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Siena: ovvero del costruire in mattoni
ARTE DELCOSTRUIRE Stefano F. Musso Siena: ovvero del costruire in mattoni Il ricorso a pochi materiali è stato trasformato dalla comunità civile in un potente strumento progettuale ed inventivo. Lavorando su poche variazioni, i costruttori senesi hanno dato vita a molteplici soluzioni tecnologiche che hanno segnato il mutare della città nel tempo, consentendole di conservare la propria identità e riproponendone i caratteri in una straordnaria stratificazione materiale Siena rappresenta, per la storia dell’architettura e del costruire, un caso singolare ed emblematico. Le ragioni del suo farsi e modificarsi nel tempo, in una straordinaria varietà di mezzi e di forme, sono antiche e complesse, compresa la sorprendente omogeneità di materiali e di soluzioni tecniche. A Siena le condizioni imposte dalla scarsa disponibilità di materie prime, associate a generali esigenze economiche, sono divenute le ragioni di un raffinato patrimonio di cultura materiale. È un'immagine fondata sull’omogeneità nella variazione, una forma che, anche nell’uso del laterizio, trova una forte ragione d’essere non tanto perché legata a una presunta natura originaria, ma perché prodotto fragile e prezioso della storia intera della città. 1. Il “Buongoverno” di Ambrogio Lorenzetti. Origini e diffusione dell’uso del mattone a Siena L’impiego del laterizio ebbe origine almeno a partire dal XIII secolo, con la costruzione della III e della IV cerchia muraria della città. I mattoni provenivano dalle fornaci del contado, dislocate presso le numerose cave di argilla legate alla “conformazione pliocenica marina”, sabbiosa in basso e argillosa in alto, del territorio. L’apertura di cave e la costruzione di fornaci furono allora notevolmente incrementate e all’aumento dell’uso del laterizio corrispose il declino di quello della pietra. Considerata troppo costosa, di difficile trasporto e di scarsa maneggevolezza, essa fu utilizzata per un numero sempre più esiguo di edifici e di elementi ornamentali, tra cui le colonnine di bifore e trifore (1). Nel 1309, una Disposizione del Comune ordinò, inoltre, che gli aspiranti cittadini realizzassero le facciate delle proprie abitazioni in mattoni. Si affermarono così le ragioni del pubblico decoro contrastando, nel contempo, il pericolo di incendi legato alla notevole diffusione di strutture lignee. Si cercò di eliminare sporti, ballatoi e scale esterne che invadevano gli spazi pubblici limitandone la fruibilità e la vivibilità e si sostituirono con lastre lapidee di limitato spessore i tettucci lignei a protezione di portali e fine1 stre. Simili protezioni sopravvivono nel quartiere del Salicotto, in via Dupré e presso la Croce del Travaglio, in una casa-torre con finestre ricavate nella tamponatura di più antiche bifore. Scomparvero così molti elementi della città duecentesca ritratta nel Buon Governo di Ambrogio Lorenzetti (2). Alla ricerca di sicurezza e alla scarsità di legname è infine legato l’uso stesso di “mezzane” o “pisanelle” negli impalcati dei solai, con evidenti e vincolanti implicazioni tecnologiche. 189 COSTRUIRE IN LATERIZIO 52-53/96 Di questo diffuso impiego del laterizio resta, come accennato, una ricca documentazione da cui emerge il ruolo attivo del Comune, che monopolizzò parte della produzione per la realizzazione, oltre le mura, del Palazzo Pubblico e delle Fonti. “Il Comune seguì con assiduità tutto quanto riguardava l’approvvigionamento dei materiali edilizi in generale, e la produzione del laterizio in particolare, al fine di evitare frodi...” (3). Si arrivò alla costruzione di sei mattoni “dell’esatta misura” da conservare come modelli in Biccherna (la magistratura finanziaria del Comune) e si impose l’obbligo di rispettarne le dimensioni (1291) mentre, nel 1298, si pagarono 3 lire a “Ceccho Bonaiunte fabro pro quadam forma laterum ferri pro comuni Senensis, que posita est in palatio comunis”, per servire da modello ai produttori di mattoni (4). Agli inizi del XIV secolo, si stabilì infine che il mattone dovesse essere “longo per un mezzo braccio et ampio per uno quarro et grosso per uno mezzo quarro” con una Disposizione (5) che ha trovato riscontro in alcuni mattoni sicuramente databili al XIV secolo (avendo dimensioni pari a circa 29x14x6,5 cm comparabili con quelle imposte dalla Disposizione, essendo il “braccio” senese pari a circa 58 cm). Il murare a Siena tra pietra e mattoni Parlare dei mattoni presuppone tuttavia richiamare alcuni tratti distintivi del murare e, soprattutto, un dato costitutivo dell’edilizia senese: la costanza di strutturazione delle murature dei fronti, spesso caratterizzate da una doppia parete, sia quando si è in presenza di un vero e proprio rivestimento sia quando la faccia esterna della parete non ne farebbe supporre tale carattere. Si pensi alla grande diffusione di murature in bozze di travertino o calcare cavernoso, prive di qualsiasi lavorazione di finitura, o alla predominante presenza di pareti in laterizio. Anche in questi casi, la faccia visibile della muratura appare costituita da una sorta di controparete o di “parete placcata”, addossata alla vera e propria muratura portante e ammorsata ad essa in pochi ed individuati punti. Analogamente diffusi sono i casi di murature a sacco realizzate con pareti di mattoni o di pietra con funzione di cassaforme a perdere e costipate di materiali di scarto, pezzi di laterizi, ciottolame e pietra a spacco miste a terra e a malta povera. In ogni caso sembra aver prevalso la volontà di assicurare alla muratura dei fronti su una strada un aspetto governato da regolarità e compiutezza. In alcuni esempi lo scopo è stato raggiunto con il ricorso ad una vera e propria parete indipendente e staticamente auto- 2. Il coronamento del Palazzo Pubblico. 3. Solai senesi con scempiato in “pisanelle” di cotto. portante, in pietra o mattoni. In altre circostanze ci si è limitati a rifinire la muratura esistente con trattamenti speciali dei materiali o mediante la sovrapposizione di scialbature di colore o sottili strati di intonaco talvolta riproducenti, regolarizzato, il sottostante apparecchio in laterizi. Qualunque sia la strutturazione interna delle pareti, la loro faccia visibile presenta comunque notevoli variazioni tecnico-formali, tra cui si possono evidenziare: 1) le murature in bozze di pietra da cava di notevoli dimensioni, a corsi paralleli o sub paralleli di sufficiente regolarità, caratterizzate da scarso impiego di malta e giunti di allettamento e letti di posa di ridotto spessore; 2) le murature in conci lapidei squadrati, con faccia a vista lavorata a scalpello e nastrino liscio o rigato al contorno, posti in opera senza ausilio di materiale legante e in corsi perfettamente paralleli, in pezzature regolari anche se non uniformi (si vedano le murature di Palazzo Tolomei e quelle del 4. Esempi di finiture parietali. 5. Esempi di strutture murarie ricorrenti a Siena. piano terra di Palazzo Pubblico); 3) le murature in conci bugnati, generalmente a cuscino liscio e di ridotto aggetto, posti in opera in apparecchi regolari, secondo i canoni dell’architettura rinascimentale di origine fiorentina che in Siena portarono alla realizzazione di edifici unici ed estranei alle tradizioni costruttive della città (si vedano i Palazzi Piccolomini, Spanocchi e altri); 4) le murature in pietra a spacco, o in ciotoli e blocchi erratici, disposti in corsi irregolari e subparalleli, caratterizzate da notevole impiego di materiali leganti e dall’utilizzo di elementi speciali, per forma e materiale, nella soluzione di punti singolari quali spigoli, cantonali e rimarginature di aperture; 5) le murature miste in pietra e laterizio, a ricorsi regolari contraddistinte dall’uso di bozze lapidee su uno o tre filari alternati da tre o cinque corsi di mattoni (si vedano alcuni tratti delle cerchie murarie o l’edificio a fianco della Fonte Branda); 2 6) le murature in mattoni, di spessori variabili, caratterizzate da un apparecchio generalmente “gotico” o alla “senese”, altrimenti noto come “monk”, anche se non mancano esempi di cortine in mattoni posti in opera di coltello, a croce, a filare o con altre e meno regolari disposizioni. dalla loro consistenza fisica. Una sommaria ricognizione dei segni di degrado lascerebbe infatti intendere che la maggior parte delle murature non siano nate per restare faccia a vista, ma per essere protette da una qualche finitura superficiale. Numerosi fronti presentano diffuse tracce di intonaci, sopravvissuti alle spicconature del “romantico” e “purista” XIX secolo, che determinò l’interesse per una “medievalità” di Siena, frettolosamente identificata con l’uso di mattoni e pietre faccia a vista (7). Lo strato di intonaco è molto sottile, soggetto col tempo a “sfogliare” e cadere tanto da richiedere frequenti integrazioni o radicali sostituzioni. Le operazioni di manutenzione sono tuttavia mancate, almeno negli ultimi 150 anni, e se ciò ha indubbiamente segnato l’immagine della città occorre riconoscere che, per volontà originaria o per successive trasformazioni, Siena ha conosciuto l’impiego non episodico dell’intonaco (8). Non si spiegherebbero altrimenti le molteplici trasformazioni non condotte a coeren- Caratteristiche fisiche dei laterizi senesi Concentrando l’attenzione ora sulle murature in mattoni, occorre sottolineare che le variazioni dimensionali e formali degli elementi che le compongono sono strettamente connesse a fattori epocali e possono pertanto rivelarsi preziose chiavi mensiocronologiche per l’analisi delle murature e, indirettamente, degli edifici (come dimostrano gli studi stratigrafici e archeometrici che, proprio in Siena, hanno uno dei centri di maggior sviluppo (6)). Dimensioni e forme non sono tuttavia l’unico elemento distintivo dei laterizi e particolari problemi sono posti dal loro aspetto e 3 190 COSTRUIRE IN LATERIZIO 52-53/96 te esito formale, l’ininterrotta successione di tracce di antiche aperture a più riprese trasformate, spostate, tamponate e riaperte, tanto da rendere ogni edificio il palinsesto della propria storia, un ideale laboratorio didattico per gli studi stratigrafici. In altrettanti edifici, però, murature di grande uniformità sembrano essere nate per rimanere in vista e la regolarità dell’apparecchio tradisce una particolare cura esecutiva unita a una notevole qualità dei mattoni, omogenei per composizione, per cottura e per forma, come avviene in Palazzo Pubblico. Qualità e aspetto delle cortine a vista, esclusi i casi in cui il risultato è affidato a diverse finiture superficiali, dipendono infatti dalla composizione delle argille e dalla qualità dei processi di produzione dei laterizi. Alcuni mattoni appaiono, ad esempio, privi della tipica porosità e la loro superficie sembra quasi “vetrificata” mentre, internamente, si presentano compatti e chiari, come nei pilastri ottagonali del Cortile del Podestà in Palazzo Pubblico. 4 Sono spesso mattoni ricchi di ferro, ottenuti da impasti di granulometria fine ed omogenea mentre il colore, la grana e la perfezione della forma rimandano a una cottura intensa e prolungata che ha inciso sulla stessa buona resistenza al degrado. Il laterizio nelle strutture arcuate. L’arco senese Ulteriori caratteri emergono dall’analisi delle strutture arcuate, ove i mattoni sono posti in opera con giunti di malta di spessore variabile che, se eccessivo, diverrebbe rischioso per la stabilità dell’arco tanto da portare alla scomposizione dello stesso in più ghiere affiancate e non ammorsate tra loro. In molti casi sono per questo utilizzati appositi mattoni sagomati, di forma trapezoidale, che si comportano quali veri e propri “conci”; ma non mancano normali mattoni modificati a piè d’opera. Un caso particolare è rappresentato dall’arco “senese” o “sbarrato”. Molti studiosi hanno discusso sulla sua origine storica, culturale e geogra5 191 COSTRUIRE IN LATERIZIO 52-53/96 6. Studio delle relazioni tra strutture orizzontali interne e parete frontale su percorso. fica, sottolineandone i legami con l’architettura arabo-islamica, con il gotico francese o con le case fondaco pisane e genovesi. Queste erano infatti caratterizzate da un sistema strutturale ad ossatura in cui alti pilastri erano collegati (alla sommità) da archi acuti ed erano irrigiditi (a quote intermedie) dalle travi lignee dei solai o da strutture arcuate a profilo ribassato. Giulio Carlo Argan individua i possibili archetipi di questo elemento in alcuni caratteri dell’architettura civile senese, sullo scorcio del XIII secolo e in relazione ad alcuni edifici tuttora esistenti (9). Da essi sarebbero derivati edifici in cui l’abbandono della pilastrata avvenne a favore di un muro basamentale 7 7. Particolare di una bifora “non finita” e parzialmente tamponata. 8. 9. Studi sulla costituzione degli archi senesi. continuo, in blocchi squadrati di travertino con una evoluzione parallela a quella che interessò “il coronamento delle pilastrate di tipo pisano, terminate da un arco acuto (o ogiva) e l’arco a sbarra (o scemo o ribassato) che dà luogo alla parte in basso, e che poi i senesi collegheranno direttamente all’arco acuto, addirittura con l’imposta di questo nell’altro” (10). Di tale evoluzione è forse testimonianza il palazzo Rinuccini, in cui le pilastrate sono collegate da piattabande in pietra, leggermente arcuate e sormontate da parapetti non ammorsati ai pilastri. Richiamando il portale di Palazzo Tolomei su via Termini peraltro oggetto di radicali restauri - Argan 6 192 COSTRUIRE IN LATERIZIO 52-53/96 sottolinea infine la maggior sottigliezza dell’imposta dell’arco rispetto alla sua chiave, particolarità ricorrente in tutti gli archi “senesi” ma di non chiara interpretazione. L’insieme di questi caratteri, a prescindere dal problema delle origini, è dunque fondamentale per il ruolo che gli archi “senesi” giocano nell’immagine della città, siano essi medievali autentici, tardogotici utilizzati in chiave oppositiva rispetto alle istanze rinascimentali, romantici, neogotici o “puristi”. Accanto alla costanza dei caratteri geometrici (arco acuto inscritto in un triangolo equilatero, sbarrato all’imposta da un arco ribassato a spessore variabile) esiste infatti una grande variabilità dei caratteri costruttivi dei singoli esemplari. Alcuni archi sembrano costituiti da veri pezzi speciali, quasi il risultato di una sorta di normalizzazione del processo costruttivo o di una lavorazione tanto accurata dei pezzi di base da non aver lasciato traccia sulla loro ghiera. Su di essa non vi sono neppure segni di una rotazione alternata dei mattoni (raccomandata dalle “buone regole dell’arte”) e ciò non ne agevola la comprensione. Neppure l’esame di alcuni archi parzialmente distrutti (ad esempio in un edificio tra Costarella de’ Barbieri e il Palazzo del Magnifico) chiarisce la loro consistenza e il procedimento costruttivo, poiché la struttura interna appare compatta, di colore ocra chiaro, indifferenziata e simile ad un monolite o ad una massa di concreto. Per tutte queste ragioni, l’idea di un “arco senese”, oggi ben più diffuso di quanto non fosse nell’epoca medievale, assume particolare rilevanza. Molti archi appartengono a edifici ampiamente rimaneggiati nell’Ottocento, con la chiara volontà di “reintegrare” un’immagine urbana perduta o forse mai esistita, attraverso la realizzazione di nuovi fronti da addossare ad edifici preesistenti (si veda la sede dell’Arciconfraternita di Misericordia o il portale del neogotico Arcivescovado). La possibilità di realizzare archi senesi anche in tempi recenti suggerirebbe infatti il recupero o la continuità di una tradizione “formale” ma anche il parallelo possesso dei mezzi e delle maestranze necessari alla loro costruzione. E se è di fatto impossibile accertare sino a quando siano sopravvissuti i magisteri tradizionali del mastro da muro, del fornaciaio, del carpentiere,... che avevano realizzato i modelli originari, si può almeno supporre che, nel secolo scorso, siano esistiti abilità e saperi analoghi. Le tecniche costruttive hanno certo subito, nel corso dei secoli, notevoli variazioni ma ciò non ha impedito che, oltre all’immagine, rimanesse costante anche il ruolo dell’elemento costruttivo. L’arco senese ha infatti uno spessore, variabile tra i 30 e i 35 cm, che non coincide con quello della muratura del fronte ma solo con quello di una sorta di rifodera ad essa addossata, come accennato in riferimento all’arte del murare in Siena. Aperture: finestre e portali “Anco, statuimo et ordiniamo che se mai avverrà che alcuna casa o vero casamento, dintorno al Campo del mercato s’edificassero di nuovo, che tutte et ciascune finestre di cotal casamento et casa, le quali avessero aspetto nel Campo del mercato, si debiano fare a colonnelli et senza alcuni ballatoi fare... “ (11) Così, in pieno XIII secolo, nel momento della massima espansione urbana, le autorità comunali ponevano le basi giuridiche per una sorveglianza sulle forme e gli usi della città. La bellezza e il decoro sono valori collettivi e gli “aspetti” (le aperture) delle case sul Campo sono oggetto di attenzione per le entrate che assicurano alle casse della Biccherna. Ma al di là dei motivi economici, questo provvedimento ha connotato nel tempo l’intero scenario urbano, contribuendo alla costituzione di un autonomo linguaggio architettonico (12). Fu un imperativo rispettato in epoca medievale, rinascimentale e riproposto dagli stessi interventi di “restauro” o di “re-invenzione” purista del secolo scorso e, ancor prima, dalla straordinaria stagione neo-gotica che, in anticipo su tutta l’Europa, vide ridisegnare il fronte di Palazzo Sansedoni sul Campo, in pieno XVIII secolo. Originali e ancora intatte, medievali (seppure rimaneggiate) o del tutto “false” (ma autentiche perché espressione di un’epoca e di una sensibilità), le bifore e le trifore che costellano gli edifici senesi trovano in questa disposizione le loro origini e mostrano l’impronta di una straordinaria continuità di materiali, di lavorazioni e di tecniche realizzative. Nelle finestre e nei portali emerge una straordinaria variazione di forme e di soluzioni rese possibili dalla versatilità di elementi in cotto sagomati sino a sostituire la pietra, come denuncia il confronto tra le bifore lapidee di Palazzo Tolomei (probabilmente successive alla distruzione del 1264) e le trifore in laterizio del primo piano di Palazzo Pubblico (databili agli inizi del secolo successivo). Pur al variare di singoli elementi decorativi, la struttura fondamentale delle aperture resta peraltro costante, a conferma della singolare declinazione delle forme gotiche nell’ambiente culturale della penisola (13). Spesso gli archi in mattoni sono rifiniti da cornici e dentelli o decorati con rosette e tralci in terracotta; variano invece le soluzioni degli archetti interni, realizzati con un pezzo unico o con 8 9 193 COSTRUIRE IN LATERIZIO 52-53/96 10 12 13 11 14 194 COSTRUIRE IN LATERIZIO 52-53/96 10. Esempi di elementi laterizi sagomati. 11. Il cornicione di Palazzo Berlingieri-Antolini sul Campo. 12. 13. Particolare di un portale in cotto. 14. Il cornicione del cortile interno del Palazzo dei Conti della Ciaia. tre conci separati in corrispondenza delle reni; le velette inscritte nel sovrastante arco acuto, poi, sono tavolta realizzate in pietra ma, più spesso, con apparecchi autoportanti di mattoni disposti a spina-pesce. Anteriori alle polifore erano le monofore romaniche, ancora presenti in alcune case torri, ma il ricorso al mattone in sostituzione della pietra, insieme ai mutamenti nella tipologia delle abitazioni, incisero anche sulle aperture. Divennero usuali bucature rettangolari con l’orizzontamento superiore costituito da piattabande in mattoni o architravi lapidei. A partire dal periodo rinascimentale si realizzarono inoltre spalle e piattabande con mattoni aggettanti dal fronte, a supporto di successive finiture a intonaco o stucco. Lo stesso materiale di base assolveva così a funzioni strutturali e formali, integrandosi con i partiti architettonici dei fronti, come nei cortili del Palazzo dei Conti della Ciaia o di molti palazzi di via Montanini, ove gli elementi di definizione dell’apertura si legano alle cornici marcadavanzale e marcapiano, disegnando specchiature, pannelli e cartigli. Spesso, al mattone della muratura, lasciato a vista o protetto da un sottile intonaco, si associa invece la pietra, strutturalmente scarica ma profondamente connessa al supporto murario. Emblematiche sono le finestre della casa attribuita a Baldassarre Peruzzi, alla Lizza, con le sedi predisposte per l’inserimento degli elementi lapidei ancora conservati negli scantinati del palazzo. Nella facciata del Palazzo della Ciaia, le finestre settecentesche appaiono invece contornate da stipiti e architravi in bugnato a cuscino rigato che, al piano terra, è in conci di pietra mentre, ai piani superiori, è ottenuto rivestendo con uno strato di intonaco a coccio pesto un supporto costituito da mattoni a spigoli smussati, affidando alla coloritura il compito di accordare tra loro le diverse soluzioni. Nei portali, in particolare, si passò dagli esempi romantici in pietra squadrata alle più elaborate soluzioni gotiche (si vedano il Palazzo Pubblico, il Palazzo Tolomei e il secentesco Arcivescovado) e, da queste, alle soluzioni rinascimentali in cui la pietra, tagliata e sagomata in grandi blocchi, viene ancorata al supporto murario nella forma di paraste, lesene o di stipiti bugnati. Raramente il portale si presenta pertanto come semplice varco e, anche negli esempi più poveri delle aree marginali, su di esso si concentra un grande impegno tecnologico. Vengono utilizzati i mattoni migliori, posti in opera con singolare perizia, spesso integrati con pezzi speciali per dar forma alle modanature di capitelli e basi delle lesene che definiscono le spalle dell’apertura e sorreggono il sovrastante arco a tutto sesto, a sesto rialzato o addirittura a falce, spesso dotato di concio di chiave enfa- tizzato dall’aggetto dei mattoni della ghiera. Dal piano indifferenziato della facciata emerge così un elemento tecnologico e insieme simbolico che sottolinea con forza il passaggio tra spazio privato e spazio pubblico. Cornicioni Anche tra i cornicioni emerge una grande varietà di soluzioni costruttive e formali basate sull’uso di mattoni o di elementi in cotto appositamente sagomati. Ogni edificio presenta una esplicita soluzione del raccordo tra il fronte e l’aggetto della copertura. Rarissimi sono i casi in cui la struttura minuta del tetto sporge dal filo di facciata senza alcun elemento di mediazione. Per converso, solo in alcuni edifici monumentali, spesso “fuori scala” ed estranei alla tradizione locale, per impianto e per forma, il cornicione è realizzato in grandi elementi lapidei (come nei Palazzi Piccolomini, Spanocchi o San Galgano). Più in generale, che si tratti del coronamento a merlatura del Palazzo Pubblico o di veri e propri cornicioni, si ritrova costante l’uso di semplici mattoni o di più complessi elementi speciali. Non infrequente è la soluzione in cui, al cornicione in laterizio lasciato faccia a vista o intonacato e stuccato, si sovrappone lo sporto dei travicelli della copertura, sagomati secondo la più consolidata tradizione toscana. I cornicioni in laterizio possono così assumere la forma di fasce continue modanate o essere costituiti dalla successione di mensole e di modiglioni sorreggenti una sovrastante fascia continua (si veda il Palazzo della Ciaia). Nel caso di Palazzo Berlingeri-Antolini sul Campo, poi, tra mensolone e mensolone in mattoni, compare una tavola lignea a sorreggere i sovrastanti filari di mattoni sgusciati. Sulla scena di simili soluzioni influì forse, tra altre ragioni, il fatto che i travicelli della copertura non poggiano quasi mai sul fronte ma su di un dormiente ligneo posto al sommo della muratura. Resta così scarica la controparete che spesso compare negli edifici senesi a definire formalmente l’affaccio sullo spazio pubblico. Si conferma così, ancora una volta, la stretta relazione che unisce tra loro le ragioni che governano la costruzione e che, solo nel loro insieme, possono dare conto del sorgere, del consolidarsi e tramandarsi nel tempo di uno specifico linguaggio architettonico. Per concludere, non resta che sottolineare come il mattone e la cultura del costruire ad esso associata costituiscano un elemento rilevante e distintivo della struttura urbana di Siena. È un elemento forte e tuttavia fragile che deve essere compreso e tutelato affinché si conservi, insieme alla città fisica, anche la sua irriproducibile identità. 195 COSTRUIRE IN LATERIZIO 52-53/96 Note (1) Daniela Balestracci,Giuseppe Piccinni, Siena nel trecento: assetto urbano e strutture edilizie, CLUSF, Firenze, p. 63. (2) Cfr. Balestracci e Piccinni, cit., ove è ampiamente analizzato il problema della fornitura dei materiali, della loro trasformazione, smercio ed utilizzo, nel quadro complessivo della vita amministrativa e sociale della città. (3) Cfr. Il Costituto del Comune di Siena dell’anno 1262, Cfr. Balestracci, Piccinni, cit., pag; 178. (4) Riportato in: Aa.Vv. Il Palazzo Pubblico di Siena. Vicende costruttive e decorazione, Siena 1983, pag; 417. (5) Disposizione tratta dal Costituto volgarizzato al vol. II, d. IV r. XII p. 547. Cfr. Balestracci-Piccinni, Siena... cit. (6) Per Mensiocronologia si intende la tecnica analitica non distruttiva che consente la datazione dei mattoni in relazione alla variazione delle loro dimensioni; per stratigrafia dell’elevato, o muraria, si intende la tecnica analitica che consente di ricostruire le vicende di formazione di un manufatto a partire dall’individuazione delle unità minime stratigrafiche che lo compongono e dal loro ordinamento in sequenze temporali relative. Cfr. al proposito, R. Francovich, R. Parenti, Archeologia e restauro dei monumenti, Ed. All’insegna del Giglio, Firenze 1988. (7) Cfr. al riguardo il precedente articolo di Roberto A. Bobbio. (8) Cfr. Stefano Musso, L’edilizia storica senese: materiali ed elementi costruttivi, in Roberto A. Bobbio, Stefano Musso, Siena, conservazione e trasformazione della città murata, Legoprint, Genova, 1990. (9) Cfr. Giulio Carlo Argan, Il palazzo Pubblico di Siena, in Aa.Vv., Il palazzo Pubblico di Siena. Vicende costruttive e decorazione, Siena, 1983: “...superstiti esempi, purtroppo non datati, ma per i quali alcune caratteristiche comuni fanno pensare ad un’antichità maggiore: e cioè, il Palazzo Bandinelli a Camollia, i palazzi Rinuccini in via del Re e a Calzoleria, quello Bisdomini a Stalloregio. Perché si tratta di Palazzi e non di torri, è assai importante rilevare la struttura a grandi pilastri in travertino che ancora deriva dalle case-torri di tipo pisano e che, nel palazzo Bandinelli, ancora conserva l’elevazione dei pilastri e il riempimento invece in mattoni...”. (10) Ibidem (11) Ordinanza del 10 maggio 1297 tratta dal: Costituto del Comune di Siena, citato in: Enrico Guidoni, Roma e l’urbanistica del Trecento, in Aa.V., Storia dell’Arte Italiana, Einaudi, Torino, 1983, parte II vol. I. (12) Linguaggio resistente nel tempo, tanto che fu rispettato in numerosi edifici tra cui il Palazzo Chigi-Saracini, databile al 1300 e più volte trasformato nel rispetto delle originarie forme gotiche (aggiunta delle trifore del piano sommitale avvenuta in pieno 1700); ma anche Palazzo Marsili, apparentemente gotico ma edificato intorno al 1450, di pochi anni precedente, quindi, al Palazzo Piccolomini delle Papesse, esempio singolare di architettura rinascimentale nel panorama architettonico della Siena quattrocentesca. (13) Cfr. Giulio Carlo Argan, Il Palazzo...cit., pp. 18-19: “...l’elemento innovativo di base dell’architettura civile senese tra la fine del Duecento e il 1310 (data di compimento della parte centrale e sinistra del Palazzo Comunale) è proprio la trifora che... deriva dall’architettura araba egiziana, e precisamente ha il suo precedente indiscutibile nel Nilometro del Cairo del 861-62 d.C.... E qui cade da esplicitare la sobrietà della soluzione escogitata per le trifore del Palazzo comunale - forse le prime trifore senesi - con l’unione del quadrato di base e del triangolo equilatero in cui si inseriva l’ogiva. È una soluzione squisitamente euritmica, che , certo, ha le sue basi nella pratica gotica ... ma è anche una soluzione tipica del gusto italiano, che evita l’allungamento verticale delle finestre...”.