che potrebbe
ospitare attrezzi di lavoro nei campi).
Ciascun oggetto è accompagnato da
una sintetica scheda con descrizione
(nome, in italiano e dialetto, utilizzazione, epoca, materiali) e i nomi dei
proprietari o donatori.
Il progetto si dovrebbe poi concludere e completare con un video per
visionare tutte le immagini disponibili, dato che qui si espone solo una
parte selezionata.
La realizzazione di questo Museo
si inserisce nel progetto più generale
perseguito dall’Associazione, ossia
quello di recuperare e valorizzare
alcuni ambienti che possano costituire punti di riferimento per un ideale
percorso museale diffuso sul territorio, tenendo in considerazione le varie
frazioni (si pensi alla caratteristica “Cà
Pipéta”, poco discosta dalla più famosa
Torre di Segname, all’antico nucleo di
Era-Cuéta, alla possibilità di un museo
del Cavallo Avelignese a Somaggia…)
e mirando anche a valorizzare i diversi percorsi via via resi disponibili dal
recupero dei sentieri storici.
Le visite sono, per ora, possibili su
richiesta, telefonando agli uffici del
Comune (0343 38003): si conta sulla
disponibilità di volontari per definire
giorni ed orari di apertura.
BIBLIOGRAFIA
Amleto Del Giorgio, Samolaco ieri ed oggi,
Chiavenna 1965 (Raccolta di studi sulla
Valchiavenna, IV), pp. 30 e 34.
Guido Scaramellini (a cura di) Schede di
censimento delle opere fortificate, realizzate
dall’Istituto italiano dei castelli di Roma,
scheda n. 16, Provincia di Sondrio, Milano
1975, p. 3.
Guido Scaramellini, Barbarossa ed Enrico
il Leone a Chiavenna, Chiavenna 1976
(Raccolta di studi storici sulla Valchiavenna,
V), pp. 19-20.
Mario Gianasso, Guida turistica della
provincia di Sondrio, Sondrio 1979 (Storia
e arte in Valchiavenna a cura di Guido
Scaramellini) , p. 348.
Amleto Del Giorgio, Il Culumbée di San
Pietro a Samòlaco: leggende, ipotesi e realtà
in “Clavenna”, Bollettino del Centro di Studi
Storici Valchiavennaschi, XIII (1984), pp.
129-132.
Albano Marcarini, Il Sentiero della Regina
-Dieci passeggiate da Como a Chiavenna Sondrio, 2000, p.176
Con le pelli
al Suretta
(m 3027)
Luca Bono
Verso il ghiacciaio del Suretta
(19 marzo 2006, foto R. Scotti).
Primavera 2009
LE MONTAGNE DIVERTENTI
Il Pizzo Suretta (m 3027)
è una meta scialpinistica
molto apprezzata, tanto per
la comodità della salita che
non presenta avvicinamenti
impegnativi (si può partire con
gli sci da Montespluga), sia per
l’esposizione a S che mitiga le
gelide giornate invernali.
P IZZO S URETTA
35
Alpinismo
Vista dal ghiacciaio di Suretta Sud. Al centro si vede la minuscola sagoma del Bivacco Suretta (19 marzo 2006, foto R.Scotti).
BELLEZZA
FATICA
Partenza: Montespluga (m 1908).
Itinerario automobilistico: Da Chiavenna
si prende la Statale 36 fino a Campodolocino, poi si
sale Montespluga (14 km
da Chiavenna).
Non ci sono possibilità di perdersi!
Itinerario sintetico: Montespluga
PERICOLOSITÀ
(m 1908) – Bivacco Suretta (m 2747) – Pizzo Suretta
(m 3027).
Il gruppo del Suretta
kit antivalanga.
Difficoltà: 3+ su 6. Tratti ripidi (oltre 40°).
Con poca neve ci sono passi su roccia fino al II.
Dislivello in salita: 1119 metri.
Dettagli: MSA (la dicitura Medio Sciatore
Alpinista indica la presenza di tratti alpinistici, se
si fosse usata la sola dicitura MS sarebbe altresì
significato che non ci sono tratti alpinistici lungo il
percorso).
Tempo di percorrenza previsto:
4 ore per la salita.
Attrezzatura richiesta: ramponi, piccozza,
36
LE MONTAGNE DIVERTENTI
Primavera 2009
Il Suretta (o Gruppo del Suretta) è un
gruppo montuoso al limite occidentale
del Passo dello Spluga, il primo delle Alpi
Orientali. La vetta principale è il Pizzo
Suretta (m 3027), detto anche Punta Nera
(o come la chiamano a Splügen “Surettahorn”). La vetta fu raggiunta per la prima
volta il 18 luglio 1869 da Arnold Baltzer
con Georg Trepp per la cresta NNE. La
prima invernale è di Gaetano Scotti,
Angelo e Romano Calegari per la cresta
SE. A E della Punta Nera ci sono altre due
evidenti elevazioni: la Punta Rossa (m
3020) e la Punta Adami o Punta Bianca
(m 2968).
I due soli punti d’appoggio del gruppo
sono il Rifugio Giovanni Bertacchi al Lago
d’Emet (m 2175, piuttosto lontano dalle
cime principali del gruppo) e il Bivacco
del Suretta , posto a m 2753 su un dosso
roccioso dinnanzi al Ghiacciaio di Suretta
Sud. Il versante svizzero è invece privo di
strutture d’appoggio. Il gruppo è chiuso a
occidente dalle Cime Cadenti, una successione di torrioni rocciosi (quota massima
m 3015) sorretti da alti speroni e suddivisi
da profondi canali. La maggiore elevazione delle Cime Cadenti fu raggiunta in
prima ascensione da Battista Scaramellini
nell'agosto 1906, seguendo il ghiacciaio del Surretta quindi la cresta NE (via
Normale - presenta difficoltà in caso di
scarso innevamento del ghiacciaio), e in
prima invernale da C. Re nel dicembre
1940, per la parete O. Oggi sono numerose le vie di roccia e ghiaccio che ne percorrono gli speroni e i profondi canali tra di
essi. Tra gli itinerari da segnalare vi sono
la cresta ONO (AD+, spesso parte della
traversata in cresta fino al Pizzo Suretta),
la via “Anime Cadenti” sullo sperone a
NO della quota 3015 (passi dal III al V-)
e le vie di ghiaccio e misto con inclinazioni
tra i 50° e gli 80° che salgono i vari canali
della parete NO.
LE MONTAGNE DIVERTENTI
Le Cime Cadenti dalla cima del Suretta (17 marzo 2002, foto R. Scotti).
P IZZO S URETTA
37
Alpinismo
L
a mia prima volta sul gruppo del
Suretta risale all’ormai lontano
2002, quando decisi di partecipare al
tradizionale raduno scialpinistico della
Strada Storta di Lecco.
All’epoca mi muovevo esclusivamente con scarponi e ramponi
guardavo con scarso interesse alla
moltitudine di persone che salivano
con le pelli. Era una giornata perfetta:
neve levigata e cielo blu cobalto. Forse
ero troppo distratto dalla bellezza
dell’ambiente, che sapeva già un po’
di alta quota, oppure dalla voglia di
mettere i ramponi e imbracciare la
piccozza.
Sono dovuti passare quattro anni
perché il Suretta mi rivedesse, questa
volta con gli sci ai piedi. Mi ricordo di
quella giornata di primavera del 2006
come fosse ieri: la sciata fu entusiasmante, il firn da manuale… fu allora
che mi resi conto di quanto questa
meta, che rappresenta un “classico”
per gli appassionati, proponesse caratteristiche particolarmente apprezzabili
dagli scialpinisti: dislivello (circa 1000
metri) e sviluppo modesti, ma da
pendii sempre piuttosto ripidi, aperti
e solivi, necessari oltretutto alla formazione di un manto nevoso perfettamente trasformato.
L’itinerario che stiamo andando a
descrivere si svolge sul versante S del
Suretta e si discosta dalla più facile via
classica di salita, quella degli svizzeri
per intenderci, che, invece, parte dal
Passo dello Spluga e si sviluppa sul
versante N appena al di sotto della
cresta occidentale della montagna.
La salita da Montespluga
S
i parte dallo spiazzo posto poco
prima di Montespluga (m 1908)
e si sale in diagonale verso dx, infilandosi nel vallone che s’innalza verso N.
Superato il ripido pendio che porta al
margine S del Lago Azzurro (m 2429,
ore 1:15), si traversa con percorso piuttosto vario (ENE) fino a guadagnare la
conca posta sotto la cima del Suretta e
dimora del Ghiacciaio di Suretta Sud.
Alla propria dx si nota il risalto roccioso su cui è posto il Bivacco Suretta (m
2747).
Ci si porta ora sotto la verticale della
cima e si affronta con attenzione il
ripido pendio che ne scende, avendo
l’accortezza di scegliere, a seconda delle
condizioni d’innevamento, il tracciato
migliore per guadagnare o la cresta a
pochi metri dalla vetta, o direttamente
la sommità stessa. Se la neve è buona
si riesce a raggiungere la cima con gli
sci ai piedi. Dalla vetta il panorama è
incantevole (Pizzo Suretta, m 3027,
ore 1:15 – 2:30 da Montespluga).
La zona del Suretta è soggetta a
violente precipitazioni, l’itinerario si
svolge su pendii soggetti a valanghe,
per cui è buona norma effettuare
l’uscita solo con buone condizioni sia
meteo, che del manto nevoso.
In alto: la salita al Suretta. Sullo sfondo la
valle di San Giacomo e il lontano Legnone
(19 marzo 2006, foto R. Scotti).
A sx: la prima parte della salita (19 marzo
2006, foto R. Scotti).
A dx: il Bivacco Suretta (19 marzo 2006, foto
R. Scotti).
A pag. 38 in basso: il tracciato di salita visto
dagli Andossi (26 dicembre 2003, foto R.
Moiola).
38
38
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09
LE MONTAGNE DIVERTENTI
P IZZO S URETTA
39
Alpinismo
Il Ghiacciaio di Suretta Sud
Riccardo Scotti
2008 - D'AMICO
1931 - PIGANELLI
Il ghiacciaio di Suretta Sud (1931, foto Piganelli).
A sx: il ghiacciaio di Suretta Sud nel 1990 (foto M. Lojacono).
In alto: il ghiacciaio di Suretta Sud nel 2008 (foto M. D'Amico).
1990 - LOJACONO
N
onostante la quota piuttosto
modesta, il Suretta è una montagna ampiamente glacializzata a tutte le
esposizioni. Verso NE, in territorio svizzero, si trova il grande Surettagletscher,
oggi disgregato in diversi placche, ma
pur sempre con una superficie complessiva prossima ai 100 ha. Curiosamente
alla base della austera parete NO, dove
la morfologia sembrerebbe ottimale per
ospitare un grosso ghiacciaio, non si
trovano che modeste placche di ghiaccio
o nevai semipermamenti; di contro sul
versante meridionale della montagna, in
40
LE MONTAGNE DIVERTENTI
territorio italiano, si estende il ghiacciaio di Suretta Sud che, con i suoi 23.7 ha
(1999), è uno dei più grandi della Valle
Spluga. Il Ghiacciaio occupa per intero
il circo-vallone che dalla vetta conduce
ai pianori e ai dossi dove è collocato il
Bivacco Suretta.
I primi studi scientifici risalgono al
secolo scorso quando le immagini e
le misure frontali venivano gestite dal
Prof. Pignanelli. Come per molti altri
ghiacciai lombardi dalla fine degli anni
‘60 la serie di misure si interrompe per
poi riprendere saltuariamente dal 1976.
Dagli anni ‘80 in poi i rilievi sono stati
portati avanti dal Prof. Scaramellini e
dal Servizio Glaciologico Lombardo.
Alcune particolarità caratterizzano
questo piccolo apparato glaciale: innanzitutto occorre chiedersi come possa un
ghiacciaio esistere in una collocazione
topografica così sfavorevole. Le pareti del Pizzo Suretta non garantiscono
certo apporti valanghivi capaci di “fare
la differenza”, così come l’altitudine del
ghiacciaio risulta estremamente modesta se rapportata all’esposizione perfettamente meridionale. La spiegazione
Primavera 2009
più plausibile e corroborata dai dati di
terreno è nell’eccellente nevosità tipica
dell’Alta Valle Spluga che, comunque,
da sola non può spiegare un comportamento tanto virtuoso.
Con molta probabilità le tempeste
di vento da nord, oltre a portare un po’
di neve meteorica per “sfondamento”
favoriscono meccanicamente l’accumulo della neve e non l’erosione, come di
contro accade su molti altri ghiacciai
lombardi. In ultimo, il tempo “pessimo”, così frequente durante i mesi estivi
sulle vette di confine, non può che favoLE MONTAGNE DIVERTENTI
studio del bilancio di massa è estremarire la conservazione della neve.
Una seconda particolarità riguardan- mente importante perché ci consente
te il Ghiacciaio di Suretta Sud riguar- di definire quantitativamente lo stato
da il suo andamento rispetto al clima. di salute del ghiacciaio anno dopo anno
Sembra, infatti, che la fase positiva, che e stimare il rilascio stagionale di acqua
fra la seconda metà degli anni ‘70 e la causata dalla fusione nivo-glaciale.
prima degli anni ‘80, ha interessato i
ghiacciai alpini, qui sia arrivata
in ritardo. I rilevamenti condotti
dal Prof. Scaramellini segnalano
un ghiacciaio ancora in arretramento nei primi anni ‘80 (-21.5
m dal 1980 al 1984), mentre la
piccola avanzata, testimoniata da
una piccola morena depositata dal
ghiacciaio, è avvenuta fra l’84 ed
il ‘90. In seguito il Ghiacciaio si è
riallineato all’andamento generale
presentando un marcato e costanFig. 1. Il bilancio netto di massa è qui misurato in
te regresso che lo sta mettendo
millimetri di equivalente in acqua. 1000 mm di
equivalente in acqua, considerando una densità
attualmente in pericolo di estinziomedia del ghiaccio di 0.9, coincidono con circa 1.1 m
ne. Negli ultimi anni il ghiacciaio
di spessore. Seguendo la curva dei valori cumulati,
è stato oggetto di studi glaciologici
dal 2002 al 2008 sono andati perduti quasi 12 m di
ghiaccio. Tutti i bilanci sono stati negativi con un
molto approfonditi da parte del
picco massimo nel 2003 (dati a cura di A. Tamburini
Servizio Glaciologico Lombardo.
- SGL).
Dal 1999 viene misurata l’altezza
della neve ad inizio estate e l’eventuale perdita di spessore con due
paline infisse nel ghiaccio (fig. 1).
Dal 2002, grazie al lavoro
del team capitanato da Andrea
Tamburini e Maurizio Lojacono,
si aggiunge il calcolo del bilancio
di massa netto annuale dell’intero
ghiacciaio con tecnica geodetica (GPS differenziale). Grazie a
questo studio è possibile conoscere
Fig. 2. L’altezza della neve al suolo sul ghiacciaio
a inizio estate (generalmente fra fine maggio e
le variazioni di spessore del ghiacinizio giugno). L’annata più nevosa è stata il 2001
ciaio in ogni settore e la variazione
con oltre 6 m di neve al suolo nel punto di misura.
mediata sull’intera superficie. Lo
Manca il dato relativo al 2002 (dati SGL).
P IZZO S URETTA
41
Alpinismo
A
Al
Alp
iini
niismo
mo
mo
Monte Forcellino (m 2842)
Beno con Fabio Meraldi (Guida Alpina tel. 328.7654564)
BELLEZZA
FATICA
PERICOLOSITÀ
Partenza: San Gottardo (m 1381).
Itinerario automobilistico: Da Bormio
4 ore e 30 per la salita.
prendere la SP EX SS300 per Santa Caterina. Si
passeranno Uzza, San Nicolò, Sant’Antonio per
arrivare nella frazione di San Gottardo. Appena oltre
il ponte sul torrente Zebrù, si lascia la macchina nel
parcheggio sulla dx (5.5 km). Non ci sono possibilità
di perdersi!
Attrezzatura richiesta: sci d’alpinismo o
Itinerario sintetico: San Gottardo (m 1381)
un discreto sviluppo altimetrico.
LE MONTAGNE DIVERTENTI
In vetta al Forcellino (9 febbraio 2009, foto Beno).
L'abitato di San Gottardo (9 febbraio 2009, foto Beno).
Tempo di percorrenza previsto:
ciaspole, kit antivalanga.
Difficoltà: 2 su 6.
Dislivello in salita: 1461 metri.
Dettagli: MS. Tracciato privo di difficoltà ma con
– Gerlong (m 1800 ca) – Baite di Cavallaro (m 2190)
– Passo Forcellino (m 2778) – Monte Forcellino
(m 2842).
42
Uno degli itinerari scialpinistici più facili e sicuri dell’Alta Valle è la salita
al Monte Forcellino da San Gottardo. L’itinerario si sviluppa in Valfurva
su pendii piuttosto dolci e generalmente non coinvolti da distacchi nevosi,
tuttavia, oltre le baite di Cavallaro, è bene prestare attenzione agli accumuli
e ai costoloni più pendenti.
Primavera 2009
D
al al parcheggio a San Gottardo prendiamo la stradina che
si diparte a NE della provinciale fino
alle ultime case della frazione. Con
belle serpentine saliamo verso E per
boschi e prati. Incontriamo su una
bella radura alcuni minuscoli fienili
(taulà). Ci portiamo quindi leggermente a dx e raggiungiamo le belle
baite di Gerlong (m 1800 ca). La
parte alta delle case è in legno. L’isolamento fra le assi è fatto col muschio,
una valida e ecologica alternativa alle
schiume sintetiche. Mi spiega Fabio
che il muschio viene raccolto ancora
verde e pressato nelle intercapedini
da sigillare. Il sole lo secca e lo rende
perfettamente isolante.
La salita prosegue verso ENE e ci
porta fuori dalla fascia alberata, sui
vasti pascoli delle Baite di Cavallaro
(m 2190, ore 2:30).
Il Passo Forcellino è la chiara depressione a NE. Il Monte Forcellino da
qui non è visibile, ma a dx del passo
si erge chiara la Cima di Saline, poco
frequentata scialpinisticamente per la
presenza di grossi e fastidiosi massi
che impediscono al manto nevoso di
regolarizzarsi.
Arrivare al passo (m 2778) è estremamente facile e senza tracciato
obbligato, ma con neve instabile
LE MONTAGNE DIVERTENTI
M ONTE F ORCELLINO
43
Alpinismo
Sul versante occidentale del Monte Confinale è presente un piccolo ghiacciaio di circo: il Ghiacciaio di Confinale Ovest. L’apparato glaciale è
rimasto pressoché stazionario dal 1992 al 2000 mantenendo una superficie di 12 ha mentre dal 2002 in poi la perdita di superficie è stata netta
ed evidente. Negli ultimi anni il ghiacciaio ha adottato una tattica di autodifesa per poter contrastare le alte temperature estive. La perdita di
spessore e le numerose piccole frane della parete rocciosa sovrastante hanno ricoperto il ghiacciaio di detrito, un ottimo isolante che ne sta
rallentando il declino. (19 agosto 2008, foto Davide Colombarolli).
conviene evitare le zone ventate e gli accumuli,
per salire invece lungo il crinale sulla sx. Oggi
che c’è pericolo 4 su 5, anche in questi tratti
apparentemente sicuri, abbiamo assistito a pericolosi assestamenti e all’apertura di crepe dovute
al nostro passaggio.
Dal passo, con una diagonale che mira direttamente alla vetta, raggiungiamo facilmente il
Monte Forcellino (m 2842, ore 2).
La vetta offre un panorama eccelso sia sulla Val
Zebrù e le cime vicine, tra cui svettano la Punta
del Cristallo a N (m 3393) e il Monte Confinale
a SE (m 3370), che sulle montagne più lontane e sull’abitato di Bormio. Spettacolari sono i
colori della cresta di Reit a NO.
La discesa per San Gottardo può essere effettuata per la stessa via della salita, oppure (varianti indicate in verde a pag. 42), con neve assestata,
per il Valun di Selina (E poi N) fino al Rifugio
Campo (m 2080). Da qui si deve però affrontare un lungo tratto noioso, dove in parte occorre
spingersi (10 km).
Un’altra alternativa di salita/discesa è quella
dal parcheggio di Niblogo (m 1600 ca), raggiungibile in macchina da San Nicolò (prendere a sx
dal municipio, quindi, dopo Piazzola, sulla dx).
Dopo aver seguito la rotabile a transitabilità
limitata fino al ponte di Pecenaccio, si piega a
S verso Pradaccio di Sopra (m 1700 ca), per poi
salire a ESE alle baite di Cavallaro e ricongiungersi all’itinerario da San Gottardo.
Dalla cima del Monte Forcellino si ha una vista
privilegiata su Bormio, 1600 metri più basso
(9 febbraio 2009, foto Beno).
44
LE MONTAGNE DIVERTENTI
Primavera 2009
LE MONTAGNE DIVERTENTI
I tipici fienili in legno nei pascoli sopra San Gottardo (9 febbraio 2009, foto Beno).
Nelle baite di Gerlònc si possono ammirare le intercapedini isolate con muschio
secco (9 febbraio 2009, foto Beno).
M ONTE F ORCELLINO
45
Alpinismo
Dai vari paesi della Valmalenco il Sasso Moro non
è visibile, incastonato com’è nel gruppo del Bernina;
solamente uscendo dalla penultima galleria lungo
la strada che porta a Campo Franscia, nel comune
di Lanzada, appare in tutta la sua maestosità.
E’ una montagna piuttosto estrosa, con un aspetto
differente ad ogni versante: piramidale a S, con varie
guglie a O, pendio addolcito a N e “gandùn” a E.
Deve il suo nome alle rocce scure che lo compongono:
rocce famose, le serpentiniti della Valmalenco
Sasso Moro (m 3108)
Luciano Bruseghini
Il Sasso Moro da Campagneda (8 dicembre 2008, foto Luciano Bruseghini).
46
LE MONTAGNE DIVERTENTI
Primavera 2009
LE MONTAGNE DIVERTENTI
S ASSO M ORO
47
Alpinismo
Alp
A
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Valmalenco
L'ultimo ripido tratto verso la vetta
(5 gennaio2009, foto Luciano Bruseghini).
Il tracciato di salita al Sasso Moro visto dal rifugio Carate, m 2636 (1 gennaio2009, foto Beno).
BELLEZZA
FATICA
PERICOLOSITÀ
Partenza: Campo Moro (Lanzada) (m 2000).
Itinerario automobilistico: da Sondrio
prendere la strada provinciale SP15 per la
Valmalenco. Arrivati a Lanzada (15 Km) proseguire
lungo la strada che attraversa l’intero paese e le
varie frazioni in direzione Campo Franscia (5 Km).
Da qui spesso la strada è innevata per tutto il
periodo invernale. Proseguendo per altri 5 Km si
giunge a Campo Moro nei pressi della diga.
Itinerario sintetico: Campo Moro (m 2000)
- Sette sospiri - Forcella di Fellaria (m 2819) - Sasso
Moro (m 3108). Variante di ritorno per la Valle di
Fellaria - Rifugio Bignami (m 2401) - Diga Alpe
Gera.
Tempo di percorrenza previsto: 5 ore
per la salita. Calcolare 40’ in più per il ritorno dalla
Valle di Fellaria.
Attrezzatura richiesta: sci o ciaspole,
ramponi, piccozza, kit antivalanga.
Difficoltà: 3 su 6. 4 su 6 se si rientra per la Val
Fellaria (pericolo valanghe).
Dislivello in salita: 1317 metri (misurato con
apparecchio GPS).
Dettagli: BSA. OSA se si rientra per la Val
Fellaria.
P
oco frequentato durante il
periodo estivo, il Sasso Moro
è trascurato anche in inverno, soprattutto perché nelle immediate vicinanze vi è il blasonato Pizzo Scalino, meta
classica per migliaia di scialpinisti.
L’isolamento, d’altro canto, regala
oltre al silenzio quei bellissimi pendii
di neve immacolata che hanno spesso
accolto le mie serpentine in libertà.
Lasciata la macchina nel piazzale sovrastante l’invaso artificiale di
Campo Moro (m 2000), mettiamo
gli sci in spalla e ci abbassiamo a sx in
direzione del muro di contenimento
(il camminamento della diga è privo
di neve per consentire il passaggio dei
mezzi dei guardiani).
Giunti alla casa dei guardiani, inforchiamo gli sci e scendiamo a sx lungo
una stradina che porta ai piedi dell’invaso. Normalmente io e i miei amici
la percorriamo già con le pelli di foca,
visto che si tratta di un breve pendio,
anche se presenta diverse curve e due
tornanti.
Raggiunto il pianoro sottostante, seguiamo i cartelli indicatori del
sentiero che nel periodo estivo porta
ai Rifugi Carate e Marinelli. Qui
siamo a quota 1900 metri, il punto
più basso dell’itinerario. Alzando gli
occhi al cielo scorgiamo là in alto la
cima che ci attende. Il Sasso Moro ci
accompagnerà sulla dx per la totalità
dell’itinerario; infatti per raggiungere la sua vetta dobbiamo compiere il
periplo completo.
Inizialmente il percorso si svolge
lungo un tracciato tortuoso in direzione SO, incastonato fra le rocce e
baciato dal sole, dove spesso manca
anche la neve. Capita alle volte di
dover togliere gli sci e di salire tratti
di questa diagonale a piedi. Forse è
anche tale difficoltà iniziale a scorag-
RIFUGIO CA’ R UNCASCH
giare tanti scialpinisti e a farli rinunciare a questa spettacolare cima.
Dopo circa mezz’ora di salita
raggiungiamo un poggio a 2050
metri di quota. Da qui in avanti il
tracciato piega in direzione NO, la
neve è sempre abbondante e farinosa.
Davanti a noi appare il Monte delle
Forbici (m 2910), mentre in basso a
sx è visibile l’Alpe Musella (m 2021),
alpeggio ancora caricato nel periodo
estivo, dove sorgono i rifugi Mitta e
Musella, un tempo utilizzati come
punto di appoggio per le salite nel
gruppo del Bernina. Il sentiero, quasi
pianeggiante, attraversa un fitto bosco
di larici, profumatissimo d’estate e
scheletrico in inverno. A dx domina
sempre il Sasso Moro: noi continuiamo a contemplarlo.
Dopo un’altra mezz’ora di sciata
si arriva alla base dei “sette sospiri”,
una serie di infide “collinette” che
sembrano non voler far raggiungere agli escursionisti il rifugio Carate
(m 2636), ben visibile in alto, nei
pressi della Bocchetta delle Forbici.
Di fronte ci sormontano le imponenti
Cime di Musella (m 3088) simili ai
denti di un’enorme sega.
Con diverse serpentine e alcuni ampi traversi, superiamo i primi
quattro dossi dei “sette sospiri”. Sulla
dx si aprono due canali: entrambi
sono percorribili per raggiungere la
Forcella di Fellaria (m 2819), nostra
meta intermedia. Preferiamo quello
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48
LE MONTAGNE DIVERTENTI
Primavera 2009
LE MONTAGNE DIVERTENTI
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49
Alpinismo
Valmalenco
amano il brivido, consiglio invece
la discesa dal versante E. Entrambi
portano sempre in Val Fellaria.
Sottolineo che questi ultimi due
itinerari sono solamente per sciatori
esperti e vanno fatti in condizione di
innevamento stabile, perché obbligano il passaggio lungo pendii verticali,
a picco sull’invaso idroelettrico.
Il percorso da me preferito prevede
il recupero degli sci sotto la guglia
terminale e la discesa in direzione E
nell’ampio canalone costellato da grossi massi, tenendosi sul lato sx, proprio
sotto una grande parete rocciosa.
Dopo un centinaio di metri circa, il
canale si restringe molto fino a una
larghezza massima di cinque metri e la
pendenza aumenta enormemente. Ma
non c’è da preoccuparsi: qui la neve,
protetta dai pericolosi raggi solari, è
abbondante e farinosa. E’ una super
discesa che ha sempre entusiasmato
tutti gli amici che vi ho portato!
Raggiunto il pianoro di fondoval-
I tracciati di discesa dal Sasso Moro visti dal Bivacco Pansera (9 aprile 2007, foto Beno). In giallo la via classica, in verde per la via di salita, in
rosso per il canalone ripido.
più a monte, appena sotto le Cime di
Musella, perchè ha una pendenza più
regolare, mentre l’altro sale dapprima dolcemente per poi impennarsi
bruscamente nel tratto finale.
Il tragitto lungo questo canale è
molto sconnesso, a volte anche con
grandi quantità di neve, perchè il
fondo è costituito da enormi massi
caduti a valle dalle cime sovrastanti.
Consiglio di percorrere questo tratto
proprio nel fondo del canale e non
lungo i bordi per evitare continui
slalom tra gli enormi macigni. Terminato il canale, una breve e facile salita conduce alla Forcella di Fellaria
(m 2819 ore 3:30).
Qui si ricollega anche l’altro canale,
citato in precedenza, che può essere
utilizzato come alternativa per il ritorno a valle.
Siamo al cospetto del versante N del
Sasso Moro che ci appare sicuramente meno impervio di quello visto dal
parcheggio della macchina. Ancora
uno sforzo e raggiungeremo l’agognata meta.
Dal passo, senza togliere le pelli, ci
abbassiamo verso dx di una cinquan-
50
LE MONTAGNE DIVERTENTI
tina di metri e percorriamo un traverso in leggera salita fino a raggiungere
un’ampia conca occupata da un piccolo apparato glaciale. Con diversi zig
zag in direzione SE vinciamo il pendio
sovrastante e raggiungiamo il vallone
che scende dall’anticima (ore 4:00).
Qui si trova sempre una superba
neve che permette delle divertentissime discese. Se lo si percorre tutto,
dalla alto fino al Vallone di Fellaria è
lungo circa un chilometro!
Arrivati sulla sommità del canalone non bisogna farsi ingannare
dalla guglia a dx, non è la cima. Per
raggiungere la vetta bisogna compiere un traverso verso sx, sotto degli
sfasciumi e fare lo slalom tra alcune
rocce taglienti che affiorano appena
dalla neve.
Lasciati gli sci alla base dell’imponente torrione che ci si para davanti,
raggiungiamo la sommità utilizzando,
sulla dx, gli ampi gradini rocciosi, da
cui si ha un’ottima vista sulla vertiginosa parete O.
E’ fatta, siamo in vetta al Sasso
Moro (m 3108, ore 5:00).
La vista è fantastica: verso S la pira-
mide perfetta del Pizzo Scalino, con
il nugolo di formichine [scialpinisti]
che risalgono il suo ghiacciaio; verso
N il Bernina e i suoi poderosi vicini
Scerscen, Roseg, Argent e Zupò. Verso
O in lontananza il solitario Monte
Disgrazia, mentre a E la bassa cresta
della Valmalenco permette di vedere le
montagne della Val Poschiavo, con il
Sassalbo che emerge sulle altre. Ancora più lontano il gruppo dell’Ortles –
Cevedale e l’Adamello.
Ma la vista più impressionante la si
ha se si guarda in basso, oltre il bacino idroelettrico, e si scorge la propria
minuscola macchina nel lontano
parcheggio. Ora si ha veramente la
consapevolezza della salita percorsa!
L a discesa offre diverse alternati-
ve. La più classica prevede il rientro
utilizzando l’itinerario di salita, optando anche per la variante del secondo
avvallamento (quello più a S) alla
Forcella di Fellaria. Chi ama le serpentine ampie su neve morbida non potrà
che utilizzare tutto l’immenso canale
che dall’anticima si abbassa lungo il
versante N. Per quelli che come me
Primavera 2009
L'ampia conca oltre la Forcella di Fellaria (5 gennaio 2009, foto L. Bruseghini).
le bisogna spingersi con i bastoncini
per alcune centinaia di metri fino
all’alpeggio di Fellaria (m 2400) dove
sorge anche il rifugio Bignami. Da
questo punto bisogna percorrere l’ulteriore canale, alle spalle del rifugio,
che scende fino alla diga.
Da evitare assolutamente il
sentiero, con esposizione S, che
costeggia in diagonale e in leggera discesa il bacino di Campo
Gera e porta al muro dell’invaso: le
enormi valanghe che si staccano ogni
anno dai pendii sovrastanti occludono
alcuni passaggi fra le rocce e rendono
Alpinismo
inagibile questa strada. Ho sperimentato sulla mia pelle, l’ultima volta che
ho raggiunto questa cima, che tale
tracciato presenta veramente delle
insidie quasi insuperabili!
Raggiunto il bordo del lago, rimesse le pelli ai piedi, si risale il versante opposto fino all’alpe Gembrè
(m 2224) e si procede quindi per il
sentiero, con esposizione N, che arriva
sempre alla diga. Scesi a piedi lungo la
passerella arroccata al muro del bacino
idroelettrico fino alla casa dei guardiani, si rimettono gli sci e si percorrono
gli ultimi 2 Km di strada carrozzabile che conducono al parcheggio di
Campo Moro.
1953 - Riva
2006 - Gusmeroli
Il rifugio Bignami (5 gennaio 2009, foto L.
Bruseghini).
La diga dell'Alpe Gera vista dal Rifugio
Bignami (5 gennaio 2009,
foto L. Bruseghini).
Il Sasso Moro è una gigantesca montagna di serpentino con relitti di rocce pirosseniche dal
tipico colore brunastro che s'erge a N dei bacini di Campo Moro e a S della Forcella di Fellaria.
Dalla vetta, data la sua posizione eccentrica, si gode un'ottima vista sui gruppi di Bernina,
Scalino, Palù e Disgrazia.
Data la sua vastità, il Sasso Moro presenta caratteristiche diverse a seconda dei versanti.
A S la parete precipita per oltre mille metri fino ai bacini di Campo Moro, interrotta da alcuni
larghi ripiani e cenge. Gli altri versanti sono per lo più ricoperti da sfasciumi, ad eccezione
della conca settentrionale, dove si estende ciò che resta dei Ghiacciai del Sasso Moro.
Il Ghiacciai, Nord Est e Nord Ovest, vennero riconosciuti ufficialmente da Giuseppe Nangeroni
nel 1928 quando complessivamente occupavano una superficie superiore ai 10 ettari e
scendevano con la fronte fino a m 2800. Nel 1990 il Ghiacciaio Nord Ovest si presentava già
diviso in due placche. L’incremento della fase di regresso registrata dopo il 1990 ha portato
all’estinzione della placca orientale e di quella occidentale inferiore avvenuta nel 2006. Quel
che resta ad oggi è una piccola placca di ghiacciaio, appiattita e priva di dinamismo, che copre a
malapena 2 ettari di superficie.
Per quel che riguarda gli altri versanti, la spalla OSO s'abbassa fino al ripiano di Franscia,
quella N giunge alla Forcella di Fellaria, mentre la E scende al rifugio Bignami.
(1) GALLUCCIO A., CATASTA G. (a cura di) - Ghiacciai in Lombardia, nuovo catasto dei ghiacciai
lombardi, Edizioni Bolis, Bergamo 1992
(2) CGI (1961) – Catasto dei Ghiacciai italiani, CNR. ,Torino 1961
Il Pan di
Zucchero della
Valchiavenna
Giorgio Orsucci - www.orsu.it
52 -
LE MONTAGNE DIVERTENTI
LE MONTAGNE DIVERTENTI
T ORRE
DI
S EGNAME
53
Escursionismo
Valchiavenna
Importante punto di osservazione nell'anno 1000, ai giorni nostri,
nei mesi in cui le nevi assediano gelide le montagne, la Torre di
Segname, sorgendo alla modesta altezza di 655 metri, si presta
per una gita di scarso impegno fisico e mentale, ma di interesse
storico, paesaggistico ed etnografico.
Partenza: Bedogna (San Pietro di Samolaco) (m 323).
Itinerario automobilistico: Da Sondrio percorrere
la SS 38 della Valtellina fino a Delebio (30 km). Dopo il ponte,
alla rotonda, svoltare a dx sulla SP 4, quindi raggiungere
Nuova Olonio sulla SS 402 (39 km). Qui imboccare la SS 36 e
percorrerla fino a Novate Mezzola, dove si svolta per Samolaco
tramite sottopasso ferroviario (46 km). Proseguire lungo la
Piana di Chiavenna, attraversare la Mera, superare Era quindi,
giunti a San Pietro, entrare in paese risalendo per intero Via
Tonaia, superare il ponte sul Mengasca e salire fino a Bedogna
(54 km).
323) – Bivio (m 480 circa) - Torre di Segname (m 655) – Alpe
Segname (m 543) - Bivio (m 480 circa) - Ca’ Pipéta (m 500
circa) – Bedogna (m 323).
Tempo di percorrenza previsto: 2 ore per l’intero
giro.
Attrezzatura richiesta: Difficoltà: 1 su 6.
Dislivello in salita: 400 metri circa.
Dettagli: E.
Itinerario sintetico: Bedogna (m
La Torre di Segname
(foto E. Minotti).
In basso: panorama
sulla Valchiavenna
dalla Torre di
Segname (foto E.
Minotti).
A pag. 55: sulla via
di salita alla torre,
lassù in alto (foto R.
Moiola).
Valtellina e Valchiavenna hanno
costituito per lungo tempo dei
corridoi commerciali di grande
importanza nel collegamento fra
nord e sud delle Alpi, fra Milano
e i Grigioni. All’inizio del secondo
millennio, queste valli erano perciò
munite di notevoli apparati difensivi e di postazioni di controllo, in
grado di sorvegliare, nel fondovalle, i movimenti dei traffici regolari
così come di eventuali soldatesche
nemiche. In particolare, il corridoio
geografico da Milano a Chiavenna,
e ancora oltre fino ai valici dello
Spluga e del Maloja, era servito da
una linea di torri di avvistamento
che, tramite segnalazioni ottiche,
rendevano possibile, in situazioni di
emergenza, un’immediata richiesta
di soccorso e un rapido intervento
di armate alleate.
Stiamo parlando di un’edilizia
difensiva che per certi aspetti non
aveva nulla da invidiare a quella che
in quei tempi potevamo trovare, per
esempio, nelle vallate altoatesine;
tuttavia, una serie di fattori politici
e geografici hanno privato le valli di
Sondrio di molte torri e castelli: più
precisamente, come causa di ciò,
possiamo identificare, da una parte,
l’opera di distruzione o sabotaggio
di tutti i fortilizi di uso bellico,
compiuta nel 1639 sotto la dominazione elvetica delle Tre Leghe;
dall’altra, il naturale degrado delle
torri di avvistamento, rese inutili
dall’affermarsi dell’artiglieria.
Un’eccezione, in questo quadro di
degrado, è costituita dalla Torre di
Segname, il cui nome ne rivela fin
BELLEZZA
FATICA
PERICOLOSITÀ
da subito la funzione. Un’eccezione,
dicevo, poiché è rimasta relativamente intatta nei suoi corpi costitutivi fino ai giorni nostri. I motivi?
Posta in felicissima posizione sulla
sommità di un severo colle roccioso che si alza di quattrocento metri
sulla Piana di Chiavenna (un autentico Pan di Zucchero chiavennasco),
la torre ha visto la sua ancora di
salvezza proprio nel suo isolamento e nella sua sensazionale panoramicità, aspetto che la rendeva utile
anche ai nuovi dominatori.
Itinerario
L
’itinerario proposto è a forma
di otto, del quale però seguiremo prima tutto il suo lato destro,
quindi quello sinistro. Ci portiamo
a San Pietro di Samolaco, tranquilla
località vicina alla riva occidentale
della Mera, e seguiamo le indicazioni per Ronscione, che superiamo per
arrivare alle case di Bedogna (m 323),
nostro punto di partenza: alla fine
della strada troviamo uno slargo che
permette il parcheggio per tre o quattro macchine. La segnaletica indica
due ore e mezza per effettuare l’anello della torre (segnavia D 15), una
54
LE MONTAGNE DIVERTENTI
Primavera 2009
LE MONTAGNE DIVERTENTI
previsione che tiene in considerazione
le varie soste che ci saranno imposte
dalle attrattive del luogo che stiamo
andando ad esplorare.
Ci incamminiamo, la torre ben visibile di fronte a noi, sulla cima del suo
panoramico poggio; oltrepassiamo
vari corsi d’acqua, che scendono in
gran numero da queste montagne, e
numerose baite e casolari, tutti abbandonati al loro degrado (ad eccezione
del primissimo edificio che incontriamo subito alla partenza, adibito
a stalla). A neanche 10 minuti dalla
macchina arriviamo ad un primo
bivio: a dx è indicata la “Torre”, a
sx la “Ca’ Pipéta”. Faremo ritorno da
quest’ultima via, ma ora proseguiamo in falsopiano verso dx (direzione
N) . Ad un tratto nel bosco segue un
passaggio più panoramico, che regala le prime viste sulle cime della Val
Codera e sul Pizzo di Prata; sotto i
nostri piedi, placche di rocce montonate, forgiate dai movimenti dei
ghiacciai quaternari.
Poco oltre andiamo a risalire, con un
paio di tornanti, un ripido pendio alla
cui sommità troviamo i ruderi di un
T ORRE
DI
S EGNAME
55
Escursionismo
casolare isolato (m 460, ore 0:301).
Alle sue spalle una traccia di sentiero,
una “via direttissima” per la torre, che
noi ignoriamo per proseguire invece in
piano verso NO. Veniamo qui iniziati
ad una bella e tranquilla conca, fittamente boscosa, chiusa fra le pendici del Borlasca (a sx) e il dosso della
torre (a dx), allietata dal mormorio
di un torrente. Alcuni enormi massi,
incastrati fra betulle e querce, completano la composizione. Al centro della
conca troviamo un crocevia (m 480,
ore 0:10), l’asola centrale del nostro
8. Dall’estate 2008 questi boschi sono
dotati di una nuova cartellonistica
che facilitano l’orientamento: proseguendo verso N, ci informano i nuovi
cartelli, si arriva all’Alpe Segname,
mentre il sentiero che si allontana sulla
sx conduce alla Ca’ Pipéta: ci serviremo di queste due direttive per l’itinerario di ritorno. Ora invece pieghiamo
a dx, imboccando la traccia che taglia
in diagonale il colle della torre; risalendo non troppo faticosamente fra
boschi di betulle, ne conquistiamo la
cima (m 655, ore 0:20).
La sommità del colle che ospita la
Torre di Segname si estende longitudinalmente in direzione N-S; la sensazione di lunghezza e di strettezza,
accentuata dalle linee rette disegnate
nelle rocce montonate, ci fa pensare
di trovarci sullo scafo di un enorme sommergibile, del quale la torre
costituisce la torretta di controllo, se
non fosse che, verso E, subito al di
là di una recinzione metallica, non
c’è acqua bensì un salto nel vuoto di
quattrocento metri.
La Torre di Segname, alta quasi 10
metri, 2 metri e qualcosa per lato, è in
1 - Le tempistiche indicano il tempo necessario per
raggiungere la località citata dall'ultima località in
grassetto.
56
LE MONTAGNE DIVERTENTI
Valchiavenna
percepire le condizioni di vita di una
società contadina di duecento anni fa.
Il viaggio nella storia e nella tradizione prosegue, poco più in basso,
presso un altro minuscolo nucleo di
baite (località Burdèl): una di queste
riporta, sull’architrave sopra il portone
d’ingresso, la data del 1798, mischiata
fra altre lettere e simboli di difficile
interpretazione (ho posto la questione
anche ad un importante epigrafista
lombardo); verso valle, invece, espone
il basamento, ricavato da un blocco
unico, di un antico torchio; incise
nella roccia, le scanalature per lo scolo
del vino.
Da qui il tracciato, piuttosto ripidamente, ci riconduce al primo bivio,
dove avevamo seguito l’indicazione per
la “Torre”. Con poche falcate facciamo
ritorno alla nostra auto, parcheggiata a
Bedogna (m 323, ore 0:20), andando
a richiudere il nostro "8".
Un itinerario escursionistico breve
e di poco impegno, ma al contempo ricco di spunti: ai panorami che
si gustano dalla torre si aggiunge
una gran quantità di baite, casolari e
modeste dimore contadine, sparse per
questi boschi, che raccontano di un
tempo in cui molte persone vivevano
in un rapporto indissolubile con una
montagna che, in cambio del loro
duro lavoro, concedeva loro il necessario per vivere.
La Torre di Segname (29 gennaio 2009, foto Ciardiello Cassandra).
grado di mostrarsi nella sua completezza solo dopo il 1999, a seguito
dei restauri e delle ristrutturazioni
effettuate dal Comune di Gordona.
Non solo si è potuto preservare da
possibili crolli un monumento storico della Valchiavenna, ma si è anche
resa possibile una migliore e più interessante fruizione della torre da parte
del turismo: tramite tre rampe di una
ripida scaletta a pioli si possono infatti
superare gli 8 metri di dislivello che
separano la base della torre dalla sua
terrazza sommitale. Vi si può accedere
liberamente aprendo l’inferriata che
protegge la breccia sul lato N, aperta
a inizio Novecento per consentire l’ingresso nella torre; la chiave che apre
il lucchetto, di norma, è appesa ad
un cordino sull’inferriata. Di grande
interesse il panorama sul verdissimo
Piano di Chiavenna e sui monti che
lo cingono, che sembrano tuffarsi nei
campi coltivati.
Dopo una sosta dovuta, riprendia-
Il basamento di pietra dell'antico torchio
in località Burdèl (18 gennaio 2009, foto
G.Orsucci).
A sx: all'interno della Torre di Segname
(18 gennaio 2009, foto G. Orsucci).
mo il nostro itinerario: ci incamminiamo verso N, lasciandoci la torre
alle spalle, dapprima in falsopiano,
quindi in lieve discesa attraverso un
suggestivo corridoio naturale che
lentamente piega verso sx, in fondo al
quale troviamo i tre casolari (uno dei
quali ristrutturato e occasionalmente abitato) che compongono l’Alpe
Segname (Avert Segname, m 543,
ore 0:10).
Ignoriamo il sentiero per Gordona
che scende sulla dx, e voltiamo verso
S: eccoci ora all’interno di un’altra
suggestiva conca, incredibilmente
pianeggiante, una sorta di campo da
calcio seminato a betulle e faggi e
cinto lungo il perimetro da un muretto a secco. In pochi minuti di cammino, i nostri passi ci riportano al bivio
incontrato sulla via della salita (m
480, ore 0:10); come preannunciato, prendiamo ora il sentiero che sale
dolcemente verso dx (SO) e che, in
meno di 3 minuti, ci conduce nella
radura che ospita la Ca’ Pipéta (m
500, ore 0:05).
Importante monumento di interesse etnografico, la Ca’ Pipéta è
un’abitazione contadina della fine del
Settecento interamente ricavata sotto
un mastodontico monolito; nonostante lo stato di decadenza che regna
all’interno delle otto stanze dell’umile
dimora, si è comunque in grado di
Primavera 2009
LE MONTAGNE DIVERTENTI
T ORRE
DI
S EGNAME
57
Escursionismo
Ca' Pipéta
Sergio Scuffi
Ca Pipéta (6 ottobre 2007, foto Enrico Minotti).
Secondo alcune testimonianze orali, la casa sarebbe
stata abitata fino ai primi del Novecento. Non fu l’unica.
Allo stesso periodo occorre far risalire l’ultima utilizzazione, come stabile dimora, anche delle abitazioni che
si trovano sulla stessa fascia altimetrica (andando verso
Sud: Piazza Bedogna,Monastero, Macolino, Piazza,
Montenuovo, Ronco, Fontanedo e altri minori). A
seguito della bonifica del piano della Mera, negli ultimi
decenni dell’Ottocento, le famiglie, infatti, scesero
gradualmente a valle: già negli anni ‘50 nessuno più
viveva lassù, con conseguente aumento di popolazione
negli attuali nuclei abitati, generalmente in corrispondenza dei conoidi dei vari torrenti (Mengasca, Bolgadregna, Valle d’Era, Casenda).
Certo è che la Ca’ Pipéta necessita ora di un intervento di ripristino e di valorizzazione, come l’ha ricevuto la
Torre di Segname.
I Comuni di Samolaco (sul cui territorio si trova l’interessante costruzione) e quello di Gordona, anche su
sollecitazione dell’Associazione Culturale Biblioteca di
Samolaco, che aveva a sua volta interpellato il direttivo
della Comunità Montana, hanno avuto di recente in
donazione l’edificio e il terreno circostante, ragion per
cui si sono assunti l’impegno di risistemare Ca’ Pipéta e
renderla disponibile per le visite.
In compenso, i ragazzi della Scuola Media di Samolaco
(classe 1aD, anno scolastico 1987-88) hanno raccolto
documentazione e immagini relative alle costruzioni
tipiche del luogo, facendone una mostra e pubblicando
il fascicolo “Samolaco: tra materiale immaginario”. Qui
hanno dedicato tutta la seconda parte alla Ca’ Pipéta.
I più curiosi possono trovare la pubblicazione presso la
scuola medesima (ora intitolata all’ex presidente dell’Argentina Arturo Umberto Illia, originario di qui), oppure
preso la Biblioteca Comunale, con sede a S. Pietro.
Presso la stessa Biblioteca o gli uffici del Comune si
può acquistare per pochi euro anche la fiaba: “Storia
di un uomo chiamato Pipetta”: un racconto, come dice
l’autrice Silvana Battistessa, “dedicato ai bambini e... a
tutti coloro che, un pochino, si sentono ancora tali…”
Riscoprire
lo sci di fondo
escursionistico
Eliana e Nemo Canetta
Sci di fondo escursionistico nella provincia di Sondrio: salendo lungo la strada che porta al Passo Spluga (foto Nemo Canetta).
Un po’ di storia, ricordi e tre proposte nel gruppo
del Sobretta, a quote inusuali per i fondisti
Quando, nell’ormai lontano 1968,
Franco Nones vinse la medaglia d’oro
nei 30 km di fondo a Grenoble, l’Italia rimase stupefatta. Benché gli sport
invernali nel secondo dopoguerra
fossero divenuti via via più popolari,
lo sci di fondo restava per gli italiani
qualcosa di ignoto.
Ricordo ancora quando, nella
prima metà degli anni sessanta, con
un compagno di classe mi iscrissi alle
prove invernali fondistiche del liceo. Il
professore ci chiese se avevamo gli sci
da fondo. E noi, lasciandolo di sasso,
rispondemmo tranquillamente che
58
LE MONTAGNE DIVERTENTI
Primavera 2009
LE MONTAGNE DIVERTENTI
“avremmo corso con quelli da sci alpinismo”. Pur praticando la montagna
da quasi 20 anni e sciando da 15, non
avevamo la minima idea di quanto gli
sci da fondo fossero differenti dagli
altri.
Ecco quindi che quella medaglia
d’oro del tutto imprevista, in un Paese
che del resto non si è mai molto interessato ad altri sport che non fossero il
pallone, creò una fortissima corrente
di interesse verso le discipline olimpioniche.
Non è quindi un caso che, pochi
anni dopo, si corresse nelle valli di
Fiemme e di Fassa la prima Marcialonga: la gara di sci “di massa” che
rese popolare lo sci di fondo, non solo
tra gli addetti ai lavori ma un poco in
tutta Italia.
Tra di noi, appassionati di neve, la
Marcialonga apparve subito come una
sfida. Nelle settimane successive alla
prima edizione, fu un intrecciarsi di
telefonate, incontri e progetti. Tutto
il nostro gruppo, dai giovani rampolli
quindicenni ai più attempati padri di
40/50 anni, voleva esserci alla seconda
competizione.
Come sempre accade, il tempo
F ONDO
ESCURSIONISTICO
59
Escursionismo
raffreddò un poco gli entusiasmi, ma
una bella comitiva a Sant’Ambrogio
del ‘71 si trovò sulle nevi malenche
per iniziare gli allenamenti. La cosa
più buffa era che nessuno aveva mai
fatto un metro di fondo. C’eravamo
addestrati leggendo un manuale, l’unico manuale esistente ai tempi, scritto
da uno svedese e tradotto in italiano.
Dovemmo imparare tutto sulla
nostra pelle, dall’uso delle misteriosissime scioline alla spalmatura della
mitica grundvalla, una pestilenziale
mistura di pece e catrame studiata
Chiareggio o mete similari con lunghi
tratti pianeggianti di strada con gli sci
da discesa o gli sci da alpinismo era
alquanto faticoso e non troppo divertente. Invece con gli sci da fondo …
Parallelamente in Lombardia -e non
solo- altri giunsero alla stessa conclusione. Tra i tanti, mette conto di citare
l’ing. Zanchi del CAI Milano che, nel
giro di un paio di anni, fondò addirittura la prima scuola di sci di fondo
escursionistico del sodalizio. Eravamo
tra la fine degli anni settanta e l’inizio
degli ottanta.
Una delle prime mete sci-escursionistiche “scoperte” in Valmalenco: Chiareggio. Alla fine degli
anni settanta il borgo alpestre in inverno era totalmente abbandonato (foto N. Canetta).
per impegnare e impermeabilizzare le
solette degli sci, che erano ovviamente
di fragile legno.
E venne finalmente la gelida mattina
della competizione. Alla fine il nostro
gruppetto di eroi riuscì, con qualche
rara eccezione, a terminare l’impresa:
70 km filati non erano certo poco per
dei neofiti.
Ma l’anno dopo mentre cercavamo
terreni di allenamento un poco più
adatti della Valmalenco, mio padre ed
io ci trovammo quasi per caso sull’altopiano di Asiago. E là assistemmo a
una sorta di gara di sci alpinismo, il
Trofeo Campi di Battaglia, che con
grande nostra meraviglia tutti correvano con gli sci da fondo. L’idea ci
fulminò. Perché allora non percorrere
liberamente, con quegli stessi sci, strade forestali, strade militari o pianori? Anche prima lo si faceva legni ai
piedi, ma, inutile negarlo, raggiungere
60
LE MONTAGNE DIVERTENTI
Il successo fu travolgente poiché
un gran numero di appassionati,
che non osavano cimentarsi con lo
sci alpinismo ed erano stufi di code
e rumori dello sci alpino, scoprì un
nuovo modo per vivere e conoscere la
montagna invernale. In realtà, soprattutto sconfinando, si poteva fare sci
escursionismo anche su lunghissime
piste tranquille. Già allora, infatti,
l’Engadina era quasi tutta percorribile
in sci da fondo e poco dopo fu la volta
della Pusteria e di altre mete fondistiche che hanno fatto la storia, non solo
sul piano sportivo ma pure su quello
turistico, di questo modo di “andar
per monti”.
Ma se le piste turistiche attiravano
le masse, i puristi cercavano la neve
fresca. E fu una vera e propria corsa
estesa a tutte le Alpi e ben oltre, sino
ai Sudeti, al Giura franco-svizzero,
alla Foresta Nera, a cercare e dise-
gnare tracciati ove far correre i legni
tra lo scricchiolio della neve vergine.
Le scuole si moltiplicarono, le riviste
del settore iniziarono a interessarsi al
fenomeno, uscirono le prime guide
con tracciati di sci di fondo escursionistico. Il CAI Milano organizzò addirittura una spedizione in Groenlandia
per testare la possibilità di effettuare
questa disciplina. Quanto a noi, ci
spingemmo a esplorare i boschi infiniti della Slovenia e della Polonia (e più
di recente pure dei Carpazi ucraini e
della Siberia), scoprendo ambienti
che forse si prestavano ancor più delle
Alpi al fondo escursionistico.
Ma gli italiani sono sensibili alle
mode e forse meno amanti della
natura vissuta con sudore e fatica di
quanto lo siano altri popoli europei.
Inoltre l’introduzione del passo di
pattinaggio, perfetto sulle piste ma
improponibile in neve fresca, fece sì
che il fondo escursionistico prendesse
una strada opposta a quello agonistico, con cui invece aveva sempre
convissuto e convive ancor oggi nel
Nord Europa.
Infine vennero le racchette da neve
che, chissà perché tutti oggi chiamano
ciaspole con un termine prettamente
dialettale trentino. Le racchette da
neve sono sempre esistite. Ne parla
Strabone a proposito dei popoli del
Caucaso. Ma quando l’ingegner Kind
portò i primi sci sulle Alpi a cavallo
tra il XIX e il XX secolo, le prove
comparative dimostrarono l’assoluta
prevalenza del mezzo che veniva dalla
Norvegia. Ma le mode sono mode
e, lo abbiamo detto, gli italiani sono
modaioli.
Intendiamoci non c’è dubbio che le
racchette, o ciaspole che dir si voglia,
permettano di percorrere agevolmente
tracciati poco adatti sia allo sci alpinismo che allo sci escursionismo. Ma è
altrettanto vero che su una stradella o
un pianoro non c’è paragone.
Tuttavia la moda ha deciso ed oggi
lo sci da fondo escursionistico un
po’ ovunque, ma nel nostro Paese in
maniera sostanziale, non solo ha perso
posizione ma quasi è stato dimenticato. Al punto che i più giovani neppure
lo conoscono.
Primavera 2009
Partenza: Sunny Valley Resort di S.Caterina
Attrezzatura richiesta:
Valfurva (m 2650 ca).
1) e 2) Sufficiente quello da sci da fondo classico.
3) Indispensabile quella da sci da fondo
escursionistico (vedi box), consigliabile kit
antivalanga.
Itinerario automobilistico: da Bormio si
imbocca la strada statale del Passo di Gavia, risalendo,
nel cuore del Parco Nazionale, tutta la Valfurva. Poco
prima dell’abitato di S.Caterina di Valfurva si incontra
il grande impianto di risalita (costruito per gli ultimi
Mondiali in Alta Valle) che ci porterà in quota. A dx
ampio parcheggio. Il parcheggio dista circa 1 o 2 km
dal centro di S.Caterina.
itinerari 1 e 2
Difficoltà:
BELLEZZA
1) 1 su 6, nel primo tratto. 2 su 6 la salita alla Costa
Sobretta;
2) 2 su 6;
3) 3 su 6.
FATICA
Itinerario sintetico:
Dislivello in salita:
PERICOLOSITÀ
1) Sunny Valley Resort (m 2650) – Dosso Sobretta
(2617);
2) Sunny Valley Resort – Cameraccia – quota 2615;
3) Sunny Valley Resort - Sommità meridionale del
Sobretta (m 3271).
1) 2) Anelli di fondo con dislivelli minimi;
3) 620 metri.
Tempo di percorrenza previsto:
Dettagli:
1) e 2) medio sciatore fondo-escursionista
3) ottimo sciatore fondo-escursionista, con
esperienza d’alta montagna.
1) e 2) 1:30/2:00 ore per l’intero giro.
3) 3:30/4:00 ore A/R.
itinerario 3
BELLEZZA
FATICA
PERICOLOSITÀ
Equipaggiamento
per lo sci da fondo
escursionistico
E’ evidente che per fare sci di fondo
escursionistico l’attrezzatura da skating
è alquanto inadatta. Meglio i “normali”
sci da fondo, da sciolinare oppure nelle
versione antiscivolo, con scaglie. Magari
non velocissimi ma che permettano di
evitare il classico rebus del tipo di sciolina
da utilizzare.
Ma esistono anche versioni di sci da
fondo un poco più larghi e robusti con
lame, nonché pelli di foca autocollanti su
misura.
Se non si scia a quote particolarmente
elevate il normale abbigliamento da
LE MONTAGNE DIVERTENTI
fondo (facciamo riferimento al passo
classico e non alle tute tecniche da passo
pattinato) è sufficiente. Ma nei casi,
come quello proposto, in cui si viaggia
a 2500/3000 metri, se ne deve tener
conto: un gilet, giacca a vento, guanti e
berretto ben caldi, ecc.
Uno zainetto sarà sempre utile: per
metterci la cartina (indispensabile nelle
escursioni), qualche alimento e bevanda
(meglio energetici), un raschietto (capita,
in escursione, che la neve “faccia
zoccolo”).
Ovviamente se non ci si limita a qualche
tranquilla strada forestale, si consulti il
bollettino meteo e valanghe. Fidarsi è
bene ma ...
Non scordatevi la macchina fotografica:
l’escursionismo permette di sostare per
immortalare la natura invernale!
Informazioni
APT Ufficio di S. Caterina Valfurva
Piazza Magliavaca
23030 S.Caterina Valfurva
Tel. 0342 935598
Fax 0342 925549
[email protected]
Consorzio Tourisport S. Caterina Valfurva
Piazza Magliavaca
23030 Santa Caterina Valfurva (So)
tel (0039)(0)342.935544
fax (0039)(0)342.935342
www.santacaterina.it
Sunny Valley Kelo Resort
(prenotazioni e informazioni)
+39 0342 902 222
[email protected]
www.sunnyvalleyresort.it
F ONDO
ESCURSIONISTICO
61
Escursionismo
Il Sunny Valley Resort con la sua struttura
interamente lignea si inserisce nel paesaggio
invernale delle pendici meridionali del
Sobretta, con un panorama amplissimo sulla
costiera del Tresero (foto N. Canetta).
Vogliamo proporre
tre tracciati che a nostro
parere si prestano
per questa disciplina.
Tracciati che hanno
oltretutto il vantaggio
di un innevamento
praticamente certo.
Ci riferiamo al Monte Sobretta,
quella strana montagna cupoliforme
che si inframmezza tra la Valdisotto
e la Valfurva e che domina con i suoi
Alta Valle
pendii prima boscosi, poi di prati, infine di rocce Santa Caterina di Valfurva.
Chi conosce l’area certo ricorderà le
polemiche non del tutto sopite per
il rinnovo degli impianti di Santa
Caterina, ormai giunti per età al di
là delle possibilità di impiego. Grazie
agli ultimi Mondiali nell’Alta Valle, gli
impianti sono stati rifatti completamente e oggi con due campate si giunge comodamente a quota 2650, su una
sorta di altopiano che si innalza gradatamente a NO verso la vetta. Qui è
stato costruito il Sunny Valley Resort,
oggi solo bar e ristorante ma tra breve
pure albergo di montagna che serve
ottimamente come punto di partenza
per le piste di sci alpino. Nonché da
base per i numerosi sci alpinisti che di
qui vogliono raggiungere la sommità
del Sobretta, oppure divallare al Passo
dell’Alpe per discendere poi la mitica
Val di Rezzalo.
Ma anche con gli sci da fondo si
possono avere delle belle soddisfazioni! Proprio sotto il Resort vi è un
minuscolo tracciato fondistico, tra
i più elevati delle nostre Alpi. Lo
possiamo raggiungere con una mezza
costa sempre battuta e poi, tenendoci
accanto alle piste di sci, guadagnare il
costone di quota 2578, proteso sopra
la valle del Gavia. La neve copre tutto,
ma qui erano i trinceramenti delle
nostre seconde linee di difesa, se gli
austriaci avessero sfondato la prima
linea ai Forni. Al di là della pista di
discesa, è pure possibile guadagnare
la quota 2617, detta Dosso Sobretta,
che offre una vista spettacolare su gran
parte della Valfurva.
Un’altra possibilità è, sempre dal
Resort, prendere a SSO su splendidi pianori debolmente ondulati,
lasciando a sx la stazione a valle di una
seggiovia. Si giunge così nella conca
indicata sulle carte come Cameraccia,
ove in estate vi è un ameno laghetto.
Si risale sull’opposto versante (in genere il tracciato è pistato) e si guadagna
un dosso, che culmina con la quota
2615 circa. Ci troviamo a picco sopra
la Valle dell’Alpe in questa incassata zona a guisa di forra, ove i nostri
soldati avevano ricavato gallerie e trincee per controllare il sottostante Passo
dell’Alpe.
Questi due percorsi sono agibili a
chiunque abbia un minimo di conoscenza della montagna invernale e una
discreta capacità fondistica.
Vi è tuttavia anche una meta ben
Eliana e Nemo Canetta
Beno
Il Sobretta da N (9 febbraio 2009, foto Beno).
più di prestigio, che richiede però
eccellenti capacità e condizioni della
montagna del tutto sicure. Forse
Beppe Bonseri, il realizzatore del
Resort, potrà tracciarvi la pista coi
suoi gatti e in questo caso tutto risulterà più facile.
Raggiunto il dosso della proposta
precedente, si prende a NO risalendo la tranquilla Valle dell’Alpe sotto
la rocciosa quota 2738. Ci si porta
così, senza particolari problemi, verso
i 2700 metri. A questo punto un
pendio più ripido richiede attenzione; lo superiamo per trovarci su uno
splendido amplissimo ripiano verso
quota 2750. Siamo qui giunti ove un
tempo si spingeva l’antico ghiacciaio
orientale del Sobretta. La zona è libera
da ostacoli e il fondista qui può tracciare le sue piste senza limiti. Ma se le
vette sono per lui un impulso irrinunciabile, deve puntare a NNO verso la
quota 2854. Qui è un secondo pendio
assai ripido, che richiede decisamente attenzione e ottima tecnica. Lo si
traversa verso SO per portarsi verso i
m 2900 a un nuovo ripiano, lasciando
le difficoltà maggiori alle spalle. Innalzatisi lungo valloni dall’inclinazione
costante in direzione ONO, si supera
senza problemi il “muro” dei 3000,
per raggiungere infine verso i 3150 i
resti dell’antico ghiacciaio. Senza via
obbligata lo risaliamo sino alla selletta
di quota 3237, da cui in breve saremo
sulla sommità meridionale del Sobretta, a m 3271, forse una delle quote
più elevate che si possano raggiungere con gli sci da fondo. Il panorama
attorno è immenso, anche perché il
Sobretta -decentrato rispetto agli altri
gruppi montuosi della media ed alta
Valtellina- offre una vista circolare che
da sola merita la fatica.
LE MONTAGNE DIVERTENTI
Nemo ed Eliana Canetta.
Eliana e Nemo Canetta, dal 2002 residenti in Valtellina sebbene entrambi di
origine milanese, condividono da 31
anni la vita quotidiana e una grande passione per la montagna, l’escursionismo
culturale la Storia Militare delle Retiche.
Ne è riprova una delle loro creature più
famose: l'Alta Via della Valmalenco.
Si interessano ai Musei della Provincia
di Sondrio, con particolare riguardo a
quello della Valmalenco (creato da loro
assieme ad altri amici) e a quello di Tirano, ove stanno portando avanti un ambizioso progetto di recupero storico-culturale delle opere della “piazza” tiranese
durante il Primo Conflitto Mondiale, in
collaborazione con l’ANA e l’Amministrazione locale.
Autori di più di 40 volumi di montagna,
collaborano con molte testate di escursionismo estivo ed invernale e di cultura
alpina.
Appassionati di viaggi, le loro ricerche si sono spinte dall’Islanda
all’Atlante marocchino, dai Carpazi ucraini ai monti dei Balcani.
Da qualche anno si sono appassionati alla Federazione Russa,
che hanno iniziato a percorrere
lontano dalle mete battute dal
turismo di massa: Siberia, Elbrus,
Polo del Freddo, Urali.
Particolare menzione merita la
loro ultima fatica: Storia della
Grande Guerra in Valtellina e Valchiavenna – Volume I – Le premesse: dal 1815 al 1915, Edizioni
Libreria Militare, Sondrio 2008.
Non un libro di itinerari escursionistici, né un'opera “archivistica”,
ma un piacevole ed interessante
scritto che spiega, con linguaggio
semplice, le premesse alla Grande
Guerra in Valtellina. Un approfondito studio di documenti, mappe,
vecchi testi e sopralluoghi effettuati dagli stessi autori che, oltre ad un quadro chiaro della situazione politico-militare di quegli anni, regala anche le testimonianze dei protagonisti
più umili.
Il libro brilla prima per la linearità e la semplicità dell'esposizione, poi per
l'incredibile corredo di documenti e immagini. Stupisce anche i lettori più attenti per alcune deduzioni e considerazioni inedite che rompono consolidati
luoghi comuni sulle strategie belliche che movimentarono mezzi e uomini
nella nostra valle.
Un volume che non può mancare a nessun appassionato di storia militare,
ma neppure ai valtellinesi che vogliono conoscere meglio la loro storia.
F ONDO
ESCURSIONISTICO
63
Passo dopo passo
Escursionismo
Da Sondrio aTiranoo lungo l'Adda
INTRODUZIONE
L’INTERVISTA
Beno
Beno
Sono stato da subito entusiasta
quando Antonio Boscacci, ha offerto
a “Le Montagne Divertenti” i suoi
racconti di passeggiate descritte con
lo stesso affascinante stile del capolavoro di Bruno Galli-Valerio “Cols et
Sommets”1, di cui assieme a Luisa
Angelici aveva curato la traduzione
in italiano.
Le narrazioni diaristiche di Antonio
Boscacci, inserite in questa nuova
rubrica “PASSO dopo PASSO”, parleranno di belle camminate effettuate tra il dal 1998 al e il 2007 nella
nostra provincia, del fascino di andare a piedi, percorrere chilometri e
guardarsi attorno, di dialoghi con le
persone incontrate lungo il tragitto, di riflessioni sulla natura e sulle
circostanze. I racconti di Antonio
hanno in sé quel tocco di umanità e
calore e sanno trasmettere, insegnare
o rievocare le sensazioni che sfiorano
il cuore di ogni viandante in terra di
Valtellina.
Camminare non è la condanna di
chi non ha l’automobile o la pena
d’aver scelto come propria meta una
zona interdetta al traffico, quanto
l’opportunità di riscoprire un viver
lento e sano, di sentirsi parte e osservatori privilegiati della bellezza della
natura e non arroganti e finti despoti
d’un mondo che spesso, malati di
frenesia e deliri d’onnipotenza tecnologico-motoristica, ci scordiamo
d’ammirare con la giusta calma.
1 -Bruno Galli-Valerio, , Edwin Frankfurter,
Losanna 1912. Cols et Sommets, Ascensions
et traversées dans les Alpes, des Grisons et
du Tyrol. Il volume contiene una raccolta di
ascensioni ed escursioni effettuate dall’autore
fra Valtellina, Grigioni e Tirolo dal 1888 al
1910.
64
LE MONTAGNE DIVERTENTI
ri” è cresciuto moltissimo, a fronte di una
sostanziale stasi del trekking in medio-alta
montagna.
E’ un freddo e uggioso pomeriggio d’inverno,
quando mi trovo con Antonio Boscacci a parlare
della sua nuova rubrica per “Le Montagne
Divertenti”, a discutere di cammino ed educazione,
di libri e ricerche.
Antonio, la tua vita alpinistica è costellata da imprese tecnicamente difficili,
esplorazioni e sperimentalismi – specie in ambito sciistico. Mi risulta difficile collocare queste gite, alla portata di tutti, all’interno del tuo percorso di
ricerca.
Io ho sempre cercato di sperimentare, di conoscere, di capire cosa sta là, cosa sta
al di là delle cose, dei miei limiti e delle consuetudini. La roccia, lo scialpinismo
sono delle parti di questo mio percorso esplorativo, ma lo è parimenti il camminare.
Nessuno o quasi si sposta più a piedi, perciò il mio è stato un recuperare un modo
di vivere, uno stile di vita, oggi desueto, e perciò nuovamente all’avanguardia.
Media Valtellina
Diario di Viaggio di Antonio Boscacci
Che tipo di tracciati serve?
Per una passeggiata occorrono itinerari semplici e ben segnalati. Purtroppo la
tendenza attuale è quella di segnare molti
sentieri senza prevederne la manutenzione.
Così tutto decade e viene riassorbito dalla
vegetazione.
Occorrerebbe una maggiore attenzione
da parte delle amministrazioni e lavori
svolti con maggiore lungimiranza. Detto
ciò, però, esistono alcuni esempi d’eccellenza anche nella nostra valle; ad esempio li
ho visti nel tiranese dove si trovano sentieri
decisamente ben tenuti.
Antonio Boscacci
Hanno cambiato l’ora legale e
quindi si dovrebbe dormire un’ora
in più. Mi alzo come faccio da mesi
alla stessa ora e parto da Sondrio che
sono quasi le 7. Attraverso una città
ancora addormentata, con una pioggerellina sottile sottile che mi costringe ad aprire quasi subito l’ombrello.
Le montagne intorno, in un cielo che
si sta lentamente schiarendo, appaiono avvolte da dense cortine di nuvole. Mentre mi dirigo verso i Trippi,
camminando lungo la pista ciclabile
al bordo della strada, osservo, ancora
distesa sui prati, una spessa coltre di
nebbia. L’umidità del mattino che si
sta aprendo al giorno sembra per un
momento sollevarsi e svanire. Attraverso la statale 38 ai Trippi e imboc-
(24 Ottobre 1998)
co la strada per Piateda, osservato,
mentre attraverso il ponte sull’Adda,
da un grosso corvo nero appollaiato
su un grande albero. Leggo gli avvisi
di una pesa pubblica e, poco dopo,
mi infilo a sinistra lungo una strada
sterrata che mi porterà a Piateda.
Chiedo conferma ad un contadino
mattiniero, intento a spargere letame
sull’argine di un fosso e lui annuisce.
La pioggia cessa e posso infilare
l’ombrello dentro lo zaino. Ma è una
tregua di brevissima durata perché,
fatti duecento metri, la pioggia riprende più vigorosa di prima. E’ una pioggia fastidiosa e, quando passo davanti
al centro sportivo e al municipio di
Piateda, mi accorgo di avere le scarpe
già per metà bagnate. Restando sulla
Coltivazioni a Poggiridenti Piano (18 giugno 2008, foto Marino Amonini).
Quand’è nata la tua passione per le lunghe escursioni?
Da piccino ho avuto la fortuna di conoscere Don Vittorio Chiari. Lui Egli
portava i bambini dell’oratorio a fare delle gite lunghissime. Pensa, ragazzini dai
7 ai 15 anni che salivano Corna Mara, Corno Stella o Pizzo Scalino a piedi da
Sondrio. Al giorno d’oggi è difficile trovare un adulto che riesce ad affrontare
sfacchinate simili e a quei tempi ci riuscivano i piccoli! Quelle avventure erano
stupende e le ricordo con nostalgia ancora oggi: una sera eravamo partiti con lui
dall’oratorio che erano le 6 di sera. Siamo saliti a piedi da Sondrio sulla Corna
Mara e, con la luce delle lampade ad olio, siamo arrivati in cima alle 2 di notte.
Abbiamo atteso che il sole sorgesse; erano le 4 di mattina e puoi immaginarti con
che gioia ed emozione noi bambini guardavamo il cielo accendersi.
Cos’è che t’ha fatto decidere di iniziare a scrivere di passeggiate?
La molla è scattata sicuramente durante la traduzione di “Cols et Sommets”, il
magnifico libro di Bruno Galli-Valerio. Questo lavoro mi ha aperto una nuova
porta, quella dell’ “andare a piedi”, Il lavoro mi ha fatto entrare nel filone dell’”andare a piedi” di cui il celeberrimo Dott. Rossi fu il capostipite1.
Ritieni che una semplice camminata sul fondovalle possa essere la giusta
palestra/incentivo per poi affrontare tracciati in quota?
Sicuramente può essere propedeutica ad un’evoluzione in tale senso, anche se
non devi trascurare il fatto che, negli ultimi anni, il movimento dei “passeggiato1 - Il Dottor Alessandro Rossi, altrimenti noto come Dottor Succ’ (pseudonimo derivatogli dalla sua scarsa
adipe), fu famoso per esser solito andare tutte le domeniche a piedi da Sondrio a Colico per fare una nuotata nel
lago, quindi, sempre a piedi, tornare nel capoluogo. Fu anche un forte alpinista e, assieme a Bruno Galli-Valerio,
aprì la bella Via dei Campanili alla Vetta di Ron.
Primavera 2009
LE MONTAGNE DIVERTENTI
D A S ONDRIO
A
T IRANO
65
Escursionismo
sinistra idrografica dell’Adda, arrivo
alle case di Boffetto. Poco avanti sento
suonare la campana della piccola chiesa di Carolo e, vedendola aperta, ne
approfitto per guardare com’è dentro;
cosa che non sono mai riuscito a fare
perché l’ho sempre trovata chiusa.
Con la pioggia che scende in grandi
sguazzi, arrivo al ponte di Sazzo. C’è
un tale che porta a spasso i cani e
così lo fermo per chiedergli se ci sono
problemi a continuare lungo l’Adda.
Mi dice che gli pare di aver sentito che
avevano messo un ponte per superare
il torrente Armisa, ma non ne è sicuro.
Percorro una stretta stradicciola che
costeggia dall’alto l’Adda e posso per
fortuna constatare che si può superare
il torrente allo sbocco della valle d’Arigna. Non è un ponte, ma un semplice
tubo provvisorio. Però è più che sufficiente per le mie necessità.
Arrivo alle prime case del Baghetto
e mi fermo a chiedere informazioni ad
un giovane contadino che sta sistemando il mangime di mais appena raccolto. Mi dice che è possibile continuare
lungo l’Adda e mi dà alcune indicazioni su quale strada prendere ai bivi che
incontrerò. Mi sembra di aver capito.
Passo dopo passo
Lo saluto e lo lascio allo sgradevole
odore del mais che inizia a fermentare.
Arrivo al ponte del Baghetto, seguo
per pochi metri la strada verso Castello
dell’Acqua, poi imbocco sulla sinistra
una strada sterrata che scende verso
l’Adda [l’attuale pista ciclabile ndr].
Al primo bivio prendo a sinistra e al
secondo ancora a sinistra. E sbaglio.
Dopo un po’ infatti la strada, che
corre dentro un fitto bosco di ontani,
si arresta sulle rive dell’Adda. Torno
indietro, prendo un altro ramo: stessa
sorte. Anche questo si arresta sulle rive
dell’Adda. A questo punto capisco che
l’unico modo per continuare è quello
di seguire un sentierino da pescatori
che costeggia il fiume, andando su e
giù dalle sponde. La faccenda non è
complicata. Se non fosse che il sentierino corre dentro una fitta vegetazione
e che sta piovendo a dirotto. Dopo
dieci minuti ho le scarpe ed i pantaloni fradici. Forse è meglio così, almeno
non ci penso più.
Fatti alcuni saliscendi e dopo aver
attraversato alcuni rigagnoli, saltel-
Diario di Viaggio di Antonio Boscacci
lando come una rana, mi ritrovo in
un vastissimo campo. Hanno appena
tagliato il mais e le ruote di un trattore sono ancora ben visibili. - Se c’è
un campo, ci sarà una strada? – mi
dico per rassicurarmi. Intanto cerco di
strizzare un po’ i pantaloni e la cosa mi
fa sorridere. Sono ai bordi di un gigantesco ex campo di mais, c’è una nebbia
fitta che sfiora gli alberi, piove a più
non posso, ed io mi preoccupo dei miei
pantaloni bagnati. Mica morirò per un
po’ di umidità nelle gambe! Attraverso
in tutta la sua lunghezza il campo e,
seguendo i segni lasciati dalle ruote
del trattore, imbocco una stradicciola.
E’ piena di grosse pozzanghere, ma è
sempre meglio del sentierino pieno di
vegetazione appena percorso. Mi sto
allontanando dall’Adda e, lasciate le
pozzanghere, mi ritrovo sulla strada
che da S. Giacomo porta a Castello
dell’Acqua.
Fermo un vecchio contadino che
passa con l’ape e gli domando se posso
continuare sulla sinistra del fiume. Mi
risponde che sì, si può passare, basta
A dx: Tirano palazzzo Paribelli (30 aprile 2006, foto Marino Amonini).
L'Adda a San Giacomo di Teglio (12 febbraio 2009, foto Beno).
continuare diritto, dopo la cava di
sabbia. Mi faccio ripetere le indicazioni, lo ringrazio e continuo seguendo il
ciglio della strada. Dopo pochi minuti,
vedo l’ape che torna indietro e, quando
arrivo ad imboccare la strada che mi era
stata indicata, trovo il vecchio contadino, che mi ferma. – Ci ho pensato, è
meglio che non vada di lì – mi dice –
potrebbe esserci troppa acqua. Poi mi
spiega un altro itinerario che lui ritiene molto migliore e più semplice. Così
attraverso il ponte sull’Adda, percorro
un breve tratto della statale 38 e, al
primo passaggio a livello, attraverso la
statale e la ferrovia. Imbocco così una
larga strada di campagna, che sta tra
i prati e la ferrovia. Mentre cammino
guardando alcuni cacciatori, lontano
tra i prati, mi accorgo che la pioggia è
molto diminuita. Non ancora per fare
a meno dell’ombrello. Anche i pantaloni si stanno adagio adagio asciugando e la linea del bagnato è quasi sotto
il ginocchio e sta scendendo, anche se
lentamente, verso le scarpe. Ci sono
66
LE MONTAGNE DIVERTENTI
Media Valtellina
Primavera 2009
LE MONTAGNE DIVERTENTI
quattro uccelletti che volano veloci
da un salice all’altro. Forse non sono
specie cacciabili. Che vita, poveracci!
Passo accanto ad un piccolo gruppo
di case, poi la strada si fa asfaltata e mi
porta tra le case di Tresenda. Attraverso l’Adda sul ponte della centrale
e mi immetto sulla strada che porta
all’Aprica. E’ un lungo rettilineo,
nel quale le auto sfrecciano a grande
velocità. Fortuna che sono poche. Al
termine del rettilineo, raggiunto il
piede della montagna, devo attraversare due gallerie. Mi sembra che non
arrivino auto e, stando contro il muro
di destra, dove mi pare ci sia un po’
più spazio, attraverso la prima galleria.
La seconda è più stretta. Aspetto che
passino una corriera e alcune auto, poi
di corsa, messo via l’ombrello, attraverso anche la seconda. Un tentativo
di suicidio in caso di traffico. All’uscita
della galleria imbocco sulla sinistra una
stradina che scende per qualche metro
e poi diventa pianeggiante. Sento in
alto le auto che percorrono la statale
dell’Aprica, ma qui non c’è nessuno e
la strada è tutta per me. Attraverso le
poche case di Calcarola (c’era un’antica fornace per la preparazione della
calce) accompagnato da una grosso
cane lupo che mi osserva con attenzione; per farmi comprendere che non gli
sono simpatico e che devo andarmene
al più presto, improvvisa anche un
paio di bau-bau, che, vista la sua mole,
mi fanno allungare il passo.
Passando sotto le case di Canterana, incontro una fontana. Mi fermo a
bere un po’ di tè e intanto osservo la
santella che si trova lì vicino. E’ dedicata alla Madonna e vi si trovano affrescati ai lati S. Rocco e S. Sebastiano.
Una piccola scritta in alto ricorda che
è stata costruita nel 1785 e restaurata
due secoli dopo, nel 1985. La pioggia è cessata e i boschi, che all’inizio
costeggiavano la strada, hanno lasciato il posto a diffusi meleti. Ci sono
centinaia di mele per terra. Pur avendone già due nello zaino, non resisto
quando vedo una bella mela gialla che
D A S ONDRIO
A
T IRANO
67
Escursionismo
occhieggia per terra, sotto un grosso albero. Mi chino, la raccolgo e la metto a far
compagnia alle altre due. La strada è tornata
intanto sulle rive dell’Adda e mi fermo un
momento ad osservare l’assordante fuoriuscita dell’acqua dalla centrale di Stazzona.
Più avanti vedo il filare di platani di Stazzona e mi ricordo che questo tratto di strada
era un tempo chiamato “via dell’amore”,
perché luogo di ritrovo per incontri fugaci
e clandestini.
Attraverso la strada che porta alle case di
Stazzona e continuo lungo l’Adda, mentre
stanno suonando le campane del mezzogiorno. La strada segue l’argine del fiume,
passa accanto ad un bel frutteto. Quando
sono ormai in vista di Tirano, il cielo si
apre, compare qualche sprazzo di azzurro
e il sole, finalmente si degna di affacciarsi
tra le nuvole. I calzoni ormai non li può
più asciugare perché camminando si sono
asciugati da soli; però è molto piacevole
Passo dopo passo
Diario di Viaggio di Antonio Boscacci
ANTONIO BOSCACCI
quella sensazione di caldo che mi colpisce
alla schiena e sul collo. Un cartello, appiccicato ad una costruzione, mi avvisa che
sto passando accanto al foro boario e alla
dogana boaria di Tirano. Raggiungo la via
di Porta Milanese e la casa del mio amico
Roberto alle 12:50. Ha un buonissimo
strüdel fatto da sua madre e, con grande
sfacciataggine, glielo mangio quasi tutto
(sotto lo sguardo meravigliato di sua moglie
Isa che, vedendo la mia fame, vorrebbe a
tutti i costi prepararmi una pastasciutta).
Più tardi, in piazza della stazione,
mentre sono intento ad osservare gli orari
dei treni, mi sento chiamare e ritrovo un
vecchio amico che non vedevo da decenni.
Così, senza “perdere un minuto” ritorno a
Sondrio su una vecchia, ma ben tenuta R5,
immerso nel fumo denso delle sue sigarette e dei suoi racconti di contrabbando e di
donne.
Jacopo Merizzi
Antonio Boscacci è nato a Sondrio nel 1949, dove tutt’ora
vive e lavora. Laureato in matematica, ha insegnato per
molti anni nella scuola.
Ha dedicato molta parte della sua vita alla montagna ed è
stato riconosciuto tra i più forti arrampicatori in “aderenza”
del mondo. Tra gli scopritori della Val di Mello, ha scritto
numerose guide di escursionismo, arrampicata, alpinismo e
scialpinismo, di cui è stato uno dei precursori nella nostra
provincia.
La sua passione per la fotografia storica si è concretizzata
nella cura di libri fotografici e mostre su alcuni dei principali fotografi valtellinesi del passato.
Ha collaborato con molte riviste e giornali occupandosi
di viaggi, storia locale e argomenti naturalistici. Sta raccogliendo il materiale per un volume sul pipistrello albino
della valle del Bekàa. Agli amici confessa che, se potesse,
gli piacerebbe diventare un Macroglossum stellatarum, un
piccolo lepidottero, che sembra un colibrì e che compare
ogni sera sui fiori del suo balcone, non appena, esausto,
il sole ha trascinato i suoi raggi dietro il monte Rolla. Ha
pubblicato un libro di favole in collaborazione con Luisa
Angelici e, nel 2008, il suo primo romanzo (Odore di merda.
Romanzo. Ed. Nuceröla, tip. Polaris, Sondrio 2008).
Tra le sue numerosissime pubblicazioni ricordiamo inoltre:
A dx: il Santuario della Madonna
di Tirano (22 aprile 2007, foto R.
Moiola).
Il Punt di Sass, antico ponte
romano a Villa di Tirano (22
aprile 2007, foto R. Moiola).
Il ghiaccio sui meli a Stazzona
(22 marzo 2007, foto Jacopo
Merizzi). Talvolta, in caso di
gelate primaverili, si attiva
l'irrigazione per proteggere le
gemme dal freddo e salvare così
il raccolto.
68
LE MONTAGNE DIVERTENTI
Media Valtellina
Il Sasso di Remenno, C.A.I. Sondrio 1976
Val di Mello, Tamari, Bologna 1980
Sci alpinismo nelle Orobie Valtellinesi, Bissoni, Sondrio
1982
Sci alpinismo in Valmalenco, Valmasino,
Valchiavenna,Zanichelli, Bologna.
Guida al Sasso di Remenno e dintorni, Il Gabbiano, Cremnago
Sci alpinismo in Alta Valtellina, Il Gabbiano, Cremnago
Ascensioni Classiche in Valtellina, Il Gabbiano, Cremnago
1986
Il Leprassero ed altri racconti (disegni di Luisa Angelici),
l’Officina del Libro, Sondrio
Tirano ed il suo Santuario, Albatros, Valmadrera
Le vignette di Antonio Boscacci, Albatros, Valmadrera
con Luisa Angelici, Valtellina facile. Brevi itinerari alla
scoperta delle valli dell’Adda, Albatros, Valmadrera 1994
Una vita di fotografie (dall’archivio di Mosè Bartesaghi),
Credito Valtellinese, Sondrio
con Luisa Angelici, Castelli e Torri della Valtellina e della
Valchiavenna, Albatros, Valmadrera
Scialpinismo in Valtellina e Valchiavenna, Lyasis, Sondrio
1996
A cura di Antonio Boscacci e Luisa Angelici, Bruno Galli
Valerio: Punte e Passi, C.A.I. Valtellinese, tip. Bettini,
Sondrio 1999
Jacopo Merizzi, Antonio Boscacci, Pietre allineate, terrazzamenti, vite e vino in Valtellina, ed. Stefanoni, Lecco 2009.
Primavera 2009
LE MONTAGNE DIVERTENTI
D A S ONDRIO
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T IRANO
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Escursionismo
Versante orobico
Sentiero 163:
Itinerario storico
in Valtartano
Valentina Messa
Campo Tartano è il primo paese che si incontra imboccando
la Val Tartano. Prima che costruissero l’attuale strada asfaltata,
voluta dal ministro Ezio Vanoni negli anni ’50, esistevano
due mulattiere che dal fondovalle portavano al paese: la prima risaliva
la val Fabiolo partendo dalla Sirta (dopo le abbondanti piogge del 2008
versa in rovina);
la seconda, raggiungeva la Val Tartano partendo da Talamona.
Quindi si dipartivano numerosi sentieri che salivano ai maggenghi,
fra cui uno, recentemente ripulito e classificato Sentiero 163, è meta
di numerosi escursionisti in cerca di itinerari suggestivi.
Partenza: Campo Tartano – cimitero (m 1049).
Itinerario automobilistico: lasciare la
statale 38 allo Stelvio all’altezza del viadotto sul
torrente Tartano (a dx se si proviene da Morbegno);
percorrere circa 800 metri della Pedemontana
orobica e imboccare la strada per la val di Tartano.
Risalendo il fianco occidentale del Crap di Mezzodì,
si raggiunge dopo circa 10 km Campo Tartano. Per
informazioni e indicazioni alla partenza segnalo
Albergo Miralago a Campo Tartano
(tel. 0342.645052 – www.miralago.net).
Itinerario sintetico: Campo Tartano
(m 1049) – Diga di Colombera (m 960) - Frasnii
(m 1074) – Fopp (m 1368) - Marscia (m 1581)
– Cuùrt (m 1713) - Alpeggio Pustarèsc (m 1713)
– Anello dela “Via dei Mirtilli” – Cùurt – Casera
Piscino (m 1682) – Cà Fognini (m 1290) - Tartano
loc. Biorca (m 1160) – Tartano (m 1215) – Ponte del
Tartano – Campo Tartano.
Tempo di percorrenza previsto: 5 ore
30 per l’intero giro.
Attrezzatura richiesta: Difficoltà: 1 su 6.
Dislivello in salita: 800 metri circa.
Dettagli: E. Punto informazioni: Albergo
BELLEZZA
FATICA
PERICOLOSITÀ
Miralago a Campo Tartano (tel. 0342-645052).
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LE MONTAGNE DIVERTENTI
Campo Tartano (8 luglio 2008, foto P. Spini).
Primavera 2009
LE MONTAGNE DIVERTENTI
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Escursionismo
Il sentiero tra Campo e località Foppe (foto P. Spini).
Il Ponte della Corna (8 luglio 2008, foto Piergiorgio Spini).
Pustarésc (27 agosto 2007, foto P. Spini).
Frasnii (20 maggio 2008, foto P. Spini)
L'alpeggio Pustarèsc con vista sul Disgrazia (20 agosto 2005, foto P. Spini).
ITINERARIO1
iunti a Campo, località Cimitero, occorre abbandonare la straG
da asfaltata, imboccare la deviazione
sulla dx fino alla diga Colombera.
Oltrepassato lo sbarramento attraverso il camminamento della diga, si
prosegue l’escursione sul lato opposto
della valle, sfruttando un ripido sentiero, il Pic, che conduce al maggengo
di Frasnino, meglio detto il Frasnii
(m 1074, ore 0:20). Il panorama che
si può godere è incantevole: scorci
suggestivi su Campo Tartano, sul
Disgrazia e sui Corni Bruciati. Giunti al maggengo ci accoglie un piccolo
gruppo di case e baite in sasso e legno,
dove fa capolino una fontana dall’aria
originale: dalla bocca di un’artigianale
La diga di Colombera (foto P. Spini).
72
LE MONTAGNE DIVERTENTI
scultura in legno a forma di camoscio,
zampilla acqua fresca.
Il sentiero piega di nuovo verso sx,
tagliando il fianco occidentale della
bassa valle. La vegetazione a tratti stupisce: i muri di contenimento
sono ornati di muschio; siepi di felci
e slanciati abeti costeggiano il selciato,
per confluire poi in una meravigliosa
galleria naturale all’ombra di lunghi
e intrecciati rami di abete rosso. Per i
più devoti, numerose santelle permettono una sosta in raccoglimento per
una breve preghiera.
Il passo si fa più felpato e il rumore
più sordo: un soffice tappeto di aghi
attutisce il cammino. Siamo arrivati al
Fòp (m 1368, ore 0:50 da Frasnii),
un gruppo di baite dalle quali si possono raggiungere la Marcia (Màrscia)
e l’alpe Postareccio (Pustarèsc2,
m 1713, ore 1). Se siete fortunati al
Fopp vi capiterà di incontrare il Gigi e
la Candida che di sicuro vi offriranno
un caffè, dopo avervi presentato i loro
2 - L’Alpe Pustarésc è un gruppo di vecchie baite
recentemente sistemate.
1 - Informazioni tratte dal testo di Carla Pasina
dedicato al sentiero 163.
Primavera 2009
LE MONTAGNE DIVERTENTI
amici: la Vegia e il Tuco , due simpatici asinelli.
Il sentiero prosegue, quindi, verso la
Marcia, dove ci si imbatte in una baita
diroccata, antico testimone del duro
lavoro dei nostri avi. Poco lontano
troviamo uno stagno, nelle cui acque,
nei mesi di giugno e luglio fioriscono
in abbondanza candidi eriofori.
Inizia il pascolo e risalendo il tracciato si giunge alla Cùurt. Il panorama
diventa mozzafiato: lo sguardo spazia
dalla Val Vicima alla Val Lunga fino
alla Val Corta.
D A S ONDRIO
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Escursionismo
Fòpp (27 agosto 2007, foto P. Spini).
Ci si incammina poi verso il Piz de la
Prùna dove, ai margini di un pianoro
ornato da cespugli di ginepro e rododendro, a quasi m 1300, troneggia una
maestosa croce in larice datata 1991.
Da qui, lungo la “Via dei mirtilli” si
raggiunge la Mùta, prima di ridiscendere verso l’alpe Pustarèsc (per effettuare l’anello calcolare ore 1:15).
Dalla Cùurt imbocchiamo il ramo
del sentiero (cartello segnavia) che
ci conduce a Tartano passando per
la Casera del Piscino3 e la contrada
Fugnii, un antico nucleo abitativo al
centro del quale si può ammirare una
caratteristica baita in legno. Raggiunta
la Fòpa, contornata da prati che testimoniano il tenace lavoro dei contadini che ancora falciano l’erba per le
mucche, proseguiamo fino alla Biorca
(m 1160, ore 1:15).
La via del ritorno si svolge lungo
3 - Due baite a monte di un gruppo di abeti rossi
secolari che proteggono un abbeveratoio in legno.
74
LE MONTAGNE DIVERTENTI
la carrozzabile fino al grande ponte
di Tartano, oltre il quale, sulla sx, si
diparte un sentiero non segnalato,
che, con andamento parallelo alla
rotabile, ci riporta a Campo Tartano
(m 1049, ore 1).
al passaggio. Le forre profonde del
torrente attraggono con la loro voce
cupa. Una ripida scalinata riporta,
infine, alla strada provinciale che
seguiamo fino a Campo Tartano
(m 1049, ore 0:50).
VARIANTE
Il percorso offre anche un’altra
valida alternativa. Una volta giunti al
maggengo Fòp, è possibile ridiscendere verso valle lungo un sentiero
che attraversa lussureggianti boschi
di faggio. Arrivati in località Corna
ci si può dissetare con l’ acqua rugena
che sgorga da rocce rossicce e ferrose, lasciando il caratteristico colore
della ruggine sui bordi dell’artigianale
fontana in legno.
La discesa verso il torrente Tartano termina col Ponte de la Còrna
(m 1077, ore 0:40) che dondola
Attraversando la diga di Colombera (13 giugno 2008).
Primavera 2009
LE MONTAGNE DIVERTENTI
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Escursionismo
Una passeggiata facile nei dintorni di Sondrio, adatta a nordic
walker e non, percorribile in tutte le stagioni e con qualsiasi
tempo atmosferico. Si svolge interamente sul versante bacìo
e per questo consigliato, soprattutto durante i mesi invernali,
nelle ore a cavallo del mezzodì.
Rocce montonate
e vigneti della Sassella
Nicola Giana - istruttore di Nordic Walking e Accompagnatore di Media Montagna - tel. 3408958565
I vigneti della Sassella (25 novembre 2008, foto Jacopo Merizzi).
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LE MONTAGNE DIVERTENTI
Primavera 2009
LE MONTAGNE DIVERTENTI
G IRO
DELLA
S ASSELLA
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Escursionismo
Partenza: stazione FS di Sondrio (m 299).
BELLEZZA
FATICA
PERICOLOSITÀ
Itinerario sintetico: Sondrio (stazione FS
- m 299) Sassella (m 299) - Ca’ Bianca (m 337) Grigioni Loc. Casacce (m 430) - La Ganda (m 519)
- Triasso (m 430) - Colombera - Maioni (m 398) Sondrio (FS).
Tempo di percorrenza previsto: 3:30
ore per l’intera escursione.
Difficoltà: 1 su 6.
Dislivello complessivo in salita: 330
m.
Dettagli: T - Guide e carte; Gogna A., Miotti G.
“Guida Turistica della Provincia di Sondrio”,
B.P.S. II edizione 2000 - U. Sansoni, S. Gavaldo,
C. Gastaldi, Simboli sulla Roccia, Edizioni del
Centro, 1999, Capo di Ponte (BS) - F. Monteforte,
L’immagine della Sassella, in Notiziario BPS, n.
105, dicembre 2007 - Kompass n. 93 “Bernina Sondrio” 1:50.000.
quale prospettano prestigiosi edifici
ottocenteschi: il nostro sguardo, però,
vola alto, verso il colle di Triangia e
l’imponente convento di S. Lorenzo; e più sopra sulla cima del Monte
Rolla, da sempre conteso tra sundràsch
e castiùn.
Imboccata via Dante si continua
diritti sino a Piazza Cavour (già Piazza
Vecchia), un tempo molto animata e
sede del mercato cittadino e delle più
importanti fiere. Guadagnato l’argine
on la primavera, ecco risvegliarsi con insistenza la voglia
C
di muoversi, di togliersi la ”ruggine”
dalle articolazioni e l’adipe accumulatosi durante i mesi invernali.
Arrivano i colori delle prime timide
fioriture, aleggia, seppur leggero,
l’odore della terra che si scalda al
sole accompagnato dal cinguettare
degli uccelli che salutano l’avvicinarsi della bella stagione.
Ed ecco questo itinerario alle porte
di Sondrio: un percorso semplice che
rivela numerosi aspetti di grande
interesse: evidenti contenuti storici,
culturali, ambientali e paesaggistici
(in particolare geologici e archeologici) emergono a fianco di aspetti
enogastronomici.
Considerato che il nordic walking è
una disciplina motoria che si pratica
tranquillamente anche in ambiente
urbano, consiglio di partire direttamente dal centro di Sondrio, sia per
evitare l’uso dell’auto, sia per godere
delle bellezze e delle emozioni che
alcuni luoghi ancora suscitano.
Lungo l’antica via Valeriana
prima, e successivamente salendo
attraverso i terrazzamenti e le nude
rocce della Sassella e dei Grigioni,
nuove ed intense suggestioni si profilano all’orizzonte e sul fondovalle
pur pesantemente alterato dall’edificazione dissennata dei capannoni.
78
LE MONTAGNE DIVERTENTI
Sopra: oltre il ponte elevabile sul Mallero (16
gennaio 2009, foto N. Giana).
A pag. 78: Palazzo Carbonera (16 gennaio
2009, foto N. Giana).
A dx: il santuario delle Sassella (20 aprile
2008, foto M. Amonini).
In basso: la Cappella dell’Annunziata (16
gennaio 2009, foto N. Giana).
Eppure non è certamente questo che
voglio mettere in risalto, bensì gli
ultimi angoli preservati dagli interventi speculativi e in grado di farci
sognare una vita sana, dai ritmi
lenti e rispettosa dell’ambiente dal
quale dipendiamo, fortunatamente,
non solo per ricavarne vil denaro. La
speranza è di ritrovare qui le nostre
radici, quelle dell’albero della cultura e dell’identità valtellinese che
noi de “Le Montagne Divertenti”, e
non solo, ci ostiniamo a “bagnare”
perchè germogli nuovamente.
del Mallero, lo si attraversa sul ponte
coperto ed elevabile in caso di un
nuovo ’87. Alle nostre spalle il possente Castel Masegra.
Volgendo lo sguardo a S, chiudono
l’orizzonte il Pizzo Meriggio, la Punta
della Pessa e la Punta di S. Stefano.
All’imbocco di via Romegialli, l’insegna curiosa de ”Il Bacaro”, invita
ad una sosta per gustare dell’ottimo
pesce. La stretta via, spina dorsale
dell’antica contrada Cantone, ricca
di edifici storici, conduce in Piazzetta Carbonera. Al civico n. 4 sorge il
Palazzo Carbonera (XVI sec.) nella cui
corte interna aggettano un interessante portico con volte a vela sormontato
da logge ad archi e colonne dei due
piani superiori.
Si continua diritti lungo via De
Simoni (200 m), quindi si prende a
dx via E. Bassi al cui inizio s’impone la
Cappella dell’Annunziata o Madonna
della Rocca (1713), la prima di una
serie di quindici dedicate ai Misteri
del Rosario e che sarebbero dovute
sorgere lungo la via Valeriana costituendo il “Sacro Monte della Sassella”, al quale i fratelli Francesco Saverio
e Giovan Battista Sertoli dedicarono
le loro energie all’inizio del ‘700.
Dal rione di Cantone sino alla
chiesa della Madonna della Sassella,
si sarebbe snodata la Via Matris della
Vergine del Rosario, partecipe dei
misteri dolorosi, gaudiosi e gloriosi
Itinerario
Si parte dalla stazione FS (m 299)
del capoluogo in direzione N. Lontano, sopra i rami ancora spogli dei
tigli che ornano Piazzale Bertacchi, si
staglia nel cielo terso il Pizzo Tramogge ancora coperto di neve. Tenendo
il lato sx dei giardini, si prosegue per
Corso Vittorio Veneto costeggiando
l’interessante palazzo sede degli uffici della Provincia, opera moderna
progettata dall’architetto Giovanni
Muzio. Il corso conduce in Piazza
Garibaldi (attualmente sottosopra per
i lavori per i nuovi parcheggi) sulla
Primavera 2009
LE MONTAGNE DIVERTENTI
G IRO
DELLA
S ASSELLA
79
Escursionismo
di Cristo e della salvezza. Ne vennero
realizzate sei delle quali ne rimangono
solo quattro.
Giunti in Largo Stella, dominato
dalla facciata della moderna Chiesa
Parrocchiale della Beata Vergine del
Rosario, si prende via F.S. Quadrio
e la si percorre sin dove attraversa
la provinciale per la Val Malenco,
quindi ci si immette sulla via Valeriana. L’azienda vitivinicola G. & B.
Leusciatti è l’ultimo baluardo di una
zona un tempo esclusivamente agricola
ed ora residenziale di un certo pregio.
In prossimità dell’incrocio con la via
D. Lucchinetti, sparsi tra gli ultimi
prati spuntano i resti del vecchio tiro
a segno, fantasmi del periodo fascista
(seconda metà degli anni ’30).
Dietro lo stadio, addossata ad un
rustico, la seconda cappella, priva
di alcun dipinto, passa quasi inosservata. Poco avanti, sotto monte, il
Centro Fojanini di Studi Superiori
ci rammenta che la vocazione agraria della Valtellina è sempre viva. Un
cartello giallo indica che siamo in
località Castelletto (m 285) e la direzione per il santuario della Sassella,
dove siamo diretti.
All’inizio della salita per Triasso, la
terza cappella pare contribuire al faticoso sostegno dei terrazzi soprastanti.
Anch’essa di forma ottagonale, all’interno è vuota. Al tornante, abbandonato l’asfalto, si procede sull’antico
sterrato tra i vigneti verso il santuario
della Sassella. Gradatamente si prende
quota tra rocce lisciate e montonate
dall’azione erosiva dei ghiacciai sui
quali sapientemente i nostri antenati
hanno costruito i muri dei terrazzi messi a vigna. Si gode ora la vista
dell’Adda che tra alti pioppi scorre ai
piedi del conoide di Albosaggia, ultimi resti dell’antica boschina. Il sole
riscalda i nostri animi, ma soprattutto
i muri e le rocce, che restituiranno il
calore accumulato all’imbrunire, mitigandone il microclima.
In una valletta poco prima del
santuario s’incontra l’ultima cappella,
detta degli Apostoli (1713-14; forse
su disegno di Pietro Ligari) e dedicata
alla Pentecoste; all’interno si trovano
dodici statue lignee realizzate da G. B.
Zotti, rappresentanti la Vergine e gli
Apostoli che recano sul capo la fiammella dello Spirito Santo. Raggiunta
80
LE MONTAGNE DIVERTENTI
I Grigioni da Cà Bianca (16 gennaio 2009, foto N. Giana).
la chiesa della Madonna della Sassella
(m 299), è d’obbligo una sosta per
ammirare i magnifici affreschi di
Andrea De Passeris1, che ne arricchiscono l’interno, e per godere della
meravigliosa vista che si apre tutt’intorno.
Oltrepassata la Torre della Sassella,
parte di un progetto incompiuto del
1720 che prevedeva la sistemazione
della piazza e la realizzazione di diversi
fabbricati ad uso deposito per le merci
durante le fiere e i mercati, si scende
verso il piano rasentando le pareti della
palestra di roccia e poco più avanti
s’imbocca a dx la sterrata che dolcemente sale, ahimè, dietro ai capannoni, tra stupende rocce montonate e
ordinati filari sino ad un avvallamento
1 - 1488/1517 originario di Como, importante per i
erboso. Sulla sx, un folto groviglio di
numerosi interventi in valle.
rampicanti cela i resti
di un antico edificio
conferendogli
un
aspetto quasi misterioso.
Si supera la conca
tenendosi al bordo
dx, quindi si continua su sentiero che
tra le piante sale
brevemente per poi
scendere alla località
Ca’ Bianca (m 337).
Nel piano, ai piedi di
questa contrada, spicca come un’oasi l’ultimo lembo di pianura
a vocazione agricola
a cui fan da cornice
l’enorme distesa di
capannoni e di cantieri, che metteranno in
piedi nuovi mostri di
cemento. Ogni volta
che passo, osservo
questo luogo come
fosse una rivelazione
e mi chiedo quanto
tempo ancora resisteIl tratto Sassella Cà Bianca (16 gennaio 2009, foto N. Giana).
rà alla stupidità degli
Primavera 2009
speculatori; poi sospirando riprendo
la via.
Poco prima delle case, sulla dx si
torna a salire zigzagando tra i muri
a secco e le balze rocciose levigate
dall’esarazione delle lingue glaciali; è
impossibile non rimanere affascinati da questo luogo. Dopo un lungo
diagonale si approda ai Grigioni in
contrada Casacce (m 430). Oltre le
case, alla fontana ci si immette sulla
strada che volge a E. Si procede ora
su strada asfaltata per un lungo tratto
sino al bivio per scendere a Triasso.
Una breve deviazione a sx (m 750
ca.) conduce alla località La Ganda
(m 519) dove, sulle rocce ai piedi
di un rustico, è possibile ammirare
le incisioni rupestri considerate di
maggior pregio storico ed estetico
del circondario di Sondrio (oltre 80
figure tra antropomorfi, segni circolari e sistemi complessi di coppelle,
attribuibili all’età del Bronzo mediotarda). Un pannello nelle vicinanze
aiuta alla lettura delle raffigurazioni.
Tornati al bivio, si scende alla
frazione Triasso (m 430); oltrepassato
l’abitato ed un castagneto si prende a
sx la strada interpoderale che sviluppandosi tra i vigneti porta alla contrada Colombera (m 550). Lo sforzo
impiegato per superare i primi 200
metri di erta salita è ripagato dalle
notevoli prospettive che mutano man
mano che si avanza verso Sondrio. La
vista spazia sulle Orobie dalla diga del
Publino in Val del Livrio sino al passo
dell’Aprica e oltre sul Corno Baitone
(Adamello), mentre verso N rispettivamente su Teglio, Boirolo, Carnale,
l’imponente Corna Mara e il monte
Foppa all’imbocco della Val Malenco.
LE MONTAGNE DIVERTENTI
Il convento di San Lorenzo (foto N. Giana).
Le incisioni ruprestri in località La Ganda (foto J. Merizzi).
Le cime sono ammantate dell’ultima neve, mentre il verde tenue
dei primi germogli contrasta
coi toni grigi e bruni del terreno. La presenza del convento
G IRO
DELLA
S ASSELLA
81
Escursionismo
di S. Lorenzo diventa importante ed
è sorprendente la sensazione che si
prova osservandolo: l’edificio sembra
vegliare sulla città sottostante così
come un tempo fece il castello di S.
Giorgio.
Al bivio prima di Colombera
(bacheca con mappa) si scende diritti
per l’ampio sentiero che, aggirando
il possente muro del vigneto sotto
il convento, sale sino ad incrociare
la strada per il cimitero di S. Anna.
La si attraversa, non prima di aver
ammirato di fronte a noi l’ardito
abitato dei Ronchi e l’ampia dorsale
del monte Foppa sulla quale spiccano
i nuclei di Mialli e Portola, quindi si
scende passando davanti alle scuole di
Mossini dove ha sede anche il Museo
delle Moto d’Epoca (visite su prenotazione). Si attraversa la provinciale
della Val Malenco e si prende la strada
pianeggiante per Mossini (N). Cento
metri dopo si svolta a dx raggiungen-
do la contrada di Maioni2 (m 398).
Da qui, con comodo sentiero, in
pochi minuti si può salire in centro
Mossini alla Trattoria “Il Lavécc’ ” e
gustare le prelibatezze culinarie di
Paolo, oppure scendere a dx (SE) dove
i passaggi voltati di Maioni stuzzicano curiosità e ammirazione. Si esce
dall’abitato e superati gli orti nel tratto pianeggiante, si percorre la mulattiera che con stretti tornanti scende
alle case di Gombaro. Mi riferisco
in particolare alle “cassandre” il cui
aspetto misterioso ha attratto tanto da
costruire delle passerelle sui passaggi
più impervi. Singolari gli imbocchi
dei malleretti che ancor si vedono
nella roccia dal ponte ad arco e che
un tempo dispensavano l’acqua per
azionare gli opifici e irrigare prati e
campi del fondovalle. Quanto tempo
ho passato ad esplorare questi luoghi
proibiti! Attraversato il Mallero, si
rasenta per breve tratto il massiccio
argine sino a prendere sulla sx la stretta via Fracaiolo, che passa a ridosso
delle rupi strapiombanti del Castello e
lungo la quale un tempo erano distribuite le maggiori attività artigianali
della città. Oggi non rimangono altro
che il canale di derivazione dell’acqua
e il vecchio lavatoio nei pressi di una
cappelletta anonima e priva di dipinti.
Purtroppo, i recenti interventi edili
sono stati assolutamente irrispettosi
del passato ed hanno completamente
stravolto la memoria del luogo.
La via sbocca sul Lungomallero; di
fronte, gli edifici della vecchia filanda
giacciono silenti sotto le rocce a picco,
da cui domina, nascosta, la fatiscente
chiesetta quattrocentesca di S. Bartolomeo. In breve si raggiunge la Piazza
Cavour dalla quale, per le stesse vie
dell’andata, si ritorna alla stazione FS.
La primavera ha fatto sbocciare all’interno de "Le Montagne
Divertenti" tante nuove rubriche.
Un’idea che in redazione covavamo da tempo - e che in questo
spazio si realizza - è quella di pubblicare i racconti di amici
valtellinesi che vivono esperienze importanti all’estero, in
terre così lontane e diverse dalla nostra da sconvolgere ed
emozionare sia chi le ha vissute, sia chi ne leggerà.
VALTELLINESI
NEL MONDO
Il paradiso
fra i ghiacci
Alessio Gusmeroli
La fronte crepacciata del grande ghiacciaio
Kronebreen (foto A. Gusmeroli).
2 - Il nome pare derivi dai magli utilizzati in passato
per lavorare il ferro proveniente dalla Val Malenco.
Il ponte del Gombaro a Sondrio (16 gennaio 2009, foto Nicola Giana).
L’
autunno stava arrivando
anche in quella parte di
Norvegia dimenticata da
Dio, dove non esistono gli alberi e il
bianco domina su qualunque altro
colore. Un posto in cui a mezzogiorno può esser buio e a mezzanotte può
82
LE MONTAGNE DIVERTENTI
Primavera 2009
LE MONTAGNE DIVERTENTI
esserci luce, un posto in cui, alcune
volte, non è piacevole stare.
Faceva un freddo dannato nelle isole
Svalbard, macchie di terra galleggianti
in mezzo al Mar Glaciale Artico, a soli
mille chilometri dal Polo Nord.
Una terra di vento e ghiaccio lonta-
na dalla mia Valtellina, una terra in
cui non è facile vivere.
Io, giovane geologo, ci arrivai lo
scorso anno, a metà febbraio. Zainone
da montagna, sci, scarponi e pelli di
foca. Presi posto a Ny Ålesund. Il viaggio doveva durare due mesi... adrenaIL
PARADISO FRA I GHIACCI
83
Rubriche
Alessio Gusmeroli
Alessio Gusmeroli è studente
di dottorato nel Gruppo di
Glaciologia
dell’Università
di Swansea (UK). E’ nato
scientificamente
cartografando
la costituzione rocciosa delle
cime della Val Tartano. Grazie al
Servizio Glaciologico Lombardo
ha sviluppato, fra i ghiacciai della
nostra valle, la sua passione per la
scienza. Ora si occupa di glaciologia
artica ed ha partecipato a diverse
spedizioni scientifiche nelle isole
Svalbard e nell’Artico Svedese.
I suoi studi, recentemente pubblicati da una rivista internazionale (*), sono
concentrati sull’esplorazione dei ghiacciai utilizzando tecniche geofisiche. La sua
ricerca è supportata anche da istituzioni valtellinesi come il BIM dell’Adda.
(*) Gusmeroli, A., Murray, T., Barrett, B., Clark, R., Booth, A. Estimates of water content in
glacier ice using vertical radar profiles: a modified interpretation for the temperate glacier
Falljökull, Iceland. Journal of Glaciology, 2008.
lina allo stato puro: volevo imparare,
vedere e conoscere.
Così fu e, in un soffio, arrivarono
gli ultimi giorni di questa magnifica
esperienza.
...“5 aprile 2008 ore 0.49: pensieri
a voce alta - E’ venerdì notte e qualcuno
di voi in questo preciso momento starà
ballando o sfidando qualche bicchiere di troppo nella bettola del paese,
qualcun’altro starà dormendo o coccolando una donzella. Abbiamo raccolto
tutti i dati che volevamo raccogliere
e domani ci recheremo sul ghiacciaio
per un ultimo esperimento. Siamo agli
sgoccioli di questo fantastico viaggio...
84
LE MONTAGNE DIVERTENTI
Ripenso a Ny Ålesund, che mi ha accolto
in questi mesi, a King’s bay (la Baia del
Re), situata sul fiordo del Re, e alle tre
Corone, le tre splendide montagne che
custodiscono il Ghiacciaio Kronebreen e
il Ghiacciaio del Re. Bellezza suprema,
pura e indescrivibile: acqua, ghiaccio,
roccia, aria, cielo, neve e colori.
Questa sera ho preso un pezzetto del
mio cuore e l’ho lasciato qui. Dopo cena,
mentre gli altri riposavano, ho preso il
fucile e ho camminato per un paio di
ore verso est. Nella direzione del sole
avevo la Groenlandia e nella direzione
del mio cammino avevo le isole dell’artico russo: Zemlya e altre terre.
Il bianco delle Svalbard è splendido: il
suo cielo sa tingersi di strane sfumature,
così bizzarre da farti sentire su un altro
pianeta, in un posto visivamente simile
allo stereotipo del paradiso. Ma quando
tira vento è un inferno! Il vento a -45°C
è spaventoso, un coltello che ti penetra
lentamente la pelle.
Solo, come da solo tante volte nelle
Alpi, ho chiacchierato tra me e me,
ripensando alla Valtellina, alla Val
Tartano, alla mia famiglia e ai miei
amici. Ho camminato lungo il mare.
Iceberg dalle mille forme e colori galleggiavano nel gelido fiordo; altri, trascinati dalla corrente, finivano il loro
cammino arenandosi a terra. A Nord
drammatiche montagne metamorfiche e
Primavera 2009
Vista su Kongfjord dalla baia dove è ospitata
la base scientifica di Ny Ålesund (foto A.
Gusmeroli).
Sculture bianche emergono dal Mar Glaciale
Artico a S delle Svalbard (foto A. Gusmeroli).
In viaggio verso il ghiacciaio con
l'equipaggiamento scientifico (foto A.
Gusmeroli).
LE MONTAGNE DIVERTENTI
piccoli ghiacciai dominavano il paesaggio, a sud strati sedimentari inclinati
ospitavano correnti di ghiaccio e a est,
illuminati dalla luce possente della sera
artica, gli immensi ghiacciai si tuffavano nel fiordo.
Ho imparato che, in mezzo alla neve,
si deve stare attenti ad ogni impronta.
L’orso da queste parti può pesare 800 kg
e muoversi a 40 km/h, ha denti forti e
artigli pericolosi. I norvegesi lo chiamano Isbjorn, che significa orso dei ghiacci.
E’ bianco e sorride sempre perché è il
capo! Quando si lavora sul ghiacciaio
o si va per montagne si può stare più
tranquilli: l’orso preferisce il mare dove
ci sono le foche, il suo piatto preferito.
Ho imparato ad usare il fucile, ma mi
auguro di non doverlo mai puntare
contro il re dell’artico.
Ho scattato duecento foto, le ultime. Ho guardato, ho pensato. Ho
fatto mio tutto quello che ho potuto..
Il villaggio di Ny Ålesund è popolato da una trentina di persone, tutti
ricercatori e scienziati. Il loro lavoro
è far funzionare delle basi scientifiche
che ospitano un sacco di gente durante l’anno. Tutti sorridono. Come puoi
non sorridere quando puoi chiamare
questo paradiso “casa”?
IL
PARADISO FRA I GHIACCI
85
LE CONDIZIONI ECONOMICHE E CONTRATTUALI SONO DETTAGLIATE NEI “FOGLI INFORMATIVI” DISPONIBILI PRESSO TUTTI I NOSTRI OPERATORI DI SPORTELLO. MESSAGGIO PUBBLICITARIO CON FINALITA’ PROMOZIONALE.
Rubriche
Sculture
di pietra ollare
Francesco Avanti
Dalla natura l’energia, dalla tua banca il finanziamento.
Investire nella tutela dell’ambiente conviene, e da oggi ancora di più. Creval Energia Pulita è il finanziamento, a tassi e condizioni
particolarmente vantaggiosi, destinato a privati e imprese che acquistano un impianto fotovoltaico, installano pannelli solari o investono
in progetti finalizzati alla salvaguardia ambientale.
CrevalEnergiaPulita
Floriana Palmieri
nel suo studio di Sondrio
(5 febbraio 2009, foto
Matteo Gianatti).
Diamo valore alla natura.
86
LE MONTAGNE DIVERTENTI
CREDITO VALTELLINESE, CREDITO ARTIGIANO, CREDITO SICILIANO,
BANCA DELL’ARTIGIANATO E DELL’INDUSTRIA, CREDITO PIEMONTESE, BANCAPERTA.
Primavera 2009
www.creval.it
LE MONTAGNE DIVERTENTI
L’ ULTIMO
DEGLI ARTIGIANI
87
Rubriche
S
iamo abituati ad associare
la pietra ollare alle classiche
“piode” o alle bellissime pentole chiamate “lavecc”. In realtà c’e chi, come
Floriana, ha saputo guardare oltre
e, attraverso l’arte, è riuscita a dare
nuove forme e colori a questa magnifica pietra.
Floriana Palmieri vive e lavora a
Sondrio dove scolpisce la pietra ollare,
sola o combinata con vetro, titanio,
argento.
Questa pietra, che per la sua duttilità riflette un po’ il carattere d’artista
innovativa qual'è Floriana, è l’ideale
per questo tipo di lavorazione: blocchi
di pietra diventano vasi-scultura, basi
per lampade, complementi d’arredo
ma anche vere e proprie sculture spesso di dimensioni rilevanti.
Come ha iniziato
quest’avventura nel mondo
della pietra ollare?
“E' stato un passaggio graduale
quello dal mondo dell’arte a quel-
Artigiani
lo dell’artigianato artistico. Mia zia,
Ginevra Mattioli, aveva fatto lo stesso percorso e si era trovata, quasi per
caso, a disegnare la pietra ollare. Ne
nacque un’attività che ho visto svilupparsi fin da bambina assistendo alla
trasformazione nel modo di lavorarla,
di renderla duttile alle esigenze stilistiche dei tempi. Piano piano, ho finito
col lasciarmi coinvolgere dedicando
più attenzioni a questa attività che alla
pittura che già praticavo da un po’. In
quanto al tempo, ne è passato tanto;
l’attività è iniziata circa sessanta anni
fa, io mi sono inserita seriamente circa
trent’anni dopo.”
Come ha imparato?
“Quando si ha una solida base di
disegno, poi le tecniche si imparano.
Per la pietra ollare, il disegno è
fondamentale dal momento che
si deve disegnare con sicurezza. Si
incide la pietra - che per sua natura è
piuttosto tenera – con una punta di
acciaio e con un piccolo scalpello.”
Di solito siamo abituati
a vedere la pietra ollare
diventare “lavecc'”.
Ha iniziato con i lavecc'
anche lei?
“Le pentole di pietra ollare hanno
reso famosa questa pietra fin dall’antichità e la loro bella forma è da ascrivere alla bravura dei tornitori.
Io non ho nessun merito in questo
tipo di lavorazione e mi limito ad
esserne utente visto che ci si cucina
molto bene!”
Dove si trova il suo
laboratorio e quali sono i
suoi strumenti di lavoro?
“Il mio laboratorio si trova a
Sondrio in via Visconti Venosta al
n° 5, all’imbocco della Valmalenco.
I miei strumenti sono una puntina
di un particolare acciaio resistente
all’usura e uno scalpellino. Per la scultura ho, naturalmente, una serie di
scalpelli, gradine etc.”
Ci racconta una
sua giornata tipo in
laboratorio?
“Come tutte le donne che lavorano e hanno famiglia mi rammarico
di non poter dedicare tutto il tempo
che vorrei al mio lavoro, però riesco
a organizzarmi per evadere le richieste
nei tempi previsti e sfatare il detto che
gli artigiani siano poco affidabili…”
Una delle tecniche più
particolari usate da
Floriana per lavorare la
Pietra ollare è quella del
titanio dipinto in elettrolisi,
con la quale riesce a fare
delle cose veramente
eccezionali. Incuriosito
e, dimostrata tutta la
mia ignoranza in fatto di
tecniche artistiche, chiedo
a Floriana di spiegarmi in
cosa consista:
“Il titanio dipinto in elettrolisi consiste in scariche elettriche su
metallo immerso in liquido. E’ il
risultato di una delle tante notevoli
ricerche scientifiche del Prof. Pietro
Pedeferri del Politecnico di Milano,
nostro grande valtellinese. Mi regalava
i suoi piccoli capolavori e li inserivo
nella pietra cercando di proseguirne
il disegno per rendere più armonico
l’insieme.
Insieme a mia zia, quasi novantenne ma di spirito giovanile, abbiamo
sperimentato i più diversi materiali e
ci siamo divertite a spaziare dalla creta,
trasformandola in ceramica con forni
di cottura nostri, alla decorazione su
porcellana, a marmi e vetri (smalti).”
Ha ricevuto, nel corso
della sua carriera, notevoli
riconoscimenti per il suo
lavoro. Quale ricorda con
più affetto?
“Il riconoscimento che mi ha fatto,
e mi fa tuttora, più piacere è quello di
88
LE MONTAGNE DIVERTENTI
Primavera 2009
LE MONTAGNE DIVERTENTI
Alcune opere di Floriana Palmieri (5 febbraio 2009, foto Matteo Gianatti).
essere inserita nel gruppo ristretto di
Artigianarte Lombardia, nato in seno
alla Regione per far conoscere in tutto il
mondo la creatività italiana. E’ successo
in seguito ad una visita, in incognito
dell’Art Director di Artigianarte che
ha apprezzato il mio lavoro: da allora
sono regolarmente invitata a partecipare alle esposizioni internazionali.
Poi, naturalmente, siccome amo viaggiare, mi è capitata anche l’occasione
di dover presenziare a qualche mostra.
Ricordo con nostalgia una settimana a
New York, una in Tunisia…
Fra le cose gradite anche quella
di essere stata insignita del titolo di
‘Senatore dell’artigianato’, il premio
Humanware presso la M.I.A di
Monza, una personale a Berlino e a
Kyoto e soprattutto le ESPOSIZIONI UNIVERSALI, l’ultima nel 2005
ad Aichi, in Giappone.”
ollare. Alla lista aggiungerei anche la
parete esterna della Casa di Riposo di
Chiuro, dove campeggia un graffito
di tre metri con la “ Madonna della
Neve.”
Chi è il suo cliente tipo?
“Non mi sembra che ci sia molto
interesse per l’artigianato di questo
tipo, che si nutre di passione, ma che
non nutre. Insomma è evidente che
ci sono lavori più redditizi. Quando
qualcuno si è presentato, è stato accolto volentieri, ma mi risulta che solo
una, ormai non più ragazza, ha proseguito su questa strada.”
“I miei clienti tipo sono soprattutto i negozi turistici per i quali preparo quasi esclusivamente quelle che
noi chiamiamo “schegge”, pannelli
di forma irregolare con disegni che
spaziano dalle riproduzioni sacre agli
animali, ai fiori, ai paesaggi
Negli anni ho realizzato anche opere
cimiteriali: qui a Sondrio, a Morbegno, a Montagna, ad Ardenno, a
Chioggia, ad Adria, e una Via Crucis
in rilievo ad Abbadia Lariana. Inoltre
esterni di case in mosaico e in pietra
Ci sono delle opere che fa
solo per se stessa?
“Ideare e realizzare pezzi nuovi,
mosaici, rilievi è il toccasana per recuperare quella creatività che dopo mesi
di “schegge” comincia a scalpitare. Di
sicuro i vasi – sculture, che sono fra
le mie opere preferite e che per alcuni
rimpiango di non avere altro che le
foto.”
Nel suo laboratorio fa
anche dei corsi per chi
vuole imparare quest’arte?
L’ ULTIMO
DEGLI ARTIGIANI
89
Rubriche
La flora
della
Valtellina
Franco Cirillo
90
LE MONTAGNE DIVERTENTI
Primavera 2009
LE MONTAGNE DIVERTENTI
LA
FLORA DELLA
V ALTELLINA
91
Rubriche
R
iprendiamo il nostro excursus dedicato alle latifoglie della Valtellina. Dopo aver trattato, nel
precedente numero, l’associazione del Querceto,
conosciamo le altre principali essenze arboree del Castanetum, di cui avevamo già visto il castagno (Castanea sativa
L.), e del Fagetum.
Ciliegio selvaggio (Prunus avium L., ted. Wilde
Vogel-kirsche, valtell. scérésèra, fam. Rosacee). Poco abbondante e disperso nei boschi, è un albero a fusto dritto e
cilindrico a crescita rapida. I frutti sono drupe, appetite
non solo dagli umani, ma anche da parecchi animali. I
contadini usavano piantarne esemplari qua e là in mezzo
ai coltivi per dar cibo agli uccelli che, saziati dalle ciliegie,
non attaccavano ulteriormente i coltivi; concetto questo
chiaramente espresso dal nome tedesco attribuito alla
specie: Vogel-kirsche = ciliegie degli uccelli.
Caratteristica la corteccia, levigata porpora marrone,
con lenticelle orizzontali grigio marroni. Il legno, pregiato
per l’industria del mobile, è di colore bruno rosato, usato
a volte per rimpiazzare legni preziosi. Il ciliegio è anche
impiegato come ornamento nelle alberature stradali, per le
belle fioriture e i colori rossastri delle foglie in autunno. Per
le fioriture e per il fogliame in veste autunnale si distingue
a colpo d’occhio in mezzo alle coltivazioni e ai boschi tra
le altre essenze. La resina aromatica emessa dalle ferite dei
tronchi viene usata come aroma alimentare.
Un'antica leggenda
Un mito greco racconta che la ninfa Filira (dal greco:
“Tiglio”), figlia di Oceano e Teti, durante uno dei suoi
incontri segreti con l’amato Crono, venne sorpresa
dalla moglie di quest’ultimo, Rea. Crono, per sfuggire
alle ire della moglie, si trasformò in uno stallone allontanandosi
si al galoppo. La dea, allora, scagliò
scaggliò
l una malemaledizione contro la
l fanciulla, che partorì
pa torì un mostro,,
par
mezzo uomo
omo e mezzo cavallo: Chirone.
Ch
rovò una tale vergogna che
Ne provò
chiese al pa
padre
adre di essere mutata
ro che da allora
nell’albero
porta il suo nome. Il figlio
b guaritodivenne un celebre
re graziee al poter
potere
ereditato
t e ered
dita
i to
dalla madre trasformata
nell’albero
ro dalle tante virtù
ali. Le foglie dde
medicinali.
dell
tiglio, infatti,
nfatti, hanno
proprietàà sedative e
leggermente
nte ipnon rimetiche, un
dio ideale
eale
osi
per nervosi
e insonni.
i.
Acero (Acer campestre L., ted. Feld-Ahorn, valtell. àsér,
fam. Aceraceae). Arbusti e alberi che raggiungono anche
i 30 m di altezza. Caratteristica la foglia a 5 lobi, che è
stata assunta come simbolo nella bandiera canadese. I frutti sono acheni, chiamati “disamare” (cioè samare doppie,
perché provviste di due ali). L’acero è una pianta mellifera,
cioè è pregiato il miele che le api producono succhiando
il nettare dei fiori. D’autunno le foglie assumono splendidi colori, di solito giallo chiarissimo; anche per questo
ne deriva l’impiego come albero ornamentale. Il legno è
pregiato per l’uso nella costruzione di strumenti musicali.
Una menzione particolare merita lo sciroppo d’acero,
ottenuto bollendo la linfa delle varietà acero nero e acero
da zucchero1.
Maggiociondolo (16 maggio 2004, foto Franco Cirillo). A pag. 92: Acero (31 maggio 2008, foto Franco Cirillo) e Chirone (Maicol Formolli).
Betulle sul sentiero per l'Alpe Pidocchio (24 gennaio 2006, foto franco Benetti). A pag. 91: faggio (10 ottobre 2007, foto F. Cirillo).
Tiglio selvatico (Tilia cordata Mill., ted. WinterLinde, valtell. téi, fam. Tiliaceae). E' un bell’albero robusto
e longevo; il nome deriva dal greco ptilon che vuol dire ala.
Infatti i frutti, che sono acheni, grandi come un nocciolo di
ciliegia, sono provvisti di un peduncolo con una brattea2 a
forma d’ala. Quando si staccano dalla pianta vengono giù
lentamente ruotando: così il vento ha tempo di diffondere
questi semi prima che si depositino al suolo. Il tiglio ha una
forma tondeggiante, e le foglie sono tipicamente cuoriformi. Vive in luoghi freschi, nelle zone del Castanetum e del
Fagetum.
1 - È il dolcificante naturale meno calorico dopo la melassa (circa 250 calorie per
cento grammi). Prodotto per la maggior parte in Canada con un procedura già
nota agli indiani irochesi, ha un alto contenuto di elementi essenziali quali calcio,
ferro e vitamina B1.
2 - Foglia modificata che accompagna fiori o infiorescenze.
92
LE MONTAGNE DIVERTENTI
Primavera 2009
LE MONTAGNE DIVERTENTI
LA
FLORA DELLA
V ALTELLINA
93
Rubriche
Non forma boschi puri e quindi non costituisce un’associazione botanica. Sono note anche le proprietà medicinali,
come il decotto di corteccia uso esterno (lenitivo per scottature), la tisana di fiori anticatarrale.
Il miele di tiglio è pure noto insieme al profumo delicato
delle fioriture in maggio. Il legno è bello bianco, pastoso,
uniforme e adatto per intagli, sculture e costruzione di parti
per strumenti musicali.
Fagetum: faggio, maggiociondolo, betulla
Faggio (Fagus sylvatica L., ted. Rotbuche, valtell. fò,
fam. Fagaceae). Costituisce un’associazione botanica detta
faggeta, spesso insieme ad Abete bianco e Abete rosso.
Il nome deriva dal greco faghein = mangiare, a causa dei
frutti eduli di cui i maiali sono ghiotti. È uno splendido
albero alto anche 35 m. Le foglie sono ovali, lucide e ciliate
da giovani. La colorazione autunnale dei boschi di faggio è
spettacolare.
I frutti si chiamano faggiole e sono racchiusi in un involucro spinoso, simile ma più piccolo di quello del castagno
(d’altronde entrambe le essenze appartengono alla stessa
famiglia). Segnalo in Valtellina, salendo ai bagni di Masino, lo stupendo bosco puro di faggio che attraverserete
seguendo la strada carrozzabile.
Predilige i climi freschi e nebbiosi. Il legno, di color
rossiccio chiaro con tipiche fibre a piccole lenti che lo
rende inequivocabilmente riconoscibile, è uno splendido
materiale per mobilio.
A quote più elevate ha portamento nano e contorto (si
comporta quasi come il pino mugo) ben adatto a sopportare il carico della neve. Esemplari così sono più frequenti sui
passi appenninici che non in Valtellina.
Il legno di faggio fornisce il creosoto, liquido oleoso
utilizzato come disinfettante ed espettorante.
Maggiociondolo (Laburnum alpinum Mill., ted.
Gemeine Goldregen, valtell. égen, fam. Fabaceae o Leguminose). Ha portamento arbustivo, corteccia liscia, rami
verde scuro, foglie a gruppi di tre su
lungo picciolo. I fiori costituiscono
un’esplosione di giallo in primavera (maggio) e sono infiorescenze
pendule caratteristiche; il nome
tedesco significa infatti “(piccola)
pioggia d’oro”.
I frutti sono dei baccelli, cioè dei
legumi.
Vegeta in ambienti umidi e
temperati, ai margini dei prati
montani. Le varietà alpine hanno
fiori intensamente profumati,
similmente a quelli della robinia,
però più forte.
Verso fondovalle si ritrova la
specie Laburnum anagyroides, i cui
fiori non sono profumati: di questa
il legno di esemplari molto vecchi
94
LE MONTAGNE DIVERTENTI
era ricercato e noto come falso ebano (avorniello) talmente
duro da poter essere usato in sostituzione dell’ebano per
fare raggi per le ruote dei carri, denti per i rastrelli, ecc…
Non costituisce associazione botanica: vive in esemplari
sparsi.
Betulla (Betula L., ted. Birken, valtell. bedùiia, fam.
Betulaceae). Si riconosce immediatamente per il colore
bianco argentato della corteccia. Il nome dovrebbe provenire dal celtico “betu”, che significa albero. I frutti sono
acheni alati.
Sono molteplici le specie di betulla: Betula alba, che è la
più comune, oppure Betula pubescens o betulla delle torbiere, mentre Betula nana e Betula humilis sono alto alpine.
Predilige terreni acidi, sabbiosi e ciottolosi. Resiste a geli
improvvisi e prolungati. Si trova sia nel Fagetum, sia nel
Picetum che nel Castanetum.
Si spinge verso l’orizzonte alpino, ove costituisce specie
pioniera sui prati rocciosi ad alta quota.
Il legno è caratteristico: chiaro-olivastro estremamente
elastico, molto usato per mobilio.
Alessandra Morgillo
Ciliegi d'autunno (1 novembre 2007, foto M. Amonini).
È primavera. Il paesaggio diventa la tela di un fantasioso artista che con le sue
variopinte pennellate illumina di colore il mondo vegetale e animale. Dispone di
una tavolozza con infinite sfumature, con cui osa i contrasti, sperimenta i più strani
accostamenti, veste di un vivace splendore la Natura, che agli occhi dello spettatore
appare in tutta la sua straordinaria bellezza e varietà.
Ma non si tratta solo di un inno al risveglio della vita, dietro a questa poesia in realtà si
nascondono molteplici significati. I colori, il più delle volte, sono sofisticati messaggi che la
Natura stessa invia per regolare l’equilibrio delle interazioni tra i suoi esseri viventi.
Primavera 2009
Cinciarella
sulle canne
lungo l'Adda a Sondrio (foto Franco Benetti).
LE MONTAGNE
DIVERTENTI
LA
FAUNA DELLA
V ALTELLINA
95
Rubriche
M
Fauna della Valtellina
ediante i segnali visivi, gli organismi comunicano fra di loro; possono essere comunicazioni tra
cospecifici (cioè tra individui della stessa specie)
o tra individui appartenenti a specie o addirittura classi diverse. Persino le piante interagiscono con gli animali
mediante i colori, così i fiori, ad esempio, sono delle piste
d’atterraggio ben segnalate per gli insetti che riescono ad
individuare con facilità il loro bottino e a ricambiare la
cortesia provvedendo inconsapevolmente all’impollinazione. Al di là del loro gradevole aspetto, inoltre, molti fiori
celano ai nostri occhi la straordinaria gamma dell’ultravioletto, a cui, invece, è molto sensibile la maggior parte degli
impollinatori. Perciò nei paesi tropicali, dove tale ruolo è
ricoperto dagli uccelli (per esempio i colibrì), la maggior
parte delle piante si orna di grandi fiori di un bel rosso
vivace, mentre nelle nostre zone sono pochi i fiori di questo
colore, perché il rosso non è percepito dalle api e dagli altri
principali insetti impollinatori.
È importante saper decodificare correttamente un messag-
tori. In molti casi, quindi, disegni e colori brillanti vengono
mostrati soltanto per il periodo riproduttivo e comunque i
gio cromatico, poiché talvolta in gioco c’è la sopravvivenza
stessa. Un colore, o la combinazione di diversi colori, diventa, quindi, un codice che può indicare: pericolo, inganno,
aggressività, difesa, ma anche risorse, cibo o attrazione.
maschi esibizionisti devono stare sempre molto all’erta per
sfuggire rapidamente ai possibili attacchi.
Le femmine manifestano, invece, tinte più smorte, proprio
perché una colorazione mimetica durante la cova è indispensabile per la sopravvivenza della nidiata.
La vivace cresta di penne del pavone arlecchino (foto A.Morgillo).
Una cavalletta (Anacridium sp.) cerca di mimetizzarsi rimanendo immobile
tra le foglie (foto A.Morgillo).
Segnali di pericolo
Prima regola: farsi notare
Si pensi agli uccelli, ornati di un piumaggio vivace e appariscente; solitamente sono i maschi ad assumere in primavera
la livrea nuziale, sfoggiando penne dai pigmenti sgargianti
e lucenti, a volte persino creste e code importanti, per far
colpo sulle femmine. Queste ultime, infatti, scelgono con
cura chi indossa l’abito più elegante, garanzia di buona
salute e di un patrimonio genetico di qualità.
A tal riguardo, basti citare l’emblematico pavone (Pavo
cristatus), il montano gallo cedrone (Tetrao tetrix) e l’acquatico germano reale (Anas platyrhyncos).
Esiste, tuttavia, un rovescio della medaglia: queste colorazioni vistose possono catturare anche l’attenzione dei preda-
96
LE MONTAGNE DIVERTENTI
criptico (dal greco mimesis = imitazione e kryptos = nascosto) ed è presente in moltissime specie animali, anche nei
mammiferi; si pensi, per esempio, a quelle specie montane,
come la lepre bianca (Lepus variabilis), che in inverno si
vestono di bianco per camuffarsi con efficacia nella neve.
Perché però questa strategia abbia successo, l’animale deve
rimanere immobile o muoversi lentamente per aumentare
così le probabilità di non essere individuato.
L’arte dell’inganno
Sono gli insetti i più camaleontici e originali attori del
mondo animale.
Proprio per le loro ridotte dimensioni, la qualità dei loro
segnali cromatici deve essere il più possibile sofisticata
e i loro messaggi chiari ed inequivocabili. Così si sono
specializzati, assumendo colorazioni che consentono loro
di evitare la predazione o sorprendere le loro prede senza
essere notati.
Una soluzione vincente è stata l’acquisizione di colori simili a quelli prevalenti nell’ambiente in cui si vive, così da
confondersi con esso. Questa capacità si chiama mimetismo
Primavera 2009
in chi pericoloso non lo è affatto, come gli innocui sifiridi, piccoli insetti della stessa famiglia delle mosche, che
imitando i colori delle specie nocive, riescono a confondere
i predatori e spesso anche gli uomini.
Lampi di colore
C’è chi poi usa il colore per giocarsi la carta dell’effetto
sorpresa. Un tipico esempio è rappresentato dalla locusta (Oedipoda coerulescens) che passa la maggior parte del
tempo nascondendosi nell’ambiente in cui vive mediante
un criptismo perfetto, ma se si trova in pericolo mette in
mostra, volando, le ali posteriori che hanno una colorazione azzurra molto intensa.
Per lo stesso principio alcune farfalle notturne (ad esempio
Saturnia pyri, Smerinthus ocellata), hanno un colore mimetico ma possiedono sulle ali delle “macchie oculari”, così
quando si sentono in pericolo, spiegando rapidamente le
ali, mostrano ai loro potenziali attaccanti un disegno che
raffigura colorati occhi inquietanti frontali, proprio come
Esiste poi un’altra forma di mimetismo, poco conosciuta,
ma molto diffusa in natura e particolarmente interessante.
È il mimetismo fanerico (dal greco phaneros = manifesto,
evidente) che consiste nell’abilità di farsi notare.
Molti insetti, anfibi, rettili spesso, infatti, assumono colori
vivacissimi che contrastano con l’ambiente circostante e li
rendono assai visibili. Apparentemente controproducente,
questo stratagemma è necessario per avvertire i potenziali
predatori che sono pericolosi (tossici o velenosi) oppure
che hanno semplicemente
un sapore sgradevole e che
non è, quindi, conveniente
tentare un assaggio.
I colori che vengono solitamente utilizzati per questo
tipo di difesa vengono detti
aposemantici e sono pochi:
giallo, rosso, arancio, azzurro, in genere collocati su
uno sfondo tale da esaltare
il contrasto, come il nero, il
bianco o il marrone.
Sono numerosissimi gli
esempi che si presentano
quotidianamente ai nostri
occhi: api e vespe godono
di un ottimo contrasto
cromatico (giallo-nero) che
le rende ben riconoscibili
a prima vista, persino la
simpatica coccinella, che
risulta tossica per piccoli
predatori come le lucertole Salamandra pezzata (Salamandra salamandra). Il suo goffo deambulare la rendrebbe una facile preda se non
o uccelli, ostenta un bril- disponesse di un altro strumento di difesa che ostenta con il suo particolare colore: la sua pelle secerne una sostanza
che pizzica il muso di gatti, volpi o mustelidi che avessero l'ardire di addentarla. (foto A.Morgillo).
lante rosso-nero.
Al predatore basterà, quindi,
subire solo qualche cattiva esperienza per associare a quella quelli di temibili predatori come i gufi.
colorazione un invito ad evitare in futuro la predazione di
tali animali.
Nella vita degli animali il colore riveste, dunque, un ruolo
Interessante è ciò che può verificarsi quando un accosta- fondamentale nella trasmissione di informazioni ed è da
mento di colori risulta particolarmente efficace: la stessa considerarsi una geniale arma di difesa o offesa quando
formula vincente viene adottata da diversi animali. Così, non si hanno a disposizione altri mezzi altrettanto efficaci.
per esempio, l’associazione del giallo con il nero la possiamo trovare, oltre che nelle citate vespe, anche in alcune
farfalle, bruchi o anfibi, come la salamandra pezzata (Salamandra salamandra), le cui ghiandole cutanee possono
secernere una sostanza irritante per le mucose, ma persino
LE MONTAGNE DIVERTENTI
LA
FAUNA DELLA
V ALTELLINA
97
POESIE
&
PERSONAGGI
Il Cervino versante N (foto J. Merizzi).
Montagna,
che nel mutar delle stagioni
cambi il tuo volto,
regalando a noi mortali, giorno dopo giorno,
un’immagine diversa,
dallo sbocciar dei fiori della primavera,
all’azzurro cielo intenso dell’estate,
che fa da contrasto ai verdi pascoli,
all’autunno che si tinge di mille colori,
dal verde al giallo al rosso e marrone,
mentre chiude l’inverno con il suo manto nevoso,
di un unico bianco brillar,
coprendo in silenzio tutte le vergogne dell’umanità.
Gianni De Stefani
È
difficile andare bene a scuola quando c’è
una passione che ti brucia l’anima, che ti
cattura ogni istante della vita, ogni alito di
pensiero.
E’ difficile anche solo andare a scuola, quando sai
che gli altri, tormentati dalla stessa passione, hanno
bigiato e sono sulla roccia.
E poi perché sprecare il tempo a scuola, il diploma
a che serve?
Chi ne avrà mai bisogno della laurea?
Giò Pira di Sondrio faceva parte di quel minuscolo
gruppo di Sassisti che a metà degli anni settanta
sconvolse l’ambiente classico dell’alpinismo italiano.
I Sassisti vivevano alla giornata.
Sospesi sugli strapiombi, correndo rischi altissimi
nelle loro scalate, si ripetevano: “La vita è adesso e
non sarà mai così lunga fino al lavoro”.
Giò arrampicava sempre, ogni giorno, ogni ora,
indipendentemente dalla stagione e dalla materia:
roccia, ghiaccio, misto di terra, alberi, granito,
calcare, scisto e serpentino; in libera o appeso ai
chiodi. Giò Pira di sedici anni, era anche tra i
più vecchi e questo gli conferiva una certa autorità
anche perché di sera in discoteca era il migliore. Ma
era timido con le ragazze, timido e solitario come
l’alpinismo che amava più fare.
Inverno 2001 ed estate 2002
a Lendine (foto Gianni De
Stefani).
A
ppena sceso dal bus che lo aveva portato a
Cervinia, attraversò la strada per entrare
all’Ufficio Guide. La segretaria lo guardò
perplessa: il ragazzino che aveva di fronte gli stava
chiedendo qual era l’itinerario migliore per la nord
del Cervino. Gli rispose distrattamente che la parete
Nord era sull’altro versante. Giò risalì il ghiacciaio
fino al passo, ma sull’altro versante trovò una cascata
di seracchi impossibile da attraversare. Che fare?
“Pira bivacca poi vedrà perché raramente lui torna
in dietro”. [n.d.r. quando Giò Pira raccontava di sè
spesso usava la terza persona]
La mattina dopo salì velocissimo la Cresta del
Leone, (la più impegnativa e rischiosa del Cervino:
800 metri di roccia verticale e friabile con passi di
V+) e scese con tempi da record dal versante est.
Probabilmente, se la segretaria gli avesse dato
le informazioni corrette, Giò Pira sarebbe stato il
primo ragazzino della storia a passeggiare sulla
Nord del Cervino.
Timido, timidissimo con le ragazze, alpinista
esordiente di altissimo livello, con un odio quasi
viscerale per lo studio, mai e poi mai si sarebbe
immaginato l’uomo che è oggi: Giovanni Pirana,
cinquant’anni, quattro mogli, laureato in economia
e impegnato a dirigere un istituto bancario nelle isole
Cayman.
Jacopo Merizzi
98
LE MONTAGNE DIVERTENTI
Primavera2009
2009
Primavera
LE MONTAGNE DIVERTENTI
F OTO
E
P ERSONAGGI
99
L’ARTE
Rubriche DELLA FOTOGRAFIA
Sfruttare il sole,
la luna e le stelle
Roberto Moiola
Montespluga la notte (8 dicembre 2008, foto R. Moiola).
100
LE MONTAGNE DIVERTENTI
Primavera 2009
LE MONTAGNE DIVERTENTI
L' ARTE
DELLA FOTOGRAFIA
101
L’ARTE
Rubriche DELLA FOTOGRAFIA
S
e dovessimo fare una
statistica nel nostro
archivio
fotografico,
noteremmo che la luce del sole,
seppur indirettamente, è l’assoluta protagonista delle nostre
immagini. Capita talvolta di
dover rinunciare ad un escursione proprio a causa della sua
mancanza, come se il sole fosse la
nostra guida. Sappiamo bene che
non si tratta solo di una questione di temperatura o del rischio
maltempo, ma di molto altro.
Pensiamo ad una bella giornata
assolata: sarà naturale catturare
il paesaggio nella migliore illuminazione disponibile, in modo
che contenga la maggior quan- Andossi (7 dicembre 2008, foto R. Moiola).
tità di dettagli e colori. Questo
corrisponde sempre con il lato
opposto al sole. Basta sperimentarlo sul campo per capire re ad inserire il sole nella foto e, ancor meglio, catturarne
la direzione verso cui il nostro occhio sarà meno attratto e in modo perfetto i raggi che si proiettano nella scena. Per
dove probabilmente rinuncerà allo scatto. La scelta è dovu- avere dei raggi geometrici possiamo, sulle fotocamere reflex,
ta ad una carenza di tonalità, ad una luce che non vivacizza utilizzare dei filtri che creano delle simpatiche punte ai
come potrebbe il panorama. Ciò spesso mi porta a ritorna- raggi solari (i cosiddetti filtri cross screen). Un metodo ben
re nello stesso luogo ad orari differenti nell’arco della gior- più economico è quello di lavorare con la tecnica: proviamo ad impostare lo scatto su priorità di diaframmi (AV) e
nata, talvolta addirittura in un periodo differente.
In questo numero vogliamo infrangere le regole e cerca- quindi scegliamo un diaframma molto chiuso (un valore
re di capire come realizzare degli scatti nel verso opposto. che si aggiri verso f/20). L’effetto finale cambierà anche in
Come si usa dire, realizzeremo dei “controluce” o dei funzione del tipo di obbiettivo che stiamo utilizzando, ma
“controsole”. Si potrebbe pensare che tale sperimentazione in tutti i casi si potrà ottenere un “sole perfetto”, stando
dia come risultato soltanto foto poco apprezzabili. In real- sempre attenti al rischio del “mosso” (ricordo infatti che
tà, saper padroneggiare la tecnica del “controluce” ci farà chiudendo molto il diaframma entrerà meno luce verso il
sensore e quindi si allungherà il tempo dello scatto).
ottenere risultati spesso creativi e di particolare effetto.
Tenetevi pronti in una giornata dal meteo variabile,
Tutte le macchine fotografiche sono dotate di un esposimetro, cioè uno strumento che, proprio come l’occhio perché con degli specchi d’acqua, se vi trovate in posizione
umano, analizza la quantità di luce e quindi ne regola il rialzata rispetto ad essi, potrete realizzare delle simpatiche
flusso verso il sensore. Ciò permette di cogliere un’immagi- silhouette semplicemente aspettando che una nuvola si
interponga tra voi ed il sole, come nella foto di esempio in
ne corretta dal punto di vista della luminosità.
Quando scattiamo in controluce, l’esposimetro, che questo articolo.
Anche la forte luce della luna piena o l’apparente debosi trova di fronte una scena scura (in quanto in ombra
visto che il sole sta illuminando la parte opposta) tende- le luce delle stelle possono risultare elementi di spicco per
rà a schiarire l’immagine allungando il tempo dello scatto una foto da ricordare.
Cominciamo con le stelle. Trovandoci in alta montagna,
in termini di millesimi di secondo (ad esempio potrebbe
scattare a 1/100 di secondo e non a 1/500 di secondo). Il lontano da troppi disturbi luminosi, in una notte particorisultato sarà per noi una spiacevole sorpresa, dato che ci larmente nitida, bastano pochi minuti per realizzare uno
aspettiamo l’effetto contrario: vogliamo un risultato in cui scatto memorabile (meglio vestirsi a dovere ed avere con sé
le figure appaiano in silhouette e in cui siano evidenti solo un paio di guanti!).
Scelto il luogo dello scatto, cominciamo con il posii contorni. Come fare?
In tutte le macchine di moderna concezione c’è un zionare il nostro cavalletto. Solitamente le notti stellate
pulsante o una voce del menù chiamata “EV”: il “pulsante particolarmente lucenti corrispondono con la presenza di
di compensazione dell’esposizione”. Visto, come abbiamo vento, quindi facciamo attenzione ad assicurare a dovere
detto, che l’esposimetro cercherà sempre di creare un’im- il cavalletto. Preferisco realizzare questo genere di scatti in
magine che non sia troppo chiara o troppo scura, è necessa- periodi del mese in cui la luna è nascente o calante. La luna
rio intervenire, ad esempio con un valore EV-2, per scurire piena diminuisce la presenza della maggior parte delle stelle visibili ad occhio nudo, mentre la luna nuova ci obbliga
l’immagine e quindi ottenere il controluce.
Una singolare inquadratura sarà l’elemento che farà la ad allungare troppo a lungo il tempo dello scatto, con il
differenza. Per completare l’opera, infine, possiamo prova- rischio mosso e lo spiacevole effetto delle stelle leggermente
102
LE MONTAGNE DIVERTENTI
Primavera 2009
Alpe Cermine (7 dicembre 2008, foto R. Moiola).
“sciate” in cielo.
Solitamente imposto un ISO tra i 200 e i 400, un tempo
di 60 secondi e quindi gioco sull’apertura del diaframma
per catturare più o meno luce nella scena. La presenza
di alcune luci artificiali, meglio se in lontananza, sarà un
piacevole surplus. Saremo molto fortunati se alcune nuvole
(ad esempio i cirri alti) faranno la loro comparsa di tanto
in tanto e, sospinti dal vento, creeranno dei piacevoli effetti
LE MONTAGNE DIVERTENTI
allungati nel blu profondo della notte.
D’inverno il bianco della neve e la presenza della luna
piena nello scatto faranno pensare di primo acchito ad
uno scatto realizzato di giorno. Ma un’attenta analisi
delle ombre e la presenza delle stelle colpiranno senz’altro
l’osservatore, inconsapevole che la macchina fotografica,
se impostata correttamente, può arrivare a tanto. Sarà il
nostro segreto. Teniamocelo stretto!
L' ARTE
DELLA FOTOGRAFIA
103
LE
FOTO DEI LETTORI
Rubriche
Due sezioni dedicate ai nostri lettori: una che premia il fotografo più bravo, l’altra
che mostra la fantasia di chi ha portato “Le Montagne Divertenti” a spasso per il mondo
e i personaggi che con simpatia seguono il nostro progetto.
Per ogni numero de “Le Montagne Divertenti” sceglieremo e premieremo la foto migliore
fra quelle che ci avrete inviato a [email protected] e la pubblicheremo con una recensione
dettagliata e la scheda del fotografo. Lo scatto scelto in questo numero, quello che
rappresenta al meglio il tema primaverile, è di Ganassa Roberto e ritrae le cime
della Val Lesina.
IL VINCITORE
Mi chiamo Ganassa Roberto, ho 36 anni e vivo a Morbegno. Ho sempre
amato la montagna e fin da piccolo la frequento anche se è da 10 anni che mi
è venuta una vera e propria malattia. Devo ringraziare i miei genitori che fin
da piccolo mi portavano in montagna e che mi hanno messo gli sci all'età di 4
anni, questo mi ha notevolmente avvantaggiato con lo sci alpinismo. Frequento
la montagna in tutte le stagioni, 6 mesi di sci alpinismo e 6 mesi di escursionismo, mi piace scoprire sempre posti diversi, con gli sci alla ricerca della sciata
perfetta e in estate o autunno alla ricerca di laghetti alpini, fiori, colori autunnali
da fotografare: è una ricerca senza
fine. Non saprei dire quali posti
preferisco, anche perchè mi piacciono tutti, ma l' Engadina occupa
una bella fetta nel mio cuore.
IL GIUDIZIO
DEL SELEZIONATORE
Roberto Moiola
L’immagine proposta da Ganassa Roberto è senza alcun dubbio la
migliore che abbiamo ricevuto nello
scorso trimestre, senza nulla togliere agli innumerevoli scatti pervenuti in redazione (molti sono stati
pubblicati su www.waltellina.it).
Ho scelto questa fotografia perché
credo che riassuma con il giusto
spirito la stagione primaverile.
E’ comune abitudine associare alla
primavera i primi caldi raggi del
sole, le variopinte fioriture, il risveglio della fauna di montagna, il
ritirarsi della neve; in ogni caso a
delle sensazioni di risveglio. Eppure, a pensarci bene, i mesi di Marzo
e Aprile ci regalano ogni anno delle
piacevoli nevicate che per un attimo
possono celare la fine dell’inverno.
Dobbiamo essere bravi a cogliere questi contrasti, intrecciando i
manifesti momenti di risveglio con
l’imprevedibilità della natura che,
per un attimo, rallenta il veloce scorrere del tempo.
In questa fotografia il nostro lettore è riuscito a catturare uno di quei
momenti magici ed emozionanti.
La neve ai bordi del lago completa
una situazione già di per sé avvolta da quiete e armonia quasi surreali. Dal basso possiamo notare i vari
livelli di cui è composta la fotografia:
il blu del lago, poi le montagne specchiate, quindi la neve, poi ghiaccio
e di nuovo neve: delle geometrie che
catturano lo sguardo dell’osservatore.
Il fotografo deve saper osservare, deve
essere temerario, deve studiare le
situazioni. Sono sicuro che il nostro
lettore aveva già immaginato questa
fotografia o una situazione simile,
mentre, durante un’uscita in pieno
inverno, con sci o ciaspole, passava
accanto ad una conca e immaginava quel laghetto con il ghiaccio che
lasciava spazio all’acqua.
104
LE MONTAGNE DIVERTENTI
Primavera 2009
LE MONTAGNE DIVERTENTI
LE
FOTO DEI LETTORI
105
ASSO C
SP
Rubriche
Rosita e Aldo di Mese portano Le Montagne
Divertenti nella Monument Valley tra lo
stato dell' Arizona e dello Utah durante il
loro viaggio negli USA nel gennaio 2009.
Un ringraziamento ai fotografi: Matteo e
Giacomo.
RI
A
OI NOST
I
OR
Xxxxxxxxxxxxxxxx
LETT
Ugo Giordani e Giorgio
Dioli alle rovine di
Persepoli, Iran (novembre
2008).
Alan porta Le Montagne Divertenti ai Forni
(21 dicembre 2008).
Alberto Piganzoli, secondo classificato al "Ma ch'el dacc' giù",
in località Larice in Valgerola (21 gennaio 2009).
Martino Taloni, vincitore del "Ma ch'el dacc' giù", fotografato
dalla moglie a Nesarolo sopra Montagna (14 febbraio 2009).
Le Montagne
Divertenti a
Pantelleria
(17 ottobre 2008,
foto Marino
Amonini).
Passo del Maloja.
Sara, Marco e
Mattia
si divertono col
bob (15 febbraio
2009, foto Dario
Songini).
106 -
LE
LE M
MONTAGNE
ONTAGNE DIVERTENTI
DIVERTENTI
Primavera2009
2009
Primavera
L
EM
ONTAGNE DIVERTENTI
LE
MONTAGNE
DIVERTENTI
LL
E EFOTO
FOTODEI
DEILETTORI
LETTORI
- 107
RI
A
I
OR
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ASSO C
SP
Rubriche
LETT
Bepi Buzzetti sale al Pizzo Berro
con l’ultimo numero della rivista
(26 gennaio 2009).
Masha Lukyanova
alla chiesa Ortodossa di
Minsk la sera del Natale
Ortodosso
(7 gennaio 2008,
foto Josef Ruffoni).
Mitta Vittorio porta Le Montagne Divertenti sul ponte di Brooklyn.
Ultimato nel 1883 ad opera dell'ingegnere tedesco John Augustus
Roebling, è stato per molti anni il più grande ponte sospeso al mondo;
collega l'isola di Manhattan al quartiere di Brooklyn passando sopra il
fiume East River (New York, 27 novembre 2008, foto Leusciatti Giovanna).
Lendine (Valle del Drogo):
anche i ragazzi del gruppo
di Alpinismo Giovanile
del CAI di Colico leggono
Le Montagne Divertenti
(28 settembre 2008,
foto archivio Sergio
Acquistapace).
Le
Montagne
Divertenti
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LE MONTAGNE
DIVERTENTI
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PrimaveraSezione
2009
LE MONTAGNE DIVERTENTI
LE
FOTO DEI LETTORI
109
Rubriche
Giochi
šch'éi dupéra da fa?
PLUM PUBBLICITà
Ti senti un bravo agricolo?
Gli attrezzi del nonno per te
non hanno segreti?
Dimmi allora a cosa servono
gli utensili ritratti in questa
fotografia (foto D.Miotti).
Due di loro vengono utilizzati
per el stés méšté , quali sono?
Il più veloce dalle ore 00:00 del
25 marzo 2009 vincerà
l’esclusiva maglietta
de “Le Montagne Divertenti”.
Il secondo classificato porterà a
casa la fascetta.
Manda le tue risposte a:
concorsi@lemontagnedivertenti.
com
oggetto della mail:
“šch'éi dupéra da fa”
ma 'n gh'el
Se sei un attento osservatore,
indovina da dove è stata
scattata questa fotografia (foto
archivio Corti).
Il più veloce dalle ore 00:00 del
25 marzo 2009 vincerà
l’esclusiva maglietta de
“Le Montagne Divertenti”.
Il secondo classificato porterà a
casa la fascetta.
Manda le tue risposte a
[email protected]
oggetto della mail: “ma 'n gh'el”.
ATTENZIONE: LE RISPOSTE DATE IN ANTICIPO VERRANNO RITENUTE NULLE.
CONCORSI INVERNO 2008
Mentre nessuno è stato in grado di risolvere il “Ma se i-è olta”, in molti hanno riconosciuto il Ponte di Caiolo
crollato nell’alluvione del 1917 con alle sue spalle la piana di Castione Andevenno, soluzione del “Ma ch’el dacc’
giù”. I vincitori sono: (1) Martino Taloni (2) Piganzoli Alberto (3) Patrick Spagnolatti (4) Nicoletta Colombera (5)
Samuele Grossi (6) Valentino Grossi (7) Daniele Morella (8) Giulia Moroni ...
110
LE MONTAGNE DIVERTENTI
Primavera 2009
LE MONTAGNE DIVERTENTI
G IOCHI
111
Rubriche
LE RICETTE
DELLA NONNA
Pan di mej
Damiano Miotti
L
e quantità riportate in questa
ricetta sono necessarie per la
preparazione di circa 30 pezzi.
F
> 3 uova;
ate ammollare l’uvetta,
asciugatela ed infarinatela.
Impastate omogeneamente tutti
gli altri ingredienti, regolando la
consistenza con il latte. Aggiungete
anche l’uvetta e un pizzico di
sale. Dall’impasto formate tanti
piccoli panetti piatti, disponeteli
successivamente in una teglia
protetta dalla carta da forno. Prima
di procedere con la cottura in forno a
180° per circa mezz’ora, cospargete di
zucchero i panetti senza esagerare.
> mezzo bicchiere di latte
Buon appetito!
Vi occorrono:
> 200g di farina gialla grossa;
> 200g di farina gialla fine;
> 200g di farina bianca
> 200g di zucchero;
> 150g di burro;
> 3 cucchiai da tavola di fiori
di sambuco secchi;
> 200g di uvetta
112
LE MONTAGNE DIVERTENTI
Primavera 2009
LE MONTAGNE DIVERTENTI
R ICETTE
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LE MONTAGNE DIVERTENTI
R ICETTE
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Fly UP