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Itinerario nel mondo alla rovescia

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Itinerario nel mondo alla rovescia
1
MODULO TEMATICO INTERDISCIPLINARE
Itinerario nel mondo
alla rovescia
1
Alla festa dei folli
Rovesciare il mondo, vedere tutto da una prospettiva capovolta, sovvertire l’ordine costituito: “semel
in anno licet insanire”, una volta all’anno è lecito
comportarsi da pazzi, dicevano gli antichi. E nel
Medioevo si creò un’occasione per dar sfogo al-
Locandina orginale del film Il gobbo di Notre Dame (1996) di
Walt Disney.
l’esigenza di cambiamento e trasgressione che è insita in ciascuno di noi: il carnevale, con le sue feste,
i suoi riti, le sue contraddizioni.
Ci introdurrà nei suoi sentieri una sequenza di un
film di Walt Disney, Il gobbo di Notre Dame, che ci offre l’opportunità di assistere alla festa dei folli.
La festa viene presentata dalle parole del giudice
Frollo al capitano Febo: «Avete mai visto una festa
contadina?», con un atteggiamento di sufficienza e
di disprezzo (i partecipanti sono definiti “feccia
dell’umanità”).
Un’inquadratura dall’alto ci mostra una piazza,
delimitata dalle case e dalla cattedrale di Notre
Dame. Sulla piazza ci sono due palchi, uno per le
autorità (vi prenderà posto il perfido Frollo) e un
altro per la sfilata delle maschere più brutte, dove
si esibirà la splendida e sensualissima Esmeralda.
È durante questa festa che Quasimodo scende per
la prima volta tra la gente, contravvenendo esplicitamente al divieto di Frollo. Sfilano poi le maschere per la proclamazione del re dei folli. Il più
brutto è naturalmente Quasimodo, che vince e diventa re. Al momento di togliere la maschera, si
scopre che non ce l’ha. Viene fatto comunque re,
perché ha la faccia più brutta di Parigi, e applaudito. Una guardia gli tira dei pomodori addosso e
così fanno altri. Quasimodo si trova ferito e deriso. Interviene Esmeralda, che lo libera, anche lei
contravvenendo all’ordine di Frollo di non avvicinarsi a Quasimodo. Esmeralda grida a Frollo:
«Abbiamo incoronato il re sbagliato: il folle siete
voi», e gli getta la corona: una donna, bella, sensuale, intelligente, zingara, parla di giustizia e tiene testa all’autorità.
La musica, come in tutti i cartoon, non si limita al
semplice commento, ma ha valore narrativo: «Og-
© 2012 by G. B. PALUMBO EDITORE S.P.A.
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gi non esistono più regole né schiavitù… Oggi è il
giorno in cui comandiamo solo noi… Benvenuto
ad ogni pazzo. Questo è il giorno suo… Resti a casa
chi non ce la fa a buttare all’aria tutta la città… Liberiamo il peggio che c’è in noi… Voi lasciate ogni
mestiere, è arrivato il grande dì… Oggi la follia diventa regola… Resti a casa chi ha vergogna… coi
barboni e i farabutti, l’obiettivo è far del danno…
Noi possiamo fare l’impossibile… ogni re potrebbe
trovarsi clown…». Scandisce il ritmo il ritornello
«SOTTOSOPRA».
La presentazione ufficiale è fatta dal jolly cantastorie, un giullare. La figura del giullare, che avrà poi
una sorta di evoluzione, specializzandosi, a partire
dal XII secolo, nella recita e nella composizione
dei testi poetici, era figura centrale nei momenti di
festa nelle piazze. Giocolieri, saltimbanchi, buffoni
catturavano l’attenzione della gente con battute salaci e spesso spinte. Insieme ai clerici vagantes, gli
studenti che trascorrevano nelle varie università
europee improvvisando canti parodici e irriveren-
ti, erano i protagonisti delle feste di Carnevale (cfr.
SI1, p. 3), caratterizzate dal sovvertimento di tutte
le regole e dei valori costituiti. Ecco che, come dice
la canzone, «ogni re potrebbe trovarsi clown»,
mentre ad essere incoronato re è il buffone (cfr.
SI2, p. 3).
La Chiesa, che esortava a nutrire lo spirito e a disprezzare il corpo, non vedeva certo di buon occhio le feste in cui si esaltavano la fisicità e bisogni corporali. Due visioni del mondo antitetiche,
come il Carnevale e la Quaresima nel dipinto di
Pieter Bruegel, Il combattimento tra Carnevale e
Quaresima, dove alle immagini di astinenza e digiuno della Quaresima si oppongono quelle festose del panciuto Carnevale: spiedi, salsicce,
strumenti musicali, danze scandiscono il tempo
del divertimento, a cui è contrapposto quello della penitenza.
In letteratura il rovesciamento si può operare su vari piani, a vari livelli, con vari espedienti: è ciò che
andremo a verificare nelle pagine che seguono.
Pieter Bruegel il Vecchio, Il combattimento tra Carnevale e Quaresima (1560). Vienna, Kunsthistorisches Museum.
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SI1
SCHEDA INFORMAZIONI
Il significato di Carnevale
Carnevale risale a carne levare «lasciare la carne» attestato nel Trecento. Insomma, il nome del carnevale significa «quaresima» perché la carne si leva, si toglie, si
proibisce (o si proibiva) in quaresima.
Come si sa, accanto a carnevale, c’è carnasciale e questo è da CARNE LAXARE, che ripete il concetto di «abbandonare la carne», proprio della Quaresima. Carna-
SI2
sciale oggi si sente come voce antiquata e letteraria e si
ritrova nell’aggettivo carnascialesco riferito in particolare ai canti che a Firenze si eseguivano nei secoli XV e XVl
e che attirarono l’attenzione di vari autori, in particolare
di Lorenzo il Magnifico.
da Tristano Bolelli, Qualche parola al giorno. Conversazioni alla radio sulla lingua,
Giardini editori, Pisa 1979, p. 7.
SCHEDA INFORMAZIONI
Riso, Carnevale e festa nelle pagine di Bachtin
Lo studioso russo Michail Bachtin, nel libro L’opera di
Rabelais e la cultura popolare. Riso, carnevale e festa
nella tradizione medievale e rinascimentale, dà particolare rilievo al capovolgimento dei valori che si realizza
durante il Carnevale medievale e rinascimentale. Tale
capovolgimento, proprio delle feste popolari non ufficiali, passerà alla letteratura “carnevalizzata”, a quel tipo cioè di letteratura che assume la prospettiva “altra”
del Carnevale, dando vita così ad un mondo alla rovescia rispetto a quello normale, rispettoso dei valori della tradizione.
La “vita di festa” del Carnevale
Il carnevale […] non conosce distinzioni fra attori e
spettatori. Non conosce il palcoscenico neppure
nella sua forma embrionale. Il palcoscenico distruggerebbe il carnevale (e viceversa la soppressione del
palcoscenico distruggerebbe lo spettacolo teatrale).
Al carnevale non si assiste, ma lo si vive, e lo si vive
tutti poiché esso, per definizione è fatto dall’insieme
del popolo. Durante il carnevale non esiste altra vita
che quella carnevalesca. È impossibile sfuggirvi, il
carnevale non ha alcun confine spaziale. Durante
tutta la festa si può vivere soltanto in modo conforme
alle sue leggi, cioè secondo le leggi della libertà. Il
carnevale ha un carattere universale, è uno stato particolare del mondo intero, è la sua rinascita e il suo
rinnovamento a cui tutti partecipano. […]
Così il carnevale non era una forma artistica di
spettacolo teatrale, ma piuttosto una forma reale
(benché temporanea) della vita stessa, che non era
semplicemente rappresentata sulla scena, ma era in
un certo qual modo vissuta (per la durata del carnevale). Tutto ciò si esprime nel modo seguente: durante il
carnevale è la vita stessa che recita, rappresentando –
senza palcoscenico, senza ribalta, senza attori, senza
spettatori, cioè senza gli attributi specifici di qualsiasi
spettacolo teatrale – un’altra forma libera (e piena) di
realizzazione, la propria rinascita e il proprio rinnovamento su principî migliori. Qui la forma reale della
vita appare nello stesso tempo come la sua forma ideale resuscitata.
I buffoni e gli stolti sono i personaggi caratteristici
della cultura comica medievale. Costoro sembrano
essere dei portatori permanenti, consacrati, del principio del carnevale nella vita comune (non carnevalesca). […]
Essi rimanevano buffoni e stolti sempre e comunque, in tutte le circostanze della vita, e come tali erano
portatori di una forma particolare di vita, reale e ideale nello stesso tempo. Essi erano ai confini tra la vita e
l’arte (in una specie di sfera intermedia): non erano
semplicemente dei personaggi eccentrici o stupidi, né
attori comici.
Durante il carnevale dunque è la vita stessa che
recita e, per un certo tempo, la recita si trasforma in
vita autentica. In ciò consiste la natura specifica del
carnevale, il suo particolare modo di esistere.
Il carnevale è la seconda vita del popolo, organizzata sul principio del riso. È la sua vita di festa. La festa è il
tratto fondamentale di tutte le forme di riti e spettacoli comici nel Medioevo […].
da Michail Bachtin, L’opera di Rabelais e la cultura popolare,
Einaudi, Torino 1979, pp. 10-11, 46-47, 216.
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Il Carnevale e il mondo alla rovescia
nel Medioevo e nel Rinascimento
Tra i primi esempi di poesia carnevalesca possiamo
annoverare i canti dei giullari e degli studenti (clerici vagantes). Scritta in latino, a differenza della
giullaresca che era in volgare, la poesia goliardica
introdusse temi come l’amore sensuale, il gioco, la
taverna, che le autorità religiose e politiche condannavano. Molti dei temi cantati dai clerici vagantes furono ripresi dalla poesia comica, diffusasi in
Toscana dopo il 1260, che si contrapponeva a quella elevata e tragica dei poeti Siculo-toscani e degli
Stilnovisti. L’intento era *parodistico: il modello
stilnovistico veniva rovesciato a livello stilistico e tematico. Nel sonetto di Cecco Angiolieri, «Tre cose
solamente m’ènno in grado» che può essere considerato il manifesto della poesia comica, la donna, la
taverna e il gioco d’azzardo sono indicati come le
tre cose che fanno «’l cuor lieto». Emerge un concetto materialistico della vita, con indifferenza verso i valori umani (Cecco odia suo padre per la sua
avarizia) e atteggiamenti di ribellione verso l’ordine costituito. La donna cantata dai poeti comici ha
perso i tratti angelicati di quella dello Stilnovo: è
una donna avida, lussuriosa e dalla parola facile. Sa
tener testa all’amante sia quando lo rimprovera di
un tradimento sia quando è lei a doversi discolpare
della poca fedeltà (cfr. T2, p. 6).
Il motivo del Carnevale ritorna anche nella letteratura rinascimentale. I canti carnascialeschi (cfr.
SI1, p. 3), che durante il Carnevale accompagnavano le sfilate di carri allegorici, erano molto in voga
tra il XV e il XVI secolo, soprattutto nella Firenze
dei Medici. Nella Canzona di Bacco (cfr. T1, p. 5)
composta probabilmente per il Carnevale del 1490,
Lorenzo de’ Medici celebra il trionfo di Bacco con
una sensibilità assai vicina a quella della letteratura
medievale, a cui si unisce però il senso di precarietà
per un futuro che non si può conoscere.
Nel Rinascimento continuano anche la parodia e il
rovesciamento dei valori tradizionali; ancora Lorenzo de’ Medici, nel componimento Nencia da
Barberino, riportando le lodi del contadino Vallera
alla pastorella di cui è innamorato, rovescia con gusto parodico i canoni della bellezza cortese e della
poesia pastorale, un genere della letteratura cortigiana del Quattrocento.
Charivari, miniatura del Roman de Fauvel. Parigi, Bibliothèque
Nationale.
Il charivari (letteralmente “baccano, strepito”) era una serenata
parodistica popolare, di cui la miniatura presenta, in un linguaggio
semplice e chiaro, alcune caratteristiche, antitetiche alla concezione
religiosa: il travestimento, il canto e il ballo, il riso, l’esibizione.
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Il canto dei bevitori
[Carmina Burana]
• il piacere nel gioco e nel vino
I Carmina Burana sono i canti dei clerici vagantes. La poesia
goliardica, diffusasi in Europa tra il XII e il XIII secolo, rovescia in
modo ironico e divertito temi e atteggiamenti della letteratura allora dominante.
da Poesia latina
medievale, a cura di G.
Vecchi, Guanda,
Parma 1958.
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Carmen Potatorium
Il canto dei bevitori
In taberna quando sumus,
non curamus quid sit humus,
sed ad ludum properamus,
cui semper insudamus.
Quid agatur in taberna,
ibi nummus est pincerna,
hoc est opus ut queratur:
si quid loquar audiatur.
Quidam ludunt, quidam bibunt,
quidam indiscrete vivunt.
Sed in ludo qui morantur
ex his quidam denudantur,
quidam ibi vestiuntur,
quidam saccis induuntur.
Ibi nullus timet mortem,
sed pro Bacho mittunt sortem.
Primum pro nummata vini:
ex hac bibunt libertini.
Semel bibunt pro captivis,
post hec bibunt ter pro vivis,
quater pro christianis cunctis,
quinquies pro fidelibus defunctis,
sexies pro sororibus vanis,
septies pro militibus silvanis,
octies pro fratribus perversis,
novies pro monachis dispersis,
decies pro navigantibus,
undecies pro discordantibus,
duodecies pro penitentibus,
tredecies pro iter agentibus.
Tam pro papa quam pro rege
bibunt omnes sine lege.
Bibit hera, bibit herus,
bibit miles, bibit clerus,
bibit ille, bibit illa,
bibit servus cum ancilla,
bibit velox, bibit piger,
bibit albus, bibit niger,
bibit constans, bibit vagus,
bibit rudis, bibit magus,
bibit pauper et egrotus,
bibit exul et ignotus,
In taberna quando sumus,
non ci curiamo più del mondo,
ma al giuoco ci affrettiamo,
al quale ognora ci accaniamo.
Che si faccia all’osteria,
dove il soldo fa da coppiere,
questa è cosa da chiedere:
si dia ascolto a ciò che dico.
C’è chi gioca, c’è chi beve,
c’è chi vive senza decenza.
Tra coloro che attengono al giuoco,
c’è chi viene denudato,
chi al contrario si riveste,
chi di sacchi si ricopre.
Qui nessuno teme la morte,
ma per Bacco gettano la sorte.
Prima si beve a chi paga il vino,
indi bevono i libertini.
Un bicchiere per i prigionieri,
poi tre bicchieri per i viventi,
quattro per i cristiani tutti,
cinque per i fedeli defunti,
sei per le sorelle leggere,
sette per i cavalieri erranti,
otto per i fratelli traviati,
nove per i monaci vaganti,
dieci per i navigatori,
undici per i litiganti,
dodici per i penitenti,
tredici poi per i partenti.
Sia per il papa che per il re
tutti bevono senza misura.
Beve la signora, beve il signore,
beve il clero, beve il cavaliere,
beve questo, beve quella,
beve il servo con l’ancella,
beve il lesto, beve il pigro,
beve il bianco, beve il negro,
beve il fermo, beve il vago,
beve il rozzo, beve il mago,
beve il povero e il malato,
beve l’esule e l’ignorato,
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T1 Il canto dei bevitori
bibit puer, bibit canus,
bibit presul et decanus,
bibit soror, bibit frater,
bibit anus, bibit mater,
bibit ista, bibit ille,
bibunt centum, bibunt mille.
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beve il piccolo e l’anziano,
beve il presule e il decano,
beve la sorella, beve il fratello,
beve la vecchia, beve la madre,
beve questa, beve quello,
bevono cento, bevono mille.
Guida alla lettura
Celebrazione del vino e del gioco Il vino, la donna,
il gioco vengono esaltati in questo famoso carmen potatorium, una poesia cioè in onore del vino. Nella taverna,
luogo aperto dove è possibile ogni tipo di trasgressione,
cessa ogni paura, compresa quella della morte.
Un grande brindisi La parte centrale è come un grande
brindisi, alla salute di tutti, senza distinzione di sesso,
età, condizione sociale (si beve per i «fratelli traviati» e
per i «penitenti»). La bevuta più grande, «senza misura»,
è proprio per il papa e per il re, le autorità garanti dell’or-
dine costituito: è un modo irriverente per rovesciare tutto,
in favore di un disordine, in cui regnino l’anarchia e la
sregolatezza.
Una danza in onore di Bacco Nella parte finale, la ripetizione del verbo «bibit» conferisce alla poesia un ritmo
incalzante e concitato: l’enumerazione dei bevitori non
lascia fuori nessuno, neppure gli esponenti delle gerarchie
ecclesiastiche (il presule e il decano). Tutti sono nominati
e accomunati dal vino, quasi in una danza frenetica in
onore di Bacco, il dio dell’ebbrezza.
Esercizi
쐋 La concezione della vita che emerge dalla poesia è:
ANALIZZARE
� Dove cantano i bevitori?
ascetica
B
allegra e giocosa
C
altro
쐏 Cerca di spiegare quali sono gli elementi di
쐇 Quale dio è invocato?
T2
A
rovesciamento presenti nella poesia.
Rustico Filippi
«Oi dolce mio marito Aldobrandino»
Rustico Filippi (nato intorno al 1230) è considerato l’iniziatore
• l’ammiccante autodifesa di una donna
della poesia comica. In questo sonetto una donna astuta e
scaltra si discolpa dinanzi all’ingenuo marito dell’accusa di tradimento.
da G. Contini, Poeti del
Duecento, Ricciardi,
Milano-Napoli 1960.
Oi dolce mio marito Aldobrandino,
rimanda ormai il farso suo a Pilletto,
ch’egli è tanto cortese fante e fino,
che creder non déi ciò che te n’è detto.
metrica sonetto a rime alternate secondo lo
schema ABAB, ABAB; CDC, DCD.
1-4 O mio dolce marito Aldobrandino, rimanda subito (ormai) a Piletto il suo panciotto
(farso = farsetto), dato che egli (ch’egli) è
un giovane (fante) tanto cortese e raffinato
(fino) che non devi (déi) credere a ciò che
te ne [: di lui e del suo rapporto segreto con
la moglie] viene (è) detto. L’esistenza di un
rapporto sentimentale con tale Pilletto è dimostrata dalle stesse parole affettuose che
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la donna gli dedica (cortese e fino), tipiche
del lessico amoroso, con effetto accresciuto
dall’*iperbato. Il riferimento al farsetto (un indumento maschile evidentemente abbandonato dall’amante, forse per la fretta) rende poi
palese la colpa.
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T2 Rustico Filippi «Oi dolce mio marito Aldobrandino»
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E non star tra la gente a capo chino,
ché non se’ bozza, e fòtine disdetto;
ma, sì come amorevole vicino,
co . noi venne a dormir nel nostro letto.
Rimanda il farso ormai, più no il tenere,
ché mai non ci verà oltre tua voglia,
poi che n’ha conosciuto il tuo volere.
Nel nostro letto già mai non si spoglia.
Tu non dovéi gridare, anzi tacere:
ch’a me non fece cosa ond’io mi doglia.
5-8 E non stare tra la gente a testa bassa
(a capo chino), poiché (ché) non sei cornuto
(bozza), e te ne ho dato smentita (fòtine
disdetto; fòtine = te ne faccio); ma [Piletto]
venne a dormire nel nostro letto con noi
[: venne a farci visita] come (sì come; sì =
così) un vicino [di casa] premuroso (amorevole). Anche in questa *strofa, come nella
prima *quartina, alla pura e semplice negazione del tradimento si affianca ogni prova
possibile in contrario, benché sotto il fragile
velo del doppio senso: l’aggettivo amorevole, il riferimento al dormir nel nostro
letto (in *rima non casuale con Pilletto) –
che potrebbe in teoria anche essere un ingenuo modo di dire per riferirsi a una visita.
In particolare il pronome nostro implica una
feroce irrisione, portando l’attenzione spudoratamente proprio sul letto nuziale. Lo stesso
verbo dormir assume nel contesto un evidente significato equivoco.
9-11 Rimanda subito [a Pilletto] il panciotto,
non (no) lo (il) [trat]tenere più, perché (ché)
[Pilletto] non verrà più (mai) qui (ci) contro
la tua volontà (oltre tua voglia), dal momento che (poi che) ha (n’ha; n’ = ne, pleon.) conosciuto i tuoi desideri (il tuo volere). La sfrontatezza della donna aumenta dinanzi all’evidente silenzio del marito, riferendosi apertamente (benché implicitamente) alle
passate visite dell’amante e con possibile allusione oscena nella replicazione, variata, di
voglia/volere. Rimanda...ormai: con ripresa del v. 2.
12-14 [Pilletto] non si spoglierà mai più (già
mai non si spoglia) nel nostro letto. Tu non
dovevi (dovéi) gridare, ma (anzi) tacere: perché a me (ch’a me) non fece niente ([nessuna] cosa) di cui io (ond’io) mi lamenti (doglia = dolga). Pilletto non si toglierà più il farsetto in casa loro (ma l’unione di spoglia e
di letto è a questo punto di irresistibile comicità). E il colpevole diventa infine il marito,
che ha avuto il torto di gridare mentre avrebbe
dovuto tacere: Pilletto non ha fatto alla moglie
nulla che le sia dispiaciuto (apparente negazione della colpa ma implicita allusione al rapporto sessuale, attraverso *litote).
Guida alla lettura
«Non fece cosa ond’io mi doglia» Il tono con cui la
moglie si rivolge al marito Aldobrandino, che ha trovato
in casa il farsetto del vicino Pilletto e l’ha accusata di
tradimento, è dolce e affettuoso, pacato e sicuro: intende
rassicurarlo, mostrandogli l’inconsistenza dell’accusa:
Pilletto non le ha fatto nulla che le sia dispiaciuto.
In realtà il sonetto è tutto giocato su doppi sensi e ambiguità lessicali, che ingannano l’ingenuo marito. La moglie
di Aldobrandino è una donna libera e sfrontata, molto
diversa dalle donne vagheggiate dagli stilnovisti. Astuta
e vera protagonista del sonetto, sfodera un’abilità discorsiva degna delle eroine del Boccaccio.
Esercizi
ANALIZZARE
INTERPRETARE E APPROFONDIRE
쐃 Leggi e spiega la poesia, facendo attenzione al
linguaggio e all’uso che viene fatto dei termini cortesi
e stilnovistici.
� Scegli una o più poesie del Dolce stil novo tra quelle
lette in classe che ti possano servire a spiegare in che
cosa consista il rovesciamento dei moduli operato da
Rustico Filippi in questo sonetto.
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Rovesciamento “alto”-“basso”
Fra i vari tipi di rovesciamento, particolare interesse
riveste quello verticale tra ‘alto’ e ‘basso’. Il realismo grottesco e il riso, come afferma Bachtin, abbassano e materializzano. «Sotto l’aspetto propriamente corporeo […] l’alto è il volto (la testa), il basso gli organi genitali, il ventre e il deretano. […]
L’abbassamento significa anche iniziazione alla vita della parte inferiore del corpo, quella del ventre
e degli organi genitali e, di conseguenza, iniziazione ad atti come l’accoppiamento, il concepimento,
la gravidanza, il parto, il mangiare voracemente e
il soddisfare le necessità corporali».
Il racconto del mugnaio, di Geoffrey Chaucer offre
un esempio di rovesciamento alto e basso, con inversione bocca-ano («Assalonne baciò a lei l’oc-
chio di dietro»): una trovata dissacrante, che intende rovesciare e parodiare la sublimazione
dell’amor cortese.
L’abbassamento continua ad essere un tratto caratteristico anche della letteratura comica rinascimentale. Pensiamo al grosso ventre di Sancio, nel
Don Chisciotte di Cervantes, non a caso definito
“Panza”. Bachtin fa notare come «il suo appetito,
la sua sete, sono ancora profondamente carnavaleschi. […] Nelle immagini del mangiare e del bere è ancora vivo […] l’elemento del banchetto popolare e della festa. Il materialismo di Sancio – la
sua pancia, il suo appetito, i suoi abbondanti
escrementi – sono il “basso” assoluto del realismo
grottesco».
Jan Steen, Il mondo alla rovescia (1663). Vienna, Kunsthistorisches Museum.
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4
Il rovesciamento attraverso la parola
Un rovesciamento comico di tipo carnevalesco
particolarmente interessante è quello attraverso la
parola. Boccaccio offre degli esempi molto divertenti. Nella novella di Ciappelletto ser Ciappelletto, durante la sua confessione, dimostra una straordinaria abilità nel rovesciare in virtù i numerosi
vizi e peccati di cui si era macchiato. Il suo modo
di argomentare è una continua parodia dei valori
tradizionali, un rovesciamento completo che farà
sì che lui, «pessimo uomo in vita», sia da morto ritenuto santo e pregato come intercessore presso
Dio.
Un altro mago della parola è frate Cipolla, la cui
predica è tutta costruita sulla tecnica del rovesciamento. Usando una fraseologia equivoca (doppi
sensi, parole inventate, uso storpiato di espressioni
latine), giocando cioè sul senso apparente e sul
senso reale delle parole, il frate costruisce una re-
altà parallela, di indubbia comicità. Un procedimento noto anche alla moglie di Aldobrandino,
nel sonetto di Rustico Filippi (cfr. T2, p. 6), che con
doppi sensi ed ambiguità lessicali era riuscita ad ingannare il tonto marito.
L’uso sciolto della parola in Boccaccio non è prerogativa solo maschile; ci sono donne che sanno
ben illustrare le proprie ragioni e sentimenti, come la nobile Ghismunda e altre che sanno rovesciare a proprio favore situazioni difficili o disperate (cfr. T3).
Anche un elenco di cibi, o di modi per cucinarli,
può essere una forma di rovesciamento. Nel Morgante di Pulci la regolarità stilistica cinquecentesca
è fortemente compromessa da iperboli, accumuli,
forme gergali, metafore, termini tecnici, che fanno
“esplodere” la forma come l’involucro di un fegatello.
Giovanni Boccaccio
Madonna Filippa [Decameron, VI, 7]
T3
Madonna Filippa, una bella donna di Prato, viene colta dal
marito in flagrante adulterio. Per la legge vigente era destinata
al rogo. Ma davanti al podestà, con «piacevol risposta», riesce
a capovolgere a suo favore la situazione iniziale.
da G. Boccaccio,
Decameron, a cura di V.
Branca, Einaudi, Torino
1992.
5
• una rivoluzionaria rivendicazione
dei diritti della sessualità femminile
MADONNA FILIPPA DAL MARITO CON UN SUO AMANTE TROVATA, CHIAMATA
IN GIUDICIO, CON UNA PRONTA E PIACEVOL RISPOSTA SÉ LIBERA E FA LO
STATUTO1 MODIFICARE.
Già si tacea la Fiammetta, e ciascun rideva ancora del nuovo argomento dallo Scalza
usato a nobilitare sopra ogn’altro i Baronci,2 quando la reina ingiunse a Filostrato che
novellasse; ed egli a dir cominciò:
Valorose donne, bella cosa è in ogni parte3 saper ben parlare, ma io la reputo bellissima quivi saperlo fare dove4 la necessità il richiede; il che sì ben seppe fare una gentil
donna della quale intendo di ragionarvi, che non solamente festa e riso porse agli uditori, ma sé de’ lacci di vituperosa morte disviluppò,5 come voi udirete.
1 lo statuto: la legge.
2 dallo Scalza…Baronci: si riferisce alla novella precedente raccontata da Fiammetta: un
giovane di spirito, lo Scalza, con una trovata ar-
guta riesce a dimostrare come i Baronci, ricchi
borghesi di proverbiale goffaggine e bruttezza,
siano gli uomini più gentili e nobili di Firenze.
3 in ogni parte: in ogni circostanza.
© 2012 by G. B. PALUMBO EDITORE S.P.A.
4 quivi…dove: particolarmente saperlo fare
quando.
5 ma sé…disviluppò: ma riuscì a liberarsi
dal pericolo di una morte infamante.
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T3 Giovanni Boccaccio Madonna Filippa
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Nella terra6 di Prato fu già uno statuto, nel vero non men biasimevole che aspro,7 il
quale, senza niuna distinzion fare, comandava che così fosse arsa quella donna che dal
marito fosse con alcuno suo amante trovata in adulterio, come quella che per denari
con qualunque altro uomo stata trovata fosse. E durante questo statuto,8 avvenne che
una gentil donna e bella e oltre ad ogn’altra innamorata, il cui nome fu madonna Filippa, fu trovata nella sua propria camera una notte da Rinaldo de’ Pugliesi suo marito
nelle braccia di Lazzarino de’ Guazzagliotri, nobile giovane e bello di quella terra, il
quale ella quanto se medesima amava ed era da lui amata. La qual cosa Rinaldo vedendo, turbato forte, appena del correr loro addosso e di uccidergli si ritenne,9 e se non
fosse che di se medesimo dubitava, seguitando l’impeto della sua ira, l’avrebbe fatto.10
Rattemperatosi adunque da questo,11 non si poté temperar da voler quello dello statuto pratese, che a lui non era licito di fare,12 cioè la morte della sua donna. E per ciò,
avendo al fallo della donna provare13 assai convenevole testimonianza come il dì fu
venuto, senza altro consiglio prendere, accusata la donna, la fece richiedere.14 La
donna, che di gran cuore15 era, sì come generalmente esser soglion quelle che innamorate son da dovero, ancora che sconsigliata da molti suoi amici e parenti ne fosse, del
tutto dispose16 di comparire e di voler più tosto, la verità confessando, con forte animo
morire, che, vilmente fuggendo, per contumacia in essilio vivere e negarsi degna17 di
così fatto amante come colui era nelle cui braccia era stata la notte passata. E assai bene
accompagnata di donne e d’uomini, da tutti confortata al negare,18 davanti al potestà
venuta, domandò con fermo viso19 e con salda voce quello che egli a lei domandasse. Il
podestà, riguardando costei e veggendola bellissima e di maniere laudevoli molto, e,
secondo che le sue parole testimoniavano, di grande animo, cominciò di lei ad aver
compassione, dubitando non ella confessasse cosa per la quale a lui convenisse, volendo il suo onor servare, farla morire.20
Ma pur, non potendo cessare di domandarla di quello che apposto l’era,21 le disse: –
Madonna, come voi vedete, qui è Rinaldo vostro marito, e duolsi22 di voi, la quale egli
dice che ha con altro uomo trovata in adulterio; e per ciò domanda che io, secondo che
uno statuto che ci è vuole,23 faccendovi morire di ciò vi punisca, ma ciò far non posso se
voi nol confessate; e per ciò guardate bene quello che voi rispondete, e diterni se vero è
quello di che vostro marito v’accusa.
La donna, senza sbigottire punto, con voce assai piacevole rispose: – Messere, egli è
vero che Rinaldo è mio marito e che egli questa notte passata mi trovò nelle braccia di
Lazzarino, nelle quali io sono, per buono e per perfetto amore che io gli porto, molte
volte stata, né questo negherei mai; ma come io son certa che voi sapete, le leggi deono
esser comuni e fatte con consentimento di coloro a cui toccano.24 Le quali cose di questa non avvengono,25 ché essa solamente le donne tapinelle costrigne, le quali molto
meglio che gli uomini potrebbero a molti sodisfare;26 e oltre a questo, non che alcuna
donna, quando fatta fu, ci prestasse consentimento, ma niuna ce ne fu mai chiamata:27
6 terra: città.
7 nel vero…aspro: veramente severa quanto
ingiusta.
8 E durante…statuto: mentre era in vigore
questa legge.
9 appena…si ritenne: si trattenne appena
dall’assalirli e dall’ucciderli.
10 se non fosse…fatto: se non fosse che temeva per se stesso (per le conseguenze giudiziarie), dando sfogo alla sua ira, l’avrebbe fatto.
11 Rattemperatosi…questo: trattenutosi
da questo.
12 da voler…fare: iperbato da riordinare:
non si trattenne dal volere dalla legge quello
che non gli era lecito fare.
13 al fallo…provare: a provare il fallo della
donna.
14 senza consiglio…richiedere: senza
pensarvi oltre, accusata la donna, la fece chiamare in giudizio.
15 di gran cuore: di animo grande, forte.
16 del tutto dispose: decise.
17 per contumacia…degna: [piuttosto che]
vivere in esilio per il rifiuto di comparire in giudizio e mostrarsi indegna di tale amante.
18 confortata al negare: sollecitata a negare.
19 fermo viso: viso impassibile.
20 dubitando…morire: temendo che ella
confessasse cosa per la quale egli fosse costretto, volendo conservare la sua dignità di
magistrato, a condannarla a morte.
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21 cessare…era: evitare di interrogarla su
quello di cui la donna era accusata.
22 duolsi: si lamenta.
23 secondo…vuole: secondo quanto prescrive una legge che è qui [a Prato].
24 le leggi…toccano: le leggi devono essere
uguali per tutti e fatte con il consenso di coloro
cui esse riguardano.
25 Le quali…non avvengono: a proposito
di questa legge non è così.
26 che sodisfare: poiché costringe all’ubbidienza solo le povere donne le quali molto meglio
degli uomini potrebbero soddisfare molti.
27 non che alcuna donna…chiamata:
ma nessuna donna, quanto la legge fu fatta,
fu invitata a dare la sua approvazione.
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T3 Giovanni Boccaccio Madonna Filippa
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per le quali cose meritamente malvagia si può chiamare. E se voi volete, in pregiudicio28 del mio corpo e della vostra anima, esser di quella esecutore, a voi sta; ma, avanti
che ad alcuna cosa giudicar procediate, vi prego che una piccola grazia mi facciate,
cioè che voi il mio marito domandiate se io ogni volta e quante volte a lui piaceva, senza
dir mai di no, io di me stessa gli concedeva intera copia29 o no. – A che Rinaldo, senza
aspettare che il podestà il domandasse, prestamente rispose che senza alcun dubbio la
donna ad ogni sua richiesta gli aveva di sé ogni suo piacere conceduto. – Adunque –
seguì prestamente la donna – domando io voi, messer podestà, se egli ha sempre di me
preso quello che gli è bisognato e piaciuto, io che doveva fare o debbo di quel che gli
avanza?30 Debbolo io gittare ai cani? non è egli molto meglio servirne un gentile uomo
che più che sé m’ama, che lasciarlo perdere o guastare?
Eran quivi a così fatta essaminazione31 e di tanta e sì famosa donna quasi tutti i pratesi concorsi, li quali, udendo così piacevol risposta, subitamente, dopo molte risa, quasi
ad una voce tutti gridarono la donna aver ragione e dir bene; e prima che di quivi si
partissono, a ciò confortandogli il podestà, modificarono il crudele statuto e lasciarono
che egli s’intendesse solamente per quelle donne le quali per denari a’ lor mariti facesser fallo.32 Per la qual cosa Rinaldo, rimaso di così matta impresa confuso, si partì dal
giudicio; e la donna lieta e libera, quasi dal fuoco risuscitata, alla sua casa se ne tornò
gloriosa.33
28 in pregiudicio: con danno.
29 gli concedeva…copia: gli concedevo
me stessa senza risparmio.
30 di quel che gli avanza: di quel che rimane d’avanzo.
31 essaminazione: interrogatorio.
32 che…fallo: che la legge valesse solamente per quelle donne che tradivano il marito per
denaro.
33 gloriosa: l’aggettivo acquista particolare
rilievo se confrontato con la gloria di Beatrice,
nel capitolo conclusivo della Vita nuova di Dante, di segno decisamente diverso.
Guida alla lettura
Le ragioni di Madonna Filippa Madonna Filippa non
mente come ser Ciappelletto. Non nega di essere stata
con Lazzarino, anzi aggiunge che hanno fatto l’amore
tante volte.
Il punto di forza della sua argomentazione è il punto debole della legge che la condanna, una legge a cui nessuna
donna ha mai dato il suo assenso e per questo iniqua.
L’aver poi soddisfatto sempre le richieste sessuali del
marito mette in una luce diversa il suo adulterio: a Laz-
zarino ha dato il superfluo, quel che «avanzava».
Con la parola Filippa rovescia la situazione, ma anche i
valori costituiti, che quella legge in qualche modo tutelava:
alla fine Lazzarino è «un gentile uomo», la legge un «crudele statuto», Filippa una donna «gloriosa». Un rovesciamento che vede tutti d’accordo («tutti gridarono la donna
aver ragione e dir bene»); «confuso» è solo Rinaldo, il
marito, a cui non resta che uscire di scena («si partì dal
giudicio»).
Esercizi
ANALIZZARE
� Analizza il discorso di Filippa e descrivi la sua
argomentazione.
쐇 Madonna Filippa deve difendersi per la stessa
accusa della moglie di Aldobrandino (cfr. T2, p. 6).
Impostano in modo simile la loro difesa? Analizza e
confronta i loro discorsi, mettendo in luce i diversi
espedienti retorici.
쐋 Elenca sul testo i punti in cui è più evidente la
proposizione di un mondo alla rovescia.
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Il mondo alla rovescia dei ghiottoni e dei furfanti
Nelle feste di Carnevale tutto è rovesciato: i pesci
volano, gli uomini filano, le pecore tosano il pastore. Tutto si può desiderare, tutto si può osare, senza
misura. E così anche il desiderio del cibo diventa
rocambolesca esagerazione, proiezione di un immaginario banchetto, che non trova riscontro nelle misere mense della povera gente, costretta a lottare quotidianamente per un pezzo di pane. Nel
paese di Bengodi, che Maso del Saggio descrive a
Calandrino, le vigne si legavano con le salsicce e sopra una montagna di formaggio parmigiano grattugiato si preparavano gnocchi e maccheroni.
Ognuno poteva servirsi a piacimento, tutto era in
abbondanza, anche il vino, che scorreva a fiumi.
Un paese inventato, che ricorda molto un altro
luogo immaginario, il paese di Cuccagna, dove
scorrono fiumi di brodo e le montagne sono ancora di parmigiano. Ecco allora che tanta abbondanza presuppone una fame smisurata, una voracità gigantesca, come quella di Morgante e Margutte, capaci di mangiarsi un intero bue arrosto, di bere «a
bigonce» e di non sentirsi ancora sazi.
In Rabelais le immagini del cibo sono strettamente
legate a quelle del corpo, nella sua gioiosa esaltazione nelle feste di Carnevale. Il ventre ha un ruolo
importante, per alcuni è addirittura un dio, a cui
far sacrifici, naturalmente culinari. È di nuovo con
l’esaltazione del basso corporeo e dei suoi appetiti
che si attua un rovesciamento dei valori consolidati
dalla tradizione: per Rabelais il corpo ha la stessa
Il Paese di Cuccagna, incisione di Remondini di Bassano (XVIII sec.). Milano, Civiche Raccolte d’Arte Applicata ed Incisioni.
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dignità dello spirito. Nel descrivere l’infanzia di
Gargantua l’autore indugia sul rapporto corporeo
che il bambino stabilisce col mondo («si ruzzolava
sempre nel fango, si sporcava il naso, si impiastricciava la faccia […] si pisciava sulle scarpe, cacava
nella camicia, si puliva il naso coi gomiti, smocciava
nella minestra») e col cibo, una delle tre attività
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fondamentali, insieme al bere e al dormire («beveva nella pantofola»… «si lavava le mani col brodo»… «beveva mentre ingoiava la zuppa; mangiava
il companatico senza pane»… «sputava spesso nel
piatto»… «mangiava cavoli e cacava purea»). Un
elenco interminabile e confuso di pulsioni, bisogni, istinti.
Il rovesciamento del modello
Nel dibattito cinquecentesco sulla lingua e sui modelli, figura di spicco fu il veneziano Pietro Bembo
(1470-1547), che nelle Prose della volgar lingua indicò
come modelli Petrarca e Boccaccio. Il Canzoniere di
Petrarca offrì un esempio alto di linguaggio poetico
a cui riferirsi e sul quale modellare i propri versi. Petrarca rappresentò anche un esempio umano di
compostezza ed equilibrio, per lo scavo e la ricerca
interiore che avevano caratterizzato le sue opere.
Certe volte però il petrarchismo si ridusse ad un calco meccanico, ad una rigida applicazione delle soluzioni adoperate da Petrarca. In molti dei suoi
sonetti Bembo ripropone immagini, attributi, metafore tratte dalle poesie di Petrarca, che risultano però necessariamente svuotate della forza originaria, riducendosi ad esteriore decorazione.
La reazione al petrarchismo si
operò col rifiuto dei modelli e
con la scelta di argomenti quotidiani, espressi in stile prosastico.
Uno dei più significativi esponenti dell’anticlassicismo cinquecentesco fu il toscano Francesco Berni (1496-1535), che non
risparmiò critiche ai seguaci del
petrarchismo: «Copron le teste
d’erbette e di fiori, / fanno ridere il cielo e gli elementi, / voglion ch’ognun s’impregni e s’innamori».
Incisione di Gustave Doré per il
Gargantua e Pantagruele di Rabelais.
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verifiche
Conoscenze
1
Leggi la novella di frate Cipolla di Giovanni Boccaccio e rispondi alle seguenti domande:
1 La novella di frate Cipolla può essere letta in chiave carnevalesca. È possibile infatti riscontrare i vari
tipi di rovesciamento considerati sinora (parodia del sacro, il rovesciamento attraverso la parola, il
rovesciamento del mondo dei ghiottoni e dei furfanti, etc.). Prova a ritrovare nella novella i vari tipi di
rovesciamento.
2 La predica di frate Cipolla è costruita sulla tecnica del rovesciamento. Spiega in che modo il frate
riesce a costruire una realtà parallela, usando una fraseologia equivoca (doppi sensi, parole
inventate, uso storpiato di espressioni latine, etc.), giocando cioè sul senso apparente e sul senso
reale delle parole che usa.
3 Rifletti sulle osservazioni emerse dall’analisi della novella e scrivi un saggio breve, della lunghezza di
circa due pagine, in cui metti in rilievo come la novella rifletta alcuni aspetti tipici del carnevalesco.
Proposte di scrittura
왘 Parole allo specchio
Stefano Bartezzaghi
Leggere il mondo alla rovescia
Non sempre occorre metterci a testa in giù per avere una visione rovesciata delle cose. La si può avere anche
restando in poltrona, incuriositi da una pagina di un settimanale.
Leggi il testo di Bartezzaghi e prova poi a costruire tu dei palindromi, cioè frasi o parole, che lette in senso inverso,
risultano identiche.
Il mondo non cessa di andare alla rovescia. Noi non cessiamo di occuparci di palindromi. Non so se Gibiman sia un nome, un cognome, o altra entità: così si firma però un lettore che ha un vero talento per il palindromo definitorio. Chiamo «definitorio» un palindromo che riesce a costituire un’immagine soddisfacente di qualcosa. Per Gibiman le questioni referendarie sul federalismo sono tutte riassumibili in una
frase palindromica: noi, tu lo vedi, devolution!
Ancora Gibiman su Antinori, il fecondatore artificiale o l’artificiere della fecondazione: ramo dell’ovaia
volle domar.
Conoscevo già lo slogan per la Capitale: Amorevoli: I love Roma. […]
Un’idea diversa del palindromo è invece quella di Giulio De Luise, che va alla ricerca di frasi palindrome che siano una l’anagramma dell’altra. Un esempio: «Con pesanti sassi nello zaino, l’assistente ritornò al
campo affaticato. “È lavoro, vale!”, contestò al professore che lo accusava di aver perso tempo. Ma all’eminente vulcanologo parve subito che il materiale raccolto fosse veramente mediocre. Allora sarcasticamente
apostrofò il suo discepolo dicendo: “È valor o lave?”». Le due frasi in corsivo sono palindromi ma sono
anche l’una anagramma dell’altra.
[…]
Infine Giancarlo Bargnani ci ricorda un palindromo classico (come altro chiamarlo?), che mette in
scena due professori di greco che si spartiscono i compiti da dare alle loro classi: «A essi do l’Iliade, e dai lì
l’Odissea».
da Lessico & Nuvole, «il Venerdì di Repubblica».
© 2012 by G. B. PALUMBO EDITORE S.P.A.
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