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Egli sarà come un albero alto piantato sulle rive del

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Egli sarà come un albero alto piantato sulle rive del
“Egli sarà come un albero alto
piantato sulle rive del fiume
che il frutto matura ad ogni stagione
e foglie non vede avvizzire:
a compimento egli porta ogni cosa” (Salmo 1, 3)
Dario
Mencagli
Kirsten
Andersen
Ermanno Battisti Ennio Pirondi Carlo
Tradati
Franco
Lacchini
Grazia
Longhi
Giancarlo
Carrara
Piera
Brigatti Jose e Gigi Rota Giovanni
Gadda Renzo Milanese Patrizia Pucci
Giovanni
Zonta
Guglielmo
Colombo
Felicita Minjie Sandro Gallazzi Ana
Maria Rizzante Carlo De Bernardi e
Giovanna Ambrogio Cattaneo e K’heoh
Fabrizio
Persico
Luigi
Martini
Franco Dell’Oro Guglielmo Spadetto
Carlo Torriani Carla Busato Giuseppe
Barbaglio Tino Frontini Carlo Tei
Giancarlo
Politi
Franco
Cagnasso
Franco Cumbo Franco Mella Nevio
Viganò Alberto Zamberletti Eligio
Omati
Vittorio
Mapelli
Igino
Pedretti Gianni Foresti Angelo Da
Maren Luigi Carlini Daniele Gastoldi
Giampaolo Lecis Gigi Caccia Atzko e
Roberto Maggi Maurizio Fioravanti
Silvano Fausti Annamaria Cavagnolo
Massimo Sacchi Marisa Grilli Laura
Nigretti
Carlo
Masetto
Adriano
Aldrovandi
Alessandro
Bonino
Maurizio
Laffranchi
Patrizia
Morganti Enrico Paglialunga Carmela
Gallazzi
Gianna
Sergio
Serafini
Renza Stroppa Carla Barlassina Elda
Barlassina Lina Barlassina Simonetta
Barlassina
Stefano
Galbiati
Marì
Tironi Anna Piva Piera Mazzoleni
Anna Rotigni Paola e Nino Bellia
Pippo Gliozzo Pina e Riccardo Rodano
Elisabetta
Carpinteri
Francesco
Troiano Giovanna Cannata Salvatore
Longo Rita Gentile Giovanni Romano
Mario Garofalo Elisa Moriggi
insieme
per dire Grazie
2
3
15 marzo 2011
un anno fa moriva Giulio
ma niente,
neppure la morte,
può cancellare il suo sorriso
il vissuto di una esistenza
fatta di umiltà e di coerenza,
di tenacia e di dolcezza,
di silenzio e di sguardo.
Lo ricordiamo così
– semplicemente –
senza volerne fare un’icona:
Giulio sarebbe il primo
a non essere d’accordo, perché
“uno solo è il Maestro”
insieme
diciamo grazie
- a Dio per un regalo così bello
la sua figura
ora
riposa in noi
15 marzo 2012
4
5
il Progetto
Reverendissimo Superiore Generale e Consiglieri
Noi sottoscritti (p. Armando Rizza, p. Pietro Belcredi, p. Giulio Barlassina)
vorremmo presentarvi un progetto di modo di impegno nell’Evangelizzazione al
quale ci sembra di sentirci chiamati, dopo l’esperienza fatta da ciascuno di noi,
dopo una lunga riflessione e dopo scambi di idee avvenuti tra noi.
Questo nostro “progetto” non vuole contenere una pretesa di essere il modo
migliore in assoluto di esplicare l’attività missionaria, nè – tanto meno – una critica
ai modi attualmente assunti dai membri del nostro istituto, ché anzi vuol essere un
assumere in modo più esplicito e concreto proprio quelli che a noi sembrano
essere i modi più autentici di presenza missionaria realizzata dai membri del
nostro Istituto.
SCOPO del nostro progetto è sostanzialmente lo stesso che si è sempre prefisso
l’attività del nostro Istituto: l’EVANGELIZZAZIONE degli uomini, in ambienti nei
quali non è ancora stato annunciato il Cristo, per “camminare insieme” a questi
uomini verso la conoscenza e l’amore del Cristo Salvatore, per mettere in pratica
nella nostra vita quotidiana i Suoi insegnamenti.
In altre parole: camminare insieme verso la maturazione dell’Amore (=essere
sempre più totalmente per l’Altro), che è dono esclusivo di Dio.
Le attività nelle quali si concretizza quest’opera di evangelizzazione possono essere diverse.
La preoccupazione maggiore (per non dire unica) del missionario, deve essere quella
di esprimere in questa attività l’Amore stesso del Cristo dal quale siamo animati; Amore
del quale sono da rilevare le seguenti caratteristiche:
−
−
−
Attenzione a non separare la vita soprannaturale dalla sua base umana;
Amore pieno di MISERICORDIA e comprensione,
Rispetto di TUTTO ciò che è buono e vero nella vita degli uomini anche non
cristiani;
−
Rispetto dell’azione libera della GRAZIA, sia nelle persone e comunità che
accosteremo sia in noi e tra noi;
−
Pazienza e disinteresse nella ricerca dell’efficacia (che è inseparabile dall’amore
che vuole comunicarsi);
−
Tensione a mettersi sempre sul piano dell’AMICIZIA.
6
Per poter realizzare meglio queste caratteristiche dell’Amore di Cristo, prima in noi stessi e
tra noi stessi e poi anche in un’espressione esterna nel contempo con gli altri, e questo in
un ambiente non ancora evangelizzato, noi ci prospettiamo un’impostazione di vita e di
presenza missionaria che avrà questi elementi sostanziali:
1.
ci dovremo inserire in un ambiente da UOMINI CON GLI ALTRI UOMINI,
senza portare con noi e mediante noi una struttura prefissata, anche sul piano
religioso (es.: costruzione di una parrocchia, con opere, ecc.; questo sarà un lavoro
che, quando si renderà necessario, noi lasceremo ad altri);
la nostra sarà una presenza di TESTIMONINAZA e di PREDICAZIONE sul tipo di
quella di Gesù, che porterà al costituirsi di una COMUNITA’ EVANGELICA,
animata dalla fede in cristo e dall’amore;
quando sarà venuto il momento in cui questa comunità dovrà strutturarsi su un
paino sociale esterno (=parrocchia), noi lasceremo il posto ad altri;
2.
in qualsiasi ambiente verremo destinati dai Superiori (in accordo coi Vescovi
locali) e qualsiasi possano essere i mezzi che riterremo opportuno usare per
realizzare la nostra presenza, noi dovremo basare la nostra azione apostolica su
RAPPORTI UMANI, in uno spirito di AMICIZIA, tenendo sempre ben presente
lo scopo di condurre gli uomini (singoli e gruppi) a conoscere il Cristo (l’Amore9,
a credere in Lui e a trasformare gradualmente la loro vita secondo i criteri del
Vangelo;
3.
sarà soprattutto la “NOSTRA VITA” (=il nostro modo di vivere) che realizzerà
un’autentica testimonianza evangelizzatrice.
E’ questo il punto su cui insistiamo maggiormente, come caratteristica della nostra
attività missionaria, e per cui ci sentiamo in dovere di chiedere ai superiori che ci
permettano e ci aiutino a tentare di realizzare questo nostro “progetto”.
a)
Vita di comunione tra noi, il più profonda possibile, basata su una fede esplicita
sul valore della presenza di Cristo in noi e tra noi mediante il Suo Spirito, che fa sì
che ogni piccolo gruppo sia “Chiesa”
Questa vita di Comunione si espliciterà in un “vivere insieme” (i modi concreti di
questo “vivere insieme” si potranno vedere meglio sul posto), mettendo TUTTO
in COMUNE:
−
problemi, idee, modi di pensare, ecc., mediante una regolare “Revisione di vita”,
lo studio, i momenti di preghiera,…
−
l’attività missionaria, che sarà sempre decisa e rivista in comune, in tutti i suoi
aspetti;
−
l’amministrazione di tutti i mezzi (soldi, roba, ecc.), in una linea di povertà
evangelica (che andrà continuamente ricercata);
7
b)
Lo STILE DI VITA (abitazione, cibo, modo di vestire) dovrà essere basato su
una profonda umiltà e povertà, in modo che sia facilitata la preminenza
dell’Evangelizzazione nei nostri interessi e sia facilitata il più possibile lo stabilirsi
di contatti semplici e familiari (non come tra “ricco e povero”, o “chi può dare e
chi riceve”) con la popolazione, della quale ci sforzeremo di condividere le
condizioni di vita;
c)
Per quanto sarà possibile, la nostra piccola comunità missionaria dovrà dare
l’ESEMPIO del LAVORO per guadagnarsi il necessario per vivere (NB: tuttavia le
esigenze
del
lavoro
non
dovranno
mai
precedere
le
esigenze
dell’Evangelizzazione, che è sempre la prima preoccupazione e che costituisce lo
scopo ultimo della nostra consacrazione).
Questo lavoro lo riteniamo necessario per noi, per essere fedeli allo spirito di
umiltà sociale, di semplicità vera e di comprensione profonda dei bisogni e della
mentalità della maggioranza delle persone con le quali dovremo vivere.
NB.: la nostra Comunità di missionari sarà una COMUNITA’ GERARCHICA,
nella quale cioè dovrà esserci il “segno dell’autorità”, e quindi ci sarà in essa un
“Superiore” (o responsabile).
4.
RAPPORTO con l’ISTITUTO e la COMUNITA’ CRISTIANA
I nostri rapporti con l’istituto saranno quelli indicati dalle costituzioni, con la
preoccupazione di non fermarci alla materialità dell’indicazione giuridica.
La decisione definitiva sarà sempre quella dei Superiori dell’Istituto nei confronti
sia della scelta del luogo, del tempo di partenza e di permanenza in missione,
come anche circa i modi sostanziali della nostra attività di evangelizzazione.
Inoltre dovremo mantenere dei rapporti di comunione concreta con i membri
dell’Istituto mediante lo scambio di comunicazioni (i modi verranno ricercati)
Sul piano ECONOMINCO, per poter più veramente vivere in un atteggiamento di
povertà, vorremmo – per quanto possibile – non sentirci “con le spalle sicure”,
ricorrendo all’aiuto dell’Istituto in quanto tale.
Anche per aiutare la Comunità cristiana a sentirci in concreto – quali siamo – gli
strumenti della sua “missionarietà”, dovremo essere noi a trovare persone,
gruppi, comunità italiane, con le quali stabilire un rapporto di Comunione (anche
esterna), che comprenderà anche l’aiuto economico alla nostra attività missionaria,
ma questo (aiuto economico) solo entro i limiti del puro necessario, tenendo
presente che questo aiuto economico avrà un valore solo se e in quanto sarà
l’espressione di una Comunione sul piano completo dell’attività missionaria.
8
Perciò con queste persone, gruppi, comunità, dovremo mantenere una
comunicazione sul tipo di quella che avremo con i membri dell’Istituto.
Con la CHIESA LOCALE in terra di missione.
Chiederemmo i Superiori di trovare un Vescovo di una regione non evangelizzata,
che accettasse questo nostro modo di presenza missionaria.
Salve le linee essenziali (indicate sopra) del nostro modo di realizzare una
presenza missionaria, noi dovremo stabilire e mantenere con l Vescovo e il Clero
quei rapporti che sacerdoti e missionari devono avere, partecipando vivamente
alla vita della diocesi.
Sottoponendo alla Vostra attenzione questo nostro “progetto”, restiamo in attesa
di una Vostra risposta
p. Armando Rizza
p. Pietro Belcredi
p. Giulio Barlassina
Milano 1970 (?)
9
Carissimi Giovanni e Franco,
Catiò, 14/271971
mentre Salvatore sta cavando denti a tutto spiano (e voi sapete in quale
contesto di “presenza missionaria” e, soprattutto, con quale spirito lo fa), io (il
“teorico intellettualista”) mi metto a scrivere a voi. Non lo faccio di mia
iniziativa, ma come conseguenza del quasi incessante “comunicare” che facciamo
Salvatore ed io, “comunicare” che si esprime in una comune ricerca (anche a
livello di discussione) dell’ESSENZIALE nella nostra presenza qui. E siccome,
dopo ogni espressione del nostro comunicare, si giunge immancabilmente a
concludere che l’ESSENZIALE è il nostro FAR CREDITO, da poveri, alla realtà
della Comunione che abbiamo nel Cristo Gesù (che lega noi due, il nostro
gruppo pimino di Guinea, quelle persone con le quali possiamo “esprimere” tale
fede anche a livello umano, in modo più o meno esplicito, =Comunità di origine,
al gruppo umano in cui ci troviamo ora inseriti, e noi tutti con l’umanità), ieri ci
siamo proposti di “esprimere” un po’ questa Comunione scrivendo a voi due,
che qui in Guinea siete ricordati come coloro che “esistenzialmente” hanno
stimolato i nostri confratelli a intravvedere che l‘ ”ESSENZIALE” della Missione
è da ricercarsi nella linea della Comunione (chiamatela come volete…)
Da circa un mese sono qui con Salvatore. Sono venuto qui (mandato da
p.Mario) per tenergli compagnia in questo momento molto delicato. Come già
sapete, il suo modo di presenza qui, oltre ad un inserimento diretto con la
Comunità Balanta di Sua, ha esigito un atteggiamento “chiarificatore” nei
confronti della ‘Praça’, specialmente con quelli che pretendono diritti da
‘cristiani’.
Questo ha naturalmente provocato reazioni che si sono espresse in una
‘comunella’ (una specie di ‘cospirazione’) che ha presentato alla polizia tutta una
serie di ‘queixas’, tra le quali alcune di carattere politico (queste ultime erano
‘necessarie’ per sperare in un ‘successo’….) il “caso” non si è fermato al
Governatore, ma è stato demandato (addirittura!) al Ministero Ultramarino di
Lisbona. Ora siamo ancora in attesa di una decisione (da più di 40 giorni). Intanto
al Salvatore non è stato rinnovato il “bilhete” di permanenza in Guinea.
Nonostante l’atmosfera di incertezza e di ‘provvisorietà’ creata dall’attesa di
detta decisione, la vita e il lavoro qui continuano normalmente e abbastanza
serenamente, anche perché Salvatore è in atteggiamento di disponibilità nei
confronti del suo avvenire (qualsiasi possa essere la decisione che prenderanno le
autorità).
Il tipo di “presenza” di Camilleri (che voi avete potuto accostare un po’ ai
suoi inizi) mi sembra su una linea di autenticità evangelica (questa ‘linea di
autenticità’ è espressamente ricercata da Salvatore ); e cioè: è innanzitutto un
10
CONDIVIDERE (sulla base della FEDE) la situazione di questi gruppi umani,
tra i quali siamo stati mandati come ‘strumenti della Comunione’. Questa
‘Condivisione’ (come avete potuto vedere anche voi) si ESPRIME per Salvatore
in un ‘attenzione fattiva alle esigenze ‘sanitarie’ (dall’estrazione dei denti, ai
curativi, al trasporto degli ammalati, alla cura dei neonati) e ai problemi di
carattere famigliare che sorgono dal tipo di rapporti complessi in uso presso i
Balantas, problemi che si vanno facendo sempre più coscienti e gravi, soprattutto
a livello di alcuni giovani più attenti e sensibili (cfr nota 1, in calce)
Questa presenza mediante la ‘Condivisione’ ha già provocato, da parte del
gruppo Balanta, un INTERPELLARE il padre sul “perché” di questo suo
‘condividere’. La RISPOSTA viene sia dal ‘condividere’ stesso sia negli incontri a
livello di comunità che sono iniziati spontaneamente e ora continuano con
normalità. Infatti, tre volte alla settimana (domenica, mercoledì e venerdì), alla
sera, oltre un centinaio di persone 8 in gran parte sposate, uomini e donne; anche
alcuni “homens e mulheres grandes”) si ritrova nella scuola di Sua, per un
incontro di preghiera; tutto è fatto in lingua balanta e adattato al ‘momento’ del
‘cammino della comunità’; la musica dei canti (ormai numerosi) è opera di un
anziano membro della comunità balanta; il resto è opera del Camilleri, che deve
dedicare molto tempo alla traduzione in lingua balanta dei testi biblici e loro
commenti, aiutato da alcuni giovani.
Così la ‘predicazione’ (non nel senso biblico della parola) (=una lettura di
un dieci minuti) diventa il “tradursi in parole” dell’ANNUNCIO (che
essenzialmente consiste nel “condividere credendo alla Comunione nel Cristo” =
PAROLA di Dio), come uno dei ‘mezzi’ (o dei momenti) della RISPOSTA del
missionario alla “INTERPELLANZA” sul “perché” del suo “condividere”.
Commovente in modo particolare era l’attenzione di tutta l’assemblea di ieri
sera, in cui Camilleri ha letto le Beatitudini.
Al lunedì sera c’è un incontro (senza preghiere né canti) a livello di soli
adulti (uomini e donne; lunedì scorso ce n’erano una sessantina) in cui si
conversa familiarmente sui problemi concreti della vita balanta. Nell’incontro di
lunedì scorso (durato quasi due ore), gli stessi ‘homens grandes’ hanno tirato
fuori il problema dell’Aulle (=Irâ; voi sapete cos’è), inaspettatamente, perché
Camilleri di proposito non aveva mai accennato a questo problema tanto delicato
per un balanta; e nella lunga conversazione seguita (più tra di loro che con il
padre) è venuta fuori chiaramente una loro orientazione ad una sfiducia totale
nel valore dell’Aulle (in proposito, diverse giovani coppie di sposi che
frequentano gli incontri da tempo hanno smesso spontaneamente i segni
dell’Aulle, loro e dei loro bambini). (Cfr nota 2, in calce)
In questa “presenza missionaria” non manca certo l’altro suo aspetto
essenziale: la CONTESTAZIONE (nel senso di opposizione e rifiuto, almeno
parziale) nei confronti del missionario e del “messaggio”. Contestazione che si
esprime in tanti modi e a diversi livelli (non mi riferisco qui al “caso” provocato
11
dalla ‘praça’ e descritto sopra, ma alla ‘contestazione’ all’interno dello stesso
gruppo balanta) ed è da questa contestazione che proviene l’autentica
SOFFERENZA del missionario (è l’aspetto della CROCE, essenziale ad ogni
momento di una vita da ‘Chiesa’)
In queste settimane di condivisione abbiamo costatato (a livello di
‘esistenza’) l’importanza (noi due parliamo di “necessità”) della COMUNITA’
APOSTOLICA (non solo a livello ‘giuridico’), dell’essere almeno in due (anche
se non sempre insieme fisicamente), per un’autentica presenza missionaria; e
questo non solo (né soprattutto) per l’utilità che viene da una “critica costruttiva”
ai diversi momenti di detta presenza, ma anche (e soprattutto) per le esigenze di
“comunione concreta” insite nella vita e nella missione dell’apostolo.
In linea con questo, abbiamo rilevato l’importanza di un più espressa
“comunicazione” con i nostri fratelli di Guinea (almeno quelli del Pime) e con
altre “comunità” (possibilmente che siano impegnate nell’azione missionaria),
come potrebbe essere la vostra. Dai vostri scritti (ho potuto leggere, nel mio
peregrinare per la Guinea, diverse vostre lettere) ci risulta che (almeno voi due)
siete in espressa comunione con noi.
Noi gradiremmo tanto che si intensificasse questa “espressione della
Comunione”, attraverso la corrispondenza epistolare e anche attraverso altre
vostre “venute” tra noi (o di vostri compagni). Questo, oltre al valore
fondamentale di una comunione più intensa, a noi di qui potrebbe servire anche
in questo senso: voi, che vi trovate in un ambiente di “studio”, di riflessione sulla
realtà ecclesiale, potreste (insieme ai vostri insegnanti) aiutarci a “criticare” il
nostro modo di presenza missionaria, soprattutto per quanto riguarda i suoi
principi ispiratori, in modo da facilitarci la ‘purificazione’, per avvicinarci
sempre di più all’autenticità evangelica. (credo che non penserete ad una
“strumentalizzazione”…).
Già in questo nostro scritto abbiamo accennato ad alcuni elementi ai quali
cerchiamo di ispirare la nostra vita. Salvatore (che durante le nostre lunghe
conversazioni prende molti appunti scritti) sta preparando un “abbozzo” sul
come noi cerchiamo di vedere la “missione”. Tutti e due sentiamo la necessità di
un confronto di questo nostro modo di pensare, con altri, che se la sentano di
aiutarci in un’atmosfera di fraternità.
Se voi (e magari i vostri gruppi) ve la sentiste di darci questo aiuto,
scrivete a salvatore (io dovrò lasciare Catiò per ritornare a Bissau il 22 c.m.) ed
egli (quando l’avrà pronto) vi manderà detto “abbozzo”.
Scusateci la kilometricità di questa comunicazione: ci sembra che l’assunto
lo richiedesse. La fatica che vi è costato il leggerci, compensa la fatica nostra nello
12
stendere questa comunicazione (non pensate soltanto alla mia predilezione per le
“encicliche”, ma anche la mia innata ‘idiosincrasia’ per lo scrivere…).
Salutateci l’Equipe e tutti i vostri compagni
A voi due un saluto particolare
Giulio Barlassina
Nota 1
Voi, che avete accostato da vicino Salvatore, sapete bene che non si tratta
qui del classico “specchietto” per attirare e imbonire la gente, o di un ‘pretesto’
per accostarla e per poi ‘imbottirla’ delle cosiddette ‘idee cristiane’….
Nota 2
Non si tratta qui della cosiddetta “distruzione degli idoli”; si tratta invece
di un’autentica LIBERAZIONE da una vera SCHIAVITU’ dell’uomo; schiavitù
portata dalla PAURA. Questa LIBERAZIONE viene da una maturazione della
FIDUCIA nell’Amore di dio, che porta il Balanta a percepire che i suoi rapporti
con Dio sono sul piano dell’AMORE e quindi ben al di là dei limiti umani (e
incapacità umane) di fronte alle “forze della natura”. In questa “liberazione”
entra anche una miglior conoscenza delle “forze della natura” che incominciano
ad essere affrontate con mezzi umani (specialmente: cure mediche, medicine,
igiene, previdenza, ecc.).
Cari amici, aggiungo solo una parola di completa condivisione a quello
che Barlassina ha espresso. Con la sua venuta…almeno a Catiò un nuovo spirito
anima la nostra azione. Non che prima ci fosse “scirocco”, ma attraverso le sue
parole stiamo maturando più a fondo quella realtà missionaria che già affiorava
dentro di noi. Tante cose non le so dire, ma le sento. C’è sempre un amico che le
saprà esprimere…vi saluto di cuore.
Salvatore Camilleri
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Carissimi don Carlo e Comunità di Borgo Est,
Catiò, 4 ottobre 1972
ci è giunta molto gradita la vostra lettera indirizzata a p.Mario Faccioli.
Ci fa un grande piacere il fatto della vostra condivisione dei problemi che toccano
la nostra comunità di Guinea e in particolare, attraverso p. Salvatore Cammilleri, la
comunità di Catiò.
Noi siamo qui a Catiò da una decina di giorni per continuare a vivere con la
gente di qui la nostra fede nella condivisione dei loro problemi.
Il p. Salvatore ha iniziato questa condivisione fraterna che certamente avete
sentito descrivere dal Franco e dallo stesso Salvatore. Noi possiamo testimoniare
quanto profonda è stata questa condivisione specialmente con il popolo Balanta.
Ci siamo riuniti con i giovani balanta di Sua e ci hanno ripetuto in mille
modi la loro sofferenza per l’allontanamento del Padre e allo stesso tempo la gioia
di avere altri padri che continuino quello che ha iniziato il p. Salvatore.
Noi siamo convinti di non essere venuti qui per realizzare un desiderio
personale, ma perché ci sentiamo mandati da una comunità cristiana che ci ha
generati alla fede e ci ha fatti crescere. Questa comunità è per ciascuno di noi
quell’ambiente che ci ha aiutato a vivere la fede. Sono tutte le persone e gruppi di
persone che abbiamo incontrato nella nostra vita e attraverso le quali Dio ha
costruito la nostra storia personale.
Noi siamo qui perché ci sentiamo mandati per dire a questa gente,
attraverso la nostra vita, la fede che state vivendo. Fede che è fatta di tutto quello
che di buono fate per gli altri e della condivisione e fraternità con i gruppi umani
più lontani. Questo avviene nella vita concreta di tutti i giorni attraverso
quell’Amore che vi mettiamo per fare diventare il mondo una famiglia dove tutti si
sentono fratelli e figli dello stesso Padre.
Ci sentiamo perciò mandati anche dalla comunità di Borgo Est per
quell’aiuto a vivere la nostra fede che abbiamo ricevuto e condiviso (Pedro per la
partecipazione e condivisione diretta dei vostri problemi; Giulio per il rapporto di
amicizia con don Carlo e con i giovani del Pime che sono passati nella comunità di
Borgo est). Ci ricordiamo spesso, con commozione, della rappresentanza della
comunità di Borgo est alla partenza da Linate di ciascuno dei due.
La nostra prima preoccupazione ora è quella di credere davvero. Credere
che è lo Spirito che fa la Comunione tra noi e con le persone. Credere che quello
che conta non è l’essere battezzati o dire la messa, ma è cercare il cristo incarnato
nelle persone e nelle situazioni. Siamo convinti che la faccia di Cristo la troviamo
scolpita nella faccia delle persone che ci circondano.
14
Per noi quindi il fatto di fare comunione fra noi è indispensabile.
Concretamente lo stiamo realizzando tra noi due e un giovane balanta, Joaquim,
che vive con noi e fa da maestro nel villaggio balanta di Sua. Preghiamo insieme e
cerchiamo di lasciarci convertire.
Cerchiamo di estendere questa nostra comunione mantenendo rapporti il
più intensi possibili con i nostri confratelli missionari della Guinea. Scriviamo loro
ed ogni tanto andiamo a passare qualche giorno con loro per aiutarli nei vari
problemi di apostolato e di impostazione di vita.
Con la gente qui di Catiò cerchiamo di vivere questa comunione cercando di
essere il più possibile attenti alle persone, specialmente ai poveri, ammalati e a
quelli che sono soggetti a ingiustizia (in questo periodo della semina siamo
particolarmente attenti alle famiglie che non hanno riso per mangiare e tanto meno
per pagare gli operai che le aiutano nella semina).
Siamo a contatto con tre ambienti differenti, ma che hanno in comune il problema
di far fronte alle più fondamentali esigenze della vita e la situazione di sofferenza
causata dalla situazione di guerriglia.
− I Balanta di Sua coi quali ci sentiamo già in amicizia per contatti avuti quando
c’era ancora il p. Salvatore. Noi due non conosciamo ancora la lingua balanta, ma
una volta alla settimana abbiamo con loro un incontro di preghiera basato
sul’ascolto e la riflessione dalla Parola di Dio, con canti composti da uno della
comunità e preghiere: il tutto in lingua balanta (Joaquim ci fa da valido interprete).
− La comunità dei Fulas (musulmani): con loro non abbiamo ancora avuto contatti;
solo pochi incontri con le singole persone; anche nei loro confronti non intendiamo
assolutamente “convertire”, ma cercare una maniera di condividere e metterci a
pregare con loro. Per noi fare il missionario vuol dire cercare delle persone con le
quali condividere e volerci bene. Lo Spirito di Dio è in tutti e cerca di farci
diventare una famiglia.
− L’ambiente della “praça”: con una mentalità e uno stile di vita tutto particolari.
La maggior parte di loro si dicono cristiani, ma sono rarissimi i casi in cui la
mentalità e la vita risultano animati dalla fede. Anche tra di loro però abbiamo
incontrato uno che, pur avendo tre mogli, è un esempio di fede profonda. A
sentirlo parlare delle vicende della sua vita e a manifestare la fede che ha dentro,
sembra di leggere il libro di Giobbe. Con i pochi (una dozzina) che vengono alla
messa domenicale stiamo iniziando un discorso sulla linea della comunità fraterna.
Prima la ricerca della vita di fede (=l’essenza del Vangelo), poi si amministreranno
i sacramenti. Oltre ai contatti con le singole persone – e pensiamo tra poco anche
con le famiglie – cerchiamo di portare avanti questo discorso durante la liturgia
della Parola /alla messa della domenica), fatta in maniera molto famigliare come
15
conversazione sulla Parola di Dio prima di mettere i paramenti per la liturgia
eucaristica.
Uno dei problemi che noi due sentiamo più vivamente, perché condiziona
fortemente il nostro desiderio di condivisione, è quello della struttura in cui ci
troviamo inseriti e della quale ci è per ora impossibile prescindere.
Tra gli elementi più condizionanti di questa struttura risultano maggiormente:
− la nostra posizione di “privilegio”, dovuta a una lunga tradizione europea del
modo di concepire il “prete” e al modo in cui è stato ed è presente da secoli il
“bianco” qui in Guinea;
− il fatto di abitare una bella casa, che se anche povera nei confronti della
normalità delle case italiane, è un lusso nei confronti dell’abitazione di questa
gente;
− l’essere stipendiati dal governo portoghese (con conseguenti condizionamenti).
In tale situazione ci sembra che l’autenticità evangelica richieda da noi di
vivere la povertà nella linea della solidarietà, cioè mettendo praticamente a
disposizione di tutti quello che abbiamo e soffrendo per la posizione di privilegio a
cui siamo costretti.
I problemi pratici che dobbiamo e dovremo affrontare giorno per giorno, per
essere fedeli alla ricerca di questa autenticità evangelica, sono numerosi.
Pensiamo che il dialogo che noi gradiremmo mantenere con la comunità di Borgo
est ci possa aiutare molto in questa nostra ricerca.
Soprattutto confidiamo nel vostro ricordo e nella vostra solidarietà sul piano
della fede, per non chiuderci troppo alla grazia che lo Spirito di cristo dà sempre
in abbondanza per il costituirsi della famiglia di Dio.
Noi vi assicuriamo la nostra unione e il nostro frequente e vivo ricordo.
Un saluto a tutti, nel Cristo Gesù che ci salva.
Vostri
Pedro e Giulio
16
Carissimo don Giuseppe Barbaglio
Lì, 5maggio 1974
Approfitto della venuta in Italia di due Suore che lavorano nelle nostre
missioni per comunicarti – finalmente – qualcosa circa gli argomenti che
sarebbe utile trattare nel nostro incontro comunitario del prossimo luglio.
Prima di passare a tale assunto, alcune notizie.
Certamente avete appreso e forse anche seguito i recenti avvenimenti di
Lisbona. Il colpo di stato della giunta militare (con a capo il gen. Spinola, già
governatore qui in Guinea), con la conseguente soppressione della DGS (=
polizia segreta) e liberazione dei detenuti politici, fa sperare che le cose
comincino a muoversi un po’ dall’empasse in cui si trovavano, anche per
quanto riguarda la situazione qui nell’Ultramar. Frattanto qui la guerra
continua e la situazione è più o meno quella che hai trovato qui tu due anni
fa. Speriamo che l’evolversi delle cose in questi prossimi due mesi non ci
impedisca di realizzare il nostro incontro comunitario e che tu non abbia
difficoltà ad ottenere in tempo il permesso di venire qui.
Riguardo agli argomenti da affrontare nel nostro incontro, ti posso dire
quanto segue.
Dai contatti avuti con i miei confratelli, ho avuto una chiara segnalazione
dell’urgenza di presentare e affrontare nel prossimo incontro una
problematica che è molto viva in molti di noi, naturalmente con sfumature e
orientamenti diversi.
Fondamentalmente tale problematica si allinea sulla attuale “CRISI
DELL’EVANGELIZZAZIONE”, di cui parla chiaramente anche il Documento
preparatorio al prossimo sinodo dei Vescovi (“L’Evangelizzazione del
mondo contemporaneo”; cfr. testo in: Regno-docum. 15/1973, pagg. 390 ss.).
Per noi qui, tale “crisi” viene aggravata dal fatto che la necessaria
“conversione” di mentalità e atteggiamenti esigita per la Chiesa attuale (e,
quindi, soprattutto per noi missionari), viene a incontrarsi e a scontrarsi con
un tipo di impianto della presenza e attività missionaria creato e continuato
sulla linea dell’antica concezione – cosiddetta “saveriana” – delle missioni.
17
Secondo molti di noi, una nostra “conversione” ad un annuncio che sia
attualmente più adeguato alle esigenze evangeliche e alle esigenze dei nostri
fratelli africani, non è possibile senza un contemporaneo smantellamento
delle vecchie strutture e il porsi concreto di nuovi modi di presenza
coerenti con tale conversione di mentalità (=rapporto dinamico tra
mutamento di mentalità e mutamento di strutture).
Come vedi, si tratta di una problematica che è di tutta la Chiesa attuale, ma
che per noi è particolarmente grave, date le sue pesanti incrostazioni che
l’impianto missionario ha dovuto ulteriormente subire dal prolungarsi della
presenza coloniale e dai particolari legami e dipendenze in cui la Chiesa
storicamente si è lasciata impelagare finora, specialmente nell’Ultramar
portoghese e dai conseguenti e naturali influssi negativi che tutto questo ha
comportato e comporta sulla mentalità e sugli atteggiamenti di noi
missionari.
Tu conosci già abbastanza bene la composizione “umana” della nostra
comunità pimina di Guinea (anche i cinque nuovi che si sono aggiunti in
questi ultimi tempi).
Di fronte alla suddetta problematica, ci sono naturalmente atteggiamenti
diversi, che mi sembra di poter schematizzare (att.!! Si tratta di
“schematizzazione”!) così:
− Alcuni non avvertono una forte esigenza di mutamenti, convinti che la linea
seguita finora sia sostanzialmente valida ancora, accettando – per dovere di
obbedienza – di cercare di adattarsi a quei mutamenti (da latri ritenuti solo
“accidentali”) sul piano pastorale e liturgico, che continuamente vengono
richiesti dai documenti ufficiali della Chiesa del post-Concilio;
− Altri avvertono vivamente l’esigenza di un mutamento, sia di mentalità che
di strutture; sembrano però orientarsi su una linea “riformista”, cioè di
graduali mutamenti, in attesa che, con l’evolversi della situazione politica e
sociale, ci vengano imposti dall’esterno dei mutamenti radicali;
− Altri ancora, si trovano in un grande disagio interiore e spirituale di fronte
all’attuale presenza della Chiesa in Guinea e di fronte a quelle che essi
avvertono essere le esigenze della gente di qui (anche se, naturalmente, non
esplicitamente avvertite dalla stessa gente); questi confratelli si stanno
chiaramente orientando a delle scelte radicali, e cioè a ricercare uno
smantellamento sostanziale delle attuali strutture e impianti, ricercando
contemporaneamente nuovi gesti, nuovi modi concreti di presenza e di
attività missionaria, coerentemente con il maturarsi di una “conversione”
della loro mentalità. Naturalmente le soluzioni e le scelte concrete di questi
ultimi variano in base alla diversa configurazione della loro personalità, alla
18
loro storia precedente e alle loro capacità e possibilità sul piano umano e
spirituale.
Qualcuno (tra questi ultimi) pensa anche che – presentandosi come
praticamente impossibile, entro una ragionevole scadenza di tempo, un
mutamento adeguato – si imponga per lui l’esigenza di lasciare fisicamente
l’attuale situazione, per cercare un modo di servizio all’annuncio che ritiene
più coerente con le esigenze attuali dell’umanità e della Chiesa.
Penso che questa descrizione che ti ho fatto (anche se succinta e involuta
nell’espressione), sia sufficiente per te, per pensare a quale tipo di aiuto ti
sembrerà meglio portare alla nostra comunità con le tue comunicazioni e con
il tuo inserirti vivamente (come hai fatto l’altra volta) nel nostro travaglio di
ricerca, che questa volta si prospetta molto vivace e con possibilità di
decisioni abbastanza “gravi” da parte di alcuni di noi.
Io penserei che sarebbe molto pertinente alla nostra situazione che tu ci
aiutassi a capire meglio:
1.
che cosa significhi e come dovremmo concepire e sentire il “NUOVO”
portato da Cristo;
2.
quale tipo di mentalità (nei suoi elementi più essenziali) comporti
questo “NUOVO”;
3.
quali implicanze (di mentalità, di atteggiamenti e di gesti concreti)
abbia per la “Chiesa che annuncia” ( e in particolare per noi missionari)
l’Annuncio del Vangelo (cfr. specialmente: Filipp. 2,5-11 = adesione alla
volontà del Padre, che esige “spogliamento2 per essere su un piano di
“parità” umana con tutti gli uomini, ecc. –
NB.: qui potrebbe anche entrare la trattazione dell’argomento proposto da
uno di noi: “Evangelizzazione come attenzione alle esigenze socio-culturali e
religiose della gente con cui viviamo”);
4.
il tutto applicato alla situazione concreta in cui attualmente ci troviamo
noi missionari (e la Chiesa in genere) qui in Guinea, in vista di una
spassionata revisione della nostra mentalità e delle nostre strutture di fronte
alla Parola di Dio;
5.
aiutarci a chiarire il necessario rapporto “dinamico” tra “conversione”
della nostra mentalità e gesti concreti di superamento sul piano delle
strutture;
19
6.
sarà bene dare qualche indicazione dei criteri da seguire per chi – in
coscienza – si è orientato o si sta orientando a delle scelte personali che
apparentemente possono risultare di “rottura”, ma che di fatto possono essere
esigenze imposte a lui da una ricerca di conversione personale a servizio
della Comunione e della Missione nel momento attuale della Chiesa e della
sua vita personale.
Data la “gravità” e la delicatezza di tale nostra problematica, p. Faccioli e io
abbiamo ritenuto opportuno invitare a presenziare al nostro prossimo
incontro anche uno dei membri della Direzione generale dell’Istituto.
Attendiamo una risposta in proposito. Nel caso fosse affermativa (e ci
giungesse in tempo utile), ti daremo comunicazione in modo da poter
combinare – se possibile e se lo riterrai opportuno – un contemporaneo arrivo
qui di te e del padre della Direzione generale. Comunque questo non deve
assolutamente intralciare i tuoi programmi personali.
Qualora desiderassi ulteriori specificazioni circa gli argomenti da trattare,
scrivimi al più presto.
Ringraziandoti ancora per la tua disponibilità a “darci una mano”, ti saluto
fraternamente con un arrivederci tra neppure due mesi (tieni presente che
l’incontro si potrà incominciare il giorno 3 luglio, mercoledì).
Al mio saluto si unisce espressamente quello, altrettanto caldo e riconoscente,
di p. Mario Faccioli.
Ricordiamoci al Signore
Aff.mo
p.Giulio Barlassina
20
Giulio: le dimissioni da Superiore Regionale della Guinea Bissau
DICHIARAZIONE
Presento a voi le mie DIMISSIONI dall'incarico di Superiore regionale.
E’ una decisione, questa, a cui sono giunto già da diverso tempo e in
seguito ad una prolungata riflessione e valutazione dei "pro e contro", fatta almeno nelle mie intenzioni - in una ricerca della volontà di Dio, cioè delle
esigenze nei miei confronti da parte della Chiesa, della missione, di questa
nostra comunità.
Accenno solo ad alcuni motivi (o meglio: ad alcune linee di
motivazione) che mi hanno indotto a prendere questi decisione.
1° Ho costatato le mie incapacità umane a gestire (o amministrare) una
situazione e un impianto tanto complessi, quali hanno ora la nostra presenza
e attività missionarie; gestione pur ridotta entro i limiti di competenza di un
Superiore regionale, quali sono indicati dal nostro Istituto.
Se siamo riusciti, in questi due anni, ad arrivare fin qui, devo
riconoscere che è solo grazie all’impegno e alle capacità di p.Mario Faccioli.
Non mi riferisco solo, nè tanto, agli aspetti economici e materiali in
genere, ma soprattutto agli aspetti che più direttamente toccano le persone
(destinazioni, mutamenti, orientamenti, ecc.).
Ora, in un "tandem", non è onesto che una sola ruota porti tutto o quasi
tutto questo peso umano.
Per di più, p.Mario oltre alla salute, ci sta rimettendo la sua persona,
che - da quanto mi risulta - fondamentalmente non è stata e non è orientata,
psicologicamente e spiritualmente, a ridursi a questo tipo di lavoro.
2° Penso però che le motivazioni più profonde di questa mia decisione
siano quelle che vengono da un altro piano di costatazioni.
Ognuno di noi è fatto a suo modo, sia sul piano umano, sia sul piano cristiano
ed ecclesiale. Ognuno ha una sua propria sensibilità nel modo di valutare e
reagire di fronte alle situazioni o realtà oggettive. Ciò dipende da numerosi
fattori: dal temperamento, dalla formazione ricevuta, soprattutto dalla storia
che ciascuno si è trovato a vivere provvidenzialmente e in seguito a scelte
umane sue e della comunità in cui storicamente si è trovato incluso.
E ognuno, pur cercando di dare il giusto valore e peso al modo di
pensare e di sentire degli altri di fronte alla stessa realtà oggettiva, pur dando
il giusto valore e peso alle indicazioni che, in proposito, gli vengono dalla sua
comunità attuale e dalla società in cui si ritrova a vivere, alla fine è sempre in
base alla sua coscienza personale - condizionata sostanzialmente dal modo in
cui egli è fatto (come dicevo sopra) - che egli dove emettere delle valutazioni
e reagire con scelte e decisioni.
21
Ora, io, alla mia età (44 anni suonati) e con il tipo di storia (o di
esperienza) che la Provvidenza e le varie scelte umane mi hanno condotto a
vivere finora, ho costatato e costato che non riesco assolutamente a
ritrovarmi, con un sufficiente equilibrio psicologico e spirituale, nel tipo di
presenza e di attività missionaria che ha attualmente la Chiesa, specialmente
qui in Guinea, sia per le strutture che tale presenza e attività missionaria è
venuta ad assumere lungo tutta la sua storia, sia per la mentalità implicata in
tali strutture.
Sarebbe troppo lungo e anche fastidioso soffermarmi adesso a
descrivervi i dettagli di questo mio fondamentale disagio psicologico e
spirituale e dei vari elementi che lo provocano (occorrerebbe scrivere un
grosso libro per tentare di fare questo in modo sufficientemente adeguato).
Solo dico questo: ho costatato, in questi due anni di permanenza in
Guinea, che io personalmente (insisto su questo "personalmente", perché non
si abbia 1'impressione che io voglia giudicare e tanto meno condannare il
diverso modo di sentire degli altri) sento che il mio atteggiamento nei
confronti delle persone (specialmente della gente di qui) e delle situazioni in
cui devo vivere e agire, è troppo condizionato negativamente dalle strutture
in cui mi devo inserire se voglio restare qui e lavorare insieme a voi; mi sento
troppo costretto a portarmi addosso la veste che impongono queste strutture
e sento, perciò, che il mio rapporto umano e cristiano con la gente e con le
situazioni è sostanzialmente condizionato; mi sento come uno che deve
presentarsi agli altri portando addosso una maschera, che gli impedisce di
essere se stesso; mi sento come uno che, soprattutto, è strumento per
presentare agli altri una struttura, un'istituzione umana, piuttosto che un
annunciatore e un comunicatore di una fede, di una vita.
Capirete bene che, in tale mia situazione di sostanziale non
accettazione del tipo di presenza e attività missionaria che ha la Chiesa qui in
Guinea, non è onesto continuare ad assumermi un incarico quale quello di
Superiore regionale.
Perché: o sarei portato ad imporre agli altri il mio modo di pensare e di
sentire; e questo non è, né umanamente né, tanto meno, ecclesialmente,
giusto; o sarei costretto ad andare continuamente contro la mia coscienza; e
questo pure è altrettanto non giusto.
E vi confesso che spesso - posso dire: sempre - in questi due anni ho
sentito fortemente questo intimo disagio (o conflitto), ogni volta che sono
dovuto intervenire ad esercitare le mie funzioni di superiore regionale.
3° Riguardo al lavoro, o funzione di "animazione" che mi sembrava
essermi stato indicato e richiesto da voi quando si è discusso - due anni fa sulla nomina del "tandem", devo dire questo.
22
Nell'esperienza di questi due anni, ho toccato con mano la mia
incapacità a svolgere questa funzione nei confronti della nostra comunità
attuale.
- L'emotività e l'impulsività del mio temperamento mi impediscono di
stabilire una adeguata atmosfera di dialogo con le persone la cui sensibilità e
mentalità è differente dalla mia;
- il mio modo di pensare e di sentire in cose fondamentali per la nostra
comunità, (modo di pensare e sentire) molto differente da quello di una
buona parte dei componenti la nostra comunità attuale - unitamente alle
deficienze del mio temperamento sopra accennate -, fa sì che un mio tentativo
di svolgere la funzione di animatore, porti più a delle divisioni nella nostra
comunità, che non a quell'unanimità a cui invece tale funzione dovrebbe
portare;
- ad aggravare ancora di più le difficoltà già create dagli elementi qui
sopra segnalati, si aggiunge il fatto - da me chiaramente costatato - del modo
in cui io personalmente sono sentito da diversi di voi, in base ai giudizi (o alla
"fama") che hanno preceduto, accompagnato e seguito la mia venuta qui in
Guinea. E' un fatto naturale, questo, che capita a tutti e per tutti; i giudizi (che
possono essere anche giusti) che vengono espressi nell'ambiente in cui
precedentemente uno si è trovato a vivere e a lavorare, lo accompagnano
dovunque.
Per me, ho notato che certi giudizi negativi, circa la mia mentalità,
espressi dagli ambienti d'Italia, hanno creato, in diversi di voi, un istintivo (e
comprensibile) atteggiamento almeno di pregiudiziale "riserva”, se non
proprio di rifiuto o di difesa.
Tutto questo - come già dicevo sopra - fa sì che un lavoro di
animazione svolto da me comporti più aspetti negativi che non aspetti
positivi per la nostra comunità attuale.
Quindi è giusto e onesto che, per il bene della nostra comunità attuale,
io mi ritiri da tale funzione.
In coscienza sento che - dopo tutto il travaglio attraverso cui sono
passato per giungere a questa decisione - non potrò più ritrattare queste mie
dimissioni, qualsiasi possano essere le valutazioni o le considerazioni che voi
(o anche i Superiori maggiori) doveste fare in proposito.
Giulio Barlassina
23
Giulio: (1974) analisi sulla situazione della Guinea Bissau
RELAZIONE
Avendo costatato che la mia problematica è presente in diversi membri
della nostra comunità, anche se con accentuazioni e sfumature diverse, creando
situazioni di forte disagio interiore ed esterno, credo sia utile tentare di indicare
qui alcuni elementi dai quali è provocata questa problematica.
Si tratta di un semplice abbozzo di analisi della nostra situazione, che
necessariamente non può e non vuole essere completa e che vi prego di ritenere
come mio personale, quindi con tutto quel beneficio di inventario che può essere
dato al mio particolare modo di pensare, di sentire, con tutte le sue limitazioni e
possibili sbagli.
Necessariamente, questa mia breve analisi, si ridurrà a rilevare soltanto
alcuni aspetti negativi (o almeno: che a me risultano negativi).
Questo potrebbe dare l'impressione di un certo "manicheismo" che sta alla base
di questa analisi; cioè l' impressione che si giudichi completamente negativo
tutto quanto si è fatto e si fa da parte della Chiesa e della nostra comunità in
particolare, qui in Guinea; o 1'impressione che si pretenda di avere, qui e subito,
una Chiesa perfetta, o un nostro modo di pensare ed agire perfetto.
Ma sono certo che ognuno di voi saprà integrare la necessaria parzialità
di quanto verrà detto qui, in una visione più vasta, nella quale sono presenti
tutti gli elementi positivi e, soprattutto, in una visione che tiene presente la
naturale gradualità e la relatività di ogni tentativo umano nel piano del Regno di
Dio.
PREMESSA (= Una CONSIDERAZIONE PRELIMINARE )
Credo che tutti siamo convinti che tutta la Chiesa sta vivendo un
momento di "crisi dell'evangelizzazione" (= "crisi", che non indica
necessariamente qualcosa di negativo, ma un memento di "passaggio" ...) .
Per chi non fosse convinto personalmente e interiormente di tale
situazione di "crisi dell'evangelizzazione", penso possa bastare quanto dice il
documento preparatorio ufficiale per il Sinodo generale dei vescovi, che si terrà
quest'anno a Roma, mandato a tutti i vescovi dalla Segreteria generale del
Sinodo, intitolato "L’Evangelizzazione nel mondo contemporaneo"
(cfr. Regno-Doc. 15/1973, p.390ss.), il cui testo è tutto imperniato sulla seguente
costatazione:
"La crisi dell'evangelizzazione non è in nessun modo superabile attraverso un
semplice adattamento dell'attività della Chiesa nel mondo moderno"(Parte II,
Introduzione).
24
Si tratta innanzitutto di una crisi delle motivazioni dell'attività
evange1izzatrice.
Il Concilio Ecumenico Vaticano II (ma, ancor prima del Concilio, l’intera
teologia.) ha svuotato l'antica concezione (o motivazione) delle missioni
(chiamata "motivazione saveriana", da s.Francesco Saverio, che è stata una delle
figure che si sono imposte come modello nella storia della Chiese in questo) tipo
di attività missionaria). Concezione secondo la quale le missioni presumevano
di essere portatrici insostituibili della salvezza per i pagani "giacenti nelle
tenebre del peccato e dell'idolatria". I missionari credevano semplicemente di
strappare anime dall'inferno, senza altra alternativa che quella che essi
proponevano.
Ora il Concilio, dicevo, ha svuotato tale concezione, affermando la
presenza della salvezza tra tutti gli uomini. (affermazione questa che andrebbe
approfondita, chiarita, esplicitata adeguatamente)
Inoltre le idee conciliari (che non sono semplici idee teologiche o
cerebrali...)
− sul dialogo ,
− sull'attenzione all'uomo nella sua laicità,
− sulla Libertà di coscienza,
− sul rapporto chiesa-mondo,
sono idee che chiaramente si oppongono all'antica concezione missionaria,
facendone crollare diverse conseguenze e, in particolare, il cosiddetto
"proselitismo". Il proselitismo, inteso come metodo di aggressione dall'esterno
della compagine pagana, come tentativo di "convertire" i singoli individui
strappandoli della loro originaria zona d'influenza, risulta ora che non è un
liberare, bensì può ridursi ad un sottomettere gli uomini ad un regno, ad una
potenza che è ancora di questa terra, anche se si denomina cristiano. La
conclusione a cui porta logicamente tutto il pensiero del Concilio Vatic. II è
questa:
"Solo il servizio disinteressato - e non l'amore della propria affermazione - può
spingere la chiesa all'annuncio".
Indicazione questa che può rimanere molto generica e molto teorica e che le
cosiddette nostre "buone intenzioni" facilmente possono distorcere nella sua
stessa sostanza.
Penso che sia proprio per questo, per evitare questo pericolo di
distorsione, che il sopracitato documento di preparazione al Sinodo richiama
chiaramente i vescovi (e quindi tutti noi) sulla necessità di ripensare a fondo la
missione di annuncio, mettendo in causa perfino le parole più sacra della
tradizione cristiana, quali: salvezza,fede, conversione, primato di Cristo, ecc.
25
E qui, evidentemente, non si tratta di semplici parole, né di una semplice
riflessione e revisione a livello di teoria teologica; si tratta di rivedere e
riformare tutta una mentalità, in un modo radicale (proprio perché i termini di
salvezza, fede, conversione, primato di Cristo, ecc. sono alla radice stessa della
vita e della mentalità cristiane); mettere in causa, rivedere, riformare tale
mentalità, per derivarne nuove motivazioni o giustificazioni dell’annuncio del
Vangelo; nuove motivazioni che, naturalmente, comporteranno nuovi stili,
nuovi modi di presenza e di attività missionaria, oltre e prima ancora che nuovi
metodi.
Questa lunga premessa (o considerazione preliminare) l'ho fatta per
aiutare a comprendere come possa essere naturale o almeno comprensibile che
diversi di noi avvertano per loro questa stessa "crisi dell'evangelizzazione", del
loro "essere missionari", che è avvertita a livello di tutta la chiesa.
Alcuni PUNTI DI ANALISI della nostra SITUAZIOVE ATTUALE
(così come la sento io.)
I) Nessuno di noi, credo, può negare che la Chiesa cattolica, qui in
Guinea, in tutta la sua struttura umana, ha assunto e mantiene una posizione di
privilegio e di potenza, specialmente a livello dei più diretti responsabili della
chiesa, quali siamo noi missionari.
Posizione di privilegio e di potenza che, agli occhi della gente di qui e in
modo oggettivo, ci inserisce nella classe dominante.
Posizione di privilegio e di potenza, resa macroscopica qui in Guinea
dalla lunga presenza coloniale dei bianchi e dai forti legami che la Chiesa ha
stabilito e mantiene con le strutture e il potere coloniale, in seguito all'Accordo
missionario e soprattutto in seguito al modo in cui qui ci si è serviti di tale
Accordo missionario.
Basti pensare a questo: il diritto di concessione (di terreni, di aiuti
finanziari e larghe facilitazioni da parte delle strutture governative) e la
presunta esigenza di assistenza religiosa ai bianchi e ai neri integrati coi bianchi,
ha portato e porta ancora i missionari a impiantare delle grosse strutture (anche
materiali) sulla linea delle esigenze dei nostri ambienti europei di "cristianità",
prima ancora di avere iniziato un adeguato lavoro di evangelizzazione
dell'ambiente africano.
Ma al di là e prima ancora di questo effetto che ho segnalato nell'esempio
portato, tale posizione di privilegio e di potenza toglie alla Chiesa e a qualsiasi
missionario che è inserito nell'attuale struttura, quello che secondo me sta alla
base dell'annuncio del Cristo; e cioè: la parità sul piano umano con i fratelli di
qui, tra i quali diciamo di essere venuti per annunciare il Cristo. E la mancanza
di tale parità rovina già alla radice il rapporto umano, personale con la gente di
qui, alla quale ci presentiamo già con la veste e l'atteggiamento di "superiori",
di autorità.
26
E qualsiasi di noi che viene qui e si deve inserire in questa struttura di Chiesa,
nonostante tutte le sue migliori intenzioni, è costretto a portarsi addosso questa
veste di superiorità ed è quindi costretto a testimoniare con una grande parte
della sua vita, proprio il contrario di quanto annuncia, con la parola e vorrebbe
testimoniare con il sacrificio che ha fatto e fa della sua vita; e cioè: il "Cristo che,
pur essendo in forma di Dio..., spogliò se stesso, prendendo forma di servo,
facendosi uguale agli uomini... "
II) Mi sembra utile rilevare che la sopraddetta posizione di privilegio e di
potenza - che ci viene messa addosso da questa struttura di Chiesa qui in
Guinea - viene ad aggiungersi e ad aggravare enormemente quei
condizionamenti negativi che portiamo in noi stessi già dal momento della
nostra partenza dal nostro ambiente di origine per venire qui.
Permettetemi di accennare solo a qualcuno di questi condizionamenti,
che tocco con mano essere molto forti in me e mi sembra di aver costatato che
giochino non poco negli atteggiamenti degli altri miei confratelli.
1)
Noi (anche i più giovani) veniamo da un ambiente e da un tipo di
formazione che non ha messo in noi un adeguato atteggiamento critico nei
confronti di quanto pensiamo (o diciamo) di sapere e di credere. E mi spiego: da
quanto abbiamo appreso (o studiato) e dal modo e dall'ambiente in cui
l’abbiamo studiato e appreso, noi siamo usciti con la convinzione pratica
(anche se non teorica) di essere i possessori della conoscenza della verità
cristiana. Questo ci porta inconsciamente ad attribuire alla nostra conoscenza e a
quanto esprimiamo di questa conoscenza, 1'infallibilità che appartiene solo alla
Chiesa in quanto comunità di credenti, e alla quale infallibilità io, come singolo,
partecipo solo nella misura in cui sono di fatto in tensione a vivere nella Chiesa
e alla maniera della Chiesa, non nella misura in cui io conosco intellettualmente
una dottrina, o nella misura in cui io ripeto - più o meno meccanicamente quello che penso essere l’insegnamento del Magistero.
In altre parole - per cercare di chiarire questo mio pensiero - non siamo
abbastanza convinti, o troppo spesso non siamo capaci di tener presente
che:"tutto quello che io dico - o posso dire - di Dio, è sempre un uomo che lo
dice" (Karl Barth).
Di qui la facilità con cui assumiamo atteggiamenti pratici che possiamo
definire da "despota" in campo religioso, o da "inquisitore clericale"...
2)
Un altro dei tanti condizionamenti negativi che portiamo con noi
dalla nostra partenza e che viene fortemente aggravato dalla posizione di
privilegio in cui ci mette la struttura della Chiesa qui in Guinea, e la differenza
di cultura tra noi e la gente alla quale diciamo di volere annunciare il Vangelo;
27
differenza di cultura che è un dato naturale e anche positivo, ma che viene reso
negativo dal fatto che non siamo stati adeguatamente formati e sensibilizzati a
saper valutare i valori di altre culture diverse dalla nostra e a tenere presente
l’estrema relatività dei valori della nostra cultura.
Il fatto di venire da una cultura molto sviluppata sul piano intellettuale e
tecnico (ma non so quanto, proporzionalmente, sul piano del sentire vitalmente i
fondamentali valori umani), e il fatto di avere avuto noi stessi una particolare
formazione intellettuale e tecnica, ci porta istintivamente (e spesso
inconsciamente) a sentirci "superiori" a questa gente, anche sul piano
prettamente umano.
E questo pure si traduce poi in atteggiamenti pratici di "padronanza" nei
nostri rapporti con la gente di qui, facendo sentire ad essa il "peso" della nostra
presunta superiorità.
3)
Io personalmente sento molto fortemente tutto un complesso di
condizionamenti, che porto con me dalla mia partenza dall’ambiente italiano;
complesso di condizionamenti che si potrebbe descrivere così:
L’ambiente di "cristianità" in cui sono nato e sono stato formato, mi ha
portato e mi porta a dare come "scontate" troppe cose fondamentali, che invece
non si possono dare per "scontate", ma esigono di essere sperimentate e vissute
in concreto continuamente.
Per esempio: io ho dato e do troppo per "scontato" che noi già siamo
"Chiesa"; ma devo riconoscere non ho avuto la possibilità (certo anche molto per
colpa mia) di sperimentare in concreto il vivere da Chiesa, vivere da Chiesa che
appunto mi fa essere Chiesa.
In un certo senso, sono state "alienato" da tutto un complesso di strutture che
avevano già deciso tutto per me, su un piano giuridico, fino alla condivisione
dei beni spirituali e materiali. E così non ho avuto la possibilità di sperimentare
in concreto e vitalmente quell’essere "un cuor solo e un'anima sola", quell’“aver
tutto in comune", quello "spezzare il pane di casa in casa rendendo grazie a
Dio", in una comunità a misura d'uomo, basata su una fede, una speranza, una
carità non disincarnate, ma vissute "supponendo la natura" (=gratia supponit
naturam); una vera comunità che così e solo così diventa un'anticipazione, un
segno, un preannuncio di quello che sarà il Regno dei cieli. Almeno non ho
avuto la possibilità di sperimentare questo in modo sufficientemente adeguato a
quello che secondo me dovrebbe essere il mio compito di missionario, di
annunciatore e testimone del Cristo (che non è una dottrina ma una realtà
vissuta e da vivere).
E così noi (pensando che anche altri si trovino in queste mie stesse
condizioni), venendo qui come missionari, partiamo - con la gente di qui - da un
punto in cui si danno troppo per "scontate" queste realtà fondamentali e non
siamo in grado di diventare noi una "proposta" ad essi di quello che in
concreto è un cammino cristiano, ecclesiale, comunitario, non avendolo fatto
noi questo cammino (almeno in modo sufficientemente adeguato al nostro
28
compito di missionari).
Mi sembra che il Documento di preparazione al Sinodo dei vescovi,
invitando a quella revisione radicale dei nostri modi di pensare, di sentire e di
vivere, si voglia riferire proprio a questo pericolo - nel quale facilmente cade una
società religiosa come la Chiesa - di dare troppo per "scontate" certe realtà
fondamentali che non si possono mai dare per scontate, perché sono la vita
stessa` de11a Chiesa.
III) La struttura cha ha attualmente la chiesa cattolica qui in Guinea e
nella quale è costretto ad inserirsi chiunque venga qui ora ufficialmente come
missionario, oltre a condizionare radicalmente (secondo me) la nostra missione
di annuncio del Cristo, imponendoci una posizione di privilegio e potenza,
comporta anche altre conseguenze molto negative sul piano umano, evangelico
ed ecclesiale.
Comporta tali conseguenze negative, sia direttamente, sia indirettamente;
direttamente: impedendoci dei gesti da compiere e che non possiamo non
compiere, se non vogliamo essere radiati, anche fisicamente, da tale struttura;
indirettamente: attraverso quel processo di più o meno lenta integrazione a cui
qualsiasi uomo è sottoposto quando deve continuare a vivere inserito in
determinate strutture.
Anche qui mi permetto di accennare a qualcuna di queste conseguenze
negative.
1) Ci impedisce di avere - oppure rende praticamente inefficace in chi la
ha – l’atteggiamento umanamente ed evangelicamente critico nei confronti di
tanti gesti, che costituiscono il contesto concreto della nostra presenza e del
nostro lavoro.
Prendiamo ad esempio le diverse attività, cosiddette di "promozione
culturale, economica, sociale"..., che pure rientrano - almeno come aspetto
complementare, o integrante - in una presenza e in un'opera evangelizzatrice.
E tra queste, scelgo l’esempio della scuola..
La struttura della Chiesa - unitamente ad una certa nostra mentalità - ha
portato noi missionari a gestire direttamente un buon numero di scuole, con la
condizione e l’obbligo che in esse sia impartito un tipo di istruzione che da tutti i
competenti (e anche da molti di noi) è ritenuto come sostanzialmente contrario a
diritti fondamentali dell’uomo, perché destinato esplicitamente ad imporre agli
alunni (e non solo a loro) una cultura del tutto estranea alla loro, comportando
così un violento sradicamento della persona dal proprio ambiente e la
conseguente distruzione delle culture originarie.
E noi ci siamo adattati e ci adattiamo, anche senza volerlo, ad essere
strumenti di questo che è considerato un autentico male per la persona umana.
29
Né bastano a salvarci dalla collaborazione (materiale) a questo male gli
"scopi" o i fini che, nelle nostre intenzioni, davamo a questo tipo di impegno ( =
il fine non giustifica i mezzi); neppure bastano a salvarci, quei correttivi che
alcuni di noi hanno cercato di inserire in tale tipo di insegnamento, e neppure
gli aspetti positivi che pure in tale tipo di insegnamento si possono trovare ( per
es.: 1'alfabetizzazione).
Senza dire poi del miscuglio che abbiamo fatto - utilizzando questo
mezzo inumano - per dare la cosiddetta catechesi; miscuglio che (nonostante le
nostre buone intenzioni) fa sì che sia snaturata lo stesso annuncio esplicito del
Cristo che questa gente ha diritto di attendersi da noi.
2)
un altro esempio di queste conseguenze negative:
il modo in cui questa struttura (e la mentalità da essa implicata) ci ha avviato ad
usare dei mezzi più immediatamente materiali, come: costruzioni, macchine,
motori, cinema, medicine, soldi, ecc.
Personalmente ho l’impressione che il modo in cui abbiamo usato e
stiamo usando questi mezzi è fatto con poca sensibilità alla situazione sociale,
economica, culturale della gente in mezzo alla quale viviamo.
Dobbiamo tener presente la nostra quasi assoluta incompetenza sul piano
etnologico, sociologico ed economico (che nessuno può negare) e l'impossibilità
concreta in cui ci siamo trovati finora di stabilire rapporti con centri, od
organizzazioni, o persone competenti, per averne almeno sufficienti
informazioni, suggerimenti, orientamenti.
Questo (insieme ad altro) comporta il facilissimo pericolo (segnalato da
tutti i competenti) di innescare nel corso dell'evoluzione di questa società
africana, dei processi le cui gravi conseguenze negative - da noi forse
difficilmente calcolabili e prevedibili - porteranno dei mali che non sono certo
compensati dal bene immediato che noi intendiamo arrecare.
E così, invece di porre dei germi di una autentica liberazione (come
vorremmo e dovremmo), noi forse stiamo ponendo dei germi di ulteriori e
forse più gravi schiavitù.
Ma più immediatamente per noi, in quanto missionari, penso debba
preoccupare il fatto che, con il modo in cui usiamo questi mezzi, forse stiamo
imponendoci in modo troppo violento (almeno psicologicamente) alla gente
d'Africa; stiamo impostando dei modelli di attività missionaria e di vita di
Chiesa, che non mi sembrano adeguati alle possibilità reali di questa gente,
rendendo così molto difficile (...impossibile?) di scoprire in tale opera
evangelizzatrice e in tale vita di Chiesa, il vero volto del Cristo, la sostanza del
Vangelo.
Senza dire poi che mi è molto difficile vedere in questo modo di usare i
mezzi, una adeguata verifica, da parte nostra, sul piano della povertà
evangelica.
30
Il fatto di essere e di voler essere "missionari" e di voler fare i missionari,
che sta a monte di tutta la nostra vita attuale, non è sufficiente per dare come
scontato che tutto quello che facciamo e il modo in cui lo facciamo, sia
evangelico, ecclesiale, missionario.
3)
Senza portare altri esempi su questo punto delle conseguenze
negative che comporta la nostra attuale struttura di Chiesa qui in Guinea, vorrei
tentare di riassumerle un po’ tutte così:
ho l’impressione che il nostro attuale modo di comportarci ed agire,
divenga più una imposizione dall'esterno (anche se si tratta solo di
un’imposizione psicologica) di un nostro progetto e piano di "liberazione", che
non una proposta che porti questa gente a maturare dal di dentro e a scoprire da
sé la propria "liberazione".
4)
Il nostro compito - come Chiesa e come missionari - è
fondamentalmente quello di indicare la "meta" verso la quale deve
incamminarsi l’umanità; ma nello stesso tempo, il nostro compito è anche quello
di mostrare il "cammino”.
E questo non lo si può fare semplicemente proponendo una dottrina;
esige un modo concreto di vivere, almeno come tentativo, come tensione. Senza
questo "mostrare il cammino", viene meno anche l’indicazione della "meta".
Ora, nel mio modo di sentire, la nostra presenza qui, per le deficienze
sopra accennate, non sembra un mostrare un cammino autentico di Chiesa, ma
piuttosto un mostrare un cammino che - non essendo adeguato né alla sostanza
di ciò che è una vita da Chiesa, né alla situazione umana di questa gente - può
diventare un cammino sbagliato.
(Giulio Barlassina 1974)
31
Giulio
Da una lettera ad un membro della D.G.
(…)
il tipo di vita che sto conducendo, che è quello di un lavoratore dipendente
(fattorino e aiuto magazziniere), che vive solo, in un monolocale alla periferia di
Milano, per essere economicamente indipendente da qualsiasi istituzione ecclesiastica.
Ripeto che questa indipendenza economica è uno dei punti qualificanti della mia prassi
e che quindi anche per il futuro – qualsiasi cosa possa capitarmi – l'Istituto non avrà
alcun dovere nei miei confronti.
La scelta di lavorare per mantenermi è conseguente alla scelta di mettermi in
una situazione esistenziale che per me (e non necessariamente per gli altri!) fosse più
consona alla situazione esistenziale della stragrande maggioranza degli uomini con i
quali sto vivendo nel momento storico attuale; consonanza che risultava e risulta a me
personalmente, data la mia storia e la mia formazione personale, molto difficoltosa (per
non dire impossibile) continuando a vivere in tutti gli aspetti che la struttura
ecclesiastica esige oggi dai sacerdoti e missionari (nota come abbia sottolineato "a me
personalmente", in modo che sia il più chiaro possibile che io non ritengo che tale
consonanza debba risultare difficoltosa per gli altri necessariamente come lo risulta per
me).
Tale scelta - che nel breve arco di vita che ancora mi resta mi sembra di dover
ritenere praticamente definitiva – sono cosciente di averla fatta in seguito all'aver
avvertito un'esigenza di spogliamento da parte delle strutture attuali della Chiesa (e,
quindi, prima di tutti, da parte mia, che di quelle strutture mi sento parte vivente),
perché la missione e il ministero presbiterale e. di conseguenza, la vita delle comunità
cristiane, fosse il meno possibile difforme da quelle che a me risultano essere le
esigenze evangeliche e dell'umanità con la quale stiamo vivendo.
Direi - tentando di spiegarmi meglio - che il mio caso è assimilabile a quello di
un missionario che avverte l'esigenza per sé (e non necessariamente per gli altri!) di una
maggiore sottolineatura alla dimensione contemplativa da dare alla sua vita come
membro di un Istituto missionario, della Chiesa e di tutta l’umanità e che, per
rispondere a questa esigenza, ridimensioni la sua prassi cercando di mettersi in una
situazione esistenziale che risponda più adeguatamente a questa sua esigenza e, quindi,
abbandoni certi aspetti della sua attività che sente di impedimento a tale esigenza.
Per questo aspetto molto soggettivo del modo di avvertire tale esigenza, non ho
mai preteso, né mai pretenderò di identificare le finalità dell'Istituto con le mie scelte
pratiche, come invece mi accusi tu di fare nel tuo scritto (non riesco a capire in base a
quale mia affermazione). Semmai ho sempre cercato e cerco di vedere se e come le mie
scelte pratiche possano essere consone con le finalità che l’istituto si propone (questo è
il senso da dare alle mie espressioni in merito a questo argomento).
(…)
Bussero 11/4/1977
32
Missionari della Guinea riuniti nella Casa del Pime a Bissau in occasione dell’incontro
comunitario di riflessione con Giuseppe Barbaglio (1974).
Giulio in un incontro a Bissau
33
Una lettera di Giulio a Rita Gentile, amica di Siracusa,
per tre anni volontaria in Costa D’Avorio
Milano, 7/05/1986
Carissima Rita
Ho veramente gustato la lettura della tua lettera. Mi hai fatto risentire (più
che ricordare) l’atmosfera in cui mi sono ritrovato quando intrapresi la mia pur
breve esperienza africana: la sensazione – al fondo dolorosa – dell’enorme
distanza tra le culture, con il conseguente “muro” che tale distanza alza nella
comunicazione tra persone;il senso di incapacità, di lentezza nel ricercare e
soprattutto trovare gli spazi entro cui muoversi…; e, in particolare, il timore di
“fare violenza” qualsiasi cosa si faccia.
Penso che, col passare del tempo e con la prolungata dimestichezza con
l’ambiente, riuscirai a trovare gli spazi entro cui muoverti e, da come ti
conosco, penso che riuscirai anche a stabilire degli ottimi rapporti con la gente,
anche se, - a mio parere – è ben difficile giungere all’amicizia (sempre a motivo
della diversità di cultura). Ti auguro anche che resti sempre vivo in te il
“timore” di fare violenza: la violenza culturale, secondo me, è sempre una delle
peggiori violenze, perché di fronte ad essa la gente è disarmata e non può
difendersi. Questo “timore” però non deve bloccarti; piuttosto dovrebbe
diventare “l’anima” del tuo comportamento con gli altri.
Coraggio, Rita. Sei ancora ai primo giorni ed è naturale che tutto ti risulti
un po’ difficile e scabroso. Ma il tempo e l’esperienza e soprattutto il contatto
sempre più profondo con le persone faranno venire anche a te il “mal
d’Africa”.
Ti pensiamo e parliamo di te frequentemente.
Sentici uniti a te e continua a comunicarci la tua esperienza anche attraverso lo
scritto.
Un salutone caldo
Giulio
34
Due lettere di Giulio a Mario Garofalo, studente di teologia in Bangladesh
MILANO 07/02/84
Carissimo Mario
la tua ultima lettera attende una risposta da un po' di tempo.
La mia non vuole essere una risposta diretta alle notizie che mi dai di te,
perché non mi sembra giusto esprimere sempre il mio parere sui fatti tuoi,
perché essi sono vissuti da TE e in un ambiente e atmosfera che sono tanto
lontani da quelli in cui sto vivendo io. Tali notizie però sono sempre tanto
interessanti e stimolanti, perché mi tengono in unione con il vivere (e un vivere
tanto intenso, anche se questo forse non risulta a tè) di una persona, di un amico.
Forse anche tu non attendi da noi sempre una risposta diretta alle tue
lettere; attendi piuttosto un'espressione di comunione, anche di sole due righe...
La mia vita trascorre sempre nella quotidianità, che tu già conosci: casa,
lavoro; ma il tutto riempito dalle persone con cui ho rapporti di amicizia.
Sono questi rapporti che caricano di senso la mia vita, almeno immediatamente e
per me, anche se - meno immediatamente e in un modo che può sfuggire alla
mia coscienza e che accolgo solo per fede - il senso pieno viene e verrà dato da
"altro". E' quanto, mi sembra, appare anche dalla storia presentataci dalla
Genesi, che sto rileggendo in questi giorni con tanto gusto, proprio perché mi
richiama in modo tanto vivo questa realtà della mia vita: da Adamo a tutti i
Patriarchi, è proprio la quotidianità (che a noi può sembrare banale) che domina
la storia ed è proprio in questa quotidianità che altri scoprono, nella fede, lo
svolgersi del disegno dell'Altro.
Purtroppo qui in Italia stiamo vivendo un periodo in cui non si è per nulla
stimolati a sentire e a partecipare alla coralità del nostro vivere sociale; la crisi fa
ritirare tutto e tutti come tante lumachine. Anche i sindacati ormai si stanno
arrendendo completamente alle esigenze della classe dominante, facendo così
pagare tutto a chi lavora e, peggio ancora, a chi non ha reddito.
E' vero che paragonata alla situazione della gente con la quale stai vivendo
tu, la nostra si può dire una situazione di grande ricchezza di fronte ad
un'estrema povertà; ciò non toglie però la sofferenza per l'ingiustizia che chi non
ha potere deve subire. Per non parlare poi del riflesso che, secondo me, anche la
nostra situazione di ingiustizia ha e avrà sul piano mondiale, contribuendo ad
aumentare il volume di ingiustizia che opprime l'umanità.
Avrai ricevuto il "CHI?” che portava la relazione sull'incontro a Fontanella,
simile a quello a cui hai partecipato anche tu. Al di là di quanto in essi si dice,
questi incontri per me - e sono certo anche per gli altri - sono sempre fonte di
gioia e mi caricano più che un corso di Esercizi spirituali di una volta...
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I miei stanno tutti bene. Elisa ti avrà parlato di lei e di noi e dei... Siciliani.
Stammi bene. BUON ANNO, per quel che resta ancora dell'84...
Ti ricordo sempre e spesso parlo di te con l’Elisa.
Ciao
Tuo Giulio
Bussero 14.4.1984
Carissimo Mario
ti confesso che stavolta mi è duro mettermi a scriverti; è per questo che
nonostante le insistenze de11'Elisa, ho tardato tanto a rispondere alla tua ultima
lettera, che ho letto e riletto con una particolare partecipazione, quale era
richiesta dai tanti problemi, vivi e reali, che in essa hai descritto tanto bene.
Mi è duro, proprio per il tipo di problemi che ti assillano, di fronte ai quali
sento tutta la mia impotenza, perché, per l'esperienza che io stesso ho fatto di
fronte a problemi analoghi che ho dovuto affrontare e risolvere per me, sono
convinto che qui l’apporto esterno serve ben poco, anzi c’è il rischio che tale
apporto possa recare maggiore confusione e incertezza. Supplisce il fatto che,
quando c’è un'amicizia profonda, tutto viene capito e ridimensionato, sia per chi
scrive che per chi legge.... Ecco perché nonostante tutto, cerco di rispondere ai
tuoi problemi, pur limitandomi ad esprimerti alcuni elementi di analisi, che sono
già impliciti nell'analisi che tu tanto lucidamente stai facendo della tua
situazione.
Penso che 1'elemento determinante, più che altri, sia il fatto, che tu stesso
hai constatato, che l'aggancio alle istituzioni esistenti resta ancora l’unica
possibilità che permetta una presenza continuata in paesi come il Bangladesh.
Solo 1'indipendenza economica, realizzata con un proprio lavoro, ti
permetterebbe 1'indipendenza dalle istituzioni; ma in Bangladesh questo è
attualmente (e chissà fino a quando) impossibile, non solo per te, ma penso per
tutti.
Purtroppo tale aggancio alle istituzioni sarà sempre molto limitante tante,
soprattutto per uno come te. Si tratterà quindi di scegliere: o un compromesso
(anche se il termine suona male, non significa però che indichi solo e neanche
soprattutto "negatività.")con le istituzioni; oppure rinunciare alla presenza fisica
36
in Bangladesh per inserirti in altro ambiente più conforme alle tue esigenze e
aspirazioni.
Certo, nel caso della scelta di un compromesso bisognerà tener presenti e
salvare assolutamente quelle esigenze, che tu ben segnali nella tua lettera e che io
condivido in pieno.
Per esempio:
– quel tuo modo di sentire la religione come un elemento di divisione, tenendo
presenti i grossi incrostamenti portati dalla storia e dalle culture sia in campo
cattolico che in campo non cattolico;
– quel tuo sentirti fortemente orientate ad una presenza "informale" che ti
permetta un accostamento più "umano" agli altri;
– quella "fame del tuo denaro" che avverti presente in quasi tutta la gente di lì,
"fame" che è ben comprensibile e giustificabile anche, in situazioni come quella
del Bangladesh e con un tipo di presenza dell'occidentale quale finora si è
verificata.
Si avverte dalla tua lettera che hai una sensazione molto forte di questi
condizionamenti ed insieme una visione lucida del possibile blocco che essi ti
porterebbero. Anche questo aspetto soggettivo (penso più che ad altri aspetti) è
da tener ben presente in vista di una decisione.
Mi sembra poi molto importante quanto ti dici riguardo ad una scelta
“celibataria”. Proprio da quanto dici mi risulta che tale scelta non avverrebbe in
te soprattutto per "germinazione del tuo intimo", ma per motivi piuttosto
"istituzionali" (che pure sono validi, come lo sono stati per la grande
maggioranza dei preti).
Per questo penso che in vista di una decisione tu debba ben valutare
1'attuale orientamento della comunità cattolica (che durerà certo per tutta la tua
vita) circa il celibato, le situazioni ambientali e soprattutto le tue più profonde e
umane aspirazioni.
Io sono convinto che un tuo "essere per gli alti" non dipenderà dal fatto che
tu sia celibe o no.
Penso che nella impostazione della nostra vita ciò che deve stare al primo
posto sia il nostro "essere con gli altri". E’ a questo che dobbiamo continuamente
rispondere, non alle attese (più o meno condizionate dalle strutture, dalle
culture, dalle tradizioni con la "t" minuscola, dalle abitudini ecc.) né delle singole
persona, né delle istituzioni più o meno sacre.
Non possiamo pretendere di cercare - e tanto meno di trovare – la
situazione migliore (sul piano umano) per tale risposta, che dipende – come
valore – solo dall'orientamento intimo e di base della nostra personalità.
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Sono però convinto che dobbiamo, per quanto possibile, evitare situazioni
che possono bloccare o condizionare troppo la nostra risposta.
E, al di là (o meglio: al di qua) di queste considerazioni "spirituali", sono del
parere che nessuno di noi si possa permettere di scegliere condizioni di vita che
possono, anche a lungo andare, rivelarsi "anti umane". Siamo stati messi al
mondo per "vivere" e vivere in pieno,— per quanto possibile - la nostra vita
umana.
Altro elemento importantissimo da tener presente nell’impostare la tua
decisione è il fatto che, come dici nella tua lettera, tu non condivida nè i metodi
né soprattutto i principi su cui è impostata la presenza delle strutture di lì.
Proprio per questo motivo io, a un certo punto della mia vita, non ce l’ho fatta
più e mi sono deciso a ritirarmi.
Non sentirti pressato e quindi non avere troppa fretta, per decidere.
Cerca di tentare le varie vie che ti appaiono possibili per realizzare
un'impostazione della tua vita secondo i tuoi ideali(per esempio, non credi che il
Pime, dopo l’ultimo capitolo, non disponga di nuove possibilità, meno limitanti
di quelle che ha avuto finora?).
L'importante è che sia il "Mario" a decidere, in tutta la sua libertà. Sii sicuro
della nostra (di Elisa e mia) solidarietà con te, qualsiasi possa essere la tua
decisione.
Per questa volta basta, anche se le cose da dirci restano ancora tante. Stammi
bene; ti penso tanto e, come sempre, parliamo spesso di te. Buona Pasqua!
Ciao!
Tuo Giulio
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Lettere di Giulio a Nino e Paola, due amici di Catania
29.10.1986
Carissimi Nino e Paola
La lettera di Paola mi ha portato tanto dell’atmosfera in cui state vivendo
la vostra avventura di amore, che è poi il cuore di tutta l’avventura della vita.
Sono contento per voi e vi auguro che tutto – pur nel naturale sviluppo –
continui così.
Io sto passando n periodo di convalescenza – un mesetto circa –dopo
l’intervento chirurgico per ernia inguinale. Tutto è andato molto bene, non ho
sofferto nulla. Attendo ora di recuperare un po0 tutte le energie. Intanto mi sto
godendo questi giorni. Raramente nella mia vita ho avuto del tempo così
prolungato tutto a mia disposizione. Con l’Elisa in “pensione” sto passando
veramente delle belle giornate.
Nella lettera di Paola, chiedete un nostro parere circa il Battesimo della
vostra bambina. Personalmente- quindi con tutti i limiti che vanno attribuiti ad
una mia visione- ritengo molto difficile al giorno d’oggi, dare una risposta
chiara al vostro problema. Tenendo presente il mio attuale modo di pensare
circa la Chiesa e – soprattutto – circa la “fede”, io non darei molta importanza
al “gesto sacramentale” in quanto questo compiuto qui (nella nostra comunità
attuale) e adesso (cioè nel contesto immediato e più vasto in cui storicamente sta
vivendo questa vostra “comunità”). Io darei molta importanza invece ad un
cammino (= continua ricerca esistenziale) di “fede” di voi due, che avete dato
l’essere fisico a questa creatura, e che continuate ad essere gli strumenti più
immediati e più importanti per creare attorno ad essa l’atmosfera in cui
crescerà,si svilupperà, e in cui liberamente si troverà a fare le sue scelte
graduali. Perciò io penso che sia abbastanza indifferente fare il gesto
sacramentale adesso o più tardi. Penso piuttosto che per voi due (cioè per i
riflessi che ciò avrebbe sui vostri rapporti con la comunità in cui dovete vivere)
potrebbe non essere molto “indifferente” porre subito procrastinare il gesto
sacramentale.
Perciò vedete voi, in base anche a criteri di convenienza umana.
Vi attendiamo qui a Milano, in casa nostra ci state in tre.
A risentirci presto.
Saluti e tanti auguri
Giulio
39
13.6.1989
A Nino
Nino, nelle ferie dello scorso anno mi sono goduto Verga. In quelle di
quest’anno mi sono goduto – e in misura ben maggiore – te, nel tuo Diario.
Auguro che molti abbiano la stessa fortuna che ho avuto io – insieme ad Elisa –
di leggere “tutto” (e non solo a brani, che pur hanno un proprio valore) questo
Diario. Mi sento avvolgere da un’atmosfera di profondo ottimismo, che mi fa
dire . la vita è sempre bella e sempre vale la pena di viverla, perché è piena
della positività che tutte le persone in essa incontri.
La vena di leopardiana malinconia che sottende un po’ tutto lo scritto,
esalta la carica positiva del modo di sentire la vita nella concretezza dei suoi
valori e nella sua quotidianità.
Ti invidio lo “strumento di sensibilità, quell’alterna fine e captante” che
la tua storia e la tua indole ti hanno permesso di forgiarti. E allo stesso modo
invidio la tua capacità di espressione spontanea, sempre piena di novità che
coinvolge alla semplice lettura. Grazie Nino per questo regalo che ci hai fatto,
che si può contraccambiare solo con la continuità della fruizione di un’amicizia
ricca come la tua e quella di Paola.
Giulio
Milano 15/01/90
Carissimo Nino
una lettera come la tua fa toccare con mano 1'adeguatezza del tuo rilievo sulla
diversità tra la comunicazione telefonica e quella epistolare. Occorrerebbe però che
tutti avessimo la tua capacità di lasciare emergere i pensieri, che pure stanno dentro
tutti noi, fino al livello dell’espressione verbale e, soprattutto avessimo la capacità
di produrre lo "sforzo" necessario per esprimerli. E io, forse anche per giustificare la
mia pigrizia congenita, avverto di non avere tale capacità, almeno nella misura in cui
l’avete tu ed Elisa. E questo blocca il desiderio, pur tanto vivo, di "comunicare" con amici
tanto ricchi quali siete voi e mi costringe a perdere una ricchezza, che avverto tanto
grande.
Ci hai rimesso in contatto con te e con il tuo mondo, che abbiamo avuto modo di
“godere” già più di una volta e il cui ricordo (tanto frequente nei nostri discorsi)
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suscita in noi tanta nostalgia. Grazie!
La mia vita continua in quella che all'apparenza può risultare una monotonia, ma
che al fondo avverto essere il frutto di una scelta, maturata nel travaglio di una ricerca
per essere sempre meno "non autentico" e che perciò mi dà un certo senso di
gratificazione. Ma è soprattutto la presenza e la comunicazione con Elisa che dà
una pienezza di senso al mio vivere tra e con gli altri, perché dà ad esso la
dimensione "personale", strappandolo dal rischio della semplice istintività o
passività. E cosi posso dire che "sono contento".
Gli aspetti negativi, che pure ci sono e si fanno sentire (specialmente
nell'ambiente di lavoro), passano in secondo piano a fare da sfondo e contrasto,
anch'esso non inutile, al quadro della mia esistenza.
I miei congiunti (sorella, fratelli, cognate, nipote) stanno bene; il tempo e il rapporto
fraterno hanno fatto superare bene lo shoc per la morte di Lino. Ho portato loro i
tuoi saluti, che ricambiano.
A te e a Paola vorrei far sentire forte il mio: "coraggio!", perche so quanto più
complesso e faticoso del mio sia il "combattimento" che dovete affrontare voi.
Alle bambine un bacione sonoro. Ai genitori e parenti tutti, un saluto e 1'augurio di
buon Anno.
Con affetto
Giulio
41
42
ELISA MORIGGI
Oggi sono 8 mesi che Giulio è tornato a Casa.
Inizio a scrivere di Giulio con gioia ma anche con timore perché mi sento
inadeguata e incapace di scrivere di lui…
Lo avete conosciuto: parlava poco, di sé quasi mai, e quando gli facevo
una domanda rispondeva in sintesi.
Ricordo che all’inizia del nostro incontro, un giorno gli ho chiesto quale
fosse il punto attorno al quale ruotava tutto il resto. Mi ha risposto: “io mi
fido di un Altro”.
Non voleva mai spiegare niente. L’ho conosciuto nella fase del “silenzio”
: “Ho già parlato troppo, adesso basta”.
Quando aveva preso la decisione di lasciare tutto, contemporaneamente
aveva deciso di fare silenzio e ha mantenuto questo impegno, sempre, con
tutti. Anche con me. Non ricordo di aver ricevuto “lezioni”, correzioni sul
mio modo di fare o di esprimermi. Quando qualcosa non andava bene mi
arrivava in silenzio, aspettava che io capissi.
Ascoltava molto, si sentiva che seguiva tutto quello che si diceva, non dava
mai giudizi su nessuno. Se si chiedeva il suo parere era sintetico, essenziale.
Aveva idee chiare, ma se non era direttamente interpellato, ascoltava.
Come e quando ho conosciuto Giulio
Quando ho iniziato a frequentare il PIME, Giulio era partito per la Guinea
Bissau; non l’ho mai visto prima della sua partenza. Avevo sentito molto
parlare di lui dai seminaristi, dal gruppo che allora frequentava il secondo
anno di teologia.
Ricordo bene un particolare. Maggio 1974: ero a Macapà, quel giorno mi
trovavo in una Parrocchia , insieme ad Angelo Da Maren, Luigi Carlini e
Sandro Gallazzi; arriva il Giovanni Gadda e dice: “Sapete l’ultima? Giulio
Barlassina lascia la Guinea e il Pime”…
In maggio sono tornata da Macapà e lui pure è tornato, dalla Guinea.
Non ho più saputo nulla di lui per diverso tempo fin quando Franco
Lacchini mi disse che potevo mandare anche a Giulio Barlassina il CHI.
L’incontro, quello vero è stato a Bussero dopo cinque anni, esattamente il
17 febbraio 1979.
Quel giorno ho trovato una persona che tutti vorrebbero incontrare, come
amico, maestro, compagno nella vita. Abbiamo camminato insieme per 32
anni aiutandoci, ascoltandoci, imparando a convivere con i nostri caratteri
– sotto certi aspetti – opposti. Avevamo gli stessi principi e indirizzi, le
stesse scelte – fatte le debite proporzioni –: io che gli stavo appresso, e lui
che faceva da guida. Lasciavo che lui prendesse per se stesso le decisioni
che riteneva più giuste, io mi adeguavo.
E’ sempre stato molto sereno, non ha mai avuto ripensamenti in merito
alla sua decisione. Aveva passato anni a maturare questa scelta. Dai
documenti risulta chiaro il motivo che l’aveva portato a fare questo passo.
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L’unica sofferenza, vera sofferenza, era nel rapporto dei suoi familiari con
la sua scelta fatta. Non ne parlava, ma sentivo la sua sofferenza nel saperli
in paese e che venivano coinvolti nel giudizio, senza conoscere i motivi
per i quali aveva lasciato il sacerdozio.. E’ sempre stato molto legato ai
suoi: fratelli, sorella, cognate, nipote. Si sentiva voluto bene da loro, ma
non poteva evitare loro il disagio per la scelta fatta.
Nel 1984 ho trovato un appartamento a Milano abbastanza comodo per
arrivare al lavoro, era impiegato di magazzino in una ditta di S.Donato; e’
rimasto sino all’età di 62 anni. Dopo 18 anni di lavoro aziendale è andato
in pensione.
Il 1° ottobre 1998 ci siamo sposati a Milano nella chiesetta di Nosedo,
della Parrocchia dove abitavamo. Questa decisione è stata presa da Giulio
e da me subito condivisa, tutto si è svolto nel riserbo e nel “silenzio” come
Giulio desiderava.
La storia ci stava preparando affinché io potessi aiutare e assistere Giulio
durante tutto il periodo della sua malattia. L’anno successivo – il 1999 – ha
fatto la prima risonanza magnetica. Non si riusciva a trovare la causa del
suo camminare rallentato., non aveva alcun disturbo ma camminava
sempre più lentamente. Dalla risonanza risultò che aveva avuto dei piccoli
infarti nella zona del cervello che presiede al movimento delle gambe. La
causa era da imputare alla pressione che aveva degli sbalzi, questi picchi
hanno procurato le ischemie. Non sapevamo della sua ipertensione, si
trattava di episodi improvvisi. Questo è stato l’inizio della sua invalidità.
Per sei anni il declino è stato lento, abbiamo vissuto una vita normale.
Abbiamo fatto vacanze in Sicilia dove io già conoscevo tanti giovani
incontrati nei campi di lavoro al Pime di Mompilieri. Per loro conoscere
Giulio è stato molto bello. Per noi e per loro è stato importante. Questi
amici hanno lasciato un’impronta significativa nella nostra vita, amicizie
che ci hanno accompagnato negli anni e durano tutt’ora.
Dopo sei anni, alla fine del 2005 Giulio non riesce più a camminare, non
sta più neanche in piedi se non sorretto. Inizia la sua vita da seduto:
poltrona, carrozzina. La casa è senza ascensore ed è necessario un
apparecchio montascale. Non me lo danno se non c’è una persona, un
uomo che si prende la responsabilità. Ricorriamo all’amico Franco
Lacchini che a sua volta insegna a diverse persone che, quando serve il
loro aiuto, a turno si rendono disponibili a far scendere e risalire le scale al
Giulio.
Da questo periodo inizia un rapporto quotidiano con persone che
vengono ad aiutarmi. Abbiamo avuto la fortuna di stabilire dei rapporti
molto belli e trovare sempre le persone giuste al momento giusto secondo
le varie esigenze. Dal vicino di casa – Giovanni – di qualche anno più
anziano di Giulio, che veniva a orari fissi tre, quattro volte al giorno per
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aiutarmi ad alzare e spostare Giulio. Poi man mano che il tempo passava e
i disturbi aumentavano, la squadra si allargava. Erano tutti molto
affezionati a Giulio, si sentiva che lo aiutavano con amore e lui sapeva
ripagarli col sorriso e tanta riconoscenza. Per lui andava sempre tutto
bene.
Per diversi anni, fino al giorno del suo ricovero, ha frequentato tre volte la
settimana, il Centro Diurno della Casa di Riposo vicino a casa nostra. Lì
passava la giornata, gli facevano della terapia, stava in compagnia di
persone…non andava sempre volentieri, ma almeno usciva un po’ da casa.
Io lo raggiungevo a pranzo per farci compagnia e aiutarlo.
Ombre e luci
Giulio ha vissuto un periodo con la difficoltà della confusione, ricorrente.
Aveva frequenti episodi di ricordi del passato. Non sempre riuscivo a
calmare la sua ansia e soddisfare le sue richieste. Quando il problema
riguardava i ricordi di Bussero e non riuscivo a convincerlo, lo facevo
parlare al telefono con la sorella; quando riguardava qualche persona del
Pime che doveva contattare per i suoi libri, per le cose che doveva ritirare,
ricorrevo a Franco Lacchini, sempre disponibile ad ogni ora, che riusciva
sempre a trovare il modo di calmarlo.
Quando si rendeva conto della sua confusione ne soffriva e io con lui. Di
solito questi episodi si ripetevano la sera o la notte; passavo il tempo
vicino a lui parlando perché si mettesse tranquillo. Nella normalità
ritornava sereno e in pace.
Mi ha molto colpito quando mi disse: “gli altri non vogliono che io mi
esprima così come sono. Ma io sono stanco di fare lo schiavetto, di fare
sempre quello che vogliono gli altri”. L’ho lasciato dire senza chiedere
spiegazioni.
Il giorno dopo ho ricordato a lui quello che mi aveva detto e ho chiesto a
che periodo della sua vita si riferisse. Mi ha risposto: “il periodo prima del
nostro incontro”.
Sulla stessa lunghezza d’onda, nello stesso periodo, in un momento di
confusione mi ha detto che si sentiva preso a schiaffi da tutti, che aveva
sbagliato a fare il prete: “chissà quanto male ho fatto, quanto ho sbagliato
con le persone, ho sbagliato tutto nella mia vita”. Gli ho ricordato quanti e
quanto gli hanno voluto bene, tutti quelli che lo avevano conosciuto. Ho
anche domandato: “hai sbagliato anche a volermi bene e a stare con me?”.
“No. Questa è l’unica cosa giusta che ho fatto”.
Una sera avevo insistito perché rimanesse in poltrona con le gambe
sollevate perché aveva i piedi gonfi; avevo insistito un po’ senza ottenere
risultati, non mi ero arrabbiata ma ero un po’ preoccupata… quando l’ho
messo a letto mi disse: “sono stato motivo di disarmonia fra me e te
questa sera”. Le contraddizioni non le sopportava, sentiva e capiva anche
quello che non dicevo.
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Spesso entrava e usciva dal tempo reale, il passato e il presente diventava
un tutt’uno; gli ho fatto notare che era come un Angelo, fuori dal tempo.
A una persona che gli chiedeva come stai, risponde “sono disperso”.
Diventava man mano sempre più sensibile, viveva nella normalità, a un
livello più profondo.
Nel 2009 ha iniziato la riflessologia, una terapia che attraverso i massaggi
ai piedi riattiva energia nei vari organi.
Una volta la settimana veniva Adriano, questa terapia risultava man mano
molto efficace; nel tempo diminuivano gli episodi di confusione e quando
avvenivano erano più leggeri, riuscivo a calmarlo e riportarlo alla realtà più
facilmente. Adriano è stato accolto da subito come un amico prezioso, c’è
stato subito da parte di Giulio una grande apertura, è stato uno di
pochissimi ai quali abbiamo raccontato di lui e delle scelte fatte. Mi ricordo
un episodio, fra i tanti: un giorno mentre massaggiava un punto del piede,
Adriano chiede “Giulio ti ho fatto male?”.Giulio risponde prontamente
“se non pensi male di me non mi fai mai male”.
Un altro episodio significativo di come sentiva la realtà dentro di sé. E’
sera tardi, vigilia del mio compleanno. Giulio ha forti dolori addominali,
sono in difficoltà, chiamo la guardia medica, temevo il ricovero…siamo
all’inizio di agosto. Telefono a Enrico, un mio amico medico, che abita
fuori Milano per un consiglio. Già averlo trovato è un mezzo miracolo. Mi
dice cosa devo fare, se non passano o dolori, è necessario il ricovero. Ogni
mezz’ora mi telefona per seguire la situazione. Man mano i dolori
diminuiscono e passa la notte senza più problemi. La mattina Enrico viene
a vederlo….tutto si è risolto.
A questo punto dico a Giulio ridendo: “questo sarebbe il tuo regalo per il
mio compleanno?” immediata la risposta: “mi ha dato così a te il Signore”.
Questo era Giulio, sempre imprevedibile, sempre un po’ più in alto.
Una sera era a letto da un po’, mi chiama: “Elisa ho voglia di sentirti, metti
le tue mani sopra la mia testa”. Così ho fatto, dopo un po’ mi dice “che
consolazione avere vicino una persona che fa tutto quello che mi serve..”
Quella volta mi ha molto commossa, mi è passata tutta la stanchezza della
giornata e avrei voluto fare cambio con lui, se avessi potuto.
Nonostante diventasse sempre più bloccato nei movimenti era
preoccupato per me, s’accorgeva quando ero molto stanca o in pensiero
per le varie situazioni che si presentavano; una sera mi dice “ sei triste?
Qualcosa ti preoccupa? Avresti bisogno di qualcuno che ti fosse vicino e ti
sostenesse, su cui contare. Io invece sono così e tu sei sola”. Nella sua
grande sensibilità soffriva più per me che per se stesso.
Una sera mi dice “dammi un po’ di consolazione”. Io come facevo di
frequente lo abbraccio e chiedo “cosa posso fare per consolarti?” e lui
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“così va bene”. Mentre poi lo preparavo per la notte con un po’ di fatica a
causa della sua immobilità, mi dice “tu ti meriti il Paradiso” e a me è
venuto da dirgli “non so se il Paradiso, adesso mi merito Giulio, ed è un
tesoro”.
Mi sono ricordata del suo affermare “mi fido di un Altro”.
Un giorno considerando che non era più in grado di alzare le braccia e di
toccarsi il viso, difficoltà a mangiare da solo alcune cose, mi è venuto
spontaneo dirgli “non solo spiritualmente, ma per ogni cosa ti fidi di un
altro, ti fidi per tutto di me..”, mi ha risposto col sorriso: “è vero!”.
Questa consapevolezza era sempre presente e gli faceva accettare qualsiasi
difficoltà con tanta serenità e senza mai cercare problemi. Andava sempre
bene tutto quello che io o altri facevano per lui, abbandonato, silenzioso,
docile, al suo posto. Anche quando non riusciva a fare quello che
chiedevo - io lo stimolavo perché reagisse – si dispiaceva di non riuscire,
ma mai si ribellava o mi rimproverava.
Una volta che non riusciva ad aprire la mano perché potessi lavargliela,
indicandomi la testami guarda dicendomi: “non faccio in tempo a dare
l’ordine”
Qualche volta mi diceva che era stanco, gli mancavano le forze pur stando
in poltrona o sdraiato. Un giorno che mi diceva la sua stanchezza, gli ho
chiesto se desiderasse andarsene in Paradiso. Mi ha detto “sì, ma io penso
a te”. Gli ho risposto “non devi, io mi arrangio e poi vengo presto, anch’io
sono vecchia; stiamo sereni, in pace, non sappiamo cosa sia meglio per
noi, lasciamo che avvenga quel che è giusto”.mi ha risposto “così è
giusto”.
Da sempre l’argomento morte è motivo delle nostre conversazioni
quando si presentano le occasioni, non solo adesso che è ammalato.
Dopo la Comunione che ci veniva portata la domenica, il giorno di
Capodanno domando a Giulio: “cosa hai chiesto al Signore per il nuovo
anno?” “mi faccia essere umile, aperto alla sua Grazia”
L’ultima tappa
2 marzo 2011. Giulio è al Centro Diurno. Come al solito lo raggiungo per
il pranzo. Lo trovo che non sta bene, le assistenti mi confermano che è
tutta la mattina che non respira bene. Lo porto a casa e lo metto a letto.
Quando è a posto mi dice con un viso sereno: “ se potessi ti abbraccerei
forte per dirti quanto ti voglio bene”. Rispondo: “”anch’io te ne voglio
tanto e vorrei portarti via la tua sofferenza”. Giulio: “già fai tutto quello
che mi serve, questo è un momento difficile. Sono tanto contento di averti
incontrata”. Poi si è assopito. Non sapevo che questo sarebbe stato il suo
saluto.
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La sera, quando l’ho alzato, faceva tanta fatica a respirare. Ho telefonato al
medico alle ore 20 e gli ho fatto sentire come respirava. Mi ha detto:
subito in ospedale! Ricoverato con l’ossigeno al pronto soccorso
dell’Ospedale Maggiore, il più vicino a casa, è iniziato l’ultimo periodo.
Al pronto soccorso, nell’atmosfera di emergenza e insicurezza, dopo un
po’ che aspettavamo di capire cosa avrebbero deciso dopo visite e
radiografie, chiedo a Giulio: “di cosa senti bisogno?” Mi risponde “un po’
di familiarità”. Era proprio quello che mancava lì, il sentirsi “persona”.
Sono venuti a dirmi che era molto grave. L’ho lasciato verso mezzanotte.
Il mattino dopo era in reparto – medicina intensiva. Mi hanno avvertito
della gravità: broncopolmonite e pleurite, senza febbre. L’ho trovato – e
sarebbe sempre stato- seduto sul letto, con cuscini che lo tenevano
sollevato, con ossigeno. Giulio, sei triste? “no, perché dovrei?”
Gli amici del CHI? hanno seguito il decorso di questo periodo perché
Franco L. inviava e.mails con le notizie. Come sono state consolanti per
me e per Giulio le espressioni di affetto e le preghiere degli amici “pimini”
che arrivavano dal mondo in risposta alle notizie che Franco mandava via
e.mail. Per Giulio sono sempre stati gli amici, le persone che più ha amato
e che ricordava con grande affetto. Era sempre stata una gioia rivederli
quando venivano a trovarlo.
Io restavo con lui tutto il tempo e negli orari concessi. I primi giorni
potevo dargli da mangiare cose che poteva deglutire, poi hanno messo un
sondino nel naso perché tutto quello che ingeriva poteva finire nei
bronchi e peggiorare la situazione. E’ sempre rimasto grave. Stava molto
tempo con gli occhi chiusi anche se capiva e rispondeva. Il 5 marzo è
venuto Dell’Oro a trovarlo e con aria scanzonata chiedeva a Giulio: “hai
tutte le carte in regola per andare in Paradiso”. “Non credo”. “Allora non
ti fanno entrare, non ti danno il permesso di soggiorno, ti mettono in un
centro di accoglienza…Aspetta, non ti conviene andare adesso”. Giulio
ride.
E’ sempre più grave. In un momento di sollievo gli dico “non pensare a
me, lasciati andare, non avere paura, sei stanco, non fare resistenza,
abbandonati. Io ti accompagno qualunque siano le tue scelte, sia che vuoi
rimanere, sia che vuoi restare”. Mi risponde “ci devo pensare”.
La domenica 23 ha avuto una giornata bellissima. Era sveglio, attento,
presente.
Il pomeriggio erano presenti Franco L. e la moglie Grazia, anche loro
hanno goduto con me questa situazione. Abbiamo preso accordi con lui
per la funzione dell’unzione degli infermi, verificando la possibilità che
Giovanni Gadda potesse venire il giorno seguente…la sera non sarei più
venuta via dall’ospedale per non perdere questa situazione di
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miglioramento: arrivata sulla porta mi sono voltata, lui mi stava
osservando: ricordo ancora il suo sguardo.
Il giorno dopo non era più così, è stato sempre con gli occhi chiusi e
assente. E’ venuta per l’ennesima volta la nipote Simonetta, veniva a
vederlo quasi ogni giorno, così come sono frequentemente venute le
cognate e anche la sorella Carla, pur con tanta difficoltà a camminare.
Sono arrivati Giovanni e Franco per l’Unzione degli infermi e la
Comunione; ma lui non ha dato segno di essere presente, non ho più
potuto comunicare con lui. Sono tornata a casa la sera, senza mai lasciarlo
con il pensiero. La mattina mi hanno telefonato di andare che stava male,
ma quando sono arrivata era già partito per tornare alla casa del Padre.
Grande la pena per non essergli stata vicina la momento della sua
partenza, anche se non mi sono mai allontanata da lui spiritualmente.
Il giorno del suo funerale (senza messa perché era venerdì di quaresima,
liturgico) è stato un ritrovarsi di amici attorno a Giulio. Era come se li
avesse convocati, dopo tanti anni, e avesse dato loro l’opportunità di
rivedersi. E’ stata la caratteristica di quel giorno, la meraviglia e la gioia di
rivedersi con Giulio.
Da qui il bisogno di rincontrasi con più tempo per “raccontarsi”. Sono
venuti in tanti, parenti, amici, alcuni del Centri diurno. La Chiesa era
gremita di gente (con la meraviglia del Prevosto che non lo conosceva
perché da pochi anni in parrocchia: dalle persone, dalle parole di Giovanni
Gadda non riusciva a capire bene chi fosse questo Giulio…)
Giulio mi manca sempre perché non lo posso vedere, sentire,condividere e
godere della ricchezza che mi comunicava, una presenza sempre positiva.
Ma è davvero sempre con me, lo sento, e non è una fantasia.
Adesso è nella “gioia”, nella luce e nella pace; e mi comunica tutto questo.
Quante volte l’ho sperimentato. Nel dubbio dì cosa decidere, di come
comportarmi, di cosa scegliere nelle varie situazioni mi ritrovo con delle
intuizioni che poi si rivelano giuste e opportune. Sono sola, anche se ho
vicino molte persone amiche, la vita di tutti i giorni è solo mia. Giulio, vi
assicuro, è sempre con me, basta che mi sintonizzi sulla lunghezza d’onda
e la comunicazione è immediata. E’ diventato uno stato d’animo.
Tutto quello che ho scritto di Giulio con me è una parte della nostra
storia. Nel suo “silenzio” era molto eloquente, bastava vederlo vivere nella
quotidianità per imparare. Mi ritengo privilegiata di aver vissuto una parte
della mia vita con lui, e adesso di continuare, in modo diverso ma sempre
reale, a ricevere gioia, luce e pace.
Elisa
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PADRE ERMANNO BATTISTI
Di P. Giulio Barlassina io ho soltanto ricordi buoni e grati.
Durante gli anni di teologia è stato mio professore di Sacra Scrittura. Ce
la metteva tutta per farci capire e assimilare la sua materia, lasciandoci anche
sempre una quantità di appunti scritti e ciclostilati, con notevole sacrificio,
apposta per noi studenti che apprezzavamo questo suo impegno, ma, ahimè,
non c’era solo Sacra Scrittura da studiare, per cui non avevamo sempre il
tempo sufficiente per approfittarne e prepararci bene, come sarebbe stato suo
e nostro desiderio e come si sarebbe anche meritato. Certamente non poche
volte è rimasto un po’ deluso e rattristato, ma mi è anche sembrato che
accettasse tutto con comprensione e anche rassegnazione.
Arrivato in Guinea-Bissau, alla scadenza del mandato di P. Mario
Faccioli, è stato eletto “Superiore regionale”, ma ha accettato solo a
condizione che il P. Faccioli continuasse a lavorare con lui “in tandem”, come
di fatto è stato, con l’approvazione della Direzione Generale del PIME. Penso
che abbia chiesto questo particolare sistema sia perché aveva fiducia in P.
Faccioli come uomo e come superiore e voleva che lo si sapesse, sia perché
per lui quello del superiore di tutta una missione era un compito
completamente nuovo, in un tempo particolarmente difficile, segnato dalla
guerra di liberazione dal giogo coloniale portoghese e dalle attese di imminenti
nuovi tempi anche nell’ambito stesso della missione. Per di più il P. Faccioli
era un uomo con molta esperienza di vita missionaria, anche in campo pratico,
mentre a P. Giulio, che proveniva dagli studi e dall’insegnamento, questa
esperienza non l’aveva. Comunque l’abbiamo votato volentieri perché ci è
sembrato la persona più adatta e credo che non ci siamo sbagliati.
Io, in quel tempo, ero rettore del seminario minore diocesano, con
l’incarico della costruzione della struttura stessa del seminario. Ogni tanto
veniva a trovarmi e condividevamo le nostre idee sull’evangelizzazione e sulla
formazione dei seminaristi, in un dialogo positivo e fruttuoso. Un giorno mi
disse che era suo desiderio lasciare l’incarico di Superiore e tornare in Italia e
di prepararmi, perché la scelta del nuovo superiore sarebbe caduta su ci me,
come poi di fatto è stato. Cascai dalle nuvole, ma, a causa del rispetto e della
fiducia che sentivo per lui, non gli chiesi nessuna spiegazione, ma accettai
rassegnato e anche un po’ rattristato.
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Qualche anno più tardi lo rividi in Italia, a casa sua. Mi ci aveva portato
P. Amilcare Giudici. Mi chiese tante cose sulla situazione della nostra
missione. Ebbi l’impressione che avesse un po’ di nostalgia. Quando, in
Guinea-Bissau, scoppiò la guerra civile, io mi trovavo in Italia. Mi chiamò al
telefono per sapere le ultime notizie, in modo particolare, quelle che
riguardavano la missione, i missionari e la popolazione in fuga dal conflitto. Mi
inviò, mi pare per mezzo di bonifico bancario, una grossa somma da inviare in
Guinea-Bissau per i soccorsi più urgenti. Cosa che ho fatto volentieri, ma
anche colpito dalla sua generosità.
Non lo rividi più, sia perché ero tornato in Guinea-Bissau, sia, poi,
dopo il mio ritorno in Italia, perché P. Amilcare non c’era più a portarmi, e
anche per i sopraggiunti problemi miei di salute e il mio successivo
spostamento a Roma. Mi è dispiaciuto molto. Negli ultimi anni non ho mai
osato telefonargli perché mi avevano detto che stava male e non volevo
disturbare. Solo gli mandavo regolarmente le mie circolari, con buone notizie e
un’aggiunta personale di amicizia per lui.
So che ha sofferto molto, ma anche in questo mi è sembrato positivo: si
è tenuto la sua sofferenza per sé, senza mai lamentarsi con nessuno, ma
cercando e trovando in essa un’occasione per rinnovare la sua vita e purificarla
nelle mani paterne di Dio.
Adesso che ci ha lasciati, lo ricordo con nostalgia, come una persona a
cui devo molto, perché per me è stato un modello di amore alla Parola di Dio,
una persona coscienziosa, sempre amabile, di dialogo e in tutto rispettosa
verso gli altri, sinceramente interessata all’evangelizzazione e a un contributo
serio per venire incontro alle varie necessità della popolazione e anche dei
confratelli. Insomma, una persona fatta per essere, oltre che maestro e
modello, anche amico discreto, fedele e costruttivo, nei giorni felici e in quelli
infelici.
Padre Ermanno Battisti
Missionario del Pime in Guinea Bissau
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GUGLIELMO SPADETTO
Giulio l’ho conosciuto in Teologia a Milano. Allora era cerimoniere. I nostri
rapporti in quegli anni passati assieme sono stati abbastanza superficiali,come
di persone che si vivevano accanto ma che avevano poco da dirsi.
Ci siamo rincontrati a Roma, tutti due studenti presso le Università
Pontificie. Rapporti di vicini di stanza, colloqui su alcuni spunti pastorali per i
luoghi nel quali passavamo la domenica, e alle volta analisi politiche condivise.
E’ a Milano, tutti e due professori in Teologia, che il rapporto tra noi si è
approfondito e piano piano si è venuta a strutturare un’amicizia forte e
leggera allo stesso tempo, dovuta più che tutto a quanto pensavamo sulla
fede, chiesa, rapporti chiesa-mondo. Una condivisione vissuta e sofferta.
Vicini di stanza, ricordo il nostro parlarci, a voce alta da stanza a stanza, il
nostro scherzare, il nostro prenderci in giro quasi per riempire di vivacità i
giorni noiosi di studio continuo e di preparazione di lezioni. Una amicizia di
“compagni”, condannati allo stesso ritmo di vita: studio e lezioni…lezioni e
studio.
Ma fu quando presi la mia decisione di chiedere la dispensa per sposarmi che
entrai nella intimità con Giulio:egli mi fu amico caro e delicato. La mia fu una
decisione sofferta, intercalata da momenti di chiarezza, di dubbio, di paura e
di angoscia. E Giulio (con altri amici e mi piace ricordare il comune amico
Padre Campodonico), mi fu attento e coraggioso amico e consigliere,
ascoltandomi e comprendendomi. Ricordo bene le sue parole: “ non bisogna
mai aver paura di prendere decisioni, in qualsiasi periodo della propria vita,
quando si è consapevoli che occorra cambiar strada”. Il suo fu un aiuto forte
e io lo sentii e lo interpretai come voce di Dio. E le nostre strade si divisero.
Prima di andare in Africa Giulio venne a trovarci a Udine, dove vivevamo in
una comunità con giovani afflitti da diverse sofferenze.
Dopo lunghi anni di silenzio lo ritrovai ammalato a Milano. I nostri incontri
sporadici (data la distanza che ci separava) sono stati sempre profondi anche
se le parole erano poche. Esse però avevano il timbro delle incisività. Ma al di
là delle parole è stato il modo di essere di Giulio nella malattia che mi ha
toccato e per questo le sue poche parole avevano la forza di colpirmi.
Per me Giulio è stato, oltre che un amico, un “uomo di Dio”, che con la sua
vita e la sua serenità diceva fiducia e abbandono,. Egli mi ha svelato un certo
modo di essere di Dio.
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Conosco molto poco del suo intimo travaglio che lo ha portato là dove lo ho
ritrovato, ma di una cosa sono sicuro, conoscendolo: egli ha cercato con
serenità ed umiltà la volontà del suo Signore.
Ora, Giulio, vedi l’altra parte del Regno sulla quale io mi sono tanto
scervellato. Sento che mi dici, come quando mi rassicuravi sulla mia scelta:”
non pensare troppo. Tutto è pace e amore di tutti, tra tutti”.E mi piace
terminare queste poche righe ricordando quanto un giorno, durante la tua
malattia, parlando delle Ultime Cose, circa l’Inferno mi dicevi. “Che Dio
sarebbe con un inferno vicino. Allora Dio non sarebbe Dio!”.
Guglielmo Spadetto
Udine
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CARLO TRADATI
Carlo Tradati, prete nella comunità di base di Borgo Est
Operaio in una cooperativa della centrale Enel di Tavazzano
Fondatore di una comunità di strada che accoglieva persone in difficoltà
San Giuliano Milanese
18/3/2011
Cara Elisa
Queste mie poche e semplici parole vogliono significare
condivisione, conforto e vicinanza in un momento per te di sofferenza.
In Giulio ho trovato la gioia e il privilegio di conoscere una bella
figura di uomo saggio, amante della Parola, attento ad ascoltare,
accogliente.
Ho sempre conservato gelosamente nel mio cuore la sua
delicatezza, le sue parole, la sua disponibilità nell’aver accolto me e alcune
persone della Comunità di Borgo Est nella sua casa di Bussero in un
momento delicato e difficile per me e per la stessa Comunità.
Ora un uomo così non può che essere in compagnia con i fortunati
abitanti la casa del Padre di tutti.
Perché, come Paolo, anche Giulio
“…ha combattuto la buona battaglia,
è arrivato al termine della sua corsa,
ha conservato la fede….
Ora gli spetta il premio della vittoria:
il Signore che è giudice giusto,
gli consegnerà la corona di uomo giusto”
(2Tim 4,6-8)
Un saluto e un abbraccio
don Carlo Tradati
Quartiere Serenella, San Giuliano Milanese
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ENNIO PIRONDI
La prima volta che ho incontrato Giulio – nel 1967, a Monza – avevo 22 anni,
ed ero entrato nel PIME come “vocazione adulta”. Lasciavo, dopo otto anni,
il lavoro, l’impegno nella parrocchia ... e la famiglia.
L’anno precedente avevo completato i miei studi – all’Istituto Tecnico serale –
diplomandomi perito elettrotecnico. Avevo, per quei tempi, un buon lavoro,
presso quella che oggi si chiama AMSA, ma cercavo qualcosa che mi
permettesse di “essere utile” anche agli altri, non solo a me stesso o alla mia
famiglia. La testimonianza di un giovane prete entusiasta – d. Stefano
Maldifassi – mi ha indirizzato verso il PIME. Grazie a lui, i racconti di
vocazione dei profeti, di Abramo e di Mosé, sono diventati un invito che
sentivo rivolto anche a me: «Vattene dalla tua terra, dalla tua parentela, e dalla
casa di tuo padre, verso la terra che io ti indicherò» (Genesi 12,1). Oggi, verso la
fine dei sessant’anni, riconosco l’ingenuità del mio atteggiamento ... ma allora
avevo la vita davanti, e non ci ho pensato troppo a lasciare tutto, senza
nessuna rete di sicurezza.
Qualche mese dopo il mio ingresso a Monza, ci ha pensato Giulio a rimettere i
piedi per terra a chi, come me, amava ascoltare – e magari ripetere – testi
entusiasmanti, senza rendersi conto del loro reale significato. In una delle sue
“chiacchierate” nutrite di sana cultura biblica – commentando il testo della
vocazione di Abramo, nell’aula di fisica – ci ha sottolineato un fatto
elementare, ma sconvolgente per me: Dio, ad Abramo, non ha telefonato! Abramo
ha dovuto fare tutta la fatica per capire cosa volesse effettivamente Il Signore
da lui! Da quel momento, il Dio “troppo vicino” dei profeti e di Abramo è
diventato – per me – qualcosa come il “motore immobile” di Aristotele.
Il consiglio, discreto, di Giulio, la vicinanza degli amici ed una certa resistenza
ad accettare fino in fondo le conseguenze di quella rivelazione, mi hanno
trattenuto nel PIME ancora per un po’. Sono rimasto due anni a Monza. Poi,
l’ingenuità di confessare ai superiori il mio disagio a diventare “funzionario di
un’organizzazione religiosa”, e l’anno di Firenze (1967-68), hanno prodotto il
risultato inevitabile: sono stato rispedito a casa, senza troppi complimenti.
Da qualche anno ho compreso che aveva visto giusto chi mi ha rispedito a
casa, piuttosto di chi mi aveva incoraggiato a lasciare tutto, per entrare nel
PIME ... ma allora, questo fatto mi ha posto brutalmente davanti a qualche
problema: non avevo un lavoro, non potevo rientrare a casa perché mio padre
non aveva mai accettato la mia decisione, e dovevo ancora fare il militare. Per
farla breve, tutto si è risolto con una ragionevole riduzione del danno. Gli
amici rimasti nel PIME mi hanno sostenuto economicamente e moralmente
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nel periodo del militare, ed al ritorno ho applicato un principio della dottrina
sociale cristiana: l’autonomia economica è la garanzia della libertà personale
(Pavan, attraverso Simonut). Quella fase si è chiusa con il mio matrimonio, nel
1971, a cui erano presenti Renzo Milanese e Fulvio Aurora. Con i quali sono
rimasto in contatto anche successivamente.
Per anni non ho avuto altri contatti con gli amici del PIME, fino a quando –
credo nel 1983 – ho incontrato di nuovo Giulio ad un convegno di Servitium.
Da allora, attraverso il chii cartaceo e, successivamente digitale, il rapporto con
gli amici della “bella gioventù” non si è più interrotto. La presenza di Giulio,
nella sua discrezione, ha costituito il centro di aggregazione di un rapporto che
non è mai stato l’adunata dei “reduci”.
Dio, continua a non telefonare, ed ho qualche difficoltà a rivolgermi a Lui, che
spesso non “sento vicino”. Ho imparato che non si può vivere della fede degli
altri ... ma la credibile testimonianza di qualcuno che conosco, mi mantiene
aperta la possibilità di scorgere anch’io, un giorno, il Suo volto.
Nella mia vita, e negli ambienti “cristiani”, ho incontrato tante persone. Con
diverse ho un debito di riconoscenza, altre hanno formato le mie competenze
teologiche. Poche persone mi hanno insegnato qualcosa di veramente decisivo
per la mia vita: Giulio è una di queste. Grazie Giulio, per la tua leggera
presenza.
Ennio Pirondi
Milano
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GIOVANNI ZONTA
Il mio ricordo di Giulio parte dal liceo, ed anche se non ero un suo assiduo
frequentatore, è rimasto presente sempre anche ora più vivo che mai.
Da lui ho capito finalmente cosa si intende per “Comunione dei Santi”.
Ero forse in 3a liceo, e si discuteva sulle messe fatte dire in suffragio dei morti.
Lui spiegò a cosa servivano. Non erano per il singolo, ma le preghiere, le
azioni caritatevoli, il bene che si faceva, faceva sì che tutta la Chiesa, compresa
la chiesa purgante, ne risentisse. Il bene si diffondeva ovunque sia in cielo che
in terra, perché eravamo un tutt’uno.
Per questo sento Giulio presente vicino a me, per questo cerco di seguire il
suo esempio: tacere e testimoniare, rispettando tutti.
Come lui, mi sono ritirato da qualsiasi attività, visto che anche il silenzio
vissuto come testimonianza ha un gran valore in un mondo di chiacchieroni.
Altri due fatti mi hanno fatto conoscere.
Il primo è successo nel 1980, quando lui e suo fratello Giuseppe mi
finanziarono un viaggio in Guinea Bissau. Mi si aprirono gli occhi sull’Africa
“portoghese”, sui facili entusiasmi dei cooperanti e sull’ “indifferenza”
mentale del popolo africano. Gli occidentali facevano progetti e si
entusiasmavano dei grandi successi, ma si aveva l’impressione che non
scalfissero neanche la pelle dell’Africano, anzi!
Da lì ho capito il suo ritiro dalla “missione”, tacendo e senza criticare,
vivendo il silenzio.
Terzo fatto, ricordo che mi fu vicino lui e l’Elisa quando mi nacque la prima
figlia “Elisa”. Vennero in treno da Milano per congratularsi con me e la
Patrizia, e visto che ero senza un quattrino, mi donarono anche la loro
solidarietà.
Giulio mi è stato vicino, lo sento ancora al mio fianco perché lui è in
comunione con me, ed io mi sento in comunione con lui.
Questi sono i miei ricordi.
G. Zonta
Via dei Rossi 289
50018 SCANDICCI (FI)
08.06.11
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GUGLIELMO COLOMBO
Il mio apprezzamento di Giulio non e’ stato immediato, ma è cresciuto e si è
approfondito continuamente.
In Liceo, abituato ad una relazione un po’ sentimentale con Dio, trovavo le sue
meditazioni ed i suoi ragionamenti teologici interessanti, ma anche un po’ una
fredda replica di lezioni di Filosofia. Anche se le sue riflessioni diventavano
progressivamente la base del mio sviluppo intellettuale e del mio cammino di
fede, non vedevo, a differenza di altri, la motivazione che li spingeva a dedicare
lo scarso tempo libero per approfondire le stesse riflessioni e farne ulteriori
deduzioni. Ho preferito dedicare lo scarso tempo libero ad altre attività. Ho
sempre ammirato però il carattere, la bontà e l’umiltà del messaggero, scoperto
sempre più come amico. Dopo molti anni, ricordo di avergli riferito di quella
impressione di freddezza che ho riscontrato all’inizio della sua attività a Monza
e la sua umiltà nell’ammettere questa freddezza mi lasciò imbarazzato e
disarmato. Mi sarei aspettato un altra reazione tipo: “ce n’e’ voluto di tempo!”.
Proprio la sua profondità e la sua umiltà personale credo siano state alla base
della sua influenza su di me. Quando, durante gli anni di teologia, aveva deciso
di andare in Guinea Bissau gli chiesi qual’era la giustificazione della sua
decisione, data la divergenza delle nostre idee di missione con quelli che erano
gli orientamenti della Chiesa e del Pime di allora. Mi rispose citando una frase
(credo di San Giovanni Crisostomo “Vado a farmi macerare dalle fiere per
diventare pane (o ostia)”. La sua decisione di tornare in Italia mi venne
spiegata da lui con la stessa umiltà: più o meno fece riferimento ad una sua
incapacità personale ad essere pastore anziché pecora. Alla stessa stregua il
Giulio non era inquadrabile nel profilo del sindacalista durante il lavoro in
Fabbrica. Ricordo quando mi parlò di quanto lo apprezzasse il suo padrone. In
poche parole il Giulio è stato per me l’umile ed il mite che “ha posseduto la
terra” e chi l’ha incontrato .
Ho sentito da altri che quando visitò l’India sentiva grande riluttanza (o forse si
rifiutò) ad usare un Rikshaw trainato da un altro uomo. Durante discussioni
l’ho sentito apprezzare Gandhi per non aver avuto bisogno di andare a vivere
in Missione per comunicare e rendere rilevante il suo messaggio. L’ho sentito
criticare il percorso della Chiesa nel subcontinente Indiano per non essere stata
in grado di minare le caste dell’Induismo. Ho dialetticamente discusso questo
con lui in quanto mi pareva non valutasse sufficientemente la forza della cultura
locale (in positivo ed in negativo) nel neutralizzare non solo una Chiesa
Coloniale e post Coloniale , ma anche San Tommaso. Ma lui non discuteva per
discutere: viveva, rifletteva, era libero, lasciava liberi.
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Giulio e’ stato importante per me anche per lo sviluppo di interessi sociali. Per
lui leggere il giornale e leggere informazioni sulla gente a cui si viveva accanto
era determinato da sentimenti di rispetto ed attenzione ai nostri prossimi.
Infine Giulio ed il fratello suo, Giuseppe, erano lì , con un amicizia così
discreta e così solidale quando sono tornato dal Bangladesh nell’87. Trovai in
pochi mesi una casa che Giuseppe (sconosciuto fino allora) aveva acquistato
per extracomunitari con l’unica convinzione che io avrei fatto altrettanto
qualora fossi diventato capitalista.
Concludendo ho trovato una ricchezza immensa in Giulio e credo che Elisa ha
potuto constatare questo più di noi aiutandolo a vivere il più possibile in questo
mondo. Ricordo sempre le loro visite a Cerro, il loro vivere per persone
incontrate. Grazie Elisa per quello che hai fatto. Grazie a Franco, Gigi e ad altri
che avete reso più piacevole la vita a Giulio di quanto l’avessi fatto io.
Scrivendo queste cose mi ricordo della verità di una sua affermazione sulla
risurrezione: l’energia buona non si distrugge mai ed influenza tutti. Tu Giulio
ne hai avuta tanta di energia buona!
Guglielmo Colombo
Everan, ARMENIA
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GIOVANNI GADDA
Siamo stati insieme fisicamente per otto anni, ma sei ancora sempre
presente, forse più di allora. Ti hanno fatto studiare per diventare professore di
Bibbia e teologia biblica, ma non ricordo che tu abbia insegnato da una
cattedra; per nostra fortuna, ti hanno destinato P. Spirituale a Monza e a
Milano. Non poteva andare che così! Chi accosta la PAROLA come hai fatto
tu, si trova male a fare il professore, perché non si può mai tradurla in concetti
chiari e distinti: LEI NON VUOLE!!
“La SAPIENZA è amica degli uomini”, si legge in Essa, ed ogni uomo è
unico e irripetibile, non può essere inquadrato in uno schema da comporre a
tutti i costi! E chi pretende fare questo, finisce col mettere crudelmente ai
margini, chi coerentemente non ci sta: e tu l'hai provato bene!!!
Essere amico dell'uomo (ogni uomo!) vuol dire volere e cercare il suo
VERO BENE, (non quello supposto da noi), allora non si diventa maestri
degli altri, ma compagni di viaggio attenti e disponibili, ad ogni occasione di
incontro, per crescere insieme: in questo tu sei stato maestro!!
La VERITA' vi farà liberi! diceva Qualcuno duemila anni fa, e tu l'hai
capita bene, perché hai sempre offerto elementi di verità, perché le scelte dei
tuoi compagni di viaggio fossero davvero libere e coscientemente!!!
Per questo, la serenità del tuo sguardo e del tuo sorriso, ricordata da tutti
nei molteplici incontri, è sempre stata una costante! Mentre qualcuno si
lamentava o soffriva per l'uscita di alcuni amici dai ranghi istituzionali,
prendendo altre strade, tu guardavi soprattutto a loro, al loro coraggio di fare
scelte radicali diverse, al travaglio e fatica che avrebbero dovuto sopportare nel
nuovo contesto umano, ma anche alla loro gioia di rischiare molto o tutto, per
essere coerenti con la Verità che li abitava in quei momenti.
Sapevi bene che, nel piano meraviglioso di Dio, tutto di noi era previsto
e salvato, anche se apparentemente fuori dai nostri schemi stereotipi di
“normalità”: davanti a Dio la normalità non è data dalla maggioranza che 'fa
così', ma dal modo giusto ed unico di rispondere al Suo appello, sempre molto
personale, di chi Lo ha ascoltato!!
Conservo ancora un quaderno, in cui trascrivevo le tue meditazioni sulla
fede a Monza! Il nostro padre ABRAMO, nonostante le promesse altamente
esaltanti sul piano umano, è riuscito a fare un solo figlio e, per di più, già nella
vecchiaia, ma è diventato davvero un POPOLO numeroso come le stelle del
cielo, in ogni vero credente che nasce in questo mondo! Anche per la Terra
Promessa, l'unico lembo che è riuscito a possedere è stato per seppellire la
moglie Sara!
60
Così, anche nell'incontro con un gruppo di ex-pimini, il 26 novembre,
abbiamo sentito e condiviso la tua paternità spirituale ed ancora una volta
abbiamo sentito che la Terra Promessa non è un luogo fisico da occupare, ma
qualsiasi spazio in cui è presente un figlio di Abramo, che lotta e fatica, perché
TUTTI abbiano l'opportunità di sentirsi a casa ovunque, perché TUTTI figli
dello stesso Padre!!!
Carla, dopo la morte di un altro eccellente compagno di viaggio,
Giuseppe, ha suscitato un ricco ripensamento sul senso della “risurrezione” ed
un bel gruppo continua a ritrovarsi periodicamente per “fare memoria”; dopo
la tua, che è stata una bellissima occasione di re-incontro con tanti amici, un
altro gruppo sta sorgendo, spolverando e condividendo valori e talenti ricevuti,
anche per mezzo tuo: la RISURREZIONE continua!!!
Voi due, continuate pure tranquilli ad ASCOLTARE la melodia della
visione beatifica, ma non cessate di stare con noi, uniti o sparsi ai quattro venti,
per ricordarci sempre, nel nostro quotidiano, a volte incasinato, che:”..latius
osquam premissis, conclusio non vult!!!!”
Joào
Giovanni Gadda
Missionario in Brasile
Busto 6-12-2011
61
RENZO MILANESE
Raccontare di Giulio è come parlare del silenzio, silenzio che era diventato
per scelta la sua condizione di vita negli ultimi quarant’anni.
Si era immerso nel silenzio per meglio ascoltare e comprendere la vita propria
e degli altri?
Domandava ed ascoltava più che esprimere propri pareri.
L’avevo incontrato a Monza e ritrovato dopo un anno a Milano. Una persona
discreta che non facilitava il primo contatto con un grande timido quale sono
io.
Lo ricordo vicino al tavolo da biliardo nella casa di via Pagliano dove era stato
invitato a fermarsi dagli abituee della partita digestiva come occasione per
continuare gli animati scambi di idee su chiesa, società e tutto quello che
poteva correlarsi. Anche lì ascoltava e interveniva solo quando forzato a dire
il proprio parere.
Dopo una estate trascorsa in una visita di studio a una missione aveva
condiviso le proprie riflessioni attente ad apprezzare tutto ciò che c’era di
apprezzabile ed evidenziare con prudenza quanto si sarebbe potuto fare
diversamente. Aveva terminato le riflessioni che si erano protratte su più
incontri esprimendo una preoccupazione nei nostri riguardi: “ non so se
riuscirete ad adattarvi”.
Erano tempi di rinnovamento, di speranza ma anche di forti richieste per
cambiamenti più radicali da parte di noi giovani aspiranti missionari.
Se sono arrivato a Hong Kong dove vivo da quarant’anni è anche dovuto al
fattore Giulio.
Non ho avuto frequenti colloqui a quattrocchi con lui, ma in tre occasioni il
suo intervento è stato cruciale.
Dopo quindici giorni di seminario ero fortemente convinto che
quell’ambiente non facesse al mio caso. Prima di andare dal rettore ad
esprimere il mio ringraziamento per l’accoglienza e comunicare l’addio mi
recai a chiacchierare con Giulio. Il suggerimento era venuto da qualcuno che
era entrato in seminario l’anno precedente e che oltre alla insofferenza per la
vita di seminario aveva anche una grande stima di Giulio. Non ricordo quasi
nulla di quel colloquio da cui uscii con l’invito a consultarmi prima con il
prete che mi aveva seguito durante il liceo. Quest’ultimo dopo avermi
ascoltato con l’usuale attenzione, saltò a pié pari tutti i problemi e mi
consigliò di prendere il tutto come un’esperienza e rimandare la decisione a
fine anno.
62
Due anni dopo, durante un’animata discussione di alcuni studenti con il
rettore, dissi qualcosa che indispettì il rettore a tal punto che mi invitò a
lasciare il seminario. Giulio era presente e invitò tutti a riprendere il discorso
dopo qualche giorno, con più calma.
Quella discussione non fu più ripresa, ma mesi più tardi, dopo un mio
ulteriore sfogo su tutto quello che non riuscivo a digerire sull’ambiente
prossimo e remoto e sui conseguenti dubbi sulla possibilità di reggere nei
futuri impegni ecclesiali, mi disse “credo che con il tuo carattere tu possa
farcela”.
Caro Giulio, mi hai accompagnato con le tue indicazioni, non ti piacerebbe
che li chiami insegnamento; fra tutte ricordo il richiamo alla “kenosi” e
all’ascolto che sono state importanti consigliere soprattutto i primi anni di vita
in estremo oriente e continuano ad esserlo tutt’ora.
Renzo Milanese
Missionario in Hong Kong,
12 febbraio 2012, Sesta domenica del tempo ordinario, anno B.
Un lebbroso andò incontro a Gesù e disse “Se tu vuoi, puoi mondarmi”.
63
FRANCO LACCHINI
Quando Giulio tornò dalla Guinea io ero un disperso, nell’anima e nel
corpo: i miei compagni del Pime erano tutti partiti per le missioni, l’incubo
del servizio militare incombeva sui miei giorni, la comunità di Borgo Est
espugnata da un prete kamikaze mandato dalla Curia per radere al suolo
ogni tentativo di cambiar modo di essere Chiesa in un quartiere di periferia
estrema…Solo macerie nella mia testa.
Così il ritorno di Giulio accese in me grandi speranze di risorgimento..
Ma già le prime volte che andai a trovarlo mi accorsi che pure lui non stava
tanto bene. Sembrava un profugo. Abitava in un monolocale angusto. Da
biblista ammirato era passato a fare il magazziniere in una fabbrica di
pompe dell’hinterland milanese. Si spostava con una bicicletta scassona o
con una lambretta. La sera cenava riscaldando buste di minestrine della
knorr.
Non capivo la sua posizione defilata. Ma sotto sotto pensavo: “Adesso lui
lancia un appello, raduna i dispersi, ci riorganizziamo e gliela facciamo
vedere noi a …quelli là!”.
Ma il tempo passava …e l’appello non veniva.
Anzi dagli scritti e dai colloqui con lui si cominciava a capire che il suo
silenzio non era una riduzione, ma una scelta.
Aveva dentro una ferita profonda che la sua vita nel cuore di un villaggio
della Guinea aveva reso più dolorosa e insopportabile. Il clericalismo e il
colonialismo erano stati (ed erano tuttora) la carne - la faccia - della chiesa in
africa.
Occorreva un cambiamento totale. Cominciando da se stessi….
E così lui – che allora era il superiore – lascia la Guinea e si seppellisce in
quella fabbrica, assumendo su di sé tutta la kenosi di Gesù, …il silenzio come
ultima parola possibile dopo quattro secoli di “accidenti” imposti alle
popolazioni indigene al posto della buona notizia portata da Gesù.
Era un gesto profetico e come tale andava visto.
Non un invito alla diserzione, ma un gesto penitenziale.
Il senso non era : venite via anche voi
ma: ricominciamo dal silenzio, ricominciamo dall’ascolto.
Prima ascoltare e capire
Poi parlare, poi fare…
Il suo “silenzio” rimase inascoltato.
64
La missione di Guinea si frammentò ancor di più, secondo l’antica regola
criola del “caciurru mango” (la legge della scimmia: = ognuno per sé…)
E anche noi, ognuno (di noi) continuò per la sua strada, come se niente
fosse successo…
Il suo gesto non venne raccolto, non diventò patrimonio di chiesa.
E alla fine l’istituzione – a nome di tutti – archiviò il caso, senza scandalo,
come una pratica scaduta.
E così il buon Giulio emanò la sua ultima enciclica, lunga tutta una vita,
scritta con il silenzio e lo sguardo.
(…)
L’ultima volta che mi rivolse la parola, alla mia domanda “come va?” rispose
sottovoce, riunendo a fatica le poche forze a sua disposizione “Bene. E tu?
che progetti hai per il futuro?”
Mi guardava dritto negli occhi, con intenzione e intensità, come se dalla mia
risposta aspettasse l’annuncio di una novità a lungo attesa … E io non seppi
dirgli altro che le quattro stronzate che avrei fatto quel pomeriggio…
Franco Lacchini
San Giuliano Milanese
65
MARIA GRAZIA LONGHI
L’incontro con Giulio è l’incontro con una persona rara, come lo è l’incontro con
la bontà. Ho sempre pensato che un essere veramente cattivo è raro, come raro è
un essere veramente buono. Giulio era veramente buono.
Tutto ciò che per me è conquista della mente, per lui era già dato: imparare a
lasciare, ascoltare l’altro, non giudicare, non avere l’urgenza di dire il proprio
parere, vivere nella non apparenza, sentirsi in comunione con l’altro e con il
mondo…
Gli oggetti del nostro amore non sono tali perché sono senza difetti: facciamo una
certa fatica ad accettare questa cosa, ma con gli anni la impariamo. Impariamo ad
amare il bene ed il male che c’è in ognuno di noi…Ma in Giulio il male pareva
inesistente.
Uomo di grande spiritualità e capacità di vivere “dentro”, ma con una bontà
attiva, fatta di gesti grandi nella loro quotidianità.
Giulio immobile è riuscito a creare intorno a sé un movimento di bene che non ha
riscontro nella mia esperienza. Non mi è capitato mai di vedere una dottoressa e
delle infermiere (abituate al dolore) essere così dispiaciute per la sua morte, pur
avendolo conosciuto in circostanze così poco comunicative.
La rete di solidarietà che ha permesso ad Elisa di sopravvivere alla fatica credo sia
merito di quel carisma discreto ma potente che Giulio emanava.
Giulio uomo moderno, libero e senza niente da perdere perché aggrappato solo ai
sentimenti e alla fede.
Ricorderò sempre il suo ultimo regalo: il suo sorriso il giorno prima della sua
partenza. Faceva molto fatica: il suo corpo era una gabbia dentro la quale scorgevi
uno spirito vivo e anche la voglia di dare, e nell’estrema fatica ci ha regalato un
bellissimo sorriso, come di chi non rinuncia a dare se stesso fino alla fine…
Maria Grazia Longhi
Bolzano
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DARIO MENCAGLI
Il vicino di stanza (quello della stanza accanto)
Con Giulio, a Milano, siamo stati vicini di stanza per un anno..
Di lui avevo sentito parlare molto dai miei compagni, durante gli studi di
teologia. Loro lo conoscevano già dal Liceo. Ricordo che gli avevano
dedicato un motivetto intitolato: "facciamo un salto nel buio..!"
Erano stati molto colpiti dalle sue riflessioni sulla fede (fede come fidarsi,
affidarsi e "fare un salto nel buio").
Giorni fa, un nostro professore di teologia, incontrato al PIME di Roma, mi
ha detto:"L'ho avuto (Giulio) come professore. Lui ci ha aperto la mente!"
Mi ha regalato un registratore (a quei tempi erano grossi e a nastro). Un
compagno, Antimo, mi ha aiutato a sistemarlo per bene. Così, studiando
teologia e altro, con sottofondo musicale, mi sono fatto una cultura di
musica classica, e non solo. E ho consolidato un ricordo di lui.
Giulio era stato in Guiné Bissau. Ad ogni mio ritorno dalla Guinea Bissau,
dove ho lavorato per diversi anni, tappa fissa a Milano, da Franco Lacchini e
da lui: a portare saluti dagli amici di laggiù, notizie e racconti.
E ad ascoltare i suoi racconti di lavoro, dei suoi compagni, dei giri in moto,
come fattorino. La sua accoglienza e attenzione a Kirsten, mia moglie, che
ho conosciuto come volontaria in Guinea Bissau. L'interesse di Kirsten nel
parlare con lui: questa persona così semplice, modesta e profonda, così
interessante, che non capita spesso di incontrare!
Una grande lezione di vita, tanta amicizia e affetto!
Elisa e Giulio sono stati anche a trovarci a Tuscania e le tre figlie, ancora
piccole, si sono addormentate con un episodio della Bibbia raccontato da
lui!
Mi ha sempre colpito la sua semplicità, la sua modestia, la sua profondità. E
anche ... il suo sigaro toscano!
Il suo commento alla parabola del seme, con l'accento posto sul seme che
germoglia comunque, anche in condizioni molto diverse...
Ricordo il piacere di ritrovarlo ed ascoltarlo nelle riunioni che abbiamo
fatto, quando possibile, con gli amici provenienti dai quattro angoli del
mondo e alle quali, se non ricordo male, veniva sempre.
Negli ultimi anni, con la salute che gli andava scomparendo, ad ogni visita,
mi ha sempre regalato un sorriso dolcissimo, che ho portato via con me con
la stessa cura e attenzione che ho cercato di usare nell'ascoltare e nel
ricordare le sue parole e il suo vivere.
Dario Mencagli
Tuscania (Viterbo)
12/1/2012
67
GIANCARLO CARRARA
Ho potuto conoscere ed apprezzare P. Giulio durante gli anni di teologia a
Milano e soprattutto durante la permanenza in Guinea Bissau.
Infatti quando alla fine della teologia chiesi al Superiore Generale di poter
partire per la missione senza essere prima ordinato presbitero (pensavo infatti
importante che l’esperienza di missione fosse fondamentale per coglier quale
tipo di presenza missionaria fosse più idonea per un servizio autentico), mi fu
negata questa possibilità perché nel PIME, disse Mons. Pirovano, erano i
Superiori che decidevano chi e quando doveva partire per la missione.
Di fronte a questo diniego assoluto mi rivolsi a Padre Giulio e a Padre Pedro
Belcredi (entrambi in Guinea Bissau) e chiesi loro se era possibile essere
accolto come laico in Guinea , e la loro risposta fu immediata e positiva. E
cominciò così per me l’esperienza guineana.
P. Giulio, nominato Superiore in Guinea Bissau, chiese di esercitare il suo
"servizio" di superiore regionale in tandem con Padre Faccioli, per poter
continuare la sua attività missionaria a Catiò' (in una delle zone più difficili a
motivo della guerriglia), e,anziché comportarsi da “superiore” ha dato origine
ad un “équipe” di ascolto e coordinamento (sulla base delle indicazioni del
concilio) che fosse in grado di cogliere in profondità il senso della presenza
missionaria.
Per questo scelse non di “visitare” ma di permanere periodi prolungati in tutte
le missioni, per poter condividere e porsi in posizione di ascolto.
La sua era una presenza umile e fraterna , capace di cogliere le problematiche
dei Padri, dei Fratelli e della popolazione.
Tutto questo fatto con semplicità avrebbe portato certamente a maturare per
tutti una forma di presenza più autentica ed evangelica da un punto di vista
missionario.
Tuttavia gli venne imposto dal “Superiore Generale” di Roma (su
sollecitazione di chi voleva un superiore che “comandasse”) di fare il
“Superiore” che “dà ordini” e “mette ordine”.
P. Giulio con onestà e coerenza estrema, non considerando conforme al
Vangelo quanto gli veniva imposto, presentò una lunga e dettagliata lettera di
dimissione, in cui metteva in evidenza come l’”autorità” nella Chiesa deve
esprimere ed attuare “servizio” e non “comando”.
GianCarlo Carrara
Monte Porzio Catone (Roma)
68
GIGI ROTA
Mi chiedo ormai un po’ troppo spesso quale segno abbiano lasciato o lascino
nella mia vita le persone care che mano a mano ci abbandonano.
Al dolore e al vuoto insopportabile di quando ero più giovane, si sostituisce
oggi la sensazione di una loro vicina presenza e la consapevolezza che non
abbiano vissuto invano.
Giulio è stato il mio maestro di vita. I suoi insegnamenti ai tempi del Liceo e
della Teologia, le sue parole misurate negli anni, il suo modo di vivere, hanno
inciso in modo notevole sulle mie scelte, sul mio modo di vivere.
Lo voglio ricordare da “vecchio”, toccato nel profondo dalla malattia,
bisognoso di tutti.
Quel suo “grazie” ogni volta che lo andavo a trovare e “quanto disturbo ti
do” quando lo portavo sulla carrozzella per le strade di Roncola.
Il suo risponder sempre “sto bene” a qualsiasi preoccupazione nostra per la
sua salute.
Il suo semplice “come stai” e il suo silenzio interessato alle vicende della mia
vita,del mio lavoro, della mia famiglia.
La sua pazienza infinita, tanto da farci pensare che sia stato un uomo che non
abbia mai sofferto.
Il suo mettersi ciecamente nelle mani di Dio: “ mi fido di un Altro”.
Mi ha fatto molto riflettere il vedere un uomo così straordinario imprigionato
in un corpo provato, e il suo accettare la malattia e l’avvicinarsi della fine col
sorriso e la serenità dei grandi saggi, dei grandi sofferenti come Giobbe della
Bibbia.
Chi ha avuto la fortuna come Elisa, di vivergli accanto, penso abbia potuto
ogni momento rinforzare la propria fede, sperimentare l’esistenza di Dio e
sentirne la presenza in questo piccolo grande uomo semplice e schivo, ma
così attento alla realtà del vivere quotidiano.
Resta il rimpianto, il rammarico di non averlo più fisicamente con noi, di aver
perso un uomo di pace, di dialogo, quello che sapeva cogliere sempre il lato
positivo, il grande comunicatore silenzioso.
A Elisa un grazie infinito soprattutto per questi ultimi anni di grande
sofferenza.
Grazie di avercelo curato e conservato con amore, trepidazione e mille
attenzioni quotidiane.
A tutti i miei compagni un forte abbraccio, nella certezza che il Giulio
rimarrà sempre per noi un faro per quel pezzo di vita che ci resta da vivere.
Vorrei che ci tenesse fortemente legati affettivamente e spiritualmente come
ha saputo fare silenziosamente fino a quando è rimasto tra noi.
Gigi Rota
Albenza (BG)
28 agosto 2011
69
CARLO DE BERNARDI
Di Giulio non ho nessun particolare da ricordare.
La sua figura è stata molto emblematica. Ricordo che la sua presenza
a Monza portava qualcosa di nuovo: Un modo nuovo di vedere la
realtà e un modo nuovo di accostarci ad essa.
Attraverso le scritture ribadiva che Dio ha posto l'uomo al centro del
creato, che ha su ognuno di noi un progetto che l'uomo consegue
pure nelle sue contraddizioni, le sue paure e difficoltà.
A noi il compito di scoprirlo nel nostro intimo e nelle nostre
convinzioni con verifica costante con il Vangelo e le Scritture e
mettendoci a Sua disposizione.
Questi concetti hanno rivoluzionato le mie prospettive.
Iperbolicamente parlando è come se fossi passato dal vecchio al
nuovo testamento.
Erano anche gli anni del Concilio Vat.II che stava per concludersi.
Questa visione mi ha sempre aiutato sia nell'acquisizione di verità che
in tutte le scelte che si sono susseguite nella mia vita trascorsa, di cui
non porto nessun rammarico, e spero vivamente anche in quella
futura.
Carlo De Bernardi
2/12/2011
70
FABRIZIO PERSICO
In ricordo (memoriam) di Giulio Barlassina
Ero cerimoniere in Seminario a Monza. E Giulio era il Padre Spirituale,
ma soprattutto per me fu quello che mi ha aperto la mente ed il cuore alla
speranza che arrivava con i testi e la riforma liturgica voluti dal Concilio
Ecumenico Vaticano II. Fenomenali le sue "meditazioni" che, potendo
disporre di una macchina da scrivere (Olivetti lettera 22) battevo a
macchina su una matrice insieme ad altri e poi ciclostilavamo per tutti i
nostri compagni.
Sarebbe bello poter rivedere e rileggere quei fogli, che, ricordo, lasciavano
in giro l'odore acre dell'alcol, ma davano a me e penso anche ad altri una
straordinaria voglia di capire fino in fondo il messaggio evangelico. Mi
piaceva il modo come parlava, semplice, sempre sorridente, forse anche un
po' timido, ma avevo la netta sensazione che in quelle parole che ci
trasmetteva lui credesse fortemente: non lo ricordo con in mano la corona
del rosario, ma sempre e solo la Bibbia.
Il mistero del "Corpo mistico di Cristo" era un po' il leitmotiv ed il centro
delle sue riflessioni con noi... talmente ripetuto da diventare un po' oggetto
di scherzo verbale non proprio edificante da parte nostra: ma si sa, a
quell'età é permesso di tutto e di più. Dopo il Liceo ci siamo persi:
potevamo incontrarci in Guinea-Bissau, ma lui lasciava quella terra nel
maggio del 1974 ed io vi giungevo il 19 ottobre dello stesso anno. Riposa
in pace, nella pace del settimo giorno della creazione, perché quello che
hai creato in noi non morirà.
Fabrizio Persico
Nembro (BG)
71
FRANCO DELL'ORO.
Giulio è stato, in alcuni momenti della mia vita, un punto di riferimento
importantissimo .
Da adolescente, al liceo. Era un porto sicuro per noi ragazzi di via Lecco 73 a
Monza.
Andavo spesso da lui. Gli raccontavo la mia gioia, le mie preoccupazioni, i
dubbi, anche la mia rabbia. Le mie emozioni.
Eri sicuro, con il Giulio, di non sentirti mai giudicato o banalizzato. E,
soprattutto, con poche parole sapeva darti direzione verso un sistema di
valori.
Dopo gli incontri con lui, riuscivi a recuperare serenità e tranquillità. Ma
anche voglia di ripartire.
Da adulto, in un momento particolarmente difficile della mia vita. Quando mi
sono trovato a fare il ragazzo padre, il mondo sembrò crollarmi addosso.
Anche in quella occasione Giulio, disse poco o nulla. La sua forza era quella
di sapermi ascoltare e di condividere il mio disagio, le mie difficoltà. E anche
la mia sofferenza. In quell'occasione, ora posso dirlo, ho rischiato di non
riuscire a rimettere insieme i pezzi per riprendere il mio cammino.
Negli incontri alla Roncola, in Liguria al mare, al Corvetto mangiando una
pizza..., mi divertivo a far ridere il Giulio ma anche l'Elisa. In alcuni momenti
a crepapelle.
Fa parte del mio carattere. Ma era anche un modo particolare per dire un
grazie, difficile da formulare a parole.
Un giorno misi a dura prova l'approccio avalutativo del Giulio. Quando gli
raccontai come uno sbalordito e furibondo insegnante di matematica (Padre
Airaghi) a Cervignano, all'esame di quinta ginnasio, mi buttò fuori dalla porta
perché, evidentemente in preda all'emozione ma anche condizionato da
lacune mostruose, dissi che "due triangoli erano uguali perché opposti e
paralleli!". Giulio rise in modo pazzesco e mi disse." Ma, Checco, cosa ti è
venuto in mente? Non è possibile!" Insomma, per un attimo perse il suo
aplomb. Eppure, anche in quell'occasione, disse: "Prova a spiegarmi come ci
sei arrivato a quella conclusione!". Straordinario! Cercava di ricucire
un'affermazione che poco aveva a che fare con i processi logico matematici,
ma che sicuramente avrebbe richiesto un intervento ... sanitario.
Ecco, Giulio mi piace ricordarlo in questo modo.
Giulio sarà sempre con noi. Con me. Con il suo ricordo e il suo
insegnamento. Con la sua presenza.
Mi ritengo un privilegiato per averlo conosciuto.
Un forte abbraccio. Franco
72
Dall’intervento di Dell’Oro all’incontro di Busto
(…)
Per quanto mi riguarda, io sono stato allontanato dal PIME con una specie di
editto di proscrizione, nel mio caso, forse non senza ragioni. Un uscita un po'
traumatica ma simile a quella di molti altri. Eppure, in tutti questi anni di lavoro
(43), ogni volta che ho avuto modo di pensare all'esperienza fatta nel PIME, ho
sempre provato un forte sentimento di riconoscenza. Il mio lavoro, le
competenze acquisite dopo tante esperienze e qualche errore di gioventù, le
relazioni, gli incontri con figure significative, i valori in cui credo, le persone
con le quali vivo e, quindi, tutta la mia vita trovano e si alimentano attraverso
una sorta di filo d'Arianna, un filo rosso che nasce nei nove anni passati al
PIME. Anzi, dirò di più. Molte volte mi ritrovo a pensare, e la cosa mi manda
un po' in crisi, di non aver saldato adeguatamente questo debito di
riconoscenza.
L'idea dell'incontro (a Busto) è nata al funerale di Giulio B. Ci sembrava giusto
trovare un momento per ricordare la sua persona, in modo poco istituzionale.
Ognuno dei presenti deve qualcosa a Giulio.
Per quanto mi riguarda, moltissimo. Gli incontri con Giulio non erano mai
banali. C’era sempre qualcosa da imparare. Durante gli anni del liceo e del corso
di filosofia, andavo spesso da lui. Gli raccontavo la mia gioia, le mie
preoccupazioni, i desideri, i dubbi e anche la mia rabbia. Con lui, eri sicuro di
non sentirti mai giudicato o banalizzato. Ti sapeva ascoltare. Non ti
interrompeva mai. Ricordo la sorpresa nei primi colloqui. In certi momenti ti
guardava e non diceva nulla. Stava in silenzio, sorridendo. Per la prima volta,
compresi che due persone che si incontrano possono anche stare zitte. Per
pensare. Per riflettere insieme. Riusciva a trasmetterti il valore del silenzio.
Giulio era una persona disponibile. Mai giudicante.
Per molti di noi, rimase un punto di riferimento importantissimo. Per il
sottoscritto, addirittura, una specie di salvagente.
Al liceo, quando da studente, litigando con i libri e lo studio, mettevo a dura
prova i miei insegnanti e quando, con grande fatica, immaginando il futuro
cercavo faticosamente di trovare la mia strada.
Da adulto, quando, in un momento particolarmente difficile della mia vita, il
mondo sembrò crollarmi addosso. Allora Giulio disse poco o nulla. La sua
forza era quella di sapermi ascoltare e di condividere il mio disagio, le mie
difficoltà e la mia sofferenza.
In quell'occasione, ora posso dirlo, ho rischiato di non riuscire a rimettere
insieme i pezzi per riprendere il mio cammino. E oggi, ovunque sia, a Giulio
mando un abbraccio forte.
Franco Dell’oro
73
LUIGI MARTINI
CARO AMICO TI SCRIVO
Caro Giulio Ti scrivo perché voglio dirti quanto sei stato importante
per me. Ti ho conosciuto che avevo dodici anni .Ti ricordi di Sale Marasino
sul lago d’Iseo?
Mi trovavo lì per affrontare un periodo di prova per poter entrare nel P.I.M.E
e, assieme a Padre Rota prefetto agli studi, viso orientale, rughe profonde,
voce indecifrabile che saggiava sconsolato le conoscenze nella latina lingua di
noi aspiranti pimini, c’era anche Padre Pesce, un vero missionario con la
barba, reduce dalla missione , capace di farci sognare con i suoi racconti e le
sue avventure. Ma… Padre Pesce fu quasi subito sostituito da un imberbe
Padre Giulio giovane giovane.
Che aveva a che fare costui con lo spirito missionario? Era proprio una
delusione.
Devo proprio dire che contro tutti i proverbi e le credenze, la prima
impressione doveva rivelarsi fallace e smentita da ciò che sarebbe accaduto
dopo.
Hai saputo accogliere i miei dubbi e i miei dispiaceri, hai saputo
infrangere le mie false certezze aiutandomi a scoprire la mia via nel mondo
dell’incertezza.
GRAZIE.
Con Te ho coltivato l’ amore di Gesù, che già possedevo prima di conoscerti,
ma con Te ho avuto modo di farlo diventare una presenza reale e costante
nella mia vita.
GRAZIE.
Ho imparato da Te che la Fede non è un’assicurazione contro i guai , ma un
salto nel buio; che la vita è condivisione; che la povertà nel benessere sta nel
vivere come amministratore e non come proprietario dei beni materiali, con
lo sguardo attento a chi è nel bisogno; che il potere va vissuto come servizio,
e Tu sai per quanto tempo sono stato impegnato su questo fronte e quanto
mi sia costato farlo.
GRAZIE.
74
Oggi , pensionato quasi in disarmo, ho ancora una voglia matta di fare,
di servire, di dare significato alla mia vita, anche se non posso più fare ciò che
facevo da giovane . Ma anche in questa condizione, in attesa che Dio mi
mostri qualcosa di meglio, visto che io non lo trovo, accetto la mia vita fatta
di piccole cose e mi ricordo di Te magazziniere che mi dicevi “ questo lavoro
per me è come succhiare un sasso, ma non importa è quello che il Signore
oggi mi chiede di fare”. Oggi che sono un po’ in disparte ho riscoperto il
tempo della preghiera, della Messa, della parola di Dio -la Bibbia- che Tu mi
hai aiutato a conoscere e che dà voce a quell’ Ostia muta chiusa nel
tabernacolo .
Ti ho visto sopportare la tua malattia con una pazienza infinita.
Quando passavo a salutarti eri attento a quello raccontavo della mia vita, della
mia famiglia, del mio lavoro; mai un lamento da parte tua, mai un accenno
alla tua sofferenza o la ricerca di consolazione. Tu così fragile e così forte. Il
bene è come un seme che si sparge e chi lo riceve lo custodisce per sempre e
a sua volta spargerà questo seme per altri. E questo è bello, troppo bello. E’ il
paradiso qui e ora.
Io con i miei errori, i miei disordini, le mie manchevolezze, traduzione
attuale di ciò che prima si chiamava peccato, non sono mai stato giudicato da
Te, ma aiutato a scoprirne le cause, le ragioni e oserei dire anche le
attenuanti,perché non mi sentissi abbattuto, sfiduciato, ma al contrario pieno
di speranza e di voglia di riscattare il male con il bene.
Il 26/11/11 mi sono incontrato con un buon numero di ex compagni
di studi e come me “ tuoi discepoli ” e ho constatato che il mio modo di
sentire era il loro modo di sentire. Ci siamo riconosciuti, in Te, operai nella
messe di Dio attraverso strade e professioni diverse.
Ciao Giulio, sei sempre stato con noi, davanti a noi ad aprirci la strada;
anche adesso ti sentiamo vicino e ci hai preceduto ancora una volta ,ma non
temere, abbiamo raccolto il testimone.
Con tanto tanto affetto
LUIGI MARTINI
Monza
75
ELIGIO OMATI
Ho conosciuto Giulio Barlassina quando frequentavo il liceo nel PIME a
Monza.
Giulio aveva la funzione di Direttore Spirituale e di confessore ed era quindi
naturale che diventasse per tutti noi studenti seminaristi la persona con cui ci
confidavamo e ci confrontavamo sulle questioni della spiritualità e sulle scelte
di vita.
Erano gli anni del dopo Concilio e in tutta la Chiesa c'erano fermenti di
rinnovamento oltre che di contestazione ad un modello ecclesiasticoistituzionale che molti di noi giudicavano inadeguato a rispondere ai
cambiamenti che stavano avvenendo nella società.
Egli ci propose, con la sua nota competenza, un nuovo modo di accostare la
Bibbia che fu per me illuminante: una lettura dei testi sacri non convenzionale
che ci dava la possibilità di interpretare la realtà esteriore e interiore sotto una
Luce nuova e più autentica.
Ricordo con piacere i lunghi discorsi personali con Giulio, la sua capacità di
affrontare temi difficili con pacatezza, con semplicità, con buon senso, ma
senza rinunciare a ricercare e a consigliare senza paure e compromessi ciò che
giudicava giusto e valido per il mio futuro.
Giulio fu determinante per le mie scelte di vita, mi fu vicino nei momenti
difficili e per questo sento di essergli profondamente riconoscente.
Dopo l'uscita dal PIME, ho avuto la possibilità di incontrarlo frequentando la
sua casa di Bussero, dove ho conosciuto la sua sorella Carla e suo fratello
Giuseppe, con cui ho in seguito collaborato in diverse iniziative.
Ho avuto ancora modo di parlare con lui dei miei problemi e 1'ho trovato
sempre attento e disponibile ad ascoltare e a prospettarmi le vie da percorrere.
Da diversi anni ci vedevamo solo sporadicamente ed ora che Giulio ci ha
lasciati rimane in me il rammarico di non aver saputo dare continuità ad un
dialogo e ad
un' amicizia cosi preziosa.
Il giorno che 1'abbiamo salutato a Milano, accanto al dolore per la sua
perdita, ho avuto la gioia di incontrare vecchi amici che non rivedevo da tanti
anni: lo considero 1'ultimo regalo che Giulio mi ha fatto.
Eligio Omati
Pessano con Bornago, 01.08.2011
76
MURIZIO LAFFRANCHI
il medico curante
(…)
adesso ci sei vicino
in modo diverso da prima
ma infinitamente più di prima
e ci guardi con la stessa pietà
e con lo stesso sguardo
di colui in cui sei. amen
16.03.2011
A Elisa
Le sono vicino in questo momento di separazione
E’ una distanza che fa soffrire
La certezza della resurrezione ci unisce
MURIZIO LAFFRANCHI
Milano
77
NINO BELLIA
Catania, Natale 2011
Giulio carissimo,
per noi primo Natale da due sponde diverse, ma, forse più distanti solo
in apparenza! Il sapere che, di là, adesso ci sei anche tu, mi consola: il
tuo sorriso, dolce come un liquore da sorseggiare lentamente, la voce
bonaria e un po’ roca, tuttora così risonante nell’intimo di noi tutti, i tuoi
silenzi, da lettore raffinato e ascoltatore profondo quale sei stato. Ebbene,
questa consapevolezza non mi rattrista più, ma accresce il desiderio di
approssimarmi al guado, con più fiducia. Considero la tua conoscenza
un autentico dono, e di ciò non cesserò mai di essere grato a Elisa.
Ricordo la mia prima visita a Bussero, appena dopo la laurea. Lei ci
teneva tanto a presentarci, e di te, sempre conciliante, sempre
rassicurante, ripeteva che eri il figlio ideale per mamma Irene. Mi aveva
raccontato alcuni capisaldi della tua storia di uomo, di prete e di
missionario. Mi aveva preparato come a un incontro eccezionale. E
davvero straordinario fosti per me, e tale sei rimasto, senza arretramenti,
senza ridimensionamenti. Anzi… Mi è più volte accaduto di trovarmi di
fronte a personalità molto note e stimate, gente “quotata” dal punto di
vista intellettuale, culturale e spirituale.
Eppure, non di rado ho
avvertito un distacco, quasi un rifiuto di entrare in relazione diretta,
come se tra me e loro restasse, invisibile ed invalicabile, una specie di
trincea. Probabilmente, non lo escludo, il disagio è dipeso e dipenderà dal
mio limite. So per certo che questo, con te, non capitò mai. “Dal” Giulio,
missionario del P.I.M.E., docente di Sacra Scrittura, Superiore Regionale
in Guinea Bissau, uomo di scelte essenziali, condotte alle estreme
conseguenze alla maniera dei grandi rivoluzionari, dei santi in Terra e in
Paradiso, dei profeti, degli artisti fino al midollo: da lui non ho mai patito
una simile distanza. Era bello e naturale stare al tuo cospetto. Avevo
sempre voglia di chiederti qualcosa, avido di sentirti raccontare
dell’Africa, dei Balanta, di certe accattivanti intonazioni portoghesi con
cui, più che parlando, cantilenando – assicuravi, compiaciuto - si
esprimevano le donne del villaggio; di quella gente che hai amato con
ubbidienza appassionata, con slancio da vero missionario, ma anche con
una discrezione ed un rispetto irreversibili, fino al punto da sentirti ( no!
da diventare…) “come loro”. Fino a lasciare l’abito dell’uomo di Dio,
inviato ai lontani, ai non credenti, ai poveri per identità storica e
geografica. Come avrà fatto il Barlassina a rinunciare alla Missione?
Come avrà potuto declinare responsabilità tanto delicate, per le quali era
stato preparato da lunghi anni? Quale tarlo lo ha svuotato,
allontanandolo dai doveri dell’evangelizzazione? E perché abbandonare
una postazione conquistata a fatica, da altri, ben prima che da lui? Un
segno di perdita, di défaillance. Una diserzione! Ai miei, ai nostri occhi,
78
invece, precisamente il contrario. La crisalide che si trasforma in farfalla,
perde peso. La levità che le consente di volare, la retrocede dalle
gerarchie di qualsiasi gravità, e la promuove a una cavità pneumatica, da
molti scambiata per inconsistenza. Con quei passi indietro, che parvero
di fuga, avanzavi in silenzio su bassopiani desertici, in cammino verso la
Terra Promessa. Accedevi alla dimensione di chi leva lo sguardo verso i
monti, perché solo dal Signore attende la salvezza, sua e per il mondo.
Con la fedeltà della sentinella nel buio, con la determinazione dell’eroe e
l’umiltà dell’antieroe, procedevi, scompagnato, guardato con disagio e
con sospetto da chi ti sapeva e non comprendeva. Ti mescolavi a
centinaia, migliaia, milioni, miliardi di altri uomini, assumendo
l’anonimato come stola sacerdotale, come cattedra il sellino di una
bicicletta che ti portava al lavoro, ogni mattina, in albe gelide e nebbiose,
e poi di nuovo a casa, ogni sera, con qualunque tempo, con l’incubo dei
cani randagi che ti latravano dietro, e ti inseguivano anche nei sogni,
ignari, persino loro, di chi fosse veramente quel viandante, così
qualunque, così speciale… E tutto, tutto con discrezione. Anche l’amore
per Elisa. Anche l’amore di Elisa. Anche il tempo di Grazia di non esser
più solo.
Carissimo amico, tra un paio di ore celebreremo ancora il Natale. Saremo
insieme. Io e Paola sulla solita panca di Piazza Cappellini, tu dall’altra
metà di una chiesa generale, più vasta, disposta ad anfiteatro, al di qua e
al di là, oltre i recinti di ogni genere, misteriosa rosa mistica
peregrinante. Prima di andare, mi piacerebbe sentirti rispondere a un
ultimo, forse importuno quesito: qual è il nome del tuo percorso, di
quello svuotamento a cui andasti incontro con letizia? Correggimi, se
sbaglio, ma a me viene in mente: …kénosis?
Nino Bellia
Mascalucia
Catania
P.S. Sarà stato forse un caso che la nostra Agnese, allora piccina piccina
e scontrosetta, abbia mosso i primi passetti proprio con te?
79
RICCARDO RODANO
Sulla soglia
Ciascuno di noi muore veramente quando scompare l’ultima persona
che lo ha conosciuto e lo ha voluto bene. Così è per tutti noi e così è
per Giulio, che perciò vivrà molto a lungo nella vita dei suoi tanti
amici. Ogni mattina, prima di uscire per andare al lavoro, lo saluto
nella foto che lo ritrae, come saluto altri due amici che lo hanno
preceduto lassù, e intimamente gli chiedo di accompagnarmi con la
sua attenzione discreta, come ha sempre fatto quando era in vita.
In amicizia non occorrono tante parole; al momento giusto c’è un
gesto, uno sguardo espressivo di tutta la solidarietà che si possa a
testimoniare una presenza operosa. La distanza dei nostri luoghi di
vita non ci ha consentito una frequentazione nemmeno assidua; poi la
sua condizione di salute ha impedito anche gli incontri annuali, ma la
percezione della sua presenza e della sua vicinanza mi è sempre stata
evidente, esattamente come ora, in una dimensione a cui solo
ciascuno di noi sa dare una sostanza.
E la sostanza di Giulio è stare sulla soglia: senza invadere, senza
intrusioni, unicamente ad affermare una presenza vigile, carica di
amicizia. E io sapevo che lui c’era e so che c’è. La soglia non è
indifferenza, non è volontà di rimanere a distanza; al contrario ti
permette di scorgere il tuo amico, ti infonde la sicurezza che a lui ti
puoi rivolgere, ti fa sentire di essere accompagnato nelle tue
occupazioni e … preoccupazioni senza che sia necessario dargli conto
delle scelte che fai.
In una parola quando il tuo amico resta sulla soglia esprime per
intero la sua capacità di accoglierti come sei e ti senti voluto bene,
consapevole di non averne grande merito. E ti resta nel cuore la sua
persona, ciò che egli è e ti ha dato, come eredità di un rapporto che
non ha mai avuto bisogno di esplicitazione perché è stato vissuto
come uno stile.
Per gli strani percorsi della vita abbiamo avuto la possibilità di
riprendere gli incontri annuali: mi è toccato di compiere all’incontrario
il tragitto e sono andato a trovarlo, insieme alla cara Elisa, in spirito
di pellegrinaggio, come per rifocillarmi, confidando di continuare ad
attingere al suo stile. Ci siamo rivisti solo per un’ultima volta ed è
stato come sempre: sulla soglia, senza invadere e senza intrusioni.
Tutto è compiuto nella vita di Giulio e tutto quello che si potrà
compiere nella mia vita sarà frutto anche della sua amicizia discreta,
di cui mi è stato fatto dono.
Ciao, Giulio. Continua a stare sulla soglia della mia vita.
Riccardo Rodano
(Catania)
80
ELISABETTA CARPINTERI
19 marzo 2011
Grazie per avermi fatto partecipe delle vostre voci. Lo considero un
grande privilegio ed un onore.
Elisa e Giulio sono i miei fari nella notte. Conoscerli è stato intraprendere
un viaggio, dentro e fuori di me, che mi ha portata a guardare,
conoscere, comprendere e vivere la Parola nella verità della mia specifica
diversità. Ho capito cos'è la voce del silenzio conoscendo Giulio, e cos'è
l'organizzazione conoscendo Elisa, e in loro due ho visto l'Amore
diventare realtà quotidiana in tutte le sfumature: un sogno inseguito da
tanti ma vissuto da pochi ed io mi reputo fortunata ad aver visto, e udito,
che ciò è possibile.
Dalle mie parti si dice che chi è ricco d'amici è scarso di guai: a Giulio,
malattia a parte, questa ricchezza non è mancata e in qualche modo la
riverserà su di noi, specie sulla sua Elisa.
Grazie ancora, per questi ricordi in più.
Vi abbraccio tutti con affetto augurandovi tutto il bene e l'amore possibile
per la vostra vita e la vostra missione.
Pace e bene a tutti.
ELISABETTA CARPINTERI
13 gennaio 2012
"Il mio ricordo di Giulio è il suo sguardo che mi suscitava la sensazione
di quiete e immensità delle parole " e Dio vide che tutto era buono" della
Genesi.
Questo sguardo e alcune brevi frasi che mi rivolse quando, sul finire del
2004, fui ospite di Elisa e Giulio per qualche giorno.
Giulio stava bene, allora, ma io attraversavo il momento più
destabilizzante a causa di alcuni stravolgimenti che il cambio di lavoro
aveva determinato nella mia vita familiare.
Ricordo i suoi occhi mentre raccontavo. Il suo ascolto silente rimandava
quiete e certezza che tutto era buono, anche quando non sembrava
esserlo. E alla fine quelle brevi frasi "si sente che soffri molto". Nulla di
piu' ma io vi ritrovai l'eco di quel " e Dio vide che tutto era buono" che mi
aprì l'anima ridandomi coraggio e speranza.
Così ricordo Giulio, così lo sento, così lo vedo in Elisa, oggi più che mai.
Io sono Elisabetta Carpinteri, un'amica delle amiche siciliane che porta
Giulio nel cuore."
Elisabetta Carpinteri
Canicattini Bagni (Siracusa)
81
SALVATORE LONGO E GIOVANNA CANNATA
Ricordare Giulio è come respirare aria pura,
come trovare un oasi in un deserto,
come vedere splendere il sole dopo una tempesta.
Giulio: una persona meravigliosa, rara,
che riusciva a trasmettere affetto, serenità e pace
anche solo con i gesti, solo standogli vicino.
Di poche parole
ma un concentrato di virtù, di saggezza,
di generosità d'animo enorme,
di correttezza e di sani principi.
L'unico rimpianto che abbiamo
è quello di non essergli stati accanto di più,
di non aver potuto godere del privilegio della sua presenza tra noi.
La sua amicizia è stata preziosa per noi
e ci riteniamo fortunati per averlo avuto nella nostra vita
come un caro e prezioso amico.
Giulio tu vivrai sempre nei nostri ricordi più belli.
I tuoi amici "lontani" ma vicini col cuore.....
Salvatore e Giovanna
(Siracusa)
82
MARIO GAROFALO
L'unica cosa che mi farà essere breve è il monito di Franco che il
tempo è quasi scaduto per un ricordo di Giulio da condividere,
altrimenti sarei proprio lungo..Ho fatto anch'io il seminario nel Pime
dal 75 all'80 al Pime di Monza, per me il gruppo che vi siete ritrovati
ultimamente eravate quelli del CHI, e Giulio era ancora in Guinea o
era appena tornato.
Nel 79, Giulio ed Elisa mi aiutarono a pagarmi il viaggio per una visita
in Bangladesh, impazzivo all'idea di essere prete senza aver visto una
missione, e vedendola decisi che non avrei fatto il prete, andai
comunque in Bangladesh come associato al Pime, e quando tornai
nell'85 decisi di uscire definitivamente .
L'ultima volta che ho visto Giulio è stato nel 2005, e ci andai con mio
figlio che aveva 5 anni, l'avevo portato con me dalla Sicilia per fargli
vedere Milano e fare l'esperienza dell'aereo. Gli chiesi, dopo aver
pranzato insieme: "Ma tu perche' sei uscito dal Pime dopo tutto quello
che avevi fatto e per la responsabilità che avevi?" Mi rispose con un fil
di voce:"Perché volevo essere libero di decidere ed essere padrone delle
mie scelte e della mia vita".
Ed eccola lì la sintesi di tutto quello che avevo sentito da lui, degli
incontri, degli ascolti, dei silenzi partecipati "libero"...Libero da ogni
forma di potere innanzitutto, libero di pagarsi la sua libertà lavorando
duro, libero di credere intensamente senza sentire la necessità di
predicarlo, conferenziare.
Ascoltava; una volta mi disse che aveva finito di leggere la bibbia in
ebraico, e lui che poteva spiegarla andava dal Maggioni a sentire le
sue letture bibliche.
Ascoltava, e ascoltava col cuore, tutti.
"Fammi umile, aperto alla tua grazia",le parole che Elisa ha voluto
regalarci con la sua foto, sono tutto quello che lui chiedeva, chiedeva
di essere veramente un uomo libero, e quello che ha chiesto l'ha tutto
regalato.
Mario Garofalo
Monterosso Almo
Ragusa
83
ANNA PIVA
La conoscenza che ho avuto di Giulio è stata per lo più in maniera
indiretta: sei sempre stata tu, elisa, la portavoce dei suoi pensieri, delle
sue dimostrazioni d'amore, delle gentilezze e attenzioni per te.
La sua riservatezza, mitezza e soprattutto il suo rispetto dell'ascolto, mi
hanno sempre messo un po' di soggezione: avevo sempre paura che i miei
discorsi potessero essere superficiali per una persona colta come lui.
Ma il suo sorriso, la dolcezza del suo sguardo rivelavano la sua bontà, la
sua compiacenza verso chi, in particolare quando non più autonomo,
doveva dipendere da altri.
Forse Giulio lo sto imparando ora che non c'è più, e sempre attraverso te.
La tranquillità, la serenità, la rassegnazione per la sua dipartita che stai
vivendo in questo periodo di "solitudine fisica", sono ancora un riflesso
della sua presenza, un averti insegnato -per gli anni vissuti insieme - che
l'amore va oltre la morte, che la certezza del ritrovarsi un giorno ti da la
forza ed il coraggio di andare avanti.
E questa convinzione l'avete maturata insieme, l'avete discussa chissà
quante volte insieme pensando che prima o poi uno dei due se ne
sarebbe andato per primo e l'essersi preparati vicendevolmente a questo
evento con serenità, non ha lasciato chi è rimasto nella disperazione.
E' questo l'apprezzamento che oggi con convinzione faccio a Giulio:
l'averti preparata a proseguire il " cammino da sola" dandoti la sicurezza
che lui ti è sempre vicino.
il mio è solo un pensiero "casalingo" che ti esprimo con affetto in ricordo
di un marito che hai avuto la fortuna di avere accanto per tanti anni.
Ti voglio bene
Anna Piva
Roncola (BG)
84
MASSIMO SACCHI
Va bene così.
Questa la sfaccettatura di Giulio che ho conosciuto.
Come quando entri un una casa
e sei subito accolto
e sei subito festeggiato.
In qualunque condizione si arrivi, qualunque notizia si porti.
Quel che importa è essere qui, assieme, dove tutto l'universo
respira.
E va tutto bene così com'è. Io, te, gli altri.
Così è sempre.
Come Giulio che è ancora qui.
Massimo Sacchi
Milano
85
LAURA NIGRETTI e CARLO MASETTO
Nelle nostre vite Giulio è entrato attraverso Elisa. In quegli anni così
vivaci in tanti ambiti ci misuravamo con varie realtà in evoluzione, sia
come persone che come coppie.
Le nostre conversazioni ad una cena o in montagna lo vedevano
partecipe, rispettoso di tutto e di tutti, anche se mi veniva in mente
spesso gli aisberg che mostrano solo una piccola parte di loro.
Ultima visita: Eravamo in visita per Natale dello scorso anno prima di
andare a svernare al mare. Nel salutarlo sapevo che sarebbe stato per un
bel po’, ma mai immaginavo per quanto. Mi chino per abbracciarlo e mi
sento di dire “Giulio mi dai la benedizione”?
In perfetto latino, con un sorriso dei suoi, con suoni e gesti che
possedevano e rivelavano qualcosa che soltanto si può contemplare e
ricevere.... ci ha benedetto.
Tutto molto semplice, della semplicità dei gesti biblici che ancora oggi ci
parlano di Lui. Grazie!
Laura e Carlo
Milano
86
ANNAMARIA CAVAGNOLO
Giulio c'è.
Anche ora che non è più con noi fisicamente.
Sperimento la sua Vita tangibilmente attraverso Elisa.
La loro unione continua a crescere, a trasformarsi e a trasformare
profondamente chi è vicino,
Giulio c'era.
Anche quando non parlava,non si muoveva.
La sua presenza pulsava con la qualità di un'altra Presenza.
Accettazione serena, radiosa e liberante.
Pace, abbandono ed espansione.
Nonostante i limiti della fatica e della sofferenza.
La casa di Elisa è diventata la casa della Gioia,
abitata dalla Gioia in cui ora più che mai vive Giulio.
E di cui ci rende partecipi.
Questa testimonianza per me è stata,
ed è,
forte, unica,
un grandissimo dono.
Grazie!
Annamaria Cavagnolo
Milano
87
Gli ultimi giorni di Giulio nei messaggini via internet degli amici del CHI(?)
questa notte scorsa il Giulio ha dovuto essere ricoverato (policlinico di Milano, Padiglione
Devoto, medicina intensiva) per gravi difficoltà respiratorie.
il referto parla di travaso pleurico e broncopolmonite
sono stato a trovarlo nel pomeriggio e ho portato i vostri saluti che ha molto gradito a
giudicare da un leggero movimento delle palpebre, strappato alla fatica del respirare che
in queste ore è il suo sforzo principale
fino a ieri alla domanda di Elisa "come stai" rispondeva "bene"...
e se proprio c'era qualche problema diceva "benino"...
all'Elisa che gli chiedeva di cosa sentiva più bisogno rispondeva "un po' di consolazione"
adesso la fatica sembra prevalere
del resto la botta è grossa: una broncopolmonite abbatterebbe un leone, figurarsi lui
...che è un agnello
vi terrò informati di ogni evoluzione
Ciao, Franco
4/3/2011
Franco, porta un bacio per me a Giulio e a Elisa...
Che dolore!
Carla Barbaglio, Roma
Grazie delle notizie e dei commentini. Salutami tanto il Giulio, fagli coraggio e digli che
anche a Hong Kong lo ricordiamo con tanto affetto e riconoscenza. Un saluto e un grazie
anche alla Elisa.
Franco Cumbo, Hong Kong
grazie per le notizie, anche quando sono difficili.
Grazie per ricordarci impegno e fedeltá.
Abbraccia Elisa e Giulio.
Ciao Anna Maria, Macapà
che Giulio ci senta, come può, vicini.
Un abbraccio,
Ennio Pirondi, Milano
Carissimo Franco,
grazie che hai portato la nostra vicinanza a Giulio e Elisa!!
Con grande affetto.
dario, Tuscania
5/3/2011
'sta sera il Giulio sta proprio meglio!
ciao, Franco
Son contenta per Giulio! E digli che lo ricordo tanto tanto!
Ciao! Anna Maria, Macapà
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Grazie per la buona notizia di Giulio. Un saluto a lui con affetto.
dario
6/3/2011
Franco,
Un abbraccio a Giulio, e digli che quando mi ricordo di pregare mi ricordo anche di lui.
Portagli anche un gelsomino.
Renzo Milanese, Hong Kong
9/3/2011
carissimi
Torno dall'ospedale Policlinico di Milano dove è ricoverato Il Giulio.
il Giulio sta di nuovo piuttosto male, anzi molto male.
Adesso fatica sempre più a respirare, la sua faccia è una maschera sofferente...Non si sa
più cosa desiderare per lui. I dottori dicono che è grave e che la situazione non sembra
recuperabile
Elisa attinge la sua resistenza dalla forza tranquilla del Giulio che è comunque anche in
questa ora un uomo straordinario, maestro anche di letizia: non si lamenta mai, non vuole
pesare su nessuno...
quando gli raccontiamo i nomi di quelli che lui ama sopra ogni cosa - e cioè quelli del
Pime - mi pare di percepire un segnale di presenza e di consolazione che gli fa bene.
Sarà quello che Dio vuole
Un abbraccio a voi
Franco
Pace e Bene!! Grazie mille Franco, per le notizie del FRATELLO Giulio e di Elisa!! Sono sicuro che
siamo tutti lì, col cuore e la preghiera, perchè sia fatta la SUA volontà, nonostante la nostra
impotenza ed, a volte, la nostra ...rabbia!! Giulio questo l'ha capito molto bene e da un bel pezzo!!
GRAZIE e abbraccio fraterno a TUTTI!!!!!!! Joào da Busto
10/3/2011
Grazie Franco per farci vicini.
Camminiamo con voi, verso la Pasqua.
Un bacio, anna maria; macapà
grazie Franco per quello che fai a lui a nome nostro
digli che lo pensiamo e gli siamo molto molto vicini, siamo dentro la sua sofferanza
un caro abbraccio a te e famiglia a Elisa e un bacione a Giulio
tino frontini, Hong kong
Franco, stai vicino a Giulio anche a nome mio. Facci sapere come procede la sua malattia. Mi
dispiace saperlo sofferente e impotente in questa sua malattia. fai coraggio anche ad Elisa, sua
compagna nelle gioie e nella sofferenza.
Fabrizio Persico; Nembro
Caro Franco, Ho vissuto pochi mesi fa la morte di Gino, fratello di Francesca, e ho imparato cosa
vuol dire “anche se vado per una valle oscura, non temo alcun male, perché tu sei con me”.Grazie
di stare vicino a Giulio ed Elisa. Un abbraccio forte, Ennio
89
Caro Franco.
grazie per tenerci informati.
Un saluto e una preghiera a tutti, specialmente a Giulio e Elisa.
Renzo Milanese, Hng Kong
Giulio,
siamo tutti lì con te in questi giorni in cui la croce si è fatta particolarmente pesante.
Sentici vicini. Elisa, domani sarà un giorno migliore.
Franco Mella, Cina
1/3/2011
Caro Lacchini
grazie per le notizie che mi dai su Giulio. Hai fatto bene ad informarmi e continua a farlo.
Se vai a trovarlo salutamelo e digli che prego per lui e per Elisa.
Cordialmente Carlo Torriani
Lok Seva Sangam - D/1 Everard Nagar
SION, MUMBAI 400 022, INDIA
12/3/2011
Ciao Franco!
E Giulio? Siamo in attesa...
Abbiamo ripassato le notizie ad Angelo (Da Maren) que non sapeva niente.
Molta forza e speranza a te, Elisa, Giulio.
"Alla fine, é sempre Pasqua" (Pedro Casaldaliga).
Beijo Ana Maria; Macapà
Franco tienici informati su Giulio
qui abbiamo Cesarino Bonivento vescovo della Papua New Guinea
gli ho detto di Giulio. Saluta tutti e mi ha detto di salutare anche Giulio e dirgli che lo
ricordera' nelle sue preghiere.
Tino
Caro Franco
Non ti ho trovato quando ti ho cercato lo scorso fine settimana , ma sono vicino anch’io al
carissimo Giulio, all’Elisa e a te che lo aiutate. Un abbraccio
Guglielmo Colombo; Everan, Armenia
13/2/2011
il giulio è sempre in una situazione piuttosto grave di difficoltà respiratoria
viene alimentato con un sondino nasale perchè la deglutizione che per noi è istintiva per
lui è un ricordo e quindi viene agita casualmente con grave pericolo di inserire alimenti o
liquidi nei bronchi
per questo è stato obbligatorio inserire il sondino nel naso che lo aiuta nell'alimentazione
ma lo ostacola nella respirazione
chissà quanta voglia di grattarsi, di spostarsi, di parlare!... tutte cose a lui ora impossibili:
ha solo due occhioni lucidi con i quali ti guarda con estrema dolcezza, e tu ti senti un
verme che non hai saputo in tutti questi anni prepararti a leggere e decifrare questo
alfabeto dell'amore che è fatto di silenzio e di sguardo.
90
state sintonizzati nello spirito domani alle 14.30 (ora italiana) perchè viene il Giovanni
(Gadda) per l'estrema unzione e pregheremo insieme la famosa preghiera "forse a
quest'ora medesima..." che è la preghiera di benedizione dei nostri padri.
a domani - ciao, Franco
Ci saremo! e con noi una trentina di líders della regione delle isole, riuniti per la
formazione annuale.
Sentiteci presenti e ditelo a Giulio ed Elisa.
Abbracci Anna Maria
14/3/2011
Il Chi si e' risvegliato!
Forse a quest'ora medesima ... l'ho già detta, con un'ora di anticipo, in compenso l'ho detta
in cinese, per vedere se ha più' effetto.
Renzo
14/3/2011
A Carlo Tei (messaggio di Tino, ndr):
Carlone,
ho parlato con Franco ieri e purtroppo la situazione va peggiorando.
Pare che soffra per la mancanza del respiro, e deve essere una dolorosa pena .
Povero ometto non ha mai fatto male a nessuno e ... tocca proprio a lui soffrire le pene
dell'inferno
Quindi l'inferno c'e' veramente!!! ma pare per i buoni, non per i pirla!
Capire sto DIO, ...... non e' facile!
Ciao e fatti vivo
ci manchi!
tino
(…)
Anche Don Carlo (Tei) ha scritto un suo pensierino, un po’ triste , ma pieno di speranza
che la sofferenza di Giulio lo salvera' dalle pene del purgatorio.
leggete, Tino
(…)
Carissimo Tino,
Sono spiritualmente vicino a Giulio, anche se so che questo dolore lo puo' pienamente
comprendere, accettare o ribellarvisi solo chi lo sta soffrendo. Dal resoconto di Franco,
risulta che Giulio lo sta soffrendo da "giusto", cosi' come, del resto, e' sempre vissuto.
Come Gesu', sta soffrendo le pene dell'inferno per far aprire le porte del paradiso ai poveri
p…. incontrati lungo i suoi 80 anni, sempreche' si pentano, almeno all'ultima ora. Sta
soffrendo molto probabilmente anche per me, povero p…. da lui incontrato negli anni
1969-71. Donde ne deriva a me una maggiore dose di fiducia anche nella mia salvezza.
Stammi bene.
Memento. Carlo Tei
Caro Franco Elisa e amici
ho ricevuto ultimamente informazioni vostre sulla salute del Giulio, mi sento unito e prego
91
conforme indicazioni del franco
vostro Angelo Da Maren=
15/3/2011
questa mattina alle nove meno venti Giulio è morto
credo che anche il Padreterno, che notoriamente è un po' ipovedente, avrà avuto qualche
difficoltà a distinguerlo dal suo figlio crocifisso...
ieri abbiamo celebrato con Giovanni, Elisa e tutti voi il sacramento dell'unzione degli
infermi e recitato la preghiera "forse a qs ora medesima": credo ci abbia ascoltato da
dietro i suoi dolci occhi chiusi e sia stato molto contento di sentirsi unito alla sua grande
(e invisibile) famiglia
oggi - ci dicono le infermiere - se ne è andato in silenzio, in un attimo, senza avvertire
nessuno
ha così realizzato il suo desiderio espresso a capodanno : "diventare umile ed essere
aperto alla gratuità di Dio"
appena possibile vi comunicherò luogo,data e ora dei funerali
ciao, franco
__._,_.___
Che dire! Una grande emozione e un abbraccio forte forte a tutti
Carla e...Giuseppe (Barbaglio)
mi dispiace per Giulio, ma guardando dall'altro angolo, per lui e' finita la passione ed
adesso condivide la gioia del Risorto.
Grazie per averci rappresentato un po' tutti e per avergli fatta sentire la nostra vicinanza.
Saluta e fai le condoglianze anche ad Elisa, sentirà tanto la sua assenza!.
Ti mando qualche foto che avevamo fatto insieme con Giulio ed Elisa.
Franco Cumbo
Caro Franco,
hai detto tutto molto bene. Non ho niente da aggiungere.
Renzo
Caro Giulio,
sei stato un grande silenzioso per tutti noi. Quello che ci hai dato rimane in noi e nel
mondo, ti ringraziamo e ringraziamo anche Elisa che ti è sempre stata vicina.
Ciao stacci sempre vicino.
Giovanni Zonta
Ora Giulio vede “la pace che il Signore gli ha promesso”. Che lui, e il Signore ci aiutino ad aprire
gli occhi, per vedere “la salvezza che ha preparato per tutti”.
Grazie Giulio – e il Signore – per esserci incontrati per un po’. ... e per continuare a farlo con
questo mezzo. E Grazie a te, Franco; che gli sei stati così vicino.
Un abbraccio, a tutti, Ennio
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Avevo telefonato a Franco per dire che eravamo vicini mentre celebravano l'unzione.
Franco mi ha detto: ma mica sta morendo, fa solo una gran fatica. Invece Giulio, come
sempre, é riuscito a sorprenderci un'altra volta ed é andato a precederci nella casa che ci é
riservata e dove ci aspetta insieme a tanti nostri fratelli e sorelle.
Pregheremo con lui insieme a 50 agricoltori che abbiamo qui in un incontro.
Elisa che la sua presenza ti conforti. Grazie per l' amore che gli hai dato anche a nome
nostro. É quello che resta eternamente.
Sandro e Anna Maria, Macapà
un altro grande se n'e' andato
gente che ci ha formato con la loro fede speranza e il loro dolore
il suo sorriso rimarrà in me per sempre,
Grazie a Elisa che l'ha amato anche a nome nostro, Grazie a franco che ci faceva presente
a lui continuamente col suo ammirevole servizio.
speriamo di fare qualcosa che assomigli a quello che lui ha fatto
Tino
oggi informo anche Roberto nella speranza che anche lui ci rappresenti con altri all'ultimo
saluto
caro Lacchini,
Ringrazio per avermelo fatto sapere, poco prima mi è stato comunicato
che era quasi alla fine e aveva ricevuto l'unzione degli infermi...Ce
l'ha proprio fatta a fare il cammino alla ricerca dell'ultimo
posto,fino alla fine!Continua a essere luce per il cammino...vi
abbraccio e prego con voi! ... luigi (carlini), Amapà
Presenti in spirito anche noi della Cina. Giulio in paradiso sara' stato accolto non solo da
Giuseppe Barbaglio ma anche da Giuseppe Sanzeni, nostro compagno a Venegono. Un
libro su di lui verra' distribuito nella chiesa di San Giuseppe della Pace (corso Sempione)
durante la messa delle 11di questa domenica 20 marzo. Ci stanno preparando il posto.
Franco Mella. Cina
Caro Franco, grazie per avermi comunicato la notizia della morte di Giulio.
Mi unisco anch'io alla vostra preghiera "forse a quest'ora medesima". Sono contento che
anche P. Gadda sia stato presente: era stato con me nel seminario di Careggi nel 71-72.
Per favore esprimi la mia partecipazione e quella di Luigina, al dolore di Elisa, non ho
comunicazione diretta.
Ieri sera ho chiesto a tutti i membri di Swarga Dwar di pregare con Elisa e Giulio.
Anch'io li abbraccio
Carlo Torriani
17/3/2011
Ciao Franco, il Giulio riesce a farci sentire ancora vicini ed insieme.
Continuera' a guardarci con la sua amicizia ed a guidarci con il suo ricordo.
Passa ad Elisa il mio saluto e preghiera piu' cordiali.
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A te ed a tutti gli amici di sempre un saluto da Zamboanga.
Nevio Viganò, Filippine
Mi unisco a voi nel ricordo e nella preghiera di Giulio Barlassina, che ho conosciuto poco ma
abbastanza per dire che era un missionario buono e umile, che ho ammirato. Vorrei esprimere il
mio cordoglio a Elisa, che ricordo con simpatia. Mi piacerebbe rivederla. Mi spiace non potere
partecipare al funerale.
Pierangelo
Grazie Franco per dato voce al Giulio ed all’Elisa in questi momenti difficili. Il Giulio raggiunge
anche fratelli che hanno speso una vita con gli stessi valori di umiltà e solidarietà. Ammirevoli .
Di quelli morti noi abbiamo conosciuto il Giuseppe e l’Antonio. Mi sento riconoscente a tutti .
Felicita , che è a Paina, verrà al funerale. Se mi dovessero dare un giorno di ferie venerdì
tenterei anch’io di venire. (NB: è arrivato da Everan in tempo per il funerale, ndr)
Un abbraccio a tutti
Guglielmo, da Everan - Armenia
17/3/2011
Ciao Franco. E grazie di averci avvisato della morte di Giulio. Io purtroppo non sono in
grado di venire, con il seminario sono in partenza per il ritiro mensile, durante il quale ci
sono le domande per le ordinazioni. La messa comunque la dico per Giulio, al quale devo
tantissimo e per il quale ringrazio il Signore. Conoscerlo è stata una grande grazia.
Sussuragli tu una preghiera a nome mio. La accoglierà perchè è nel Signore.
Ciao e grazie ancora.
Giancarlo Politi
18/3/2011
Caro Franco,
ero fuori Dhaka e solo ieri ho ricevuto le notizie che mi hai mandato. Grazie.
Penso a Giulio come a un "puro di cuore", e se il Signore mantiene la promessa, ora "vede
Dio", quel Dio che ha cercato per tutta la vita.
Ti prego di dire a Elisa la mia partecipazione e la mia preghiera. Avevo ricevuto la sua
ultima lettera, con notizie del peggioramento delle condizioni generali di Giulio. Non ho
risposto, ma intendevo andarli a trovare nel prossimo mese di giugno, quando dovrei
essere in Italia per vacanze. Saro' contento se riusciro' a organizzare le cose in modo da
vedere lei.
Poco fa ho saputo della morte - nella sua missione di Beneedwaer, come desiderava - di p.
Luigi Scuccato, che forse qualcuno di voi ha conosciuto. Avrebbe compiuto 91 anni a
giugno.
Ciao. Franco Cagnasso
19/3
GRAZIE, ELISA!
La serenitá che ci comunichi mi dice la presenza di Giulio vicino a te e a tutti noi.
É stato bello ieri nominarlo e raccontarlo ai nostri amici delle isole. É diventato anche
loro. Hanno visto l´emozione di Sandro e si son stretti attorno, con affetto e riconoscenza.
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Gli abbracci ricevuti sono anche per te.E che Giulio ci aiuti a continuare.
Un abbraccio forte, con un bacio, Anna Maria
----------------------------Il nostro amico Giulio, in questi ultimi anni, ha trovato dei compagni di viaggio straordinari.
Un abbraccio forte, innanzitutto, per Elisa. Moglie e compagna di Giulio. L'ha
seguito con amore, cura e grande sensibilità. A lei un grazie infinito.
Ma, caro Franco, so che anche tu, insieme a Grazia, hai seguito moltissimo Giulio. Il nostro
Vecchio (noi a Monza lo chiamavano così), girovagando per le stelle, vi penserà sempre.
Insieme a Mirella, mia moglie, ho visto Giulio per l'ultima volta al Policlinico. Pochi giorni
dopo, quando Elisa mi ha comunicato che ci aveva lasciato, credimi, non me la sono sentita di
andarlo a trovare nella camera mortuaria. Ho preferito e preferisco ricordarlo come l'ho
conosciuto.
Franco Dell’Oro
grazie per avermi fatto partecipe delle vostre voci. Lo considero un grande privilegio ed un onore.
Elisa e Giulio sono i miei fari nella notte. Conoscerli è stato intraprendere un viaggio, dentro e fuori
di me, che mi ha portata a guardare, conoscere, comprendere e vivere la Parola nella verità della
mia specifica diversità. Ho capito cos'è la voce del silenzio conoscendo Giulio e cos'è
l'organizzazione conoscendo Elisa e in loro due ho visto L'Amore diventare realtà quotidiana in
tutte le sfumature: un sogno inseguito da tanti ma vissuto da pochi ed io mi reputo fortunata ad
aver visto, e udito, che ciò è possibile.
Dalle mie parti si dice che chi è ricco d'amici è scarso di guai: a Giulio,malattia a parte, questa
ricchezza non è mancata e in qualche modo la riverserà su di noi, specie sulla sua Elisa.
Grazie ancora, Franco, per questi ricordi in piu.'Vi abbraccio tutti con affetto augurandovi tutto il
bene e l'amore possibile per la vostra vita e la vostra missione.
Pace e bene a tutti. Elisabetta Carpinteri
Caro Franco,grazie a te ed Elisa per questo grande regalo che mi avete fatto! Mi ha dato
commozione,consolazione,speranza..I semi di vita di Giulio sono sparsi per il
mondo,fioriscono e fruttano e spargono semi a loro volta, e di Qualità! Questa rete
pulsante al di là del tempo e dello spazio dà tutta la forza e la fiducia che occorre in questi
tempi così duri e bui. Un abbraccio! Annamaria Cavagnolo
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Ciao Giulio!
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