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La battaglia di Mancetter

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La battaglia di Mancetter
COME COMBATTEVA LA LEGIONE ROMANA
LA BATTAGLIA DI MANCETTER
Nel 61 dc., avvenne in Britannia, allora provincia romana, uno degli eventi più sanguinosi
della storia dell’isola.In quel periodo, il governatore militare romano era Caio Svetonio Paolino che
procedette anche alla conquista del Galles.
Nel 60 dc. Prasutago, re degli Iceni, morì.
Per suo stesso volere metà delle sue sostanze passarono all’Impero Romano, in quanto egli
non aveva avuto, come eredi, figli maschi ma, solo due figlie. Purtroppo, i Romani, erano molto più
avidi di quanto i poveri Iceni avessero mai immaginato.
Catone Deciano, il primo procuratore, percorse in lungo e in largo il loro territorio con una
forte scorta di veterani romani congedati, inventariando e confiscando tutto il regno. Sulla sua
strada incontrò, però, Budicca (o Boadicea) la vedova di Prasutago che andò da lui a reclamare ma,
Catone Deciano, prima le razziò la corte, poi la fece frustare per l’impudenza dimostrata e infine
lasciò le sue due figlie in mano ai soldati. Inutile dire che ci furono tutti i presagi e i motivi per una
bella rivolta. Sotto il comando della scatenata Budicca si unirono più di centomila tra Iceni,
Trinobanti e altre tribù minori. Mentre le legioni romane erano ancora sparse a nord della Britannia,
i ribelli assalirono la capitale coloniale Colchester che, sebbene valorosamente difesa da poche
forze, fu distrutta e gli abitanti furono torturati e sterminati.
Una colonna di fanteria di Catone Deciano, inviata in soccorso, fu circondata e massacrata.
Poi fu la volta di Londinium e Verolamium dove, gli abitanti, subirono la stessa tragica sorte.
I Britanni attaccavano in massa, coperti di tinture blu (il guado…) urlando e scagliando
frecce, pietre e giavellotti. Tutta l’isola sembrava in fiamme e la rivolta di Budicca pareva
inarrestabile.
Le vittime, tra romani e abitanti della provincia, furono 70.000.
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Caio Svetonio Paolino, non riuscì a radunare in tempo le sue legioni e dovette fare a meno della
LEGIO II AUGUSTA ; a sbarrare la strada all’orda dei ribelli ci furono solo la LEGIO XIII
GEMINA e la LEGIO XX VALERIA. Si trattò all’incirca di 15.000 uomini contro centomila
anche se, a causa degli ausiliari dei romani, il numero dei legionari fu sicuramente più alto. I romani
si schierarono lungo il declivio di una stretta gola, con una foresta alle spalle.
Quest’ultima, sarebbe stata di ostacolo in caso di fuga ma, per i legionari, non c’era scelta: si
trattava di vincere o morire perdendo così tutta la provincia..
Il luogo della battaglia fu vicino a Mancetter (MANDUESSEDUM) ; là i Britanni si
trovarono davanti le due legioni perfettamente schierate e, disposero i carri delle masserizie e delle
famiglie ad anfiteatro per farli assistere al massacro dei nemici. Con grida altissime, tra un enorme
frastuono, le schiere dei ribelli attaccarono a valanga le linee romane che rimasero immobili dietro
ai loro scudi. Gli arcieri ausiliari delle legioni (vedremo poi di chi si trattava…), tennero a bada i
carri da guerra dei Britanni. Sotto una grandine di sassi, giavellotti e frecce, i soldati di Roma
mantennero la loro formazione e resistettero al primo assalto, il più pericoloso. Poi, lentamente e
inesorabilmente, agirono come mostrato nelle illustrazioni.
L’istante fissato in questo modellino, rappresenta proprio il momento dell’attacco della XX
VALERIA e, vuol far meglio capire la loro disciplinata e organizzata tecnica di guerra che fece di
loro lo strumento bellico più potente dell’antichità.
Cominciamo la nostra spiegazione dall’ultima fila, la nona, quella più alta, dal momento che
nella battaglia di Mancetter era disposta, all’inizio, su di un declivio. Non deve meravigliare il fatto
che i soldati all’esterno della fila tengano gli scudi alzati a protezione delle frecce.
Essi sono,infatti, i più esposti al tiro di oggetti, in quanto sono in una posizione sopraelevata
rispetto ai loro compagni. Le frecce e le pietre venivano, infatti, lanciate a parabola, quando si
trattava di attaccare una formazione chiusa ed inoltre, non ci dimentichiamo che, essi, sono solo a
una trentina di metri dall’avversario (che si suppone quasi a contatto della prima fila) mentre gli
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archi di allora colpivano molto efficacemente a 50 mt fino ad arrivare a 160 metri! Comunque, la
nona fila, l’ottava e la settima, erano tenute di riserva. Esse, formate dai soldati più maturi e
veterani, sarebbero intervenute solo per tappare una falla apertasi nelle prime linee oppure, come
ultima risorsa di difesa. Particolare molto interessante, è il fatto che servivano anche a “fermare” le
eventuali fughe e atti di panico delle loro schiere più avanzate. Quindi la nona fila è in attesa e
rimarrà così, fino a che lo sfondamento non sarà effettuato poi, si muoverà lentamente con le lance
in avanti come un rullo compressore.
L’ottava fila, è disposta più o meno allo stesso modo solo che, i legionari al centro, sono già
con i “pilum” (giavellotti) abbassati.
Qui, l’equipaggiamento standard dell’esercito romano è mostrato più chiaramente. Il largo
scudo (SCUTUM) che pesava sui 6,5 Kg, aveva solo un’impugnatura orizzontale centrale e veniva
maneggiato con il braccio sinistro. L’effige da “scudo” della legione, era in rilievi di bronzo leggero
(da non confondere con l’effige del “VEXILLUM”).
Nel caso della XX VALERIA (qui raffigurata) c’erano quattro ali spiegate. I colori delle
legioni romane erano sempre il rosso e l’oro (o bronzo) mentre, i corpi ausiliari, portavano altri
colori. Il centro dello scudo era l’ “UMBO”, un rinforzo semisferico di ferro che proteggeva la
mano.
L’elmo romano era studiato per la massima protezione del capo e permetteva un’ottima visibilità. In
quel periodo era ormai in ferro, aveva larghi paraguance e, oggi, viene identificato come tipo
“GALLICO IMPERIALE” essendo derivato e migliorato da un elmo dei Celti (i Galli).
In questa ricostruzione, come presumibilmente in realtà, alcuni legionari portano ancora
elmi di bronzo di vecchio tipo. Anche gli ausiliari (AUXILIA) portano elmi di bronzo ma, più
economici,, così come gli arcieri. Oltre all’elmo, il soldato romano indossa l’armatura, la famosa
“LORICA SEGMENTATA”, un vero capolavoro di leggerezza (solo 5,5 Kg.) e manovrabilità.
Essa, era composta da lamine di ferro che si sovrapponevano, permettendo una grande
agilità di movimenti. Davanti, per proteggere il basso ventre, il soldato portava il “CINGULUM”,
formato da strisce di cuoio bordate di bronzo. Sul fianco destro, il legionario aveva appeso ad una
cintura, il pesante ma corto “GLADIUS”. Veniva portato sulla destra per non intralciare lo scudo ed
era fissato piuttosto in alto (l’impugnatura arrivava quasi al petto) per permettere la corsa. Il gladio
veniva estratto con la mano destra rovesciata all’indietro.
In genere la fila lo sguainava all’unisono, lanciando l’urlo di guerra della legione.
I soldati dell’ottava fila tengono bilanciato in avanti il micidiale “PILUM”, un affilato giavellotto,
studiato appositamente per compiti molto precisi, essendo la vera arma d’offesa vincente
dell’esercito romano.
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Nella settima fila, cominciamo a trovare dei particolari interessanti. Sulla sinistra, infatti,
notiamo un “SIGNIFERO”.
Egli, era l’ufficiale che portava l’insegna della fila, o COORTE, alla quale apparteneva. Indossava,
sopra l’elmo, una testa di lupo o di orso, come in questo caso e, sopra la tunica rossa della legione
aveva, invece della lorica segmentata, una maglia di ferro che proteggeva meglio ma, era più
pesante.
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Il suo compito, oltre a quello di incitare la fila con la presenza dell’insegna, era anche quello
di dare la sua vita per non farla cadere in mano al nemico.
Siccome il “SIGNUM” era ricoperto dalle decorazioni in bronzo concesse alla coorte e,
quindi molto pesante, i signiferi erano in genere molto alti e robusti.
I legionari della settima fila sono, invece, in posizione di difesa. Essi sono inginocchiati
sulla gamba destra e si riparano dietro i loro larghi scudi. Hanno piantato le loro lance sul terreno,
infilandole per la cuspide di ferro dell’estremità inferiore e, in questa posizione, con la loro
invidiata disciplina, potrebbero resistere perfino ad una carica di cavalieri.
I quattro soldati al centro, hanno scudi più piccoli e sono armati solo dei loro gladii
sguainati. Essi sono la guardia personale del comandante della legione : il “LEGATO”.
All’estrema destra della settima fila, compare l’altro personaggio importante della
formazione : il “CENTURIONE”.
I centurioni meriterebbero, per il loro valore e la loro crudeltà, tutto un discorso a parte. Questi
“mastini della guerra”, tenevano la loro sezione con pugno di ferro, punendo anche le mancanze più
leggere con la fustigazione, eseguita da loro stessi, o con la morte. Gli storici antichi dicono che, il
soldato romano, aveva più paura del proprio centurione che del nemico. Qui, il centurione indossa
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una maglia di ferro con spalline alla greca di vecchio tipo ma, sempre molto efficace, sopra un
gonnellino a strisce di cuoio (PTERUGI) per la protezione delle coscie e del basso ventre.
Il segno del suo grado, montato su di un prezioso elmo di bronzo dorato, è la famosa cresta
trasversale che gli permetteva di farsi seguire dai suoi subordinati, anche in mezzo alla mischia.
Come vedremo in seguito, c’erano vari gradi di centurioni che si distinguevano a seconda della
grandezza della cresta stessa.
Davanti alla settima fila, si trova tutta l’elite della LEGIO XX VALERIA VICTRIX.
L’aggettivo Victrix le fu dato dopo questa giornata.
I signori della guerra sono, almeno in apparenza, molto tranquilli, come si conviene a dei
veri cittadini romani di fronte al pericolo.
Sulla sinistra c’è l’aquilifero (AQUILIFER), il portatore dell’insegna della legione; era il
signifero con il più alto grado dato che rappresentava la forza e la determinazione della legione
stessa. In lui c’era qualcosa di magico e di invincibile e, l’aquila che portava, veniva venerata dai
soldati romani pagani come una divinità della guerra.
Ma guai a perdere l’aquila! Tutta la legione veniva disonorata e a volte addirittura divisa e
cancellata dall’organico dell’esercito di Roma. Sotto l’aquila, appollaiata su di un alloro dorato,
c’era il vessillo (VEXILLUM) con l’animale o stemma zodiacale della legione.
Osservando attentamente, nel caso della XX VALERIA si può notare che si trattava di un
cinghiale. Sotto il cinghiale e, prima delle mappe dorate del vexillum, c’è la scritta “L.XX.V” che
significa appunto quello esposto sopra. Il personaggio al centro, con l’alto cimiero bianco, il
mantello rosso bordato d’oro e la corazza dorata, è il vero comandante della formazione militare : il
Legato.
Il Legato, di solito, era un senatore nominato direttamente dall’Imperatore. Oltre alle virtù
militari, doveva essere anche ferrato in quelle politiche, come ogni buon aristocratico romano. Il
nostro comandante ha, nella mano sinistra, una mappa della zona arrotolata e sta impartendo ordini
al “TRIBUNUS LATICLAVIUS” ovvero, al più anziano dei sei tribuni in forza per ogni legione. I
Tribuni in questione sono, nel nostro caso, quei sei baldi giovanotti che circondano il Legato. Erano
tutti aristocratici e svolgevano questa mansione nell’esercito solo come gradino per una successiva
carriera politica. Ognuno di loro, era un esperto specializzato in logistica, costruzioni, spionaggio,
manutenzione armi, macchine d’assedio e amministrazione. Essi, indossano tutti la corazza
(LORICA), sagomata come la muscolatura umana del torace, di classica origine greca. A seconda
della loro effettiva disponibilità finanziaria, si possono vedere sia loriche di cuoio che, più raffinate,
di bronzo o di ferro.
Lo stesso discorso vale per il gonnellino a protezione delle coscie (PTERUGI), nel nostro
caso sono di pelle, cuoio bollito o tinto di rosso e addirittura di lino bianco.
Tutti, però, portano un elmo da cavalleria sotto il braccio, con una criniera rossa sulla
sommità. Il Tribuno Laticlavio indossa, anche, un mantello blu bordato d’oro.
Sulla destra, staccato dal gruppo dei tribuni, con l’occhio ben attento allo svolgimento della
battaglia, incontriamo finalmente il “PRIMUS PILUS”, ovvero, il centurione di grado più elevato :
il soldato dei soldati.
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Probabilmente, era lui il vero responsabile tattico della condotta militare della legione. A
volte, i tribuni, erano molto inesperti. Si narra, nei libri di Giulio Cesare, che alla vigilia di uno
scontro con i Germani, alcuni tribuni si misero perfino a piangere terrorizzati.
Forse, a volte, c’era ostilità tra il vecchio centurione e il giovane raccomandato tribuno ma,
questo, importava poco al rude “Primus Pilus”: egli non lavorava saltuariamente per la legione, egli
“era” la Legione . . .
Il nostro alto ufficiale indossa, qui, uno splendido elmo di bronzo decorato con l’alta cresta
trasversale. Porta anch’egli, come gli altri centurioni, una cotta di maglia con spalline di tipo greco
e, il suo gladio, è appeso a sinistra tramite una cintura dorata, non a destra come i soldati comuni
(comunque ogni ufficiale e sottufficiale decideva a seconda delle proprie abitudini). I suoi pterugi,
di cuoio bollito, sono guarniti di mappe dorate. Completano l’armatura, gli schinieri (parastinchi) di
bronzo.
La sesta fila, ovvero la fila che protegge tutta la riserva non combattente (per ora) è, a dire il
vero, una fila non romana. Essa infatti è composta prevalentemente da elementi ausiliari. I legionari,
infatti, non guardavano con simpatia all’arco come un’arma virile ma, la verità forse, è che
preferivano servirsi di popolazioni loro alleate molto più abili di loro nel maneggio di queste armi.
A parte i signiferi ai lati della fila con copricapi di lupo, il primo combattente che si incontra, è il
famoso “fromboliere delle Baleari”.
Egli si protegge con uno scudo di legno ricoperto di pelli, ed è protetto solo dal proprio
mantello, il quale, ripiegandosi sul davanti, forma una sacca dove venivano raccolte le pietre,
oppure, dei proiettili di piombo che gli sarebbero serviti.
Al momento opportuno, egli si staccherà dalla fila e, messa una pietra nell’incavo della sua
fionda (FROMBOLA), la spedirà molto violentemente dopo due o tre giri, sul cranio di qualche
malcapitato Britanno. Non ci deve apparire tutto questo come qualcosa di troppo primitivo. I
frombolieri spagnoli, abbattevano le anatre al volo con questo metodo e, una palla di piombo in
mezzo agli occhi, poteva abbattere anche un guerriero coperto da capo a piedi. Si vedono solo due
di questi frombolieri ai lati della coorte di arcieri ma, in effetti, erano molti di più.
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I primi sei arcieri sulla sinistra con il gonnellino rosso orlato di blu, sono arcieri Cretesi.
Essi, come gli arcieri germanici che vedremo in seguito, non portano la faretra perché hanno
piantato le loro frecce davanti a loro.
Sebbene armati alla romana, con la lorica segmentata, essi indossano l’elmo di bronzo
economico degli ausiliari. La loro micidiale arma è l’arco composto, chiamato così perché
composto da due parti separate di legno o corno che formavano due mezzelune.
Subito dopo nella fila, scorrendo verso destra, incontriamo un arciere Italico. Egli indossa la
faretra, una corazza di cuoio indurito, una GALEA (elmo italico) di cuoio rinforzato di strisce di
metallo ed un particolare bracciale di pelle sulla sinistra che gli impedisce dolorose ferite quando
rilascia la corda dell’arco.
Potrebbe essere un montanaro del Lazio. I sedici arcieri al centro della fila, sono i pericolosi
e abilissimi arcieri Siriani. Elementi fondamentali di quasi tutte le formazioni romane, essi
indossano le loro lunghe vesti originarie e sono presenti molto spesso anche sui rilievi della colonna
Traiana.
La loro precisione è leggendaria, il loro arco è più potente e le loro frecce hanno aiutato
molto i legionari in tutte le battaglie. Si narra che, durante gli assedi di Gerusalemme e Masada,
nessun nemico osava alzare la testa per timore di venire immediatamente trapassato.
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Il loro elmo, alto e conico, è tipicamente orientale; comune a Giudei, Parti, Persiani e
Sarmati. La nuca, è protetta da una bandellina di tessuto flessibile ricoperto di scaglie di bronzo..
Anche l’armatura è tipicamente orientale. Si tratta di una lunga sopravveste di pelle ricoperta di
“squame” di bronzo dorato.
Sul pollice della mano destra, hanno un anello di ferro che gli serviva a tenere ed a tendere
la corda del loro potentissimo arco (si chiama “presa mongola . . .”).
Lo stesso tipo di arma era usato dai Parti che, a cavallo, inflissero molte sconfitte alle meno
agili legioni romane.
Continuando la fila, verso destra, dopo un altro italico, troviamo una sezione di arcieri
Batavi (Germani), meno famosi e sicuramente meno bravi degli orientali e dei cretesi. Essi sono al
seguito della loro coorte di fanteria che li precede, comunque, ad un segnale convenuto del
signifero, tutti gli arcieri alll’unisono avrebbero puntato il loro arco verso il cielo, più o meno a 45
gradi e, le loro frecce, sarebbero passate fischiando sopra le prime schiere romane per colpire
disastrosamente il nemico ammassato all’attacco. Solo in seguito, infatti, la sezione ausiliaria degli
arcieri, si sarebbe “sciolta” e ognuno, con più calma e precisione, avrebbe atterrato il proprio
avversario ormai quasi in fuga.
Dalla quinta fila in avanti, si svolge l’attacco vero e proprio. La coorte ausiliaria di fanteria
leggera che forma la quinta fila, è la COHORS IIII VINDELICORUM che combatteva con la XX
VALERIA.
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Questa era composta da Batavi, una popolazione germanica alleata con Roma, ma solo
perché era difesa da essa contro le altre tribù germaniche nemiche. I romani, sapevano molto bene
che le truppe ausiliarie non erano fidatissime. Ecco perché, le fornivano di un materiale più
scadente del loro e, inoltre, erano molto sorvegliate.
Per comandare e sorvegliare questa fila di Germani, ci sono ben cinque OPTI romani. Questi
erano i sottufficiali, duri ed esperti e sono riconoscibili ovunque nel plastico per il loro pennacchio
rosso sull’elmo. Inoltre, gli ausiliari, non avevano in dotazione il terribile PILUM per le ragioni che
vedremo poi. Essi, indossano un elmo di bronzo di fattura scadente, una cotta di maglia leggera fino
alla coscia e uno scudo ovale di legno con l’alloro, simbolo della loro coorte.
Tutta la sezione sta scattando in avanti con decisione, incoraggiata dagli Opti. Il motivo è
semplice : le quattro file romane davanti a loro, stanno avanzando molto duramente nel modo che
vedremo poi e, “passeranno sopra”, nel vero senso della parola, al nemico. Non avranno tempo, a
volte, di finirlo mortalmente e non dovranno permettersi il lusso di lasciare un ferito che gli possa
tirare una lancia nella schiena. A tagliare la gola ai feriti e moribondi ci penseranno i Batavi, senza
risparmiare nessuno.
Il centurione, responsabile della quarta fila, ha appena urlato l’ordine di attacco. La sequenza
era molto precisa: quello che stanno facendo i soldati della quarta fila, l’hanno già fatto quelli della
terza, come quelli della seconda hanno appena fatto l’azione che ora sta facendo la terza fino a che,
tutti, si comporteranno come la prima fila.
Da questa esatta sequenza di ordini e di esecuzione dipendeva tutto il segreto della
superiorità dell’esercito romano. Per rendere la spiegazione più chiara, fermiamoci un atttimo sulla
quarta fila. Al segnale dell’ufficiale, dicevamo, i legionari alzavano il pilum sopra la spalla destra e
scattavano tutti insieme in avanti.
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Dopo una corsa di circa otto metri, lo scagliavano in alto, verso il nemico. I giavellotti
volavano compatti nel mucchio.
Non c’era bisogno di mirare. La prima fila aveva tirato basso nello schieramento avversario.
I pilum delle file dietro, che avevano una gittata di 30 metri, sorvolavano le file romane davanti e
sortivano lo stesso effetto. Fatto questo, si metteva mano al gladio e si estraeva urlando,
simultaneamente, il grido di guerra della legione.
La quarta fila, sta per lanciarsi nella corsa che precede il tiro. Era un esercizio non facile. In
questo ci voleva molto addestramento per farlo con precisione, correndo con il grande scudo. Il
segreto del pilum, era nella sua tipica specializzazione, oltre che nel modo come veniva usato. La
cosa importante nell’antichità, era abbattere un nemico perforandogli una eventuale corazza. Se si
riusciva a fare questo a distanza, le probabilità di vittoria aumentavano sicuramente. Ora, non c’era
niente di più micidiale per trapassare una corazza o scudo o elmo, di picchiargli sopra con un
martello su di uno scalpello sottile e appuntito.
Il giavellotto romano faceva proprio questo ma a distanza. Se esaminiamo bene da vicino la
quarta fila, dove si vedono meglio, notiamo come è costruito. Il pilum aveva una sottile e lunga
punta di ferro incastrata in un cuneo di legno. Dopo il cuneo,
c’era una palla di piombo (il martello …) che scaricava
all’impatto tutta l’energia cinetica del lanciatore nella piccola
superficie della punta affilata. Da 30 metri, tutti insieme, si
trapassavano scudi, elmi e corazze.
L’effetto era devastante e psicologicamente intollerabile.
Si narra di battaglie vinte solo con scariche di giavellotti. Per
rendere un’idea pratica, consideriamo che il fronte del nostro
modellino in scala, è di circa 35 metri. I nemici, davanti a questi
35 metri, hanno già subito frontalmente ben 64 pilum e, ne stanno
per ricevere, subito dopo, altri 50 !
I legionari della quarta fila, tutti cittadini romani, sono
equipaggiati nella quasi totalità, con l’armamento standard
comune a tutti. Alcuni, però, quelli con il vecchio tipo di scudo
ovale di origine Celtica, hanno un giavellotto più leggero, senza
palla di piombo.
Un’arma così “perforante”, non doveva cadere in mano
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all’avversario durante il combattimento. Il cuneo di legno serviva proprio a questo. Se il pilum
avesse incontrato il terreno o la dura pietra, o dopo, aver trapassato una corazza, si sarebbe spezzato
in quel punto, rendendosi inutilizzabile ad un eventuale rilancio. Solo secoli dopo, i barbari
“FRANCHI” lo copiarono, chiamandolo ANGO.
Nella terza fila, si sta lanciando il giavellotto sopra le altre due. E’ il momento di massima
estensione del braccio e ognuno cerca di imprimergli la massima potenza a modo suo. Si vedono
pilum pesanti e leggeri e, alcuni soldati, hanno un piccolo scudo esagonale di origine germanica.
Naturalmente, ci sono sottuficiali insieme ai soldati e alcuni opti hanno un piccolo scudo rotondo da
signifero (il PARMA) e il mantello. Non era però consigliabile tenere questo indumento in
combattimento, per l’impaccio che procurava.
Appena scagliata la loro pericolosa arma, i legionari sguainano il gladio con la mano destra
rovesciata e urlano tutti insieme.
Lo storico ebreo del tempo, Flavio Giuseppe, a proposito di questo momento, consigliava i suoi
connazionali, nemici dei romani, di “tapparsi bene le orecchie per non fuggire
terrorizzati (!)”.
Nella seconda fila, infatti, l’eccitazione del sangue è al massimo. I centurioni
incitano i militari che si stanno buttando per il corpo a corpo. Anche i signiferi sono
armati di piccoli PARMA decorati e alcuni legionari hanno sulle gambe i
FEMINALIA, corti pantaloni di lana, chiamati così proprio perché coprivano le
coscie, in latino FEMEN.
Nella prima fila, immaginiamo il nemico a pochi passi. Tra un istante, ci
sarà il contatto con l’avversario, il quale sta ancora ricevendo scariche di pilum che
sorvolano la prima e seconda fila. Il legionario romano, non aveva paura del corpo
a corpo. Anzi, lo cercava. Questo perché, sapeva che la superiorità delle legioni era
proprio nel modo di combattere così ravvicinato al nemico.
Togliamoci subito dalla mente i numerosi e cattivi films dove si vedono
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combattimenti antichi. Nessun soldato romano si sarebbe mai sognato di saltellare qua e là mentre
vibra fendenti con la sua piccola spada. Gli si insegnava, invece, a colpire solo di punta con brevi e
veloci affondo, dal basso verso l’alto, tra scudo e scudo.
La legione avanzava lentamente, come un rullo compressore, con gli scudi sempre allineati e
stretti tra di loro. Era categorico coprire, con il proprio scudo, la parte destra del commilitone
vicino. Chi rompeva la fila o si distraeva per saccheggiare, veniva punito con la morte. Chi cadeva,
veniva sostituito con un camerata della fila dietro.
Immaginiamo, osservando le immagini, che le quattro file di attacco abbiano già scagliato i
loro giavellotti. Fatto questo, le file stesse si serreranno una dietro l’altra per l’attacco. Se la fila che
combatte si troverà in serie difficoltà, al segnale del centurione dovrà indietreggiare fino a che, i
legionari della fila dietro, l’abbiano completamente sostituita. Il nemico si troverà, così, di colpo
davanti una fila fresca.
Ci voleva una disciplina ferrea ed una cieca obbedienza agli ufficiali per far sì che non si
cadesse nel disordine tipico, classico degli eserciti
“barbari”.
Il soldato romano si riparava dietro il grande
scudo, poi atterrava l’avversario con un colpo dello
stesso, oppure, faceva un rapido affondo con la punta
del gladio, poi ritraeva il braccio e gli passava
semplicemente sopra.
Quel giorno del 61 dc a Mancetter, la XIII
GEMINA e la XX VALERIA avanzarono inarrestabili
contro centomila nemici e ne massacrarono 80.000.
Tacito, narra che le perdite romane furono solo
di 400 uomini. I Britanni resistettero fino a che
poterono, poi ruppero le file correndo verso i carri da
trasporto disposti a semicerchio attorno alla battaglia e
carichi dei loro familiari. A questo punto, le legioni si
allargarono. Gli ausiliari si staccarono dallo
schieramento e, ognuno, si cercò il bersaglio ormai in
fuga. Arrivati ai carri dei Britanni, i legionari nulla
risparmiarono. Furono sterminati uomini, donne, bambini, e vecchi. Perfino gli animali, cavalli,
cani, oche e galline subirono la stessa sorte.
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Da quel giorno la ribellione britannica cessò di colpo.
L’autore della ricostruzione della battaglia spera così, di aver reso più chiara la tecnica di
quello che rimane il più formidabile strumento bellico della storia, la Legione Romana, che
partecipò a innumerevoli battaglie, perdendone anche qualcuna, ma che sicuramente vinse le guerre.
Tutte.
MAURIZIO ZACCHIA
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