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Cedam - Responsabilità Civile Automobilistica di Buffone Giuseppe

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Cedam - Responsabilità Civile Automobilistica di Buffone Giuseppe
Capitolo II
CIRCOLAZIONE DEI VEICOLI
E PROFILI DI RESPONSABILITÀ CIVILE
(GIUSEPPE DE LUCIA)
Sommario: 1. L’evoluzione storica della responsabilità per la circolazione di
autoveicoli. – 2. La circolazione stradale. – 2.1. La nozione di circolazione. –
2.2. Circolazione e “fasi non dinamiche”. – 3. Strade pubbliche e private. –
4. La responsabilità di cui all’art. 2054, comma 1, c.c. – 4.1. La responsabilità
del conducente di veicolo. – 4.2. Il criterio di imputazione della
responsabilità e la prova liberatoria del conducente. – 4.3. Il nesso di
causalità. – 4.4. La previsione (e prevedibilità) dell’altrui imprudenza. – 4.5.
Il concorso di colpa del danneggiato. – 4.6. Il caso fortuito. – 4.7. Lo stato di
necessità. – 4.8. Infrazioni al Codice della Strada e responsabilità del
conducente. – 5. La responsabilità di cui all’art. 2054, comma 2, c.c. – 5.1.
L’art. 2054, comma 2, c.c. e la nozione di “scontro”. – 5.2. Il problema dei
trasportati. – 5.3. Il contenuto della prova contraria. – 6. La responsabilità di
cui all’art. 2054, comma 3, c.c. – 6.1. La responsabilità del proprietario:
caratteri. – 6.2. I soggetti responsabili: i comproprietari del veicolo. – 6.3. La
prova della proprietà del veicolo. – 6.4. L’esonero da responsabilità del
proprietario. – 7. L’art. 2054 c.c. e il Codice delle Assicurazioni. – 7.1. La
compatibilità con la procedura ordinaria di risarcimento. – 7.2. La
compatibilità con la procedura di risarcimento diretto. – 7.3. La
compatibilità con la procedura di risarcimento del terzo trasportato. – 8.
L’indennizzo diretto. – 8.1. L’art. 149 del Codice delle Assicurazioni. – 8.2.
Legittimazione passiva, litisconsorzio e contraddittorio. – 8.3. L’intervento
dell’assicuratore. – 9. L’azione diretta del danneggiato. – 9.1. L’art. 144 del
Codice delle Assicurazioni. – 9.1.1. Eccezioni opponibili. – 9.1.2.
Litisconsorzio necessario. – 9.2. L’art. 145 del Codice delle Assicurazioni. –
9.3. L’art. 148 del Codice delle Assicurazioni. – 10. L’azione del terzo
trasportato. – 10.1. L’art. 141 del Codice delle Assicurazioni. – 10.1.1.
Questioni di legittimità costituzionale. – 10.1.2. Disciplina. – 10.1.3.
L’intervento dell’assicurazione del responsabile. – 10.2. L’art. 140 del
Codice delle Assicurazioni.
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RESPONSABILITÀ CIVILE AUTOMOBILISTICA
1. L’EVOLUZIONE STORICA DELLA RESPONSABILITÀ PER LA
CIRCOLAZIONE DI AUTOVEICOLI.
Generalmente in dottrina è condivisa la tesi secondo cui (PROCIDA MIRABELLI
DI LAURO, GENTILE, FRANZONI) l’intero sistema della responsabilità civile sia
fondato sulla centralità della persona umana.
Come tale, esso non può non avere un diretto fondamento costituzionale,
ma soprattutto solidaristico.
Il nostro ordinamento rivela infatti, sin dalla Carta costituzionale, una netta
preminenza, ed a tratti una certa prevalenza, della persona rispetto alla proprietà ed al contratto.
Il principio del neminen laedere assume quindi una valenza costituzionale
poiché concerne la tutela della persona umana: il riferimento, in primo luogo, è all’art. 32 della Costituzione.
Art. 32 della Costituzione
1. La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse
della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti.
2. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per
disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal
rispetto della persona umana.
La salute, in quanto indispensabile presupposto per il godimento di tutti gli
altri diritti costituzionali, costituisce quindi il diritto fondamentale, la cui lesione impone il completo risarcimento del danno.
Il diritto alla salute coincide, tradizionalmente, col diritto al rispetto
dell’integrità fisica dell’individuo; ma nella concezione solidaristica della Costituzione esso comporta anche il diritto all’assistenza sanitaria: infatti, con
la riforma sanitaria del 1978, l’istituzione del servizio sanitario nazionale ha
esteso l’obbligo dello Stato di assicurare le prestazioni sanitarie e farmaceutiche non solo agli indigenti, ma anche a tutta la popolazione.
La protezione della salute, intesa come diritto di accedere alla prevenzione
sanitaria e di ottenere cure mediche, è stata inserita anche nella Carta dei
diritti fondamentali dell’Unione Europea.
La completa e piena riparazione dei danni alla persona è oggi una tendenza
difficilmente contestabile; in realtà, oggi i problemi principali divengono la
valutazione e la liquidazione del danno, l’individuazione dell’oggetto
dell’obbligazione risarcitoria e la sua misurazione in termini pecuniari.
Per dirla con la Corte Costituzionale (sentenza n. 77 del 24 marzo 1983), il
sistema normativo stabilito nel nostro Paese pone in massimo rilievo la tutela del terzo danneggiato per eventi causati dalla circolazione dei veicoli;
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Circolazione dei veicoli e profili di responsabilità civile
esso persegue il raggiungimento delle maggiori garanzie patrimoniali in suo
favore.
A tale scopo l’ordinamento ha istituito l’assicurazione obbligatoria in materia, ponendo così la norma di ordine pubblico che ogni veicolo o natante
deve essere assicurato; e ciò in vista della realizzazione, nel settore, delle
esigenze di solidarietà sociale cui l’art. 2 Cost. ha conferito rilevanza costituzionale.
L’estensione dell’area dei danni risarcibili, la preminenza del rapporto di
causalità sull’elemento soggettivo, l’individuazione di criteri di collegamento
che prescindano del tutto o in parte dalla colpa, l’adozione di modelli
no fault testimoniano, nel loro complesso, la progressiva trasformazione
delle regola di responsabilità in sistemi di social security.
In questo quadro si colloca anche il problema del risarcimento del danno da
sinistro stradale.
Questo problema è stato affrontato seguendo due direttrici:
 da un lato, superando i limiti delle tradizionali teorie della colpa quale criterio di
imputazione della responsabilità nella circolazione dei veicoli;
 dall’altro, cercando una soluzione che garantisse sempre la solvibilità del
danneggiante.
Sotto il primo profilo, in particolare, si inquadra la scelta che ha portato
all’attuale formulazione dell’art. 2054, comma 1, c.c. la quale, peraltro,
ha un precedente nell’art. 120 T.U. 8 dicembre 1933, n. 1740 e nell’art. 5 del
pregresso T.U. del 1909, secondo cui l’individuazione del responsabile avviene sulla base di un criterio oggettivo di imputazione del danno.
Già il legislatore del 1942, quindi, inseriva nel sistema della responsabilità
civile un principio contrastante con la logica sanzionatoria della colpa, privilegiando il momento riparatorio a quello più propriamente punitivo.
Va notato che nei sistemi giuridici diversi dal nostro, i caratteri della responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli appaiono tendenzialmente costanti.
Essi possono, in estrema sintesi, essere ricondotti alle seguenti caratteristiche:
a) impostazione di una responsabilità per colpa presunta, e talvolta, di una responsabilità di tipo oggettivo: si tratta, peraltro, di una fase necessaria dell’evoluzione, come
dimostra il fatto che da forme di colpa presunta o di responsabilità oggettiva si è
passati, in molti ordinamenti, all’assicurazione obbligatoria;
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RESPONSABILITÀ CIVILE AUTOMOBILISTICA
b) identificazione del responsabile, che generalmente (salve alcune eccezioni) coincide con il conducente dell’autoveicolo; spesso si affianca al conducente il “possessore”
o il “detentore” del veicolo;
c) identificazione delle categorie di beneficiari del sistema di responsabilità presunta
od oggettiva; normalmente sono esclusi i soggetti che non appartengono alla categoria dei «pedoni», cioè il conducente medesimo, i trasportati (a titolo di cortesia), i
familiari;
d) quanto al quantum del danno risarcibile, nella maggior parte degli ordinamenti, la
legislazione speciale non prevede limiti all’ampiezza del danno; vi sono però casi
(Germania, Austria, Norvegia) che prevedono limiti per i danni personali e per i danni
alle cose; allo stesso modo, si escludono dall’area degli interessi apprezzabili i danni
“meramente economici” (indiretti e mediati) e i danni morali;
e) vi sono proposte di imputare al conducente una responsabilità di tipo oggettivo,
per sottrarre i danneggiati ai problemi aperti dalle forme di presunzione di colpa.
Per la nostra Corte Costituzionale (sentenza n. 24 del 14 febbraio 1973),
l’introduzione nel nostro ordinamento dell’assicurazione obbligatoria di cui
alla L. n. 990/1969 è l’espressione e il risultato di un ampio movimento di
idee, di studi e di proposte di legge, ispirati dall’esigenza di garantire il risarcimento del danno alle vittime della circolazione stradale, esigenza ritenuta di pubblico interesse, non solo in Italia, ma anche all’estero, tanto che
l’obbligatorietà dell’assicurazione aveva formato oggetto di affermazione di
principio nella convenzione internazionale di Strasburgo del 20 aprile 1959.
La vera finalità del sistema non sta quindi nel salvaguardare il patrimonio
del responsabile, ma piuttosto nel garantire il risarcimento del danneggiato,
attraverso una distribuzione mutualistica del rischio.
Per ragioni di ordine sia economico, sia sociale, sia tecnico, il legislatore ha
preferito, anziché ricorrere all’assicurazione contro i danni, servirsi dello
strumento dell’assicurazione di responsabilità civile, rendendola obbligatoria ed apportando alcuni correttivi che, pur alterandone in parte la fisionomia, valgono a garantire una più rafforzata tutela della vittima.
Ciò soprattutto attribuendole il diritto di essere indennizzata dall’istituto
assicuratore mediante l’azione diretta: diritto che, concorrendo con quello
verso il responsabile del fatto illecito ex art. 2054 c.c., non solo pone il danneggiato al riparo dal pregiudizio dell’eventuale insolvibilità di quest’ultimo,
ma ne rafforza anche la protezione: 
con la inopponibilità delle eccezioni inerenti al rapporto contrattuale
assicurativo; e
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con l’istituzione del “Fondo di Garanzia”, mediante l’apporto di contributi
delle imprese assicuratrici di questo ramo particolare, garantisce a tutti i
danneggiati almeno un minimo di risarcimento nel caso in cui l’impresa
che ha stipulato il contratto di assicurazione versi in stato di dissesto e
perfino in quello in cui il veicolo che ha cagionato il sinistro non sia
identificato o non risulti coperto da assicurazione.
In altri termini la L. n. 990/1969 non ha alterato la disciplina della responsabilità civile prevista dagli artt. 2043 e 2054 c.c.; essa ha uno spettro di applicazione più dilatato, comunque non circoscritto alla tutela di beni tipici
quali “persone e cose” – secondo il disposto dell’art. 2054 –, in quanto si
riferisce a qualsiasi pregiudizio, occasionato dalla circolazione di veicoli a
motore, eziologicamente collegato al sinistro secondo il su menzionato criterio.
In questa disciplina si inquadra anche la ulteriore disposizione che, con il
subordinare la proponibilità dell’azione del danneggiato alla previa comunicazione all’istituto assicuratore, della richiesta di risarcimento del danno e al
successivo decorso di sessanta giorni, intende porre le imprese in grado di
istruire la pratica e raccogliere tutti gli elementi di valutazione e favorire la
possibilità di liquidazione dell’indennizzo in via di composizione stragiudiziale, in chiave deflattiva del contenzioso.
Né va trascurato il rilievo che il legislatore, giustamente preoccupato di garantire un eguale trattamento a più persone che fossero danneggiate dal
medesimo sinistro, ha dettato una particolare disciplina imponendo
all’assicuratore di esperire diligenti indagini per l’accertamento della eventuale esistenza e per la identificazione di altri danneggiati, al fine di un proporzionale indennizzo entro il limite complessivo delle somme assicurate, e
di attendere comunque il decorso del termine di trenta giorni dall’incidente.
Per la Corte di Cassazione lo spirito delle leggi RCA, da quella organica del
1969, n. 990, sino alla codificazione con d.lgs. 7 settembre 2005, n. 209, è
quello di regolare la responsabilità del fatto della circolazione, ponendo a
garanzia delle vittime della strada, per i danni alle cose e alla persona, la
obbligatorietà della assicurazione del veicolo posto in circolazione.
Ogni veicolo o mezzo equiparato deve pertanto essere assicurato ed il
titolare dell’assicurazione, per regola, coincide con il proprietario del mezzo
assicurato, ma nulla impedisce che sia anche un detentore qualificato o
l’utilizzatore del leasing, o il terzo favorito (ad esempio con assicurazione in
favore di terzo, come avviene nei contratti di lavoro o nel caso di società).
Ai fini della legittimazione attiva a far valere l’azione diretta contro
l’assicuratore ed il conducente responsabile, occorre far riferimento alla posizione soggettiva di chi subisce il danno ingiusto, ed è costui, a prescindere
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RESPONSABILITÀ CIVILE AUTOMOBILISTICA
dalla titolarità formale risultante dalla documentazione del PRA, che esercita
la azione diretta di responsabilità civile.
La Corte, peraltro, ha sempre ribadito il principio di diritto (che è principio
informatore della materia del risarcimento del danno in subiecta materia)
secondo cui chiunque eserciti sul veicolo un potere anche soltanto materiale, è legittimato ad agire in relazione al danno che il suo patrimonio o la sua
persona subisca per il fatto della circolazione.
Il sistema è stato poi reso operante imponendo anche l’obbligo di non mettere in circolazione il veicolo, se non sia stato stipulato, per somme non inferiori a quelle stabilite dalla legge, un contratto di assicurazione con una
qualsiasi impresa autorizzata ed obbligando l’assicuratore, anche verso il
danneggiato e non solo verso l’assicurato, a versare l’indennità dovuta secondo il contratto, in corrispondenza del danno da risarcire.
Il legislatore poi, sempre a tutela dell’interesse del danneggiato, ha reso
l’obbligazione dell’assicuratore verso di lui in qualche misura indipendente
dalla obbligazione verso l’assicurato; ciò accade in due situazioni:
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art. 1, comma 3:
Mentre, secondo l’art. 2054, comma 3, c.c., la responsabilità
del proprietario del veicolo, e dei soggetti a lui equiparati,
che è in linea di principio solidale con quella del
conducente, viene meno quando è provato che la
circolazione del veicolo è avvenuta contro la loro volontà,
l’assicuratore, che non avrebbe obbligo contrattuale di
mantenere indenne l’assicurato, ha tuttavia l’obbligo di
indennizzare il danneggiato. Ma, in questa prima ipotesi,
all’assicuratore è dato il diritto di ottenere dal conducente
la restituzione di quanto abbia pagato al danneggiato.
art. 18, comma 2:
Qui, il proprietario del veicolo è bensì responsabile verso il
danneggiato, direttamente come conducente o in solido
con questo a norma dell’art. 2054, comma 3, c.c. e però, in
base alla disciplina del rapporto tra assicurato e
assicuratore, questi non sarebbe obbligato a mantenere
l’altro indenne; nonostante ciò, l’assicuratore è obbligato a
pagare l’indennità al danneggiato. A somiglianza della
prima ipotesi, l’assicuratore ha diritto di chiedere
all’assicurato, il quale, responsabile, ha fruito del vantaggio
di vedere pagata l’indennità, di rendergli la somma
anticipata.
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Circolazione dei veicoli e profili di responsabilità civile
Quando poi il danno sia stato provocato dalla circolazione di un veicolo non
assicurato, l’indennità pagata dai soggetti operanti nell’ambito del sistema
del Fondo di Garanzia potrà essere recuperata ottenendone la restituzione
dai responsabili del sinistro e perciò dal solo conducente, nell’ipotesi di circolazione avvenuta contro la volontà del proprietario, anche di questi nel
caso contrario.
Orbene,
le situazioni descritte dagli art. 1, comma 3, e 18, comma 2, della legge, si fondano su
presupposti non solo diversi ma alternativi
(Cass. civ., 14-12-2001, n. 15848, in Foro it., 2002, I, 1795).
Altre volte la giurisprudenza di legittimità (Cass. civ., 21-05-1991, n. 5698;
Cass. civ., 16-05-1997, n. 4363; Cass. civ., 28-11-1998, n. 12083) ha affermato
da un lato l’estraneità all’art. 18, comma 2, del caso di conducente postosi
alla guida senza patente, contro la volontà del proprietario, e la seconda,
che l’unica rivalsa esperibile quando la circolazione non avvenga contro la
volontà del proprietario è quella contemplata dallo stesso art. 18, cui è però
soggetto solo il proprietario.
La disciplina prima riassunta, che ha il suo punto d’appoggio nel dovere di
non mettere in circolazione il veicolo se prima non sia stata stipulata
l’assicurazione, è costruita su piani sovrapposti ed è impostata sulla responsabilità del proprietario del veicolo per i danni causati dalla sua circolazione.
Il primo piano è dunque quello della
responsabilità civile per i danni derivanti
dalla circolazione del veicolo:
Quando la circolazione non avvenga
contro la volontà del proprietario e dei
soggetti ad esso equiparati, se v’è
responsabilità del conducente, v’è anche
responsabilità del proprietario.
Il secondo piano, che presuppone il L’assicurazione copre il rischio derivante
primo, è quello degli effetti del contratto dalla circolazione del veicolo. Se v’è
responsabilità del proprietario perché la
di assicurazione:
circolazione non è avvenuta contro la sua
volontà, l’assicurazione copre anche la
responsabilità del conducente.
L’assicuratore, obbligato secondo il
contratto e la legge a pagare l’indennità
ed a pagarla direttamente al terzo, di
quanto ha pagato, non ha diritto ad
ottenere
la
restituzione
né
dal
proprietario né dal conducente.
Se invece la circolazione è avvenuta
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RESPONSABILITÀ CIVILE AUTOMOBILISTICA
contro la volontà del proprietario, la
responsabilità del conducente non è
coperta da assicurazione, ma siccome
l’assicuratore è tuttavia tenuto a pagare il
terzo danneggiato, di quanto è tenuto a
pagare l’assicurato ha diritto di ottenere
la restituzione dal conducente.
Il terzo piano è quello costituito dai Tali patti, inopponibili al terzo, tuttavia
patti
contenuti
nel
contratto
di pongono condizioni e così delimitano,
rispetto alla situazione che dà luogo alla
assicurazione:
responsabilità del proprietario del veicolo
verso
il
terzo,
l’obbligazione
dell’assicuratore di tenere indenne
l’assicurato.
Se ne trae la seguente
conclusione:
 se la circolazione del veicolo avviene contro la volontà del proprietario,
l’assicuratore ha rivalsa contro il conducente sulla base di come è regolamentato
il secondo piano, perciò dell’art. 1, comma 3, della legge, e non si può profilare
l’applicazione della regola che disciplina il terzo piano, perché ne manca il
presupposto della responsabilità del proprietario;
 se invece la circolazione avviene non contro la volontà del proprietario, che
dunque è responsabile; tutte le volte in cui ricorra una delle condizioni che
limitano l’obbligazione dell’assicuratore verso l’assicurato in forza delle clausole
del contratto di assicurazione; l’assicuratore che paga il terzo ha diritto di rivalsa
contro il proprietario in base alla regola che disciplina il terzo piano, cioè l’art. 18,
comma 2, della legge.
2. LA CIRCOLAZIONE STRADALE.
2.1. La nozione di circolazione.
Preliminarmente va chiarito cosa la legge intenda per circolazione dei veicoli, dal momento che l’art. 122 del nuovo Codice delle Assicurazioni prevede
che i veicoli debbano essere messi in circolazione solo se coperti dalla assicurazione per la responsabilità civile derivante – appunto – dalla circolazione dei veicoli.
Esiste un aggancio normativo nel Codice della Strada, a mente del cui art.
3 la “circolazione è il movimento, la fermata e la sosta dei pedoni, dei veicoli
e degli animali sulla strada”.
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Circolazione dei veicoli e profili di responsabilità civile
Può dirsi quindi che sostanzialmente tale nozione coincida con quella
elaborata dalla giurisprudenza e dalla dottrina in relazione all’art. 2054
c.c., il cui comma 1, si rammenta, menziona il termine in questione sia al
comma 1 (“il conducente di un veicolo senza guida di rotaie è obbligato a
risarcire il danno prodotto a persone o a cose dalla circolazione del veicolo,
se non prova di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno”), sia al
comma 3 (“il proprietario del veicolo, o, in sua vece, l’usufruttuario o
l’acquirente con patto di riservato dominio, è responsabile in solido col
conducente, se non prova che la circolazione del veicolo è avvenuta contro
la sua volontà”).
Non v’è dubbio, invero, che un veicolo parcheggiato nella pubblica via
debba essere considerato un veicolo “in circolazione”, poiché, come testualmente disponeva l’art. 2, comma 1, del d.P.R. 24 novembre 1970, n. 973
(Regolamento di esecuzione della L. 24 dicembre 1969, n. 990,
sull’assicurazione obbligatoria della responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore), “sono considerati in circolazione anche i
veicoli in sosta su strade di uso pubblico o su aree a queste equiparate”.
La disposizione si spiegava riflettendo che la sosta, intesa come un arresto
protratto nel tempo, è uno stato del veicolo suscettibile in ogni momento di
trasformarsi in movimento.
Per “conducente”, poi, si intende chiunque sia preposto alla guida di un veicolo e abbia l’effettiva disponibilità dei congegni meccanici atti a determinarne il movimento e la direzione, ossia a dirigerne e controllarne la circolazione; è di ovvia evidenza, stante l’ampiezza del concetto di “circolazione”,
che un conducente vi sia anche quando il veicolo, lasciato in sosta nella
pubblica via, si metta spontaneamente in moto per una qualsiasi causa, come, per esempio, per una difettosa tenuta dei freni, perché in tal caso sarà
da considerare conducente dello stesso colui che l’abbia guidato fino a quel
punto e ivi l’abbia lasciato in sosta.
E tuttavia,
pur comprendendo la nozione dì circolazione stradale anche i veicoli momentaneamente in sosta
(Cass. civ., 17-06-1993 n. 6750).
non può però considerarsi evento relativo a detta circolazione l’incendio
propagatosi da un veicolo in sosta, ed appiccato dall’azione dolosa di terzi,
con la conseguenza che, in tal caso, il terzo danneggiato non ha azione diretta nei
confronti dell’assicuratore del veicolo dal quale si è propagato l’incendio
(Cass. civ, 18-04-2000, n. 5033, in Giur. it., 2000, 2230; Giudice di pace, 2000, 290).
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Sotto altro profilo non può trascurarsi che secondo l’insegnamento della
Corte Costituzionale
la disciplina della circolazione deve riguardare per sua natura non soltanto il movimento dei veicoli, ma anche la fermata e la sosta di essi, in quanto i veicoli in sosta,
ingombrando necessariamente la sede stradale, ostacolano o alterano il movimento
degli altri
(Corte Cost., 02-04-1969, n. 82).
E quindi nell’ampio concetto di circolazione stradale indicato dall’art. 2054
c.c., come possibile fonte di responsabilità, non può non essere ricompresa
anche la posizione di arresto del veicolo su area pubblica, in quanto anche in occasione di fermate o soste sussiste la possibilità di incontro o comunque di interferenza con la circolazione di altri veicoli o di persone ed
anche in tali contingenze non può il conducente ritenersi esonerato
dall’obbligo di assicurare l’incolumità dei terzi.
Ecco perché una corretta lettura della norma di cui all’art. 2054 c.c. conduce
a ritenere del tutto indifferente, affinché lo si possa considerare “in circolazione”, che un veicolo sia in marcia ovvero in sosta in luoghi ove si svolga il
traffico veicolare, dovendosi qualificare come “scontro” qualsiasi urto tra
due (o più) veicoli in marcia ovvero tra uno in moto ed uno fermo.
Si ribadisce che la presunzione di colpa concorrente nel caso di scontro tra
veicoli circolanti opera quindi anche quando uno dei due veicoli sia in sosta
su area pubblica, atteso che il conducente che lascia il veicolo in sosta su
area pubblica è tenuto ad adottare le cautele necessarie per impedire
situazioni di pericolo o incidenti, rispettando soprattutto il divieto di sosta
nei luoghi indicati dal comma 4 dell’art. 115 C.d.S. e tenendo accese le luci
di posizione e di ingombro nel caso in cui l’illuminazione pubblica sia insufficiente e non consenta, perciò di individuare il veicolo ad una distanza di
cinquanta metri (art. 110 d.P.R. 15 giugno 1959, n. 393, vecchio Codice della
Strada).
Sotto altro e diverso profilo deve invece ritenersi – ad esempio – che la presenza di veicoli fermi sulla corsia di sorpasso di un’autostrada costituisce un
evento del tutto imprevedibile, che si pone in contrasto, oltre che con le
norme anzidette, anche con quelle della convivenza civile.
Si rammenta, sotto il profilo processuale la seguente norma:
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Circolazione dei veicoli e profili di responsabilità civile
art. 7 c.p.c., comma 2:
Il Giudice di pace è altresì competente per le cause di risarcimento del danno prodotto dalla circolazione di veicoli e di natanti, purché il valore della controversia non superi euro ventimila.
L’interpretazione di tale disposizione fa sorgere il problema di stabilire cosa
si debba intendere per “circolazione di veicoli”, se cioè il Giudice di pace
debba essere considerato competente, nel limite di valore di euro ventimila,
solo nel caso di danni derivanti da scontro tra veicoli oppure anche nel caso
di incidenti di singoli veicoli. La giurisprudenza di merito propende per la
tesi negativa (G.d.P. Catanzaro, 25-03-1997, in Foro it., 1998, I, 1704; Giur.
Merito, 1998, 414).
Da ultimo, si segnala che:
la domanda proposta dal conducente di un veicolo circolante su una strada pubblica
contro un comune, per ottenere il risarcimento del danno alla persona derivante da
un sinistro causato dalle condizioni della strada comunale, esula dalle controversie di
«risarcimento del danno prodotto dalla circolazione di veicoli e natanti», cui si riferisce l’art. 7, comma 2, c.p.c., e rientra nella competenza per valore del Giudice di pace
se compresa – a norma dell’art. 14 c.p.c. – nel limite di cui al comma 1 del medesimo
art. 7, mentre, se più elevata, appartiene alla competenza del Tribunale
(Cass. Civ., 05-09-2014, n. 18813).
In dottrina l’argomento è stato trattato (MONTEVERDE), seppur sotto il diverso
aspetto della domanda di risarcimento avanzata dal conducente del veicolo
danneggiato, unico responsabile, nei confronti della propria compagnia di
assicurazione in forza di un contratto di assicurazione kasko.
2.2. Circolazione e fasi “non dinamiche”.
Del resto, la norma fondamentale in materia è l’art. 16 Cost., in base al
quale
art. 16 della Costituzione:
Ogni cittadino può circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio
nazionale, salvo le limitazioni che la legge stabilisce in via generale per motivi di sanità o di sicurezza. Nessuna restrizione può essere determinata da ragioni politiche.
Ogni cittadino è libero di uscire dal territorio della Repubblica e di rientrarvi, salvo gli
obblighi di legge.
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RESPONSABILITÀ CIVILE AUTOMOBILISTICA
Come già rammentato al paragrafo precedente, per la giurisprudenza ai fini
dell’applicabilità delle disposizioni del Codice della Strada, per “circolazione” deve intendersi non solo il movimento, ma anche la sosta e la fermata dei veicoli sulla sede stradale (c.d. fasi non dinamiche).
Dispone in materia l’art. 157 Codice della Strada che:
per arresto si intende: 
l’interruzione della marcia del veicolo dovuta
ad esigenze della circolazione;
per fermata si intende: 
la temporanea sospensione della marcia
anche se in area ove non sia ammessa la sosta,
per consentire la salita o la discesa delle persone,
ovvero per altre esigenze di brevissima durata.
Durante la fermata, che non deve comunque
arrecare intralcio alla circolazione, il conducente
deve essere presente e pronto a riprendere la
marcia;
per sosta si intende: 
la sospensione della marcia del veicolo
protratta nel tempo, con possibilità di
allontanamento da parte del conducente;
per sosta
intende: 
di
emergenza
si l’interruzione della marcia nel caso in cui il
veicolo è inutilizzabile per avaria ovvero deve
arrestarsi per malessere fisico del conducente o di
un passeggero.
Dal tenore successivo della norma, in base alla quale nelle zone di sosta
all’uopo predisposte i veicoli debbono essere collocati nel modo prescritto
dalla segnaletica, si deduce:
il principio secondo cui la sosta degli autoveicoli è libera, se non vietata
e, per converso, che, in presenza di una prescrizione relativa alle modalità di
sosta del veicolo, vi è obbligo di sostare nel modo prescritto; pertanto, chi
proponga opposizione ad ordinanza-ingiunzione irrogativa di sanzione
amministrativa per aver parcheggiato la propria autovettura in modo non
conforme alla segnaletica prescrivente l’obbligo di parcheggio in spazi determinati, è gravato dell’onere di fornire la prova della mancanza, nella località di contestazione della violazione, di alcuna segnaletica in tal senso.
Diversamente dalla sosta, il parcheggio è il luogo (pubblico o privato) dove
i conducenti sono autorizzati a lasciare l’auto in sosta.
Come sopra ricordato, per fermata si intende la temporanea sospensione
della marcia anche se in area ove non sia ammessa la sosta, per consentire
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Circolazione dei veicoli e profili di responsabilità civile
la salita o la discesa delle persone, ovvero per altre esigenze di brevissima
durata.
Durante la fermata, che non deve comunque arrecare intralcio alla circolazione, il conducente deve essere presente e pronto a riprendere la marcia.
La differenza tra sosta e fermata è quindi data dall’elemento temporale
della momentaneità.
Per arresto, infine, si intende l’interruzione della marcia del veicolo dovuta
ad esigenze della circolazione, come nel caso di stop, semaforo rosso o passaggio a livello. In tali casi, ovviamente, permane l’obbligo assicurativo e la
copertura RCA.
Rammentiamo che nell’obbligo di tenere un comportamento prudente ed
accorto da parte del conducente di un autoveicolo è compreso quello di
prevedere le imprudenze altrui ragionevolmente prevedibili e tale deve
considerarsi anche l’inosservanza dell’obbligo di dare la precedenza da parte di chi da una strada secondaria s’immette su una strada privilegiata, pur
dopo essersi temporaneamente fermato sulla linea di stop; infatti a differenza dell’obbligo imposto al conducente che si immette nel flusso della circolazione di dare la precedenza alle autovetture in transito, o dell’obbligo di
dare la precedenza in un’area d’incrocio alle vetture provenienti da destra,
quello derivante dal segnale di stop ha un contenuto esteso all’arresto del
veicolo, che assume un significato ben preciso: la verifica della transitabilità
in relazione alla circolazione in atto.
Va detto anche che:
nell’ampio concetto di circolazione stradale indicato dall’art. 2054 c.c., come possibile
fonte di responsabilità, è ricompresa, oltre che la posizione di arresto del veicolo,
anche quella della partenza; conseguentemente, va risarcito il danno derivato al passeggero dalla chiusura inerziale dello sportello, verificatasi a causa della partenza
(Cass. civ., 29.11-2004, n. 22374, in Foro it., 2005, I, 2787).
Sussiste un consolidato orientamento giurisprudenziale che, ai fini
dell’integrazione della nozione di circolazione stradale, equipara lo stato di
arresto (o di fermata) del veicolo a quello di sosta (Cass. civ., 05-07-04, n.
12284; Cass. civ., 06-6-2002, n. 8216; G.d.P. Torino 28-03-2000; G.d.P. Perugia 08-03-1999; G.d.P. Roma 13-07-1999. Si veda anche Trib. Taranto 11-061993, in Foro it., 1994, I, 3262, con nota di richiami, ove si è esclusa
l’applicazione della norma all’ipotesi del danno arrecato ad un immobile
dall’incendio di un’autovettura in sosta durante le ore notturne, nonché
Cass. civ., 01-12-1999, n. 13365, per la quale non deve ritenersi sussistere
identità necessaria tra la circostanza di avere lasciato l’auto “in doppia fila” e
l’avere causato un intralcio alla circolazione).
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RESPONSABILITÀ CIVILE AUTOMOBILISTICA
Anche la dottrina maggioritaria si è espressa in tal senso (TRIDICO; CARINGELLA; GRIFFEY; Contra, GALLONE, che distingue tra arresto e fermata; PECCENINI,
secondo cui il legislatore non distingue fra veicolo in circolazione e circolazione del veicolo, con il corollario che la circolazione deve necessariamente
estendersi alle fasi della fermata e della sosta; TERRANOVA afferma che la nozione tecnico-giuridica di circolazione non richiama esclusivamente il profilo
dinamico del movimento, ma indica un concetto complesso che include sia
lo spostamento dei veicoli, sia la fermata e la sosta degli stessi, quali movimenti coessenziali della vicenda circolazione cui pur sempre si accompagna
un ingombro della sede stradale condizionante il movimento altrui).
La conseguenza è che, ad esempio,
si configura la responsabilità ex art. 2054 c.c. del conducente di un veicolo in sosta
lungo il margine sinistro della strada, nell’ipotesi in cui il passeggero apra avventatamente lo sportello destro, sì da provocare l’urto con uno scooter sopraggiungente, da
cui scaturiscano pregiudizi per il proprietario ed il guidatore di tale mezzo, dovendosi
altresì ritenere superata la presunzione di colpa concorrente a carico del motociclista
(G.d.P. Sorrento, 03-11-2005, in Giudice di pace, 2006, 235).
Peraltro in caso di danno provocato ad un motociclista sopraggiungente dal
terzo che, trasportato su di un’autovettura arrestata sulla pubblica via, abbia
aperto lo sportello senza prestare la dovuta attenzione, sussiste la responsabilità del predetto, ex art. 2043 c.c., nonché quella del proprietario e del
conducente dell’autovettura, per la presunzione stabilita dall’art. 2054 c.c.,
atteso che nell’ampio concetto di circolazione stradale deve ritenersi compresa anche la situazione di arresto o di sosta di un veicolo su strada o
area pubblica di pertinenza della stessa (Cass. civ., 15-10-1997, n. 10110, in
Danno e resp., 1998, 787; Trib. Roma 23-12-1996, in Riv. giur. circolaz. e
trasp., 1997, 334; G.d.P. Perugia 28-05-1996, in Rass. giur. umbra, 1996, 406;
Cass. civ., 12-05-1994, in Arch. circolaz., 1995, 533; Cass. civ., 25-11-1993, n.
11681, in Arch. circolaz., 1994, 389; Cass. civ., 17-06-1993, n. 6750, in Arch.
circolaz., 1993, 870; Cass. civ., 24-07-1987, n. 6445, in Arch. circolaz., 1988,
580; Trib. Palermo 04-11-1983, in Riv. giur. circolaz. e trasp., 1984, 541; App.
Milano 16-04-1982, in Arch. circolaz., 1982, 502; Cass. pen., 12-12-1980, in
Arch. circolaz., 1981, 679).
La dottrina si attesta su posizioni conformi (STELLA RICHTER, COLOMBANI, GIANNINI POGLIANI, ALIBRANDI, DUNI, PERSEO, ANGELONI, BONASI, BENUCCI, CIGOLINI,
GUERRIERI).
Va chiarito, tuttavia, che tale responsabilità si configura come solidale,
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Circolazione dei veicoli e profili di responsabilità civile
stante l’imputabilità dell’unico evento dannoso alla condotta causalmente efficiente
dei predetti soggetti, a nulla rilevando la diversità di titolo delle singole responsabilità
(Cass. civ., 06-06-2002, n. 8216; in Arch. circolaz., 2002, 745).
Infatti è evidente che il conducente di un veicolo fermo, prima di aprire lo
sportello, ha l’obbligo di assicurarsi preventivamente della possibilità di
compiere liberamente la manovra, con conseguente superamento della presunzione di pari responsabilità ex art. 2054, comma 2, c.c., nel caso di sinistro verificatosi per l’inosservanza di tale principio, sancito dall’art. 157,
comma 7, nuovo Codice della Strada.
3. STRADE PUBBLICHE E PRIVATE.
Come più volte ripetuto, ai sensi del Codice delle Assicurazioni (art. 122), i
veicoli a motore non possono essere posti in circolazione su “strade di uso
pubblico o su aree a queste equiparate” se non siano coperti
dall’assicurazione per la responsabilità civile verso i terzi prevista dall’art.
2054 c.c. e dall’art. 91, comma 2, del Codice della Strada.
Invece il nuovo Codice della Strada prevede, più semplicemente, all’art. 193
che i veicoli a motore non possono essere posti in circolazione “sulla strada”
senza la copertura assicurativa a norma delle vigenti disposizioni di legge
sulla responsabilità civile verso terzi.
Va detto tuttavia che lo stesso Codice della Strada definisce il concetto di
strada, all’art. 2, statuendo che con questa parola deve intendersi “l’area ad
uso pubblico destinata alla circolazione dei pedoni, dei veicoli e degli animali”.
Quindi non assume rilievo la proprietà della strada: ove la stessa sia destinata in fatto all’uso pubblico, di per sé impone, per la norma citata,
l’applicazione del C.d.S.
Può giungersi pertanto ad una prima importante conclusione: l’ambito di
applicazione del Codice delle Assicurazioni è più ampio di quello del
Codice della Strada, in quanto un luogo aperto alla circolazione non coincide necessariamente con un luogo meramente destinato alla circolazione
(che potrebbe anche non essere aperto alla stessa).
Per la giurisprudenza le norme del Codice della Strada sono applicabili non
solo alle strade pubbliche od aperte al pubblico transito, ma anche, quali
norme di comune prudenza, alle aree e alle strade private in qualsiasi
modo soggette al traffico veicolare (Cass. civ., 09-12-1993, n. 12148; in
Foro it., 1994, I, 418; Arch. circolaz., 1994, p. 386; Giur. it., 1994, I, 1, 1781; cfr.
anche Cass. civ., 07-05-1992, n. 5414 in Arch. circolaz., 1992, 1006; Cass.
pen., 15-10-1984 e 31-05-1983; Cass. pen., 08-01-1991 precisa poi che, pur
non vigendo per le aree private le norme sulla circolazione contenute nel
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RESPONSABILITÀ CIVILE AUTOMOBILISTICA
codice stradale, data l’esplicita limitazione contenuta nell’art. 1 alla circolazione sulle strade – e data la specifica definizione di strada come area di uso
pubblico aperta alla circolazione, contenuta nell’art. 2 –, alcune di tali norme, quelle che si ispirano a criteri di elementare prudenza e negligenza, sono applicabili anche alla circolazione di veicoli su strade private).
Nella disciplina del d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285 si considera quindi circolazione, regolata dalle corrispondenti disposizioni, quella che si verifichi su
strada; si precisa che la sosta è momento della circolazione stessa; si definisce la strada quale area ad uso pubblico destinata al transito di veicoli, pedoni ed animali.
È dunque decisiva, al fine in esame, la concreta utilizzazione del suolo quale
componente del sistema viario pubblico, non essendo essenziale la sua inclusione nel demanio stradale, ovvero il suo assoggettamento a diritto di
passaggio della collettività.
Peraltro, quando manchi un assetto giuridico in sé idoneo a determinare
quella destinazione al transito pubblico, come nel caso del terreno di proprietà privata, il passaggio e lo stazionamento di veicolo non possono assumere le connotazioni di detta circolazione o sosta, se non in esito al positivo riscontro di una situazione di fatto divergente da quella normalmente
propria del bene privato, con effettivo godimento di esso da parte della generalità degli utenti del sistema stradale, dato che, in difetto, resta presumibile la fruizione del suolo in via esclusiva da parte del titolare del diritto
dominicale o dei suoi aventi causa.
Ad esempio, un piazzale di proprietà privata non può essere considerato
come destinato al pubblico transito solo per la mera ipotizzabilità di un accesso di altri, in carenza di sistemi protettivi ovvero di visibili divieti, vale a
dire in relazione alla semplice eventualità di tale godimento della collettività.
In definitiva,
la sola assenza di impedimenti all’ingresso di terzi non basta a trasformare il fondo di
proprietà del privato in una parte del complesso viario pubblico
(Cass. civ., 27-01-2005, n. 1694; in Arch. circolaz., 2005, 1071).
L’art. 122, tuttavia, prosegue disponendo che “il Regolamento, adottato dal
Ministro delle attività produttive, su proposta dell’ISVAP, individua la tipologia di veicoli esclusi dall’obbligo di assicurazione e le aree equiparate a
quelle di uso pubblico”.
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Circolazione dei veicoli e profili di responsabilità civile
In seguito tale Regolamento è effettivamente stato emanato, con il decreto
ministeriale 1 aprile 2008, n. 86; il Regolamento, all’art. 3 (“Veicoli a motore”), dispone che:
1. Sono soggetti all’obbligo di assicurazione per la responsabilità civile verso i terzi di
cui all’art. 122 del Codice tutti i veicoli a motore senza guida di rotaie, compresi i filoveicoli e rimorchi posti in circolazione su strade di uso pubblico o su aree a queste
equiparate.
2. Ai fini di cui al comma 1:
a) sono equiparate alle strade di uso pubblico tutte le aree, di proprietà pubblica o
privata, aperte alla circolazione del pubblico;
b) sono considerati in circolazione anche i veicoli in sosta su strade di uso pubblico o
su aree a queste equiparate.
Per la giurisprudenza di merito,
il danneggiato in un sinistro derivante dalla circolazione di un veicolo a motore in
area privata non aperta al pubblico transito non può esperire per il risarcimento del
danno l’azione diretta contro l’assicuratore del veicolo, poiché tale azione è consentita solo per i danni derivanti dalla circolazione dei veicoli a motore su strade di uso
pubblico o aree a queste equiparate (nella fattispecie il sinistro si era verificato
all’interno del seminterrato di un condominio in conseguenza di incendio sprigionatosi da un’autovettura oggetto di tentativo di furto)
(G.d.P. Tortona, 07-07-2007, in Arch. circolaz., 2007, 1068).
In ordine all’obbligatorietà dell’assicurazione per la responsabilità civile dei
veicoli a motore in circolazione su strade di uso pubblico o su aree ad esse
equiparate, la giurisprudenza è costante nel ritenere come sia indifferente
la natura pubblica o privata dell’area aperta alla circolazione, essendo
rilevante soltanto l’uso pubblico della stessa, per tale intendendosi
l’apertura dell’area e della strada ad un numero indeterminato di persone,
ossia la possibilità, giuridicamente lecita, di accesso ad esse da parte di
soggetti diversi dai titolari di diritti sulle stesse, non venendo meno
l’indeterminatezza dei soggetti che hanno possibilità di accedere lecitamente alle aree di proprietà privata aperte alla circolazione del pubblico per il
fatto che essi appartengano tutti ad una o più categorie determinate o che
il loro accesso avvenga per particolari finalità e sotto specifiche condizioni
(cfr. Cass. civ., 11-04-2000, n. 4603, in Assicurazioni, 2000, II, 2, 228, ove si è
equiparata ad una strada di uso pubblico l’area occupata da un cantiere edile, aperto al traffico di tutti coloro che svolgevano mansioni all’interno dello
stesso, nonché di tutti coloro che avevano rapporti commerciali con
l’impresa di costruzioni; Cass. civ., 24-03-1999, n. 2791, in Danno e resp.,
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RESPONSABILITÀ CIVILE AUTOMOBILISTICA
1999, 1017; Cass. civ., 09-02-1998, n. 1321, in Dir. ed economia assicuraz.,
1999, 738; cfr. altresì Cass. civ., 21-12-2005, n. 28303, in Foro it., 2006, I,
1452, con nota di richiami, che ha equiparato alla strada di uso pubblico
un’area privata destinata a parcheggio priva, tuttavia, di cartelli e di recinzioni idonee ad impedire l’accesso ad un numero indeterminato di persone).
In dottrina, per una rassegna giurisprudenziale sul punto, vedi BELLAGAMBA,
CARITI.
Esiste anche un orientamento più restrittivo, che tende a limitare tale qualificazione (Cass. civ., 13-05-2002, n. 6811; Cass. civ., 17-04-1996, n. 3633, in
Arch. circolaz., 1996, 622; Cass. civ., 19-07-2000, n. 9496, in Arch. circolaz.,
2001, 125; Resp. civ., 2001, 365; nel caso di specie la Suprema Corte ha ritenuto che il cortile di una scuola configura un luogo privato, accessibile
solo a pochi e ben individuabili veicoli, ed è quindi al di fuori dell’ambito
della legge indicata, salvo che la parte interessata provi che l’area in questione sia attraversata da un numero incontrollato di veicoli senza limitazione né numerica né soggettiva).
Questa giurisprudenza parte dal principio, in effetti ripetutamente affermato, secondo cui per stabilire se il luogo da cui si sbocca nella strada sia o
non soggetto al pubblico passaggio, occorre avere riguardo all’uso concreto
cui il luogo è destinato e cioè alla circostanze se il luogo da cui si sbocca sia
soggetto anche solo di fatto al transito abituale di un numero indeterminato
o indiscriminato di persone che si serva di esso col passarvi uti cives e non
uti singuli.
prima ipotesi (uti cives):
quando il passaggio viene esercitato da un numero
indiscriminato di persone esercitanti una facoltà
corrispondente all’uso della pubblica via.
seconda ipotesi (uti singuli):
quando il passaggio viene esercitato da particolari
categorie di persone che della strada si giovano o
per effetto di una particolare autorizzazione ovvero
perché appartenenti ad una particolare categoria
ovvero ancora per lo svolgimento di particolari
attività.
In tale seconda ipotesi è chiaro che il passaggio è effettuato non in ragione
della facoltà che normalmente spetta a qualsiasi di cittadino di transitare
per la via pubblica, ma in ragione di un’autorizzazione che può essere
esplicita, come nel caso di accesso consentito a soggetti individualmente
identificati, ovvero implicita, come nel caso di accesso consentito a soggetti, non individualmente identificati, ma svolgenti particolari attività.
Fatta questa premessa, tale orientamento precisa che l’uso abituale deve
essere concreto e non solo possibile in astratto per l’assenza di controlli.
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Pertanto, non è sufficiente che per l’assenza di controlli sia in ipotesi possibile l’accesso in un numero indiscriminato di persone sulla strada, ma è necessario che tale accesso sia concreto ed effettivo; occorrerebbe pertanto la
prova di un uso concreto ed effettivo della strada da parte di un numero
indeterminato e indiscriminato di persone.
In definitiva, occorre fare riferimento non al luogo ove si è verificato
l’incidente ed il conseguente danno, ma al luogo ove è avvenuta la circolazione del veicolo che ha causato il sinistro e prodotto il danno, potendosi il
danno cagionato in un’area privata ricondurre causalmente alla circolazione
su strada pubblica. Ciò che rileva, ai fini dell’applicazione dell’azione diretta
del danneggiato, infatti, è l’esistenza di un nesso di causalità tra il sinistro
dannoso e la circolazione del veicolo su strada pubblica, come si desume
chiaramente dal tenore letterale della disposizione normativa.
Diverso il discorso in ordine alla disposizione codicistica di cui all’art. 2054
c.c., che non menziona il termine “strada”. Nel silenzio della legge, occorre
rifarsi agli orientamenti giurisprudenziali sul punto.
Secondo un primo orientamento
perché sorgano ed operino la presunzione di colpa stabilita dall’art. 2054 c.c. a carico
del conducente del veicolo e la conseguente responsabilità del proprietario, è necessario che ricorra il presupposto della circolazione del veicolo su strada pubblica o su
strada privata soggetta ad uso pubblico o, comunque, adibita al traffico di pedoni o
di veicoli; pertanto, non è applicabile la presunzione di colpa di cui all’art. 2054 c.c.
nel caso in cui non ricorra detto presupposto ed il danno sia stato prodotto in area
privata nella quale non esista traffico e circolazione di veicoli
(Cass. civ., 26-07-1997, n. 7015, in Arch. circolaz., 1997, 890).
Una prima importante conseguenza di tale principio è che in caso di sinistro
stradale avvenuto su via pubblica, l’esistenza di un divieto di transito sulla
stessa non elimina il carattere di strada pubblica, con la conseguenza che
dei danni prodotti dalla circolazione di un veicolo, per quanto vietata, rispondono il conducente ed il proprietario ai sensi dell’art. 2054, comma 3,
c.c., nonché l’assicuratore, ove si tratti di un veicolo a motore soggetto al
regime di assicurazione obbligatoria.
In definitiva la presunzione di colpa di cui all’art. 2054 c.c. non risulterebbe
applicabile solo in una unica ipotesi: l’inesistenza della circolazione, per
assenza assoluta di traffico, come in un fondo agricolo; si dice, infatti,
che perché sorgano ed operino tale la presunzione di colpa e la conseguente responsabilità del proprietario, è necessario che ricorra il presupposto
della circolazione del veicolo su strada pubblica o su strada privata soggetta
ad uso pubblico o, comunque, adibita al traffico di pedoni o di veicoli; pertanto, non è applicabile la presunzione di colpa di cui all’art. 2054 c.c. nel
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caso in cui non ricorra detto presupposto ed il danno sia stato prodotto in
area privata nella quale non esista traffico e circolazione di veicoli.
Stesso discorso per le autorimesse e/o per le officine: si afferma che:
l’azione diretta del danneggiato nei confronti dell’assicuratore r.c. auto è ammessa
solo per gli incidenti avvenuti sul suolo pubblico o in area ad esso equiparata; non è
tale il luogo di pertinenza d’una officina ove non può circolare un numero indeterminato di mezzi e di persone perché l’accesso è consentito solo ai clienti e nel suo interno si svolge una semplice attività di spostamento di veicoli in dipendenza dei lavori di riparazione
(Cass. civ., 09-02-1998, n. 1321; in Dir. ed economia assicuraz., 1999, 738).
Ancora, vale lo stesso discorso per i capannoni industriali: si afferma che
mentre la normativa sull’assicurazione obbligatoria della responsabilità civile
derivante dalla circolazione dei veicoli non riguarda i sinistri verificatisi in
aree private interdette alla circolazione del pubblico, e, cioè, di un numero
indiscriminato di persone, la disciplina di cui all’art. 2054 c.c. si applica anche agli incidenti verificatisi su aree private che, quantunque non aperte alla
circolazione del pubblico nel senso anzidetto, sono, tuttavia, soggette ad
una situazione di traffico veicolare e pedonale paragonabile, quanto a pericolosità, al traffico che si svolge su strada pubblica o aperta al pubblico; ne
consegue che:
all’incidente avvenuto nell’area privata, sita all’interno di uno stabilimento industriale,
non aperta al pubblico, ma interessata al traffico di autotreni per il carico e lo scarico
delle merci, è applicabile la presunzione di colpa di cui all’art. 2054, commi 1 e 3, c.c.,
e non anche la disciplina di cui alla citata L. n. 990 del 1969
(Trib. Roma, 19-09-1984, in Riv. giur. circolaz. e trasp., 1985, 83).
La giurisprudenza si è poi occupata della circolazione degli automezzi militari all’interno delle caserme; si è detto che il principio che l’azione diretta
è ammissibile solo per i danni conseguenti a circolazione su strade pubbliche o equiparate non è derogato dalla previsione contrattuale di
un’estensione della copertura assicurativa anche per i sinistri stradali avvenuti su aree private, in quanto tale estensione produce i suoi effetti soltanto
tra le parti del contratto di assicurazione, ma non rende ammissibile
un’azione diretta del danneggiato nei confronti dell’assicuratore del danneggiante.
Premesso ciò è stato ritenuto, quindi, che la circolazione sull’area in questione era equiparabile, per la possibilità di accesso da parte di un numero
indeterminato di persone, alla circolazione su area pubblica, con la conse-
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Circolazione dei veicoli e profili di responsabilità civile
guenza che detta circolazione andava regolata direttamente dalle norme del
codice stradale.
Dette norme, cioè, non vanno applicate come parametri di comune prudenza, da applicarsi su un’area privata, per cui esse non troverebbero
un’applicazione per così dire diretta, ma costituirebbero solo il contenuto
della comune prudenza, quale formatasi nella coscienza dei consociati.
Il principio sarebbe in astratto esatto se si fosse trattato di area privata non
aperta al pubblico transito (dove l’aggettivo “pubblico” non necessariamente individua tutta la collettività ma sta a significare che su detta area può
accedere un numero indeterminato di persone).
In altri termini – come più volte ripetuto – ai fini dell’applicazione della
normativa del Codice della Strada nonché della normativa dell’assicurazione
obbligatoria RCA è indifferente la natura pubblica o privata dell’area aperta
alla circolazione, essendo rilevante soltanto l’uso della stessa da parte di un
numero indeterminato di persone e cioè del pubblico, ossia di tutti i soggetti, anche se non titolari di diritti sull’area stessa.
Conseguentemente, sotto un profilo spaziale, non esiste una differenza di
applicabilità di una delle due suddette normative rispetto all’altra.
Infatti la sfera di applicazione del Codice della Strada concerne “la circolazione dei pedoni, degli animali e dei veicoli sulle strade” e per strada si intende “l’area di uso pubblico aperta a detta circolazione”.
Anche la normativa sull’assicurazione obbligatoria della RCA si applica alla
“circolazione su strade di uso pubblico e su aree a questa equiparate”, intendendosi per aree equiparate “tutte le aree, di proprietà pubblica o privata, aperte alla circolazione del pubblico”.
In definitiva, nessuna particolare precedenza può essere accordata
all’autocarro militare, rispetto all’auto civile, per il fatto di trovarsi in zona
pur sempre militare, per quanto aperta alla circolazione pubblica, nei sensi
sopra specificati. Infatti l’unica norma del cod. strad. che riguarda specificamente gli autoveicoli militari attiene al divieto di interruzione di convogli
militari e, quindi, solo quando detti convogli abbiano già impegnato
l’incrocio non esiste l’obbligo, da parte di uno degli autoveicoli che ne fanno parte, di dare la precedenza al veicolo proveniente da destra (Cass. civ.,
13-02-1998, n. 1561, in Arch. circolaz., 1998, 576).
Nella copiosa casistica che sui è sviluppata sul tema, la giurisprudenza si è
occupata anche di aeroporti, luoghi in cui è consentita la circolazione dei
mezzi che esplicano servizi aeroportuali; la Suprema Corte ha confermato la
sentenza del giudice di merito che aveva ritenuto che la zona in cui si era
verificato il sinistro, interna ad un aeroporto, riservata alle soste e alle manovre degli aeromobili in partenza o in atterraggio, nella quale transitano
soltanto veicoli che svolgono servizi aeroportuali, non poteva essere qualifi© Wolters Kluwer Italia
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RESPONSABILITÀ CIVILE AUTOMOBILISTICA
cata come area pubblica (Cass. civ., 29-04-2005, n. 9003; in Arch. circolaz.,
2006, 163).
Va riconosciuto, comunque, a tale giurisprudenza il merito di tentare di
allargare il più possibile i ristretti limiti sin qui descritti, verificando ipotesi di estensione della applicabilità della normativa in discussione: si è detto addirittura che:
ai fini dell’applicazione della L. 24 dicembre 1969, n. 990, sono equiparate alle strade
di uso pubblico tutte le aree di proprietà pubblica e privata aperte alla circolazione
del pubblico; pertanto anche il lido del mare deve essere equiparato alla strada di uso
pubblico quando è aperto alla circolazione di veicoli, persone ed animali
(Trib. Lecce, 21-11-2000, in Riv. giur. circolaz. e trasp., 2001, 99).
Invero anche la giurisprudenza di legittimità ha tentato tale strada: si veda il
caso in cui è stato affermato che l’azione diretta nei confronti
dell’assicuratore è ammessa anche per i sinistri cagionati da veicoli posti in
circolazione su area (da equiparare alla strada di uso pubblico), che, ancorché di proprietà privata, sia aperta ad un numero indeterminato di persone
ed alla quale sia data la possibilità, giuridicamente lecita, di accesso da parte
di soggetti diversi dai titolari dei diritti su di essa, non venendo meno
l’indeterminatezza dei soggetti che hanno detta possibilità pur quando essi
appartengano tutti ad una o più categorie specifiche e quando l’accesso
avvenga per peculiari finalità ed in particolari condizioni, come si verifica, ad
esempio, in un cantiere, al quale hanno accesso tutti quelli che vi lavorano e
coloro che hanno rapporti commerciali con l’impresa;
costituisce oggetto di apprezzamento di fatto, come tale devoluto al giudice di merito e sindacabile in sede di legittimità solo per vizio di motivazione, l’accertamento in
ordine alla concreta accessibilità dell’area al pubblico, come sopra intesa
(Cass. civ., 27-10-2005, n. 20911, in Arch. Circolaz., 2006, 484).
Possiamo quindi tentare una schematizzazione; rientrerebbero, a mente di quanto
appena detto, nella nozione di strade ad uso pubblico:
le strade comunali in cui è presente un divieto di transito (Cass. civ., 29-10-2001,
n. 13393);
il cortile privato che venga utilizzato per l’accesso dei fornitori e della clientela ad
un negozio (Cass. civ., 25-08-1989, n. 3785);
il giardino pubblico adiacente ad una strada pubblica a cui tutti possono liberamente accedere (Cass. civ., 22-04-1982, n. 2477);
l’area di parcheggio di un supermercato (Cass. civ. [ord.], 23-07-2009, n. 17279; in
Foro it., 2010, I, 1862; in Arch. Circolaz., 2010, 336; in Corriere giur., 2010, 636, con
nota di Carrato; in Giust. civ., 2010, I, 1946);
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Circolazione dei veicoli e profili di responsabilità civile
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-
l’area all’interno di un cantiere (Cass. civ., 27-10-2005, n. 20911; in Arch. Circolaz.,
2006, 484), ad esclusione di quelli in cui si può avere accesso previa specifica autorizzazione;
il piazzale di uno stabilimento produttivo aperto al pubblico, pur se di proprietà
privata;
il seminterrato di un condominio (Giudice di pace Tortona, 07-07-2007; in Arch.
Circolaz., 2007, 1068; in Giudice di pace, 2008, 241, con nota di FEBBRAIO);
l’area interna di un circolo del golf (Trib. Milano, 26-05-1994; in Riv. dir. sport.,
1995, 649, con nota di CARINGELLA);
l’area destinata alla distribuzione di carburante al pubblico degli utenti (Cass. civ.,
sez. III, 03-03-2011, n. 5111; in Foro it., 2011, I, 2093; Arch. Circolaz., 2011, 583;
Assicurazioni, 2011, 533);
le aree vicinali aperte all’uso collettivo e alla circolazione su strade interpoderali
(Cass. civ., sez. II, 25-06-2008, n. 17350);
gli aeroporti;
i porti marittimi;
il lido del mare (Trib. Lecce, 21-11-2000; in Riv. giur. circolaz. e trasp., 2001, 99,
con nota di VAGLIO);
gli scali merci ferroviari;
gli insediamenti fieristici.
4. LA RESPONSABILITÀ DI CUI ALL’ART. 2054, COMMA 1, C.C.
4.1. La responsabilità del conducente di veicolo.
La norma fondamentale in materia è il comma 1 dell’art. 2054 c.c., il quale
dispone che “il conducente di un veicolo senza guida di rotaie è obbligato a
risarcire il danno prodotto a persone o a cose dalla circolazione del veicolo,
se non prova di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno”.
La norma esprime (peraltro in ciascuno dei commi che lo compongono) un
principio di carattere generale applicabile a tutti i soggetti che da tale
circolazione comunque ricevano danni, e quindi anche ai trasportati, quale
che sia il titolo del trasporto, di cortesia ovvero contrattuale (oneroso o gratuito).
La Corte Costituzionale, con sentenza 17-12-1981, n. 192, aveva introdotto
la tesi che la norma non sia scindibile nel suo aspetto formale ed in quello
sostanziale, essendo concepita unitariamente, come è dimostrato dalla
stretta relazione intercorrente tra le disposizioni ivi contenute, tutte indissolubilmente connesse alla statuizione fondamentale concernente la presunzione di responsabilità del conducente, di cui le altre disposizioni costituiscono evidenti articolazioni.
Per il giudice delle leggi, non è pertanto lecito ritenere che quando la responsabilità del conducente risulti accertata in concreto, indipendentemen© Wolters Kluwer Italia
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RESPONSABILITÀ CIVILE AUTOMOBILISTICA
te dalla presunzione, il proprietario del veicolo possa essere chiamato a rispondere ai sensi del comma 3 dell’art. 2054 c.c., che appunto costituisce
estensione ed articolazione del principio presuntivo posto dal comma 1.
Da tanto conseguiva – come la dottrina non ha mancato di porte immediatamente e criticamente in rilievo – che il proprietario di un veicolo condotto
da un terzo potesse sottrarsi alla responsabilità solidale col conducente in
ordine ai danni provocati dalla circolazione dell’autoveicolo, non solo provando:
a) che la circolazione è avvenuta prohibente domino; ovvero
b) che il conducente ha fatto tutto il possibile per evitare il danno; ma anche
c) che il conducente lo ha colposamente cagionato.
Unica ipotesi in cui – esclusa la prima – egli sarebbe chiamato a rispondere
del danno è dunque quella dell’insuccesso dell’una e dell’altra prova. Il che
equivale ad affermare che il danneggiato (qualunque danneggiato, sia egli
trasportato di cortesia ovvero terzo estraneo alla circolazione) intanto potrà
contare sulla garanzia patrimoniale generica costituita dal patrimonio del
proprietario dell’autoveicolo in quanto l’accertamento, in positivo o in negativo, della colpa del conducente sia difettato.
Se, invece, sia risultato che egli aveva fatto tutto il possibile per evitare il
danno, ovvero se, all’opposto, la sua colpa sia stata provata, il proprietario
non risponderà in alcun modo.
Tutti questi principi sono stati superati nel corso del tempo, anche grazie all’evolversi della normativa (oggi la tutela del terzo trasportato è disciplinata minuziosamente dal nuovo Codice delle Assicurazioni), e la giurisprudenza che ne è scaturita, a partire dal 1998 (Cass. civ., 26-10-1998, n.
10629, in Foro it., 1998, I, 2109) ha saputo assecondare ed accompagnare
tale evoluzione interpretativa; sul punto si rimanda al commento dei commi
successivi al primo della norma in esame.
4.2. Il criterio di imputazione della responsabilità e la prova
liberatoria del conducente.
Tornando al comma 1, va detto che la presunzione di colpa del conducente
del veicolo non opera in contrasto con il principio della responsabilità per
fatto illecito fondato sul rapporto di causalità tra evento dannoso e condotta umana, nel senso che, anche se il conducente del veicolo non abbia fornito la prova idonea a vincere la suddetta presunzione, non è preclusa
l’indagine da parte del giudice di merito in ordine al concorso di colpa del
danneggiato, con la conseguenza che, allorquando siano accertate la pericolosità e l’imprudenza della condotta del danneggiato, la colpa di questo
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Circolazione dei veicoli e profili di responsabilità civile
concorre, ai sensi dell’art. 1227 c.c., comma 1 con quella presunta del conducente.
In altri termini, il comportamento colposo del danneggiato non è sufficiente,
di per sé, per superare la presunzione posta a carico del conducente del
veicolo, in mancanza della prova che egli abbia fatto tutto il possibile per
evitare il danno, e, dall’altro, il mancato raggiungimento della prova che
incombe sul conducente (e più ancora l’accertamento in concreto di un suo
comportamento colposo) non esclude che la condotta colposa del danneggiato sia idonea a limitare la responsabilità del conducente del veicolo investitore, allorché sussista un rapporto di causalità tra tale comportamento e
l’incidente.
Del resto, da tempo la giurisprudenza ha chiarito che in caso di investimento di pedone, la circostanza che quest’ultimo abbia attraversato la strada
senza rispettare il semaforo, non consente, di per sé sola, di escludere la
responsabilità presunta del conducente ex art. 2054, comma 1, c.c.
Va detto comunque che l’onere per il conducente di un veicolo di fornire la
prova di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno vale per i danni cagionati a terzi estranei alla circolazione, ma non anche nello scontro tra veicoli, nel qual caso ciascun conducente non deve provare di aver fatto tutto il
possibile per evitare il danno bensì la colpa o il concorso di colpa dell’altro.
Peraltro il conducente può vincere la presunzione di colpa a suo carico dando la prova che l’incidente si è verificato a causa di un malessere fisico e/o
psichico improvviso, solo ove tale malessere sia del tutto imprevedibile
ed inevitabile da parte del conducente medesimo, per non avere mai egli
sofferto in passato della stessa patologia o di patologie simili.
In sostanza, l’art. 2054 c.c. esprime, in ciascuno dei commi che lo compongono, principi di carattere generale applicabili a tutti i soggetti che da tale
circolazione comunque ricevano danni e, quindi, anche ai trasportati, qualunque sia il titolo del trasporto, di cortesia ovvero contrattuale, oneroso o
gratuito, potendo il trasportato, indipendentemente dal titolo del trasporto,
invocare i primi due commi dell’art. 2054 c.c. per far valere la responsabilità
extracontrattuale del conducente ed il comma 3 per far valere quella solidale del proprietario, il quale può liberarsi
solo provando che la circolazione del veicolo è avvenuta contro la sua volontà, ovvero
che il conducente aveva fatto tutto il possibile per evitare il danno o, ancora, in caso
di guasto tecnico, dando prova del caso fortuito o dell’inesistenza del vizio di manutenzione o costruzione
(Cass. civ., sez. III, 21-05-2014, n. 11270; in Mass., 2014, 381; Arch. Circolaz., 2014,
715).
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RESPONSABILITÀ CIVILE AUTOMOBILISTICA
La norma esclude i conducenti dei veicoli a rotaie: nei casi di collisione tra
una autovettura ed un veicolo tranviario, quindi, non può applicarsi nei confronti del conducente del veicolo con guida di rotaie la presunzione di cui al
comma 1 dell’art. 2054 c.c., espressamente esclusa dal legislatore, né può
ritenersi operante il principio sussidiario di cui al comma 2 dello stesso articolo, poiché i veicoli convenuti in collisione hanno caratteristiche tecniche e
prestazioni talmente diverse da non poter essere considerati sullo stesso
piano in caso di sinistro.
Conseguentemente, il comportamento del conducente del veicolo tranviario va valutato ai sensi dell’art. 2043 c.c., procedendo nello stesso tempo ad
accertare se il conduttore dell’autovettura abbia provato, ai sensi dell’art.
2054, comma 1, c.c. l’oculatezza e la prudenza della propria condotta di
guida, dimostrando di aver fatto tutto il possibile per evitare la collisione.
Con riferimento al termine “circolazione” usato dalla norma, si è già detto
che la sosta va considerata come momento del più ampio fenomeno della
circolazione dei veicoli, e il danno cagionato dalla sosta di un veicolo alla
circolazione di altro veicolo, senza che vi sia stata collisione tra l’uno e
l’altro, va ricondotto alla previsione dell’art. 2054, comma 1, c.c., concernente la presunzione di colpa del conducente del veicolo in sosta vietata.
Per completare la casistica, poi, va ribadito che il conducente di autoveicoli
della polizia, dei vigili del fuoco o di ambulanze, il quale circoli per servizio
urgente e con le sirene in funzione, è esonerato dalla osservanza di obblighi e divieti inerenti la circolazione stradale, ma non dal generale
dovere di rispettare le norme di comune prudenza; ne consegue che in
caso di sinistro resta onere del conducente fornire la prova liberatoria di
aver fatto tutto il possibile per evitare il sinistro, pur se la inevitabilità altrimenti dell’evento va valutata tenendo conto della effettiva situazione di
emergenza.
4.3. Il nesso di causalità.
Il rapporto di causalità è disciplinato dall’art. 40 c.p., che dispone che nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come reato, se
l’evento dannoso o pericoloso, da cui dipende l’esistenza del reato, non è
conseguenza della sua azione od omissione.
In tema di rapporto di causalità, è stato efficacemente osservato che:
qualora l’evento dannoso o pericoloso sia stato cagionato da una pluralità di azioni o
di omissioni, coeve o succedutesi nel tempo, tutte hanno uguale valore causale, dovendo a ciascuna di esse riconoscersi un’efficienza causativa del danno, ove, nella
concatenazione degli avvenimenti, abbiano determinato una situazione tale che
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Circolazione dei veicoli e profili di responsabilità civile
l’evento, sebbene prodotto direttamente dalla causa avvenuta per ultima, non si sarebbe verificato
(Cass. civ., 22-10-2003, n. 15789, in Foro it., 2004, I, 2182).
Ai fini dell’accertamento in fatto delle cause che determinano l’accadimento
di un dato evento, è apparsa sempre decisiva la scelta della teoria di ricostruzione del nesso causale; si è sempre fatto uso di concetto di derivazione
penalistica:
teoria della condicio sine qua
non
secondo la quale la condotta umana può
considerarsi causa di un evento sol che costituisca
una delle condizioni antecedenti che concorrono
alla realizzazione dell’evento stesso;
teoria della causalità adeguata
considera eziologicamente rilevante solo la
condotta
umana
adeguata,
proporzionata
all’evento, idonea a determinare un dato effetto
sulla base dell’id quod plerumque accidit.
fino alle più recenti teorie della causalità umana, dell’imputazione obiettiva dell’evento o della sussunzione sotto leggi scientifiche.
Alcune teorie relative all’argomento sono state abbandonate:
la teoria della causa prossima, che individua la causa nell’ultima
condizione che completando la serie degli antecedenti causali,
determina di sicuro il risultato;
la teoria della causa efficiente, che separando gli antecedenti causali,
ravvisa nella causa la forza che produce l’effetto, la condizione che
consente alla causa di agire, l’occasione di una semplice circostanza che
invita all’azione;
la teoria dell’equivalenza, in base alla quale non vi sono elementi
distintivi di tipo efficiente, potendo la condizione essere rappresentata
dal semplice fenomeno naturale;
la teoria dell’univocità dell’azione, sviluppata per reperire elementi di
distinzione tra gli elementi causali sulla base dell’univocità dell’azione,
che deve essere oggettivamente diretta a un determinato evento.
Alcune sentenze in tema di responsabilità sembrano accogliere la teoria
dell’equivalenza causale, temperata dal principio della causalità efficiente,
in virtù della quale, qualora l’evento si ricolleghi a più azioni o omissioni,
queste assumono tutte valenza eziologica, qualora abbiano determinato
una situazione tale che senza l’una o l’altra di esse l’evento non si sarebbe
verificato, a prescindere dal fatto che abbiano influito in via diretta e prossima, ovvero in via indiretta e remota, tranne che si accerti la esclusiva effi© Wolters Kluwer Italia
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RESPONSABILITÀ CIVILE AUTOMOBILISTICA
cienza causale di una di esse (cfr. ex plurimis, Cass. civ., 15-01-2003, n. 488;
Cass. civ., 12-10-2001, n. 12431, 04-06-2001, n. 7507; Cass. civ., 24-04-2001,
n. 6023, in Danno e resp., 2001, 814, con osservazioni di DALLATORRE, nonché
Dir. e giustizia, 2001, 20, 71, con nota di ROSSETTI, dove il conducente di
un’autovettura, che per imprudenza abbia provocato un incidente stradale,
è ritenuto responsabile dell’insorgenza di un’epatite virale contratta a seguito della emotrasfusione effettuata nel corso di un intervento chirurgico conseguente alle lesioni riportate nell’incidente; Cass. civ., 13-09-2000, n. 12103,
in Dir. e giustizia, 2000, fasc. 33; Cass civ., 24-04-1997, n. 3596, in Danno e
resp., 1997, 438).
Altre appaiono invece temperare la teoria dell’equivalenza con quella della
causalità adeguata (anche qui ex plurimis cfr. Cass. civ., 10-05-2000, n.
5962; App. Torino 30-03-2001, in Giur. it., 2001, 2140; App. Trento 31-031998, in Danno e resp., 1998, 1152; Trib. Roma 22-02-1997, in Riv. dir. sport.,
1997, 504; G.d.P. Brescia 15-07-1996, che ritiene responsabili dei danni cagionati al mezzo parcheggiato dalla caduta di un cartello contenente
l’avviso dei lavori in corso sia la Pubblica amministrazione, sia il proprietario
del mezzo danneggiato per aver parcheggiato l’autovettura a ridosso del
cartello. Per un’attenta disamina dei formanti dottrinali e giurisprudenziali in
campo penalistico, cfr. BERNASCONI).
In altri precedenti giurisprudenziali si afferma invece che è possibile comparare il grado d’incidenza eziologica di più cause concorrenti soltanto tra
una pluralità di comportamenti umani colpevoli, ma non tra una causa
umana imputabile ed una concausa naturale non imputabile, posto che,
qualora le condizioni ambientali o i fattori naturali che caratterizzano la realtà fisica siano sufficienti a determinare l’evento di danno indipendentemente dal comportamento medesimo, l’autore dell’azione o dell’omissione resta
sollevato, per intero, da ogni responsabilità dell’evento, non avendo posto
in essere alcun antecedente dotato in concreto di efficienza causale (cfr.
Cass. 09-04-2003, n. 5539; 16-02-2001, n. 2335, in Resp. civ., 2001, 580, nonché Dir. e giustizia, 2001, 8, 33; 05-11-1999, n. 12339, in Nuova giur. civ.,
2000, I, 665; per il merito, vedi Trib. Casale Monferrato 05-05-2000, in Nuova
giur. civ., 2001, I, 70).
Tuttavia va sempre verificato se l’antecedente dell’evento lesivo non sia
neutralizzato, sul piano eziologico, dalla sopravvenienza di un fatto idoneo di per sé a determinare l’evento: per esempio si ha interruzione del
nesso di causalità per effetto del comportamento sopravvenuto di altro
soggetto quando il fatto di costui si ponga, ai sensi dell’art. 41, comma 2,
c.p., come unica ed esclusiva causa dell’evento di danno, sì da privare
dell’efficienza causale e rendere giuridicamente irrilevante il precedente
comportamento dell’autore dell’illecito, ma non quando, essendo ancora in
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Circolazione dei veicoli e profili di responsabilità civile
atto ed in fase di sviluppo il processo produttivo del danno avviato dal fatto
illecito dell’agente, nella situazione di potenzialità dannosa da questi determinata si inserisca una condotta di altro soggetto, che sia preordinata
proprio al fine di fronteggiare e, se possibile, di neutralizzare le conseguenze di quell’illecito (cfr. Cass. civ., sez. III, 12-09-2005, n. 18094, Danno e resp.,
2006, 518).
A parte la dibattuta questione se la norma di cui all’art. 1223 c.c. regoli il
nesso di causalità giuridica, mentre il nesso di causalità materiale sia regolato esclusivamente dai principi di cui agli artt. 40 e 41 c.p. (con conseguente
distinzione tra causalità di fatto – contenuta nella struttura dell’illecito ed
avente come referenti le predette norme penali – e causalità giuridica – contenuta nella struttura della valutazione del danno, di cui agli artt. 2056-1223
c.c.), sta di fatto che per giurisprudenza pacifica,
il criterio in base al quale sono risarcibili i danni conseguiti dal fatto illecito (o
dall’inadempimento in tema di responsabilità contrattuale), deve intendersi, ai fini
della sussistenza del nesso di causalità, in modo da comprendere nel risarcimento i
danni indiretti e mediati, che si presentino come effetto normale, secondo il principio della c.d. regolarità causale.
Pertanto un evento dannoso è da considerare causato da un altro se, ferme
restando le altre condizioni, il primo non si sarebbe verificato in assenza
del secondo (c.d. teoria della condicio sine qua non): ma nel contempo non
è sufficiente tale relazione causale per determinare una causalità giuridicamente rilevante, dovendosi, all’interno delle serie causali cosi determinate,
dare rilievo a quelle soltanto che, nel momento in cui si produce l’evento
causante non appaiono del tutte inverosimili (c.d. teoria della causalità
adeguata o della regolarità causale, la quale in realtà, come è stato esattamente osservato, oltre che una teoria causale, è anche una teoria
dell’imputazione del danno).
E pertanto, in conclusione:
se le condizioni ambientali od i fattori
naturali che caratterizzano la realtà fisica
su cui incide il comportamento
imputabile dell’uomo siano sufficienti a
determinare
l’evento
di
danno,
indipendentemente dal comportamento
medesimo:
se, invece, le predette condizioni non
possono dar luogo, senza l’apporto
umano, all’evento di danno:
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l’autore dell’azione o della omissione
resta sollevato, per intero, da ogni
responsabilità dell’evento, non avendo
posto in essere alcun antecedente dotato
in concreto di efficienza causale
l’autore del comportamento imputabile è
responsabile per intero di tutte le
conseguenze da esso scaturenti secondo
il criterio di normalità.
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RESPONSABILITÀ CIVILE AUTOMOBILISTICA
In alcune decisioni di merito si è attribuita al conducente del veicolo la responsabilità per tutte le conseguenze dannose riportate dalla vittima del
sinistro dal primo cagionato, ivi compresa l’insorgenza di una patologia
contratta a seguito della emotrasfusione effettuata nel corso di un intervento chirurgico conseguente alle lesioni riportate nell’incidente.
4.4. La previsione (e prevedibilità) dell’altrui imprudenza.
Secondo l’ultima giurisprudenza,
l’anomalia della condotta del pedone che, in caso di investimento al di fuori delle
strisce di attraversamento, consente di ritenere superata la presunzione di responsabilità esclusiva del conducente prevista iuris tantum dall’art. 2054, comma 1, c.c., non
coincide con la mera inosservanza dell’obbligo di dare la precedenza ai veicoli in
transito, ma esige la dimostrazione che egli, violando le regole del Codice della Strada, si sia portato imprevedibilmente dinanzi alla traiettoria di marcia del veicolo investitore
(Cass. Civ., 18-11-2014, n. 24472).
Nella causazione di un sinistro quindi, una volta accertato che la violazione
di una norma cautelare imposta dalla legge si sia verificata con coscienza e
volontà ed abbia concorso a cagionare l’evento dannoso, la responsabilità
colposa del trasgressore sussiste indipendentemente dalla prevedibilità
dell’evento.
Ai fini della responsabilità per danni cagionati dalla circolazione di autoveicoli, infatti, per quel che attiene al requisito della prevedibilità dell’evento, si
considera imprevedibile la condotta di terzi solo quando è del tutto irrazionale o fuori da ogni logica.
Rammentiamo che ai sensi del
art. 41 c.p.
“concorso di cause”
1- Il concorso di cause preesistenti o simultanee o sopravvenute, anche se indipendenti dall’azione od omissione del colpevole, non esclude il rapporto di causalità fra
l’azione od omissione e l’evento.
2- Le cause sopravvenute escludono il rapporto di causalità, quando sono state da
sole sufficienti a determinare l’evento. In tal caso, se l’azione od omissione precedentemente commessa costituisce per sé un reato, si applica la pena per questo stabilita.
3- le disposizioni precedenti si applicano anche quando la causa preesistente o simultanea o sopravvenuta consiste nel fatto illecito altrui.
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Quindi le cause sopravvenute da sole sufficienti a determinare l’evento, secondo la previsione dell’art. 41, comma 2, c.p., sono solo quelle che si inseriscono nella serie causale quale fattore autonomo del tutto eccezionale (cioè
straordinario, rarissimo, non solo anomalo o meramente inconsueto) che dia
luogo ad un decorso causale atipico privo di prevedibilità e di controllo da
parte dell’agente che abbia già posto in essere una condizione necessaria
dell’evento, secondo il principio condizionalistico sancito dalla norma.
Se ne deduce che quando l’imminenza e gravità di una situazione di pericolo sia percepibile con estrema facilità, chiarezza e prevedibilità e possa
conseguentemente essere evitata con diligenza anche minima, va esclusa
la colpa di colui che abbia realizzato una astratta concausa dell’evento dovendosi ritenere interrotto il nesso tra la causa remota e l’accaduto.
In numerosissime pronunzie si riconosce che la violazione di determinate
disposizioni di leggi (regolamenti, discipline) integra il requisito della colpa
specifica, con la conseguenza di rendere decisivo, ai fini di una prognosi
sulla responsabilità penale, l’accertamento in ordine alla regola trasgredita,
mentre nessuna influenza può esplicare il criterio della prevedibilità poiché,
una volta accertata la violazione, l’inosservanza delle norme predette sostanzia l’imprudenza e negligenza che costituiscono dato saliente della responsabilità per colpa.
Ribadiamo quindi che quando una situazione di pericolo sia di tale evidenza (o prevedibilità) da poter essere superata o evitata con la normale prudenza e diligenza, non può essere ritenuto responsabile dell’evento
dannoso che, ciò nonostante, ne sia derivato, colui che ha posto in essere
tale situazione, poiché essa costituisce solo l’occasione del sinistro, dovendosi di questo ricercare la causa esclusivamente nella negligenza o imprudenza della vittima.
Così argomentando, si è detto che nei reati colposi conseguenti a incidenti
stradali è esclusa la responsabilità del conducente quando il fatto illecito
altrui, ed in particolare della vittima, configuri per le sue caratteristiche una
vera causa eccezionale, atipica e non prevedibile che sia stata da sola sufficiente a provocare l’evento: i giudici hanno così assolto un investitore la cui
vittima aveva attraversato l’incrocio a piedi all’improvviso, con il semaforo
rosso e correndo diagonalmente lontano dalle strisce, mentre la velocità
dell’investitore era molto moderata.
Altrove, con riguardo ad addebito di omicidio colposo a carico del conducente di un veicolo cui si imputava di aver tenuto una velocità eccessiva che
non gli aveva consentito di mantenere il controllo del veicolo stesso a fronte
dell’improvvisa ed irregolare immissione nella sede stradale di altro veicolo
rimasto ignoto, così contribuendo a cagionare un incidente con esiti mortali
a carico degli occupanti di un terzo veicolo con il quale il primo veniva a
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RESPONSABILITÀ CIVILE AUTOMOBILISTICA
collisione, i giudici hanno ritenuto corretta la esclusione della qualificabilità
della suddetta immissione come fatto eccezionale ed imprevedibile, tale
quindi da far luogo ad esclusione del nesso causale tra la condotta ascritta
all’imputato e l’incidente mortale.
Sul tema della prevedibilità della altrui negligenza, tuttavia, non mancano
ulteriori precisazioni, soprattutto in tema di colpa.
È necessario premettere che l’art. 43 c.p. dispone che il delitto è doloso (o
secondo l’intenzione), quando l’evento dannoso o pericoloso, che è il risultato dell’azione od omissione e da cui la legge fa dipendere l’esistenza del
delitto, è dall’agente preveduto e voluto come conseguenza della propria
azione od omissione; è preterintenzionale (o oltre l’intenzione), quando
dall’azione od omissione deriva un evento dannoso o pericoloso più grave
di quello voluto dall’agente; è colposo (o contro l’intenzione) quando
l’evento, anche se preveduto, non è voluto dall’agente e si verifica a causa di
negligenza o imprudenza o imperizia, ovvero per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline.
La formula legale della colpa espressa dall’art. 43 c.p. (con il richiamo alla
negligenza, imprudenza ed imperizia ed alla violazione di leggi, regolamenti, ordini e discipline), delinea un primo e non controverso tratto distintivo di
tale forma di imputazione soggettiva, di carattere oggettivo e normativo.
Tale primo obiettivo profilo della colpa, incentrato sulla condotta posta in
essere in violazione di una norma cautelare, ha la funzione di orientare il
comportamento dei consociati ed esprime l’esigenza di un livello minimo ed
irrinunciabile di cautele nella vita sociale.
Accanto al profilo obiettivo ed impersonale ve ne è un altro di natura soggettiva, indirettamente adombrato dalla definizione legislativa, che sottolinea nella colpa solo la mancanza di volontà dell’evento.
Tale connotato negativo ha un significato inevitabilmente ristretto che si
risolve essenzialmente sul piano definitorio o classificatorio: serve infatti a
segnare la traccia per il confine con l’imputazione dolosa (l’evento, anche
se preveduto, “non è voluto”).
In positivo, il profilo più squisitamente soggettivo e personale della colpa
viene generalmente individuato nella capacità soggettiva dell’agente di osservare la regola cautelare, nella concreta possibilità di pretendere
l’osservanza della regola stessa, in una parola nella esigibilità del comportamento dovuto.
Da qualunque punto di vista si guardi alla colpa, la prevedibilità ed evitabilità del fatto svolgono un ruolo fondante: la dottrina ha da sempre sottolineato che la responsabilità colposa non si estende a tutti gli eventi che
comunque siano derivati dalla violazione della norma, ma è limitata ai risultati che la norma stessa mira a prevenire.
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Circolazione dei veicoli e profili di responsabilità civile
Tale esigenza conferma l’importante ruolo della prevedibilità e prevenibilità
nell’individuazione delle norme cautelari, alla cui stregua va compiuto il
giudizio ai fini della configurazione del profilo oggettivo della colpa.
Si tratta di identificare una norma specifica, avente natura cautelare, posta a
presidio della verificazione di un altrettanto specifico evento, sulla base delle conoscenze che all’epoca della creazione della regola consentivano di
porre la relazione causale tra condotte e risultati temuti; e di identificare
misure atte a scongiurare o attenuare il rischio.
L’accadimento verificatosi deve cioè essere proprio tra quelli che la norma
di condotta tendeva ad evitare, deve costituire la concretizzazione del rischio.
Ma prevedibilità ed evitabilità rilevano anche in relazione al profilo più squisitamente soggettivo della colpa: la giurisprudenza ha in numerose occasioni stabilito che la prevedibilità altro non è che la possibilità dell’uomo coscienzioso ed avveduto di cogliere che un certo evento è legato alla violazione di un determinato dovere oggettivo di diligenza; che un certo evento è evitabile adottando determinate regole di diligenza.
Ma anche nell’ambito della circolazione stradale che qui interessa, è stata
ripetutamente affermata la necessità di tener conto degli elementi di spazio
e di tempo, e di valutare se l’agente abbia avuto qualche possibilità di evitare il sinistro: la prevedibilità ed evitabilità vanno cioè valutate in concreto.
Il fattore velocità, si è affermato, corrisponde ad un concetto relativo alle
situazioni contingenti, quando si tratta di valutare il comportamento
dell’imputato in chiave causale e non già di accertare la violazione di una
norma contravvenzionale che prescrive limiti di velocità.
È ben vero che parte della giurisprudenza di legittimità, ispirandosi alla criticata concezione oggettivante della colpa, tende a ritenere che la prevedibilità e prevenibilità dell’evento sono elementi, estranei all’imputazione soggettiva di cui si parla. Tuttavia si è per lo più in presenza di pronunzie risalenti nel tempo, ispirate a concezioni della colpa che non trovano più credito nel presente della riflessione giuridica.
Tali enunciazioni generali necessitano di un ulteriore chiarimento:
nell’ambito del profilo soggettivo della colpa di cui si parla, l’esigenza della
prevedibilità ed evitabilità in concreto dell’evento si pone in primo luogo e
senza incertezze nella colpa generica, poiché in tale ambito la prevedibilità
dell’evento ha un rilievo decisivo nella stessa individuazione della norma
cautelare violata; ma anche nell’ambito della colpa specifica la prevedibilità
vale non solo a definire in astratto la conformazione del rischio cautelato
dalla norma, ma anche va rapportata entro le diverse classi di agenti modello ed a tutte le specifiche contingenze del caso concreto.
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RESPONSABILITÀ CIVILE AUTOMOBILISTICA
Certamente tale spazio valutativo è pressoché nullo nell’ambito delle norme
rigide, la cui inosservanza da luogo quasi automaticamente alla colpa; ma
nell’ambito di norme elastiche che indicano un comportamento determinabile in base a circostanze contingenti, vi è spazio per il cauto apprezzamento in ordine alla concreta prevedibilità ed evitabilità dell’esito antigiuridico
da parte dell’agente modello.
Nel caso della circolazione stradale, si è in presenza di norme cautelari codificate che lasciano un ristretto margine valutativo.
In particolare, l’art. 145 del Codice della Strada che impone, nelle intersezioni, di dare precedenza ai veicoli che provengono da destra o per adeguarsi
alle prescrizioni segnaletiche, richiede che il sopravvenire dell’altro utente
possa essere osservato o previsto.
La disposizione, sebbene rigorosa per ovvie esigenze di sicurezza, non
esclude del tutto che contingenze particolari possano rendere la condotta
inosservante non soggettivamente rimproverabile a causa, ad esempio,
dell’assoluta imprevedibilità della condotta di guida dell’altro soggetto
coinvolto nel sinistro.
Tuttavia, tale ponderazione non può essere meramente ipotetica, congetturale, ma, deve, di necessità fondarsi su emergenze concrete e risolutive.
Le contingenze che possono venire in questione sono le più diverse.
Basti pensare ad un veicolo che viaggi di notte, al buio, a luci spente; oppure ad una situazione della strada che, per qualche ragione, precluda la corretta osservazione della zona dell’intersezione.
Peraltro, sempre secondo la migliore giurisprudenza, la condotta di guida
imprudente di altri utenti della strada non costituisce in sé una contingenza imprevedibile.
Al contrario, la normale prudenza nella circolazione stradale richiede di mettere in conto, in qualche guisa, anche tale possibilità.
Tale principio è stato affermato con particolare forza, condivisibilmente,
proprio nel contesto delle intersezioni stradali.
Si è infatti enunciato che, l’intersezione delle traiettorie dei veicoli procedenti sulle strade confluenti in crocevia e, conseguentemente, la probabilità
di urto tra i medesimi, è assunta dal legislatore quale dato di fatto, presupposto di una situazione di pericolosità e costituisce la ratio della rigorosa
normativa dettata in materia dal Codice della Strada.
Tali norme, peraltro, non esauriscono il complesso di obblighi gravanti sui
conducenti di autoveicoli, dato che la norma di cui all’art. 43 c.p. affianca
l’inosservanza di specifiche prescrizioni dettate da leggi, regolamenti, ordini
o discipline, alla violazione del dovere di prudenza e di diligenza, secondo la
regola, di generale portata, che deve governare l’attività umana ogni qual
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Circolazione dei veicoli e profili di responsabilità civile
volta sussista la probabilità di conflitto con diritti altrui, materializzata nel
dettato dell’art. 2043 c.c. (c.d. principio del neminem laedere).
Ne consegue che, nell’adempimento di tale dovere, il conducente di autoveicolo ha l’obbligo non solo di attenersi strettamente alle regole che riguardano più direttamente il movimento del mezzo da lui condotto, ma
deve altresì, e senza che ciò possa essere considerato un di più, prefigurarsi, nell’ambito della normale prevedibilità, l’altrui condotta imprudente
o negligente e, persino, imperita, onde mettersi in grado di porvi riparo
evitando danni a se stesso e agli altri, tra i quali ultimi non vi è motivo alcuno di non ricomprendere anche il soggetto cui sia riferibile la condotta imprudente, negligente, imperita.
La stessa questione è stata pure affrontata, infine, con riferimento al principio di affidamento.
Si è affermato che la precedenza cronologica o cosiddetta “di fatto” può
ritenersi legittima ed idonea ad escludere la precedenza di diritto del veicolo proveniente da destra solo a condizione che il conducente di sinistra si
presenti all’incrocio con tanto anticipo da consentirgli di effettuare
l’attraversamento con assoluta sicurezza e senza porre in essere alcun rischio per la circolazione.
Ciò comporta che la precedenza di fatto viene esercitata a rischio e pericolo
di chi se ne avvale, con la conseguenza che lo stesso verificarsi
dell’incidente lo costituisce in colpa.
Né tale regola può mutare in considerazione della irregolarità della condotta di guida del veicolo favorito ovvero della eccessiva andatura con la quale
questo ingaggi il crocevia.
In proposito la giurisprudenza ha precisato che il conducente, gravato
dall’obbligo di dare la precedenza può legittimamente fare affidamento solo sul fatto che l’andatura del veicolo antagonista non venga inopinatamente ed imprevedibilmente mutata dopo il reciproco avvistamento.
Alla luce di tale insegnamento è ancora più chiaro che lo spazio per
l’apprezzamento che giunga a ritenere imprevedibile la condotta di guida
inosservante dell’altro conducente è assai ristretto.
Ciò nonostante, l’esigenza di preservare la già evocata dimensione soggettiva della colpa ha indotto la migliore giurisprudenza di legittimità ad enunciare che, come si è prima esposto, le particolarità del caso concreto possono dar corpo ad una condotta veramente imprevedibile, come nei casi che
si sono sopra esemplificati.
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RESPONSABILITÀ CIVILE AUTOMOBILISTICA
4.5. Il concorso di colpa del danneggiato.
Anche se il conducente del veicolo non abbia fornito la prova idonea a vincere la presunzione di colpa che l’art. 2054, comma 1, c.c., pone nei suoi
confronti, non è preclusa l’indagine in ordine al concorso di colpa del danneggiato, con la conseguenza che, allorquando siano accertate la pericolosità e l’imprudenza della condotta del danneggiato stesso, la colpa di questo
concorre, ai sensi dell’art. 1227, comma 1, c.c., con quella presunta del conducente.
Ciò accade poiché come si è visto in precedenza la presunzione di colpa del
conducente del veicolo a norma del comma 1 dell’art. 2054 c.c. non opera in
contrasto con il principio della responsabilità per fatto illecito fondato sul
rapporto di causalità tra evento dannoso e condotta umana.
art. 1227 c.c.
Concorso del fatto colposo del creditore:
Se il fatto colposo del creditore ha concorso a cagionare il danno, il risarcimento è
diminuito secondo la gravità della colpa e l’entità delle conseguenze che ne sono
derivate.
Il risarcimento non è dovuto per i danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando l’ordinaria diligenza.
Un classico dei precedenti giurisprudenziali riguarda l’utilizzo dei dispositivi
di sicurezza, e quindi soprattutto delle cinture di sicurezza interne al veicolo
e del casco protettivo per i motociclisti. Orbene l’omesso uso delle cinture
di sicurezza può costituire comportamento colposo del danneggiato, causalmente rilevante per il verificarsi del pregiudizio (così Cass. civ., 11-032004, n. 4993, in Foro it., 2004, I, 2108).
La giurisprudenza richiede, ai fini della diminuzione del risarcimento,
l’allegazione e la dimostrazione che il corretto uso dei sistemi di ritenzione
avrebbe ridotto (o eventualmente eliso) il danno; precisa che il mancato utilizzo delle cinture e l’incidenza eziologica di tale omissione sull’evento dannoso sono elementi suscettibili di essere appurati mediante consulenza tecnica disposta dal giudice, quale strumento di accertamento e ricostruzione
dei fatti storici prospettati dalle parti (cfr. anche Trib. Ascoli Piceno 05-032002; G.d.P. Catanzaro 04-10-2000, in Foro it., 2001, I, 2111; Trib. Cassino
15-06-2000; G.d.P. Roma 25-01-2000; G.d.P. Bologna 06-12-1999; G.d.P.
Brescia 12-07-1999; Trib. Udine 15-04-1998; Trib. Roma 18-03-1997, in Riv.
giur. circolaz. e trasp., 1997, 338; Trib. Como 09-01-1995 in Riv. giur. circolaz.
e trasp., 1995, 536). La dottrina pone variamente l’accento sulla corresponsabilità del danneggiato derivante dall’omesso uso di cinture di sicurezza o
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Circolazione dei veicoli e profili di responsabilità civile
del casco di protezione (VAGLIO, COLOMBINI, PALMIERI, ROSSETTI, SAPIA, BIONDI,
COSTANZO).
Secondo l’orientamento giurisprudenziale prevalente, poi, la prova del
mancato impiego delle cinture di sicurezza resta a carico di chi ne eccepisca la rilevanza; con la conseguenza che l’insufficienza della prova offerta impone di non ritenere operante il concorso della parte lesa alla causazione dell’evento (Trib. Genova 12-10-2003; in quella circostanza, peraltro,
trattandosi di violento urto laterale con devastazione dell’abitacolo, si era
ritenuto che l’eventuale mancato utilizzo delle cinture fosse irrilevante nella
dinamica dell’evento lesivo).
Non manca tuttavia qualche precedente che ha sostenuto che l’art. 1227,
comma 1, c.c., nello stabilire che il risarcimento non è dovuto per i danni
causati dal comportamento colposo del danneggiato, prescrive al giudice di
indagare d’ufficio sull’eventuale concorso di colpa del danneggiato e
sulla sua incidenza in ordine alla genesi del danno (Cass. civ., 06-07-2006, n.
15382, con la puntualizzazione secondo cui occorre che risultino prospettati
gli elementi di fatto dai quali sia ricavabile, sul piano causale, la colpa concorrente del danneggiato; Cass. civ., 23-01-2006, n. 1213).
La giurisprudenza, peraltro, non ha ravvisato un’ipotesi di concorso colposo
del passeggero danneggiato nella mera accettazione, da parte del medesimo, del trasporto su autovettura con alla guida un conducente in evidente
stato di ebbrezza (Cass. civ., 07-12-2005, n. 27010, in Danno e resp., 2006,
1199). Si segnala che sotto il profilo penale risponde del delitto di lesioni
colpose da sinistro stradale ai danni del passeggero, il conducente che non
faccia indossare le cinture di sicurezza, perché l’obbligo di verificare l’uso
delle cinture rende l’evento non riconducibile a colpa esclusiva della persona offesa.
Si sostiene, cioè, che la colpa del conducente può consistere, dal punto di
vista attivo, nell’aver causato il sinistro (ad esempio perdendo il controllo
dell’autovettura su cui era trasportata la persona offesa); dal punto di vista
omissivo, nel non aver verificato che il trasportato facesse uso delle cinture,
eventualmente obbligandolo ad allacciarle: condotte queste che entrambe
concorrono a pari titolo alla causazione dell’evento.
In particolare, l’omissione riguardo alle cinture è da considerarsi condicio
sine qua non delle lesioni colpose lievi, e il riconoscimento in capo al conducente dell’obbligo di verificare l’uso dei meccanismi di sicurezza pare da
ricollegare alla posizione di garanzia che la giurisprudenza tradizionalmente
configura a carico del conducente di qualsiasi veicolo nei confronti delle
persone che vi prendono posto (su tali profili, in dottrina DI PAOLA; FRONGIA;
VITI; TASSONE; GRECO).
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RESPONSABILITÀ CIVILE AUTOMOBILISTICA
Si sostiene, insomma, che chi rende possibile la circolazione del veicolo con
a bordo il trasportato ha l’obbligo di far effettuare la circolazione in sicurezza e nel rispetto delle norme che regolano quell’attività, anche dove gli obblighi imposti dalla legge siano rivolti personalmente verso i soggetti trasportati.
Pertanto, versa in colpa colui che omette tale controllo, trattandosi di violazione dei doveri di diligenza e prudenza che (secondo il modello delineato
dall’art. 1176 c.c.) impongono di tenere in circolazione i veicoli assicurando
che tutti coloro che prendono posto sul veicolo stesso si conformino alle
regole stabilite dalla normativa sulla circolazione stradale.
Così argomentando può ritenersi configurato il concorso di colpa di un trasportato per la morte di altro trasportato, in età neonatale, non posizionato
nell’apposito seggiolino e trattenuto dalle cinture di sicurezza.
Del resto sembra da potersi escludere che possa ritenersi raggiunta la prova
liberatoria a favore del conducente, come detto indispensabile per vincere
la presunzione di responsabilità posta a suo carico dall’art. 2054, comma 1,
c.c., semplicemente in considerazione del fatto che il soggetto rimasto ferito
nel sinistro, trasportato a titolo di cortesia, avesse le cinture di sicurezza allacciate.
Da ultimo, si sottolinea che il principio di cui all’art. 1227 c.c. (riferibile anche
alla materia del danno extracontrattuale per l’espresso richiamo contenuto
nell’art. 2056 c.c.) della riduzione proporzionale del danno in ragione
dell’entità percentuale dell’efficienza causale del soggetto danneggiato si
applica non solo nei confronti del danneggiato, che reclama il risarcimento
del pregiudizio direttamente patito e al cui verificarsi ha contribuito la sua
condotta,
ma anche nei confronti dei congiunti che, in relazione agli effetti riflessi che l’evento
di danno subìto proietta su di essi, agiscono per ottenere il risarcimento dei danni
subiti iure proprio
(Cass. civ., sez. III, 23-10-2014, n. 22514; in Arch. Circolaz., 2015, 19; Nuova giur. civ.,
2015, I, 488, con nota di ENNA).
Nella specie, a seguito di un incidente stradale in cui la minorenne danneggiata aveva concorso a cagionare il danno, la suprema corte ha confermato
la sentenza di merito che aveva ridotto, in proporzione alla colpa della ragazza, anche il risarcimento spettante ai genitori a titolo di danno da lesione
del rapporto familiare e di danno morale, pervenendo a tale conclusione
non solo in applicazione dell’art. 2048 c.c., e dunque del principio per cui
del fatto illecito del minore erano tenuti a rispondere i genitori, ma anche
dell’art. 1227, comma 1, c.c.
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Circolazione dei veicoli e profili di responsabilità civile
4.6. Il caso fortuito.
Il caso fortuito è una causa esimente della responsabilità. Esso esclude
l’elemento psicologico del reato, consistendo in un fatto assolutamente
improvviso, imprevedibile e non evitabile dal soggetto agente pur facendo uso di ogni diligenza.
Il Codice penale è laconico, affermando, all’art. 45 (“caso fortuito o forza
maggiore”), che non è punibile chi ha commesso il fatto per caso fortuito o
per forza maggiore.
Va da sé che il caso fortuito consiste in quell’avvenimento (ribadiamo imprevisto e imprevedibile) che si inserisce d’improvviso nell’azione del soggetto e non può in alcun modo, nemmeno a titolo di colpa, farsi risalire
all’attività psichica dell’agente; pertanto, deve essere escluso il caso fortuito
qualora il soggetto non abbia tenuto una velocità adeguata alle condizioni
della strada, pur essendo la visibilità ridotta, andando così ad impattare con
altri veicoli.
Sotto il profilo assicurativo, invece, l’assicurazione della responsabilità civile
non può concernere fatti meramente accidentali, dovuti cioè a caso fortuito
o forza maggiore, dai quali non sorge responsabilità. Essa tuttavia per la sua
stessa denominazione e natura importa necessariamente l’estensione anche
a fatti colposi, con la sola eccezione di quelli dolosi, restando escluso, in
mancanza di espresse clausole limitative del rischio, che la garanzia assicurativa non copra alcune forme di colpa.
Il problema sta nel fatto che il caso fortuito può consistere anche, in tutto o
in parte, nel fatto di un terzo o dello stesso danneggiato, determinando il
concorso colposo. In particolare nell’ambito del caso fortuito rientra anche il
comportamento del danneggiato qualora, innescando una serie causale autonoma nella produzione del danno, determini l’esposizione ad un rischio
che altrimenti non si sarebbe concretizzato.
Va da sé, stante quanto sopra detto in tema di colpa, che in tema di responsabilità da sinistri stradali, la strada sdrucciolevole, a causa di pioggia caduta poco prima della perdita di controllo del veicolo da parte del suo conducente, non integra gli estremi del caso fortuito, il quale si verifica quando
sussiste il nesso di causalità materiale tra la condotta e l’evento, ma fa difetto la colpa, in quanto l’agente non ha causato l’evento per sua negligenza o
imprudenza; questo, quindi, non è, in alcun modo, riconducibile all’attività
psichica del soggetto; ne consegue che, qualora una pur minima colpa possa essere attribuita all’agente, in relazione all’evento dannoso realizzatosi,
automaticamente viene meno l’applicabilità della disposizione di cui all’art.
45 c.p.
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Pertanto la giurisprudenza ha affermato che:
il caso fortuito, al pari della colpa del danneggiato o del terzo e della forza maggiore,
qualora rappresenti l’unica causa che abbia determinato l’evento dannoso, fa venir
meno la presunzione di colpa stabilita dall’art. 2054 c.c., in quanto non si può rispondere per colpa extracontrattuale di un fatto non preveduto che, secondo la comune
esperienza e il normale svolgersi degli eventi, non sia neppure prevedibile; e la prova
del fortuito può essere fornita dal danneggiante anche a mezzo di presunzioni, purché gravi, precise e concordanti (nella specie, la Suprema Corte ha confermato la sentenza di merito, escludente la responsabilità del conducente che aveva perduto il
controllo della propria vettura sbandando e poi sconfinando nella corsia opposta ove
era avvenuto l’impatto con altro autoveicolo, ritenendo provato presuntivamente –
sulla base delle perfette condizioni della vettura, della velocità moderata della stessa
e della presenza di un chiodo della grandezza di una penna a sfera nel pneumatico –
che l’impatto fosse avvenuto a seguito e a causa dello scoppio di un pneumatico posteriore, improvvisamente trapassato da un grosso chiodo)
(Cass. civ., 06-06-2006, n. 13268, in Mass., 2006, 1095).
La giurisprudenza di merito ha chiarito, per esempio, che:
il distacco di una ruota rappresenta un evento eccezionale ed imprevedibile ed è qualificabile come caso fortuito, capace per ciò stesso di inibire il configurarsi di una responsabilità extracontrattuale da difetto di manutenzione o vizio di costruzione
(G.d.P. Milano, 11-01-2005, in Giudice di pace, 2005, 317).
Invece la giurisprudenza penale ha precisato, molto opportunamente, che il
malore del guidatore repentinamente ed improvvisamente insorto è pur
sempre una infermità, ovvero uno stato morboso, ancorché transitorio,
ascrivibile alla previsione di cui all’art. 88 c.p.: esso non incide sulla potenzialità intellettiva e volitiva del soggetto, ma, con la perdita o il grave perturbamento della coscienza, spezza il collegamento tra il comportamento
del soggetto medesimo e le funzioni psichiche che allo stesso presiedono,
determinando così movimenti o stati di inerzia corporei inconsapevoli ed
automatici, cioè privi dei caratteri tipici della condotta, secondo lo schema
dell’art. 42 c.p.
Ne consegue che il malore improvviso non è ascrivibile alla categoria del
caso fortuito, di cui all’art. 45 c.p., giacché questo presuppone pur sempre
un’azione umana cosciente e volontaria, mentre il malore improvviso esclude tali connotazioni di coscienza e volontarietà, non realizzando così quelle
condizioni minime che l’art. 42 c.p. richiede perché un fatto umano, astrattamente costitutivo di reato, divenga penalmente rilevante; ne consegue
che una volta dedotta la circostanza, il giudice deve valutare la configurabi112
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lità o meno della capacità di intendere e di volere dell’imputato che la eccepisce.
Per quanto scontato, deve ribadirsi anche che l’uso di sostanze stupefacenti non deve considerarsi caso fortuito o esimente di responsabilità, anzi
deve intendersi causa preminente della condotta colposa di guida del danneggiante.
4.7. Lo stato di necessità.
Allo stato di necessità è interamente dedicato l’art. 54 c.p., che dispone che
non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé od altri dal pericolo attuale di un danno grave alla
persona, pericolo da lui non volontariamente causato, né altrimenti evitabile, sempre che il fatto sia proporzionato al pericolo.
La norma prosegue statuendo che questa disposizione non si applica a chi
ha un particolare dovere giuridico di esporsi al pericolo.
Peraltro, la disposizione della prima parte dell’articolo si applica anche se lo
stato di necessità è determinato dall’altrui minaccia; ma, in tal caso, del fatto
commesso dalla persona minacciata risponde chi l’ha costretta a commetterlo.
L’ultima giurisprudenza ha dilatato i confini dello stato di necessità: si
afferma, in via interpretativa, che ai fini della sussistenza dell’esimente dello
stato di necessità, rientrano nel concetto di “danno grave alla persona” non
solo la lesione della vita o dell’integrità fisica, ma anche quelle situazioni che
attentano alla sfera dei diritti fondamentali della persona e che minacciano,
quindi, solo indirettamente l’integrità fisica del soggetto, in quanto si riferiscono alla sfera dei beni primari collegati alla personalità, tra i quali deve
essere ricompreso il diritto all’abitazione, rientrando l’esigenza di un alloggio tra i bisogni primari della persona (Cass. pen., 27-06-2007, in Foro it.,
2007, II, 677; Guida enti locali, 2007, 44, 74; Guida al dir., 2007, 50, 78; Riv.
pen., 2007, 1097; in precedenza vedi anche Cass. pen., 19-03-2003, in Dir.
pen. e proc., 2004, 719).
Occorre anche premettere che in materia di responsabilità civile lo stato di
necessità non esime l’eventuale danneggiante da responsabilità. L’art. 2045
c.c. dispone che quando chi ha compiuto il fatto dannoso vi è stato costretto dalla necessità di salvare sé o altri dal pericolo attuale di un danno grave
alla persona, e il pericolo non è stato da lui volontariamente causato né era
altrimenti evitabile, al danneggiato è dovuta un’indennità, la cui misura è
rimessa all’equo apprezzamento del giudice.
Si tratta, quindi, di una indennità e non di un risarcimento. Ove peraltro
l’attore chieda il risarcimento del danno per fatto illecito e risulti che il con© Wolters Kluwer Italia
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venuto abbia agito in stato di necessità, il giudice deve applicare d’ufficio
l’art. 2045 c.c., essendo implicita nella domanda di risarcimento quella di
corresponsione di un equo indennizzo.
Tale principio di diritto, affermato da costante giurisprudenza, è da condividere e confermare. Si deve infatti considerare che l’onere di allegazione del
fatto, incombente sull’attore, è assolto con la deduzione di un danno ingiusto ricollegabile alla violazione di norme giuridiche o di condotta, che è presupposto necessario e comune ad ambedue le fattispecie disciplinate dagli
artt. 2043 e 2045 c.c.
Sarà poi onere del convenuto dimostrare lo stato di necessità al fine di attenuare l’entità del ristoro dovuto, a mezzo della corresponsione
dell’indennità ex art. 2045 c.c., che è, in tal caso, sostitutiva del pieno risarcimento del danno.
Consegue da ciò che si deve ritenere implicita nella domanda di risarcimento del danno da fatto illecito quella subordinata di corresponsione
dell’indennità in questione, sulla quale il giudice deve pronunciare anche in
mancanza di un esplicito richiamo alla norma dell’art. 2045 c.c.
Venendo al caso della circolazione dei veicoli, va detto che indubbiamente
l’art. 2045 c.c., è applicabile anche nel caso di danno cagionato da incidente
stradale, purché tuttavia l’autore del fatto dimostri gli elementi costitutivi
dell’esimente.
Va anche rammentato che ai sensi dell’art. 4, L. n. 689/1981, non risponde
delle violazioni amministrative chi ha commesso il fatto nell’adempimento
di un dovere o nell’esercizio di una facoltà legittima ovvero in stato di necessità o di legittima difesa.
Orbene, coordinando tutte queste norme, può concordarsi con chi afferma
che:
qualora all’accadimento di un incidente stradale abbia contribuito, sotto il profilo
causale, il conducente di una delle autovetture coinvolte nel sinistro, con una manovra di fortuna posta in essere in stato di necessità, costui ed il suo assicuratore sono
tenuti a corrispondere al danneggiato a norma dell’art. 2045 c.c. un’indennità rimessa
all’equo apprezzamento del giudice, la quale è coperta dalla garanzia assicurativa
obbligatoria, fermo restando che nella determinazione di tale indennizzo non può
essere computato il danno morale non dovuto, non ricorrendo, nella condotta dello
stesso conducente, gli estremi del reato
(Trib. Roma, 07-05-1991, in Riv. giur. circolaz. e trasp., 1992, 682).
Sta tuttavia di fatto che ai fini dell’attribuzione dell’indennità prevista
dall’art. 2045 c.c., che costituisce un minus rispetto all’ordinario risarcimento, occorre che esista pur sempre un nesso di causalità fra l’atto necessitato
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e l’evento dannoso, che il danno sia cioè conseguenza immediata e diretta
della condotta nel caso dell’agente mantenuta;
il che è da escludersi qualora si ritenga che il danno lamentato si sarebbe egualmente
verificato anche in assenza dell’azione necessitata (nell’affermare il suindicato principio la Corte di Cassazione ha confermato la sentenza del giudice di merito che aveva
negato la corresponsione dell’indennità di cui all’art. 2045 c.c. richiesta dalla passeggera di un autobus dell’Atac per i danni subiti in conseguenza delle lesioni riportate
all’esito di una caduta avvenuta in ragione di una frenata operata dal conducente, per
prevenire l’urto con un’autovettura che ne aveva intralciato repentinamente la traiettoria)
(Cass. civ., 21-12-2004, n. 23696).
4.8. Infrazioni al Codice della Strada e responsabilità del
conducente.
L’accertamento di una violazione al Codice della Strada (purché contestata
ed oggetto di giudizio di opposizione) non coincide interamente con
l’accertamento della responsabilità del sinistro stradale che ne è derivato.
Infatti l’accertata sussistenza di una condotta antigiuridica di uno degli
utenti della strada con violazione di specifiche norme di legge o di precetti
generali di comune prudenza non può di per sé far presumere l’esistenza
del nesso causale tra il suo comportamento e l’evento dannoso, che occorre
sempre provare e che si deve escludere quando sia dimostrato che
l’incidente si sarebbe ugualmente verificato senza quella condotta o è stato,
comunque, determinato esclusivamente da una causa diversa.
Ciò è ancora più evidente in materia di eccesso di velocità, poiché
l’accertamento in concreto della colpa di uno dei conducenti non comporta,
di per sé, il superamento della presunzione di colpa concorrente dell’altro,
all’uopo occorrendo che quest’ultimo fornisca la prova liberatoria, ovvero la dimostrazione di essersi uniformato alle norme sulla circolazione e a quelle della comune
prudenza, e di essere stato messo in condizioni di non potere fare alcunché per evitare il sinistro (nella specie, la Suprema Corte ha ritenuto censurabile la sentenza di
merito perché non aveva accertato se l’autovettura procedesse a una velocità non
superiore a quella massima vigente all’epoca del sinistro e se le condizioni ambientali
non richiedessero una velocità inferiore)
(Cass. civ., 14-02-2006, n. 3193; in Arch. circolaz., 2007, 61).
Proprio in tema di velocità la giurisprudenza ha continuamente ribadito, in
maniera convinta ed opportuna, che il conducente di un’autovettura deve
tenere un comportamento improntato alla massima prudenza: per tale
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motivo il conducente di un veicolo è tenuto a vigilare al fine di avvistare il
pedone, implicando il relativo avvistamento la percezione di una situazione
di pericolo, in presenza della quale il conducente è tenuto a porre in essere
una serie di accorgimenti (in particolare, moderare la velocità e,
all’occorrenza, arrestare la marcia del veicolo) al fine di prevenire il rischio di
un investimento.
E quindi se il conducente di un autoveicolo, procedendo a velocità eccessiva, investe un pedone mentre attraversa la carreggiata fuori degli appositi
spazi, non può ritenersi più grave la colpa del primo in base alla maggiore
gravità della sanzione penale, perché questa è correlata alla rilevanza sociale
del bene protetto, e non alla gravità della colpa.
La valutazione della velocità tenuta dal conducente va compiuta con riferimento alle condizioni dei luoghi, alla tipologia della strada o tratto di strada
(retto o curvilineo) percorso, alle condizioni del traffico, alle circostanze
dell’incidente, alle conseguenze dannose dello stesso sui veicoli, senza che
assuma decisivo rilievo l’eventuale osservanza dei limiti imposti, in via generale, dal Codice della Strada.
In materia di concorso di responsabilità, la giurisprudenza ha affermato che
qualora in un sinistro entrambi i conducenti dei veicoli venuti in collisione,
violando una norma del codice che disciplina la circolazione stradale, abbiano concorso a cagionare l’evento dannoso, l’efficienza causale dei loro
comportamenti va valutata in relazione alla gravità delle rispettive colpe e
all’entità delle conseguenze che ne sono derivate.
Alcune pronunce affermano che anche tenere una velocità inferiore al massimo consentito non significa necessariamente trovarsi in una condizione di
liceità, in quanto, se è vero che quello di 50 km/h è un limite da non superare in alcun caso, ove le condizioni della circolazione lo richiedano, il conducente è comunque tenuto a regolare la velocità del veicolo in modo da evitare ogni pericolo per la sicurezza della circolazione.
Quanto al comportamento da tenere approssimandosi alle intersezioni
ed agli incroci, la giurisprudenza ha chiarito che nell’obbligo di tenere un
comportamento prudente ed accorto da parte del conducente di un autoveicolo è compreso quello di prevedere le imprudenze altrui ragionevolmente prevedibili; tale deve considerarsi, pertanto, anche l’inosservanza
dell’obbligo di dare la precedenza da parte di chi da una strada secondaria
s’immette su una strada privilegiata, pur dopo essersi temporaneamente
fermato sulla linea di stop.
Infatti a differenza dell’obbligo imposto al conducente che si immette nel
flusso della circolazione di dare la precedenza alle autovetture in transito, o
dell’obbligo di dare la precedenza in un’area d’incrocio alle vetture provenienti da destra, quello derivante dal segnale di stop ha un contenuto este116
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Circolazione dei veicoli e profili di responsabilità civile
so all’arresto del veicolo, che assume un significato ben preciso: la verifica
della transitabilità in relazione alla circolazione in atto.
La giurisprudenza in materia appare costante:
l’infrazione, anche grave (come l’inosservanza del diritto di precedenza), commessa
da uno dei conducenti non dispensa il giudice dal verificare il comportamento
dell’altro conducente.
Anzi è necessario accertare – contestualmente – che il secondo conducente
si sia uniformato alle norme sulla circolazione ed alle regole di prudenza, ed
abbia fatto tutto il possibile per evitare l’incidente.
È chiaro che la finalità è quella di accertare se, in rapporto alla situazione
concreta, sussista o meno un concorso di colpa nella determinazione
dell’evento dannoso; e quindi, applicando i medesimi principi, il conducente
che impegna un incrocio disciplinato da semaforo, ancorché segnalante a
suo favore luce verde, non è esonerato dall’obbligo di diligenza nella condotta di guida che, pur non potendo essere richiesta nel massimo, stante la
situazione di affidamento generata dalle indicazioni semaforiche, deve tuttavia tradursi nella necessaria cautela riconducibile all’ordinaria prudenza e
alle concrete condizioni esistenti nell’incrocio.
L’osservanza di questa condotta non costituisce altro che l’applicazione del
più generale principio, secondo cui il solo fatto che un conducente goda del
diritto di precedenza non lo esenta dal rispetto dell’obbligo già previsto
dall’art. 102 cod. strad. abrogato (ed attualmente dagli art. 140, 141 e 145
del nuovo CDS), consistente nell’usare la dovuta attenzione
nell’attraversamento di un incrocio, anche in relazione a pericoli derivanti da
eventuali comportamenti illeciti o imprudenti di altri utenti della strada, che
non si attengano al segnale di arresto o di precedenza.
Peraltro per il disposto dell’art. 149, comma 1, del vigente CDS, il conducente di un veicolo deve essere in grado di garantire in ogni caso l’arresto
tempestivo del mezzo, evitando collisioni con il veicolo che precede, per
cui l’avvenuta collisione pone a carico del conducente medesimo una presunzione de facto di inosservanza della distanza di sicurezza, con la conseguenza che, non potendosi applicare la presunzione di pari colpa di cui
all’art. 2054, comma 2, c.c., egli resta gravato dall’onere di dare la prova liberatoria, dimostrando che il mancato tempestivo arresto dell’automezzo e
la conseguente collisione sono stati determinati da cause in tutto o in parte
a lui non imputabili.
E quindi, applicando i medesimi principi, il conducente che impegna un incrocio disciplinato da semaforo, ancorché segnalante a suo favore luce
verde, non è esonerato dall’obbligo di diligenza nella condotta di guida
che, pur non potendo essere richiesta nel massimo, stante la situazione di
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affidamento generata dalle indicazioni semaforiche, deve tuttavia tradursi
nella necessaria cautela riconducibile all’ordinaria prudenza e alle concrete
condizioni esistenti nell’incrocio.
Per una voce isolata dal coro:
l’accertamento che il conducente di uno dei veicoli ha attraversato un incrocio regolato da semaforo emettente luce rossa comporta il superamento della presunzione
concorrente di responsabilità di cui all’art. 2054 c.c., non essendo tenuto il conducente dell’altro veicolo che impegna il semaforo con il verde ad osservare l’obbligo di
una particolare circospezione, come nel caso di attraversamento con il giallo
(Cass. civ., 11-05-1999, n. 4653).
È possibile quindi affermare che: 
nei reati colposi conseguenti a incidenti stradali sia da considerarsi
esclusa la responsabilità del conducente quando il fatto illecito altrui, ed
in particolare della vittima, configuri per le sue caratteristiche una vera
causa eccezionale, atipica e non prevedibile che sia stata da sola
sufficiente a provocare l’evento (come quando, ad esempio, la vittima
attraversa l’incrocio a piedi all’improvviso, con il semaforo rosso e
correndo diagonalmente lontano dalle strisce, mentre la velocità
dell’investitore è molto moderata); 
viceversa, poiché la responsabilità presunta del conducente del veicolo
può essere esclusa, ai sensi dell’art. 2054 c.c., solo se risulti provato che
quest’ultimo ha fatto tutto il possibile per evitare l’incidente e che
non avrebbe potuto, quindi, in alcun modo prevenirlo, nel caso di
investimento di un pedone, che abbia attraversato la strada senza
rispettare il segnale del semaforo, il conducente del veicolo non può
limitarsi a provare che il pedone ha attraversato con il semaforo rosso
mentre il veicolo giungeva da una distanza che non consentiva manovre
di emergenza, ma deve anche dimostrare che il pedone, benché
avvistato, non aveva tenuto un comportamento che denunciasse il suo
intento di attraversamento della strada nonostante il divieto o, in altri
termini, che il pedone ha iniziato l’attraversamento in modo così
repentino che anche la dovuta sorveglianza della strada, da parte del
conducente del veicolo, non sarebbe servita ad evitare l’incidente, atteso
che tale attraversamento non è del tutto imprevedibile essendo
astrattamente possibile che il pedone sia disattento o privo di riflessi
adeguati.
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