Egli sarà come un albero alto piantato sulle rive del
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Egli sarà come un albero alto piantato sulle rive del
“Egli sarà come un albero alto piantato sulle rive del fiume che il frutto matura ad ogni stagione e foglie non vede avvizzire: a compimento egli porta ogni cosa” (Salmo 1, 3) Dario Mencagli Kirsten Andersen Ermanno Battisti Ennio Pirondi Carlo Tradati Franco Lacchini Grazia Longhi Giancarlo Carrara Piera Brigatti Jose e Gigi Rota Giovanni Gadda Renzo Milanese Patrizia Pucci Giovanni Zonta Guglielmo Colombo Felicita Minjie Sandro Gallazzi Ana Maria Rizzante Carlo De Bernardi e Giovanna Ambrogio Cattaneo e K’heoh Fabrizio Persico Luigi Martini Franco Dell’Oro Guglielmo Spadetto Carlo Torriani Carla Busato Giuseppe Barbaglio Tino Frontini Carlo Tei Giancarlo Politi Franco Cagnasso Franco Cumbo Franco Mella Nevio Viganò Alberto Zamberletti Eligio Omati Vittorio Mapelli Igino Pedretti Gianni Foresti Angelo Da Maren Luigi Carlini Daniele Gastoldi Giampaolo Lecis Gigi Caccia Atzko e Roberto Maggi Maurizio Fioravanti Silvano Fausti Annamaria Cavagnolo Massimo Sacchi Marisa Grilli Laura Nigretti Carlo Masetto Adriano Aldrovandi Alessandro Bonino Maurizio Laffranchi Patrizia Morganti Enrico Paglialunga Carmela Gallazzi Gianna Sergio Serafini Renza Stroppa Carla Barlassina Elda Barlassina Lina Barlassina Simonetta Barlassina Stefano Galbiati Marì Tironi Anna Piva Piera Mazzoleni Anna Rotigni Paola e Nino Bellia Pippo Gliozzo Pina e Riccardo Rodano Elisabetta Carpinteri Francesco Troiano Giovanna Cannata Salvatore Longo Rita Gentile Giovanni Romano Mario Garofalo Elisa Moriggi insieme per dire Grazie 2 3 15 marzo 2011 un anno fa moriva Giulio ma niente, neppure la morte, può cancellare il suo sorriso il vissuto di una esistenza fatta di umiltà e di coerenza, di tenacia e di dolcezza, di silenzio e di sguardo. Lo ricordiamo così – semplicemente – senza volerne fare un’icona: Giulio sarebbe il primo a non essere d’accordo, perché “uno solo è il Maestro” insieme diciamo grazie - a Dio per un regalo così bello la sua figura ora riposa in noi 15 marzo 2012 4 5 il Progetto Reverendissimo Superiore Generale e Consiglieri Noi sottoscritti (p. Armando Rizza, p. Pietro Belcredi, p. Giulio Barlassina) vorremmo presentarvi un progetto di modo di impegno nell’Evangelizzazione al quale ci sembra di sentirci chiamati, dopo l’esperienza fatta da ciascuno di noi, dopo una lunga riflessione e dopo scambi di idee avvenuti tra noi. Questo nostro “progetto” non vuole contenere una pretesa di essere il modo migliore in assoluto di esplicare l’attività missionaria, nè – tanto meno – una critica ai modi attualmente assunti dai membri del nostro istituto, ché anzi vuol essere un assumere in modo più esplicito e concreto proprio quelli che a noi sembrano essere i modi più autentici di presenza missionaria realizzata dai membri del nostro Istituto. SCOPO del nostro progetto è sostanzialmente lo stesso che si è sempre prefisso l’attività del nostro Istituto: l’EVANGELIZZAZIONE degli uomini, in ambienti nei quali non è ancora stato annunciato il Cristo, per “camminare insieme” a questi uomini verso la conoscenza e l’amore del Cristo Salvatore, per mettere in pratica nella nostra vita quotidiana i Suoi insegnamenti. In altre parole: camminare insieme verso la maturazione dell’Amore (=essere sempre più totalmente per l’Altro), che è dono esclusivo di Dio. Le attività nelle quali si concretizza quest’opera di evangelizzazione possono essere diverse. La preoccupazione maggiore (per non dire unica) del missionario, deve essere quella di esprimere in questa attività l’Amore stesso del Cristo dal quale siamo animati; Amore del quale sono da rilevare le seguenti caratteristiche: − − − Attenzione a non separare la vita soprannaturale dalla sua base umana; Amore pieno di MISERICORDIA e comprensione, Rispetto di TUTTO ciò che è buono e vero nella vita degli uomini anche non cristiani; − Rispetto dell’azione libera della GRAZIA, sia nelle persone e comunità che accosteremo sia in noi e tra noi; − Pazienza e disinteresse nella ricerca dell’efficacia (che è inseparabile dall’amore che vuole comunicarsi); − Tensione a mettersi sempre sul piano dell’AMICIZIA. 6 Per poter realizzare meglio queste caratteristiche dell’Amore di Cristo, prima in noi stessi e tra noi stessi e poi anche in un’espressione esterna nel contempo con gli altri, e questo in un ambiente non ancora evangelizzato, noi ci prospettiamo un’impostazione di vita e di presenza missionaria che avrà questi elementi sostanziali: 1. ci dovremo inserire in un ambiente da UOMINI CON GLI ALTRI UOMINI, senza portare con noi e mediante noi una struttura prefissata, anche sul piano religioso (es.: costruzione di una parrocchia, con opere, ecc.; questo sarà un lavoro che, quando si renderà necessario, noi lasceremo ad altri); la nostra sarà una presenza di TESTIMONINAZA e di PREDICAZIONE sul tipo di quella di Gesù, che porterà al costituirsi di una COMUNITA’ EVANGELICA, animata dalla fede in cristo e dall’amore; quando sarà venuto il momento in cui questa comunità dovrà strutturarsi su un paino sociale esterno (=parrocchia), noi lasceremo il posto ad altri; 2. in qualsiasi ambiente verremo destinati dai Superiori (in accordo coi Vescovi locali) e qualsiasi possano essere i mezzi che riterremo opportuno usare per realizzare la nostra presenza, noi dovremo basare la nostra azione apostolica su RAPPORTI UMANI, in uno spirito di AMICIZIA, tenendo sempre ben presente lo scopo di condurre gli uomini (singoli e gruppi) a conoscere il Cristo (l’Amore9, a credere in Lui e a trasformare gradualmente la loro vita secondo i criteri del Vangelo; 3. sarà soprattutto la “NOSTRA VITA” (=il nostro modo di vivere) che realizzerà un’autentica testimonianza evangelizzatrice. E’ questo il punto su cui insistiamo maggiormente, come caratteristica della nostra attività missionaria, e per cui ci sentiamo in dovere di chiedere ai superiori che ci permettano e ci aiutino a tentare di realizzare questo nostro “progetto”. a) Vita di comunione tra noi, il più profonda possibile, basata su una fede esplicita sul valore della presenza di Cristo in noi e tra noi mediante il Suo Spirito, che fa sì che ogni piccolo gruppo sia “Chiesa” Questa vita di Comunione si espliciterà in un “vivere insieme” (i modi concreti di questo “vivere insieme” si potranno vedere meglio sul posto), mettendo TUTTO in COMUNE: − problemi, idee, modi di pensare, ecc., mediante una regolare “Revisione di vita”, lo studio, i momenti di preghiera,… − l’attività missionaria, che sarà sempre decisa e rivista in comune, in tutti i suoi aspetti; − l’amministrazione di tutti i mezzi (soldi, roba, ecc.), in una linea di povertà evangelica (che andrà continuamente ricercata); 7 b) Lo STILE DI VITA (abitazione, cibo, modo di vestire) dovrà essere basato su una profonda umiltà e povertà, in modo che sia facilitata la preminenza dell’Evangelizzazione nei nostri interessi e sia facilitata il più possibile lo stabilirsi di contatti semplici e familiari (non come tra “ricco e povero”, o “chi può dare e chi riceve”) con la popolazione, della quale ci sforzeremo di condividere le condizioni di vita; c) Per quanto sarà possibile, la nostra piccola comunità missionaria dovrà dare l’ESEMPIO del LAVORO per guadagnarsi il necessario per vivere (NB: tuttavia le esigenze del lavoro non dovranno mai precedere le esigenze dell’Evangelizzazione, che è sempre la prima preoccupazione e che costituisce lo scopo ultimo della nostra consacrazione). Questo lavoro lo riteniamo necessario per noi, per essere fedeli allo spirito di umiltà sociale, di semplicità vera e di comprensione profonda dei bisogni e della mentalità della maggioranza delle persone con le quali dovremo vivere. NB.: la nostra Comunità di missionari sarà una COMUNITA’ GERARCHICA, nella quale cioè dovrà esserci il “segno dell’autorità”, e quindi ci sarà in essa un “Superiore” (o responsabile). 4. RAPPORTO con l’ISTITUTO e la COMUNITA’ CRISTIANA I nostri rapporti con l’istituto saranno quelli indicati dalle costituzioni, con la preoccupazione di non fermarci alla materialità dell’indicazione giuridica. La decisione definitiva sarà sempre quella dei Superiori dell’Istituto nei confronti sia della scelta del luogo, del tempo di partenza e di permanenza in missione, come anche circa i modi sostanziali della nostra attività di evangelizzazione. Inoltre dovremo mantenere dei rapporti di comunione concreta con i membri dell’Istituto mediante lo scambio di comunicazioni (i modi verranno ricercati) Sul piano ECONOMINCO, per poter più veramente vivere in un atteggiamento di povertà, vorremmo – per quanto possibile – non sentirci “con le spalle sicure”, ricorrendo all’aiuto dell’Istituto in quanto tale. Anche per aiutare la Comunità cristiana a sentirci in concreto – quali siamo – gli strumenti della sua “missionarietà”, dovremo essere noi a trovare persone, gruppi, comunità italiane, con le quali stabilire un rapporto di Comunione (anche esterna), che comprenderà anche l’aiuto economico alla nostra attività missionaria, ma questo (aiuto economico) solo entro i limiti del puro necessario, tenendo presente che questo aiuto economico avrà un valore solo se e in quanto sarà l’espressione di una Comunione sul piano completo dell’attività missionaria. 8 Perciò con queste persone, gruppi, comunità, dovremo mantenere una comunicazione sul tipo di quella che avremo con i membri dell’Istituto. Con la CHIESA LOCALE in terra di missione. Chiederemmo i Superiori di trovare un Vescovo di una regione non evangelizzata, che accettasse questo nostro modo di presenza missionaria. Salve le linee essenziali (indicate sopra) del nostro modo di realizzare una presenza missionaria, noi dovremo stabilire e mantenere con l Vescovo e il Clero quei rapporti che sacerdoti e missionari devono avere, partecipando vivamente alla vita della diocesi. Sottoponendo alla Vostra attenzione questo nostro “progetto”, restiamo in attesa di una Vostra risposta p. Armando Rizza p. Pietro Belcredi p. Giulio Barlassina Milano 1970 (?) 9 Carissimi Giovanni e Franco, Catiò, 14/271971 mentre Salvatore sta cavando denti a tutto spiano (e voi sapete in quale contesto di “presenza missionaria” e, soprattutto, con quale spirito lo fa), io (il “teorico intellettualista”) mi metto a scrivere a voi. Non lo faccio di mia iniziativa, ma come conseguenza del quasi incessante “comunicare” che facciamo Salvatore ed io, “comunicare” che si esprime in una comune ricerca (anche a livello di discussione) dell’ESSENZIALE nella nostra presenza qui. E siccome, dopo ogni espressione del nostro comunicare, si giunge immancabilmente a concludere che l’ESSENZIALE è il nostro FAR CREDITO, da poveri, alla realtà della Comunione che abbiamo nel Cristo Gesù (che lega noi due, il nostro gruppo pimino di Guinea, quelle persone con le quali possiamo “esprimere” tale fede anche a livello umano, in modo più o meno esplicito, =Comunità di origine, al gruppo umano in cui ci troviamo ora inseriti, e noi tutti con l’umanità), ieri ci siamo proposti di “esprimere” un po’ questa Comunione scrivendo a voi due, che qui in Guinea siete ricordati come coloro che “esistenzialmente” hanno stimolato i nostri confratelli a intravvedere che l‘ ”ESSENZIALE” della Missione è da ricercarsi nella linea della Comunione (chiamatela come volete…) Da circa un mese sono qui con Salvatore. Sono venuto qui (mandato da p.Mario) per tenergli compagnia in questo momento molto delicato. Come già sapete, il suo modo di presenza qui, oltre ad un inserimento diretto con la Comunità Balanta di Sua, ha esigito un atteggiamento “chiarificatore” nei confronti della ‘Praça’, specialmente con quelli che pretendono diritti da ‘cristiani’. Questo ha naturalmente provocato reazioni che si sono espresse in una ‘comunella’ (una specie di ‘cospirazione’) che ha presentato alla polizia tutta una serie di ‘queixas’, tra le quali alcune di carattere politico (queste ultime erano ‘necessarie’ per sperare in un ‘successo’….) il “caso” non si è fermato al Governatore, ma è stato demandato (addirittura!) al Ministero Ultramarino di Lisbona. Ora siamo ancora in attesa di una decisione (da più di 40 giorni). Intanto al Salvatore non è stato rinnovato il “bilhete” di permanenza in Guinea. Nonostante l’atmosfera di incertezza e di ‘provvisorietà’ creata dall’attesa di detta decisione, la vita e il lavoro qui continuano normalmente e abbastanza serenamente, anche perché Salvatore è in atteggiamento di disponibilità nei confronti del suo avvenire (qualsiasi possa essere la decisione che prenderanno le autorità). Il tipo di “presenza” di Camilleri (che voi avete potuto accostare un po’ ai suoi inizi) mi sembra su una linea di autenticità evangelica (questa ‘linea di autenticità’ è espressamente ricercata da Salvatore ); e cioè: è innanzitutto un 10 CONDIVIDERE (sulla base della FEDE) la situazione di questi gruppi umani, tra i quali siamo stati mandati come ‘strumenti della Comunione’. Questa ‘Condivisione’ (come avete potuto vedere anche voi) si ESPRIME per Salvatore in un ‘attenzione fattiva alle esigenze ‘sanitarie’ (dall’estrazione dei denti, ai curativi, al trasporto degli ammalati, alla cura dei neonati) e ai problemi di carattere famigliare che sorgono dal tipo di rapporti complessi in uso presso i Balantas, problemi che si vanno facendo sempre più coscienti e gravi, soprattutto a livello di alcuni giovani più attenti e sensibili (cfr nota 1, in calce) Questa presenza mediante la ‘Condivisione’ ha già provocato, da parte del gruppo Balanta, un INTERPELLARE il padre sul “perché” di questo suo ‘condividere’. La RISPOSTA viene sia dal ‘condividere’ stesso sia negli incontri a livello di comunità che sono iniziati spontaneamente e ora continuano con normalità. Infatti, tre volte alla settimana (domenica, mercoledì e venerdì), alla sera, oltre un centinaio di persone 8 in gran parte sposate, uomini e donne; anche alcuni “homens e mulheres grandes”) si ritrova nella scuola di Sua, per un incontro di preghiera; tutto è fatto in lingua balanta e adattato al ‘momento’ del ‘cammino della comunità’; la musica dei canti (ormai numerosi) è opera di un anziano membro della comunità balanta; il resto è opera del Camilleri, che deve dedicare molto tempo alla traduzione in lingua balanta dei testi biblici e loro commenti, aiutato da alcuni giovani. Così la ‘predicazione’ (non nel senso biblico della parola) (=una lettura di un dieci minuti) diventa il “tradursi in parole” dell’ANNUNCIO (che essenzialmente consiste nel “condividere credendo alla Comunione nel Cristo” = PAROLA di Dio), come uno dei ‘mezzi’ (o dei momenti) della RISPOSTA del missionario alla “INTERPELLANZA” sul “perché” del suo “condividere”. Commovente in modo particolare era l’attenzione di tutta l’assemblea di ieri sera, in cui Camilleri ha letto le Beatitudini. Al lunedì sera c’è un incontro (senza preghiere né canti) a livello di soli adulti (uomini e donne; lunedì scorso ce n’erano una sessantina) in cui si conversa familiarmente sui problemi concreti della vita balanta. Nell’incontro di lunedì scorso (durato quasi due ore), gli stessi ‘homens grandes’ hanno tirato fuori il problema dell’Aulle (=Irâ; voi sapete cos’è), inaspettatamente, perché Camilleri di proposito non aveva mai accennato a questo problema tanto delicato per un balanta; e nella lunga conversazione seguita (più tra di loro che con il padre) è venuta fuori chiaramente una loro orientazione ad una sfiducia totale nel valore dell’Aulle (in proposito, diverse giovani coppie di sposi che frequentano gli incontri da tempo hanno smesso spontaneamente i segni dell’Aulle, loro e dei loro bambini). (Cfr nota 2, in calce) In questa “presenza missionaria” non manca certo l’altro suo aspetto essenziale: la CONTESTAZIONE (nel senso di opposizione e rifiuto, almeno parziale) nei confronti del missionario e del “messaggio”. Contestazione che si esprime in tanti modi e a diversi livelli (non mi riferisco qui al “caso” provocato 11 dalla ‘praça’ e descritto sopra, ma alla ‘contestazione’ all’interno dello stesso gruppo balanta) ed è da questa contestazione che proviene l’autentica SOFFERENZA del missionario (è l’aspetto della CROCE, essenziale ad ogni momento di una vita da ‘Chiesa’) In queste settimane di condivisione abbiamo costatato (a livello di ‘esistenza’) l’importanza (noi due parliamo di “necessità”) della COMUNITA’ APOSTOLICA (non solo a livello ‘giuridico’), dell’essere almeno in due (anche se non sempre insieme fisicamente), per un’autentica presenza missionaria; e questo non solo (né soprattutto) per l’utilità che viene da una “critica costruttiva” ai diversi momenti di detta presenza, ma anche (e soprattutto) per le esigenze di “comunione concreta” insite nella vita e nella missione dell’apostolo. In linea con questo, abbiamo rilevato l’importanza di un più espressa “comunicazione” con i nostri fratelli di Guinea (almeno quelli del Pime) e con altre “comunità” (possibilmente che siano impegnate nell’azione missionaria), come potrebbe essere la vostra. Dai vostri scritti (ho potuto leggere, nel mio peregrinare per la Guinea, diverse vostre lettere) ci risulta che (almeno voi due) siete in espressa comunione con noi. Noi gradiremmo tanto che si intensificasse questa “espressione della Comunione”, attraverso la corrispondenza epistolare e anche attraverso altre vostre “venute” tra noi (o di vostri compagni). Questo, oltre al valore fondamentale di una comunione più intensa, a noi di qui potrebbe servire anche in questo senso: voi, che vi trovate in un ambiente di “studio”, di riflessione sulla realtà ecclesiale, potreste (insieme ai vostri insegnanti) aiutarci a “criticare” il nostro modo di presenza missionaria, soprattutto per quanto riguarda i suoi principi ispiratori, in modo da facilitarci la ‘purificazione’, per avvicinarci sempre di più all’autenticità evangelica. (credo che non penserete ad una “strumentalizzazione”…). Già in questo nostro scritto abbiamo accennato ad alcuni elementi ai quali cerchiamo di ispirare la nostra vita. Salvatore (che durante le nostre lunghe conversazioni prende molti appunti scritti) sta preparando un “abbozzo” sul come noi cerchiamo di vedere la “missione”. Tutti e due sentiamo la necessità di un confronto di questo nostro modo di pensare, con altri, che se la sentano di aiutarci in un’atmosfera di fraternità. Se voi (e magari i vostri gruppi) ve la sentiste di darci questo aiuto, scrivete a salvatore (io dovrò lasciare Catiò per ritornare a Bissau il 22 c.m.) ed egli (quando l’avrà pronto) vi manderà detto “abbozzo”. Scusateci la kilometricità di questa comunicazione: ci sembra che l’assunto lo richiedesse. La fatica che vi è costato il leggerci, compensa la fatica nostra nello 12 stendere questa comunicazione (non pensate soltanto alla mia predilezione per le “encicliche”, ma anche la mia innata ‘idiosincrasia’ per lo scrivere…). Salutateci l’Equipe e tutti i vostri compagni A voi due un saluto particolare Giulio Barlassina Nota 1 Voi, che avete accostato da vicino Salvatore, sapete bene che non si tratta qui del classico “specchietto” per attirare e imbonire la gente, o di un ‘pretesto’ per accostarla e per poi ‘imbottirla’ delle cosiddette ‘idee cristiane’…. Nota 2 Non si tratta qui della cosiddetta “distruzione degli idoli”; si tratta invece di un’autentica LIBERAZIONE da una vera SCHIAVITU’ dell’uomo; schiavitù portata dalla PAURA. Questa LIBERAZIONE viene da una maturazione della FIDUCIA nell’Amore di dio, che porta il Balanta a percepire che i suoi rapporti con Dio sono sul piano dell’AMORE e quindi ben al di là dei limiti umani (e incapacità umane) di fronte alle “forze della natura”. In questa “liberazione” entra anche una miglior conoscenza delle “forze della natura” che incominciano ad essere affrontate con mezzi umani (specialmente: cure mediche, medicine, igiene, previdenza, ecc.). Cari amici, aggiungo solo una parola di completa condivisione a quello che Barlassina ha espresso. Con la sua venuta…almeno a Catiò un nuovo spirito anima la nostra azione. Non che prima ci fosse “scirocco”, ma attraverso le sue parole stiamo maturando più a fondo quella realtà missionaria che già affiorava dentro di noi. Tante cose non le so dire, ma le sento. C’è sempre un amico che le saprà esprimere…vi saluto di cuore. Salvatore Camilleri 13 Carissimi don Carlo e Comunità di Borgo Est, Catiò, 4 ottobre 1972 ci è giunta molto gradita la vostra lettera indirizzata a p.Mario Faccioli. Ci fa un grande piacere il fatto della vostra condivisione dei problemi che toccano la nostra comunità di Guinea e in particolare, attraverso p. Salvatore Cammilleri, la comunità di Catiò. Noi siamo qui a Catiò da una decina di giorni per continuare a vivere con la gente di qui la nostra fede nella condivisione dei loro problemi. Il p. Salvatore ha iniziato questa condivisione fraterna che certamente avete sentito descrivere dal Franco e dallo stesso Salvatore. Noi possiamo testimoniare quanto profonda è stata questa condivisione specialmente con il popolo Balanta. Ci siamo riuniti con i giovani balanta di Sua e ci hanno ripetuto in mille modi la loro sofferenza per l’allontanamento del Padre e allo stesso tempo la gioia di avere altri padri che continuino quello che ha iniziato il p. Salvatore. Noi siamo convinti di non essere venuti qui per realizzare un desiderio personale, ma perché ci sentiamo mandati da una comunità cristiana che ci ha generati alla fede e ci ha fatti crescere. Questa comunità è per ciascuno di noi quell’ambiente che ci ha aiutato a vivere la fede. Sono tutte le persone e gruppi di persone che abbiamo incontrato nella nostra vita e attraverso le quali Dio ha costruito la nostra storia personale. Noi siamo qui perché ci sentiamo mandati per dire a questa gente, attraverso la nostra vita, la fede che state vivendo. Fede che è fatta di tutto quello che di buono fate per gli altri e della condivisione e fraternità con i gruppi umani più lontani. Questo avviene nella vita concreta di tutti i giorni attraverso quell’Amore che vi mettiamo per fare diventare il mondo una famiglia dove tutti si sentono fratelli e figli dello stesso Padre. Ci sentiamo perciò mandati anche dalla comunità di Borgo Est per quell’aiuto a vivere la nostra fede che abbiamo ricevuto e condiviso (Pedro per la partecipazione e condivisione diretta dei vostri problemi; Giulio per il rapporto di amicizia con don Carlo e con i giovani del Pime che sono passati nella comunità di Borgo est). Ci ricordiamo spesso, con commozione, della rappresentanza della comunità di Borgo est alla partenza da Linate di ciascuno dei due. La nostra prima preoccupazione ora è quella di credere davvero. Credere che è lo Spirito che fa la Comunione tra noi e con le persone. Credere che quello che conta non è l’essere battezzati o dire la messa, ma è cercare il cristo incarnato nelle persone e nelle situazioni. Siamo convinti che la faccia di Cristo la troviamo scolpita nella faccia delle persone che ci circondano. 14 Per noi quindi il fatto di fare comunione fra noi è indispensabile. Concretamente lo stiamo realizzando tra noi due e un giovane balanta, Joaquim, che vive con noi e fa da maestro nel villaggio balanta di Sua. Preghiamo insieme e cerchiamo di lasciarci convertire. Cerchiamo di estendere questa nostra comunione mantenendo rapporti il più intensi possibili con i nostri confratelli missionari della Guinea. Scriviamo loro ed ogni tanto andiamo a passare qualche giorno con loro per aiutarli nei vari problemi di apostolato e di impostazione di vita. Con la gente qui di Catiò cerchiamo di vivere questa comunione cercando di essere il più possibile attenti alle persone, specialmente ai poveri, ammalati e a quelli che sono soggetti a ingiustizia (in questo periodo della semina siamo particolarmente attenti alle famiglie che non hanno riso per mangiare e tanto meno per pagare gli operai che le aiutano nella semina). Siamo a contatto con tre ambienti differenti, ma che hanno in comune il problema di far fronte alle più fondamentali esigenze della vita e la situazione di sofferenza causata dalla situazione di guerriglia. − I Balanta di Sua coi quali ci sentiamo già in amicizia per contatti avuti quando c’era ancora il p. Salvatore. Noi due non conosciamo ancora la lingua balanta, ma una volta alla settimana abbiamo con loro un incontro di preghiera basato sul’ascolto e la riflessione dalla Parola di Dio, con canti composti da uno della comunità e preghiere: il tutto in lingua balanta (Joaquim ci fa da valido interprete). − La comunità dei Fulas (musulmani): con loro non abbiamo ancora avuto contatti; solo pochi incontri con le singole persone; anche nei loro confronti non intendiamo assolutamente “convertire”, ma cercare una maniera di condividere e metterci a pregare con loro. Per noi fare il missionario vuol dire cercare delle persone con le quali condividere e volerci bene. Lo Spirito di Dio è in tutti e cerca di farci diventare una famiglia. − L’ambiente della “praça”: con una mentalità e uno stile di vita tutto particolari. La maggior parte di loro si dicono cristiani, ma sono rarissimi i casi in cui la mentalità e la vita risultano animati dalla fede. Anche tra di loro però abbiamo incontrato uno che, pur avendo tre mogli, è un esempio di fede profonda. A sentirlo parlare delle vicende della sua vita e a manifestare la fede che ha dentro, sembra di leggere il libro di Giobbe. Con i pochi (una dozzina) che vengono alla messa domenicale stiamo iniziando un discorso sulla linea della comunità fraterna. Prima la ricerca della vita di fede (=l’essenza del Vangelo), poi si amministreranno i sacramenti. Oltre ai contatti con le singole persone – e pensiamo tra poco anche con le famiglie – cerchiamo di portare avanti questo discorso durante la liturgia della Parola /alla messa della domenica), fatta in maniera molto famigliare come 15 conversazione sulla Parola di Dio prima di mettere i paramenti per la liturgia eucaristica. Uno dei problemi che noi due sentiamo più vivamente, perché condiziona fortemente il nostro desiderio di condivisione, è quello della struttura in cui ci troviamo inseriti e della quale ci è per ora impossibile prescindere. Tra gli elementi più condizionanti di questa struttura risultano maggiormente: − la nostra posizione di “privilegio”, dovuta a una lunga tradizione europea del modo di concepire il “prete” e al modo in cui è stato ed è presente da secoli il “bianco” qui in Guinea; − il fatto di abitare una bella casa, che se anche povera nei confronti della normalità delle case italiane, è un lusso nei confronti dell’abitazione di questa gente; − l’essere stipendiati dal governo portoghese (con conseguenti condizionamenti). In tale situazione ci sembra che l’autenticità evangelica richieda da noi di vivere la povertà nella linea della solidarietà, cioè mettendo praticamente a disposizione di tutti quello che abbiamo e soffrendo per la posizione di privilegio a cui siamo costretti. I problemi pratici che dobbiamo e dovremo affrontare giorno per giorno, per essere fedeli alla ricerca di questa autenticità evangelica, sono numerosi. Pensiamo che il dialogo che noi gradiremmo mantenere con la comunità di Borgo est ci possa aiutare molto in questa nostra ricerca. Soprattutto confidiamo nel vostro ricordo e nella vostra solidarietà sul piano della fede, per non chiuderci troppo alla grazia che lo Spirito di cristo dà sempre in abbondanza per il costituirsi della famiglia di Dio. Noi vi assicuriamo la nostra unione e il nostro frequente e vivo ricordo. Un saluto a tutti, nel Cristo Gesù che ci salva. Vostri Pedro e Giulio 16 Carissimo don Giuseppe Barbaglio Lì, 5maggio 1974 Approfitto della venuta in Italia di due Suore che lavorano nelle nostre missioni per comunicarti – finalmente – qualcosa circa gli argomenti che sarebbe utile trattare nel nostro incontro comunitario del prossimo luglio. Prima di passare a tale assunto, alcune notizie. Certamente avete appreso e forse anche seguito i recenti avvenimenti di Lisbona. Il colpo di stato della giunta militare (con a capo il gen. Spinola, già governatore qui in Guinea), con la conseguente soppressione della DGS (= polizia segreta) e liberazione dei detenuti politici, fa sperare che le cose comincino a muoversi un po’ dall’empasse in cui si trovavano, anche per quanto riguarda la situazione qui nell’Ultramar. Frattanto qui la guerra continua e la situazione è più o meno quella che hai trovato qui tu due anni fa. Speriamo che l’evolversi delle cose in questi prossimi due mesi non ci impedisca di realizzare il nostro incontro comunitario e che tu non abbia difficoltà ad ottenere in tempo il permesso di venire qui. Riguardo agli argomenti da affrontare nel nostro incontro, ti posso dire quanto segue. Dai contatti avuti con i miei confratelli, ho avuto una chiara segnalazione dell’urgenza di presentare e affrontare nel prossimo incontro una problematica che è molto viva in molti di noi, naturalmente con sfumature e orientamenti diversi. Fondamentalmente tale problematica si allinea sulla attuale “CRISI DELL’EVANGELIZZAZIONE”, di cui parla chiaramente anche il Documento preparatorio al prossimo sinodo dei Vescovi (“L’Evangelizzazione del mondo contemporaneo”; cfr. testo in: Regno-docum. 15/1973, pagg. 390 ss.). Per noi qui, tale “crisi” viene aggravata dal fatto che la necessaria “conversione” di mentalità e atteggiamenti esigita per la Chiesa attuale (e, quindi, soprattutto per noi missionari), viene a incontrarsi e a scontrarsi con un tipo di impianto della presenza e attività missionaria creato e continuato sulla linea dell’antica concezione – cosiddetta “saveriana” – delle missioni. 17 Secondo molti di noi, una nostra “conversione” ad un annuncio che sia attualmente più adeguato alle esigenze evangeliche e alle esigenze dei nostri fratelli africani, non è possibile senza un contemporaneo smantellamento delle vecchie strutture e il porsi concreto di nuovi modi di presenza coerenti con tale conversione di mentalità (=rapporto dinamico tra mutamento di mentalità e mutamento di strutture). Come vedi, si tratta di una problematica che è di tutta la Chiesa attuale, ma che per noi è particolarmente grave, date le sue pesanti incrostazioni che l’impianto missionario ha dovuto ulteriormente subire dal prolungarsi della presenza coloniale e dai particolari legami e dipendenze in cui la Chiesa storicamente si è lasciata impelagare finora, specialmente nell’Ultramar portoghese e dai conseguenti e naturali influssi negativi che tutto questo ha comportato e comporta sulla mentalità e sugli atteggiamenti di noi missionari. Tu conosci già abbastanza bene la composizione “umana” della nostra comunità pimina di Guinea (anche i cinque nuovi che si sono aggiunti in questi ultimi tempi). Di fronte alla suddetta problematica, ci sono naturalmente atteggiamenti diversi, che mi sembra di poter schematizzare (att.!! Si tratta di “schematizzazione”!) così: − Alcuni non avvertono una forte esigenza di mutamenti, convinti che la linea seguita finora sia sostanzialmente valida ancora, accettando – per dovere di obbedienza – di cercare di adattarsi a quei mutamenti (da latri ritenuti solo “accidentali”) sul piano pastorale e liturgico, che continuamente vengono richiesti dai documenti ufficiali della Chiesa del post-Concilio; − Altri avvertono vivamente l’esigenza di un mutamento, sia di mentalità che di strutture; sembrano però orientarsi su una linea “riformista”, cioè di graduali mutamenti, in attesa che, con l’evolversi della situazione politica e sociale, ci vengano imposti dall’esterno dei mutamenti radicali; − Altri ancora, si trovano in un grande disagio interiore e spirituale di fronte all’attuale presenza della Chiesa in Guinea e di fronte a quelle che essi avvertono essere le esigenze della gente di qui (anche se, naturalmente, non esplicitamente avvertite dalla stessa gente); questi confratelli si stanno chiaramente orientando a delle scelte radicali, e cioè a ricercare uno smantellamento sostanziale delle attuali strutture e impianti, ricercando contemporaneamente nuovi gesti, nuovi modi concreti di presenza e di attività missionaria, coerentemente con il maturarsi di una “conversione” della loro mentalità. Naturalmente le soluzioni e le scelte concrete di questi ultimi variano in base alla diversa configurazione della loro personalità, alla 18 loro storia precedente e alle loro capacità e possibilità sul piano umano e spirituale. Qualcuno (tra questi ultimi) pensa anche che – presentandosi come praticamente impossibile, entro una ragionevole scadenza di tempo, un mutamento adeguato – si imponga per lui l’esigenza di lasciare fisicamente l’attuale situazione, per cercare un modo di servizio all’annuncio che ritiene più coerente con le esigenze attuali dell’umanità e della Chiesa. Penso che questa descrizione che ti ho fatto (anche se succinta e involuta nell’espressione), sia sufficiente per te, per pensare a quale tipo di aiuto ti sembrerà meglio portare alla nostra comunità con le tue comunicazioni e con il tuo inserirti vivamente (come hai fatto l’altra volta) nel nostro travaglio di ricerca, che questa volta si prospetta molto vivace e con possibilità di decisioni abbastanza “gravi” da parte di alcuni di noi. Io penserei che sarebbe molto pertinente alla nostra situazione che tu ci aiutassi a capire meglio: 1. che cosa significhi e come dovremmo concepire e sentire il “NUOVO” portato da Cristo; 2. quale tipo di mentalità (nei suoi elementi più essenziali) comporti questo “NUOVO”; 3. quali implicanze (di mentalità, di atteggiamenti e di gesti concreti) abbia per la “Chiesa che annuncia” ( e in particolare per noi missionari) l’Annuncio del Vangelo (cfr. specialmente: Filipp. 2,5-11 = adesione alla volontà del Padre, che esige “spogliamento2 per essere su un piano di “parità” umana con tutti gli uomini, ecc. – NB.: qui potrebbe anche entrare la trattazione dell’argomento proposto da uno di noi: “Evangelizzazione come attenzione alle esigenze socio-culturali e religiose della gente con cui viviamo”); 4. il tutto applicato alla situazione concreta in cui attualmente ci troviamo noi missionari (e la Chiesa in genere) qui in Guinea, in vista di una spassionata revisione della nostra mentalità e delle nostre strutture di fronte alla Parola di Dio; 5. aiutarci a chiarire il necessario rapporto “dinamico” tra “conversione” della nostra mentalità e gesti concreti di superamento sul piano delle strutture; 19 6. sarà bene dare qualche indicazione dei criteri da seguire per chi – in coscienza – si è orientato o si sta orientando a delle scelte personali che apparentemente possono risultare di “rottura”, ma che di fatto possono essere esigenze imposte a lui da una ricerca di conversione personale a servizio della Comunione e della Missione nel momento attuale della Chiesa e della sua vita personale. Data la “gravità” e la delicatezza di tale nostra problematica, p. Faccioli e io abbiamo ritenuto opportuno invitare a presenziare al nostro prossimo incontro anche uno dei membri della Direzione generale dell’Istituto. Attendiamo una risposta in proposito. Nel caso fosse affermativa (e ci giungesse in tempo utile), ti daremo comunicazione in modo da poter combinare – se possibile e se lo riterrai opportuno – un contemporaneo arrivo qui di te e del padre della Direzione generale. Comunque questo non deve assolutamente intralciare i tuoi programmi personali. Qualora desiderassi ulteriori specificazioni circa gli argomenti da trattare, scrivimi al più presto. Ringraziandoti ancora per la tua disponibilità a “darci una mano”, ti saluto fraternamente con un arrivederci tra neppure due mesi (tieni presente che l’incontro si potrà incominciare il giorno 3 luglio, mercoledì). Al mio saluto si unisce espressamente quello, altrettanto caldo e riconoscente, di p. Mario Faccioli. Ricordiamoci al Signore Aff.mo p.Giulio Barlassina 20 Giulio: le dimissioni da Superiore Regionale della Guinea Bissau DICHIARAZIONE Presento a voi le mie DIMISSIONI dall'incarico di Superiore regionale. E’ una decisione, questa, a cui sono giunto già da diverso tempo e in seguito ad una prolungata riflessione e valutazione dei "pro e contro", fatta almeno nelle mie intenzioni - in una ricerca della volontà di Dio, cioè delle esigenze nei miei confronti da parte della Chiesa, della missione, di questa nostra comunità. Accenno solo ad alcuni motivi (o meglio: ad alcune linee di motivazione) che mi hanno indotto a prendere questi decisione. 1° Ho costatato le mie incapacità umane a gestire (o amministrare) una situazione e un impianto tanto complessi, quali hanno ora la nostra presenza e attività missionarie; gestione pur ridotta entro i limiti di competenza di un Superiore regionale, quali sono indicati dal nostro Istituto. Se siamo riusciti, in questi due anni, ad arrivare fin qui, devo riconoscere che è solo grazie all’impegno e alle capacità di p.Mario Faccioli. Non mi riferisco solo, nè tanto, agli aspetti economici e materiali in genere, ma soprattutto agli aspetti che più direttamente toccano le persone (destinazioni, mutamenti, orientamenti, ecc.). Ora, in un "tandem", non è onesto che una sola ruota porti tutto o quasi tutto questo peso umano. Per di più, p.Mario oltre alla salute, ci sta rimettendo la sua persona, che - da quanto mi risulta - fondamentalmente non è stata e non è orientata, psicologicamente e spiritualmente, a ridursi a questo tipo di lavoro. 2° Penso però che le motivazioni più profonde di questa mia decisione siano quelle che vengono da un altro piano di costatazioni. Ognuno di noi è fatto a suo modo, sia sul piano umano, sia sul piano cristiano ed ecclesiale. Ognuno ha una sua propria sensibilità nel modo di valutare e reagire di fronte alle situazioni o realtà oggettive. Ciò dipende da numerosi fattori: dal temperamento, dalla formazione ricevuta, soprattutto dalla storia che ciascuno si è trovato a vivere provvidenzialmente e in seguito a scelte umane sue e della comunità in cui storicamente si è trovato incluso. E ognuno, pur cercando di dare il giusto valore e peso al modo di pensare e di sentire degli altri di fronte alla stessa realtà oggettiva, pur dando il giusto valore e peso alle indicazioni che, in proposito, gli vengono dalla sua comunità attuale e dalla società in cui si ritrova a vivere, alla fine è sempre in base alla sua coscienza personale - condizionata sostanzialmente dal modo in cui egli è fatto (come dicevo sopra) - che egli dove emettere delle valutazioni e reagire con scelte e decisioni. 21 Ora, io, alla mia età (44 anni suonati) e con il tipo di storia (o di esperienza) che la Provvidenza e le varie scelte umane mi hanno condotto a vivere finora, ho costatato e costato che non riesco assolutamente a ritrovarmi, con un sufficiente equilibrio psicologico e spirituale, nel tipo di presenza e di attività missionaria che ha attualmente la Chiesa, specialmente qui in Guinea, sia per le strutture che tale presenza e attività missionaria è venuta ad assumere lungo tutta la sua storia, sia per la mentalità implicata in tali strutture. Sarebbe troppo lungo e anche fastidioso soffermarmi adesso a descrivervi i dettagli di questo mio fondamentale disagio psicologico e spirituale e dei vari elementi che lo provocano (occorrerebbe scrivere un grosso libro per tentare di fare questo in modo sufficientemente adeguato). Solo dico questo: ho costatato, in questi due anni di permanenza in Guinea, che io personalmente (insisto su questo "personalmente", perché non si abbia 1'impressione che io voglia giudicare e tanto meno condannare il diverso modo di sentire degli altri) sento che il mio atteggiamento nei confronti delle persone (specialmente della gente di qui) e delle situazioni in cui devo vivere e agire, è troppo condizionato negativamente dalle strutture in cui mi devo inserire se voglio restare qui e lavorare insieme a voi; mi sento troppo costretto a portarmi addosso la veste che impongono queste strutture e sento, perciò, che il mio rapporto umano e cristiano con la gente e con le situazioni è sostanzialmente condizionato; mi sento come uno che deve presentarsi agli altri portando addosso una maschera, che gli impedisce di essere se stesso; mi sento come uno che, soprattutto, è strumento per presentare agli altri una struttura, un'istituzione umana, piuttosto che un annunciatore e un comunicatore di una fede, di una vita. Capirete bene che, in tale mia situazione di sostanziale non accettazione del tipo di presenza e attività missionaria che ha la Chiesa qui in Guinea, non è onesto continuare ad assumermi un incarico quale quello di Superiore regionale. Perché: o sarei portato ad imporre agli altri il mio modo di pensare e di sentire; e questo non è, né umanamente né, tanto meno, ecclesialmente, giusto; o sarei costretto ad andare continuamente contro la mia coscienza; e questo pure è altrettanto non giusto. E vi confesso che spesso - posso dire: sempre - in questi due anni ho sentito fortemente questo intimo disagio (o conflitto), ogni volta che sono dovuto intervenire ad esercitare le mie funzioni di superiore regionale. 3° Riguardo al lavoro, o funzione di "animazione" che mi sembrava essermi stato indicato e richiesto da voi quando si è discusso - due anni fa sulla nomina del "tandem", devo dire questo. 22 Nell'esperienza di questi due anni, ho toccato con mano la mia incapacità a svolgere questa funzione nei confronti della nostra comunità attuale. - L'emotività e l'impulsività del mio temperamento mi impediscono di stabilire una adeguata atmosfera di dialogo con le persone la cui sensibilità e mentalità è differente dalla mia; - il mio modo di pensare e di sentire in cose fondamentali per la nostra comunità, (modo di pensare e sentire) molto differente da quello di una buona parte dei componenti la nostra comunità attuale - unitamente alle deficienze del mio temperamento sopra accennate -, fa sì che un mio tentativo di svolgere la funzione di animatore, porti più a delle divisioni nella nostra comunità, che non a quell'unanimità a cui invece tale funzione dovrebbe portare; - ad aggravare ancora di più le difficoltà già create dagli elementi qui sopra segnalati, si aggiunge il fatto - da me chiaramente costatato - del modo in cui io personalmente sono sentito da diversi di voi, in base ai giudizi (o alla "fama") che hanno preceduto, accompagnato e seguito la mia venuta qui in Guinea. E' un fatto naturale, questo, che capita a tutti e per tutti; i giudizi (che possono essere anche giusti) che vengono espressi nell'ambiente in cui precedentemente uno si è trovato a vivere e a lavorare, lo accompagnano dovunque. Per me, ho notato che certi giudizi negativi, circa la mia mentalità, espressi dagli ambienti d'Italia, hanno creato, in diversi di voi, un istintivo (e comprensibile) atteggiamento almeno di pregiudiziale "riserva”, se non proprio di rifiuto o di difesa. Tutto questo - come già dicevo sopra - fa sì che un lavoro di animazione svolto da me comporti più aspetti negativi che non aspetti positivi per la nostra comunità attuale. Quindi è giusto e onesto che, per il bene della nostra comunità attuale, io mi ritiri da tale funzione. In coscienza sento che - dopo tutto il travaglio attraverso cui sono passato per giungere a questa decisione - non potrò più ritrattare queste mie dimissioni, qualsiasi possano essere le valutazioni o le considerazioni che voi (o anche i Superiori maggiori) doveste fare in proposito. Giulio Barlassina 23 Giulio: (1974) analisi sulla situazione della Guinea Bissau RELAZIONE Avendo costatato che la mia problematica è presente in diversi membri della nostra comunità, anche se con accentuazioni e sfumature diverse, creando situazioni di forte disagio interiore ed esterno, credo sia utile tentare di indicare qui alcuni elementi dai quali è provocata questa problematica. Si tratta di un semplice abbozzo di analisi della nostra situazione, che necessariamente non può e non vuole essere completa e che vi prego di ritenere come mio personale, quindi con tutto quel beneficio di inventario che può essere dato al mio particolare modo di pensare, di sentire, con tutte le sue limitazioni e possibili sbagli. Necessariamente, questa mia breve analisi, si ridurrà a rilevare soltanto alcuni aspetti negativi (o almeno: che a me risultano negativi). Questo potrebbe dare l'impressione di un certo "manicheismo" che sta alla base di questa analisi; cioè l' impressione che si giudichi completamente negativo tutto quanto si è fatto e si fa da parte della Chiesa e della nostra comunità in particolare, qui in Guinea; o 1'impressione che si pretenda di avere, qui e subito, una Chiesa perfetta, o un nostro modo di pensare ed agire perfetto. Ma sono certo che ognuno di voi saprà integrare la necessaria parzialità di quanto verrà detto qui, in una visione più vasta, nella quale sono presenti tutti gli elementi positivi e, soprattutto, in una visione che tiene presente la naturale gradualità e la relatività di ogni tentativo umano nel piano del Regno di Dio. PREMESSA (= Una CONSIDERAZIONE PRELIMINARE ) Credo che tutti siamo convinti che tutta la Chiesa sta vivendo un momento di "crisi dell'evangelizzazione" (= "crisi", che non indica necessariamente qualcosa di negativo, ma un memento di "passaggio" ...) . Per chi non fosse convinto personalmente e interiormente di tale situazione di "crisi dell'evangelizzazione", penso possa bastare quanto dice il documento preparatorio ufficiale per il Sinodo generale dei vescovi, che si terrà quest'anno a Roma, mandato a tutti i vescovi dalla Segreteria generale del Sinodo, intitolato "L’Evangelizzazione nel mondo contemporaneo" (cfr. Regno-Doc. 15/1973, p.390ss.), il cui testo è tutto imperniato sulla seguente costatazione: "La crisi dell'evangelizzazione non è in nessun modo superabile attraverso un semplice adattamento dell'attività della Chiesa nel mondo moderno"(Parte II, Introduzione). 24 Si tratta innanzitutto di una crisi delle motivazioni dell'attività evange1izzatrice. Il Concilio Ecumenico Vaticano II (ma, ancor prima del Concilio, l’intera teologia.) ha svuotato l'antica concezione (o motivazione) delle missioni (chiamata "motivazione saveriana", da s.Francesco Saverio, che è stata una delle figure che si sono imposte come modello nella storia della Chiese in questo) tipo di attività missionaria). Concezione secondo la quale le missioni presumevano di essere portatrici insostituibili della salvezza per i pagani "giacenti nelle tenebre del peccato e dell'idolatria". I missionari credevano semplicemente di strappare anime dall'inferno, senza altra alternativa che quella che essi proponevano. Ora il Concilio, dicevo, ha svuotato tale concezione, affermando la presenza della salvezza tra tutti gli uomini. (affermazione questa che andrebbe approfondita, chiarita, esplicitata adeguatamente) Inoltre le idee conciliari (che non sono semplici idee teologiche o cerebrali...) − sul dialogo , − sull'attenzione all'uomo nella sua laicità, − sulla Libertà di coscienza, − sul rapporto chiesa-mondo, sono idee che chiaramente si oppongono all'antica concezione missionaria, facendone crollare diverse conseguenze e, in particolare, il cosiddetto "proselitismo". Il proselitismo, inteso come metodo di aggressione dall'esterno della compagine pagana, come tentativo di "convertire" i singoli individui strappandoli della loro originaria zona d'influenza, risulta ora che non è un liberare, bensì può ridursi ad un sottomettere gli uomini ad un regno, ad una potenza che è ancora di questa terra, anche se si denomina cristiano. La conclusione a cui porta logicamente tutto il pensiero del Concilio Vatic. II è questa: "Solo il servizio disinteressato - e non l'amore della propria affermazione - può spingere la chiesa all'annuncio". Indicazione questa che può rimanere molto generica e molto teorica e che le cosiddette nostre "buone intenzioni" facilmente possono distorcere nella sua stessa sostanza. Penso che sia proprio per questo, per evitare questo pericolo di distorsione, che il sopracitato documento di preparazione al Sinodo richiama chiaramente i vescovi (e quindi tutti noi) sulla necessità di ripensare a fondo la missione di annuncio, mettendo in causa perfino le parole più sacra della tradizione cristiana, quali: salvezza,fede, conversione, primato di Cristo, ecc. 25 E qui, evidentemente, non si tratta di semplici parole, né di una semplice riflessione e revisione a livello di teoria teologica; si tratta di rivedere e riformare tutta una mentalità, in un modo radicale (proprio perché i termini di salvezza, fede, conversione, primato di Cristo, ecc. sono alla radice stessa della vita e della mentalità cristiane); mettere in causa, rivedere, riformare tale mentalità, per derivarne nuove motivazioni o giustificazioni dell’annuncio del Vangelo; nuove motivazioni che, naturalmente, comporteranno nuovi stili, nuovi modi di presenza e di attività missionaria, oltre e prima ancora che nuovi metodi. Questa lunga premessa (o considerazione preliminare) l'ho fatta per aiutare a comprendere come possa essere naturale o almeno comprensibile che diversi di noi avvertano per loro questa stessa "crisi dell'evangelizzazione", del loro "essere missionari", che è avvertita a livello di tutta la chiesa. Alcuni PUNTI DI ANALISI della nostra SITUAZIOVE ATTUALE (così come la sento io.) I) Nessuno di noi, credo, può negare che la Chiesa cattolica, qui in Guinea, in tutta la sua struttura umana, ha assunto e mantiene una posizione di privilegio e di potenza, specialmente a livello dei più diretti responsabili della chiesa, quali siamo noi missionari. Posizione di privilegio e di potenza che, agli occhi della gente di qui e in modo oggettivo, ci inserisce nella classe dominante. Posizione di privilegio e di potenza, resa macroscopica qui in Guinea dalla lunga presenza coloniale dei bianchi e dai forti legami che la Chiesa ha stabilito e mantiene con le strutture e il potere coloniale, in seguito all'Accordo missionario e soprattutto in seguito al modo in cui qui ci si è serviti di tale Accordo missionario. Basti pensare a questo: il diritto di concessione (di terreni, di aiuti finanziari e larghe facilitazioni da parte delle strutture governative) e la presunta esigenza di assistenza religiosa ai bianchi e ai neri integrati coi bianchi, ha portato e porta ancora i missionari a impiantare delle grosse strutture (anche materiali) sulla linea delle esigenze dei nostri ambienti europei di "cristianità", prima ancora di avere iniziato un adeguato lavoro di evangelizzazione dell'ambiente africano. Ma al di là e prima ancora di questo effetto che ho segnalato nell'esempio portato, tale posizione di privilegio e di potenza toglie alla Chiesa e a qualsiasi missionario che è inserito nell'attuale struttura, quello che secondo me sta alla base dell'annuncio del Cristo; e cioè: la parità sul piano umano con i fratelli di qui, tra i quali diciamo di essere venuti per annunciare il Cristo. E la mancanza di tale parità rovina già alla radice il rapporto umano, personale con la gente di qui, alla quale ci presentiamo già con la veste e l'atteggiamento di "superiori", di autorità. 26 E qualsiasi di noi che viene qui e si deve inserire in questa struttura di Chiesa, nonostante tutte le sue migliori intenzioni, è costretto a portarsi addosso questa veste di superiorità ed è quindi costretto a testimoniare con una grande parte della sua vita, proprio il contrario di quanto annuncia, con la parola e vorrebbe testimoniare con il sacrificio che ha fatto e fa della sua vita; e cioè: il "Cristo che, pur essendo in forma di Dio..., spogliò se stesso, prendendo forma di servo, facendosi uguale agli uomini... " II) Mi sembra utile rilevare che la sopraddetta posizione di privilegio e di potenza - che ci viene messa addosso da questa struttura di Chiesa qui in Guinea - viene ad aggiungersi e ad aggravare enormemente quei condizionamenti negativi che portiamo in noi stessi già dal momento della nostra partenza dal nostro ambiente di origine per venire qui. Permettetemi di accennare solo a qualcuno di questi condizionamenti, che tocco con mano essere molto forti in me e mi sembra di aver costatato che giochino non poco negli atteggiamenti degli altri miei confratelli. 1) Noi (anche i più giovani) veniamo da un ambiente e da un tipo di formazione che non ha messo in noi un adeguato atteggiamento critico nei confronti di quanto pensiamo (o diciamo) di sapere e di credere. E mi spiego: da quanto abbiamo appreso (o studiato) e dal modo e dall'ambiente in cui l’abbiamo studiato e appreso, noi siamo usciti con la convinzione pratica (anche se non teorica) di essere i possessori della conoscenza della verità cristiana. Questo ci porta inconsciamente ad attribuire alla nostra conoscenza e a quanto esprimiamo di questa conoscenza, 1'infallibilità che appartiene solo alla Chiesa in quanto comunità di credenti, e alla quale infallibilità io, come singolo, partecipo solo nella misura in cui sono di fatto in tensione a vivere nella Chiesa e alla maniera della Chiesa, non nella misura in cui io conosco intellettualmente una dottrina, o nella misura in cui io ripeto - più o meno meccanicamente quello che penso essere l’insegnamento del Magistero. In altre parole - per cercare di chiarire questo mio pensiero - non siamo abbastanza convinti, o troppo spesso non siamo capaci di tener presente che:"tutto quello che io dico - o posso dire - di Dio, è sempre un uomo che lo dice" (Karl Barth). Di qui la facilità con cui assumiamo atteggiamenti pratici che possiamo definire da "despota" in campo religioso, o da "inquisitore clericale"... 2) Un altro dei tanti condizionamenti negativi che portiamo con noi dalla nostra partenza e che viene fortemente aggravato dalla posizione di privilegio in cui ci mette la struttura della Chiesa qui in Guinea, e la differenza di cultura tra noi e la gente alla quale diciamo di volere annunciare il Vangelo; 27 differenza di cultura che è un dato naturale e anche positivo, ma che viene reso negativo dal fatto che non siamo stati adeguatamente formati e sensibilizzati a saper valutare i valori di altre culture diverse dalla nostra e a tenere presente l’estrema relatività dei valori della nostra cultura. Il fatto di venire da una cultura molto sviluppata sul piano intellettuale e tecnico (ma non so quanto, proporzionalmente, sul piano del sentire vitalmente i fondamentali valori umani), e il fatto di avere avuto noi stessi una particolare formazione intellettuale e tecnica, ci porta istintivamente (e spesso inconsciamente) a sentirci "superiori" a questa gente, anche sul piano prettamente umano. E questo pure si traduce poi in atteggiamenti pratici di "padronanza" nei nostri rapporti con la gente di qui, facendo sentire ad essa il "peso" della nostra presunta superiorità. 3) Io personalmente sento molto fortemente tutto un complesso di condizionamenti, che porto con me dalla mia partenza dall’ambiente italiano; complesso di condizionamenti che si potrebbe descrivere così: L’ambiente di "cristianità" in cui sono nato e sono stato formato, mi ha portato e mi porta a dare come "scontate" troppe cose fondamentali, che invece non si possono dare per "scontate", ma esigono di essere sperimentate e vissute in concreto continuamente. Per esempio: io ho dato e do troppo per "scontato" che noi già siamo "Chiesa"; ma devo riconoscere non ho avuto la possibilità (certo anche molto per colpa mia) di sperimentare in concreto il vivere da Chiesa, vivere da Chiesa che appunto mi fa essere Chiesa. In un certo senso, sono state "alienato" da tutto un complesso di strutture che avevano già deciso tutto per me, su un piano giuridico, fino alla condivisione dei beni spirituali e materiali. E così non ho avuto la possibilità di sperimentare in concreto e vitalmente quell’essere "un cuor solo e un'anima sola", quell’“aver tutto in comune", quello "spezzare il pane di casa in casa rendendo grazie a Dio", in una comunità a misura d'uomo, basata su una fede, una speranza, una carità non disincarnate, ma vissute "supponendo la natura" (=gratia supponit naturam); una vera comunità che così e solo così diventa un'anticipazione, un segno, un preannuncio di quello che sarà il Regno dei cieli. Almeno non ho avuto la possibilità di sperimentare questo in modo sufficientemente adeguato a quello che secondo me dovrebbe essere il mio compito di missionario, di annunciatore e testimone del Cristo (che non è una dottrina ma una realtà vissuta e da vivere). E così noi (pensando che anche altri si trovino in queste mie stesse condizioni), venendo qui come missionari, partiamo - con la gente di qui - da un punto in cui si danno troppo per "scontate" queste realtà fondamentali e non siamo in grado di diventare noi una "proposta" ad essi di quello che in concreto è un cammino cristiano, ecclesiale, comunitario, non avendolo fatto noi questo cammino (almeno in modo sufficientemente adeguato al nostro 28 compito di missionari). Mi sembra che il Documento di preparazione al Sinodo dei vescovi, invitando a quella revisione radicale dei nostri modi di pensare, di sentire e di vivere, si voglia riferire proprio a questo pericolo - nel quale facilmente cade una società religiosa come la Chiesa - di dare troppo per "scontate" certe realtà fondamentali che non si possono mai dare per scontate, perché sono la vita stessa` de11a Chiesa. III) La struttura cha ha attualmente la chiesa cattolica qui in Guinea e nella quale è costretto ad inserirsi chiunque venga qui ora ufficialmente come missionario, oltre a condizionare radicalmente (secondo me) la nostra missione di annuncio del Cristo, imponendoci una posizione di privilegio e potenza, comporta anche altre conseguenze molto negative sul piano umano, evangelico ed ecclesiale. Comporta tali conseguenze negative, sia direttamente, sia indirettamente; direttamente: impedendoci dei gesti da compiere e che non possiamo non compiere, se non vogliamo essere radiati, anche fisicamente, da tale struttura; indirettamente: attraverso quel processo di più o meno lenta integrazione a cui qualsiasi uomo è sottoposto quando deve continuare a vivere inserito in determinate strutture. Anche qui mi permetto di accennare a qualcuna di queste conseguenze negative. 1) Ci impedisce di avere - oppure rende praticamente inefficace in chi la ha – l’atteggiamento umanamente ed evangelicamente critico nei confronti di tanti gesti, che costituiscono il contesto concreto della nostra presenza e del nostro lavoro. Prendiamo ad esempio le diverse attività, cosiddette di "promozione culturale, economica, sociale"..., che pure rientrano - almeno come aspetto complementare, o integrante - in una presenza e in un'opera evangelizzatrice. E tra queste, scelgo l’esempio della scuola.. La struttura della Chiesa - unitamente ad una certa nostra mentalità - ha portato noi missionari a gestire direttamente un buon numero di scuole, con la condizione e l’obbligo che in esse sia impartito un tipo di istruzione che da tutti i competenti (e anche da molti di noi) è ritenuto come sostanzialmente contrario a diritti fondamentali dell’uomo, perché destinato esplicitamente ad imporre agli alunni (e non solo a loro) una cultura del tutto estranea alla loro, comportando così un violento sradicamento della persona dal proprio ambiente e la conseguente distruzione delle culture originarie. E noi ci siamo adattati e ci adattiamo, anche senza volerlo, ad essere strumenti di questo che è considerato un autentico male per la persona umana. 29 Né bastano a salvarci dalla collaborazione (materiale) a questo male gli "scopi" o i fini che, nelle nostre intenzioni, davamo a questo tipo di impegno ( = il fine non giustifica i mezzi); neppure bastano a salvarci, quei correttivi che alcuni di noi hanno cercato di inserire in tale tipo di insegnamento, e neppure gli aspetti positivi che pure in tale tipo di insegnamento si possono trovare ( per es.: 1'alfabetizzazione). Senza dire poi del miscuglio che abbiamo fatto - utilizzando questo mezzo inumano - per dare la cosiddetta catechesi; miscuglio che (nonostante le nostre buone intenzioni) fa sì che sia snaturata lo stesso annuncio esplicito del Cristo che questa gente ha diritto di attendersi da noi. 2) un altro esempio di queste conseguenze negative: il modo in cui questa struttura (e la mentalità da essa implicata) ci ha avviato ad usare dei mezzi più immediatamente materiali, come: costruzioni, macchine, motori, cinema, medicine, soldi, ecc. Personalmente ho l’impressione che il modo in cui abbiamo usato e stiamo usando questi mezzi è fatto con poca sensibilità alla situazione sociale, economica, culturale della gente in mezzo alla quale viviamo. Dobbiamo tener presente la nostra quasi assoluta incompetenza sul piano etnologico, sociologico ed economico (che nessuno può negare) e l'impossibilità concreta in cui ci siamo trovati finora di stabilire rapporti con centri, od organizzazioni, o persone competenti, per averne almeno sufficienti informazioni, suggerimenti, orientamenti. Questo (insieme ad altro) comporta il facilissimo pericolo (segnalato da tutti i competenti) di innescare nel corso dell'evoluzione di questa società africana, dei processi le cui gravi conseguenze negative - da noi forse difficilmente calcolabili e prevedibili - porteranno dei mali che non sono certo compensati dal bene immediato che noi intendiamo arrecare. E così, invece di porre dei germi di una autentica liberazione (come vorremmo e dovremmo), noi forse stiamo ponendo dei germi di ulteriori e forse più gravi schiavitù. Ma più immediatamente per noi, in quanto missionari, penso debba preoccupare il fatto che, con il modo in cui usiamo questi mezzi, forse stiamo imponendoci in modo troppo violento (almeno psicologicamente) alla gente d'Africa; stiamo impostando dei modelli di attività missionaria e di vita di Chiesa, che non mi sembrano adeguati alle possibilità reali di questa gente, rendendo così molto difficile (...impossibile?) di scoprire in tale opera evangelizzatrice e in tale vita di Chiesa, il vero volto del Cristo, la sostanza del Vangelo. Senza dire poi che mi è molto difficile vedere in questo modo di usare i mezzi, una adeguata verifica, da parte nostra, sul piano della povertà evangelica. 30 Il fatto di essere e di voler essere "missionari" e di voler fare i missionari, che sta a monte di tutta la nostra vita attuale, non è sufficiente per dare come scontato che tutto quello che facciamo e il modo in cui lo facciamo, sia evangelico, ecclesiale, missionario. 3) Senza portare altri esempi su questo punto delle conseguenze negative che comporta la nostra attuale struttura di Chiesa qui in Guinea, vorrei tentare di riassumerle un po’ tutte così: ho l’impressione che il nostro attuale modo di comportarci ed agire, divenga più una imposizione dall'esterno (anche se si tratta solo di un’imposizione psicologica) di un nostro progetto e piano di "liberazione", che non una proposta che porti questa gente a maturare dal di dentro e a scoprire da sé la propria "liberazione". 4) Il nostro compito - come Chiesa e come missionari - è fondamentalmente quello di indicare la "meta" verso la quale deve incamminarsi l’umanità; ma nello stesso tempo, il nostro compito è anche quello di mostrare il "cammino”. E questo non lo si può fare semplicemente proponendo una dottrina; esige un modo concreto di vivere, almeno come tentativo, come tensione. Senza questo "mostrare il cammino", viene meno anche l’indicazione della "meta". Ora, nel mio modo di sentire, la nostra presenza qui, per le deficienze sopra accennate, non sembra un mostrare un cammino autentico di Chiesa, ma piuttosto un mostrare un cammino che - non essendo adeguato né alla sostanza di ciò che è una vita da Chiesa, né alla situazione umana di questa gente - può diventare un cammino sbagliato. (Giulio Barlassina 1974) 31 Giulio Da una lettera ad un membro della D.G. (…) il tipo di vita che sto conducendo, che è quello di un lavoratore dipendente (fattorino e aiuto magazziniere), che vive solo, in un monolocale alla periferia di Milano, per essere economicamente indipendente da qualsiasi istituzione ecclesiastica. Ripeto che questa indipendenza economica è uno dei punti qualificanti della mia prassi e che quindi anche per il futuro – qualsiasi cosa possa capitarmi – l'Istituto non avrà alcun dovere nei miei confronti. La scelta di lavorare per mantenermi è conseguente alla scelta di mettermi in una situazione esistenziale che per me (e non necessariamente per gli altri!) fosse più consona alla situazione esistenziale della stragrande maggioranza degli uomini con i quali sto vivendo nel momento storico attuale; consonanza che risultava e risulta a me personalmente, data la mia storia e la mia formazione personale, molto difficoltosa (per non dire impossibile) continuando a vivere in tutti gli aspetti che la struttura ecclesiastica esige oggi dai sacerdoti e missionari (nota come abbia sottolineato "a me personalmente", in modo che sia il più chiaro possibile che io non ritengo che tale consonanza debba risultare difficoltosa per gli altri necessariamente come lo risulta per me). Tale scelta - che nel breve arco di vita che ancora mi resta mi sembra di dover ritenere praticamente definitiva – sono cosciente di averla fatta in seguito all'aver avvertito un'esigenza di spogliamento da parte delle strutture attuali della Chiesa (e, quindi, prima di tutti, da parte mia, che di quelle strutture mi sento parte vivente), perché la missione e il ministero presbiterale e. di conseguenza, la vita delle comunità cristiane, fosse il meno possibile difforme da quelle che a me risultano essere le esigenze evangeliche e dell'umanità con la quale stiamo vivendo. Direi - tentando di spiegarmi meglio - che il mio caso è assimilabile a quello di un missionario che avverte l'esigenza per sé (e non necessariamente per gli altri!) di una maggiore sottolineatura alla dimensione contemplativa da dare alla sua vita come membro di un Istituto missionario, della Chiesa e di tutta l’umanità e che, per rispondere a questa esigenza, ridimensioni la sua prassi cercando di mettersi in una situazione esistenziale che risponda più adeguatamente a questa sua esigenza e, quindi, abbandoni certi aspetti della sua attività che sente di impedimento a tale esigenza. Per questo aspetto molto soggettivo del modo di avvertire tale esigenza, non ho mai preteso, né mai pretenderò di identificare le finalità dell'Istituto con le mie scelte pratiche, come invece mi accusi tu di fare nel tuo scritto (non riesco a capire in base a quale mia affermazione). Semmai ho sempre cercato e cerco di vedere se e come le mie scelte pratiche possano essere consone con le finalità che l’istituto si propone (questo è il senso da dare alle mie espressioni in merito a questo argomento). (…) Bussero 11/4/1977 32 Missionari della Guinea riuniti nella Casa del Pime a Bissau in occasione dell’incontro comunitario di riflessione con Giuseppe Barbaglio (1974). Giulio in un incontro a Bissau 33 Una lettera di Giulio a Rita Gentile, amica di Siracusa, per tre anni volontaria in Costa D’Avorio Milano, 7/05/1986 Carissima Rita Ho veramente gustato la lettura della tua lettera. Mi hai fatto risentire (più che ricordare) l’atmosfera in cui mi sono ritrovato quando intrapresi la mia pur breve esperienza africana: la sensazione – al fondo dolorosa – dell’enorme distanza tra le culture, con il conseguente “muro” che tale distanza alza nella comunicazione tra persone;il senso di incapacità, di lentezza nel ricercare e soprattutto trovare gli spazi entro cui muoversi…; e, in particolare, il timore di “fare violenza” qualsiasi cosa si faccia. Penso che, col passare del tempo e con la prolungata dimestichezza con l’ambiente, riuscirai a trovare gli spazi entro cui muoverti e, da come ti conosco, penso che riuscirai anche a stabilire degli ottimi rapporti con la gente, anche se, - a mio parere – è ben difficile giungere all’amicizia (sempre a motivo della diversità di cultura). Ti auguro anche che resti sempre vivo in te il “timore” di fare violenza: la violenza culturale, secondo me, è sempre una delle peggiori violenze, perché di fronte ad essa la gente è disarmata e non può difendersi. Questo “timore” però non deve bloccarti; piuttosto dovrebbe diventare “l’anima” del tuo comportamento con gli altri. Coraggio, Rita. Sei ancora ai primo giorni ed è naturale che tutto ti risulti un po’ difficile e scabroso. Ma il tempo e l’esperienza e soprattutto il contatto sempre più profondo con le persone faranno venire anche a te il “mal d’Africa”. Ti pensiamo e parliamo di te frequentemente. Sentici uniti a te e continua a comunicarci la tua esperienza anche attraverso lo scritto. Un salutone caldo Giulio 34 Due lettere di Giulio a Mario Garofalo, studente di teologia in Bangladesh MILANO 07/02/84 Carissimo Mario la tua ultima lettera attende una risposta da un po' di tempo. La mia non vuole essere una risposta diretta alle notizie che mi dai di te, perché non mi sembra giusto esprimere sempre il mio parere sui fatti tuoi, perché essi sono vissuti da TE e in un ambiente e atmosfera che sono tanto lontani da quelli in cui sto vivendo io. Tali notizie però sono sempre tanto interessanti e stimolanti, perché mi tengono in unione con il vivere (e un vivere tanto intenso, anche se questo forse non risulta a tè) di una persona, di un amico. Forse anche tu non attendi da noi sempre una risposta diretta alle tue lettere; attendi piuttosto un'espressione di comunione, anche di sole due righe... La mia vita trascorre sempre nella quotidianità, che tu già conosci: casa, lavoro; ma il tutto riempito dalle persone con cui ho rapporti di amicizia. Sono questi rapporti che caricano di senso la mia vita, almeno immediatamente e per me, anche se - meno immediatamente e in un modo che può sfuggire alla mia coscienza e che accolgo solo per fede - il senso pieno viene e verrà dato da "altro". E' quanto, mi sembra, appare anche dalla storia presentataci dalla Genesi, che sto rileggendo in questi giorni con tanto gusto, proprio perché mi richiama in modo tanto vivo questa realtà della mia vita: da Adamo a tutti i Patriarchi, è proprio la quotidianità (che a noi può sembrare banale) che domina la storia ed è proprio in questa quotidianità che altri scoprono, nella fede, lo svolgersi del disegno dell'Altro. Purtroppo qui in Italia stiamo vivendo un periodo in cui non si è per nulla stimolati a sentire e a partecipare alla coralità del nostro vivere sociale; la crisi fa ritirare tutto e tutti come tante lumachine. Anche i sindacati ormai si stanno arrendendo completamente alle esigenze della classe dominante, facendo così pagare tutto a chi lavora e, peggio ancora, a chi non ha reddito. E' vero che paragonata alla situazione della gente con la quale stai vivendo tu, la nostra si può dire una situazione di grande ricchezza di fronte ad un'estrema povertà; ciò non toglie però la sofferenza per l'ingiustizia che chi non ha potere deve subire. Per non parlare poi del riflesso che, secondo me, anche la nostra situazione di ingiustizia ha e avrà sul piano mondiale, contribuendo ad aumentare il volume di ingiustizia che opprime l'umanità. Avrai ricevuto il "CHI?” che portava la relazione sull'incontro a Fontanella, simile a quello a cui hai partecipato anche tu. Al di là di quanto in essi si dice, questi incontri per me - e sono certo anche per gli altri - sono sempre fonte di gioia e mi caricano più che un corso di Esercizi spirituali di una volta... 35 I miei stanno tutti bene. Elisa ti avrà parlato di lei e di noi e dei... Siciliani. Stammi bene. BUON ANNO, per quel che resta ancora dell'84... Ti ricordo sempre e spesso parlo di te con l’Elisa. Ciao Tuo Giulio Bussero 14.4.1984 Carissimo Mario ti confesso che stavolta mi è duro mettermi a scriverti; è per questo che nonostante le insistenze de11'Elisa, ho tardato tanto a rispondere alla tua ultima lettera, che ho letto e riletto con una particolare partecipazione, quale era richiesta dai tanti problemi, vivi e reali, che in essa hai descritto tanto bene. Mi è duro, proprio per il tipo di problemi che ti assillano, di fronte ai quali sento tutta la mia impotenza, perché, per l'esperienza che io stesso ho fatto di fronte a problemi analoghi che ho dovuto affrontare e risolvere per me, sono convinto che qui l’apporto esterno serve ben poco, anzi c’è il rischio che tale apporto possa recare maggiore confusione e incertezza. Supplisce il fatto che, quando c’è un'amicizia profonda, tutto viene capito e ridimensionato, sia per chi scrive che per chi legge.... Ecco perché nonostante tutto, cerco di rispondere ai tuoi problemi, pur limitandomi ad esprimerti alcuni elementi di analisi, che sono già impliciti nell'analisi che tu tanto lucidamente stai facendo della tua situazione. Penso che 1'elemento determinante, più che altri, sia il fatto, che tu stesso hai constatato, che l'aggancio alle istituzioni esistenti resta ancora l’unica possibilità che permetta una presenza continuata in paesi come il Bangladesh. Solo 1'indipendenza economica, realizzata con un proprio lavoro, ti permetterebbe 1'indipendenza dalle istituzioni; ma in Bangladesh questo è attualmente (e chissà fino a quando) impossibile, non solo per te, ma penso per tutti. Purtroppo tale aggancio alle istituzioni sarà sempre molto limitante tante, soprattutto per uno come te. Si tratterà quindi di scegliere: o un compromesso (anche se il termine suona male, non significa però che indichi solo e neanche soprattutto "negatività.")con le istituzioni; oppure rinunciare alla presenza fisica 36 in Bangladesh per inserirti in altro ambiente più conforme alle tue esigenze e aspirazioni. Certo, nel caso della scelta di un compromesso bisognerà tener presenti e salvare assolutamente quelle esigenze, che tu ben segnali nella tua lettera e che io condivido in pieno. Per esempio: – quel tuo modo di sentire la religione come un elemento di divisione, tenendo presenti i grossi incrostamenti portati dalla storia e dalle culture sia in campo cattolico che in campo non cattolico; – quel tuo sentirti fortemente orientate ad una presenza "informale" che ti permetta un accostamento più "umano" agli altri; – quella "fame del tuo denaro" che avverti presente in quasi tutta la gente di lì, "fame" che è ben comprensibile e giustificabile anche, in situazioni come quella del Bangladesh e con un tipo di presenza dell'occidentale quale finora si è verificata. Si avverte dalla tua lettera che hai una sensazione molto forte di questi condizionamenti ed insieme una visione lucida del possibile blocco che essi ti porterebbero. Anche questo aspetto soggettivo (penso più che ad altri aspetti) è da tener ben presente in vista di una decisione. Mi sembra poi molto importante quanto ti dici riguardo ad una scelta “celibataria”. Proprio da quanto dici mi risulta che tale scelta non avverrebbe in te soprattutto per "germinazione del tuo intimo", ma per motivi piuttosto "istituzionali" (che pure sono validi, come lo sono stati per la grande maggioranza dei preti). Per questo penso che in vista di una decisione tu debba ben valutare 1'attuale orientamento della comunità cattolica (che durerà certo per tutta la tua vita) circa il celibato, le situazioni ambientali e soprattutto le tue più profonde e umane aspirazioni. Io sono convinto che un tuo "essere per gli alti" non dipenderà dal fatto che tu sia celibe o no. Penso che nella impostazione della nostra vita ciò che deve stare al primo posto sia il nostro "essere con gli altri". E’ a questo che dobbiamo continuamente rispondere, non alle attese (più o meno condizionate dalle strutture, dalle culture, dalle tradizioni con la "t" minuscola, dalle abitudini ecc.) né delle singole persona, né delle istituzioni più o meno sacre. Non possiamo pretendere di cercare - e tanto meno di trovare – la situazione migliore (sul piano umano) per tale risposta, che dipende – come valore – solo dall'orientamento intimo e di base della nostra personalità. 37 Sono però convinto che dobbiamo, per quanto possibile, evitare situazioni che possono bloccare o condizionare troppo la nostra risposta. E, al di là (o meglio: al di qua) di queste considerazioni "spirituali", sono del parere che nessuno di noi si possa permettere di scegliere condizioni di vita che possono, anche a lungo andare, rivelarsi "anti umane". Siamo stati messi al mondo per "vivere" e vivere in pieno,— per quanto possibile - la nostra vita umana. Altro elemento importantissimo da tener presente nell’impostare la tua decisione è il fatto che, come dici nella tua lettera, tu non condivida nè i metodi né soprattutto i principi su cui è impostata la presenza delle strutture di lì. Proprio per questo motivo io, a un certo punto della mia vita, non ce l’ho fatta più e mi sono deciso a ritirarmi. Non sentirti pressato e quindi non avere troppa fretta, per decidere. Cerca di tentare le varie vie che ti appaiono possibili per realizzare un'impostazione della tua vita secondo i tuoi ideali(per esempio, non credi che il Pime, dopo l’ultimo capitolo, non disponga di nuove possibilità, meno limitanti di quelle che ha avuto finora?). L'importante è che sia il "Mario" a decidere, in tutta la sua libertà. Sii sicuro della nostra (di Elisa e mia) solidarietà con te, qualsiasi possa essere la tua decisione. Per questa volta basta, anche se le cose da dirci restano ancora tante. Stammi bene; ti penso tanto e, come sempre, parliamo spesso di te. Buona Pasqua! Ciao! Tuo Giulio 38 Lettere di Giulio a Nino e Paola, due amici di Catania 29.10.1986 Carissimi Nino e Paola La lettera di Paola mi ha portato tanto dell’atmosfera in cui state vivendo la vostra avventura di amore, che è poi il cuore di tutta l’avventura della vita. Sono contento per voi e vi auguro che tutto – pur nel naturale sviluppo – continui così. Io sto passando n periodo di convalescenza – un mesetto circa –dopo l’intervento chirurgico per ernia inguinale. Tutto è andato molto bene, non ho sofferto nulla. Attendo ora di recuperare un po0 tutte le energie. Intanto mi sto godendo questi giorni. Raramente nella mia vita ho avuto del tempo così prolungato tutto a mia disposizione. Con l’Elisa in “pensione” sto passando veramente delle belle giornate. Nella lettera di Paola, chiedete un nostro parere circa il Battesimo della vostra bambina. Personalmente- quindi con tutti i limiti che vanno attribuiti ad una mia visione- ritengo molto difficile al giorno d’oggi, dare una risposta chiara al vostro problema. Tenendo presente il mio attuale modo di pensare circa la Chiesa e – soprattutto – circa la “fede”, io non darei molta importanza al “gesto sacramentale” in quanto questo compiuto qui (nella nostra comunità attuale) e adesso (cioè nel contesto immediato e più vasto in cui storicamente sta vivendo questa vostra “comunità”). Io darei molta importanza invece ad un cammino (= continua ricerca esistenziale) di “fede” di voi due, che avete dato l’essere fisico a questa creatura, e che continuate ad essere gli strumenti più immediati e più importanti per creare attorno ad essa l’atmosfera in cui crescerà,si svilupperà, e in cui liberamente si troverà a fare le sue scelte graduali. Perciò io penso che sia abbastanza indifferente fare il gesto sacramentale adesso o più tardi. Penso piuttosto che per voi due (cioè per i riflessi che ciò avrebbe sui vostri rapporti con la comunità in cui dovete vivere) potrebbe non essere molto “indifferente” porre subito procrastinare il gesto sacramentale. Perciò vedete voi, in base anche a criteri di convenienza umana. Vi attendiamo qui a Milano, in casa nostra ci state in tre. A risentirci presto. Saluti e tanti auguri Giulio 39 13.6.1989 A Nino Nino, nelle ferie dello scorso anno mi sono goduto Verga. In quelle di quest’anno mi sono goduto – e in misura ben maggiore – te, nel tuo Diario. Auguro che molti abbiano la stessa fortuna che ho avuto io – insieme ad Elisa – di leggere “tutto” (e non solo a brani, che pur hanno un proprio valore) questo Diario. Mi sento avvolgere da un’atmosfera di profondo ottimismo, che mi fa dire . la vita è sempre bella e sempre vale la pena di viverla, perché è piena della positività che tutte le persone in essa incontri. La vena di leopardiana malinconia che sottende un po’ tutto lo scritto, esalta la carica positiva del modo di sentire la vita nella concretezza dei suoi valori e nella sua quotidianità. Ti invidio lo “strumento di sensibilità, quell’alterna fine e captante” che la tua storia e la tua indole ti hanno permesso di forgiarti. E allo stesso modo invidio la tua capacità di espressione spontanea, sempre piena di novità che coinvolge alla semplice lettura. Grazie Nino per questo regalo che ci hai fatto, che si può contraccambiare solo con la continuità della fruizione di un’amicizia ricca come la tua e quella di Paola. Giulio Milano 15/01/90 Carissimo Nino una lettera come la tua fa toccare con mano 1'adeguatezza del tuo rilievo sulla diversità tra la comunicazione telefonica e quella epistolare. Occorrerebbe però che tutti avessimo la tua capacità di lasciare emergere i pensieri, che pure stanno dentro tutti noi, fino al livello dell’espressione verbale e, soprattutto avessimo la capacità di produrre lo "sforzo" necessario per esprimerli. E io, forse anche per giustificare la mia pigrizia congenita, avverto di non avere tale capacità, almeno nella misura in cui l’avete tu ed Elisa. E questo blocca il desiderio, pur tanto vivo, di "comunicare" con amici tanto ricchi quali siete voi e mi costringe a perdere una ricchezza, che avverto tanto grande. Ci hai rimesso in contatto con te e con il tuo mondo, che abbiamo avuto modo di “godere” già più di una volta e il cui ricordo (tanto frequente nei nostri discorsi) 40 suscita in noi tanta nostalgia. Grazie! La mia vita continua in quella che all'apparenza può risultare una monotonia, ma che al fondo avverto essere il frutto di una scelta, maturata nel travaglio di una ricerca per essere sempre meno "non autentico" e che perciò mi dà un certo senso di gratificazione. Ma è soprattutto la presenza e la comunicazione con Elisa che dà una pienezza di senso al mio vivere tra e con gli altri, perché dà ad esso la dimensione "personale", strappandolo dal rischio della semplice istintività o passività. E cosi posso dire che "sono contento". Gli aspetti negativi, che pure ci sono e si fanno sentire (specialmente nell'ambiente di lavoro), passano in secondo piano a fare da sfondo e contrasto, anch'esso non inutile, al quadro della mia esistenza. I miei congiunti (sorella, fratelli, cognate, nipote) stanno bene; il tempo e il rapporto fraterno hanno fatto superare bene lo shoc per la morte di Lino. Ho portato loro i tuoi saluti, che ricambiano. A te e a Paola vorrei far sentire forte il mio: "coraggio!", perche so quanto più complesso e faticoso del mio sia il "combattimento" che dovete affrontare voi. Alle bambine un bacione sonoro. Ai genitori e parenti tutti, un saluto e 1'augurio di buon Anno. Con affetto Giulio 41 42 ELISA MORIGGI Oggi sono 8 mesi che Giulio è tornato a Casa. Inizio a scrivere di Giulio con gioia ma anche con timore perché mi sento inadeguata e incapace di scrivere di lui… Lo avete conosciuto: parlava poco, di sé quasi mai, e quando gli facevo una domanda rispondeva in sintesi. Ricordo che all’inizia del nostro incontro, un giorno gli ho chiesto quale fosse il punto attorno al quale ruotava tutto il resto. Mi ha risposto: “io mi fido di un Altro”. Non voleva mai spiegare niente. L’ho conosciuto nella fase del “silenzio” : “Ho già parlato troppo, adesso basta”. Quando aveva preso la decisione di lasciare tutto, contemporaneamente aveva deciso di fare silenzio e ha mantenuto questo impegno, sempre, con tutti. Anche con me. Non ricordo di aver ricevuto “lezioni”, correzioni sul mio modo di fare o di esprimermi. Quando qualcosa non andava bene mi arrivava in silenzio, aspettava che io capissi. Ascoltava molto, si sentiva che seguiva tutto quello che si diceva, non dava mai giudizi su nessuno. Se si chiedeva il suo parere era sintetico, essenziale. Aveva idee chiare, ma se non era direttamente interpellato, ascoltava. Come e quando ho conosciuto Giulio Quando ho iniziato a frequentare il PIME, Giulio era partito per la Guinea Bissau; non l’ho mai visto prima della sua partenza. Avevo sentito molto parlare di lui dai seminaristi, dal gruppo che allora frequentava il secondo anno di teologia. Ricordo bene un particolare. Maggio 1974: ero a Macapà, quel giorno mi trovavo in una Parrocchia , insieme ad Angelo Da Maren, Luigi Carlini e Sandro Gallazzi; arriva il Giovanni Gadda e dice: “Sapete l’ultima? Giulio Barlassina lascia la Guinea e il Pime”… In maggio sono tornata da Macapà e lui pure è tornato, dalla Guinea. Non ho più saputo nulla di lui per diverso tempo fin quando Franco Lacchini mi disse che potevo mandare anche a Giulio Barlassina il CHI. L’incontro, quello vero è stato a Bussero dopo cinque anni, esattamente il 17 febbraio 1979. Quel giorno ho trovato una persona che tutti vorrebbero incontrare, come amico, maestro, compagno nella vita. Abbiamo camminato insieme per 32 anni aiutandoci, ascoltandoci, imparando a convivere con i nostri caratteri – sotto certi aspetti – opposti. Avevamo gli stessi principi e indirizzi, le stesse scelte – fatte le debite proporzioni –: io che gli stavo appresso, e lui che faceva da guida. Lasciavo che lui prendesse per se stesso le decisioni che riteneva più giuste, io mi adeguavo. E’ sempre stato molto sereno, non ha mai avuto ripensamenti in merito alla sua decisione. Aveva passato anni a maturare questa scelta. Dai documenti risulta chiaro il motivo che l’aveva portato a fare questo passo. 43 L’unica sofferenza, vera sofferenza, era nel rapporto dei suoi familiari con la sua scelta fatta. Non ne parlava, ma sentivo la sua sofferenza nel saperli in paese e che venivano coinvolti nel giudizio, senza conoscere i motivi per i quali aveva lasciato il sacerdozio.. E’ sempre stato molto legato ai suoi: fratelli, sorella, cognate, nipote. Si sentiva voluto bene da loro, ma non poteva evitare loro il disagio per la scelta fatta. Nel 1984 ho trovato un appartamento a Milano abbastanza comodo per arrivare al lavoro, era impiegato di magazzino in una ditta di S.Donato; e’ rimasto sino all’età di 62 anni. Dopo 18 anni di lavoro aziendale è andato in pensione. Il 1° ottobre 1998 ci siamo sposati a Milano nella chiesetta di Nosedo, della Parrocchia dove abitavamo. Questa decisione è stata presa da Giulio e da me subito condivisa, tutto si è svolto nel riserbo e nel “silenzio” come Giulio desiderava. La storia ci stava preparando affinché io potessi aiutare e assistere Giulio durante tutto il periodo della sua malattia. L’anno successivo – il 1999 – ha fatto la prima risonanza magnetica. Non si riusciva a trovare la causa del suo camminare rallentato., non aveva alcun disturbo ma camminava sempre più lentamente. Dalla risonanza risultò che aveva avuto dei piccoli infarti nella zona del cervello che presiede al movimento delle gambe. La causa era da imputare alla pressione che aveva degli sbalzi, questi picchi hanno procurato le ischemie. Non sapevamo della sua ipertensione, si trattava di episodi improvvisi. Questo è stato l’inizio della sua invalidità. Per sei anni il declino è stato lento, abbiamo vissuto una vita normale. Abbiamo fatto vacanze in Sicilia dove io già conoscevo tanti giovani incontrati nei campi di lavoro al Pime di Mompilieri. Per loro conoscere Giulio è stato molto bello. Per noi e per loro è stato importante. Questi amici hanno lasciato un’impronta significativa nella nostra vita, amicizie che ci hanno accompagnato negli anni e durano tutt’ora. Dopo sei anni, alla fine del 2005 Giulio non riesce più a camminare, non sta più neanche in piedi se non sorretto. Inizia la sua vita da seduto: poltrona, carrozzina. La casa è senza ascensore ed è necessario un apparecchio montascale. Non me lo danno se non c’è una persona, un uomo che si prende la responsabilità. Ricorriamo all’amico Franco Lacchini che a sua volta insegna a diverse persone che, quando serve il loro aiuto, a turno si rendono disponibili a far scendere e risalire le scale al Giulio. Da questo periodo inizia un rapporto quotidiano con persone che vengono ad aiutarmi. Abbiamo avuto la fortuna di stabilire dei rapporti molto belli e trovare sempre le persone giuste al momento giusto secondo le varie esigenze. Dal vicino di casa – Giovanni – di qualche anno più anziano di Giulio, che veniva a orari fissi tre, quattro volte al giorno per 44 aiutarmi ad alzare e spostare Giulio. Poi man mano che il tempo passava e i disturbi aumentavano, la squadra si allargava. Erano tutti molto affezionati a Giulio, si sentiva che lo aiutavano con amore e lui sapeva ripagarli col sorriso e tanta riconoscenza. Per lui andava sempre tutto bene. Per diversi anni, fino al giorno del suo ricovero, ha frequentato tre volte la settimana, il Centro Diurno della Casa di Riposo vicino a casa nostra. Lì passava la giornata, gli facevano della terapia, stava in compagnia di persone…non andava sempre volentieri, ma almeno usciva un po’ da casa. Io lo raggiungevo a pranzo per farci compagnia e aiutarlo. Ombre e luci Giulio ha vissuto un periodo con la difficoltà della confusione, ricorrente. Aveva frequenti episodi di ricordi del passato. Non sempre riuscivo a calmare la sua ansia e soddisfare le sue richieste. Quando il problema riguardava i ricordi di Bussero e non riuscivo a convincerlo, lo facevo parlare al telefono con la sorella; quando riguardava qualche persona del Pime che doveva contattare per i suoi libri, per le cose che doveva ritirare, ricorrevo a Franco Lacchini, sempre disponibile ad ogni ora, che riusciva sempre a trovare il modo di calmarlo. Quando si rendeva conto della sua confusione ne soffriva e io con lui. Di solito questi episodi si ripetevano la sera o la notte; passavo il tempo vicino a lui parlando perché si mettesse tranquillo. Nella normalità ritornava sereno e in pace. Mi ha molto colpito quando mi disse: “gli altri non vogliono che io mi esprima così come sono. Ma io sono stanco di fare lo schiavetto, di fare sempre quello che vogliono gli altri”. L’ho lasciato dire senza chiedere spiegazioni. Il giorno dopo ho ricordato a lui quello che mi aveva detto e ho chiesto a che periodo della sua vita si riferisse. Mi ha risposto: “il periodo prima del nostro incontro”. Sulla stessa lunghezza d’onda, nello stesso periodo, in un momento di confusione mi ha detto che si sentiva preso a schiaffi da tutti, che aveva sbagliato a fare il prete: “chissà quanto male ho fatto, quanto ho sbagliato con le persone, ho sbagliato tutto nella mia vita”. Gli ho ricordato quanti e quanto gli hanno voluto bene, tutti quelli che lo avevano conosciuto. Ho anche domandato: “hai sbagliato anche a volermi bene e a stare con me?”. “No. Questa è l’unica cosa giusta che ho fatto”. Una sera avevo insistito perché rimanesse in poltrona con le gambe sollevate perché aveva i piedi gonfi; avevo insistito un po’ senza ottenere risultati, non mi ero arrabbiata ma ero un po’ preoccupata… quando l’ho messo a letto mi disse: “sono stato motivo di disarmonia fra me e te questa sera”. Le contraddizioni non le sopportava, sentiva e capiva anche quello che non dicevo. 45 Spesso entrava e usciva dal tempo reale, il passato e il presente diventava un tutt’uno; gli ho fatto notare che era come un Angelo, fuori dal tempo. A una persona che gli chiedeva come stai, risponde “sono disperso”. Diventava man mano sempre più sensibile, viveva nella normalità, a un livello più profondo. Nel 2009 ha iniziato la riflessologia, una terapia che attraverso i massaggi ai piedi riattiva energia nei vari organi. Una volta la settimana veniva Adriano, questa terapia risultava man mano molto efficace; nel tempo diminuivano gli episodi di confusione e quando avvenivano erano più leggeri, riuscivo a calmarlo e riportarlo alla realtà più facilmente. Adriano è stato accolto da subito come un amico prezioso, c’è stato subito da parte di Giulio una grande apertura, è stato uno di pochissimi ai quali abbiamo raccontato di lui e delle scelte fatte. Mi ricordo un episodio, fra i tanti: un giorno mentre massaggiava un punto del piede, Adriano chiede “Giulio ti ho fatto male?”.Giulio risponde prontamente “se non pensi male di me non mi fai mai male”. Un altro episodio significativo di come sentiva la realtà dentro di sé. E’ sera tardi, vigilia del mio compleanno. Giulio ha forti dolori addominali, sono in difficoltà, chiamo la guardia medica, temevo il ricovero…siamo all’inizio di agosto. Telefono a Enrico, un mio amico medico, che abita fuori Milano per un consiglio. Già averlo trovato è un mezzo miracolo. Mi dice cosa devo fare, se non passano o dolori, è necessario il ricovero. Ogni mezz’ora mi telefona per seguire la situazione. Man mano i dolori diminuiscono e passa la notte senza più problemi. La mattina Enrico viene a vederlo….tutto si è risolto. A questo punto dico a Giulio ridendo: “questo sarebbe il tuo regalo per il mio compleanno?” immediata la risposta: “mi ha dato così a te il Signore”. Questo era Giulio, sempre imprevedibile, sempre un po’ più in alto. Una sera era a letto da un po’, mi chiama: “Elisa ho voglia di sentirti, metti le tue mani sopra la mia testa”. Così ho fatto, dopo un po’ mi dice “che consolazione avere vicino una persona che fa tutto quello che mi serve..” Quella volta mi ha molto commossa, mi è passata tutta la stanchezza della giornata e avrei voluto fare cambio con lui, se avessi potuto. Nonostante diventasse sempre più bloccato nei movimenti era preoccupato per me, s’accorgeva quando ero molto stanca o in pensiero per le varie situazioni che si presentavano; una sera mi dice “ sei triste? Qualcosa ti preoccupa? Avresti bisogno di qualcuno che ti fosse vicino e ti sostenesse, su cui contare. Io invece sono così e tu sei sola”. Nella sua grande sensibilità soffriva più per me che per se stesso. Una sera mi dice “dammi un po’ di consolazione”. Io come facevo di frequente lo abbraccio e chiedo “cosa posso fare per consolarti?” e lui 46 “così va bene”. Mentre poi lo preparavo per la notte con un po’ di fatica a causa della sua immobilità, mi dice “tu ti meriti il Paradiso” e a me è venuto da dirgli “non so se il Paradiso, adesso mi merito Giulio, ed è un tesoro”. Mi sono ricordata del suo affermare “mi fido di un Altro”. Un giorno considerando che non era più in grado di alzare le braccia e di toccarsi il viso, difficoltà a mangiare da solo alcune cose, mi è venuto spontaneo dirgli “non solo spiritualmente, ma per ogni cosa ti fidi di un altro, ti fidi per tutto di me..”, mi ha risposto col sorriso: “è vero!”. Questa consapevolezza era sempre presente e gli faceva accettare qualsiasi difficoltà con tanta serenità e senza mai cercare problemi. Andava sempre bene tutto quello che io o altri facevano per lui, abbandonato, silenzioso, docile, al suo posto. Anche quando non riusciva a fare quello che chiedevo - io lo stimolavo perché reagisse – si dispiaceva di non riuscire, ma mai si ribellava o mi rimproverava. Una volta che non riusciva ad aprire la mano perché potessi lavargliela, indicandomi la testami guarda dicendomi: “non faccio in tempo a dare l’ordine” Qualche volta mi diceva che era stanco, gli mancavano le forze pur stando in poltrona o sdraiato. Un giorno che mi diceva la sua stanchezza, gli ho chiesto se desiderasse andarsene in Paradiso. Mi ha detto “sì, ma io penso a te”. Gli ho risposto “non devi, io mi arrangio e poi vengo presto, anch’io sono vecchia; stiamo sereni, in pace, non sappiamo cosa sia meglio per noi, lasciamo che avvenga quel che è giusto”.mi ha risposto “così è giusto”. Da sempre l’argomento morte è motivo delle nostre conversazioni quando si presentano le occasioni, non solo adesso che è ammalato. Dopo la Comunione che ci veniva portata la domenica, il giorno di Capodanno domando a Giulio: “cosa hai chiesto al Signore per il nuovo anno?” “mi faccia essere umile, aperto alla sua Grazia” L’ultima tappa 2 marzo 2011. Giulio è al Centro Diurno. Come al solito lo raggiungo per il pranzo. Lo trovo che non sta bene, le assistenti mi confermano che è tutta la mattina che non respira bene. Lo porto a casa e lo metto a letto. Quando è a posto mi dice con un viso sereno: “ se potessi ti abbraccerei forte per dirti quanto ti voglio bene”. Rispondo: “”anch’io te ne voglio tanto e vorrei portarti via la tua sofferenza”. Giulio: “già fai tutto quello che mi serve, questo è un momento difficile. Sono tanto contento di averti incontrata”. Poi si è assopito. Non sapevo che questo sarebbe stato il suo saluto. 47 La sera, quando l’ho alzato, faceva tanta fatica a respirare. Ho telefonato al medico alle ore 20 e gli ho fatto sentire come respirava. Mi ha detto: subito in ospedale! Ricoverato con l’ossigeno al pronto soccorso dell’Ospedale Maggiore, il più vicino a casa, è iniziato l’ultimo periodo. Al pronto soccorso, nell’atmosfera di emergenza e insicurezza, dopo un po’ che aspettavamo di capire cosa avrebbero deciso dopo visite e radiografie, chiedo a Giulio: “di cosa senti bisogno?” Mi risponde “un po’ di familiarità”. Era proprio quello che mancava lì, il sentirsi “persona”. Sono venuti a dirmi che era molto grave. L’ho lasciato verso mezzanotte. Il mattino dopo era in reparto – medicina intensiva. Mi hanno avvertito della gravità: broncopolmonite e pleurite, senza febbre. L’ho trovato – e sarebbe sempre stato- seduto sul letto, con cuscini che lo tenevano sollevato, con ossigeno. Giulio, sei triste? “no, perché dovrei?” Gli amici del CHI? hanno seguito il decorso di questo periodo perché Franco L. inviava e.mails con le notizie. Come sono state consolanti per me e per Giulio le espressioni di affetto e le preghiere degli amici “pimini” che arrivavano dal mondo in risposta alle notizie che Franco mandava via e.mail. Per Giulio sono sempre stati gli amici, le persone che più ha amato e che ricordava con grande affetto. Era sempre stata una gioia rivederli quando venivano a trovarlo. Io restavo con lui tutto il tempo e negli orari concessi. I primi giorni potevo dargli da mangiare cose che poteva deglutire, poi hanno messo un sondino nel naso perché tutto quello che ingeriva poteva finire nei bronchi e peggiorare la situazione. E’ sempre rimasto grave. Stava molto tempo con gli occhi chiusi anche se capiva e rispondeva. Il 5 marzo è venuto Dell’Oro a trovarlo e con aria scanzonata chiedeva a Giulio: “hai tutte le carte in regola per andare in Paradiso”. “Non credo”. “Allora non ti fanno entrare, non ti danno il permesso di soggiorno, ti mettono in un centro di accoglienza…Aspetta, non ti conviene andare adesso”. Giulio ride. E’ sempre più grave. In un momento di sollievo gli dico “non pensare a me, lasciati andare, non avere paura, sei stanco, non fare resistenza, abbandonati. Io ti accompagno qualunque siano le tue scelte, sia che vuoi rimanere, sia che vuoi restare”. Mi risponde “ci devo pensare”. La domenica 23 ha avuto una giornata bellissima. Era sveglio, attento, presente. Il pomeriggio erano presenti Franco L. e la moglie Grazia, anche loro hanno goduto con me questa situazione. Abbiamo preso accordi con lui per la funzione dell’unzione degli infermi, verificando la possibilità che Giovanni Gadda potesse venire il giorno seguente…la sera non sarei più venuta via dall’ospedale per non perdere questa situazione di 48 miglioramento: arrivata sulla porta mi sono voltata, lui mi stava osservando: ricordo ancora il suo sguardo. Il giorno dopo non era più così, è stato sempre con gli occhi chiusi e assente. E’ venuta per l’ennesima volta la nipote Simonetta, veniva a vederlo quasi ogni giorno, così come sono frequentemente venute le cognate e anche la sorella Carla, pur con tanta difficoltà a camminare. Sono arrivati Giovanni e Franco per l’Unzione degli infermi e la Comunione; ma lui non ha dato segno di essere presente, non ho più potuto comunicare con lui. Sono tornata a casa la sera, senza mai lasciarlo con il pensiero. La mattina mi hanno telefonato di andare che stava male, ma quando sono arrivata era già partito per tornare alla casa del Padre. Grande la pena per non essergli stata vicina la momento della sua partenza, anche se non mi sono mai allontanata da lui spiritualmente. Il giorno del suo funerale (senza messa perché era venerdì di quaresima, liturgico) è stato un ritrovarsi di amici attorno a Giulio. Era come se li avesse convocati, dopo tanti anni, e avesse dato loro l’opportunità di rivedersi. E’ stata la caratteristica di quel giorno, la meraviglia e la gioia di rivedersi con Giulio. Da qui il bisogno di rincontrasi con più tempo per “raccontarsi”. Sono venuti in tanti, parenti, amici, alcuni del Centri diurno. La Chiesa era gremita di gente (con la meraviglia del Prevosto che non lo conosceva perché da pochi anni in parrocchia: dalle persone, dalle parole di Giovanni Gadda non riusciva a capire bene chi fosse questo Giulio…) Giulio mi manca sempre perché non lo posso vedere, sentire,condividere e godere della ricchezza che mi comunicava, una presenza sempre positiva. Ma è davvero sempre con me, lo sento, e non è una fantasia. Adesso è nella “gioia”, nella luce e nella pace; e mi comunica tutto questo. Quante volte l’ho sperimentato. Nel dubbio dì cosa decidere, di come comportarmi, di cosa scegliere nelle varie situazioni mi ritrovo con delle intuizioni che poi si rivelano giuste e opportune. Sono sola, anche se ho vicino molte persone amiche, la vita di tutti i giorni è solo mia. Giulio, vi assicuro, è sempre con me, basta che mi sintonizzi sulla lunghezza d’onda e la comunicazione è immediata. E’ diventato uno stato d’animo. Tutto quello che ho scritto di Giulio con me è una parte della nostra storia. Nel suo “silenzio” era molto eloquente, bastava vederlo vivere nella quotidianità per imparare. Mi ritengo privilegiata di aver vissuto una parte della mia vita con lui, e adesso di continuare, in modo diverso ma sempre reale, a ricevere gioia, luce e pace. Elisa 49 PADRE ERMANNO BATTISTI Di P. Giulio Barlassina io ho soltanto ricordi buoni e grati. Durante gli anni di teologia è stato mio professore di Sacra Scrittura. Ce la metteva tutta per farci capire e assimilare la sua materia, lasciandoci anche sempre una quantità di appunti scritti e ciclostilati, con notevole sacrificio, apposta per noi studenti che apprezzavamo questo suo impegno, ma, ahimè, non c’era solo Sacra Scrittura da studiare, per cui non avevamo sempre il tempo sufficiente per approfittarne e prepararci bene, come sarebbe stato suo e nostro desiderio e come si sarebbe anche meritato. Certamente non poche volte è rimasto un po’ deluso e rattristato, ma mi è anche sembrato che accettasse tutto con comprensione e anche rassegnazione. Arrivato in Guinea-Bissau, alla scadenza del mandato di P. Mario Faccioli, è stato eletto “Superiore regionale”, ma ha accettato solo a condizione che il P. Faccioli continuasse a lavorare con lui “in tandem”, come di fatto è stato, con l’approvazione della Direzione Generale del PIME. Penso che abbia chiesto questo particolare sistema sia perché aveva fiducia in P. Faccioli come uomo e come superiore e voleva che lo si sapesse, sia perché per lui quello del superiore di tutta una missione era un compito completamente nuovo, in un tempo particolarmente difficile, segnato dalla guerra di liberazione dal giogo coloniale portoghese e dalle attese di imminenti nuovi tempi anche nell’ambito stesso della missione. Per di più il P. Faccioli era un uomo con molta esperienza di vita missionaria, anche in campo pratico, mentre a P. Giulio, che proveniva dagli studi e dall’insegnamento, questa esperienza non l’aveva. Comunque l’abbiamo votato volentieri perché ci è sembrato la persona più adatta e credo che non ci siamo sbagliati. Io, in quel tempo, ero rettore del seminario minore diocesano, con l’incarico della costruzione della struttura stessa del seminario. Ogni tanto veniva a trovarmi e condividevamo le nostre idee sull’evangelizzazione e sulla formazione dei seminaristi, in un dialogo positivo e fruttuoso. Un giorno mi disse che era suo desiderio lasciare l’incarico di Superiore e tornare in Italia e di prepararmi, perché la scelta del nuovo superiore sarebbe caduta su ci me, come poi di fatto è stato. Cascai dalle nuvole, ma, a causa del rispetto e della fiducia che sentivo per lui, non gli chiesi nessuna spiegazione, ma accettai rassegnato e anche un po’ rattristato. 50 Qualche anno più tardi lo rividi in Italia, a casa sua. Mi ci aveva portato P. Amilcare Giudici. Mi chiese tante cose sulla situazione della nostra missione. Ebbi l’impressione che avesse un po’ di nostalgia. Quando, in Guinea-Bissau, scoppiò la guerra civile, io mi trovavo in Italia. Mi chiamò al telefono per sapere le ultime notizie, in modo particolare, quelle che riguardavano la missione, i missionari e la popolazione in fuga dal conflitto. Mi inviò, mi pare per mezzo di bonifico bancario, una grossa somma da inviare in Guinea-Bissau per i soccorsi più urgenti. Cosa che ho fatto volentieri, ma anche colpito dalla sua generosità. Non lo rividi più, sia perché ero tornato in Guinea-Bissau, sia, poi, dopo il mio ritorno in Italia, perché P. Amilcare non c’era più a portarmi, e anche per i sopraggiunti problemi miei di salute e il mio successivo spostamento a Roma. Mi è dispiaciuto molto. Negli ultimi anni non ho mai osato telefonargli perché mi avevano detto che stava male e non volevo disturbare. Solo gli mandavo regolarmente le mie circolari, con buone notizie e un’aggiunta personale di amicizia per lui. So che ha sofferto molto, ma anche in questo mi è sembrato positivo: si è tenuto la sua sofferenza per sé, senza mai lamentarsi con nessuno, ma cercando e trovando in essa un’occasione per rinnovare la sua vita e purificarla nelle mani paterne di Dio. Adesso che ci ha lasciati, lo ricordo con nostalgia, come una persona a cui devo molto, perché per me è stato un modello di amore alla Parola di Dio, una persona coscienziosa, sempre amabile, di dialogo e in tutto rispettosa verso gli altri, sinceramente interessata all’evangelizzazione e a un contributo serio per venire incontro alle varie necessità della popolazione e anche dei confratelli. Insomma, una persona fatta per essere, oltre che maestro e modello, anche amico discreto, fedele e costruttivo, nei giorni felici e in quelli infelici. Padre Ermanno Battisti Missionario del Pime in Guinea Bissau 51 GUGLIELMO SPADETTO Giulio l’ho conosciuto in Teologia a Milano. Allora era cerimoniere. I nostri rapporti in quegli anni passati assieme sono stati abbastanza superficiali,come di persone che si vivevano accanto ma che avevano poco da dirsi. Ci siamo rincontrati a Roma, tutti due studenti presso le Università Pontificie. Rapporti di vicini di stanza, colloqui su alcuni spunti pastorali per i luoghi nel quali passavamo la domenica, e alle volta analisi politiche condivise. E’ a Milano, tutti e due professori in Teologia, che il rapporto tra noi si è approfondito e piano piano si è venuta a strutturare un’amicizia forte e leggera allo stesso tempo, dovuta più che tutto a quanto pensavamo sulla fede, chiesa, rapporti chiesa-mondo. Una condivisione vissuta e sofferta. Vicini di stanza, ricordo il nostro parlarci, a voce alta da stanza a stanza, il nostro scherzare, il nostro prenderci in giro quasi per riempire di vivacità i giorni noiosi di studio continuo e di preparazione di lezioni. Una amicizia di “compagni”, condannati allo stesso ritmo di vita: studio e lezioni…lezioni e studio. Ma fu quando presi la mia decisione di chiedere la dispensa per sposarmi che entrai nella intimità con Giulio:egli mi fu amico caro e delicato. La mia fu una decisione sofferta, intercalata da momenti di chiarezza, di dubbio, di paura e di angoscia. E Giulio (con altri amici e mi piace ricordare il comune amico Padre Campodonico), mi fu attento e coraggioso amico e consigliere, ascoltandomi e comprendendomi. Ricordo bene le sue parole: “ non bisogna mai aver paura di prendere decisioni, in qualsiasi periodo della propria vita, quando si è consapevoli che occorra cambiar strada”. Il suo fu un aiuto forte e io lo sentii e lo interpretai come voce di Dio. E le nostre strade si divisero. Prima di andare in Africa Giulio venne a trovarci a Udine, dove vivevamo in una comunità con giovani afflitti da diverse sofferenze. Dopo lunghi anni di silenzio lo ritrovai ammalato a Milano. I nostri incontri sporadici (data la distanza che ci separava) sono stati sempre profondi anche se le parole erano poche. Esse però avevano il timbro delle incisività. Ma al di là delle parole è stato il modo di essere di Giulio nella malattia che mi ha toccato e per questo le sue poche parole avevano la forza di colpirmi. Per me Giulio è stato, oltre che un amico, un “uomo di Dio”, che con la sua vita e la sua serenità diceva fiducia e abbandono,. Egli mi ha svelato un certo modo di essere di Dio. 52 Conosco molto poco del suo intimo travaglio che lo ha portato là dove lo ho ritrovato, ma di una cosa sono sicuro, conoscendolo: egli ha cercato con serenità ed umiltà la volontà del suo Signore. Ora, Giulio, vedi l’altra parte del Regno sulla quale io mi sono tanto scervellato. Sento che mi dici, come quando mi rassicuravi sulla mia scelta:” non pensare troppo. Tutto è pace e amore di tutti, tra tutti”.E mi piace terminare queste poche righe ricordando quanto un giorno, durante la tua malattia, parlando delle Ultime Cose, circa l’Inferno mi dicevi. “Che Dio sarebbe con un inferno vicino. Allora Dio non sarebbe Dio!”. Guglielmo Spadetto Udine 53 CARLO TRADATI Carlo Tradati, prete nella comunità di base di Borgo Est Operaio in una cooperativa della centrale Enel di Tavazzano Fondatore di una comunità di strada che accoglieva persone in difficoltà San Giuliano Milanese 18/3/2011 Cara Elisa Queste mie poche e semplici parole vogliono significare condivisione, conforto e vicinanza in un momento per te di sofferenza. In Giulio ho trovato la gioia e il privilegio di conoscere una bella figura di uomo saggio, amante della Parola, attento ad ascoltare, accogliente. Ho sempre conservato gelosamente nel mio cuore la sua delicatezza, le sue parole, la sua disponibilità nell’aver accolto me e alcune persone della Comunità di Borgo Est nella sua casa di Bussero in un momento delicato e difficile per me e per la stessa Comunità. Ora un uomo così non può che essere in compagnia con i fortunati abitanti la casa del Padre di tutti. Perché, come Paolo, anche Giulio “…ha combattuto la buona battaglia, è arrivato al termine della sua corsa, ha conservato la fede…. Ora gli spetta il premio della vittoria: il Signore che è giudice giusto, gli consegnerà la corona di uomo giusto” (2Tim 4,6-8) Un saluto e un abbraccio don Carlo Tradati Quartiere Serenella, San Giuliano Milanese 54 ENNIO PIRONDI La prima volta che ho incontrato Giulio – nel 1967, a Monza – avevo 22 anni, ed ero entrato nel PIME come “vocazione adulta”. Lasciavo, dopo otto anni, il lavoro, l’impegno nella parrocchia ... e la famiglia. L’anno precedente avevo completato i miei studi – all’Istituto Tecnico serale – diplomandomi perito elettrotecnico. Avevo, per quei tempi, un buon lavoro, presso quella che oggi si chiama AMSA, ma cercavo qualcosa che mi permettesse di “essere utile” anche agli altri, non solo a me stesso o alla mia famiglia. La testimonianza di un giovane prete entusiasta – d. Stefano Maldifassi – mi ha indirizzato verso il PIME. Grazie a lui, i racconti di vocazione dei profeti, di Abramo e di Mosé, sono diventati un invito che sentivo rivolto anche a me: «Vattene dalla tua terra, dalla tua parentela, e dalla casa di tuo padre, verso la terra che io ti indicherò» (Genesi 12,1). Oggi, verso la fine dei sessant’anni, riconosco l’ingenuità del mio atteggiamento ... ma allora avevo la vita davanti, e non ci ho pensato troppo a lasciare tutto, senza nessuna rete di sicurezza. Qualche mese dopo il mio ingresso a Monza, ci ha pensato Giulio a rimettere i piedi per terra a chi, come me, amava ascoltare – e magari ripetere – testi entusiasmanti, senza rendersi conto del loro reale significato. In una delle sue “chiacchierate” nutrite di sana cultura biblica – commentando il testo della vocazione di Abramo, nell’aula di fisica – ci ha sottolineato un fatto elementare, ma sconvolgente per me: Dio, ad Abramo, non ha telefonato! Abramo ha dovuto fare tutta la fatica per capire cosa volesse effettivamente Il Signore da lui! Da quel momento, il Dio “troppo vicino” dei profeti e di Abramo è diventato – per me – qualcosa come il “motore immobile” di Aristotele. Il consiglio, discreto, di Giulio, la vicinanza degli amici ed una certa resistenza ad accettare fino in fondo le conseguenze di quella rivelazione, mi hanno trattenuto nel PIME ancora per un po’. Sono rimasto due anni a Monza. Poi, l’ingenuità di confessare ai superiori il mio disagio a diventare “funzionario di un’organizzazione religiosa”, e l’anno di Firenze (1967-68), hanno prodotto il risultato inevitabile: sono stato rispedito a casa, senza troppi complimenti. Da qualche anno ho compreso che aveva visto giusto chi mi ha rispedito a casa, piuttosto di chi mi aveva incoraggiato a lasciare tutto, per entrare nel PIME ... ma allora, questo fatto mi ha posto brutalmente davanti a qualche problema: non avevo un lavoro, non potevo rientrare a casa perché mio padre non aveva mai accettato la mia decisione, e dovevo ancora fare il militare. Per farla breve, tutto si è risolto con una ragionevole riduzione del danno. Gli amici rimasti nel PIME mi hanno sostenuto economicamente e moralmente 55 nel periodo del militare, ed al ritorno ho applicato un principio della dottrina sociale cristiana: l’autonomia economica è la garanzia della libertà personale (Pavan, attraverso Simonut). Quella fase si è chiusa con il mio matrimonio, nel 1971, a cui erano presenti Renzo Milanese e Fulvio Aurora. Con i quali sono rimasto in contatto anche successivamente. Per anni non ho avuto altri contatti con gli amici del PIME, fino a quando – credo nel 1983 – ho incontrato di nuovo Giulio ad un convegno di Servitium. Da allora, attraverso il chii cartaceo e, successivamente digitale, il rapporto con gli amici della “bella gioventù” non si è più interrotto. La presenza di Giulio, nella sua discrezione, ha costituito il centro di aggregazione di un rapporto che non è mai stato l’adunata dei “reduci”. Dio, continua a non telefonare, ed ho qualche difficoltà a rivolgermi a Lui, che spesso non “sento vicino”. Ho imparato che non si può vivere della fede degli altri ... ma la credibile testimonianza di qualcuno che conosco, mi mantiene aperta la possibilità di scorgere anch’io, un giorno, il Suo volto. Nella mia vita, e negli ambienti “cristiani”, ho incontrato tante persone. Con diverse ho un debito di riconoscenza, altre hanno formato le mie competenze teologiche. Poche persone mi hanno insegnato qualcosa di veramente decisivo per la mia vita: Giulio è una di queste. Grazie Giulio, per la tua leggera presenza. Ennio Pirondi Milano 56 GIOVANNI ZONTA Il mio ricordo di Giulio parte dal liceo, ed anche se non ero un suo assiduo frequentatore, è rimasto presente sempre anche ora più vivo che mai. Da lui ho capito finalmente cosa si intende per “Comunione dei Santi”. Ero forse in 3a liceo, e si discuteva sulle messe fatte dire in suffragio dei morti. Lui spiegò a cosa servivano. Non erano per il singolo, ma le preghiere, le azioni caritatevoli, il bene che si faceva, faceva sì che tutta la Chiesa, compresa la chiesa purgante, ne risentisse. Il bene si diffondeva ovunque sia in cielo che in terra, perché eravamo un tutt’uno. Per questo sento Giulio presente vicino a me, per questo cerco di seguire il suo esempio: tacere e testimoniare, rispettando tutti. Come lui, mi sono ritirato da qualsiasi attività, visto che anche il silenzio vissuto come testimonianza ha un gran valore in un mondo di chiacchieroni. Altri due fatti mi hanno fatto conoscere. Il primo è successo nel 1980, quando lui e suo fratello Giuseppe mi finanziarono un viaggio in Guinea Bissau. Mi si aprirono gli occhi sull’Africa “portoghese”, sui facili entusiasmi dei cooperanti e sull’ “indifferenza” mentale del popolo africano. Gli occidentali facevano progetti e si entusiasmavano dei grandi successi, ma si aveva l’impressione che non scalfissero neanche la pelle dell’Africano, anzi! Da lì ho capito il suo ritiro dalla “missione”, tacendo e senza criticare, vivendo il silenzio. Terzo fatto, ricordo che mi fu vicino lui e l’Elisa quando mi nacque la prima figlia “Elisa”. Vennero in treno da Milano per congratularsi con me e la Patrizia, e visto che ero senza un quattrino, mi donarono anche la loro solidarietà. Giulio mi è stato vicino, lo sento ancora al mio fianco perché lui è in comunione con me, ed io mi sento in comunione con lui. Questi sono i miei ricordi. G. Zonta Via dei Rossi 289 50018 SCANDICCI (FI) 08.06.11 57 GUGLIELMO COLOMBO Il mio apprezzamento di Giulio non e’ stato immediato, ma è cresciuto e si è approfondito continuamente. In Liceo, abituato ad una relazione un po’ sentimentale con Dio, trovavo le sue meditazioni ed i suoi ragionamenti teologici interessanti, ma anche un po’ una fredda replica di lezioni di Filosofia. Anche se le sue riflessioni diventavano progressivamente la base del mio sviluppo intellettuale e del mio cammino di fede, non vedevo, a differenza di altri, la motivazione che li spingeva a dedicare lo scarso tempo libero per approfondire le stesse riflessioni e farne ulteriori deduzioni. Ho preferito dedicare lo scarso tempo libero ad altre attività. Ho sempre ammirato però il carattere, la bontà e l’umiltà del messaggero, scoperto sempre più come amico. Dopo molti anni, ricordo di avergli riferito di quella impressione di freddezza che ho riscontrato all’inizio della sua attività a Monza e la sua umiltà nell’ammettere questa freddezza mi lasciò imbarazzato e disarmato. Mi sarei aspettato un altra reazione tipo: “ce n’e’ voluto di tempo!”. Proprio la sua profondità e la sua umiltà personale credo siano state alla base della sua influenza su di me. Quando, durante gli anni di teologia, aveva deciso di andare in Guinea Bissau gli chiesi qual’era la giustificazione della sua decisione, data la divergenza delle nostre idee di missione con quelli che erano gli orientamenti della Chiesa e del Pime di allora. Mi rispose citando una frase (credo di San Giovanni Crisostomo “Vado a farmi macerare dalle fiere per diventare pane (o ostia)”. La sua decisione di tornare in Italia mi venne spiegata da lui con la stessa umiltà: più o meno fece riferimento ad una sua incapacità personale ad essere pastore anziché pecora. Alla stessa stregua il Giulio non era inquadrabile nel profilo del sindacalista durante il lavoro in Fabbrica. Ricordo quando mi parlò di quanto lo apprezzasse il suo padrone. In poche parole il Giulio è stato per me l’umile ed il mite che “ha posseduto la terra” e chi l’ha incontrato . Ho sentito da altri che quando visitò l’India sentiva grande riluttanza (o forse si rifiutò) ad usare un Rikshaw trainato da un altro uomo. Durante discussioni l’ho sentito apprezzare Gandhi per non aver avuto bisogno di andare a vivere in Missione per comunicare e rendere rilevante il suo messaggio. L’ho sentito criticare il percorso della Chiesa nel subcontinente Indiano per non essere stata in grado di minare le caste dell’Induismo. Ho dialetticamente discusso questo con lui in quanto mi pareva non valutasse sufficientemente la forza della cultura locale (in positivo ed in negativo) nel neutralizzare non solo una Chiesa Coloniale e post Coloniale , ma anche San Tommaso. Ma lui non discuteva per discutere: viveva, rifletteva, era libero, lasciava liberi. 58 Giulio e’ stato importante per me anche per lo sviluppo di interessi sociali. Per lui leggere il giornale e leggere informazioni sulla gente a cui si viveva accanto era determinato da sentimenti di rispetto ed attenzione ai nostri prossimi. Infine Giulio ed il fratello suo, Giuseppe, erano lì , con un amicizia così discreta e così solidale quando sono tornato dal Bangladesh nell’87. Trovai in pochi mesi una casa che Giuseppe (sconosciuto fino allora) aveva acquistato per extracomunitari con l’unica convinzione che io avrei fatto altrettanto qualora fossi diventato capitalista. Concludendo ho trovato una ricchezza immensa in Giulio e credo che Elisa ha potuto constatare questo più di noi aiutandolo a vivere il più possibile in questo mondo. Ricordo sempre le loro visite a Cerro, il loro vivere per persone incontrate. Grazie Elisa per quello che hai fatto. Grazie a Franco, Gigi e ad altri che avete reso più piacevole la vita a Giulio di quanto l’avessi fatto io. Scrivendo queste cose mi ricordo della verità di una sua affermazione sulla risurrezione: l’energia buona non si distrugge mai ed influenza tutti. Tu Giulio ne hai avuta tanta di energia buona! Guglielmo Colombo Everan, ARMENIA 59 GIOVANNI GADDA Siamo stati insieme fisicamente per otto anni, ma sei ancora sempre presente, forse più di allora. Ti hanno fatto studiare per diventare professore di Bibbia e teologia biblica, ma non ricordo che tu abbia insegnato da una cattedra; per nostra fortuna, ti hanno destinato P. Spirituale a Monza e a Milano. Non poteva andare che così! Chi accosta la PAROLA come hai fatto tu, si trova male a fare il professore, perché non si può mai tradurla in concetti chiari e distinti: LEI NON VUOLE!! “La SAPIENZA è amica degli uomini”, si legge in Essa, ed ogni uomo è unico e irripetibile, non può essere inquadrato in uno schema da comporre a tutti i costi! E chi pretende fare questo, finisce col mettere crudelmente ai margini, chi coerentemente non ci sta: e tu l'hai provato bene!!! Essere amico dell'uomo (ogni uomo!) vuol dire volere e cercare il suo VERO BENE, (non quello supposto da noi), allora non si diventa maestri degli altri, ma compagni di viaggio attenti e disponibili, ad ogni occasione di incontro, per crescere insieme: in questo tu sei stato maestro!! La VERITA' vi farà liberi! diceva Qualcuno duemila anni fa, e tu l'hai capita bene, perché hai sempre offerto elementi di verità, perché le scelte dei tuoi compagni di viaggio fossero davvero libere e coscientemente!!! Per questo, la serenità del tuo sguardo e del tuo sorriso, ricordata da tutti nei molteplici incontri, è sempre stata una costante! Mentre qualcuno si lamentava o soffriva per l'uscita di alcuni amici dai ranghi istituzionali, prendendo altre strade, tu guardavi soprattutto a loro, al loro coraggio di fare scelte radicali diverse, al travaglio e fatica che avrebbero dovuto sopportare nel nuovo contesto umano, ma anche alla loro gioia di rischiare molto o tutto, per essere coerenti con la Verità che li abitava in quei momenti. Sapevi bene che, nel piano meraviglioso di Dio, tutto di noi era previsto e salvato, anche se apparentemente fuori dai nostri schemi stereotipi di “normalità”: davanti a Dio la normalità non è data dalla maggioranza che 'fa così', ma dal modo giusto ed unico di rispondere al Suo appello, sempre molto personale, di chi Lo ha ascoltato!! Conservo ancora un quaderno, in cui trascrivevo le tue meditazioni sulla fede a Monza! Il nostro padre ABRAMO, nonostante le promesse altamente esaltanti sul piano umano, è riuscito a fare un solo figlio e, per di più, già nella vecchiaia, ma è diventato davvero un POPOLO numeroso come le stelle del cielo, in ogni vero credente che nasce in questo mondo! Anche per la Terra Promessa, l'unico lembo che è riuscito a possedere è stato per seppellire la moglie Sara! 60 Così, anche nell'incontro con un gruppo di ex-pimini, il 26 novembre, abbiamo sentito e condiviso la tua paternità spirituale ed ancora una volta abbiamo sentito che la Terra Promessa non è un luogo fisico da occupare, ma qualsiasi spazio in cui è presente un figlio di Abramo, che lotta e fatica, perché TUTTI abbiano l'opportunità di sentirsi a casa ovunque, perché TUTTI figli dello stesso Padre!!! Carla, dopo la morte di un altro eccellente compagno di viaggio, Giuseppe, ha suscitato un ricco ripensamento sul senso della “risurrezione” ed un bel gruppo continua a ritrovarsi periodicamente per “fare memoria”; dopo la tua, che è stata una bellissima occasione di re-incontro con tanti amici, un altro gruppo sta sorgendo, spolverando e condividendo valori e talenti ricevuti, anche per mezzo tuo: la RISURREZIONE continua!!! Voi due, continuate pure tranquilli ad ASCOLTARE la melodia della visione beatifica, ma non cessate di stare con noi, uniti o sparsi ai quattro venti, per ricordarci sempre, nel nostro quotidiano, a volte incasinato, che:”..latius osquam premissis, conclusio non vult!!!!” Joào Giovanni Gadda Missionario in Brasile Busto 6-12-2011 61 RENZO MILANESE Raccontare di Giulio è come parlare del silenzio, silenzio che era diventato per scelta la sua condizione di vita negli ultimi quarant’anni. Si era immerso nel silenzio per meglio ascoltare e comprendere la vita propria e degli altri? Domandava ed ascoltava più che esprimere propri pareri. L’avevo incontrato a Monza e ritrovato dopo un anno a Milano. Una persona discreta che non facilitava il primo contatto con un grande timido quale sono io. Lo ricordo vicino al tavolo da biliardo nella casa di via Pagliano dove era stato invitato a fermarsi dagli abituee della partita digestiva come occasione per continuare gli animati scambi di idee su chiesa, società e tutto quello che poteva correlarsi. Anche lì ascoltava e interveniva solo quando forzato a dire il proprio parere. Dopo una estate trascorsa in una visita di studio a una missione aveva condiviso le proprie riflessioni attente ad apprezzare tutto ciò che c’era di apprezzabile ed evidenziare con prudenza quanto si sarebbe potuto fare diversamente. Aveva terminato le riflessioni che si erano protratte su più incontri esprimendo una preoccupazione nei nostri riguardi: “ non so se riuscirete ad adattarvi”. Erano tempi di rinnovamento, di speranza ma anche di forti richieste per cambiamenti più radicali da parte di noi giovani aspiranti missionari. Se sono arrivato a Hong Kong dove vivo da quarant’anni è anche dovuto al fattore Giulio. Non ho avuto frequenti colloqui a quattrocchi con lui, ma in tre occasioni il suo intervento è stato cruciale. Dopo quindici giorni di seminario ero fortemente convinto che quell’ambiente non facesse al mio caso. Prima di andare dal rettore ad esprimere il mio ringraziamento per l’accoglienza e comunicare l’addio mi recai a chiacchierare con Giulio. Il suggerimento era venuto da qualcuno che era entrato in seminario l’anno precedente e che oltre alla insofferenza per la vita di seminario aveva anche una grande stima di Giulio. Non ricordo quasi nulla di quel colloquio da cui uscii con l’invito a consultarmi prima con il prete che mi aveva seguito durante il liceo. Quest’ultimo dopo avermi ascoltato con l’usuale attenzione, saltò a pié pari tutti i problemi e mi consigliò di prendere il tutto come un’esperienza e rimandare la decisione a fine anno. 62 Due anni dopo, durante un’animata discussione di alcuni studenti con il rettore, dissi qualcosa che indispettì il rettore a tal punto che mi invitò a lasciare il seminario. Giulio era presente e invitò tutti a riprendere il discorso dopo qualche giorno, con più calma. Quella discussione non fu più ripresa, ma mesi più tardi, dopo un mio ulteriore sfogo su tutto quello che non riuscivo a digerire sull’ambiente prossimo e remoto e sui conseguenti dubbi sulla possibilità di reggere nei futuri impegni ecclesiali, mi disse “credo che con il tuo carattere tu possa farcela”. Caro Giulio, mi hai accompagnato con le tue indicazioni, non ti piacerebbe che li chiami insegnamento; fra tutte ricordo il richiamo alla “kenosi” e all’ascolto che sono state importanti consigliere soprattutto i primi anni di vita in estremo oriente e continuano ad esserlo tutt’ora. Renzo Milanese Missionario in Hong Kong, 12 febbraio 2012, Sesta domenica del tempo ordinario, anno B. Un lebbroso andò incontro a Gesù e disse “Se tu vuoi, puoi mondarmi”. 63 FRANCO LACCHINI Quando Giulio tornò dalla Guinea io ero un disperso, nell’anima e nel corpo: i miei compagni del Pime erano tutti partiti per le missioni, l’incubo del servizio militare incombeva sui miei giorni, la comunità di Borgo Est espugnata da un prete kamikaze mandato dalla Curia per radere al suolo ogni tentativo di cambiar modo di essere Chiesa in un quartiere di periferia estrema…Solo macerie nella mia testa. Così il ritorno di Giulio accese in me grandi speranze di risorgimento.. Ma già le prime volte che andai a trovarlo mi accorsi che pure lui non stava tanto bene. Sembrava un profugo. Abitava in un monolocale angusto. Da biblista ammirato era passato a fare il magazziniere in una fabbrica di pompe dell’hinterland milanese. Si spostava con una bicicletta scassona o con una lambretta. La sera cenava riscaldando buste di minestrine della knorr. Non capivo la sua posizione defilata. Ma sotto sotto pensavo: “Adesso lui lancia un appello, raduna i dispersi, ci riorganizziamo e gliela facciamo vedere noi a …quelli là!”. Ma il tempo passava …e l’appello non veniva. Anzi dagli scritti e dai colloqui con lui si cominciava a capire che il suo silenzio non era una riduzione, ma una scelta. Aveva dentro una ferita profonda che la sua vita nel cuore di un villaggio della Guinea aveva reso più dolorosa e insopportabile. Il clericalismo e il colonialismo erano stati (ed erano tuttora) la carne - la faccia - della chiesa in africa. Occorreva un cambiamento totale. Cominciando da se stessi…. E così lui – che allora era il superiore – lascia la Guinea e si seppellisce in quella fabbrica, assumendo su di sé tutta la kenosi di Gesù, …il silenzio come ultima parola possibile dopo quattro secoli di “accidenti” imposti alle popolazioni indigene al posto della buona notizia portata da Gesù. Era un gesto profetico e come tale andava visto. Non un invito alla diserzione, ma un gesto penitenziale. Il senso non era : venite via anche voi ma: ricominciamo dal silenzio, ricominciamo dall’ascolto. Prima ascoltare e capire Poi parlare, poi fare… Il suo “silenzio” rimase inascoltato. 64 La missione di Guinea si frammentò ancor di più, secondo l’antica regola criola del “caciurru mango” (la legge della scimmia: = ognuno per sé…) E anche noi, ognuno (di noi) continuò per la sua strada, come se niente fosse successo… Il suo gesto non venne raccolto, non diventò patrimonio di chiesa. E alla fine l’istituzione – a nome di tutti – archiviò il caso, senza scandalo, come una pratica scaduta. E così il buon Giulio emanò la sua ultima enciclica, lunga tutta una vita, scritta con il silenzio e lo sguardo. (…) L’ultima volta che mi rivolse la parola, alla mia domanda “come va?” rispose sottovoce, riunendo a fatica le poche forze a sua disposizione “Bene. E tu? che progetti hai per il futuro?” Mi guardava dritto negli occhi, con intenzione e intensità, come se dalla mia risposta aspettasse l’annuncio di una novità a lungo attesa … E io non seppi dirgli altro che le quattro stronzate che avrei fatto quel pomeriggio… Franco Lacchini San Giuliano Milanese 65 MARIA GRAZIA LONGHI L’incontro con Giulio è l’incontro con una persona rara, come lo è l’incontro con la bontà. Ho sempre pensato che un essere veramente cattivo è raro, come raro è un essere veramente buono. Giulio era veramente buono. Tutto ciò che per me è conquista della mente, per lui era già dato: imparare a lasciare, ascoltare l’altro, non giudicare, non avere l’urgenza di dire il proprio parere, vivere nella non apparenza, sentirsi in comunione con l’altro e con il mondo… Gli oggetti del nostro amore non sono tali perché sono senza difetti: facciamo una certa fatica ad accettare questa cosa, ma con gli anni la impariamo. Impariamo ad amare il bene ed il male che c’è in ognuno di noi…Ma in Giulio il male pareva inesistente. Uomo di grande spiritualità e capacità di vivere “dentro”, ma con una bontà attiva, fatta di gesti grandi nella loro quotidianità. Giulio immobile è riuscito a creare intorno a sé un movimento di bene che non ha riscontro nella mia esperienza. Non mi è capitato mai di vedere una dottoressa e delle infermiere (abituate al dolore) essere così dispiaciute per la sua morte, pur avendolo conosciuto in circostanze così poco comunicative. La rete di solidarietà che ha permesso ad Elisa di sopravvivere alla fatica credo sia merito di quel carisma discreto ma potente che Giulio emanava. Giulio uomo moderno, libero e senza niente da perdere perché aggrappato solo ai sentimenti e alla fede. Ricorderò sempre il suo ultimo regalo: il suo sorriso il giorno prima della sua partenza. Faceva molto fatica: il suo corpo era una gabbia dentro la quale scorgevi uno spirito vivo e anche la voglia di dare, e nell’estrema fatica ci ha regalato un bellissimo sorriso, come di chi non rinuncia a dare se stesso fino alla fine… Maria Grazia Longhi Bolzano 66 DARIO MENCAGLI Il vicino di stanza (quello della stanza accanto) Con Giulio, a Milano, siamo stati vicini di stanza per un anno.. Di lui avevo sentito parlare molto dai miei compagni, durante gli studi di teologia. Loro lo conoscevano già dal Liceo. Ricordo che gli avevano dedicato un motivetto intitolato: "facciamo un salto nel buio..!" Erano stati molto colpiti dalle sue riflessioni sulla fede (fede come fidarsi, affidarsi e "fare un salto nel buio"). Giorni fa, un nostro professore di teologia, incontrato al PIME di Roma, mi ha detto:"L'ho avuto (Giulio) come professore. Lui ci ha aperto la mente!" Mi ha regalato un registratore (a quei tempi erano grossi e a nastro). Un compagno, Antimo, mi ha aiutato a sistemarlo per bene. Così, studiando teologia e altro, con sottofondo musicale, mi sono fatto una cultura di musica classica, e non solo. E ho consolidato un ricordo di lui. Giulio era stato in Guiné Bissau. Ad ogni mio ritorno dalla Guinea Bissau, dove ho lavorato per diversi anni, tappa fissa a Milano, da Franco Lacchini e da lui: a portare saluti dagli amici di laggiù, notizie e racconti. E ad ascoltare i suoi racconti di lavoro, dei suoi compagni, dei giri in moto, come fattorino. La sua accoglienza e attenzione a Kirsten, mia moglie, che ho conosciuto come volontaria in Guinea Bissau. L'interesse di Kirsten nel parlare con lui: questa persona così semplice, modesta e profonda, così interessante, che non capita spesso di incontrare! Una grande lezione di vita, tanta amicizia e affetto! Elisa e Giulio sono stati anche a trovarci a Tuscania e le tre figlie, ancora piccole, si sono addormentate con un episodio della Bibbia raccontato da lui! Mi ha sempre colpito la sua semplicità, la sua modestia, la sua profondità. E anche ... il suo sigaro toscano! Il suo commento alla parabola del seme, con l'accento posto sul seme che germoglia comunque, anche in condizioni molto diverse... Ricordo il piacere di ritrovarlo ed ascoltarlo nelle riunioni che abbiamo fatto, quando possibile, con gli amici provenienti dai quattro angoli del mondo e alle quali, se non ricordo male, veniva sempre. Negli ultimi anni, con la salute che gli andava scomparendo, ad ogni visita, mi ha sempre regalato un sorriso dolcissimo, che ho portato via con me con la stessa cura e attenzione che ho cercato di usare nell'ascoltare e nel ricordare le sue parole e il suo vivere. Dario Mencagli Tuscania (Viterbo) 12/1/2012 67 GIANCARLO CARRARA Ho potuto conoscere ed apprezzare P. Giulio durante gli anni di teologia a Milano e soprattutto durante la permanenza in Guinea Bissau. Infatti quando alla fine della teologia chiesi al Superiore Generale di poter partire per la missione senza essere prima ordinato presbitero (pensavo infatti importante che l’esperienza di missione fosse fondamentale per coglier quale tipo di presenza missionaria fosse più idonea per un servizio autentico), mi fu negata questa possibilità perché nel PIME, disse Mons. Pirovano, erano i Superiori che decidevano chi e quando doveva partire per la missione. Di fronte a questo diniego assoluto mi rivolsi a Padre Giulio e a Padre Pedro Belcredi (entrambi in Guinea Bissau) e chiesi loro se era possibile essere accolto come laico in Guinea , e la loro risposta fu immediata e positiva. E cominciò così per me l’esperienza guineana. P. Giulio, nominato Superiore in Guinea Bissau, chiese di esercitare il suo "servizio" di superiore regionale in tandem con Padre Faccioli, per poter continuare la sua attività missionaria a Catiò' (in una delle zone più difficili a motivo della guerriglia), e,anziché comportarsi da “superiore” ha dato origine ad un “équipe” di ascolto e coordinamento (sulla base delle indicazioni del concilio) che fosse in grado di cogliere in profondità il senso della presenza missionaria. Per questo scelse non di “visitare” ma di permanere periodi prolungati in tutte le missioni, per poter condividere e porsi in posizione di ascolto. La sua era una presenza umile e fraterna , capace di cogliere le problematiche dei Padri, dei Fratelli e della popolazione. Tutto questo fatto con semplicità avrebbe portato certamente a maturare per tutti una forma di presenza più autentica ed evangelica da un punto di vista missionario. Tuttavia gli venne imposto dal “Superiore Generale” di Roma (su sollecitazione di chi voleva un superiore che “comandasse”) di fare il “Superiore” che “dà ordini” e “mette ordine”. P. Giulio con onestà e coerenza estrema, non considerando conforme al Vangelo quanto gli veniva imposto, presentò una lunga e dettagliata lettera di dimissione, in cui metteva in evidenza come l’”autorità” nella Chiesa deve esprimere ed attuare “servizio” e non “comando”. GianCarlo Carrara Monte Porzio Catone (Roma) 68 GIGI ROTA Mi chiedo ormai un po’ troppo spesso quale segno abbiano lasciato o lascino nella mia vita le persone care che mano a mano ci abbandonano. Al dolore e al vuoto insopportabile di quando ero più giovane, si sostituisce oggi la sensazione di una loro vicina presenza e la consapevolezza che non abbiano vissuto invano. Giulio è stato il mio maestro di vita. I suoi insegnamenti ai tempi del Liceo e della Teologia, le sue parole misurate negli anni, il suo modo di vivere, hanno inciso in modo notevole sulle mie scelte, sul mio modo di vivere. Lo voglio ricordare da “vecchio”, toccato nel profondo dalla malattia, bisognoso di tutti. Quel suo “grazie” ogni volta che lo andavo a trovare e “quanto disturbo ti do” quando lo portavo sulla carrozzella per le strade di Roncola. Il suo risponder sempre “sto bene” a qualsiasi preoccupazione nostra per la sua salute. Il suo semplice “come stai” e il suo silenzio interessato alle vicende della mia vita,del mio lavoro, della mia famiglia. La sua pazienza infinita, tanto da farci pensare che sia stato un uomo che non abbia mai sofferto. Il suo mettersi ciecamente nelle mani di Dio: “ mi fido di un Altro”. Mi ha fatto molto riflettere il vedere un uomo così straordinario imprigionato in un corpo provato, e il suo accettare la malattia e l’avvicinarsi della fine col sorriso e la serenità dei grandi saggi, dei grandi sofferenti come Giobbe della Bibbia. Chi ha avuto la fortuna come Elisa, di vivergli accanto, penso abbia potuto ogni momento rinforzare la propria fede, sperimentare l’esistenza di Dio e sentirne la presenza in questo piccolo grande uomo semplice e schivo, ma così attento alla realtà del vivere quotidiano. Resta il rimpianto, il rammarico di non averlo più fisicamente con noi, di aver perso un uomo di pace, di dialogo, quello che sapeva cogliere sempre il lato positivo, il grande comunicatore silenzioso. A Elisa un grazie infinito soprattutto per questi ultimi anni di grande sofferenza. Grazie di avercelo curato e conservato con amore, trepidazione e mille attenzioni quotidiane. A tutti i miei compagni un forte abbraccio, nella certezza che il Giulio rimarrà sempre per noi un faro per quel pezzo di vita che ci resta da vivere. Vorrei che ci tenesse fortemente legati affettivamente e spiritualmente come ha saputo fare silenziosamente fino a quando è rimasto tra noi. Gigi Rota Albenza (BG) 28 agosto 2011 69 CARLO DE BERNARDI Di Giulio non ho nessun particolare da ricordare. La sua figura è stata molto emblematica. Ricordo che la sua presenza a Monza portava qualcosa di nuovo: Un modo nuovo di vedere la realtà e un modo nuovo di accostarci ad essa. Attraverso le scritture ribadiva che Dio ha posto l'uomo al centro del creato, che ha su ognuno di noi un progetto che l'uomo consegue pure nelle sue contraddizioni, le sue paure e difficoltà. A noi il compito di scoprirlo nel nostro intimo e nelle nostre convinzioni con verifica costante con il Vangelo e le Scritture e mettendoci a Sua disposizione. Questi concetti hanno rivoluzionato le mie prospettive. Iperbolicamente parlando è come se fossi passato dal vecchio al nuovo testamento. Erano anche gli anni del Concilio Vat.II che stava per concludersi. Questa visione mi ha sempre aiutato sia nell'acquisizione di verità che in tutte le scelte che si sono susseguite nella mia vita trascorsa, di cui non porto nessun rammarico, e spero vivamente anche in quella futura. Carlo De Bernardi 2/12/2011 70 FABRIZIO PERSICO In ricordo (memoriam) di Giulio Barlassina Ero cerimoniere in Seminario a Monza. E Giulio era il Padre Spirituale, ma soprattutto per me fu quello che mi ha aperto la mente ed il cuore alla speranza che arrivava con i testi e la riforma liturgica voluti dal Concilio Ecumenico Vaticano II. Fenomenali le sue "meditazioni" che, potendo disporre di una macchina da scrivere (Olivetti lettera 22) battevo a macchina su una matrice insieme ad altri e poi ciclostilavamo per tutti i nostri compagni. Sarebbe bello poter rivedere e rileggere quei fogli, che, ricordo, lasciavano in giro l'odore acre dell'alcol, ma davano a me e penso anche ad altri una straordinaria voglia di capire fino in fondo il messaggio evangelico. Mi piaceva il modo come parlava, semplice, sempre sorridente, forse anche un po' timido, ma avevo la netta sensazione che in quelle parole che ci trasmetteva lui credesse fortemente: non lo ricordo con in mano la corona del rosario, ma sempre e solo la Bibbia. Il mistero del "Corpo mistico di Cristo" era un po' il leitmotiv ed il centro delle sue riflessioni con noi... talmente ripetuto da diventare un po' oggetto di scherzo verbale non proprio edificante da parte nostra: ma si sa, a quell'età é permesso di tutto e di più. Dopo il Liceo ci siamo persi: potevamo incontrarci in Guinea-Bissau, ma lui lasciava quella terra nel maggio del 1974 ed io vi giungevo il 19 ottobre dello stesso anno. Riposa in pace, nella pace del settimo giorno della creazione, perché quello che hai creato in noi non morirà. Fabrizio Persico Nembro (BG) 71 FRANCO DELL'ORO. Giulio è stato, in alcuni momenti della mia vita, un punto di riferimento importantissimo . Da adolescente, al liceo. Era un porto sicuro per noi ragazzi di via Lecco 73 a Monza. Andavo spesso da lui. Gli raccontavo la mia gioia, le mie preoccupazioni, i dubbi, anche la mia rabbia. Le mie emozioni. Eri sicuro, con il Giulio, di non sentirti mai giudicato o banalizzato. E, soprattutto, con poche parole sapeva darti direzione verso un sistema di valori. Dopo gli incontri con lui, riuscivi a recuperare serenità e tranquillità. Ma anche voglia di ripartire. Da adulto, in un momento particolarmente difficile della mia vita. Quando mi sono trovato a fare il ragazzo padre, il mondo sembrò crollarmi addosso. Anche in quella occasione Giulio, disse poco o nulla. La sua forza era quella di sapermi ascoltare e di condividere il mio disagio, le mie difficoltà. E anche la mia sofferenza. In quell'occasione, ora posso dirlo, ho rischiato di non riuscire a rimettere insieme i pezzi per riprendere il mio cammino. Negli incontri alla Roncola, in Liguria al mare, al Corvetto mangiando una pizza..., mi divertivo a far ridere il Giulio ma anche l'Elisa. In alcuni momenti a crepapelle. Fa parte del mio carattere. Ma era anche un modo particolare per dire un grazie, difficile da formulare a parole. Un giorno misi a dura prova l'approccio avalutativo del Giulio. Quando gli raccontai come uno sbalordito e furibondo insegnante di matematica (Padre Airaghi) a Cervignano, all'esame di quinta ginnasio, mi buttò fuori dalla porta perché, evidentemente in preda all'emozione ma anche condizionato da lacune mostruose, dissi che "due triangoli erano uguali perché opposti e paralleli!". Giulio rise in modo pazzesco e mi disse." Ma, Checco, cosa ti è venuto in mente? Non è possibile!" Insomma, per un attimo perse il suo aplomb. Eppure, anche in quell'occasione, disse: "Prova a spiegarmi come ci sei arrivato a quella conclusione!". Straordinario! Cercava di ricucire un'affermazione che poco aveva a che fare con i processi logico matematici, ma che sicuramente avrebbe richiesto un intervento ... sanitario. Ecco, Giulio mi piace ricordarlo in questo modo. Giulio sarà sempre con noi. Con me. Con il suo ricordo e il suo insegnamento. Con la sua presenza. Mi ritengo un privilegiato per averlo conosciuto. Un forte abbraccio. Franco 72 Dall’intervento di Dell’Oro all’incontro di Busto (…) Per quanto mi riguarda, io sono stato allontanato dal PIME con una specie di editto di proscrizione, nel mio caso, forse non senza ragioni. Un uscita un po' traumatica ma simile a quella di molti altri. Eppure, in tutti questi anni di lavoro (43), ogni volta che ho avuto modo di pensare all'esperienza fatta nel PIME, ho sempre provato un forte sentimento di riconoscenza. Il mio lavoro, le competenze acquisite dopo tante esperienze e qualche errore di gioventù, le relazioni, gli incontri con figure significative, i valori in cui credo, le persone con le quali vivo e, quindi, tutta la mia vita trovano e si alimentano attraverso una sorta di filo d'Arianna, un filo rosso che nasce nei nove anni passati al PIME. Anzi, dirò di più. Molte volte mi ritrovo a pensare, e la cosa mi manda un po' in crisi, di non aver saldato adeguatamente questo debito di riconoscenza. L'idea dell'incontro (a Busto) è nata al funerale di Giulio B. Ci sembrava giusto trovare un momento per ricordare la sua persona, in modo poco istituzionale. Ognuno dei presenti deve qualcosa a Giulio. Per quanto mi riguarda, moltissimo. Gli incontri con Giulio non erano mai banali. C’era sempre qualcosa da imparare. Durante gli anni del liceo e del corso di filosofia, andavo spesso da lui. Gli raccontavo la mia gioia, le mie preoccupazioni, i desideri, i dubbi e anche la mia rabbia. Con lui, eri sicuro di non sentirti mai giudicato o banalizzato. Ti sapeva ascoltare. Non ti interrompeva mai. Ricordo la sorpresa nei primi colloqui. In certi momenti ti guardava e non diceva nulla. Stava in silenzio, sorridendo. Per la prima volta, compresi che due persone che si incontrano possono anche stare zitte. Per pensare. Per riflettere insieme. Riusciva a trasmetterti il valore del silenzio. Giulio era una persona disponibile. Mai giudicante. Per molti di noi, rimase un punto di riferimento importantissimo. Per il sottoscritto, addirittura, una specie di salvagente. Al liceo, quando da studente, litigando con i libri e lo studio, mettevo a dura prova i miei insegnanti e quando, con grande fatica, immaginando il futuro cercavo faticosamente di trovare la mia strada. Da adulto, quando, in un momento particolarmente difficile della mia vita, il mondo sembrò crollarmi addosso. Allora Giulio disse poco o nulla. La sua forza era quella di sapermi ascoltare e di condividere il mio disagio, le mie difficoltà e la mia sofferenza. In quell'occasione, ora posso dirlo, ho rischiato di non riuscire a rimettere insieme i pezzi per riprendere il mio cammino. E oggi, ovunque sia, a Giulio mando un abbraccio forte. Franco Dell’oro 73 LUIGI MARTINI CARO AMICO TI SCRIVO Caro Giulio Ti scrivo perché voglio dirti quanto sei stato importante per me. Ti ho conosciuto che avevo dodici anni .Ti ricordi di Sale Marasino sul lago d’Iseo? Mi trovavo lì per affrontare un periodo di prova per poter entrare nel P.I.M.E e, assieme a Padre Rota prefetto agli studi, viso orientale, rughe profonde, voce indecifrabile che saggiava sconsolato le conoscenze nella latina lingua di noi aspiranti pimini, c’era anche Padre Pesce, un vero missionario con la barba, reduce dalla missione , capace di farci sognare con i suoi racconti e le sue avventure. Ma… Padre Pesce fu quasi subito sostituito da un imberbe Padre Giulio giovane giovane. Che aveva a che fare costui con lo spirito missionario? Era proprio una delusione. Devo proprio dire che contro tutti i proverbi e le credenze, la prima impressione doveva rivelarsi fallace e smentita da ciò che sarebbe accaduto dopo. Hai saputo accogliere i miei dubbi e i miei dispiaceri, hai saputo infrangere le mie false certezze aiutandomi a scoprire la mia via nel mondo dell’incertezza. GRAZIE. Con Te ho coltivato l’ amore di Gesù, che già possedevo prima di conoscerti, ma con Te ho avuto modo di farlo diventare una presenza reale e costante nella mia vita. GRAZIE. Ho imparato da Te che la Fede non è un’assicurazione contro i guai , ma un salto nel buio; che la vita è condivisione; che la povertà nel benessere sta nel vivere come amministratore e non come proprietario dei beni materiali, con lo sguardo attento a chi è nel bisogno; che il potere va vissuto come servizio, e Tu sai per quanto tempo sono stato impegnato su questo fronte e quanto mi sia costato farlo. GRAZIE. 74 Oggi , pensionato quasi in disarmo, ho ancora una voglia matta di fare, di servire, di dare significato alla mia vita, anche se non posso più fare ciò che facevo da giovane . Ma anche in questa condizione, in attesa che Dio mi mostri qualcosa di meglio, visto che io non lo trovo, accetto la mia vita fatta di piccole cose e mi ricordo di Te magazziniere che mi dicevi “ questo lavoro per me è come succhiare un sasso, ma non importa è quello che il Signore oggi mi chiede di fare”. Oggi che sono un po’ in disparte ho riscoperto il tempo della preghiera, della Messa, della parola di Dio -la Bibbia- che Tu mi hai aiutato a conoscere e che dà voce a quell’ Ostia muta chiusa nel tabernacolo . Ti ho visto sopportare la tua malattia con una pazienza infinita. Quando passavo a salutarti eri attento a quello raccontavo della mia vita, della mia famiglia, del mio lavoro; mai un lamento da parte tua, mai un accenno alla tua sofferenza o la ricerca di consolazione. Tu così fragile e così forte. Il bene è come un seme che si sparge e chi lo riceve lo custodisce per sempre e a sua volta spargerà questo seme per altri. E questo è bello, troppo bello. E’ il paradiso qui e ora. Io con i miei errori, i miei disordini, le mie manchevolezze, traduzione attuale di ciò che prima si chiamava peccato, non sono mai stato giudicato da Te, ma aiutato a scoprirne le cause, le ragioni e oserei dire anche le attenuanti,perché non mi sentissi abbattuto, sfiduciato, ma al contrario pieno di speranza e di voglia di riscattare il male con il bene. Il 26/11/11 mi sono incontrato con un buon numero di ex compagni di studi e come me “ tuoi discepoli ” e ho constatato che il mio modo di sentire era il loro modo di sentire. Ci siamo riconosciuti, in Te, operai nella messe di Dio attraverso strade e professioni diverse. Ciao Giulio, sei sempre stato con noi, davanti a noi ad aprirci la strada; anche adesso ti sentiamo vicino e ci hai preceduto ancora una volta ,ma non temere, abbiamo raccolto il testimone. Con tanto tanto affetto LUIGI MARTINI Monza 75 ELIGIO OMATI Ho conosciuto Giulio Barlassina quando frequentavo il liceo nel PIME a Monza. Giulio aveva la funzione di Direttore Spirituale e di confessore ed era quindi naturale che diventasse per tutti noi studenti seminaristi la persona con cui ci confidavamo e ci confrontavamo sulle questioni della spiritualità e sulle scelte di vita. Erano gli anni del dopo Concilio e in tutta la Chiesa c'erano fermenti di rinnovamento oltre che di contestazione ad un modello ecclesiasticoistituzionale che molti di noi giudicavano inadeguato a rispondere ai cambiamenti che stavano avvenendo nella società. Egli ci propose, con la sua nota competenza, un nuovo modo di accostare la Bibbia che fu per me illuminante: una lettura dei testi sacri non convenzionale che ci dava la possibilità di interpretare la realtà esteriore e interiore sotto una Luce nuova e più autentica. Ricordo con piacere i lunghi discorsi personali con Giulio, la sua capacità di affrontare temi difficili con pacatezza, con semplicità, con buon senso, ma senza rinunciare a ricercare e a consigliare senza paure e compromessi ciò che giudicava giusto e valido per il mio futuro. Giulio fu determinante per le mie scelte di vita, mi fu vicino nei momenti difficili e per questo sento di essergli profondamente riconoscente. Dopo l'uscita dal PIME, ho avuto la possibilità di incontrarlo frequentando la sua casa di Bussero, dove ho conosciuto la sua sorella Carla e suo fratello Giuseppe, con cui ho in seguito collaborato in diverse iniziative. Ho avuto ancora modo di parlare con lui dei miei problemi e 1'ho trovato sempre attento e disponibile ad ascoltare e a prospettarmi le vie da percorrere. Da diversi anni ci vedevamo solo sporadicamente ed ora che Giulio ci ha lasciati rimane in me il rammarico di non aver saputo dare continuità ad un dialogo e ad un' amicizia cosi preziosa. Il giorno che 1'abbiamo salutato a Milano, accanto al dolore per la sua perdita, ho avuto la gioia di incontrare vecchi amici che non rivedevo da tanti anni: lo considero 1'ultimo regalo che Giulio mi ha fatto. Eligio Omati Pessano con Bornago, 01.08.2011 76 MURIZIO LAFFRANCHI il medico curante (…) adesso ci sei vicino in modo diverso da prima ma infinitamente più di prima e ci guardi con la stessa pietà e con lo stesso sguardo di colui in cui sei. amen 16.03.2011 A Elisa Le sono vicino in questo momento di separazione E’ una distanza che fa soffrire La certezza della resurrezione ci unisce MURIZIO LAFFRANCHI Milano 77 NINO BELLIA Catania, Natale 2011 Giulio carissimo, per noi primo Natale da due sponde diverse, ma, forse più distanti solo in apparenza! Il sapere che, di là, adesso ci sei anche tu, mi consola: il tuo sorriso, dolce come un liquore da sorseggiare lentamente, la voce bonaria e un po’ roca, tuttora così risonante nell’intimo di noi tutti, i tuoi silenzi, da lettore raffinato e ascoltatore profondo quale sei stato. Ebbene, questa consapevolezza non mi rattrista più, ma accresce il desiderio di approssimarmi al guado, con più fiducia. Considero la tua conoscenza un autentico dono, e di ciò non cesserò mai di essere grato a Elisa. Ricordo la mia prima visita a Bussero, appena dopo la laurea. Lei ci teneva tanto a presentarci, e di te, sempre conciliante, sempre rassicurante, ripeteva che eri il figlio ideale per mamma Irene. Mi aveva raccontato alcuni capisaldi della tua storia di uomo, di prete e di missionario. Mi aveva preparato come a un incontro eccezionale. E davvero straordinario fosti per me, e tale sei rimasto, senza arretramenti, senza ridimensionamenti. Anzi… Mi è più volte accaduto di trovarmi di fronte a personalità molto note e stimate, gente “quotata” dal punto di vista intellettuale, culturale e spirituale. Eppure, non di rado ho avvertito un distacco, quasi un rifiuto di entrare in relazione diretta, come se tra me e loro restasse, invisibile ed invalicabile, una specie di trincea. Probabilmente, non lo escludo, il disagio è dipeso e dipenderà dal mio limite. So per certo che questo, con te, non capitò mai. “Dal” Giulio, missionario del P.I.M.E., docente di Sacra Scrittura, Superiore Regionale in Guinea Bissau, uomo di scelte essenziali, condotte alle estreme conseguenze alla maniera dei grandi rivoluzionari, dei santi in Terra e in Paradiso, dei profeti, degli artisti fino al midollo: da lui non ho mai patito una simile distanza. Era bello e naturale stare al tuo cospetto. Avevo sempre voglia di chiederti qualcosa, avido di sentirti raccontare dell’Africa, dei Balanta, di certe accattivanti intonazioni portoghesi con cui, più che parlando, cantilenando – assicuravi, compiaciuto - si esprimevano le donne del villaggio; di quella gente che hai amato con ubbidienza appassionata, con slancio da vero missionario, ma anche con una discrezione ed un rispetto irreversibili, fino al punto da sentirti ( no! da diventare…) “come loro”. Fino a lasciare l’abito dell’uomo di Dio, inviato ai lontani, ai non credenti, ai poveri per identità storica e geografica. Come avrà fatto il Barlassina a rinunciare alla Missione? Come avrà potuto declinare responsabilità tanto delicate, per le quali era stato preparato da lunghi anni? Quale tarlo lo ha svuotato, allontanandolo dai doveri dell’evangelizzazione? E perché abbandonare una postazione conquistata a fatica, da altri, ben prima che da lui? Un segno di perdita, di défaillance. Una diserzione! Ai miei, ai nostri occhi, 78 invece, precisamente il contrario. La crisalide che si trasforma in farfalla, perde peso. La levità che le consente di volare, la retrocede dalle gerarchie di qualsiasi gravità, e la promuove a una cavità pneumatica, da molti scambiata per inconsistenza. Con quei passi indietro, che parvero di fuga, avanzavi in silenzio su bassopiani desertici, in cammino verso la Terra Promessa. Accedevi alla dimensione di chi leva lo sguardo verso i monti, perché solo dal Signore attende la salvezza, sua e per il mondo. Con la fedeltà della sentinella nel buio, con la determinazione dell’eroe e l’umiltà dell’antieroe, procedevi, scompagnato, guardato con disagio e con sospetto da chi ti sapeva e non comprendeva. Ti mescolavi a centinaia, migliaia, milioni, miliardi di altri uomini, assumendo l’anonimato come stola sacerdotale, come cattedra il sellino di una bicicletta che ti portava al lavoro, ogni mattina, in albe gelide e nebbiose, e poi di nuovo a casa, ogni sera, con qualunque tempo, con l’incubo dei cani randagi che ti latravano dietro, e ti inseguivano anche nei sogni, ignari, persino loro, di chi fosse veramente quel viandante, così qualunque, così speciale… E tutto, tutto con discrezione. Anche l’amore per Elisa. Anche l’amore di Elisa. Anche il tempo di Grazia di non esser più solo. Carissimo amico, tra un paio di ore celebreremo ancora il Natale. Saremo insieme. Io e Paola sulla solita panca di Piazza Cappellini, tu dall’altra metà di una chiesa generale, più vasta, disposta ad anfiteatro, al di qua e al di là, oltre i recinti di ogni genere, misteriosa rosa mistica peregrinante. Prima di andare, mi piacerebbe sentirti rispondere a un ultimo, forse importuno quesito: qual è il nome del tuo percorso, di quello svuotamento a cui andasti incontro con letizia? Correggimi, se sbaglio, ma a me viene in mente: …kénosis? Nino Bellia Mascalucia Catania P.S. Sarà stato forse un caso che la nostra Agnese, allora piccina piccina e scontrosetta, abbia mosso i primi passetti proprio con te? 79 RICCARDO RODANO Sulla soglia Ciascuno di noi muore veramente quando scompare l’ultima persona che lo ha conosciuto e lo ha voluto bene. Così è per tutti noi e così è per Giulio, che perciò vivrà molto a lungo nella vita dei suoi tanti amici. Ogni mattina, prima di uscire per andare al lavoro, lo saluto nella foto che lo ritrae, come saluto altri due amici che lo hanno preceduto lassù, e intimamente gli chiedo di accompagnarmi con la sua attenzione discreta, come ha sempre fatto quando era in vita. In amicizia non occorrono tante parole; al momento giusto c’è un gesto, uno sguardo espressivo di tutta la solidarietà che si possa a testimoniare una presenza operosa. La distanza dei nostri luoghi di vita non ci ha consentito una frequentazione nemmeno assidua; poi la sua condizione di salute ha impedito anche gli incontri annuali, ma la percezione della sua presenza e della sua vicinanza mi è sempre stata evidente, esattamente come ora, in una dimensione a cui solo ciascuno di noi sa dare una sostanza. E la sostanza di Giulio è stare sulla soglia: senza invadere, senza intrusioni, unicamente ad affermare una presenza vigile, carica di amicizia. E io sapevo che lui c’era e so che c’è. La soglia non è indifferenza, non è volontà di rimanere a distanza; al contrario ti permette di scorgere il tuo amico, ti infonde la sicurezza che a lui ti puoi rivolgere, ti fa sentire di essere accompagnato nelle tue occupazioni e … preoccupazioni senza che sia necessario dargli conto delle scelte che fai. In una parola quando il tuo amico resta sulla soglia esprime per intero la sua capacità di accoglierti come sei e ti senti voluto bene, consapevole di non averne grande merito. E ti resta nel cuore la sua persona, ciò che egli è e ti ha dato, come eredità di un rapporto che non ha mai avuto bisogno di esplicitazione perché è stato vissuto come uno stile. Per gli strani percorsi della vita abbiamo avuto la possibilità di riprendere gli incontri annuali: mi è toccato di compiere all’incontrario il tragitto e sono andato a trovarlo, insieme alla cara Elisa, in spirito di pellegrinaggio, come per rifocillarmi, confidando di continuare ad attingere al suo stile. Ci siamo rivisti solo per un’ultima volta ed è stato come sempre: sulla soglia, senza invadere e senza intrusioni. Tutto è compiuto nella vita di Giulio e tutto quello che si potrà compiere nella mia vita sarà frutto anche della sua amicizia discreta, di cui mi è stato fatto dono. Ciao, Giulio. Continua a stare sulla soglia della mia vita. Riccardo Rodano (Catania) 80 ELISABETTA CARPINTERI 19 marzo 2011 Grazie per avermi fatto partecipe delle vostre voci. Lo considero un grande privilegio ed un onore. Elisa e Giulio sono i miei fari nella notte. Conoscerli è stato intraprendere un viaggio, dentro e fuori di me, che mi ha portata a guardare, conoscere, comprendere e vivere la Parola nella verità della mia specifica diversità. Ho capito cos'è la voce del silenzio conoscendo Giulio, e cos'è l'organizzazione conoscendo Elisa, e in loro due ho visto l'Amore diventare realtà quotidiana in tutte le sfumature: un sogno inseguito da tanti ma vissuto da pochi ed io mi reputo fortunata ad aver visto, e udito, che ciò è possibile. Dalle mie parti si dice che chi è ricco d'amici è scarso di guai: a Giulio, malattia a parte, questa ricchezza non è mancata e in qualche modo la riverserà su di noi, specie sulla sua Elisa. Grazie ancora, per questi ricordi in più. Vi abbraccio tutti con affetto augurandovi tutto il bene e l'amore possibile per la vostra vita e la vostra missione. Pace e bene a tutti. ELISABETTA CARPINTERI 13 gennaio 2012 "Il mio ricordo di Giulio è il suo sguardo che mi suscitava la sensazione di quiete e immensità delle parole " e Dio vide che tutto era buono" della Genesi. Questo sguardo e alcune brevi frasi che mi rivolse quando, sul finire del 2004, fui ospite di Elisa e Giulio per qualche giorno. Giulio stava bene, allora, ma io attraversavo il momento più destabilizzante a causa di alcuni stravolgimenti che il cambio di lavoro aveva determinato nella mia vita familiare. Ricordo i suoi occhi mentre raccontavo. Il suo ascolto silente rimandava quiete e certezza che tutto era buono, anche quando non sembrava esserlo. E alla fine quelle brevi frasi "si sente che soffri molto". Nulla di piu' ma io vi ritrovai l'eco di quel " e Dio vide che tutto era buono" che mi aprì l'anima ridandomi coraggio e speranza. Così ricordo Giulio, così lo sento, così lo vedo in Elisa, oggi più che mai. Io sono Elisabetta Carpinteri, un'amica delle amiche siciliane che porta Giulio nel cuore." Elisabetta Carpinteri Canicattini Bagni (Siracusa) 81 SALVATORE LONGO E GIOVANNA CANNATA Ricordare Giulio è come respirare aria pura, come trovare un oasi in un deserto, come vedere splendere il sole dopo una tempesta. Giulio: una persona meravigliosa, rara, che riusciva a trasmettere affetto, serenità e pace anche solo con i gesti, solo standogli vicino. Di poche parole ma un concentrato di virtù, di saggezza, di generosità d'animo enorme, di correttezza e di sani principi. L'unico rimpianto che abbiamo è quello di non essergli stati accanto di più, di non aver potuto godere del privilegio della sua presenza tra noi. La sua amicizia è stata preziosa per noi e ci riteniamo fortunati per averlo avuto nella nostra vita come un caro e prezioso amico. Giulio tu vivrai sempre nei nostri ricordi più belli. I tuoi amici "lontani" ma vicini col cuore..... Salvatore e Giovanna (Siracusa) 82 MARIO GAROFALO L'unica cosa che mi farà essere breve è il monito di Franco che il tempo è quasi scaduto per un ricordo di Giulio da condividere, altrimenti sarei proprio lungo..Ho fatto anch'io il seminario nel Pime dal 75 all'80 al Pime di Monza, per me il gruppo che vi siete ritrovati ultimamente eravate quelli del CHI, e Giulio era ancora in Guinea o era appena tornato. Nel 79, Giulio ed Elisa mi aiutarono a pagarmi il viaggio per una visita in Bangladesh, impazzivo all'idea di essere prete senza aver visto una missione, e vedendola decisi che non avrei fatto il prete, andai comunque in Bangladesh come associato al Pime, e quando tornai nell'85 decisi di uscire definitivamente . L'ultima volta che ho visto Giulio è stato nel 2005, e ci andai con mio figlio che aveva 5 anni, l'avevo portato con me dalla Sicilia per fargli vedere Milano e fare l'esperienza dell'aereo. Gli chiesi, dopo aver pranzato insieme: "Ma tu perche' sei uscito dal Pime dopo tutto quello che avevi fatto e per la responsabilità che avevi?" Mi rispose con un fil di voce:"Perché volevo essere libero di decidere ed essere padrone delle mie scelte e della mia vita". Ed eccola lì la sintesi di tutto quello che avevo sentito da lui, degli incontri, degli ascolti, dei silenzi partecipati "libero"...Libero da ogni forma di potere innanzitutto, libero di pagarsi la sua libertà lavorando duro, libero di credere intensamente senza sentire la necessità di predicarlo, conferenziare. Ascoltava; una volta mi disse che aveva finito di leggere la bibbia in ebraico, e lui che poteva spiegarla andava dal Maggioni a sentire le sue letture bibliche. Ascoltava, e ascoltava col cuore, tutti. "Fammi umile, aperto alla tua grazia",le parole che Elisa ha voluto regalarci con la sua foto, sono tutto quello che lui chiedeva, chiedeva di essere veramente un uomo libero, e quello che ha chiesto l'ha tutto regalato. Mario Garofalo Monterosso Almo Ragusa 83 ANNA PIVA La conoscenza che ho avuto di Giulio è stata per lo più in maniera indiretta: sei sempre stata tu, elisa, la portavoce dei suoi pensieri, delle sue dimostrazioni d'amore, delle gentilezze e attenzioni per te. La sua riservatezza, mitezza e soprattutto il suo rispetto dell'ascolto, mi hanno sempre messo un po' di soggezione: avevo sempre paura che i miei discorsi potessero essere superficiali per una persona colta come lui. Ma il suo sorriso, la dolcezza del suo sguardo rivelavano la sua bontà, la sua compiacenza verso chi, in particolare quando non più autonomo, doveva dipendere da altri. Forse Giulio lo sto imparando ora che non c'è più, e sempre attraverso te. La tranquillità, la serenità, la rassegnazione per la sua dipartita che stai vivendo in questo periodo di "solitudine fisica", sono ancora un riflesso della sua presenza, un averti insegnato -per gli anni vissuti insieme - che l'amore va oltre la morte, che la certezza del ritrovarsi un giorno ti da la forza ed il coraggio di andare avanti. E questa convinzione l'avete maturata insieme, l'avete discussa chissà quante volte insieme pensando che prima o poi uno dei due se ne sarebbe andato per primo e l'essersi preparati vicendevolmente a questo evento con serenità, non ha lasciato chi è rimasto nella disperazione. E' questo l'apprezzamento che oggi con convinzione faccio a Giulio: l'averti preparata a proseguire il " cammino da sola" dandoti la sicurezza che lui ti è sempre vicino. il mio è solo un pensiero "casalingo" che ti esprimo con affetto in ricordo di un marito che hai avuto la fortuna di avere accanto per tanti anni. Ti voglio bene Anna Piva Roncola (BG) 84 MASSIMO SACCHI Va bene così. Questa la sfaccettatura di Giulio che ho conosciuto. Come quando entri un una casa e sei subito accolto e sei subito festeggiato. In qualunque condizione si arrivi, qualunque notizia si porti. Quel che importa è essere qui, assieme, dove tutto l'universo respira. E va tutto bene così com'è. Io, te, gli altri. Così è sempre. Come Giulio che è ancora qui. Massimo Sacchi Milano 85 LAURA NIGRETTI e CARLO MASETTO Nelle nostre vite Giulio è entrato attraverso Elisa. In quegli anni così vivaci in tanti ambiti ci misuravamo con varie realtà in evoluzione, sia come persone che come coppie. Le nostre conversazioni ad una cena o in montagna lo vedevano partecipe, rispettoso di tutto e di tutti, anche se mi veniva in mente spesso gli aisberg che mostrano solo una piccola parte di loro. Ultima visita: Eravamo in visita per Natale dello scorso anno prima di andare a svernare al mare. Nel salutarlo sapevo che sarebbe stato per un bel po’, ma mai immaginavo per quanto. Mi chino per abbracciarlo e mi sento di dire “Giulio mi dai la benedizione”? In perfetto latino, con un sorriso dei suoi, con suoni e gesti che possedevano e rivelavano qualcosa che soltanto si può contemplare e ricevere.... ci ha benedetto. Tutto molto semplice, della semplicità dei gesti biblici che ancora oggi ci parlano di Lui. Grazie! Laura e Carlo Milano 86 ANNAMARIA CAVAGNOLO Giulio c'è. Anche ora che non è più con noi fisicamente. Sperimento la sua Vita tangibilmente attraverso Elisa. La loro unione continua a crescere, a trasformarsi e a trasformare profondamente chi è vicino, Giulio c'era. Anche quando non parlava,non si muoveva. La sua presenza pulsava con la qualità di un'altra Presenza. Accettazione serena, radiosa e liberante. Pace, abbandono ed espansione. Nonostante i limiti della fatica e della sofferenza. La casa di Elisa è diventata la casa della Gioia, abitata dalla Gioia in cui ora più che mai vive Giulio. E di cui ci rende partecipi. Questa testimonianza per me è stata, ed è, forte, unica, un grandissimo dono. Grazie! Annamaria Cavagnolo Milano 87 Gli ultimi giorni di Giulio nei messaggini via internet degli amici del CHI(?) questa notte scorsa il Giulio ha dovuto essere ricoverato (policlinico di Milano, Padiglione Devoto, medicina intensiva) per gravi difficoltà respiratorie. il referto parla di travaso pleurico e broncopolmonite sono stato a trovarlo nel pomeriggio e ho portato i vostri saluti che ha molto gradito a giudicare da un leggero movimento delle palpebre, strappato alla fatica del respirare che in queste ore è il suo sforzo principale fino a ieri alla domanda di Elisa "come stai" rispondeva "bene"... e se proprio c'era qualche problema diceva "benino"... all'Elisa che gli chiedeva di cosa sentiva più bisogno rispondeva "un po' di consolazione" adesso la fatica sembra prevalere del resto la botta è grossa: una broncopolmonite abbatterebbe un leone, figurarsi lui ...che è un agnello vi terrò informati di ogni evoluzione Ciao, Franco 4/3/2011 Franco, porta un bacio per me a Giulio e a Elisa... Che dolore! Carla Barbaglio, Roma Grazie delle notizie e dei commentini. Salutami tanto il Giulio, fagli coraggio e digli che anche a Hong Kong lo ricordiamo con tanto affetto e riconoscenza. Un saluto e un grazie anche alla Elisa. Franco Cumbo, Hong Kong grazie per le notizie, anche quando sono difficili. Grazie per ricordarci impegno e fedeltá. Abbraccia Elisa e Giulio. Ciao Anna Maria, Macapà che Giulio ci senta, come può, vicini. Un abbraccio, Ennio Pirondi, Milano Carissimo Franco, grazie che hai portato la nostra vicinanza a Giulio e Elisa!! Con grande affetto. dario, Tuscania 5/3/2011 'sta sera il Giulio sta proprio meglio! ciao, Franco Son contenta per Giulio! E digli che lo ricordo tanto tanto! Ciao! Anna Maria, Macapà 88 Grazie per la buona notizia di Giulio. Un saluto a lui con affetto. dario 6/3/2011 Franco, Un abbraccio a Giulio, e digli che quando mi ricordo di pregare mi ricordo anche di lui. Portagli anche un gelsomino. Renzo Milanese, Hong Kong 9/3/2011 carissimi Torno dall'ospedale Policlinico di Milano dove è ricoverato Il Giulio. il Giulio sta di nuovo piuttosto male, anzi molto male. Adesso fatica sempre più a respirare, la sua faccia è una maschera sofferente...Non si sa più cosa desiderare per lui. I dottori dicono che è grave e che la situazione non sembra recuperabile Elisa attinge la sua resistenza dalla forza tranquilla del Giulio che è comunque anche in questa ora un uomo straordinario, maestro anche di letizia: non si lamenta mai, non vuole pesare su nessuno... quando gli raccontiamo i nomi di quelli che lui ama sopra ogni cosa - e cioè quelli del Pime - mi pare di percepire un segnale di presenza e di consolazione che gli fa bene. Sarà quello che Dio vuole Un abbraccio a voi Franco Pace e Bene!! Grazie mille Franco, per le notizie del FRATELLO Giulio e di Elisa!! Sono sicuro che siamo tutti lì, col cuore e la preghiera, perchè sia fatta la SUA volontà, nonostante la nostra impotenza ed, a volte, la nostra ...rabbia!! Giulio questo l'ha capito molto bene e da un bel pezzo!! GRAZIE e abbraccio fraterno a TUTTI!!!!!!! Joào da Busto 10/3/2011 Grazie Franco per farci vicini. Camminiamo con voi, verso la Pasqua. Un bacio, anna maria; macapà grazie Franco per quello che fai a lui a nome nostro digli che lo pensiamo e gli siamo molto molto vicini, siamo dentro la sua sofferanza un caro abbraccio a te e famiglia a Elisa e un bacione a Giulio tino frontini, Hong kong Franco, stai vicino a Giulio anche a nome mio. Facci sapere come procede la sua malattia. Mi dispiace saperlo sofferente e impotente in questa sua malattia. fai coraggio anche ad Elisa, sua compagna nelle gioie e nella sofferenza. Fabrizio Persico; Nembro Caro Franco, Ho vissuto pochi mesi fa la morte di Gino, fratello di Francesca, e ho imparato cosa vuol dire “anche se vado per una valle oscura, non temo alcun male, perché tu sei con me”.Grazie di stare vicino a Giulio ed Elisa. Un abbraccio forte, Ennio 89 Caro Franco. grazie per tenerci informati. Un saluto e una preghiera a tutti, specialmente a Giulio e Elisa. Renzo Milanese, Hng Kong Giulio, siamo tutti lì con te in questi giorni in cui la croce si è fatta particolarmente pesante. Sentici vicini. Elisa, domani sarà un giorno migliore. Franco Mella, Cina 1/3/2011 Caro Lacchini grazie per le notizie che mi dai su Giulio. Hai fatto bene ad informarmi e continua a farlo. Se vai a trovarlo salutamelo e digli che prego per lui e per Elisa. Cordialmente Carlo Torriani Lok Seva Sangam - D/1 Everard Nagar SION, MUMBAI 400 022, INDIA 12/3/2011 Ciao Franco! E Giulio? Siamo in attesa... Abbiamo ripassato le notizie ad Angelo (Da Maren) que non sapeva niente. Molta forza e speranza a te, Elisa, Giulio. "Alla fine, é sempre Pasqua" (Pedro Casaldaliga). Beijo Ana Maria; Macapà Franco tienici informati su Giulio qui abbiamo Cesarino Bonivento vescovo della Papua New Guinea gli ho detto di Giulio. Saluta tutti e mi ha detto di salutare anche Giulio e dirgli che lo ricordera' nelle sue preghiere. Tino Caro Franco Non ti ho trovato quando ti ho cercato lo scorso fine settimana , ma sono vicino anch’io al carissimo Giulio, all’Elisa e a te che lo aiutate. Un abbraccio Guglielmo Colombo; Everan, Armenia 13/2/2011 il giulio è sempre in una situazione piuttosto grave di difficoltà respiratoria viene alimentato con un sondino nasale perchè la deglutizione che per noi è istintiva per lui è un ricordo e quindi viene agita casualmente con grave pericolo di inserire alimenti o liquidi nei bronchi per questo è stato obbligatorio inserire il sondino nel naso che lo aiuta nell'alimentazione ma lo ostacola nella respirazione chissà quanta voglia di grattarsi, di spostarsi, di parlare!... tutte cose a lui ora impossibili: ha solo due occhioni lucidi con i quali ti guarda con estrema dolcezza, e tu ti senti un verme che non hai saputo in tutti questi anni prepararti a leggere e decifrare questo alfabeto dell'amore che è fatto di silenzio e di sguardo. 90 state sintonizzati nello spirito domani alle 14.30 (ora italiana) perchè viene il Giovanni (Gadda) per l'estrema unzione e pregheremo insieme la famosa preghiera "forse a quest'ora medesima..." che è la preghiera di benedizione dei nostri padri. a domani - ciao, Franco Ci saremo! e con noi una trentina di líders della regione delle isole, riuniti per la formazione annuale. Sentiteci presenti e ditelo a Giulio ed Elisa. Abbracci Anna Maria 14/3/2011 Il Chi si e' risvegliato! Forse a quest'ora medesima ... l'ho già detta, con un'ora di anticipo, in compenso l'ho detta in cinese, per vedere se ha più' effetto. Renzo 14/3/2011 A Carlo Tei (messaggio di Tino, ndr): Carlone, ho parlato con Franco ieri e purtroppo la situazione va peggiorando. Pare che soffra per la mancanza del respiro, e deve essere una dolorosa pena . Povero ometto non ha mai fatto male a nessuno e ... tocca proprio a lui soffrire le pene dell'inferno Quindi l'inferno c'e' veramente!!! ma pare per i buoni, non per i pirla! Capire sto DIO, ...... non e' facile! Ciao e fatti vivo ci manchi! tino (…) Anche Don Carlo (Tei) ha scritto un suo pensierino, un po’ triste , ma pieno di speranza che la sofferenza di Giulio lo salvera' dalle pene del purgatorio. leggete, Tino (…) Carissimo Tino, Sono spiritualmente vicino a Giulio, anche se so che questo dolore lo puo' pienamente comprendere, accettare o ribellarvisi solo chi lo sta soffrendo. Dal resoconto di Franco, risulta che Giulio lo sta soffrendo da "giusto", cosi' come, del resto, e' sempre vissuto. Come Gesu', sta soffrendo le pene dell'inferno per far aprire le porte del paradiso ai poveri p…. incontrati lungo i suoi 80 anni, sempreche' si pentano, almeno all'ultima ora. Sta soffrendo molto probabilmente anche per me, povero p…. da lui incontrato negli anni 1969-71. Donde ne deriva a me una maggiore dose di fiducia anche nella mia salvezza. Stammi bene. Memento. Carlo Tei Caro Franco Elisa e amici ho ricevuto ultimamente informazioni vostre sulla salute del Giulio, mi sento unito e prego 91 conforme indicazioni del franco vostro Angelo Da Maren= 15/3/2011 questa mattina alle nove meno venti Giulio è morto credo che anche il Padreterno, che notoriamente è un po' ipovedente, avrà avuto qualche difficoltà a distinguerlo dal suo figlio crocifisso... ieri abbiamo celebrato con Giovanni, Elisa e tutti voi il sacramento dell'unzione degli infermi e recitato la preghiera "forse a qs ora medesima": credo ci abbia ascoltato da dietro i suoi dolci occhi chiusi e sia stato molto contento di sentirsi unito alla sua grande (e invisibile) famiglia oggi - ci dicono le infermiere - se ne è andato in silenzio, in un attimo, senza avvertire nessuno ha così realizzato il suo desiderio espresso a capodanno : "diventare umile ed essere aperto alla gratuità di Dio" appena possibile vi comunicherò luogo,data e ora dei funerali ciao, franco __._,_.___ Che dire! Una grande emozione e un abbraccio forte forte a tutti Carla e...Giuseppe (Barbaglio) mi dispiace per Giulio, ma guardando dall'altro angolo, per lui e' finita la passione ed adesso condivide la gioia del Risorto. Grazie per averci rappresentato un po' tutti e per avergli fatta sentire la nostra vicinanza. Saluta e fai le condoglianze anche ad Elisa, sentirà tanto la sua assenza!. Ti mando qualche foto che avevamo fatto insieme con Giulio ed Elisa. Franco Cumbo Caro Franco, hai detto tutto molto bene. Non ho niente da aggiungere. Renzo Caro Giulio, sei stato un grande silenzioso per tutti noi. Quello che ci hai dato rimane in noi e nel mondo, ti ringraziamo e ringraziamo anche Elisa che ti è sempre stata vicina. Ciao stacci sempre vicino. Giovanni Zonta Ora Giulio vede “la pace che il Signore gli ha promesso”. Che lui, e il Signore ci aiutino ad aprire gli occhi, per vedere “la salvezza che ha preparato per tutti”. Grazie Giulio – e il Signore – per esserci incontrati per un po’. ... e per continuare a farlo con questo mezzo. E Grazie a te, Franco; che gli sei stati così vicino. Un abbraccio, a tutti, Ennio 92 Avevo telefonato a Franco per dire che eravamo vicini mentre celebravano l'unzione. Franco mi ha detto: ma mica sta morendo, fa solo una gran fatica. Invece Giulio, come sempre, é riuscito a sorprenderci un'altra volta ed é andato a precederci nella casa che ci é riservata e dove ci aspetta insieme a tanti nostri fratelli e sorelle. Pregheremo con lui insieme a 50 agricoltori che abbiamo qui in un incontro. Elisa che la sua presenza ti conforti. Grazie per l' amore che gli hai dato anche a nome nostro. É quello che resta eternamente. Sandro e Anna Maria, Macapà un altro grande se n'e' andato gente che ci ha formato con la loro fede speranza e il loro dolore il suo sorriso rimarrà in me per sempre, Grazie a Elisa che l'ha amato anche a nome nostro, Grazie a franco che ci faceva presente a lui continuamente col suo ammirevole servizio. speriamo di fare qualcosa che assomigli a quello che lui ha fatto Tino oggi informo anche Roberto nella speranza che anche lui ci rappresenti con altri all'ultimo saluto caro Lacchini, Ringrazio per avermelo fatto sapere, poco prima mi è stato comunicato che era quasi alla fine e aveva ricevuto l'unzione degli infermi...Ce l'ha proprio fatta a fare il cammino alla ricerca dell'ultimo posto,fino alla fine!Continua a essere luce per il cammino...vi abbraccio e prego con voi! ... luigi (carlini), Amapà Presenti in spirito anche noi della Cina. Giulio in paradiso sara' stato accolto non solo da Giuseppe Barbaglio ma anche da Giuseppe Sanzeni, nostro compagno a Venegono. Un libro su di lui verra' distribuito nella chiesa di San Giuseppe della Pace (corso Sempione) durante la messa delle 11di questa domenica 20 marzo. Ci stanno preparando il posto. Franco Mella. Cina Caro Franco, grazie per avermi comunicato la notizia della morte di Giulio. Mi unisco anch'io alla vostra preghiera "forse a quest'ora medesima". Sono contento che anche P. Gadda sia stato presente: era stato con me nel seminario di Careggi nel 71-72. Per favore esprimi la mia partecipazione e quella di Luigina, al dolore di Elisa, non ho comunicazione diretta. Ieri sera ho chiesto a tutti i membri di Swarga Dwar di pregare con Elisa e Giulio. Anch'io li abbraccio Carlo Torriani 17/3/2011 Ciao Franco, il Giulio riesce a farci sentire ancora vicini ed insieme. Continuera' a guardarci con la sua amicizia ed a guidarci con il suo ricordo. Passa ad Elisa il mio saluto e preghiera piu' cordiali. 93 A te ed a tutti gli amici di sempre un saluto da Zamboanga. Nevio Viganò, Filippine Mi unisco a voi nel ricordo e nella preghiera di Giulio Barlassina, che ho conosciuto poco ma abbastanza per dire che era un missionario buono e umile, che ho ammirato. Vorrei esprimere il mio cordoglio a Elisa, che ricordo con simpatia. Mi piacerebbe rivederla. Mi spiace non potere partecipare al funerale. Pierangelo Grazie Franco per dato voce al Giulio ed all’Elisa in questi momenti difficili. Il Giulio raggiunge anche fratelli che hanno speso una vita con gli stessi valori di umiltà e solidarietà. Ammirevoli . Di quelli morti noi abbiamo conosciuto il Giuseppe e l’Antonio. Mi sento riconoscente a tutti . Felicita , che è a Paina, verrà al funerale. Se mi dovessero dare un giorno di ferie venerdì tenterei anch’io di venire. (NB: è arrivato da Everan in tempo per il funerale, ndr) Un abbraccio a tutti Guglielmo, da Everan - Armenia 17/3/2011 Ciao Franco. E grazie di averci avvisato della morte di Giulio. Io purtroppo non sono in grado di venire, con il seminario sono in partenza per il ritiro mensile, durante il quale ci sono le domande per le ordinazioni. La messa comunque la dico per Giulio, al quale devo tantissimo e per il quale ringrazio il Signore. Conoscerlo è stata una grande grazia. Sussuragli tu una preghiera a nome mio. La accoglierà perchè è nel Signore. Ciao e grazie ancora. Giancarlo Politi 18/3/2011 Caro Franco, ero fuori Dhaka e solo ieri ho ricevuto le notizie che mi hai mandato. Grazie. Penso a Giulio come a un "puro di cuore", e se il Signore mantiene la promessa, ora "vede Dio", quel Dio che ha cercato per tutta la vita. Ti prego di dire a Elisa la mia partecipazione e la mia preghiera. Avevo ricevuto la sua ultima lettera, con notizie del peggioramento delle condizioni generali di Giulio. Non ho risposto, ma intendevo andarli a trovare nel prossimo mese di giugno, quando dovrei essere in Italia per vacanze. Saro' contento se riusciro' a organizzare le cose in modo da vedere lei. Poco fa ho saputo della morte - nella sua missione di Beneedwaer, come desiderava - di p. Luigi Scuccato, che forse qualcuno di voi ha conosciuto. Avrebbe compiuto 91 anni a giugno. Ciao. Franco Cagnasso 19/3 GRAZIE, ELISA! La serenitá che ci comunichi mi dice la presenza di Giulio vicino a te e a tutti noi. É stato bello ieri nominarlo e raccontarlo ai nostri amici delle isole. É diventato anche loro. Hanno visto l´emozione di Sandro e si son stretti attorno, con affetto e riconoscenza. 94 Gli abbracci ricevuti sono anche per te.E che Giulio ci aiuti a continuare. Un abbraccio forte, con un bacio, Anna Maria ----------------------------Il nostro amico Giulio, in questi ultimi anni, ha trovato dei compagni di viaggio straordinari. Un abbraccio forte, innanzitutto, per Elisa. Moglie e compagna di Giulio. L'ha seguito con amore, cura e grande sensibilità. A lei un grazie infinito. Ma, caro Franco, so che anche tu, insieme a Grazia, hai seguito moltissimo Giulio. Il nostro Vecchio (noi a Monza lo chiamavano così), girovagando per le stelle, vi penserà sempre. Insieme a Mirella, mia moglie, ho visto Giulio per l'ultima volta al Policlinico. Pochi giorni dopo, quando Elisa mi ha comunicato che ci aveva lasciato, credimi, non me la sono sentita di andarlo a trovare nella camera mortuaria. Ho preferito e preferisco ricordarlo come l'ho conosciuto. Franco Dell’Oro grazie per avermi fatto partecipe delle vostre voci. Lo considero un grande privilegio ed un onore. Elisa e Giulio sono i miei fari nella notte. Conoscerli è stato intraprendere un viaggio, dentro e fuori di me, che mi ha portata a guardare, conoscere, comprendere e vivere la Parola nella verità della mia specifica diversità. Ho capito cos'è la voce del silenzio conoscendo Giulio e cos'è l'organizzazione conoscendo Elisa e in loro due ho visto L'Amore diventare realtà quotidiana in tutte le sfumature: un sogno inseguito da tanti ma vissuto da pochi ed io mi reputo fortunata ad aver visto, e udito, che ciò è possibile. Dalle mie parti si dice che chi è ricco d'amici è scarso di guai: a Giulio,malattia a parte, questa ricchezza non è mancata e in qualche modo la riverserà su di noi, specie sulla sua Elisa. Grazie ancora, Franco, per questi ricordi in piu.'Vi abbraccio tutti con affetto augurandovi tutto il bene e l'amore possibile per la vostra vita e la vostra missione. Pace e bene a tutti. Elisabetta Carpinteri Caro Franco,grazie a te ed Elisa per questo grande regalo che mi avete fatto! Mi ha dato commozione,consolazione,speranza..I semi di vita di Giulio sono sparsi per il mondo,fioriscono e fruttano e spargono semi a loro volta, e di Qualità! Questa rete pulsante al di là del tempo e dello spazio dà tutta la forza e la fiducia che occorre in questi tempi così duri e bui. Un abbraccio! Annamaria Cavagnolo 95 Ciao Giulio! 96