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La convenzione di arbitrato: compromesso, clausole arbitrali e
Tecniche contrattuali
Arbitrato
Convenzione di arbitrato
La convenzione di arbitrato:
compromesso, clausole arbitrali
e risvolti sull’attività notarile
a cura di Giuliana Liotti
L’arbitrato rappresenta una delle più diffuse tecniche di risoluzione alternativa e condivisa delle liti. Già noto al
codice di procedura civile del 1865, in seguito all’esigenza deflattiva del carico giudiziario (particolarmente avvertita anche nella legislazione Europea), l’istituto conosce oggi nuove modalità ed ambiti di diffusione, spaziando dai contratti tra vivi, agli statuti societari, alle disposizioni di ultima volontà. Non di rado, quindi, la convenzione arbitrale può coinvolgere l’attività notarile. Il presente contributo è volto ad indagare i risvolti delle
convenzioni arbitrali che più interessano il Notaio con particolare riguardo ai profili redazionali.
1. Premessa: l’arbitrato come metodo alternativo di risoluzione delle controversie
Il sistema di regolamentazione dei conflitti nell’ambito di una società civile vede contrapposti almeno due modelli di risoluzione delle controversie: la modalità coercitiva e la modalità negoziale.
Nel primo caso ci si trova di fronte ad un modello essenzialmente formale, le cui regole sono imposte dall’esterno e non sono disponibili, un modello in cui le parti hanno, quindi, un controllo limitato sulla procedura. Il modello
negoziale consente, invece, alle parti di mantenere il controllo, delineando esse stesse la procedura, attraverso
l’esplicazione della propria autonomia privata.
I principali mezzi di risoluzione delle controversie sono, dunque, la sentenza ed il contratto, che si trovano tra loro agli antipodi (1).
L’arbitrato si inquadra nella seconda tipologia, rappresentando un metodo alternativo di risoluzione delle controversie rispetto al modello coercitivo-giudiziario.
I metodi alternativi di risoluzione delle controversie trovano origine verso la fine degli anni Settanta nell’esperienza americana, come strumenti deflattivi del carico giudiziario. Ben presto anche l’Europa (2) ha rivolto interesse
nei confronti delle c.d. Alternative Dispute Resolution, meglio note con l’acronimo ADR, che rappresentano una
categoria eterogenea di metodi alternativi di risoluzione delle controversie.
Si tratta di tecniche e procedimenti che consentono una rapida e veloce soluzione delle liti, riducendo, così, l’eccessivo carico di controversie ed essendo rivolte al fine ultimo di migliorare la qualità della funzione giudiziaria.
Data la molteplicità delle forme in cui possono concretizzarsi, le ADR sono in genere definite in negativo e l’elemento che le accomuna è, appunto, l’estraneità al sistema giurisdizionale.
Caratteristiche comuni a tutti i tipi di ADR sono il consentire la gestione della controversia con tecniche semplificate e contenute sia nei costi che nei tempi, basando le soluzioni su competenze più specifiche e, quindi, più adeguate al contesto sociale. Gli accordi sono, inoltre, rispettati più facilmente, in quanto condivisi e non imposti dall’alto. Tali sistemi sono, peraltro, privi di rischi, poiché, facilitando la comunicazione, consentono di riaprire il dialogo tra le parti e non si limitano solo a risolvere l’intervenuta lite, ma riescono, altresì, a mantenere e rafforzare i
rapporti tra loro.
In tale ampia categoria si ascrive, dunque, l’arbitrato, metodo alternativo di risoluzione delle controversie, che si
sostanzia nell’affidamento dell’incarico di risolvere la controversia insorta o che può insorgere tra le parti ad uno
o più soggetti terzi, detti arbitri, i quali definiscono la soluzione del caso mediante il c.d. lodo.
Immediato sorge il parallelismo con la transazione, contratto tipico disciplinato all’art.1965 c.c., mediante il quale
Note:
(1) Cfr. Bove, L’accordo conciliativo, in Società, 2012, 1, 82 ss.; Luiso, Giustizia alternativa o alternativa alla giustizia?, in Il giusto processo civile, 2011, 325 ss.
(2) In diversi documenti prodotti dall’Unione Europea, infatti, l’accesso alla giustizia viene considerato un corollario dei diritti fondamentali attribuiti dalle norme comunitarie, che devono essere garantiti nel loro esercizio effettivo, pertanto non possono rimanere
sprovvisti di opportuni meccanismi di tutela. L’accesso alla giustizia è stato, inoltre, elevato dalla Corte di Giustizia a principio generale dell’ordinamento Europeo. I singoli Stati membri devono, quindi, mettere a disposizione dei cittadini procedimenti giudiziari rapidi
e poco costosi, onde garantirlo. È, peraltro, doveroso ricordare che i metodi alternativi di risoluzione delle controversie non erano del
tutto estranei all’Ordinamento Italiano, che già vi dedicava un titolo autonomo in apertura del codice di procedura civile del 1865, intitolato: “Della conciliazione e del compromesso”.
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le parti stesse compongono una lite insorta o ne prevengono una che potrà insorgere tra loro attraverso reciproche concessioni. L’elemento che differenzia le due modalità alternative di risoluzione delle controversie è l’assenza nell’arbitrato dei reciproci sacrifici tra le parti, dato caratterizzante della transazione.
In questa sede s’intende, in particolar modo, verificare le possibili interazioni dei metodi alternativi di risoluzione
delle controversie e, nella specie, dell’arbitrato con l’attività notarile.
Gli atti che interessano più frequentemente l’attività del Notaio sono le transazioni, in particolar modo ove riguardino diritti reali immobiliari, ma anche la convenzione arbitrale tocca l’attività notarile soprattutto nella forma delle clausole compromissorie o clausole arbitrali, spesso inserite nei contratti e negli statuti societari e volte a consentire una più rapida ed economica soluzione delle controversie eventualmente scaturenti dai suddetti rapporti
contrattuali.
2. Compromesso e clausola compromissoria
L’istituto dell’arbitrato è, quindi, un mezzo alternativo di risoluzione delle controversie con il quale i privati deferiscono la soluzione delle liti tra loro insorte o che potrebbero insorgere a “giudici privati”, definiti, appunto, arbitri.
Il suo fondamento risiede nel generale principio di autonomia privata (3) che vige nel nostro Ordinamento e trova
come proprio referente normativo l’art. 1321 c.c., che consente ai privati di “regolare” i rapporti giuridici correnti
tra loro, finanche nei loro risvolti patologici (4).
L’istituto è espressamente regolato dal codice di procedura civile agli artt. 806 e ss. In particolare, il codice di rito
disciplina pedissequamente l’arbitrato c.d. rituale, procedimento che si conclude con la pronuncia di un lodo, cui
è attribuita ex lege la medesima efficacia di una sentenza. L’unica norma riferita all’arbitrato c.d. irrituale è il recente art. 808 ter c.p.c. (5), il quale stabilisce che la controversia può essere definita dagli arbitri con una decisione destinata ad acquistare tra le parti esclusivamente valenza negoziale o contrattuale e che le parti s’impegnano
ad accettare, riconoscendola come espressione diretta della loro volontà.
Non sempre risulta semplice qualificare l’arbitrato come rituale piuttosto che irrituale, qualora ciò non sia espressamente chiarito dalle parti. Per stabilire a quale delle due tipologie ci si riferisca nel caso concreto, occorre indagare la volontà delle parti come desumibile dall’intero contesto della convenzione arbitrale (6). Sicuramente la
scelta dell’arbitrato irrituale è espressiva di una maggiore libertà decisionale delle parti: per tal via è, infatti, possibile assicurare maggiore condivisione e stabilità del lodo ed evitare un più pregnante controllo giurisdizionale in
sede d’impugnativa, nonché un maggior peso fiscale (7).
Il procedimento arbitrale, rituale o irrituale che esso sia, si conclude con una decisione finale resa da soggetti terzi imparziali, che stabilisce i termini di risoluzione della controversia. La differenza tra i due diversi tipi di procedimenti si sostanzia, come già chiarito, nella diversa portata del lodo nell’uno o nell’altro caso: solo nell’arbitrato rituale il lodo potrà assurgere al medesimo valore di una sentenza dettata da un giudice togato.
In entrambi i casi, onde poter accedere al procedimento arbitrale, è necessario che le parti prestino il proprio consenso in una convenzione arbitrale, che deve avere forma scritta ad substantiam (artt. 807 e 808 c.p.c.).
La convenzione arbitrale ha natura strumentale, in quanto non costituisce, modifica o estingue dirittamente rapporti giuridici, ma contribuisce indirettamente a fornire ad essi una regolamentazione. Sarà, poi, il lodo a produrre
effetti diretti sulla situazione sostanziale corrente tra le parti.
L’accordo in questione può concretizzarsi in una delle forme contemplate dalla legge e precisamente la clausola
compromissoria o il compromesso.
La clausola compromissoria, ai sensi dell’art. 808 c.p.c., è contenuta nello stesso contratto che in futuro potrebbe essere fonte di controversie tra le parti, in particolare, relative alla validità, esecuzione ed alla risoluzione del
contratto stesso. In alternativa, essa può risultare da atto separato e successivo, contenente esclusivamente la
manifestazione di volontà delle parti di deferire ad arbitri le eventuali e future controversie concernenti il contratto. Nell’uno e nell’altro caso si tratta di un atto autonomo (8), dotato di una propria causa, che risiede nell’impegno delle parti a ricorrere all’arbitrato quale strumento di risoluzione delle controversie che dovessero tra loro in-
Note:
(3) In generale sulla centralità di tale principio nell’Ordinamento Giuridico Italiano vedi Gazzoni, Manuale di diritto privato, Napoli, 2009,
775; Diener, Il contratto in generale, Milano, 2002, 12 ss.; Santoro Passarelli, Dottrine generali del diritto civile, ristampa IX ed., 2002,
126; Rescigno, voce Contratto. I) In generale, in Enc. giur. Treccani, Roma, 1988, 7; Pugliatti, Autonomia privata, in Enc. dir., IV, Milano, 1959, 366 ss.
(4) Cfr. Proto Pisani, Lezioni di diritto processuale civile, Jovene, Napoli, 2006, 768 ss.
(5) La norma è stata introdotta dal D.Lgs. n. 40/2006, che ha integralmente riformato la materia dell’arbitrato. L’arbitrato irrituale era
precedentemente contemplato solo da leggi speciali, vedi art. 7, comma 6, L. n. 300/1970, art. 5 L. n. 533/1973, art. 5, comma 6, L.
n. 108/1990.
(6) Così Cass. 5 settembre 1992, n. 10240, in Mass. Giust. civ., 1992, 1345.
(7) Per approfondimenti in tema si veda Cecchella, L’arbitrato, Torino, 2005, 4; Satta, Commentario al codice di procedura civile, IV, 2,
Milano, 1971, 165.
(8) In tal senso Cass. 14 aprile 2000, n. 4842, in Mass. Giur. it., 2000, la quale ha escluso qualsiasi nesso di accessorietà tra la clausola compromissoria ed il contratto nel quale è inserita o al quale si riferisce.
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tervenire. L’autonomia giuridica della clausola compromissoria trova conferma nel 2° comma della norma da ultimo citata, ove si stabilisce che essa mantiene la propria validità anche in caso di invalidità del contratto principale a cui accede. La patologia del contratto, quindi, non si estende alla clausola che vi è inserita, per cui, ove previsto, gli arbitri saranno competenti a decidere anche sulla validità del contratto stesso.
Il compromesso, regolato dall’art. 806 c.p.c., è anch’esso un negozio autonomo, separato e successivo rispetto
al contratto cui si riferisce e si sostanzia nell’accordo mediante il quale le parti conferiscono ad uno o più arbitri il
potere di dirimere una controversia tra loro già insorta.
Ai sensi dell’art. 808 c.p.c., il compromesso deve contenere a pena di nullità la specifica definizione dell’oggetto
della controversia in concreto insorta. Elemento essenziale del compromesso è, dunque, l’espressione di volontà delle parti di dirimere la controversia senza l’intervento dell’autorità giudiziaria, delineando espressamente i
confini dell’intervento arbitrale, cosa che normalmente avviene mediante proposizione di una serie di quesiti agli
arbitri successivamente nominati.
La principale differenza tra compromesso e clausola compromissoria è, quindi, determinata dal fatto che il primo
viene stipulato per dirimere una controversia già sorta, mentre con la seconda si stabilisce a priori il ricorso all’arbitrato in via puramente preventiva ed eventuale. Risulta da ciò evidente come nella clausola compromissoria non
sia necessario indicare specificamente l’oggetto della controversia, che sarà solo determinabile, stante l’impossibilità di definirlo a priori rispetto all’insorgenza della lite stessa.
Ulteriore distinzione tra le due tipologie negoziali risiede nel fatto che la nomina degli arbitri è normalmente successiva alla clausola compromissoria, mentre è rimesso alla volontà delle parti inserire l’atto di nomina nel compromesso stesso oppure effettuarlo con atto successivo (9).
L’atto di nomina determina l’effettiva instaurazione del procedimento arbitrale, esso viene qualificato come contratto di arbitrato e si ritiene (10) che si trovi in rapporto di collegamento negoziale con la convenzione arbitrale.
Gli arbitri devono essere nominati in numero dispari, come richiesto espressamente dall’art. 809 c.p.c. (11), ed il
collegio arbitrale si compone normalmente di tre o cinque membri.
Oggetto del procedimento arbitrale possono essere esclusivamente diritti disponibili, come è dato desumere a
contrario dall’art. 806 c.p.c.
Immediato è il richiamo all’art. 1966 c.c., in materia di transazione, norma che detta una regola che assurge a principio generale in tema di metodi alternativi di risoluzione delle controversie.
L’interpretazione della convenzione arbitrale è estensiva, come espressamente stabilito dall’art. 808 quater c.p.c.,
che nel dubbio consente di estendere il potere degli arbitri a tutte le controversie che sorgono tra le parti del contratto cui essa si riferisce.
Quanto all’apponibilità alla convenzione arbitrale di elementi accidentali, si rileva come difficilmente è dato rilevare un interesse meritevole di tutela rispetto all’apposizione di una condizione o di un termine iniziale, mentre potrebbe essere lecita ed opportuna la previsione di un termine finale.
La convenzione arbitrale, in quanto contratto autonomo, può, inoltre, essere risolta per mutuo dissenso, ai sensi
dell’art. 1372 c.c., mediante una dichiarazione in tal senso dalle medesime parti coinvolte nella convenzione e nella medesima forma di quest’ultima.
Nella maggior parte dei casi gli arbitrati trovano fondamento nella clausola compromissoria, che consente alle parti di stabilire preventivamente il mezzo di risoluzione dell’eventuale lite. In tale clausola si tende a ravvisare uno
strumento di tutela precauzionale, che consentirebbe alle parti una più pronta ed adeguata soluzione della controversia. Non sempre, infatti, nel caso in cui quest’ultima sia già sorta vi sarà disponibilità da tutte le parti coinvolte ad addivenire ad un compromesso, evitando per tal via la proposizione della lite in giudizio. Quest’ultima ipotesi, anzi, si verifica in casi del tutto residuali.
3. Clausole arbitrali negli statuti societari
L’introduzione negli statuti societari di clausole arbitrali era frequente anche prima della riforma del diritto societario del 2003, stante l’opportunità di dirimere i potenziali contrasti attinenti ai rapporti endosocietari nelle più snelle modalità del procedimento arbitrale.
Gli artt. 34 e ss. D.Lgs. n. 5/2003 dettano oggi una specifica disciplina per le clausole compromissorie inserite all’interno di statuti societari, nel tentativo di risolvere alcuni problemi interpretativi che si erano posti nella prassi
precedentemente, onde assicurarne l’applicazione effettiva.
In particolare, l’art. 34 dispone che “gli atti costitutivi delle società, ad eccezione di quelle che fanno ricorso al
mercato di capitale di rischio (…), possono, mediante clausole compromissorie, prevedere la devoluzione ad arNote:
(9) La carenza di nomina su iniziativa delle parti consente di attivare il meccanismo di nomina giudiziaria definito dall’art. 810, comma
2, c.p.c.
(10) Cfr. La China, L’arbitrato. Il sistema e l’esperienza, Milano, 2007, 58; Briguglio, La nuova disciplina dell’arbitrato, in Commentario
a cura di Briguglio-Fazzalari-Marengo, Milano, 1994, 70; Barbareschi, Gli arbitrati, Milano, 1937, 101; Carnelutti, Istituzioni del processo civile italiano, I, Roma, 1936, 60 ss.
(11) La ratio della norma è garantire la più semplice formazione della maggioranza nella definizione del lodo. Così Andrioli, Commento del codice di procedura civile, IV, III ed., Napoli, 1964, 813; Redenti, voce Compromesso, in Noviss. Dig. it., III, Torino, 1959, 790.
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bitri di alcune ovvero di tutte le controversie insorgenti tra i soci ovvero tra i soci e la società che abbiano ad oggetto diritti disponibili relativi al rapporto sociale”.
Il 2° comma della disposizione in commento delinea, poi, una caratteristica essenziale della nuova disciplina: la
clausola deve prevedere il numero e le modalità di nomina degli arbitri, “conferendo in ogni caso, a pena di nullità, il potere di nomina degli arbitri a soggetto estraneo alla società”. La norma, infine, conclude prevedendo la
possibilità di nomina da parte del Presidente del Tribunale del luogo in cui la società ha sede, in caso di mancata
nomina da parte del terzo prescelto, riecheggiando così il disposto dell’art. 810, comma 2, c.p.c.
Diversamente, invece, il successivo art. 37 D.Lgs. n. 5/2003, pur inserito nel medesimo Titolo V, prevede un’ipotesi di arbitraggio, rivolto al più semplice e veloce superamento dei “contrasti tra coloro che hanno il potere di amministrazione in ordine a decisioni da adottare nella gestione della società”. Tale disposizione qualifica secondo la
dottrina prevalente (12), una fattispecie di arbitrium merum più che di arbitrato, com’è dato desumere dal rinvio
espresso operato dalla norma all’art 1349, comma 2, c.c., ai fini dell’impugnabilità della valutazione fatta dal terzo.
Non poche sono le questioni sorte anche in seguito all’introduzione della nuova disciplina operata dalla riforma ed,
in particolare, relative alla sua estensibilità alle società di persone, non direttamente toccate dalla riforma del diritto societario del 2003; alla collocazione delle clausole arbitrali; al loro ambito di applicazione soggettivo ed oggettivo; nonché ai rapporti con l’arbitrato tradizionale. La disciplina dell’arbitrato societario si conclude, poi, con
l’art. 41 D.Lgs. n. 5/2003, norma di diritto transitorio, che non pochi problemi ha destato in merito alla sua interpretazione e concreta applicazione. Diversi sono, quindi, i riflessi sull’attività notarile dell’introduzione della disciplina sull’arbitrato societario.
A) applicabilità alle società di persone
La riforma del diritto societario ha ad oggetto le società di capitali e le cooperative, ma inevitabilmente, come ormai riconosciuto dalla dottrina, alcuni risvolti hanno investito anche le società di persone.
Nella legge delega al D.Lgs. n. 5/2003 si descrive un modello di arbitrato applicabile alle società commerciali (13),
tra le quali sono comprese anche la s.n.c. e la s.a.s.. L’art. 34, comma 1, D.Lgs. n. 5/2003, inoltre, si riferisce genericamente alle “società”, dal cui novero vengono, invece, esplicitamente escluse le sole società che fanno ricorso al mercato di capitali di rischio.
Restano, pertanto, escluse dall’ambito applicativo della nuova normativa le società che fanno ricorso al mercato
di capitale di rischio, per espressa definizione dell’art. 34, nonché le società semplici (14), la cui esclusione si ricava in via interpretativa, non essendo dette società ascrivibili alla categoria delle società commerciali.
Ulteriore conferma dell’applicabilità della normativa anche alle società di persone risiede nell’art. 37 D.Lgs. n.
5/2003, che menziona espressamente le società di persone tra i tipi sociali cui sarebbe consentito applicare il nuovo procedimento di risoluzione dei contrasti sulla gestione sociale. Non si vede, quindi, motivo per ammettere
l’applicazione di tale procedimento e non più in generale quella dell’intera normativa sull’arbitrato societario.
Si ritiene, quindi, che la normativa sia interamente applicabile anche alle società a base personale purché commerciali (15) e non irregolari (16), dal momento che il procedimento delineato dall’art. 35 D.Lgs. n. 5/2003 presuppone l’iscrizione della società nel Registro delle Imprese.
Note:
(12) Cfr. tra gli altri Ruotolo, La risoluzione nei contrasti sulla gestione della società, Studio n. 5734/I-2005 dell’Ufficio Studi del Consiglio Nazionale del Notariato, in Studi e Materiali, 2005, 2, 1296 ss.; Miccolis, Arbitrato e conciliazione nella riforma del processo societario, in La riforma del diritto societario, a cura di Di Cagno, Bari, 2004, 418; Morleo, L’arbitrato e la conciliazione stragiudiziale nel
d.lgs. n. 5/2003. Spunti di riflessione sulle controversie in ambito cooperativo, in Coop. e consorzi, 2003, 108; Bove, L’arbitrato nelle
controversie societarie, in Giust. civ., 2003, II, 473 ss.
(13) Così recita, infatti, l’art. 12 comma 3 della Legge delega (L. 3 ottobre 2001, n. 366): “Il Governo può altresì prevedere la possibilità che gli statuti delle società commerciali contengano clausole compromissorie, anche in deroga agli articoli 806 e 808 del codice
di procedura civile, per tutte o alcune tra le controversie societarie di cui al comma 1.”.
(14) Miranda, La clausola compromissoria: applicazione ed invalidità, in Società, 2010, 3, 288 ss.; Ruotolo, Le clausole arbitrali e l’attività notarile, Studio n. 5856/I-2005 dell’Ufficio Studi del Consiglio Nazionale del Notariato, in Studi e Materiali, 2005, 2, 1325 ss. Contra, invece, Della Pietra, La clausola compromissoria, in Il nuovo diritto delle società, Liber amicorum G.F. Campobasso, Utet, Torino,
2007, I, 206 ss., sulla base di una non condivisibile valorizzazione del provvedimento delegato, anche in spregio dei confini tracciati
dalla legge delega, non senza sottolineare, tuttavia, egli stesso il potenziale approdo alla illegittimità costituzionale del provvedimento in questione per eccesso di delega, ove così dovesse essere inteso.
(15) In tal senso anche Consiglio Notarile dei Distretti Riuniti di Firenze, Pistoia e Prato, massima del 7 febbraio 2011, Clausola compromissoria nelle società di persone: «L’art. 34 del decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 5, regola un modello di arbitrato che trova
applicazione per tutte le società commerciali, ivi comprese le società di persone. È, altresì, da ritenere che la norma prevede un istituto che si aggiunge ma non si sostituisce a quello tradizionale regolamentato dal codice di procedura civile agli artt. 806 e segg., per
cui è lasciato alle società, nell’esplicazione della propria autonomia contrattuale, di scegliere il tipo da adottare nella risoluzione delle
controversie sociali. Pertanto nella redazione delle clausole compromissorie si ritiene opportuno che il Notaio, dopo aver indagato la
volontà delle parti, faccia riferimento alle norme che sovrintendono alla tipologia di arbitrato scelto dalle parti”. In giurisprudenza: Trib.
Trento 8 aprile 2004, in Società, 2004, 8, 996 ss.
(16) Come precisa Ruotolo, op. cit. (nt. 14), 1331.
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B) Collocazione delle clausole arbitrali
L’art. 34 D.Lgs. n. 5/2003 fa riferimento agli “atti costitutivi”, facendo desumere che tali clausole trovino la loro
genesi naturale nella fase costitutiva della società. Il dato precettivo della norma si pone, tuttavia, in apparente
contrasto con la sua rubrica, la quale si riferisce, invece, alle “clausole compromissorie statutarie”.
Nota è la questione sorta in seguito alla riforma del diritto societario e relativa alla valenza di atto costitutivo e statuto nelle società di capitali, risolta sulla base dell’espresso dettato dell’art. 2328, ult. comma, c.c., secondo il quale lo statuto “costituisce” parte integrante dell’atto costitutivo (17). La citata norma, dettata in tema di s.p.a., si ritiene estensibile anche alle s.r.l., nonostante una minoritaria opinione contraria (18).
Da questa prospettiva, dunque, il problema perderebbe rilevanza, per riacquistarla, tuttavia, rispetto alla formulazione della seconda parte della disposizione in commento, che sancisce la prevalenza dello statuto sull’atto costitutivo in caso di contrasto tra le regole contenute nell’uno e nell’altro documento.
In base alle considerazioni espresse ed alla convinzione che l’ipotesi di un contrasto tra le norme contenute nell’atto costitutivo e nello statuto sia puramente scolastica, la dottrina prevalente (19) ritiene indifferente la collocazione delle clausole arbitrali nell’uno o nell’altro documento.
Sotto il profilo pratico, però, la collocazione più naturale di dette clausole sembrerebbe risiedere nello statuto,
quale documento contenente “le norme relative al funzionamento della società”, più analitico ed esteso rispetto
all’atto costitutivo, senza considerare la prevalenza del primo nel caso, forse remoto, ma pur possibile, di un contrasto tra i due documenti.
Discussa è l’ammissibilità di inserire le clausole arbitrali in atti separati e successivi rispetto alla fase costitutiva
della società.
Nettamente prevalente (20) appare la soluzione negativa. Se non definita nella fase costitutiva, infatti, la clausola
può essere inserita anche successivamente tra le regole di svolgimento dell’attività sociale, attraverso una modifica statutaria, purché ciò avvenga con la maggioranza rafforzata richiesta dal 6° comma dell’art. 34 D.Lgs. n.
5/2003.
Ad ulteriore conferma di tale indirizzo si pone la legge delega che, non escludendolo esplicitamente, pare consentire comunque il ricorso al compromesso ex art. 807 c.p.c. ove la controversia sia già sorta, in mancanza della specifica previsione di una clausola statutaria. Resta per tal via esclusa ogni possibilità di ricorrere ad atto diverso da quello costitutivo o dallo statuto per la remissione delle controversie relative ai rapporti societari ad arbitri secondo la disciplina dell’arbitrato societario (21).
C) Ambito di applicazione soggettivo
Ai sensi dell’art. 34, comma 1, D.Lgs. n. 5/2003 sono controvertibili in arbitri sia le liti tra i soci, che quelle tra
questi ultimi e la società. Il successivo 3° comma stabilisce, poi, la vincolatività della clausola compromissoria per tutti i soci, compresi coloro per i quali la stessa qualità di socio è oggetto della controversia. Né l’applicabilità della disciplina dipende dal momento in cui il soggetto abbia fatto ingresso nella compagine sociale, in quanto, anche se subentrato dopo la fase costitutiva o dopo l’inserimento della clausola con modifica
statutaria, la vincolatività della clausola anche nei suoi confronti resterebbe assicurata dalla pubblicità dello
statuto.
La norma delinea, dunque, una sorta di “giustizia del gruppo sociale organizzato” (22) attraverso una clausola
vincolante in base al solo acquisto dello status socii, anche qualora lo stesso acquisto fosse revocato in dubbio.
Quanto a quest’ultimo profilo, due sono le ipotesi che concretamente potrebbero verificarsi:
Note:
(17) Si ritiene che lo statuto, seppur parte integrante dell’atto costitutivo, non debba necessariamente rivestire la forma di atto pubblico, ma, come ogni altro allegato, possa essere redatto in forma di scrittura privata, debitamente sottoscritta e per la quale si rende, altresì, possibile dispensare il Notaio dalla lettura. Così in dottrina: Rescio, Sulla natura e sulla forma degli statuti societari, Studio
n. 5557/S-2005 dell’Ufficio Studi del Consiglio Nazionale del Notariato, in Studi e Materiali, 2005, 1, 315 ss.; Tondo, Sul possibile rapporto formale tra atto costitutivo e statuto nella S.p.a., Studio n. 5022/S-2005 dell’Ufficio Studi del Consiglio Nazionale del Notariato,
in Studi e Materiali, 2005, 1, 291 ss.; Petrelli, Statuto e atto pubblico dopo la riforma delle società di capitali, in Riv. not., 2004, 433 ss.
In giurisprudenza: App. Roma 9 settembre 1993, in Riv. not., 1993, 942 ss.; App. Roma 20 luglio 1993, ivi, 1993, 696 ss.
(18) Salanitro, Profili sistematici della società a responsabilità limitata, Milano, 2005, 10 ss., riporta con spirito critico l’opinione secondo la quale il nuovo art. 2463 c.c. vieterebbe la redazione di statuti nelle s.r.l., rimettendo l’intera regolamentazione dell’attività sociale all’atto costitutivo.
(19) Ruotolo, op. cit. (nt. 14), 1331; Corsini, La nullità della nuova clausola compromissoria statutaria e l’esclusività del nuovo arbitrato societario, in Giur. comm., 2005, 1, 814 ss.; Luiso, Appunti sull’arbitrato societario, in Riv. dir. proc., 2003, 705 ss. L’impossibilità di
ricorrere al compromesso come atto introduttivo dell’arbitrato scietario è, peraltro, esclusa dalla stessa relazione al D.Lgs. n. 5/2003
«sulla base di una rigorosa interpretazione della legge delega”.
(20) Ruotolo, op. cit., 1331; Cabras, I principi dell’arbitrato e l’arbitrato societario, in www.dircomm.it.
(21) In tal senso Trib. Prato 15 giugno 2010, in Società, 2010, 12, 1504, con nota di Corsini, Arbitrato societario e patti parasociali, 1504
ss.
(22) L’efficace espressione è stata coniata da Ricci, Il nuovo arbitrato societario, in Riv. trim. dir. proc., 2003, 524.
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– quella di un socio la cui permanenza in società sia oggetto di controversia (23), certamente rientrante nell’ambito applicativo della disposizione;
– quella più discussa in cui sia messo in dubbio lo stesso acquisto della qualità di socio.
In quest’ultimo caso l’accertamento della qualità di socio potrebbe essere tanto oggetto diretto del petitum, quanto presupposto della causa petendi (24).
In base ad un’interpretazione letterale della norma, secondo la quale lo status di socio deve essere oggetto immediato della controversia, la seconda tipologia di controversie resterebbe esclusa dall’ambito applicativo della
normativa sull’arbitrato societario (25). Tale opinione sembra, tuttavia, eccessivamente limitativa della portata della normativa de qua, che pare, invece, tendere ad una più ampia applicazione (26).
Occorre, piuttosto, sottolineare come solo in virtù dell’assunzione della qualità di socio la normativa sull’arbitrato
societario divenga vincolante per un soggetto, altrimenti non obbligato a sottostarvi. Anche qualora la controversia attenga alla contesa titolarità dello status socii, tuttavia, non sarebbe da escludersi in nuce il giudizio arbitrale,
in tal caso saranno eventualmente gli stessi arbitri cui è deferita la controversia a dichiarare la propria carenza di
legittimazione (27).
Il quarto comma della norma in commento consente, inoltre, dietro espressa previsione dell’atto costitutivo, che
l’efficacia della clausola si estenda alle controversie promosse “da amministratori, liquidatori e sindaci ovvero
nei loro confronti”. In questo caso la vincolatività della clausola è subordinata all’accettazione dell’incarico.
L’elencazione della norma pare tutt’altro che tassativa, potendosi estendere la sua applicazione anche agli organi
del sistema dualistico o monostico, ai direttori generali, ai revisori ed alle società di revisione (28).
Si rende, a questo punto, opportuno chiarire meglio la diversa portata dell’art. 37 D.Lgs. n. 5/2003, che consente
di definire mediante arbitratori, piuttosto che arbitri, i contrasti tra gli amministratori relativi alla gestione della società.
Ratio di tale disposizione è quella di consentire un più agevole superamento di quelle fasi di stallo (o dead-lock,
per adoperare la più moderna terminologia anglofila) nella gestione dell’attività sociale, che potrebbero recare nocumento alla società.
A differenza dell’art. 34, la citata norma limita, da un lato, il proprio ambito applicativo alle società a responsabilità limitata, mentre dall’altro lo estende esplicitamente anche alle società di persone, costituendo, come già sottolineato, uno degli argomenti a favore dell’estensibilità dell’intera nuova disciplina dell’arbitrato societario anche
a questi tipi sociali.
La fondamentale distinzione tra le due disposizioni risiede, quindi, nella natura giuridica della fattispecie prevista dall’art. 37. Secondo la prevalente dottrina (29), infatti, nonostante la collocazione tra le norme relative all’arbitrato societario, la citata norma regola una fattispecie di arbitraggio, com’è dato anche desumere dal suo
4° comma, che sottopone l’impugnazione della decisione assunta dagli arbitratori alla disciplina dell’art. 1349,
comma 2, c.c.
D) Ambito di applicazione oggettivo
La ricostruzione dell’ambito di applicazione oggettivo della disciplina de qua passa attraverso la disamina di una
serie di riferimenti normativi collocati all’interno del Titolo V D.Lgs. n. 5/2003.
L’ultima parte del 1° comma dell’art. 34 D.Lgs. n. 5/2003 sancisce il criterio della disponibilità dei diritti posti alla
base della controversia, criterio, peraltro, già conclamato dall’art. 806 c.p.c., oltre che nell’art. 1966 c.c. in materia di transazione, e che potremo ritenere principio generale in tema di metodi alternativi di risoluzione delle controversie. In particolare, la prima delle citate norme si riferisce a controversie aventi ad oggetto “diritti disponibili
relativi al rapporto sociale”.
Ai sensi del successivo quinto comma, inoltre, non possono essere oggetto di clausola compromissoria le controversie nelle quali la legge preveda l’intervento obbligatorio del p.m.
Note:
(23) Si pensi, ad esempio, all’impugnazione della delibera di esclusione assunta ai sensi degli artt. 2286 o 2473 bis c.c.
(24) Esempio del primo tipo di controversia potrebbe essere quello della contesa titolarità della partecipazione sociale tra due soggetti,
mentre nella seconda tipologia potrebbe rientrare l’azione con la quale venga richiesta la distribuzione di dividendi da un soggetto che
non abbia mai partecipato alla società
(25) Corsini, op. cit. (nt. 19), 814 ss., ad esempio esclude categoricamente la controvertibilità in arbitri delle controversie relative alla
dubbia titolarità della qualità di socio.
(26) La teoria estensiva è, peraltro, sposata dal Consiglio Nazionale del Notariato nello studio di Ruotolo, op. cit. (nt. 14), 1329; oltre
che da Luiso, op. cit. (nt. 19), 705 ss. e Danovi, L’arbitrato nella riforma del diritto processuale societario, in Dir. giur., 2004, 568, i quali ritengono che l’ampia portata della norma consenta di ricomprendere qualsiasi controversia anche sotto tale profilo.
(27) In tal senso Della Pietra, op. cit. (nt. 14), 223.
(28) Così, sebbene in tono dubitativo, Ferrucci-Ferrentino, Società di capitali, società cooperative e mute assicuratrici, I, II ed., Giuffrè, Milano, 2012, 89.
(29) Cfr. nt. 12.
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L’art. 35, comma 5, D.Lgs. n. 5/2003 ammette la devoluzione ad arbitri di questioni concernenti la validità delle delibere assembleari, consentendo, altresì, a questi ultimi di sospenderne l’efficacia (30).
L’art. 36 D.Lgs. n. 5/2003, infine, derogando al criterio della disponibilità dei diritti, estende la competenza degli
arbitri anche a materie non compromettibili, relative, cioè, a diritti indisponibili, quando si tratti di questioni incidentali oppure di giudicare circa la validità delle delibere assembleari. In entrambi i casi, la norma impone che la
decisione debba essere assunta secondo diritto e che il lodo sia impugnabile anche ex art. 829 c.p.c.
A tali norme occorre poi aggiungere un costante richiamo all’art. 1 D.Lgs. n. 5/2003, che individua il più generale
ambito di riferimento oggettivo per le controversie sottoposte al c.d. rito societario.
Questo complesso quadro normativo lascia spazio a diverse interpretazioni circa i confini effettivi dell’applicazione oggettiva della normativa sull’arbitrato societario.
Una prima avanguardista tesi (31) applicherebbe i limiti della disponibilità dei diritti e dell’intervento del p.m. alle
sole controversie riguardanti i rapporti tra soci o tra questi e la società, escludendo da tale limitazione le controversie attinenti alla validità delle delibere assembleari e quelle relative agli amministratori, liquidatori e sindaci,
eventualmente contemplate nella clausola compromissoria.
Una tesi intermedia (32), che si condivide in quanto maggiormente aderente al dato normativo, ritiene, invece,
che le uniche controversie sottratte al criterio della disponibilità dei diritti sarebbero quelle relative alla validità delle deliberazioni assembleari, restando sottoposte a tale criterio tutte le altre controversie che intervengano tra i
soci, tra questi e la società, nonché quelle relative ad organi sociali.
Non si può, tuttavia, fare a meno di rilevare che la prevalente dottrina sposa la visione più conservatrice (33). Secondo tale orientamento il criterio della disponibilità dei diritti deve informare qualsiasi controversia perché questa possa ritenersi controvertibile, anche quelle relative all’impugnazione delle deliberazioni assembleari, nonostante il tenore letterale dell’art. 36 D.Lgs. n. 5/2003, la cui portata verrebbe così a ridursi automaticamente.
Pare, a questo punto, interessante definire una casistica delle controversie che ricadono nell’ambito applicativo
della normativa de qua e di quelle che ne restano, invece, escluse.
Sono controvertibili in arbitri secondo la disciplina dell’arbitrato societario:
1) le controversie tra soci;
2) le controversie tra soci e società;
3) le controversie attinenti alla validità di delibere assembleari;
4) le controversie promosse da o relative agli organi sociali, in caso di espressa previsione in tal senso (34).
Le liti controvertibili ai sensi degli artt. 34 ss. D.Lgs. n. 5/2003 sono, peraltro, solo quelle relative ad interessi sociali e privati, non quelle relative ad interessi collettivi e di terzi (35).
Restano, pertanto, escluse dall’applicabilità della nuova disciplina, le controversie riguardanti:
a) l’azione di responsabilità promossa dal socio nei confronti dell’amministratore (36);
b) la revoca per giusta causa dell’amministratore fondata sulla violazione del principio di chiarezza e precisione dei
bilanci (37);
c) l’impugnazione della delibera di approvazione del bilancio (38);
Note:
(30) Di recente il Trib. Napoli 6 febbraio 2012, in Società, 2012, 5, 563 ss., con nota di Izzo, Sulla sospensione dell’efficacia delle delibere assembleari prima della costituzione del collegio arbitrale, ha affermato che: «In una prospettiva costituzionalmente orientata,
anche in presenza di clausola compromissoria statuaria, sussiste la competenza dell’autorità giudiziaria in ordine all’istanza di sospensione dell’efficacia della delibera assembleare fintanto che l’organo arbitrale, pur investito della controversia, non si sia costituito e non sia concretamente in grado di operare.”.
(31) Così Ricci, op. cit. (nt. 22), 520 ss.
(32) Vedi Della Pietra, op. cit. (nt. 14), 225 e 226.
(33) Cfr. Bove, Clausola arbitrale societaria - clausola arbitrale ordinaria - differenze e rapporti, in Riv. not., 2011, 3, 569 ss.; Miranda,
op. cit. (nt. 14), 292; Luiso, op. cit. (nt.19), 707 ss.; Ruotolo, op. cit. (nt.14), 1330, il quale pure non manca di sottolineare che «La concreta definizione dell’ambito di applicazione oggettiva della clausola non è tuttavia ancora del tutto chiara”. In giurisprudenza: Trib. Napoli 30 settembre 2005, in Foro it., 2006, I, 2246; Trib. Modena 12 maggio 2004, in Società, 2004, 1270, con nota di Soldati, Clausola arbitrale societaria e nomina del liquidatore.
(34) In tal senso Camera Arbitrale di Milano, lodo 2012, in Società, 2012, 12, 1364: che ammette la compromettibilità in arbitri dell’impugnazione delle deliberazioni relative alla determinazione dei poteri dei liquidatori ed all’approvazione del bilancio finale di liquidazione.
(35) Cass. 6 luglio 2000, n. 9022, in Mass. Giur. it., 2000.
(36) Cass. 17 luglio 2012, n. 12333, Società, 2012, 12, 1362. Secondo Trib. Padova 18 gennaio 1986, in Società, 1986, 1092, resterebbero sottratte alla competenza degli arbitri, altresì le controversie relative al compenso degli amministratori.
(37) Cass. 18 febbraio 1988, n. 1739, in Foro it., 1988, I, 3349; Trib. Padova 20 giugno 1989, in Foro Padano, 1989, I, 327.
(38) App. Torino 16 luglio 2012, in Società, 2012, 12, 1363; Trib. Padova cit. (nt. 36); Trib. Como 26 maggio 1989, in Società, 1989, 951.
Contra, invece, Trib. Napoli 8 marzo 2010, in Società, 2010, 1510, con nota di Izzo, Disponibilità del diritto e limiti alla compromettibilità per arbitri della delibera di approvazione del bilancio. Secondo Trib. Milano 27 settembre 2005 e 8 ottobre 2005, entrambe in Giur.
comm., 2006, 1128; nonché Trib. Modena 12 maggio 2004, in Giur. comm., 2004, 1270, sarebbero, altresì, da escludere dalla competenza arbitrale le controversie relative alle delibere di azzeramento e ricostituzione del capitale, in quanto aventi ad oggetto diritti
indisponibili.
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d) lo scioglimento della società (39);
e) la giurisdizione penale (40);
f) contratti di lavoro (41).
Discussa è, infine, l’applicabilità alle controversie riguardanti i trasferimenti delle partecipazioni ed i patti parasociali, entrambe materie menzionate nell’art. 1 D.Lgs. n. 5/2003.
Apparentemente, stante la generica formulazione dell’art. 34 D.Lgs. n. 5/2003, la normativa dovrebbe interessare le controversie che riguardano il rapporto sociale non solo in via diretta, ma anche in via indiretta e mediata.
L’intento dichiarato della disciplina è, tuttavia, quello di definire una “giustizia sociale” che riguardi essenzialmente rapporti endosocietari e da questa sfera sembrerebbero, invece, esulare le questioni suddette.
Quanto ai trasferimenti delle partecipazioni, come già rilevato, si ritiene che le relative controversie non siano automaticamente escluse dall’arbitrato societario, quantomeno ove a mezzo del negozio sia stata acquistata la qualità di socio, seppure lo stesso acquisto sia controverso.
I patti parasociali, invece, sono per definizione esclusi dai rapporti societari, di conseguenza non dovrebbero rientrare nel novero delle controversie compromettibili a mezzo dell’arbitrato societario (42).
Né l’una né l’altra tipologia di controversie, però, potrebbero formare oggetto del giudizio arbitrale-societario ove
la clausola compromissoria non fosse contenuta nello statuto, ma direttamente nel contratto di cessione della
partecipazione o nel patto parasociale stesso, stante quanto sostenuto sopra in relazione alla naturale collocazione delle clausole de quo. In quest’ultimo caso le relative liti sarebbero, invece, sottoposte all’arbitrato tradizionale, del quale, come già rilevato, non pare essere esclusa l’applicazione residuale in base al tenore della legge delega.
E) Rapporti con l’arbitrato di diritto comune
Ai sensi dell’art. 34, comma 2, D.Lgs. n. 5/2003 la clausola compromissoria deve contenere, a pena di nullità, l’indicazione di un soggetto terzo, al quale venga deferito il compito di nominare gli arbitri. La norma traccia una fondamentale differenza tra la disciplina dell’arbitrato societario e quella dell’arbitrato di diritto comune, dove gli arbitri vengono abitualmente nominati per scelta delle parti interessate (art. 810 c.p.c.).
La disposizione si pone a garanzia dell’esigenza di estraneità (43), neutralità ed imparzialità nella definizione del
giudizio, nel tentativo, peraltro, di controbilanciare l’ampliamento della sfera decisionale (44) rispetto all’arbitrato
di diritto comune, unicamente orientato dal criterio della disponibilità dei diritti.
La dottrina concorda sul dato che l’arbitrato societario, come strutturato dagli artt. 34 e ss. D.Lgs. n. 5/2003, sia
in rapporto di species ad genus rispetto a quello di diritto comune, ciò su cui si le opinioni si dividono è l’articolazione di questo rapporto.
Parte della dottrina (45) e la giurisprudenza di merito (46) ritengono che l’arbitrato societario si ponga in rapporto
di alternatività con quello previsto dal codice di rito, aggiungendosi, ma non sostituendosi all’arbitrato di diritto comune. Diversi sono gli argomenti utilizzati a sostegno di tale tesi.
Innanzitutto, si sottolinea come nella legge delega fosse contenuta l’autorizzazione a definire un modello di arbitrato, anche in parziale deroga rispetto a quello di cui agli artt. 806 e ss. c.p.c., senza, tuttavia, imporre la cessazione dell’efficacia delle norme sull’arbitrato di diritto comune per le società commerciali. L’intento del Legislatore delegante sarebbe stato, quindi, quello di ampliare le possibilità delle società commerciali, non di diminuirle. A
Note:
(39) Cass. 19 settembre 2000, n. 12412, in Giust. civ., 2001, I, 405.
(40) Così Ferrucci-Ferrentino, cit. (nt.28), 86; Paolucci, Le clausole di deferimento delle controversie sociali ai probiviri, in Società,
1993, 1041.
(41) Paolucci, op. cit., 1041.
(42) In tal senso anche Ricci, op. cit. (nt. 22), 523; Luiso, op. cit. (nt. 19), 705 ss.; Danovi, op. cit. (nt. 26), 577; Corsini, L’arbitrato nella riforma del diritto societario, in Giur. it., 2003, 1290. Contra Della Pietra, op. cit. (nt. 14), 231, che tende ad ampliare l’ambito applicativo degli artt. 34 ss. D.Lgs. n. 5/2003, estendendolo anche alle controversie relative ai patti parasociali, sulla base di un raffronto
del dato testuale degli artt. 34, comma 1 e 1, lett. c), D.Lgs. n. 5/2003.
(43) L’estraneità va intesa in senso non solo formale, ma anche sostanziale. Non sarebbe, pertanto possibile affidare la nomina degli
arbitri ad un soggetto pur formalmente estraneo alla compagine sociale, ma che abbia nella società o nelle vicende ad essa collegate qualche interesse economico, familiare o affettivo. In tal senso Trib. Milano 7 luglio 2005, in Società, 2006, 1155, con nota di Soldati, «Estraneità” dell’autorità di nomina e clausola compromissoria statutaria; Della Pietra, op. cit. (nt. 14), 237.
(44) Si veda quanto già rilevato nel precedente §3.D) in relazione alla deroga introdotta dall’art. 36 D.Lgs. n. 5/2003 rispetto al generale criterio della disponibilità dei diritti compromettibili.
(45) In tal senso Salafia, Il nuovo arbitrato societario e altre questioni, nota a Trib. Latina 22 giugno 2004, in Società, 2005, 97 ss.; Auletta, Dell’arbitrato, in La riforma delle società. Il processo, a cura di Sassani, Torino 2004, 328 ss.; Zoppini-Auletta, Doppia chance di
arbitrato per le società, in Il sole 24 ore, 2 settembre 2004, 19; Nela, in Il nuovo processo societario, diretto da Chiarloni, Bologna,
2004, 971; De Nova, Controversie societarie: arbitrato societario o arbitrato di diritto comune, in Contratti, 2004, 847; Miranda, op. cit.
(nt.14), 302 e 303; Consiglio Notarile dei Distretti Riuniti di Firenze, Pistoia e Prato nella massima del 7 febbraio 2011, cit. (nt. 15).
(46) App. Torino 20 marzo 2007, in Il notaro, 2007, 9; Trib. Bologna 17 giugno 2008, in Giur. comm., 2009, 2,1004; Trib. Bari 2 novembre 2006, in Giur. it., 2007, 2237; Trib. Genova 7 marzo 2005, in Giur. comm., 2006, 500.
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testimonianza della compatibilità tra i due modelli, non viene meno, infatti, la possibilità di ricorrere al compromesso, in mancanza della previsione statutaria di cui all’art. 34 D.Lgs. n. 5/2003 ed in seguito all’insorgenza della
lite.
La necessità di nomina degli arbitri da parte di un soggetto terzo e l’ampliamento della sfera di competenza degli
arbitri, si possono giustificare, secondo questo filone dottrinale, solo ritenendo che le due forme di arbitrato siano tra loro in rapporto di concorrenza. Sostenere, invece, l’esclusività dell’arbitrato societario vorrebbe dire ammettere un’illegittima disparità di trattamento per le società commerciali rispetto ad altri soggetti di diritto.
Pare decisamente prevalere in dottrina (47) ed in giurisprudenza (48), la tesi dell’esclusività dell’arbitrato societario. Se di alternatività si può parlare, è nel senso che nel nostro ordinamento coesistono due discipline: quella dell’arbitrato nel diritto societario, volta a disciplinare le clausole compromissorie inserite negli statuti sociali, e quella dell’arbitrato di diritto comune, che disciplina, invece, le clausole compromissorie inserite in altri tipi di contratti ed i compromessi.
A sostegno di tale tesi si pone il carattere di specialità della nuova normativa, recante disposizioni in talune parti
incompatibili con la disciplina di diritto comune, nonché la sua imperatività (49). Né sarebbe stato necessario da
parte del Legislatore indicarne espressamente l’esclusività: tale specificazione sarebbe stata, infatti, superflua riferendosi la normativa de qua solo a determinate fattispecie e, cioè, unicamente ai rapporti sociali.
Dall’adesione a ciascuna delle due ricostruzioni dipende l’efficacia da attribuirsi alle vecchie clausole c.d. binarie,
contenute negli statuti societari prima della riforma, e la valenza del loro adeguamento alla nuova disciplina.
Vengono definite “binarie” quelle clausole compromissorie che, prima dell’intervento del D.Lgs. n. 5/2003, prevedevano la nomina di un arbitro da ciascuna delle parti in causa e la designazione del terzo di comune accordo
dai primi due prescelti.
L’art. 34 D.Lgs. n. 5/2003, come già chiarito, impone, invece, che la nomina degli arbitri avvenga ad opera di un
soggetto terzo, a pena di nullità. Il successivo comma 6 della norma dispone, poi, che le modifiche introduttive o
soppressive delle clausole compromissorie devono essere approvate da una maggioranza di almeno due terzi del
capitale sociale, consentendo ai soci che non abbiano contribuito ad assumere la decisione il diritto di recedere
dalla società (50).
Secondo la tesi dell’alternatività (51), le clausole binarie sarebbero ancora valide anche alla luce della nuova disciplina, ma semplicemente sottoporrebbero le controversie all’arbitrato di diritto comune e non al nuovo modello
ad esso alternativo.
Quanto alla modifica delle suddette clausole, il loro adeguamento non rappresenterebbe l’inserimento di una nuova regola, bensì una mera modifica contenutistica della clausola statutaria, per la quale resterebbe esclusa l’applicazione della maggioranza rafforzata di cui all’art. 34, comma 6 (52).
L’adesione all’opposta tesi dell’esclusività (53) implica, invece, che le clausole binarie siano viziate da nullità per
contrarietà a norma imperativa e precisamente per il contrasto con l’art. 34, comma 2, D.Lgs. n. 5/2003. In particolare, le clausole binarie sono da ritenersi nulle fin dall’entrata in vigore del D.Lgs. n. 5/2003 e, cioè, sin dal 1°
gennaio 2004.
Viene, a questo punto, in rilievo l’art. 41 D.Lgs. n. 5/2003, norma di diritto transitorio, che al comma 2 detta una
Note:
(47) Ruotolo, op. cit. (nt. 14), 1334; Danovi, op. cit. (nt. 26), 566 ss.; Corsini, op. cit. (nt. 19), 809 ss.; Bianchini, Osservazioni in tema
di in(validità) delle clausole compromissorie non adeguate alla nuova disciplina dell’arbitrato c.d. endosocietario, in Giur comm., 2006,
410 ss.; Consiglio Notarile di Milano, massima n. 3, Adeguamento della clausola compromissoria, in AA.VV., Le massime del Consiglio Notarile di Milano, Ipsoa, 2007, 49.
(48) Ex multis Cass. 13 ottobre 2011, n. 21202, in Società, 2012, 2, 211 ss., con nota di Soldati, Arbitrato societario: cassata la tesi
del “doppio binario”; Cass. 9 dicembre 2010, n. 24867, in questa Rivista, 2011, 137 ss.; App. Torino 4 agosto 2006, in Corr. Merito,
2006, 1259; Trib. Milano 18 giugno 2009, in Giur. it., 2009, 2717; Trib. Milano 12 marzo 2009, in Giur. it., 2009, 2224; Trib. Trani 15 ottobre 2008, in Giur. it., 2009, 1480; Trib. Salerno 12 aprile 2007, in Giur. comm., 2008, 865; Trib. Milano 9 novembre 2005, in Società,
2006, 750 ss.; Trib. Latina 22 giugno 2004, in questa Rivista, 2005, 3, 258 ss., con nota di Guidotti, L’arbitrato di diritto comune dopo
la riforma del diritto societario.
(49) L’art. 35 D.Lgs. n. 5/2003 è rubricato “Disciplina inderogabile del procedimento arbitrale”.
(50) Da notare, peraltro, il diverso e ben più esteso termine previsto per l’esercizio del diritto di recesso rispetto a quello indicato ex
art. 2437bis c.c.
(51) Per tutti Salafia, op. cit. (nt. 45), 100.
(52) In tal senso Comitato Interregionale dei Consigli Notarili delle Tre Venezie, massima H.H.5, Adeguamento della clausola compromissoria: quorum e recesso, in Orientamenti del Comitato Triveneto dei Notai in materia di atti societari, in www.notaitriveneto.it: «È
cioè ragionevole ritenere che la nuova disciplina in materia di introduzione e soppressione di clausole compromissorie si debba applicare alle sole clausole volute dai soci sulla base della medesima nuova disciplina. Non può invece, ragionevolmente, trovare applicazione nel caso di società preesistenti al 1 gennaio 2004, già dotate di clausola compromissoria, che non abbiano adeguato sul punto
il proprio statuto, per le quali ogni “operazione” sulla clausola compromissoria (sia che si tratti di modificazione che di soppressione)
va considerata, pertanto, alla stregua di un “adeguamento” alla nuova normativa (…). Non può, in particolare, condividersi l’opinione
di chi ritiene che dal 1 gennaio 2004 la clausola compromissoria, essendo divenuta nulla, è come se non ci fosse, per cui un suo adeguamento equivarrebbe a “nuova introduzione” con conseguente applicabilità dell’art. 34, 6° comma, D.Lgs. 5/2003”.
(53) Ruotolo, op. cit. (nt.14), 1335; Della Pietra, op. cit. (nt. 14), 251; Consiglio Notarile di Milano, massima n. 3, op. cit. (nt. 47).
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disciplina ad hoc per gli adeguamenti della clausola compromissoria binaria alla disciplina del nuovo arbitrato societario, sottraendo le modifiche “deliberate ai sensi degli artt. 223 bis e 223 duodecies disp. att.” all’applicazione dell’art. 34, comma 6, D.Lgs. n. 5/2003.
La citata norma consente, quindi, di assumere la relativa delibera entro le date e mediante i quorum semplificati
previsti per gli adeguamenti statutari dalle norme transitorie (54), evitando così sia la più rigida disciplina dell’art.
34, comma 6, D.Lgs. n. 5/2003, che quella prevista per le modifiche statutarie.
Dopo i termini previsti dalle suddette disposizioni attuative, la modifica delle clausole non conformi alla disciplina
varrà come nuova introduzione e sarà sottoposta alla maggioranza rafforzata ed al diritto di recesso di cui all’art.
34, comma 6, D.Lgs. n. 5/2003.
Quanto alla possibilità, pur sostenuta da alcuni (55), di sostituire la clausola difforme mediante il meccanismo automatico di cui all’art. 1419, comma 2, c.c., facendo ricorso agli artt. 809, comma 3 e 810 c.p.c., prevale l’opinione negativa (56). L’art 1419, comma 2, c.c. presuppone, infatti, l’imperatività della norma di cui si fa applicazione
e di tale natura pare essere sprovvisto il citato art. 809 c.p.c., mentre n’è dotato l’art 34, comma 2, D.Lgs. n.
5/2003. La sostituzione della clausola difforme, quindi, sarebbe possibile solo ricorrendo alla norma da ultimo citata, nella parte in cui prevede che la nomina degli arbitri venga effettuata dal Tribunale del luogo ove la società
ha sede nel caso in cui il terzo non vi provveda. Tale disposizione rappresenta, tuttavia, l’extrema ratio e non il normale funzionamento dell’arbitrato societario.
Si pone, infine, un interessante problema applicativo. È frequente l’inserimento negli statuti societari di clausole
compromissorie che deferiscano le controversie alle Camere Arbitrali allestite presso le Camere di Commercio.
In seguito all’introduzione della disciplina sull’arbitrato societario, è, tuttavia, sorto il dubbio circa la legittimità di
tali clausole.
Spesso, infatti, i regolamenti delle Camere Arbitrali stabiliscono che la nomina degli arbitri sia in concreto effettuata dalla Camera “sentite le parti” o sia nominato dalla Camera un soggetto indicato “d’accordo tra le parti”.
Ciò sembrerebbe a prima vista in contrasto con l’analizzato art. 34, comma 2, D.Lgs. n. 5/2003. Occorre, tuttavia,
sottolineare che la norma si riferisce ad un “soggetto terzo”, con espressione volta a comprendere anche una carica (57) o un ente. In questo caso occorrerà, quindi, far riferimento ai regolamenti interni dell’ente individuato nella clausola, onde verificare la legittimità dell’attribuzione della facoltà di nomina.
In base a quanto detto, non si può dubitare della validità delle clausole che deferiscano la controversia alle Camere
di Commercio, auspicando che i loro regolamenti siano conformati nel senso di rimettere la decisione definitiva
sulla scelta degli arbitri alla Camera stessa, escludendo che possa ritenersi vincolante un’eventuale indicazione di
nominativi dalle parti (58).
F) Risvolti sull’attività notarile
Se la clausola compromissoria difforme dalla disciplina ex artt. 34 e ss. D.Lgs. n. 5/2003 è da considerarsi nulla,
ciò non può non comportare riflessi rilevanti sull’attività del Notaio. Mai come in questo caso, tuttavia, l’uso del
condizionale è d’obbligo.
Come noto, l’art. 28 L. n. 89/1913 non permette al Notaio di ricevere atti “espressamente vietati dalla legge o manifestamente contrari al buon costume o all’ordine pubblico”, consentendogli in questi casi di rifiutare il proprio
ministero, in deroga all’art. 27 L. n. 89/1913.
Nell’ambito degli atti societari il controllo di legalità cui il Notaio è deputato, ai sensi dell’art. 138 bis L. n. 89/1913,
si differenzia a seconda che esso avvenga in sede costitutiva o modificativa dello statuto sociale. In occasione della redazione di atti costitutivi e statuti il controllo notarile è duplice, essendo il pubblico ufficiale tenuto tanto al normale controllo preventivo ex art. 28 L. n. 89/1913, quanto al controllo omologatorio per l’iscrizione al Registro Imprese, ai sensi dell’art. 138 bis L. n. 89/1913. Diversamente, nel caso di verbalizzazione di modifiche statutarie, il
controllo di legalità si colloca in via successiva alla redazione dell’atto, essendo rivolto all’omologazione delle de-
Note:
(54) In tal senso va interpretato il riferimento dell’art. 40 D.Lgs. n. 5/2003 agli artt. 223 bis e 223 duodecies disp. att., le quali consentono l’ultrattività dei vecchi statuti rispettivamente fino al 30 settembre 2004 ed al 31 marzo 2005 e prevedono, poi, dei quorum
semplificati per gli adeguamenti statutari delle società preesistenti alla riforma. Le citate disposizioni sono, tuttavia, riferibili al solo
D.Lgs. n. 6/2003, di conseguenza non sono integralmente applicabili alla disciplina de qua.
(55)In tal senso Luiso, op. cit. (nt. 19), 717; Danovi, op. cit. (nt. 26), 580 ss.; Corsini, op. cit. (nt. 42), 1294. In giurisprudenza: Trib. Torino 27 settembre 2004, in Dir. e prat. soc., 2005, 10, 80.
(56) Cfr. Della Pietra, op. cit. (nt. 14), 238 e 239; Bove, op. cit. (nt. 33), 580; Soldati, Le clausole compromissorie nelle società commerciali, Milano, 2005, 25 ss. In giurisprudenza: Trib. Latina 22 giugno 2004, cit. (nt. 48).
(57) In tal senso Trib. Milano 18 luglio 2005, in Giur. comm., 2007, 2, 171 ss., che ha ritenuto valida l’indicazione del terzo estraneo individuato nel presidente pro tempore di un sindacato di categoria.
(58) Così Della Pietra, op. cit. (nt. 14) 237; Ruotolo, op. cit. (nt. 14), 1342, che analizza, peraltro, i regolamenti della Curia Mercatorum
di Treviso e Camera Arbitrale di Milano. Il primo, pur consentendo che una delle parti o le parti di comune accordo indichino i nominativi, prevede che la scelta da ultimo spetti esclusivamente alla Corte. Quanto al regolamento della Camera Arbitrale di Milano, esso riprende esattamente la formulazione dell’art. 34 D.Lgs. n. 5/2003, rimettendo la scelta degli arbitri alla Camera stessa.
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libere assunte. In entrambi i casi, tuttavia, qualora vengano iscritti atti costitutivi o modifiche statutarie manifestamente carenti delle condizioni richieste ex lege, l’art. 138 bis L. n. 89/1913 riconduce all’applicazione dell’art.
28.
Come già rilevato, l’interpretazione dell’art. 34 D.Lgs. è stata fino a tempi relativamente recenti tutt’altro che pacifica, essendo dottrina e giurisprudenza (59) divise tra le due tesi in ordine all’alternatività o all’esclusività dell’arbitrato societario rispetto a quello di diritto comune. La seconda tesi, come in precedenza chiarito, conduce alla
nullità della clausola compromissoria difforme dal modello legislativo.
La dottrina notarile (60) sottolinea, tuttavia, come il vizio in questione con riferimento allo statuto configuri un’ipotesi di nullità parziale, la quale non inficiando l’intero documento, non legittimerebbe l’applicazione dell’art. 28 L.
n. 89/1913 (61).
A complicare il già eterogeneo quadro di riferimento per l’attività notarile, sono intervenuti una serie di procedimenti disciplinari, aventi ad oggetto la clausola compromissoria. Le decisioni delle Co.Re.Di. (62) dovrebbero fungere da linea guida e strumento di orientamento per i Notai nello svolgimento dell’attività, eppure in materia sono stati espressi dalle diverse Commissioni orientamenti tutt’altro che univoci.
Alcune Co.Re.Di. hanno aderito alla tesi del doppio binario (63), escludendo, pertanto, la nullità della clausola e
l’applicabilità della relativa sanzione disciplinare. Altre, al contrario, si sono schierate in favore della nullità (64),
comminando di conseguenza la sanzione ex art. 28 L. n. 89/1913. Di più miti consigli sono apparse quelle Commissioni (65) secondo le quali, in presenza di una questione giuridica di particolare difficoltà, non possa essere
sanzionato un Notaio che condivida uno dei legittimi orientamenti in materia, stante «l’attuale oscillazione interpretativa”.
La più recente giurisprudenza di legittimità (66), infine, nell’aderire alla tesi dell’esclusività dell’arbitrato societario,
si è, altresì, pronunciata per la sussistenza della responsabilità disciplinare ex art. 28 L. n. 89/1913 a carico del
pubblico ufficiale coinvolto nella redazione di uno statuto che contenga le c.d. clausole binarie. La Suprema Corte ha ritenuto che il dies a quo per comminare la suddetta sanzione sarebbe il 1 settembre 2011, in quanto solo
da tale data può ritenersi pacifica l’interpretazione della norma comportante la nullità che la provocherebbe (67).
Note:
(59) Cfr. nt. 45,46, 47 e 48 § 3. E).
(60) Fusaro, Sui confini della responsabilità disciplinare notarile: a proposito della clausola compromissoria statutaria e delle nullità relative, Studio n. 248-2011/C dell’Ufficio Studi del Consiglio Nazionale del Notariato, in Studi e Materiali, 2011, 3, 735 ss.
(61) Di diverso avviso la giurisprudenza di legittimità, secondo la quale non rileva che la nullità investa l’intero atto o solo una parte di
esso ai fini dell’applicabilità della sanzione disciplinare per il Notaio che lo ha rogato, vedi Cass. 7 novembre 2005, n. 12493, in CED
Cass. 2005 e Cass. 14 dicembre 2002, n. 17952, in Giur. it., 2003, 2035, richiamata da Cass. 9 dicembre 2010, cit. (nt. 48), ove si legge: «l’eterointegrazione del contratto, di cui all’art 1419,c. 2, c.c. non esclude, ma anzi presuppone necessariamente che sia stata posta in essere una nullità assoluta. Ed è proprio l’esistenza di detta nullità, posta in essere dal notaio con la redazione della clausola nulla, che segna il momento consumativo dell’illecito, sul quale non possono spiegare efficacia sanante, o estintiva della punibilità, rimedi predisposti dal Legislatore per conservare ai fini privatistici l’atto”. Nel caso di specie, come già rilevato, non si ritiene neanche
ammissibile l’operatività dell’eterointegrazione.
(62) Si tratta delle Commissioni Regionali Disciplinari, istituite con D.Lgs. n. 249/2006 di modifica delle norme sul procedimento disciplinare notarile contenute nella L. n. 89/1913, dinnanzi alle quali si svolge un procedimento di natura amministrativa e la cui competenza è circoscritta agli illeciti disciplinari. Il sindacato delle Co.Re.Di. non si estende all’atto, ma comporta solo l’eventuale irrogazione della sanzione disciplinare.
(63) Co.Re.Di. Campania e Basilicata 23 gennaio 2009 e 30 gennaio 2009; Co.Re.Di. Trentino A.A., Friuli V.G. e Veneto 19 gennaio
2009 citate da Bove, op. cit. (nt. 33), 584 e Miranda, op. cit. (nt. 14), 300 e 301.
(64) Co.Re.Di. Calabria 22 ottobre 2008, relativa alla vicenda poi rimessa a Cass. 9 dicembre 2010, n. 24867, cit. (nt. 48), commentata da Fusaro, op. cit. (nt. 60); Co.Re.Di. Sicilia 21 ottobre 2008; Co.Re.Di. Lazio 16 ottobre 2008, che sottolinea come sia nulla anche
la clausola che preveda un “collegio arbitrale composto e nominato in base alle norme vigenti”, avvalorando la tesi secondo la quale
anche la mancanza di qualsiasi previsione in merito alla nomina del terzo estraneo conduca in ogni caso alla nullità; Co.Re.Di. Emilia
Romagna 1 luglio 2008; Co.Re.Di. Calabria 17 giugno 2008; Co.Re.Di. Emilia Romagna 11 dicembre 2007 citate da Bove, op. cit., 583
e Miranda, op. cit., 300.
(65) Co.Re.Di. Calabria 26 maggio 2010, che prende atto della decisione della Corte d’appello di Catanzaro avverso i reclami presentati dai Notai contro le proprie decisioni di condanna, con conseguente loro annullamento, proprio in virtù dei contrasti interpretativi
che non consentono di definire nulla la clausola e di conseguenza di comminare la sanzione dell’art. 28 L. n. 89/1913; Co.Re.Di. Liguria 14 gennaio 2010; Co.Re.Di. Trentino A.A., Friuli V.G. e Veneto 10 marzo 2008 e 19 gennaio 2000 citate da Bove, op. cit. (nt. 33),
583 e Miranda, op. cit. (nt. 14), 300.
(66) Da ultimo Cass. 10 ottobre 2012, n. 17287, in CED Cass. 2012; Cass. 13 ottobre 2011, n. 21202, cit. (nt. 48).
(67) Cass. 20 luglio 2011, n. 15982, in Giust. civ., 2011, 9, infatti, preso atto del contrasto anche giurisprudenziale sulla ricostruzione
della nullità de qua, aveva assolto il Notaio che aveva ricevuto atti societari contenenti clausole compromissorie difformi dal modello
legale, ed, utilizzando la tecnica del prospective overruling, aveva inteso «ai fini di nomofilachia ed al di là della rilevanza in funzione
della presente decisione, affermare il principio per cui eventuali violazioni della norma le quali potranno essere commesse successivamente al decorso di un termine ragionevole dalla pubblicazione della presente decisione, potranno viceversa dare luogo ad illecito
disciplinare ai sensi del citato l.not., art. 28, comma 1”.
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Non poche sono state, infatti, le critiche rivolte dalla dottrina notarile nei confronti di un precedente (68) che si pronunciava per l’irrogazione della sanzione disciplinare rispetto ad una norma di dubbia interpretazione, la cui lettura alternativa è stata sostenuta anche dalla giurisprudenza di merito (69) e la cui nullità non fosse, pertanto, inequivocabile (70).
Tornando, quindi, ai risvolti pratici che potrebbero riverberarsi sull’attività notarile in relazione alle clausole compromissorie societarie, è possibile delineare i seguenti casi, in cui il Notaio sia chiamato:
a) a rogare lo statuto di una società costituenda nel quale si voglia inserire una clausola compromissoria difforme
dal modello legale tratteggiato sin ora (perché, ad esempio, si demanda la nomina degli arbitri alle parti in causa);
b) a verbalizzare delibere assembleari rivolte all’introduzione di clausole compromissorie difformi dal modello legale;
c) a ricevere un atto modificativo dei patti sociali di società di persone volto ad inserire nello statuto una clausola
compromissoria difforme dal modello legale;
d) a verbalizzare una delibera introduttiva della clausola in mancanza del quorum rafforzato richiesto dall’art. 34,
comma 6, D.Lgs. n. 5/2003.
Occorre, tuttavia, operare una distinzione tra le diverse ipotesi prese in considerazione. Tenendo presente il quadro interpretativo tracciato ed, in particolar modo, la più recente espressione della giurisprudenza di legittimità, si
suggerisce l’adozione di un atteggiamento quanto mai prudente da parte del pubblico ufficiale.
Nel caso in cui il Notaio sia chiamato a rogare lo statuto di una costituenda società nella quale i soci fondatori intendano inserire una clausola compromissoria difforme dal modello legale, il pubblico ufficiale potrebbe legittimamente rifiutare il proprio ministero, senza violare l’obbligo di cui all’art. 27 L. n. 89/1913, onde evitare anche
solo di rischiare la sanzione dell’art. 28 L. n. 89/1913 (71).
Nel diverso caso in cui il Notaio sia richiesto di assistere all’assemblea nella quale si voglia introdurre la clausola
de qua, egli non potrebbe rifiutarsi di verbalizzare l’assemblea, ma dovrebbe rifiutare l’iscrizione della delibera non
conforme in sede di controllo omologatorio, ai sensi dell’art. 138 bis L. n. 89/1913 (72). In tal caso, infatti, stante
la previsione della nullità ex art. 34 D.Lgs. n. 5/2003, la relativa delibera sarebbe viziata per illiceità dell’oggetto, ai
sensi dell’art. 2379 c.c. Né sarebbe da ritenere ammissibile un’iscrizione parziale, dal momento che la nullità comminata dal citato art. 34 è relativa tanto alla previsione non conforme a quella prescritta, quanto alla mancanza di
qualsiasi previsione in ordine alla nomina degli arbitri (73).
Qualora la stessa modifica interessi una società di persone, ove le decisioni di emendamento dell’atto costitutivo
vengono assunte in forma di atto pubblico modificativo degli originari patti sociali, il controllo notarile si esplica direttamente in sede di redazione dell’atto, essendo in questo caso l’eventuale applicazione dell’art. 28 L. n.
89/1913 diretta e non mediata dal richiamo dell’art. 138 bis.
A riguardo non si può, tuttavia, fare a meno di condividere le preoccupazioni della dottrina notarile sui possibili effetti distorsivi che l’interpretazione giurisprudenziale volta ad estendere la portata dell’art. 28 L. n. 89/1913 anche
alle nullità parziali potrebbe comportare nel sistema. Si rischia, come dimostrato, “di rendere un pessimo servizio
agli utenti, trattenendo il Notaio dall’aderire alle richieste di atti dai contenuti meno consueti, con l’inevitabile isterilirsi della prassi, altrimenti feconda” (74). L’orientamento dei Giudici di legittimità comporta, infatti, un’eccessiva dilatazione dell’ambito applicativo dell’art. 28 in spregio al dettato dell’art. 27 L. n. 89/1913, dal quale si ricava
come il rifiuto di rogare sia concepibile solo avverso il ricevimento di atti interamente invalidi e non tali solo in singole parti.
Quanto, invece, al vizio attinente all’insussistenza dei quorum richiesti per l’introduzione o la soppressione della
clausola compromissoria, la questione relativa al contegno da tenersi da parte del Notaio verbalizzante è ancora
aperta (75). Sebbene in questo caso si paventa la meno rigida sanzione dell’annullabilità della delibera non assunta
in conformità della legge ex art. 2377 c.c., potrebbe essere comunque opportuno rifiutarne l’omologazione, onde
Note:
(68) Cass. 9 dicembre 2010, n. 24867, cit.(nt. 48), con nota critica di Fusaro, op. cit. (nt. 60), 735 ss.
(69) Vedi nt. 46 prec. §.
(70) L’avverbio “espressamente” contenuto nell’art. 28 n. L. 89/1913, va, infatti, interpretato come “inequivocamente”. In tal senso
la consolidata opinione della giurisprudenza di legittimità, cfr. Cass. 19 febbraio 1998, n. 1766, in Riv. not., 1998, 2, 705 ss.; Cass. 11
novembre 1997, in questa Rivista, 1998, 7. In dottrina vedi Zanelli, La nullità “inequivoca”, in Contr. Impr., 1998, 1260.
(71) Le Co.Re.Di. sopra riportate sono, infatti, tutte anteriori all’ultima pronuncia della Corte di Cassazione. Vero è che non sempre, in
passato, le Commissioni si sono attenute alla lettura della Cassazione, nonostante questa si fosse espressa per l’applicabilità della
sanzione. L’organo interno all’ordine professionale più di una volta ha sottolineato la propria esclusiva competenza in ordine alle sanzioni disciplinari, per l’applicazione delle quali decide in base alle proprie convinzioni, che possono anche prescindere dall’orientamento giurisprudenziale prevalente.
(72) Cfr. Ruotolo, op. cit. (nt. 14), 1339.
(73) In tal senso Della Pietra, op. cit. (nt. 14), 238.
(74) Così Fusaro, op. cit. (nt. 60), 739 e 740.
(75) Non prende posizione, infatti, in argomento Ruotolo, op. cit. (nt. 14), 1340.
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evitare la responsabilità civile risarcitoria (76). A meno che il Notaio non sia spinto all’iscrizione su invito proveniente dagli stessi soci o dall’Organo Amministrativo ed essendo in questo caso opportuno esplicitare l’invito
stesso nel verbale (77).
La modifica di clausole compromissorie già contenute negli statuti societari e conformi alla nuova disciplina, invece, richiede i normali quorum previsti per le delibere assembleari modificative dello statuto e non comporta particolari problemi, salvo che i soci non vogliano approvare una modifica che si distacchi dal modello legale. In questo caso varrebbe quanto già precisato sopra.
Potrebbe, infine, verificarsi che il Notaio sia chiamato a verbalizzare una qualsiasi altra delibera modificativa dello
statuto di una società, all’interno del quale sia contemplata una clausola compromissoria non conforme alla disciplina ex artt. 34 e ss. D.Lgs. n. 5/2003 e non soggetta a modifica. Verrebbe da chiedersi se il Notaio fosse tenuto
ad estendere il proprio controllo anche alla clausola rispetto alla quale non sia stato, tuttavia, direttamente richiesto di prestare la propria opera professionale, dal momento che gli artt. 2436 e 2480 c.c. impongono di depositare presso il Registro delle Imprese il testo integrale dello statuto sociale nella sua versione aggiornata dopo ogni
modifica.
Si ritiene di dover escludere che il controllo notarile debba estendersi oltre quanto esplicitamente richiesto dalle
parti, non potendo in questo caso il pubblico ufficiale essere investito di alcuna sanzione, in quanto non direttamente coinvolto né nella redazione, né nella verbalizzazione della clausola difforme.
4. La clausola arbitrale testamentaria
Altra ipotesi applicativa della convenzione arbitrale che interessa l’attività notarile potrebbe esplicarsi in sede di redazione di un testamento pubblico, qualora il testatore volesse inserire una clausola in virtù della quale si preveda che le eventuali controversie che dovessero sorgere circa la propria successione vengano risolte mediante il
procedimento arbitrale.
In merito occorre interrogarsi, in primo luogo, sull’ammissibilità di una tale previsione da parte del testatore e, una
volta risolta positivamente la questione, sul tipo di diposizione testamentaria idonea a contenerla, sul suo possibile contenuto e suoi limiti in cui incorrerebbe.
Il primo dei suddetti interrogativi attiene ai confini dell’autonomia testamentaria rispetto al principio di libera azionabilità delle pretese giudiziarie ex art. 24 Cost. (78).
La convenzione arbitrale comporta, infatti, una rinunzia alla giurisdizione ordinaria, che può venire solo dalle parti
interessate. Secondo la dottrina processual-civilistica (79), pertanto, il testore non potrebbe imporre ai propri eredi e legatari di controvertere in arbitri le liti relative all’interpretazione ed all’esecuzione del testamento, in quanto
il nostro ordinamento non ammette l’arbitramento forzato.
La clausola arbitrale testamentaria, non provenendo dalle parti in causa, si porrebbe in violazione del diritto costituzionalmente garantito all’azione. Di conseguenza, ove la disposizione arbitrale fosse esplicitata in una condizione, questa sarebbe illecita e sottoposta alla disciplina dell’art. 634 c.c., considerandosi come non apposta, se non
nulla ove si trattasse dell’unico motivo determinante alla base della disposizione cui accede.
È stato, peraltro, rilevato come il compromesso o la clausola compromissoria si caratterizzano per dar vita ad un
vincolo bi o plurilaterale, non potendo tale vincolo sorgere da un negozio unilaterale come il testamento (80).
Non si comprende, poi, oltre a non condividersi, la censura relativa alla potenziale violazione del principio di personalità della volontà testamentaria, mediante lesione degli artt. 631 e 632 c.c., che relegano l’intervento di un
terzo nelle disposizioni testamentarie ad ipotesi eccezionali e specifiche (81). In questo caso, infatti, il terzo non
interverrebbe in qualità di arbitratore, ma di arbitro, non agendo direttamente sul contenuto soggettivo o oggetti-
Note:
(76) Per gli atti invalidi, che non siano affetti da nullità, infatti, il Notaio è soggetto alla responsabilità contrattuale verso il cliente derivante dall’esercizio dell’opera professionale, ai sensi degli artt. 1176, comma 2 e 2236 c.c., che trovano un espresso referente nell’art. 76, comma 2, L. n. 89/1913. La stessa responsabilità può trovare applicazione, secondo il meccanismo dell’art. 138bis L. n.
89/1913, per l’iscrizione di deliberazioni annullabili.
(77) L’invito in questione potrebbe scongiurare il rischio dell’impugnazione e dell’azione finalizzata al risarcimento danni a carico del
Notaio da parte dei soci di maggioranza, i quali del resto sono interessati al buon esito dell’operazione, ma a nulla varrebbe rispetto ai
soci di minoranza, che sono i soggetti potenzialmente lesi dalla fattispecie in esame.
(78) Sul punto si veda Bonilini, Autonomia testamentaria e soluzione delle liti in vi contrattuale, in Contratti, 1999, 630 ss.
(79) Mattirolo, Trattato di diritto giudiziario italiano, Torino, 1933, I, 692; Mortara, Commentario del codice civile e delle leggi di procedura civile, Milano, s.d., III, 104, il quale sottolinea che «la rinuncia alla giurisdizione non può essere fatta validamente se non dal soggetto interessato a giovarsene”.
(80) Andrioli, op. cit. (nt. 11), 775 ritiene indispensabile «l’assoluta identità tra coloro che stipulano la clausola compromissoria e coloro tra i quali insorgeranno le controversie”. Nello stesso senso Redenti, op. cit. (nt. 11), 789.
(81) L’inadeguatezza della censura è stata, peraltro, rilevata da Cass. 6 giungo 1969, n. 1989, in Foro it., 1969, I, 2520 ss., che ha ritenuto valida la disposizione mediante la quale il testatore, dopo aver attribuito, a titolo di legato, un unico fondo a due soggetti, condizionava la disposizione alla soluzione mediante il procedimento arbitrale delle sole controversie che fossero insorte tra i due in relazione al frazionamento.
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vo delle disposizioni testamentarie, ma esplicando il proprio intervento a latere del testamento in una controversia sorta in ordine alla sua interpretazione o esecuzione.
Secondo la prevalente dottrina (82), invece, una disposizione testamentaria volta ad imporre ad eredi o legatari di
ricorrere al procedimento arbitrale in caso di insorgenza di liti relative al testamento non determinerebbe alcuna
lesione dell’art. 24 Cost. Del resto, con l’accettazione dell’eredità i chiamati alla successione accettano le disposizioni del de cuius così come contenute nella scheda testamentaria, con ogni peso e clausola relativa (83).
Si evidenziano, anzi, i risvolti positivi della giustizia privata rispetto a quella ordinaria, sussistendo un interesse giuridicamente rilevante alla pronta risoluzione delle liti testamentarie, che va riconosciuto e tutelato.
Il testatore non potrebbe, tuttavia, confezionare la clausola compromissoria in senso tecnico, ma la disposizione
dovrebbe essere strutturata in via indiretta ed obbligatoria, altrimenti si porrebbe in contrasto con gli artt. 806 e
ss. c.p.c., che impongono che il compromesso sia stipulato dalle parti coinvolte nella lite.
A) Natura giuridica della disposizione arbitrale testamentaria
La volontà del testatore può, dunque, essere fonte dell’obbligo delle parti di stipulare un accordo compromissorio.
Sulla base di tale considerazione una parte della dottrina (84) ha ritenuto di poter qualificare la clausola arbitrale testamentaria come legato di contratto di compromesso, essendo consentito al testatore di imporre ai propri eredi
o legatari, a mezzo di un legato atipico, la stipula di un contratto di cui egli stesso definisca il contenuto essenziale. Nonostante la disposizione così confezionata sarebbe assistita dalla tutela ex art. 2932 c.c., il filone dottrinale
in esame ipotizza, poi, di rafforzarne la previsione, accostando al legato una clausola di decadenza dalle disposizioni testamentarie a beneficio delle parti coinvolte.
La citata dottrina pare, tuttavia, non prendere in considerazione le più recenti elaborazioni circa la distinzione tra
legato ed onere, non più basata sulla qualificazione dell’uno come negozio autonomo e dell’altro come elemento
accessorio (85), né sull’attribuzione diretta o indiretta (86) effettuata dal de cuius a mezzo di ciascuna delle due disposizioni.
Secondo la dottrina più recente (87), che distingue il legato dal modus per la determinatezza del beneficiario, nella disposizione arbitrale imposta dal testatore non sarebbe individuabile un beneficiario che se ne avvantaggi a
fronte di un soggetto che la subisca. Volendo essere più espliciti, qualora sorgesse una controversia in ordine all’interpretazione o all’esecuzione di testamento tra due eredi o tra erede e legatario, quale delle parti in causa potrebbe in definitiva dirsi giovata dalla previsione de qua?! Come già rilevato, la disposizione arbitrale è semplicemente rivolta a soddisfare l’interesse del testatore, più che dei suoi successori, ad una più rapida e condivisa soluzione delle liti relative alla successione.
La suddetta ricostruzione induce, quindi, a definire la clausola arbitrale testamentaria come un modus (88), fonte
dell’obbligo posto a carico di eredi o legatari di stipulare un compromesso in caso d’insorgenza di controversie circa l’interpretazione o l’esecuzione del testamento. Per contro, quindi, il compromesso sarebbe un negozio solutorio dell’obbligo testamentario, come qualsiasi atto di adempimento della disposizione modale.
Il richiamo all’onere testamentario consente al de cuius di rafforzare la disposizione applicando la relativa disciplina in ordine alla previsione di risoluzione per inadempimento, ai sensi dell’art 648 c.c. Nulla vieta, tuttavia, al testatore di prevedere anche un meccanismo direttamente sanzionatorio, attraverso una di quelle disposizioni poene nomine (89) che è la penale testamentaria. Si ritiene (90), ormai, possibile per il testatore imporre la prestazione di una somma in danaro a titolo di penale per l’inadempimento di obbligazioni di fonte testamentaria, attraverso il ricorso anche in questo caso ad un legato atipico condizionato all’intervenuto inadempimento e volto a rafforzare disposizioni “deboli” per la mancanza di soggetti interessati alla loro puntuale esecuzione.
Non sembra, peraltro, potersi escludere che la disposizione arbitrale assuma la forma della condizione, purché si
Note:
(82) In tal senso Bonilini, La disposizione arbitrale, in Trattato di diritto delle successioni e donazioni, diretto da Bonilini, II, Giuffrè,
2009, 887 ss.; Festi, Testamento e devoluzione ad arbitri delle liti tra i successori, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2002, 809 ss.; Pardini, La
clausola arbitrale testamentaria, in Riv. not., 1998, 2, 111 ss.; Candian, La funzione sanzionatoria nel testamento, Milano, 1988, 183
ss.; Cogliolo, La clausola arbitrale nei testamenti. Il giudice familiare, in Scritti vari di diritto privato, II, Torino, 1917, II ed., 275 ss.
(83) Il rilievo è di Cogliolo, op. cit., 280.
(84) Pardini, op. cit. (nt. 82), 114.
(85) In tal senso Brunori, Appunti sulle disposizioni testamentarie modali e sul legato, in Riv. dir. civ., 1961, 1, 468 e Cicu, Testamento, Milano, 1951 206.
(86) Secondo quanto sostenuto dalla giurisprudenza, tra cui: Cass. 30 luglio 1999, n. 8284, in Giur. it., 2000, 1175; Cass. 28 novembre 1984, n. 6194, in Mass. Giur. it., 1984; Cass. 26 gennaio 1981, n. 576, in Riv. Leg. Fiscale, 1981, 1154.
(87) Cfr. Bonilini, op. cit. (nt. 82), 899 e 902.
(88) Così Bonilini, op. cit. (nt. 82), 903; Cogliolo, op. cit. (nt. 82), 282.
(89) Cfr. Andreoli, Le disposizioni testamentarie titolo di pena, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1949, 331 ss.; Longo, Delle disposizioni testamentarie sotto forma di pena, in Studi giuridici in onore di C. Fadda, VI, Napoli, 1906, 157 ss.
(90) Bonilini, op. cit. (nt. 78), 157 ss. Contra Marini, La clausola penale, Napoli, 1984, 92 ss.
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tratti di condizione risolutiva del lascito al quale accede (91). Una condizione sospensiva, infatti, sarebbe contraria
al principio di economia processuale, inducendo le parti alla lite pur di controverterla in arbitri al fine di rendere efficace la disposizione o le disposizioni cui la condizione fosse apposta.
La condizione risolutiva, invece, funzionerebbe da disposizione sanzionatoria essa stessa, determinando la decadenza dal lascito nel caso in cui fosse disattesa. Del resto, se è consentito al de cuius condizionare risolutivamente le disposizioni testamentarie alla mancata impugnazione del testamento ai sensi dell’art 638 c.c., non può
non ritenersi ammissibile un minus rispetto alla c.d. clausola di decadenza (92), da rinvenirsi, appunto, nel condizione risolutiva della soluzione arbitrale delle controversie che dovessero intervenire tra i suoi successori.
Nel caso in cui, sorta la lite in ordine alla successione, l’erede ignori l’invito di altra parte più disponibile alla stipula del compromesso, sarebbe possibile ricorrere alla nomina giudiziale dell’arbitro, ai sensi dell’art. 810 2° comma
c.p.c. (93) Nella diversa ipotesi in cui tutti i successori siano negligenti, in mancanza delle citate disposizioni poene nomine, non potrebbe escludersi la legittimazione dell’esecutore testamentario (94), in base a quanto in seguito rilevato.
B) Contenuto
Relativamente al potenziale contenuto della clausola arbitrale testamentaria, si osserva, innanzitutto, che la disposizione potrebbe essere relativa tanto alle potenziali controversie che dovessero insorgere tra i successori in
ordine all’interpretazione o esecuzione del testamento, quanto a controversie già sorte in capo al testatore, ma
non ancora provvedute (95).
Si pone, poi, la questione circa la possibilità del de cuius di scegliere gli arbitri.
Parte della dottrina ha sostenuto la tesi positiva, qualificando la scelta del testatore in termini di mandatum post
mortem exequendum (96). Si tratterebbe, infatti, di un mandato relativo ad attività materiale e non giuridica, che
conserverebbe operatività dopo la morte del mandante in quanto conferito anche nell’interesse di terzi, ai sensi
dell’art. 1723, comma 2, c.c.
Altri ritengono (97), invece, che la scelta dell’arbitro integrerebbe la nomina di un esecutore testamentario ad acta. Tale soluzione, tuttavia, non appaga, prima ancora che per il contrasto con la disciplina processual-civilistica
del compromesso, per quello con la normativa successoria in tema di esecutore testamentario. Tra le funzioni
dell’esecutore testamentario, attinenti alla cura dell’esatta esecuzione delle diposizioni testamentarie, non rientra la risoluzione delle controversie tra i successori. L’esecutore testamentario, a ben vedere, sarebbe parte interessata all’eventuale lite, avendo la legittimazione ad agire per la corretta esecuzione delle disposizioni testamentarie ed essendo necessario il suo intervento nelle liti promosse contro l’erede durante il periodo della sua
gestione.
Prevale in dottrina (98) la tesi che nega al de cuius la possibilità di scegliere gli arbitri. I giudici privati devono essere nominati direttamente dalle parti, come stabilito ex art. 810 c.p.c., trattandosi di un incarico intuitus personae.
Si ritiene, peraltro, concessa al testatore la scelta tra le due diverse forme di arbitrato, potendo egli imporre ai suoi
eredi o legatari tanto la stipula di un compromesso per arbitrato rituale, quanto per quello irrituale (99).
C) Limiti
Occorre, infine, soffermarsi sui limiti che la disposizione arbitrale incontra nel testamento.
Un primo limite si rinviene nel criterio generale della disponibilità dei diritti controvertibili, più volte richiamato nel
corso della trattazione, che trova il proprio referente normativo in tema di arbitrato nell’art. 806 c.p.c.
Note:
(91) Bonilini, op. cit. (nt. 82), 901; Barbero, Sistema istituzionale del diritto privato italiano, II, Torino, 1965, 187 ss.
(92) Si rende appena opportuno ricordare che la c.d. clausola di decadenza è quella disposizione condizionale mediante la quale il de
cuius impone agli eredi o legatari di non fare o dare qualcosa per un tempo indeterminato, che, ai fini dell’operatività della disposizione stessa, viene interpretata, ai sensi dell’art. 638 c.c., come condizione risolutiva del lascito. Una delle ipotesi applicative più rilevanti
della clausola di decadenza è quella mediante la quale il testatore imponga ai propri eredi di non impugnare il testamento o singole disposizioni ivi contenute. Per una più attenta disamina dell’argomento si veda Ferrucci-Ferrentino, Successioni e donazioni, I, III ed.,
Giuffrè, 2009, 886 e 887.
(93) Bonilini, op. cit. (nt. 82), 898; Cogliolo, op. cit. (nt. 82), 280.
(94) Bonilini, op. cit., 898.
(95) Mortara, op. cit. (nt. 79), 104.
(96) Candian, op. cit. (nt. 82), 187.
(97) Festi, op. cit. (nt. 82), 823, secondo il quale il testatore è legittimato a scegliere personalmente l’arbitro, in quanto uno dei motivi essenziali che potrebbero indurlo a confezionare la clausola arbitrale testamentaria risiede proprio nella fiducia che egli avrebbe nei
confronti del soggetto prescelto per la risoluzione delle potenziali controversie relative alla propria successione.
(98) Bonilini, op. cit. (nt. 82), 900; Pardini, op. cit. (nt. 82), 117.
(99) In tal senso Bonilini, op. cit. (nt. 82), 899. Contra Candian, op. cit. (nt. 82), 184, il quale non ammette la scelta in ordine all’arbitrato rituale per il carattere tipicamente pubblicistico e, dunque, indisponibile degli adempimenti necessari.
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Un ulteriore limite è desumibile dai confini tracciati dalla dottrina e dalla giurisprudenza prevalenti (100) in tema di
clausole di decadenza, ove si ammette il riferimento della condizione unicamente alle azioni concernenti interessi privatistici e non a quelle di carattere pubblicistico e poste a tutela di interessi generali.
È, dunque, possibile percepire come incomba anche in questo caso sull’autonomia testamentaria il limite generale dell’art. 549 c.c. Come noto, la citata norma va interpretata in senso ampio, non consentendo al testatore non
solo di definire pesi o condizioni direttamente incidenti sulla legittima, ma più in generale tutte le disposizioni che
limitino vel in tempore vel in quantitate la legittima stessa. Non è, quindi, consentito al testatore imporre ai legittimari il procedimento arbitrale per la soluzione delle questioni relative alla tutela dei loro diritti di riserva e, qualora apposta, la relativa clausola cadrebbe sotto la scure dell’art. 549 c.c., restando priva di effetti (101).
5. Tecniche redazionali
Si propongono, infine, alcuni possibili sviluppi di tipo redazionale in relazione alle clausole arbitrali che più potrebbero interessare l’attività notarile.
A) Clausola compromissoria
Le parti convengono che ogni controversia che dovesse tra loro insorgere in relazione al presente contratto e precisamente in ordine alla sua validità, interpretazione ed esecuzione sarà decisa da un collegio composto da tre arbitri.
La nomina degli arbitri dovrà avvenire entro e non oltre il termine di… dal momento in cui la lite sia sorta, nelle seguenti modalità:
– due arbitri saranno nominati da ciascuna delle parti;
– il terzo, cui saranno deferite funzioni di Presidente del Collegio Arbitrale, sarà nominato di comune accordo tra i
primi due arbitri ed in mancanza di tale accordo dalla Camera Arbitrale di …, secondo il Regolamento Arbitrale Nazionale che le parti espressamente dichiarano di ben conoscere ed accettare.
Gli arbitri decideranno in via rituale (ovvero irrituale), secondo diritto (ovvero equità), applicando il sopracitato Regolamento Arbitrale, entro e non oltre il termine di … dall’avvenuta nomina ed il lodo sarà impugnabile ai sensi di
legge.
La sede dell’arbitrato è fissata in … alla via … n…
Le spese dell’arbitrato saranno sopportate dalla parte soccombente, salvo diversa motivata decisione degli arbitri.
B) Clausola arbitrale societaria
Tutte le controversie che dovessero sorgere tra i soci o tra questi e la società, relative al rapporto sociale ed aventi ad oggetto diritti disponibili, nonché quelle riguardanti la validità delle delibere assembleari saranno devolute ad
un Collegio Arbitrale composto da tre arbitri, da nominarsi da …(indicazione di un terzo estraneo) entro e non oltre il termine di … dalla richiesta della parte più diligente, da farsi pervenire al suddetto … (terzo estraneo) a mezzo di … .
Nel caso in cui detto soggetto non vi provveda entro il termine sopra indicato, la nomina sarà richiesta dalla parte
più diligente al Presidente del Tribunale del luogo in cui ha sede la società.
Gli arbitri dovranno decidere entro il termine di … dalla nomina, in via rituale e secondo diritto. Il lodo sarà impugnabile nei casi e modi previsti dalla legge.
Le spese dell’arbitrato saranno a carico della parte soccombente, salva motivata e diversa decisione degli arbitri.
S’intendono, in ogni caso, escluse dalla competenza arbitrale le controversie per le quali la legge preveda l’intervento obbligatorio del Pubblico Ministero.
Per tutto quanto qui non previsto si rinvia agli artt. 34 e ss. D.Lgs. n. 5/2003.
Previsione eventuale:
Nello stesso modo e entro i medesimi limiti saranno decise le controversie promosse da amministratori, liquidatori e sindaci ovvero che sorgano nei loro confronti. Per i suddetti organi sociali e per i loro membri la presente
clausola sarà vincolante in seguito all’accettazione dell’incarico.
C) Clausola arbitrale testamentaria
1. Istituzione di erede con disposizione arbitrale in forma di onere
Istituisco eredi, in quote uguali tra loro dell’intero mio patrimonio, Tizio … (generalità) e Caio … (generalità).
Impongo ai mie eredi l’onere di controvertere in arbitri le liti che tra di loro dovessero sorgere in ordine alla mia
Note:
(100) In dottrina: Azzariti, Le successioni e le donazioni, Napoli, 1990, 265 ss.; Caramazza, Delle successioni testamentarie, sub artt.
601-648 c.c., in Commentario teorico pratico al codice civile, diretto da De Martino, Novara, 1982, 354 ss.; Gangi, La successione testamentaria nel vigente diritto italiano, I, Milano, 1964, 177 ss. In giurisprudenza: Cass. 10 marzo 1961, n. 543, in Mass. Giur. it., 1961;
Cass. 11 dicembre 1972, n. 3564, in Mass. Giur. it., 1972.
(101) Cfr. Bonilini, op. cit. (nt. 82), 895; Pardini, op. cit. (nt. 82), 118, il quale esclude la possibilità di annoverare tra le controversie interessate dalla clausola arbitrale testamentaria quelle relative all’assegno vitalizio in favore del coniuge separato con addebito.
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successione, purché aventi ad oggetto diritti disponibili, stipulando tra loro una convenzione arbitrale, ai sensi degli artt.806 e ss. c.p.c., per dar luogo ad arbitrato rituale (o irrituale).
Dispongo, inoltre, che in caso d’inadempimento del suddetto onere qualsiasi soggetto interessato possa agire
per la risoluzione delle disposizioni testamentarie a beneficio dei suddetti eredi (e legatari), ai sensi dell’art. 648
c.c.
Per l’eventualità che tra gli eredi vi siano dei legittimari, istituti nella legittima e nella disponibile:
Tale disposizione è da intendersi sottoposta al limite dell’art. 549 c.c. (102).
2. Istituzione di erede con disposizione arbitrale in forma di condizione risolutiva
Istituisco eredi, in quote uguali tra loro dell’intero mio patrimonio, Tizio … (generalità) e Caio … (generalità).
L’istituzione di Tizio e Caio è da intendersi sottoposta alla condizione risolutiva che i suddetti eredi non controvertano in arbitri le liti che tra di loro dovessero sorgere in ordine alla mia successione, aventi ad oggetto diritti disponibili, stipulando tra loro una convezione arbitrale, ai sensi degli artt. 806 e ss. c.c., per dar luogo ad arbitrato
rituale (o irrituale).
3. Legato con disposizione arbitrale in forma di onere e penale testamentaria
Lego in favore di Mevio … (generalità) e Sempronio … (generalità) la proprietà comune ed indivisa, in quote uguali tra loro e precisamente di un mezzo ciascuno, del mio fondo Tusculano sito in … avente accesso dalla via …
n….
Impongo ai suddetti legatari l’onere di risolvere le eventuali controversie che tra loro dovessero sorgere in ordine
al suddetto legato ed, in particolare, quelle relative al frazionamento del fondo Tusculano, mediante ricorso al procedimento arbitrale, stipulando tra loro un compromesso per arbitrato rituale (o irrituale), ai sensi degli artt. 806 e
ss. c.p.c.
Lego, altresì, a carico di colui che tra i suddetti legatari dovesse disattendere il suddetto onere ed in favore di colui che tra loro si fosse, invece, dichiarato disponibile all’adempimento la somma di euro …, a titolo di penale per
l’inadempimento dell’onere.
Nota:
(102) Sebbene sia considerata da molti una mera clausola di stile, essendo la conseguenza automatica. Per il diverso caso in cui i legittimari siano stati istituiti nella sola legittima, si consiglia di escluderli esplicitamente dalla disposizione, altrimenti incorrendosi nella sanzione ex art. 549 c.c.
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