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IL FIUME: IL PIU` GRANDE DEPURATORE NATURALE
IL FIUME: IL PIU’ GRANDE DEPURATORE NATURALE IL SISTEMA AUTODEPURANTE DEL FIUME La sostanza organica che raggiunge un corso d’acqua, sia essa di origine naturale come foglie, escrementi e spoglie di animali, oppure antropica come i liquami fognari, viene demolita da un gran numero di microrganismi mentre i prodotti della mineralizzazione vengono riciclati dai vegetali. Il primo sistema depurante dei corsi d’acqua è rappresentato dalle multiformi comunità microscopiche costituite da batteri, funghi, alghe unicellulari, protozoi (ciliati e flagellati, amebe), piccoli metazoi (rotiferi, nematodi, gastrotrichi, tardigradi, oligocheti) che formano quella sottile pellicola biologica scivolosa al tatto, il periphyton, presente sulla superficie dei ciottoli fluviali. Alghe: Diatomee Protozoi: Paramecio Metazoi: Nematodi Questo depuratore naturale supporta un secondo sistema depurante, costituito da larve di insetti, insetti adulti, piccoli crostacei, sanguisughe, planarie, molluschi, oligocheti. Sono i macroinvertebrati bentonici che fungono da acceleratori e regolatori del processo depurativo e sui quali si basa l’I.B.E. (Indice Biotico Esteso), un indice che fornisce la valutazione dello stato ecologico del corso d’acqua. Molluschi: Unio Larva di Tricottero Larva di Efemerottero Questi piccoli organismi possiedono diverse “specializzazioni” (detritivori, erbivori, carnivori) attraverso cui riescono ad utilizzare tutte le risorse alimentari disponibili, rispondendo così in maniera flessibile alle variazioni del carico organico. I macroinvertebrati che si nutrono di batteri ne “ringiovaniscono” le popolazioni, mantenendole così in uno stato di elevata attività; i trituratori, sminuzzando i detriti organici grossolani in particelle minute, ne aumentano grandemente la superficie, potenziando così l’attacco da parte dei batteri. A loro volta i frammenti organici, parzialmente trattati dai batteri, risultano più appetibili ai macroinvertebrati. Perciò l’efficienza di ciascun sistema depurante viene potenziata dall’efficienza dell’altro e, inversamente, il danneggiamento di un sistema depurante si ripercuote negativamente anche sul successivo. Un ulteriore contributo alla rimozione delle sostanze organiche è fornito dai vertebrati quali pesci, anfibi, rettili, uccelli, mammiferi terrestri, che si che si nutrono degli organismi acquatici. Airone Lontra Inoltre, risulta molto efficace il ruolo della vegetazione acquatica nell’azione di assimilazione dei nutrienti. Questi ultimi organismi, sia animali che vegetali, nel loro insieme possono essere considerati il terzo sistema depurante dell’ambiente fluviale. L’efficienza dei tre sistemi è a sua volta condizionata dall’integrità dell’ambiente terrestre circostante, in particolare dalle fasce di vegetazione che costeggiano il corso d’acqua. Questo quarto sistema depurante, oltre a fornire cibo ed habitat agli organismi microscopici, ai macroinvertebrati e ai vertebrati, svolge una duplice funzione depurante, agendo da filtro meccanico e da filtro biologico. La vegetazione delle rive intercetta le acque di dilavamento dei versanti e ne rallenta la velocità, facendo depositare il carico solido e gli inquinanti ad esso legati ed attivando la capacità autodepurante del suolo. Questa attività contribuisce a rendere limpidi i fiumi e ad impedire il riempimento degli spazi vuoti presenti tra i ciottoli (microambienti di primaria importanza per gli altri sistemi depuranti). La stessa vegetazione, inoltre, assume un ruolo protettivo nei confronti dell’eutrofizzazione, poiché rimuove il fosforo e l’azoto presenti. Il risultato complessivo dei processi autodepuranti può venire così schematizzato: I rifiuti organici provenienti dal territorio (A: foglie e frammenti vegetali; B: escrementi e spoglie di animali; C: scarichi antropici), raggiunto il fiume vengono assunti dagli organismi acquatici (D: macroinvertebrati; E: pesci) e trasformati così in biomassa vivente, che in parte viene restituita al territorio sotto forma di insetti alati (F), uccelli (G) e altri. La “lettura” di un fiume non può quindi limitarsi alla valutazione di una sola delle sue componenti, in questo caso tutti farebbero riferimento solo all’acqua, ma deve estendersi all’intero sistema fluviale, del quale sono parte integrante l’alveo, le fasce riparie e le porzioni del territorio circostante che con esso interagiscono più strettamente. Il degrado di un corso d’acqua non è infatti dovuto semplicemente agli scarichi che vi recapitano, ma anche ad artificializzazioni, a canalizzazioni, ad impermeabilizzazione delle aree limitrofe. Per affrontare i problemi legati al degrado dei corsi d’acqua, la metodologia appropriata è rappresentata dall’I.F.F. (Indice di Funzionalità Fluviale), in quanto fornisce un indice di stato dell’ambiente attraverso valutazioni schematiche proprio sulla funzionalità fluviale, ma anche preziose informazioni sulle cause del suo deterioramento ed indicazioni per orientare gli interventi migliorativi. LA CAPACITA’ DI AUTODEPURAZIONE DEL TICINO La qualità biologica del fiume Ticino, così come voluto dal D.Lgs 152/99 e successive modifiche ed integrazioni, viene monitorata dall’A.R.P.A. (Agenzia Regionale per la Protezione dell’Ambiente) quattro volte all’anno in quattro stazioni. Media dei risultati relativi al 2001: Stazione I.B.E.* Vigevano 9 Bereguardo 8 Pavia 9 Valle Salimbene 7/8 *più alto risulta il valore dell’IBE, migliore è la qualità biologica del corso d’acqua A valle di Vigevano l’Indice si abbassa di un’unità, a seguito degli apporti inquinanti in riva sinistra provenienti dal territorio della provincia di Milano. Nel tratto che va da Bereguardo a Pavia non pervengono scarichi rilevanti ed in città si registra un valore più elevato, a conferma delle capacità di autodepurazione del fiume. A valle di Pavia la situazione peggiora: nel Ticino affluiscono il Naviglio, il Gravellone e molti rifiuti risultano presenti in alveo. Poco lontano c’è la confluenza nel Po e la qualità del Ticino non fa in tempo a migliorare. Il ruolo depurativo viene affidato al “grande fiume” che, purtroppo, dopo poche decine di chilometri riceve le acque del Lambro……….. IMITANDO LA NATURA: I DEPURATORI E LA FITODEPURAZIONE GLI IMPIANTI DI DEPURAZIONE BIOLOGICA Le capacità autodepuranti dei fiumi spesso non sono sufficienti a risolvere i problemi legati a carichi inquinanti elevati e concentrati nello spazio, tant’è che di frequente i corsi d’acqua diventano collettori fognari a cielo aperto. L’uomo interviene, anche se in modo ancora insufficiente ed inadeguato, creando ecosistemi artificiali in condizioni estremamente limitate nel tempo e nello spazio: è il caso degli impianti di depurazione biologica a fanghi attivi, utilizzati principalmente per il trattamento delle acque provenienti dai collettori fognari. Nel reattore biologico di questi impianti sono stati ricreati i processi che avvengono in natura, sia processi ossidativi, mediante apporto di aria o di ossigeno, sia processi di degradazione ad opera di batteri, coadiuvati da protozoi e metazoi, che in questo ambiente artificiale trovano condizioni idonee per la loro moltiplicazione e azione. Protozoi degli impianti di depurazione: Vorticella – Aspidisca - Amebe I DEPURATORI SUL TICINO Sul territorio della nostra Provincia, a Pavia e Vigevano, sono presenti due grossi impianti di depurazione, che recapitano direttamente nel fiume. Altri impianti recapitano in modo indiretto, attraverso torrenti, rogge o canali, e sono situati nei Comuni di Bereguardo, Carbonara al Ticino, Cassolnovo, Gambolò, Gropello Cairoli, San Martino Siccomario, Travacò Siccomario, Villanova d’Ardenghi, Zerbolò. Inoltre da frazioni e piccoli nuclei abitativi, direttamente o attraverso cavi irrigui e fossati, pervengono al fiume reflui che hanno ricevuto solo un trattamento parziale e scarichi non ancora depurati. LA FITODEPURAZIONE La fitodepurazione è un processo naturale per depurare le acque reflue che utilizza i vegetali come filtri biologici attivi in grado di ridurre gli inquinanti in esse presenti. I trattamenti di fitodepurazione sono costituiti da trattamenti biologici secondari, che necessitano di un sistema primario di chiarificazione (sedimentazione), e/o da trattamenti terziari, di affinamento, che sfruttano la capacità di autodepurazione degli ambienti acquatici per la rimozione di batteri e di nutrienti (sostanze azotate e fosforo). Un esempio di trattamento terziario: stagni biologici a valle di un impianto di depurazione Un esempio di trattamento secondario, dopo un processo di sedimentazione La rimozione dei nutrienti e dei batteri avviene attraverso gli stessi processi fisici, chimici e biologici degli impianti di depurazione a fanghi attivi, attraverso filtrazione, adsorbimento, assimilazione da parte degli organismi vegetali e degradazione batterica. L’impianto di fitodepurazione rappresenta quindi un’alternativa alla depurazione tradizionale, che rispetta l’ambiente ed è vantaggiosa dal punto di vista economico (risparmio di energia elettrica, in un’ottica di sviluppo sostenibile) ed ambientale (miglior impatto sul paesaggio, eliminazione di trattamenti di disinfezione). L’impianto si configura come una zona umida in cui il suolo è mantenuto costantemente saturo d’acqua e consiste in un bacino poco profondo, impermeabilizzato ove necessario, riempito con un idoneo substrato e arricchito da piante acquatiche, come la tifa (Typha latipholia) o la cannuccia di palude (Phragmites australis). Typha Phragmites Nel nostro territorio la fitodepurazione non ha ancora trovato applicazioni, ma ci sono interessanti prospettive per il suo utilizzo, soprattutto nelle situazioni in cui non è possibile o risulta troppo costoso collettare ed inviare i reflui ad impianti di depurazione o laddove è necessario migliorare la qualità degli scarichi per tutelare il corso d’acqua che li riceve. Imitando la natura, l’uomo ha messo a punto sistemi di depurazione per la salvaguardia delle acque, che “riducono” l’impatto di scarichi civili ed industriali. Sono state realizzate opere importanti ma troppi scarichi sono ancora indepurati o depurati in modo inadeguato. Uno degli obiettivi del decreto legislativo per la tutela delle acque è: “mantenere la capacità naturale di autodepurazione dei corpi idrici, nonché la capacità di sostenere comunità animali e vegetali ampie e ben diversificate”. Nel Ticino potrebbe tornare il temolo (Thymallus thymallus), pesce che ormai l’ha abbandonato perché troppo sensibile all’inquinamento e potrebbero anche scomparire i cartelli con la scritta “Divieto di balneazione – Acque inquinate”, che ormai da decenni costeggiano le sue rive. Fonti utilizzate: - Manuale ANPA 2000: “I.F.F. Indice di Funzionalità fluviale” - “La fitodepurazione, una tecnologia di depurazione naturale”. Convegno ARPA Pavia “Dalla Legge Merli al D.Lgs.152/99 e succ. mod.”, 27-28 gennaio 2003. - Testo Aggiornato del decreto legislativo 11maggio 1999, n.152, recante: “Disposizioni sulla tutela delle acque dall’inquinamento e recepimento della direttiva 91/271/CEE concernente il trattamento delle acque reflue urbane e della direttiva 91/676/CEE relativa alla protezione delle acque dall’inquinamento provocato dai nitrati provenienti da fonti agricole”, a seguito delle disposizioni correttive ed integrative di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 258.