Comments
Description
Transcript
10. Traduzioni a confronto
10. Traduzioni a confronto O fonte di Bandusia che brilli più del vetro e meriti il dolce vino e le corone, domani ti verrà dato un capretto col gonfio delle corna che gli nascono per destinarlo alla lotta e all’amore: no, la creatura vivida del gregge arrosserà di sangue le tue acque di gelo. La spietata Canicola non sa toccarti. E offri la frescura amata ai tori stanchi d’aratura, al bestiame errabondo. Anche tu sarai tra le fontane celebrate, perché parlo di un leccio che sovrasta la tua grotta e la roccia da cui balza la tua acqua purissima che parla. (Trad. E. Mandruzzato) Fonte Bandusia, luce di cristallo, con vini dolci e corone di fiori domani ti consacrerò un capretto che al primo gonfiore delle corna già fantastica contese d’amore e non può credere che arrosserà, spensierato figlio del gregge, le tue acque gelide di sangue. Non sfiorata dall’arsura violenta dell’estate, tu un fresco delizioso sai offrire alle pecore smarrite, ai tori sfiniti dall’aratro. E sempre si ricorderà il tuo nome, se ora canto le querce che crescono su quella rupe, dove tra le fessure scendono mormorando le tue acque. (Trad. M. Ramous ) O fonte di Bandusia chiara più del cristallo, di dolce vino amica e di fiori; domani avrai da me un capretto di nuove corna tumido che Venere prepara alle risse d’amore invano: domani la prole del gregge lascivo tingerà di sangue i tuoi gelidi rivi. Te non tocca l’ardore atroce di Canicola: tu porgi la tua grata frescura ai buoi stanchi del vomere, alle mandrie nella sera erranti. Sarai una fonte nobile per me che canto la foresta di querce alta sul monte ove sgorga tra i sassi la tua onda sonora. (Trad. E. Cetrangolo) Enzo Mandruzzato […] conferisce alla delicata e sommessa melopea di Orazio una energia rude che se ne discosta. I flores diventano più che «corolle», addirittura «corone». Donaberis haedo si trasforma in una sorta di promessa contrattuale: «domani ti verrà dato un capretto col gonfio delle corna che gli nascono» traduce cacofonicamente (oh lo strazio dell’udito nel compitare «col gonfio»!) il tenero verso cui frons turgida cornibus / primis; e cornibus / primis, spezzato in una pesante relativa, «delle corna che gli nascono». Non è poi comprensibile perché Mandruzzato traduca fons con «fontana», che di solito significa altro, sopprimendo il senso dell’acqua sorgiva. Ma vi sono due soluzioni che increspano d’un sorriso incredulo le labbra del lettore appena avveduto. Dunque: Fies nobilium tu quoque fontium / me dicente cavis impositam ilicem / saxis, viene così tradotto: «sarai tra le fontane celebrate / perché parlo d’un leccio che sovrasta / la tua grotta». Intendiamo, parafrasando e ingentilendo: «diverrai una delle nobili fonti, perché io parlo di un (?) leccio» etc. Sembra che la fonte Bandusia sia nobilitata dal discorso oraziano su un (?) albero. Che senso ha? Anche qui la conclusione ha una sua vis: eccessiva in Savino per sonorità e pletoricità aggettivale; in Mandruzzato, prosaica e, in fondo, vagamente comica: «la tua acqua purissima che parla». L’acqua «che parla» non mi sembra proprio adatta a rendere loquaces, che un Pascoli avrebbe tradotto con «chiacchierine», e significa per Orazio, ritengo, «mormoranti». Ma questo ultimo verso seduce i traduttori: Savino ha voluto aggiungere di suo «magici» (a «rivoli»), Mandruzzato si è contentato, evitando la misteriosofia, del superlativo d’un aggettivo inesistente nel testo «purissima» («la tua acqua»). Forse gliel’ha suggerito lymphae, ma egli ha indubbiamente prevaricato. Mario Ramous è invece traduttore sobrio, e solo di rado si lascia sorprendere in flagrante violazione del testo. In questa ode è poi particolarmente felice. Ma è necessario osservargli che, dopo un efficace inizio, «Fonte Bandusia, luce di cristallo, / con vini dolci e corone di fiori / domani ti consacrerò un capretto», con un eccesso di acribia si potrebbe forse obiettargli che «vini dolci» (cioè la postposizione dell’aggettivo) fa pensare ad una connotazione da enoteca («vini dolci» a distinguerla da eventuali vini «asciutti», mentre «dolci vini» sarebbe stato più pertinente). Subito dopo egli si concede libertà eccessiva, sciogliendo quel Frustra, insolitamente forte in Orazio, ad inizio di verso, in una frase umanizzante (molto tenera e pervasa di pietas, a dire il vero): «e non può credere» rinforzata, presumo, dall’aggettivo (inesistente nel testo) «spensierato», a risarcire il lettore dell’aggettivo lascivi (gregis) invece estrapolato. Le «pecore smarrite» e i «tori sfiniti» sono forzature non necessarie, e la prima, forse, inesatta: si tratta di pecore vaganti, non necessariamente «smarrite»; e i tori sono semplicemente «stanchi». Infine, «le querce» sono troppe (non credo che Orazio intendesse generalizzare con quel singolare ilicem). Non comprendo perché Ramous abbia tradotto «quella rupe» sopprimendo cavis: è evidente che Orazio parla di un anfratto roccioso – dal cui interno sgorgava (e per un po’ stagnava in rilucente, piccolo stagno) l’acqua di Bandusia –, se non addirittura di una grotta. Di «fessure» Orazio non parla: cavis … saxis sono appunto «concave rocce, anfratti», non rocce percorse da fenditure. E unde ha senso indiscutibile: «da dove» e non «dove», come traduce Ramous, intendendo che le acque scendano tra le fessure, mentre semmai scenderebbero dalle fessure. Un intero discorso a parte meriterebbe la traduzione di Ezio Cetrangolo. Qui basti dire, e non solo a proposito dell’ode alla fonte Bandusia, che criterio evidente, anche se non dichiarato, del suo tradurre, era quello di una sorta di simbiosi con l’autore latino, una contiguità immedesimante, ma al tempo stesso deformante, per cui dovunque si poteva leggere Lucrezio e Catullo, o Virgilio e Orazio, e dovunque nelle stesse righe Cetrangolo. Egli era uno scudiero entusiasta che quasi sempre finiva, per eccesso d’amore per i suoi cavalieri, col sostituirvisi omologandoli. (L. Canali, Orazio: anni fuggiaschi e stabilità di regime, Ed. Osanna Venosa, Venosa 1988, pp. 74 ss.) La traduzione di Mandruzzato • La parola melopea indica una composizione melodica di ritmo lento spesso ispirata a motivi liturgici: in pratica una preghiera. In senso lato, indica una lenta melodia. Perché si può parlare di melopea per quest’ode oraziana? • Sei d’accordo con Canali quando dice che la traduzione di Mandruzzato contiene una rudezza espressiva incompatibile col tono della preghiera? Argomenta la tua risposta. • È così assurdo rendere flores con «corone», dal momento che si tratta di corone di fiori? (vedi anche la traduzione di Ramous) • Anche tu avverti un tono «contrattuale» nella resa di donaberis haedo con «ti verrà dato un capretto»? Preferisci le altre traduzioni? • Condividi la stroncatura di Canali riguardo al modo in cui Mandruzzato rende cui frons turgida cornibus? Confronta le traduzioni ed esprimi, motivandola, la tua preferenza. cui frons turgida cornibus/ col gonfio delle che al primo gonfiore delle corna che gli corna primis nascono (Mandruzzato) (Ramous) di nuove corna tumido (Cetrangolo) sulla cui fronte spuntano appena le corna (Canali) • Anche a te sembra così incomprensibile che Mandruzzato traduca fons con «fontana»? È vero che in fontana manca il senso dell’acqua sorgiva? (controlla in uno o più vocabolari di italiano) • Perché Canali critica la resa di me dicente …ilicem con «perché parlo d’un leccio»? Come hanno reso gli altri traduttori? Alla luce dell’osservazione di La Penna, che abbiamo riportato nella nota al passo, risulta così assurda l’interpretazione di Mandruzzato? Potresti verificare, su Internet o cercando in biblioteca un manuale di storia dell’arte ellenistica, l’affermazione di La Penna («l’albero isolato è motivo di paesaggio nella poesia e nella pittura ellenistica») e discutere con i tuoi compagni se Orazio non abbia voluto creare un’immagine (quella dell’albero solo) diffusa nella pittura del tempo. • Alla luce delle critiche rivolte da Canali valuta le seguenti traduzioni e esprimi, motivandola, la tua preferenza. Loquaces/ lymphae desiliunt tuae scendono canterine sgorga tra i balza la tua mormorando le sassi la tua balzano le tue acqua tue acque acque onda sonora purissima che parla (Ramous) (Canali) (Cetrangolo) (Mandruzzato) La traduzione di Ramous • Canali preferisce tradurre dulci … mero con «dolci vini» anziché con «vini dolci». Perché? Hai chiara la differenza che, nella lingua italiana, esiste tra posizione anticipata o posticipata dell’aggettivo? • Come è reso da Ramous frustra del v. 7? Ti pare un’eccessiva libertà? Quale delle quattro traduzioni proposte preferisci e perché? • Perché le traduzioni «pecore smarrite» e «tori sfiniti» sarebbero forzature non necessarie e la prima, forse, inesatta? • Non ti pare che il rilievo che Canali fa riguardo alla traduzione di ilicem (che Ramous intende come singolare collettivo) sia in contraddizione con la critica che prima aveva rivolto a Mandruzzato (che aveva intepretato ilicem, appunto, come un effettivo singolare)? La traduzione di Cetrangolo • Sapresti ripetere con tue parole in che cosa, secondo Canali, consiste il modo di tradurre di Cetrangolo? [Ti diamo un aiuto, perché il concetto è difficile: il suo criterio consisterebbe in una simbiosi con l’autore, in un’immedesimazione nell’autore, il quale, per troppo amore, finirebbe per essere omologato al suo traduttore. Simbiosi: «Associazione fra due o più individui appartenenti a specie vegetali o animali diverse, in modo che dalla vita in comune traggano vantaggio entrambi». In senso figurato: «intima associazione» (Vocabolario DISC). Omologare: «Rendere qualcosa conforme a un modello dominante; rendere simile, omogeneo; cancellare le differenze» (Vocabolario DISC)]. Una traduzione del giovane D’Annunzio • A sedici anni, studente al Cicognini di Prato, D’Annunzio tradusse alcuni testi di autori latini, tra i quali anche Fons Bandusiae. Commenta liberamente questa prova del giovane poeta. Al fonte di Bandusia A te di’ un limpido vetro più limpido, degno di ambrosio vino e di florei serti, io darò domane, o fonte di Bandusia un capro giovine a cui dal turgido fronte ora i tenui corni ora spuntano, invan pronto ad amori e ad aspre invan battaglie, ché del vermiglio suo sanguine tingere dovrà i tuoi gelidi, o fonte, rivoli diman questo rampollo di lascivetta greggia. Tu doni a’ tauri stanchi del vomere E al gregge libero frescure amabili; ché te le fiamme atroci del solleone non ardono, te pari a’ nobili fonti, s’io celebri ne’ carmi l’ilice instante a’ concavi sassi onde via loquaci le tue linfe fluiscono. La tua traduzione • A questo punto, tenendo conto delle note al testo, di tutte le informazioni che hai acquisito sin qui riguardo ai significati dell’ode oraziana, e dopo avere discusso con i tuoi compagni le varie soluzioni proposte dai quattro traduttori e dal giovane D’Annunzio, fornisci una tua traduzione dell’ode. Potrai aggiungere note che giustifichino le tue scelte espressive.