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Bullismo e mobbing nella scuola

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Bullismo e mobbing nella scuola
3° Modulo
Bullismo e mobbing nella scuola
Sommario
In questo modulo cercheremo di tracciare alcune chiare chiavi di lettura dei fenomeni
del bullismo fra i ragazzi e del mobbing fra gli adulti. L'ambiente di riferimento è
ovviamente la scuola che rappresenta quindi il teatro ove si svolgono queste
problematiche ma, ad un tempo, l'ambiente formativo privilegiato per una loro
soluzione.
L’approccio è, come sempre di carattere pedagogico-sociale, teso cioè a cogliere le
conseguenze nell’ambiente sociale sul piano formativo di queste questioni di stringente
attualità in termini di disagio, abbandono scolastico, e ricadute sulle prassi di
insegnamento.
Una parte consistente della lezione verterà sulle proposte operative pensate per
l’ambiente scolastico, sia preventive, sia, per così dire d’attacco, su progetti e attività da
proporre in classe rivolte ai giovani, e su strategie formative rivolte agli insegnati tese
ad analizzare le dinamiche relazionali nei rapporti con la dirigenza, fra colleghi, con gli
alunni.
Temi:
1) Bullismo , baby gang e molestie fra ragazzi nella scuola: come identificare il
fenomeno;
2) Gli spazi e momenti della sopraffazione nella scuola;
3) Analizzare il problema: osservazione, rilevazione, valutazione dei dati;
4) Progetti e linee di intervento per la prevenzione e per affrontare il problema;
5) Mobbing nel lavoro: la difficoltà di relazione nell’ambiente scolastico;
6) Processi e stili formativi nel gruppo dei colleghi;
7) Gli aspetti legislativi e normativi.
Primo tema
Le molestie fra ragazzi nella scuola: come identificare il fenomeno
Sempre più spesso le cronache ci danno testimonianza di violenze e prevaricazioni che
si verificano fra i banchi della scuola ad opera di ragazzi e ragazze contro i propri stessi
compagni.
“Tutto ciò non accade soltanto in zone economicamente e culturalmente depresse, e
neppure è appannaggio privilegiato di quei contesti in cui arrivismo esasperato e
concorrenza spietata dominano incontrastati. No, sembra piuttosto trattarsi di una
stortura della natura umana, che ormai pervade ogni angolo del pianeta e che segna il
destino degli individui fin dagli anni dell’infanzia. (A. Fonzi, Piccoli Bulli crescono, in
“Psicologia Contemporanea”, n. 144, 1997)”.
Queste molestie, sia fisiche sia morali, vengono genericamente definite entro la
categoria del bullismo. Ma di cosa si tratta esattamente, e che ruolo vi esercita
l’ambiente scolastico?
“Quello delle prepotenze tra bambini e ragazzi è indubbiamente un problema di origine
antica. Ma solo recentemente, in particolare nel corso degli anni Settanta, esso è
diventato oggetto di ricerche scientifiche sistematiche. (…) Dai dati finora emersi in
paesi europei ed extraeuropei posiamo dire che: 1. Sono più i maschi che le femmine a
subire prepotenze; 2) anche fra le ragazze si verificano episodi di bullismo: in questi
casi, però, entrano in gioco modalità di tormento più sottili, raffinate ed indirette; 3.
Sono molte le prepotenze che vengono compiute dai ragazzi nei confronti delle ragazze;
4. Da studenti più grandi nei confronti dei più piccoli; 5. molti dati, infine, evidenziano
che i modelli comportamentali della relazione bullo-vittima tendono a mantenersi stabili
nel tempo (D. Olweus, Bulli, in “Psicologia contemporanea”, n. 133, 1996)”.
Quindi ….
“Un comportamento da bullo è un tipo di azione che mira deliberatamente a far del male
o danneggiare; spesso è persistente, talvolta dura per settimane, mesi e persino anni ed è
difficile difendersi per coloro che ne sono vittime. Alla base della maggior parte dei
comportamenti sopraffattori c’è un abuso di potere e un desiderio di intimidire e
dominare (S. Sharp e P. Smith, Bulli e prepotenti nella scuola, Prevenzione e tecniche
educative, Trento, Erickson, 1995, tit. orig. Tackling bullying in your school. A pratical
handbook for teachers, p. 11)”.
Quali sono i comportamenti che possiamo identificare con questo fenomeno senza
rischiare di scambiare lazzi e scherzi generici per vera e propria violenza?
“Il bullismo assume forme differenti:
-fisiche: colpire con pugni o calci, appropriarsi di, o rovinare, gli effetti personali di
qualcuno;
-verbali: deridere, insultare, prendere in giro ripetutamente, fare affermazioni razziste;
-indirette: diffondere pettegolezzi fastidiosi, escludere qualcuno da gruppi di
aggregazione.
Alcuni comportamenti da bullo possono essere molto sottili. Una volta che un alunno o
un gruppo di alunni abbiano stabilito una relazione di dominanza rispetto a un altro
alunno o gruppo di alunni, talvolta è loro sufficiente solo uno sguardo minaccioso per
ribadire la propria posizione di forza. (idem, p. 12)”.
Questi atteggiamenti rientrano nella categoria della vessazione violenta quando sono
protratti nel tempo ed esplicitano il fine di intimidire ed asservire un individuo o un
piccolo gruppo di individui. Di fatto è stato riscontrato che si tratta di una delle cause
più diffuse dell’abbandono scolastico a partire dalla scuole elementari, per raggiungere
dimensioni più raffinate e, ad un tempo, più considerevoli nella scuola media e in quella
superiore.
Ma quali sono gli effetti del bullismo nella scuola?
“Un comportamento prepotente può influenzare negativamente gli alunni in parecchi
modi. Le vittime dei bulli hanno vita difficile, possono sentirsi oltraggiate, possono
provare il desiderio di non andare a scuola. Nel corso del tempo è probabile che perdano
sicurezza ed autostima, rimproverandosi di attirare le prepotenze dei compagni. Questo
disagio può influire sulla loro concentrazione e sul loro apprendimento. (…) Nel corso
degli anni gli alunni che sono stati insistentemente vittime di comportamenti vessatori
hanno più probabilità, da adulti, di soffrire di episodi depressivi. Addirittura in certi
casi, in un numero molto ristretto di alunni, subire comportamenti prepotenti e
intimidatori può mettere in serio pericolo di vita, portando a lesioni gravi o persino alla
morte (Idem, p. 12)”.
Cosa accade quando queste dinamiche perverse non vengono identificate come tali dagli
insegnanti e dai genitori?
“Se tali comportamenti non vengono ostacolati, il bullismo tende a diffondersi: altri
alunni possono imparare che comportandosi in modo prepotente è un modo efficace e
rapido per ottenere quello che si vuole. La prepotenza può arrivare a pervadere le
relazioni tra compagni e venire accettata come normale. Gli alunni che hanno
sistematicamente sopraffatto in vario modo gli altri hanno molte più probabilità da
adulti di venire condannati per comportamenti antisociali. Se non vengono dissuasi
possono continuare a usare tattiche intimidatorie e aggressive nelle loro relazioni
interpersonali (ibidem)”.
Il personale della scuola, i docenti, i dirigenti, i collaboratori del preside devono
disporre di dati oggettivi per intervenire efficacemente e, soprattutto, per coinvolgere, in
questo le famiglie che devono essere rese consapevoli della gravità del problema.
E’ indispensabile, infine accertare dove esattamente si manifestano le azioni di
prepotenza e sopraffazione e stabilire un progetto di vigilanza e prevenzione.
Ma come è possibile identificare il fenomeno e analizzarlo?
Quando ci troviamo di fronte a ragazzi che manifestano evidenti segni di disagio sia
nelle relazioni con i pari sia nel rendimento scolastico o nella frequenza ecc…
dobbiamo porci la domanda se si sono verificati o se si stanno verificando episodi di
violenza e prevaricazione.
Ci sono diversi modi per identificare e analizzare il bullismo:
-ricerche basate su questionari
-colloqui
-attività di classe, interclasse o con il singolo alunno.
Il questionario da somministrare ai ragazzi deve essere calibrato sull’ambiente
scolastico nei suoi rapporti con il territorio e dovrà mirare a quantificare gli episodi di
violenza, la loro frequenza in determinati archi temporali. E’ opportuno alternare items
che indicano eventi neutri o piacevoli ad altri – circa una metà - che invece testimoniano
comportamenti vessatori, evitare domande dirette e una terminologia che esprime una
valenza emozionale troppo elevata.
Quali sono le informazioni che andremo a rilevare?
-Un indice degli episodi aggressivi
-Un quadro del clima scolastico
-Elementi per identificare sia le probabili vittime sia i prepotenti.
Un esempio di domande tipo alle quali il giovane può rispondere – mai, una volta, più
di una volta - sia in modo anonimo sia firmando con il proprio nome:
Durante questo mese:
sono stato insultato
ho ricevuto apprezzamenti
mi sono stati sottratti effetti personali
ho ricevuto regali, cortesie, informazioni
sono stati danneggiati alcuni oggetti di mia proprietà
mi sono stati chiesti soldi
sono stato aiutato durante un compito in classe
i compagni mi isolano nei momenti ricreativi
sono stato aggredito
………………….
Per approfondimenti cfr:.
C. Keise, Sugar and spice: bullyng in single sex schools, Soke on trent, trentham Books,
1992;
1) Fonzi, Persecutori e vittime fra i banchi di scuola, in “Psicologia contemporanea”,
129, 1995;
M. Genta, E. Menesini, A. Fonzi, A. Constabile, Bulli e vittime in Italia: analisi del
fenomeno in alcune scuole di Firenze e Cosenza, in “Età evolutiva”, 53, 1996.
Secondo tema
Gli spazi e momenti della sopraffazione nella scuola.
Dove si verificano le violenze?
“Per la maggior parte degli alunni, gli episodi di bullismo si verificano a scuola o
intorno ad essa, soprattutto in cortile. Nelle scuole elementari tre quarti delle angherie si
verificano durante gli intervalli o le pause per il pranzo. Nella scuola media inferiore e
superiore questi fenomeni hanno luogo più omogeneamente in tutti gli spazi all’aperto
della scuola, nei corridoi e nelle classi.
Il ristretto gruppo di alunni che subisce sistematicamente tali comportamenti riferisce di
essere vittima non solo a scuola ma anche lungo la strada da casa e ritorno. Per questi
alunni la casa, talvolta, è il solo posto sicuro. (idem, p. 14)”.
Come identificare il luoghi ad alto rischio?
Quali attività proporre, nel concreto, alla classe per individuarli?
“L’uso di piantine.
Mostrate agli alunni alcune piantine della scuola, (dell’interno e dell’esterno) e chiedete
loro di evidenziare il luoghi in cui si verificano situazioni di prepotenza e di sopruso o
dove si sentono al sicuro. Le aree che vengono descritte come insicure da più di metà
degli alunni saranno considerate ad alto rischio.
L’uso di fotografie.
Prendete fotografie di luoghi differenti dell’interno e dell’esterno della scuola.
Attaccatele al muro o incollatele su cartelloni in modo che gli alunni possano vederle
bene. Sotto ogni fotografia collocate due buste, una contrassegnata da un viso sorridente
e una da un viso triste. Ogni alunno dovrà inserire una fiche o un gettone in una delle
due buste per indicare cosa pensa di quel luogo. Contate le fiche/gettoni di ogni busta. I
luoghi che sono stati identificati come “tristi” dalla maggior parte degli alunni sono
probabilmente “ad alto rischio” (idem, p. 29)”.
I momenti in cui si verificano le molestie più grossolane sono quelli maggiormente
anomici, quelli cioè che sfuggono istituzionalmente al controllo degli insegnanti.
Viceversa molti comportamenti di tipo intimidatorio, allusivo, sottilmente offensivo,
possono verificarsi anche in presenza dei docenti.
E’ evidente che questi ultimi dovranno essere in grado di leggere i sintomi e i messaggi
sottesi a certi comportamenti, così come di registrarne la frequenza, indice
estremamente significativo per discriminare un clima contrassegnato da scherzi più o
meno pesanti da quello che “ospita” intenzionalità violente in modo sistematico e
pervasivo.
Per approfondimenti cfr:.
D. Olweus, Aggression in the schools. Bullies and whipping boys, Washington,
Hemisphere Press (trad. it. Aggressività nella scuola, Roma, Bulzoni, 1983);
D. Olweus, Bully victim problems among schoolchildren: Basic facts and effects of a
school based intervention program. I D. Pepler e K. H. Rubin (a cura di), The
development and treatment of childhood aggression, Hillsdale, NJ, Erlbaum, 1991.
Terzo tema
Analizzare il problema: osservazione, rilevazione, valutazione dei dati;
Normalmente chi viene coinvolto? Chi recita la parte mortificante della vittima e quali
caratteristiche assume la morfologia comportamentale dell’arrogante?
“Potenzialmente tutti possono essere coinvolti in situazioni di bullismo, come agenti o
come vittime. Gli alunni che assumono atteggiamenti da bullo sono ragazzi singoli o
gruppi di parecchi ragazzi. Le ragazze tendono ad assumere tali comportamenti in
gruppo, spesso ricorrendo a forme sfumate che possono risultare agli insegnanti più
difficili da individuare. Ragazzi usano tendenzialmente forme più dirette, in particolare
soprusi fisici.
Normalmente gli alunni che agiscono da bulli sono della stessa classe o dello stesso
anno degli alunni che subiscono. Probabilmente scoprirete che ci sono alcune classi
nella vostra scuola dove il livello di bullismo è insolitamente alto. Se c’è una differenza
di età, gli alunni che assumono tali comportamenti sono di solito più grandi di quelli che
li subiscono. (…)
Gli alunni che non hanno grandi amici a scuola e che sono spesso da soli, o che hanno
difficoltà a dimostrare sicurezza con i loro compagni, sono più facilmente vittime dei
bulli. Anche gli alunni percepiti in qualche modo “ diversi ” dalla maggioranza possono
essere a rischio. Alcuni alunni possono persino provocare attacchi a loro danno
comportandosi inadeguatamente (…)
Alcuni tra gli alunni più simpatici e disponibili possono essere piuttosto cattivi con i
loro compagni. Alcuni tra gli alunni più capaci e socialmente integrati possono subire
regolarmente dei soprusi e temere molto i compagni che li tormentano. (idem, pp.
14/15)”.
Come reagiscono i ragazzi? Con chi ne parlano e cosa ne pensano?
“ Questi comportamenti vengono tenuti deliberatamente nascosti agli insegnanti, gli
alunni che li subiscono potrebbero essere restii a raccontarli per paura di rappresaglie,
per vergogna o per paura di non essere presi sul serio. Anche quando viene interrogato
direttamente da un insegnante, un alunno potrebbe negare di essere vittima di soprusi o
intimidazioni, preferendo indossare “la maschera del coraggio”.
La maggior parte degli alunni non ama i soprusi e vorrebbe essere in grado di aiutare i
compagni. Per le scuole che vogliono fare qualcosa a questo proposito, questi alunni
sono degli alleati importanti. Il bullismo fa parte della cultura degli alunni e dovete
lavorare in collaborazione con i vostri alunni per ottenere un cambiamento significativo.
(Idem, p 15)”.
A fronte di queste complesse problematiche è molto importante da un lato saper
cogliere i segnali che possono prefigurare episodi di bullismo e, successivamente
disporre di dati il più possibile oggettivi.
Questa risulta essere una operazione indispensabile sia per motivare tutti quelli che
lavorano nella scuola (dirigenti, insegnanti, operatori, bidelli – sia per rendere il
personale e gli alunni consapevoli del fenomeno, infine per stabilire un progetto
formativo che consenta di intervenire efficacemente e di operare affinché, nel futuro,
questi episodi possano essere prevenuti o soffocati sul nascere.
Per quanto riguarda la rilevazione, la formalizzazione e la successiva analisi dei dati
torniamo a citare le schede di rilevazione e i questionari ai quali abbiamo fatto
precedentemente cenno:
“ogni alunno che barra una qualsiasi voce nella categoria “più di una volta” è a più alto
rischio di subire angherie. Se vogliamo scoprire chi è vittima di tali comportamenti
dovremo chiedere agli alunni di scrivere il proprio nome sul questionario prima di
riempirlo. Questo, tuttavia, può rendere alcuni alunni più restii a fornire informazioni
negative su se stessi.
(…)
Gli alunni possono venire coinvolti nell’ideazione e nella somministrazione del
questionario, così come nell’analisi dei risultati. In questa maniera aumenterà la
consapevolezza riguardo i comportamenti bullistici, e gli alunni avranno la possibilità di
apprezzare gli effetti del questionario e prenderlo più seriamente.
Il questionario può essere ideato per andare incontro a specifiche necessità della propria
scuola. (idem, p. 25)”.
Ma quali sono gli elementi e i dati che questi strumenti di osservazione e di rilevazione
devono evidenziare?
La frequenza delle prepotenze; i modi e gli atteggiamenti con le quali si esprimono;
cosa ne pensano gli studenti, quali sentimenti provano; se, quando e come ne hanno
parlato con qualcuno ed eventualmente con chi; quali sono i provvedimenti che si
prendono o si possono prendere per evitare il verificarsi di situazioni vessatorie o
violente.
E i suggerimenti per una corretta somministrazione?
Questionari, schede di rilevazione, momenti di ascolto devono poter disporre di un
ambiente tranquillo, devono far riferimento a domande o istruzioni molto chiare,
garantire l’anonimato e la massima privacy, possibilmente queste operazioni devono
essere condotte da una persona diversa del docente della classe, infine è necessario
ripetere tali esperienze ad intervalli regolari per verificare eventuali persistenze o
incongruenze.
Per quanto riguarda i colloqui è opportuno che chi li conduce non abbia un rapporto
stretto con la classe in quanto potrebbe influenzarne l’andamento, è poi utile apprendere
quelle modalità di approccio relazionale che consentono al ragazzo di rilassarsi, non
chiedere ai ragazzi di ripetere le ingiurie o gli insulti e concludere la conversazione con
un atteggiamento positivo.
Come identificare chi recita la parte dell’arrogante?
Alcune informazioni possono risultare molto utili a questo scopo: quale o quali studenti
godono di una certa popolarità, chi manifesta un atteggiamento positivo e sicuro di sé,
chi diviene più facilmente oggetto di lazzi e scherzi, chi reagisce spesso contro uno o
più compagni.
Riferimenti bibliografici.
Fonzi, Persecutori e vittime fra i banchi di scuola, in “Psicologia Contemporanea”, n.
129,
1995;
E. Menesini, Bullismo, che fare?, in “Psicologia Contemporanea”, n.149, 1998.
A. Fonzi ( a cura di), Il bullismo in Italia, Firenze, Giunti, 1997.
Quarto tema
Progetti e linee di intervento per la prevenzione e per affrontare il problema.
Il problema è di ordine sociale e le strategie di intervento devono coinvolgere il gruppo
classe e, più in generale, la scuola nel suo insieme, perché è nelle dinamiche relazionali
che riguardano la socialità dell’istituto che risiede prevalentemente l’origine del
problema.
“Una politica integrata di istituto dovrebbe essere lo strumento centrale per affrontare il
problema dei comportamenti bullistici nelle scuole. La politica antibullismo fornisce
una struttura di base per l’intervento e la prevenzione e dovrebbe andare oltre a quelle
che sono le normali regole già esistenti nella scuola riguardo la disciplina e alle pari
opportunità. (…)
Per politica intendiamo una dichiarazione di intenti che guidi l’azione e
l’organizzazione all’interno di una scuola, l’esplicitazione di una serie di obiettivi
concordati che diano agli alunni, al personale e ai genitori un’indicazione e una
dimostrazione tangibile dell’impegno della scuola a fare qualcosa contro i
comportamenti bullistici. Per permettere poi l’attuazione della politica così come
definita nell’impianto normativo, la scuola dovrà mettere in atto concrete procedure
volte a prevenire e a trattare tali comportamenti ogni qualvolta si manifestino. Sia la
definizione della politica che l’attuazione delle strategie conseguenti favoriscono un
approccio coerente del personale rispetto agli episodi di bullismo e la promozione di
valori antibullismo in tutta la scuola. (S. Sharp e P. Smith, Bulli e prepotenti nella
scuola, cit., pp.31/32)”.
E, a parte gli interventi sull’istituzione, sui ragazzi quali linee di intervento mettere in
atto, considerando che i giovani sono portati in genere a stigmatizzare gli episodi di
violenza, ma che raramente si adoperano per impedirli o farli cessare?
“Ed è proprio in questa assunzione di responsabilità che, a nostro parere, dovrebbe far
leva qualsiasi programma di intervento che non miri soltanto alla repressione, ma punti
a creare una mentalità antibullismo che, partendo da motivazioni empatiche, si traduca
in regole da rispettare e in azioni che concretizzino tale rispetto.
E’ lo sviluppo della prosocialità lo scopo ultimo del nostro lavoro. Perché, come ricorda
con forza lo scrittore sudcoreano Yi Munyol nel suo splendido romanzo Il nostro eroe
decaduto, così vicino alla tematica di cui ci stiamo occupando, “la dittatura è inevitabile
dovunque gli uomini rinunzino alla ragione e alla dignità”. (A. Fonzi, Piccoli Bulli
crescono, in “Psicologia Contemporanea”, n. 144, 1997)”.
Risulta quindi di fondamentale importanza elaborare programmi rivolti a studenti,
docenti e dirigenti scolastici, genitori e pedagogisti sociali che abbiano l’obiettivo di
favorire una cultura della solidarietà a partire dal gruppo classe. Le situazioni di
apprendimento devono favorire l’ascolto, il sostegno emotivo e la maturazione dei
compagni per favorire, ad un tempo, l’autostima, la consapevolezza di sé, lo sviluppo
delle capacità d’aiuto e comprensione.
… e a proposito di programmi, progetti, attività ….a questo fine si può predisporre un
programma che può essere calibrato sulle caratteristiche di ogni singola scuola:
“Le fasi di realizzazione del progetto possono essere così riassunte:
1) intervento preliminare nella classe;
2) selezionare gli operatori;
3) training degli operatori;
4) intervento nelle classi;
5) supervisione da parte di un insegnante o psicologo.
In una prima fase, si prevede un intervento con tutti i ragazzi, al fine di sensibilizzarli al
progetto e preparare il terreno all’intervento vero e proprio. In particolare, viene
accuratamente evidenziata la positività dei comportamenti fra coetanei.
Durante questa fase, i ragazzi possono scegliere un logo con cui presentare il progetto
all’esterno, organizzare iniziative per informare i genitori e le altre classi, sollecitare
discussioni o attivare situazioni di riflessione sul problema delle prepotenze tra
compagni a scuola e sul valore positivo dell’amicizia e dell’aiuto reciproco.
Possibili attività da condurre con tutta la classe sono: letture, proiezioni di film, oppure
brani di film, giochi di gruppo e attività psicomotorie.
la seconda fase prevede la selezione dei ragazzi che andranno a svolgere il compito di
operatore-amico. Sulla base degli obiettivi e dei valori evidenziati nella fase
preliminare, i ragazzi della classe sono invitati a designare coloro che presentano
caratteristiche di disponibilità, altruismo, fiducia, ascolto e mediazione, qualità rilevanti
per tale ruolo.
La scelta definitiva degli operatori potrà essere poi fatta in modo bilanciato e
complessivo utilizzando:
1) i risultati delle indicazioni dei compagni;
2) l’autocandidatura dei ragazzi stessi;
3) la valutazione degli insegnanti di classe.
Suggeriamo a coloro che desiderano replicare l’esperienza che il ruolo di operatoreamico venga svolto, in linea di massima, da tre o quattro ragazzi per ogni classe.
Nella terza fase i ragazzi selezionati partecipano ad un training condotto da uno
psicologo che collabora con la scuola e dagli insegnanti che partecipano al progetto. Il
training può essere organizzato in un’unica giornata o in diversi giorni. Alcune
esperienze hanno privilegiato il training di un’unica giornata, spesso organizzato in
locali diversi dalla scuola. In questo caso, per i ragazzi l’esperienza assume le
caratteristiche di una giornata speciale, una sorta di “stage” svolto per acquisire certe
competenze ed essere in grado di assumersi i ruoli di responsabilità loro destinati. (…)
Al di là del modulo scelto l’importante è che siano dedicate almeno 8-10 ore agli
aspiranti operatori, per affinare e potenziare le abilità comunicative e sociali che il ruolo
di operatore richiede.
(E. Menesini e B. Benelli, Strategie antibullismo: supporto tra coetanei, in “Psicologia
Contemporanea”, n. 153, 1999)”:
Alcuni film che possono essere proiettati per una successiva discussione all’interno
della classe sono i seguenti:
La formula di D. Mamet, del 1998, tratto da un film di Hitchock;
I diabolici di H. G. Clouzot del 1954;
Zia Angelina di E. Chatiliez, del 1990.
Approfondimenti bibliografici:
M. Contini, L’educazione all’impegno etico-razionale nella problematicità delle relazioni
intersoggettive, in M. Contini, A. Genovese, Impegno e conflitto. Saggi di Pedagogia
problematicista, Firenze, La Nuova Italia, 1997.
T. Cole, Kids helping kids, Victoria, Peter Resources Network, 1987;
H. Cowie, S. Sharp, Peer counseling in schools, London, D. Fulton Publishers, 1996.
Quinto tema
Mobbing nel lavoro: la difficoltà di relazione nell’ambiente scolastico.
Un fenomeno analogo a quello del bullismo fra ragazzi e giovani è quello che vede
protagonisti gli adulti di entrambi i sessi: si tratta del mobbing. E’ importante stabilire
una correlazione fra questi processi per molti aspetti simili perché è sul piano della
familiarità – di temi, di sentimenti, di fragilità, di dinamiche – che più facilmente
possiamo circoscrivere uno spazio di condivisione empatica, di riconoscimento, infine
di dialogo tra generazioni diverse. Insomma è difficile liquidare frettolosamente con un
po’ di sdegno il problema del bullismo fra i giovani come se fosse un banale evento di
crudeltà o di cattiva educazione quando fenomeni analoghi condizionano la vita,
l’identità, la professione di molti adulti.
E’ a partire da questo spazio di condivisione che gli adulti possono avvicinarsi al mondo
giovanile e trovare gli strumenti per instaurare dinamiche e comunicazioni efficaci sul
piano formativo. Inoltre spesso nel vissuto di soggetti che da ragazzi hanno subito,
oppure inflitto, molestie e prevaricazioni in famiglia o a scuola, vanno ricercate le radici
di futuri comportamenti persecutori o di inconsapevole adesione al ruolo di vittima.
Il fenomeno:
Esistono processi di molestia morale reiterati e protratti nel tempo che possono portare a
rovinare una persona: l’aggressore o prepotente – una sorta del corrispettivo del bullo
nei giovani – è bloccato in una modalità di relazione distruttiva con un soggetto
identificato come principale destinatario della propria aggressività e, poiché gli è
impossibile mettersi in discussione, la sua violenza si manifesterà in tutte le situazioni
in cui dovrà impegnarsi a riconoscere la propria responsabilità. Si tratta dunque di un
individuo che avverte l’irresistibile bisogno di sminuire gli altri per acquisire una buona
stima di sé e conquistare maggiore potere sull’ambiente che lo circonda. Si tratta di
persona avida di ammirazione e di approvazione.
I contesti:
I contesti nei quali si verificano queste situazioni possono essere quelli famigliari, di
coppia, o, più frequentemente, di lavoro. Sono molte le testimonianze di aggressioni
verbali, calunnie, molestie morali nell’ambiente scolastico. Spesso il contesto tollera
questi fenomeni, finge di non vederli, li scambia per problemi personali fra due persone
o un piccolo gruppo. Molti non intervengono con il pretesto dichiarato di non volersi
intromettere, di rispettare la libertà altrui, di non voler incorrere nello stesso trattamento.
Si tratta del fenomeno del mobbing.
Il persecutore:
Chi innesca questo meccanismo perverso di sopraffazione non soffre di disturbi
particolari, è dotato di una fredda razionalità associata alla difficoltà di considerare altre
persone, in particolare quelle individuate come possibili nemiche, come esseri umani.
Queste persone subiscono gravi manipolazioni che feriscono e minano la loro
individualità sino a forme di depressione grave, sono indotte a perdere i propri punti di
riferimento, a colpevolizzarsi per le situazioni che vivono, per l’indifferenza dei
colleghi o dei superiori e, talvolta, per le aggressioni immotivate di cui sono oggetto.
Attualmente in molti Paesi, e soprattutto, in Italia, la legislazione, i sindacati, i medici
del lavoro, le casse di assicurazione malattia cominciano ad interessarsi del fenomeno.
Chi viene preso di mira?
“Contrariamente a quanto i loro aggressori cercano di far credere, le vittime non sono in
partenza persone colpite da qualche patologia o particolarmente fragili. Al contrario,
molto spesso la molestia si instaura quando una vittima reagisce all’autoritarismo di un
capo e rifiuta di lasciarsi asservire. A designarla come bersaglio è la capacità di resistere
all’autorità malgrado le pressioni.
La molestia è possibile perché preceduta da svalutazione della vittima da parte del
perverso, accettata poi garantita dal gruppo. Essa fornisce una giustificazione a
posteriori della crudeltà esercitata contro la vittima e induce a pensare che abbia
meritato quello che le capita.
(…)
Quando il processo di molestia è in atto, la vittima viene stigmatizzata: si dice che è una
persona con cui è difficile convivere, che ha un cattivo carattere o addirittura che è
pazza. Si attribuiscono alla sua personalità le conseguenze del conflitto e si dimentica
quello che era prima o quello che è in un altro contesto (M. F. Hirigoyen, Molestie
morali. Nella famiglia e nel lavoro, Torino, Einaudi, 2000, tit. orig. Le harcplement
moral: la violence perverse au quotidien, Paris, Editions la Découverte et Syros, 1998,
p. 56)”.
Come si manifesta il mobbing in contesti di lavoro?
Come riconoscerne gli inquietanti segnali?
“La molestia nasce da episodi apparentemente insignificanti e si propaga
insidiosamente. In un primo tempo, le persone interessate non vogliono formalizzarsi e
prendono alla leggera frecciate e scherzi di cattivo gusto. Poi, gli attacchi si
moltiplicano e la vittima viene regolarmente messa alle strette, in condizione di
inferiorità, sottoposta a manovre ostili e degradanti nel corso di un lungo periodo.
Non si muore direttamente per tutte queste aggressioni, ma si perde una parte di sé. Si
rientra a casa ogni sera, usati, umiliati, sfiniti. Riprendersi è difficile.
All’interno di un gruppo è normale che si manifestino dei conflitti. Un’osservazione
offensiva in un momento di irritazione o di malumore non è significativa, a maggior
ragione se seguita da scuse. A costituire un vero e proprio fenomeno di distruzione è il
ripetersi delle vessazioni, delle umiliazioni, senza che ci si sforzi minimamente di
sfumarle.
Quando la molestia si palesa, è come una macchina che si mette in movimento e che è
in grado di distruggere tutto. Si tratta di un fenomeno terrificante perché inumano,
alieno da stati d’animo e senza pietà. L’ambiente professionale, per vigliaccheria,
egoismo o paura, preferisce tenersene fuori. Una volta che questo tipo di relazione
asimmetrica e distruttiva si sia instaurato, non farà che amplificarsi, se una persona
esterna non interviene con decisione. Infatti, in un momento di crisi, si tende ad
accentuare il registro in cui ci si trova, (…) una situazione di violenza perversa tende ad
anestetizzare la vittima, che a partire da quel momento non fa che mostrare il peggio di
sé.
Una serie di comportamenti deliberati da parte dell’aggressore è destinata a scatenare
l’ansia della vittima, il che provoca in lei un atteggiamento difensivo, di per sé causa di
nuove aggressioni. (…) Scopo della manovra è disorientarla, spingerla alla totale
confusione e all’errore. (M. F. Hirigoyen, Molestie morali. Nella famiglia e nel lavoro,
Torino, Einaudi, 2000, tit. orig. Le harcplement moral: la violence perverse au
quotidien, Paris, Editions la Découverte et Syros, 1998, pp. 54-55)”.
Riferimenti bibliografici:
H. Ege, Mobbing: Che cos’è il terrore psicologico sul posto di lavoro, Bologna,
Pitagora Editrice, 1996;
H. Ege, Il Mobbing in Italia. Introduzione al Mobbing culturale, Bologna, Pitagora
Editrice, 1997;
H. Ege, I numeri del mobbing. La prima ricerca italiana, Bologna, Pitagora Editrice,
1998.
Sesto Tema
Processi e stili formativi nel gruppo dei colleghi.
Quali sono i percorsi educativi e autoeducativi che una lettura pedagogico-sociale delle
dinamiche relazionali ci suggeriscono se, per esempio, all’interno di un gruppo docenti
si verificano casi di mobbing?
Viene spontaneo suggerire alla vittima di fare ricorso agli stesso metodi dell’aggressore
allo scopo anche di sollecitare la reazione dei colleghi. Ma, normalmente, chi vive
questa situazione di drammatico disagio non ha le caratteristiche psicologiche e morali
per protrarre simili processi a lungo e in misura efficace.
E’ tuttavia essenziale, anche per il buon funzionamento del gruppo di lavoro, che la
vittima sappia riconoscere il processo perverso e che i componenti del gruppo stesso
prendano le distanze dall’individuo che esercita le vessazioni. Sia la vittima, sia i
colleghi devono rinunciare, o meglio, chiarire i propri principi d tolleranza assoluta.
Occorre autoanalizzarsi, discutere anche fuori dal gruppo ristretto, consultare un esperto
in dinamiche relazionali, un pedagogista sociale, uno psicologo che sappia aiutare il
soggetto e, con esso, tutto il gruppo, ad elaborare processi di coscientizzazione del
problema.
Sia il gruppo, sia la vittima possono difendersi da un pessimo clima lavorativo e dalle
violenze dirette e indirette solo quando accettano di uscire dal condizionamento,
condizionamento che può essere percepito come comodo da parte di chi non risultata
direttamente coinvolto.
Chi subisce il contesto nel suo complesso deve mettere in atto, sia pure a diversi livelli,
forme di resistenza psicologica che possono risultare molto efficaci se si inizia un
processo di reciproco sostegno emotivo, non prima di avere recuperato, come gruppo,
una nuove direzione di orientamento che rovesci quella che precedentemente ha
tacitamente consentito l’instaurarsi di un caso di mobbing.
In sintesi potremmo identificare in quattro momenti essenziali un percorso educativo e/o
autoeducativo:
1) Riconoscere il processo alle prime manifestazioni;
2) Trovare aiuto sia all’interno del gruppo di colleghi sia con un intervento
specialistico eterno;
3) Resistere psicologicamente;
4) Raccogliere prove e testimonianze, per fare intervenire successivamente la giustizia.
Riferimenti bibliografici:
Ege e M. Lancioni, Stress e Mobbing, Bologna, Pitagora, 1998,
M. Lanotte, Il danno alla persona nel rapporto di lavoro, Torino, Giappicchelli, 1998.
Settimo tema
Gli aspetti legislativi e normativi
Come si profila il quadro giuridico nel contesto internazionale?
“In Francia, nel codice del lavoro, non è prevista alcuna tutela per le vittime di molestia
morale: Si trova solo il termine vago di cattiva condotta, a commento degli articoli di
legge sul potere disciplinare del datore di lavoro.
(…)
In Svezia, la molestia morale in azienda è un crimine dal 1993. E’ riconosciuta come
tale anche in Germania, negli Stati Uniti, in Italia, e in Australia.
In Svizzera, nell’ambito di un’azienda privata, si possono applicare la legge generale sul
lavoro, concernente le misure di igiene e di tutela della salute, così come l’articolo 328
del Codice dei doveri che tratta della tutela della personalità del lavoratore o della
lavoratrice (idem, p 194)”.
Cosa afferma, in proposito, la Costituzione italiana?
“In base all’articolo 2 della Costituzione <<La Repubblica riconosce e garantisce i
diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge
la sua personalità>>.
Sempre la Costituzione riconosce a tutti i cittadini il <<diritto al lavoro>> e
<<promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto>> art. 4. (idem, p. 243)”.
… e la Convenzione europea?
“ sia la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà
fondamentali (4 novembre 1950) sia il Trattato istitutivo dell’Unione europea (entrato in
vigore il I° di novembre 1993) prevedono la tutela dei diritti della persona.
Al fine di evitare che le molestie morali si verifichino, la legge predispone misure
deterrenti e sanzioni. In questo senso il diritto svolge una funzione di deterrente e si
sforza di scoraggiare comportamenti antisociali. (idem, pp, 243-244)”.
Se, secondo quanto prevede il diritto in materia, la prevenzione risulta assai difficile,
quali leggi intervengono a punire il prepotente in caso di molestia morale sul lavoro?
“L’intervento del diritto a reazione di una molestia morale richiede però, nella maggior
parte dei casi, che la vittima si attivi per far valere le sue ragioni. Peraltro, affinché il
diritto intervenga, non basta che il soggetto molestato prenda coraggio e decida di
rivolgersi a chi può assisterlo legalmente (i giudici, i corpi di polizia, i sindacati,
l’avvocato, ecc.).
La molestia morale, per essere sanzionata, deve essere provata, e i fatti devono essere di
un certo rilievo non già per il singolo, ma per l’ordinamento giuridico. (idem, p. 244)”:
Quali vie può intraprendere chi ha subito mobbing?
“Tenendo presente che nella realtà i diritti sono selezionati dal sistema giustizia, la
persona che si senta vittima di una molestia morale può percorrere varie strade: da un
lato chiedere che l’ordinamento intervenga per punire il molestatore, applicando dunque
gli strumenti della giustizia penale; oppure agire avanti il giudice civile per ottenere,
alternativamente o cumulativamente, la cessazione del comportamento molesto (tutela
inibitoria) e somme di denaro a risarcimento dei pregiudizi subiti (tutela risarcitoria):
Per quanto attiene la tutela penale, la legge prevede vari tipi di reato, a cui possono
essere ricondotti alcuni tipi di molestie morali, che abbiano luogo in famiglia, sul lavoro
o in altri momenti della vita sociale (ad esempio: violenza sessuale, articolo 609 bis.
Cod. pen. ; lesioni personali colpose, articolo 590 cod. pen.; ingiuria o diffamazione,
articoli 594 e 595 cod. pen..
(…)
Venendo alla tutela civile, il codice contiene, quale principio generale di responsabilità,
la regola per cui <<qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri danno
ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno>> (articolo 2043
cod. civ.) (idem, pp. 244-245)”.
Approfondimenti bibliografici:
Sul Mobbing:
G. Giannini e M. Pogliani, Il danno di illecito civile. Danno biologico, danno psichico,
danno patrimoniale, danno morale, le tabelle liquidative, Milano, Giuffré, 1997.
M. Lanotte, Il danno alla persona nel rapporto di lavoro, Torino, Giappicchelli, 1998;
P. G. MonateriM. Bona, U. Oliva, Il nuovo danno alla persona: strumenti attuali per un
giusto risarcimento: dalla riforma proposta dall’ISVAP all’adeguamento all’Europa,
Milano, Giuffrè, 1999.
Sul Bullismo:
A. C., Moro, Manuale di diritto minorile, Bologna, Zanichelli, 1996.
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