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Associazione professionale Petracci Marin - www.petraccimarin.it TRIBUNALE DI TRIESTE Giurisprudenza a cura di Fabio Petracci, Francesca Valente, studio Petracci – Marin, Trieste – Treviso Infortunio – responsabilità del datore di lavoro Tribunale di Trieste, 24 maggio 2014, Giudice Multari; ric.GS res. TTSPA Aggressione ad autista di linea effettuata presso la fermata del bus – responsabilità del datore di lavoro insussistenza. Premesso che la responsabilità del datore di lavoro ex articolo 2087 del codice civile non può definirsi quale responsabilità oggettiva, deve ritenersi che essa sussiste solo laddove il datore di lavoro non abbia adottato le cautele necessarie ed utili ad impedire l’evento. Nel caso di specie, trattandosi di conducente, aggredito proditoriamento da utente che l’aveva indotto a scendere dal mezzo in sosta, per fornirgli informazioni in merito agli orari, nulla può essere imputato al datore di lavoro che, stante la peculiarità del caso, l’assenza di rilevanti precedenti, l’impossibilità di totale autodifesa, nulla avrebbe potuto fare per evitare l’episodio. Un conducente di autobus di linea cittadina, durante una sosta del mezzo, viene chiamato da un utente a terra per avere delle informazioni in merito alla tabella degli orari, ivi collocata. Improvvisamente viene assalito dall’utente e subisce lesioni. L’INAIL riconosce l’infortunio sul lavoro, ma il dipendente ritiene sussistere anche responsabilità del datore di lavoro che non avrebbe disposto ed attuato le misure idonee a prevenire il fatto. Il Tribunale di Trieste non riconosce responsabilità alcuna in capo al datore di lavoro, ritenendo come quest’ultimo non avrebbe potuto individuare ed attuare misure idonee ad impedire un simile episodio. Nota. La decisione del Tribunale di Trieste conformemente a prevalente ed autorevole giurisprudenza, conferisce al disposto dell’articolo 2087 del codice civile il contenuto di un obbligazione contrattuale la cui violazione presuppone comunque un comportamento colpevole di una delle parti. Ciò va precisato anche in presenza dell’articolo 2087 del codice civile che impone a carico del datore di lavoro un’obbligazione di sicurezza a tutto campo, ma non per questo da individuarsi come responsabilità oggettiva. Nel caso di specie, l’anomalia dell’evento, ma ancor di più l’impossibilità di apprestare qualunque tipo di ragionevole prevenzione, impone al giudicante di dichiarare l’assenza di responsabilità in capo al datore di lavoro. I casi di aggressione in ambito lavorativo e soprattutto nell’ambito degli istituti di credito anche in occasione di rapine hanno ripetutamente sollecitato l’attenzione dei giudici del lavoro. Gli oneri che incombono sul lavoratore che intenda agire per il risarcimento del danno da infortunio sul lavoro sono precisati da una recente pronuncia della Suprema Corte (Cassazione Civile Sezione Lavoro 18.7.2013 n. 17585 Diritto e Giustizia On Line con nota di Scofferi), alla cui massima si legge: Il lavoratore che agisca per il risarcimento del danno da infortunio sul lavoro deve allegare e provare: l'esistenza dell'obbligazione lavorativa, l'esistenza del danno ed il nesso causale tra quest'ultimo e la prestazione. Spetta poi al datore di lavoro, per essere esentato da responsabilità, provare la riconducibilità del danno ad una causa a lui non imputabile e, quindi, di aver adempiuto all'obbligo di sicurezza, apprestando tutte le misure per evitare il danno (cassata la decisione del giudice di merito che aveva escluso l'obbligo in capo alla banca di risarcire i danni subiti da una lavoratrice a seguito di alcune rapine 1 Associazione professionale Petracci Marin - www.petraccimarin.it compiute nel periodo dal 1976 al 2004 presso la sede ove essa aveva prestato la propria attività lavorativa in considerazione del fatto che la ricorrente non aveva allegato né provato l'omessa predisposizione da parte del datore di lavoro di misure di sicurezza idonee ad evitare le rapine, limitandosi ad allegare la manifestazione di segni di paura e disagio nell'immediatezza di ciascuna rapina e l'installazione di porte antirapina solo nel 1982, successivamente ai primi due episodi criminosi). L’autore, quindi, premesso che la responsabilità del datore di lavoro è di natura contrattuale, espone quindi una breve sintesi degli oneri che incombono sul lavoratore in base a tali principi, affermando che, il lavoratore che agisca per il risarcimento del danno da infortunio sul lavoro deve allegare e provare i) l'esistenza dell'obbligazione lavorativa; ii) l'esistenza del danno; ed iii) il nesso causale tra quest'ultimo e la prestazione. Sarà poi il datore di lavoro, per essere esentato da responsabilità, a dover provare la riconducibilità del danno ad una causa a lui non imputabile e, quindi, di aver adempiuto all'obbligo di sicurezza, apprestando tutte le misure per evitare il danno. Conformemente a quanto ribadito dal Tribunale di Trieste, non si configura una responsabilità oggettiva. Nel corso della motivazione della recente pronuncia della Cassazione viene infatti affermato che , «non comporta l'affermazione tout court di una responsabilità oggettiva ex art. 2087 c.c., nella stessa misura in cui l'allegazione del mancato pagamento di una somma di denaro non comporta una responsabilità oggettiva del debitore ex art. 1218 c.c.». Per quanto attiene in particolare la responsabilità del datore di lavoro nel caso di aggressione da parte di terzi, per la gran parte trattasi di rapine ad istituti bancari, sorge nello specifico il problema di vedere in che termini il datore di lavoro debba adempiere all’obbligo contrattuale di sicurezza che gli incombe. In proposito, la Suprema Corte (Cassazione Sezione Lavoro 28.2.2012 n.3033) affermava che il bancario che subisce un infortunio sul lavoro, in occasione di una rapina, non ha diritto al risarcimento del danno, qualora la banca abbia adempiuto gli obblighi di cui all'art. 2087 c.c., osservando gli standard di sicurezza presenti in tutte le altre filiali dell'istituto. Ciò vale a maggior ragione se il lavoratore infortunato non abbia indicato nel ricorso ulteriori sistemi di sicurezza, suggeriti da conoscenze sperimentali e tecniche oppure dagli standard di sicurezza normalmente osservati, che la banca avrebbe potuto o dovuto osservare. Osserviamo in proposito, che il giudice di legittimità pare adombrare un onere “propositivo” che verrebbe ad incombere sul lavoratore di indicare in qualche modo le cautele anche tecniche che il datore di lavoro avrebbe dovuto adottare. In tale indirizzo, si inserisce anche Cassazione Sezione Lavoro 17.12.2007 n. 26564 in Guida al Diritto 2008,41, la quale afferma che, per ritenere una responsabilità del datore di lavoro ai sensi dell'art. 2087 c.c., non è sufficiente provare che l'infortunio è avvenuto nel corso del servizio o che non siano state rispettate norme di sicurezza sul lavoro, dovendo il lavoratore provare che l'infortunio di cui è rimasto vittima sia dipeso proprio dalla mancata osservanza delle invocate norme di sicurezza da parte del datore di lavoro. (Nella specie, è stata rigettata la richiesta di risarcimento di un lavoratore addetto a servizio di guardia giurata che, adibito a un doppio turno continuato di lavoro, durante il quale era rimasto ferito in un tentativo di rapina, non aveva dedotto né provato che il ferimento fosse dipeso dalla stanchezza dovuta al doppio turno). Sempre in tema di obbligo di sicurezza ex articolo 2087 ed aggressioni al personale, la Corte di Cassazione (Sezione Lavoro 5.12.2001 n.15350 in Riv.It.Dir.Lav.2002, pag.778, fasc.4 con nota di Stizia , contenuti dell’obbligazione di sicurezza e tutela dei dipendenti contro il rischio di rapina) ha analizzato il caso di una lavoratrice, la quale, a causa di cinque rapine subite, nell'arco di sette anni, dall'ufficio postale cui era addetta, aveva sofferto forti traumi emotivi, contestava alle Poste Italiane s.p.a. sosteneva la violazione 2 Associazione professionale Petracci Marin - www.petraccimarin.it dell'obbligo di protezione per inidoneità delle misure di sicurezza concretamente predisposte a salvaguardia dell'integrità psichica, fisica e morale dei dipendenti. La ricorrente, in dettaglio, lamentava la mancanza di un sistema di vigilanza privata ovvero, in alternativa, la mancata presenza costante della forza pubblica, e la carenza di sistemi di rilevamento elettronici all'entrata dei clienti, denunziando, conseguentemente, l'insufficienza dell'apparato prevenzionale in uso. Nell'ufficio postale in questione erano presenti i carabinieri all'apertura e alla chiusura dell'ufficio; era installato un sistema di teleallarme collegato con il Comando dell'Arma, ed erano presenti un vetro antiproiettile e sbarre per separare i dipendenti dal pubblico, il quale accedeva all'ufficio attraverso porte a polmone correttamente funzionanti. La Cassazione, valutati questi elementi respingeva il ricorso, in forza del già emerso principio in base al quale la responsabilità ex articolo 2087 c.c. pur rappresentando un onere di sicurezza “a tutto campo” non immedesima un principio di responsabilità oggettiva. Il tema fu affrontato in primis, da Cass. 6 settembre 1988, n. 5048 ( GC, 1988, II, 2868, con nota adesiva di V. Marino, Sul confine tra inadempimento dell'obbligazione di sicurezza e oggettivazione della responsabilità per danno ai dipendenti); le pronunzie successive si adeguarono a tale indirizzo. In particolare, cfr. Cass. 17 luglio 1992, n. 8724, RGL, 1992, 988, con nota di F. Petracci, Rapina negli istituti di credito e tutela della salute; P. Parma 28 febbraio 1996, D&L, 1996, 655; Cass. 3 settembre 1997, n. 8422, GC, 1998, II, 79, con nota adesiva di V. Marino, La colpa quale presupposto della dichiarazione di responsabilità ex art. 2087 c.c.; Cass. 20 aprile 1998 n. 4012, q. Riv., 1999, II, 326, con nota di G. Mautone, Sul contenuto specifico dell'obbligo di prevenzione delle rapine a carico dell'istituto di credito e sulle conseguenze del suo inadempimento; Cass. 7 novembre 2000, n. 14469, LG, 2001, 4, 374. In dottrina, con attenzione specifica al tema in esame, cfr. L. Montuschi, Recenti evoluzioni del danno alla persona nel rapporto di lavoro: danni non patrimoniali; onere della prova ed equità del giudice, in Rass. giur. lav. Veneto, 2000, 40; M. Lanotte, cit.; V. Marino, sub art. 2087, Comm. breve alle leggi sul lavoro, a cura di M. Grandi e G. Pera, II ed., Padova 2001. Di recente, l’essenzialità della colpa del datore di lavoro e quindi l’insussistenza di una responsabilità oggettiva, è ribadita dalla Suprema Corte (Cassazione Civile Sezione Lavoro 19.6.2014 n.13957 in Diritto& Giustizia 2014, 20 giugno, con nota di Roberto Duilio) che in tema di condotte arbitrarie ed esorbitanti del lavoratore, afferma: “Anche se la responsabilità del datore di lavoro ex art. 2087 c.c. viene esclusa di fronte ad una condotta imprudente ed arbitraria, eccedente la normale prestazione lavorativa richiesta, determinata da impulsi puramente personali, tale responsabilità deve sempre fondarsi su di una colpa del datore di lavoro. Conseguentemente è richiesto il nesso di causalità tra evento e danno subito, non potendosi considerare responsabilità oggettiva, essendone elemento costitutivo la colpa, quale difetto di diligenza nella predisposizione delle misure idonee a prevenire ragioni di danno per il lavoratore. In mancanza di tale elemento colposo il lavoratore non avrà diritto a vedersi risarcito il danno da parte del datore di lavoro.”. 3