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AMBIENTE E SVILUPPO: UN COMPROMESSO POSSIBILE
Anno 4 Numero 18 Gennaio-Febbraio 2008 Periodico bimestrale gratuito - Tiratura 1.000 copie - Autorizzazione Tribunale di Udine n. 15 del 15 marzo 2005 Segreteria telefonica e fax 0431 35233 e-mail [email protected] Direttore Responsabile Andrea Doncovio Redattori Manuela Fraioli, Simone Bearzot, Norman Rusin, Giuseppe Ancona, Lorenzo Maricchio, don Moris Tonso, don Silvano Cocolin, Sandro Campisi, Alberto Titotto, Silvia Lunardo, Vanni Veronesi, Andrea Folla, Sofia Balducci, Christian Franetovich, Giovanni Stocco, Marco Simeon, Alessandro Morlacco Progetto grafico, impianti e stampa: Graphic 2 - Cervignano Centro Giovanile di Cultura e Ricreazione “Ricreatorio San Michele” via Mercato, 1 33052 Cervignano del Friuli (UD) www.ricreatoriosanmichele.org I DUE VOLTI DEL PROGRESSO Intervista al sindaco - p. 3 AMBIENTE E SVILUPPO: UN COMPROMESSO POSSIBILE Cesare Paron - p. 4 Paolo Tonello - p. 4 Bruno Morbin - p. 8 Carnevale - p. 9 Ambientalismo: la giungla delle vanità Il surriscaldamento del clima d’interesse attorno ai temi ambientali ha aumentato la marea d’informazioni a nostra disposizione sui singoli problemi. E come ogni mareggiata che si rispetti, anche questa ha portato più danni che benefici. Così come i cercatori d’oro della foresta amazzonica, noi cittadini dobbiamo impegnarci a fondo per distinguere quelle piccole pagliuzze di buona informazione, nascosta sotto la poltiglia di retorica al servizio delle diverse correnti politiche ed economiche. Un esempio? Quello riportato dalla sociologa tedesca Elisabeth Noelle-Neumann nel suo prestigioso studio sui meccanismi dell’opinione pubblica. Quando l’azienda petrolifera Shell, nel 1995, voleva affondare nell’Atlantico del nord la piattaforma petrolifera Brent Spar, ormai in disuso, in tutto il mondo divampò la protesta. «L’organizzazione per la difesa dell’ambiente Greenpeace, uno dei portavoce che indicava la direzione all’opinione pubblica, sosteneva che nella piattaforma si trovassero ancora 5.500 tonnellate di petrolio», denunciando tale «politica ambientale folle». Massicce furono le pressioni fatte alla Shell da parte di politici tedeschi e della Lega per la protezione dell’ambiente; si esortò persino il boicottaggio dei distributori della multinazionale. «Le minacce sociali s’intensificarono fino all’uso della violenza»: ci furono minacce di bombe, un benzinaio ricevette una lettera esplosiva e un distributore fu distrutto da alcune bombe incendiarie. Alla fine il gruppo fu costretto a tirare in secco la piattaforma e a smontarla a terra. Poche settimane dopo un’inchiesta rivelò che lo smaltimento a terra dei rifiuti della piattaforma petrolifera comportava rischi ambientali superiori del suo affondamento, e si appurò che ... continua a pag. 2 Viaggio a Cervignano - p. 10 VEDI I DETTAGLI A PAGINA 6 Ivan Bidoli - p. 12 IL PUNTO SU... AMBIENTE, AMBIENTALISTI E ANTI-AMBIENTALISTI I grandi quesiti L’uomo è il responsabile dei cambiamenti climatici in atto? Soprattutto, esistono davvero tali cambiamenti oppure sono un’invenzione? Che fine ha fatto il buco nell’ozono? C’è l’effetto serra? L’energia solare e quella eolica sono alternative possibili? Sì o no a un ritorno al nucleare? Queste e altre le domande più importanti del nostro secolo: l’ambiente è ormai la questione delle questioni. Un articolo impostato come “punto su” dovrebbe presentare una serie di dati da cui partire per un’analisi dei problemi ad essi correlati, così come Alta Quota ha sempre fatto nei numeri precedenti; questo, però, è un caso particolare. Sì, perché è semplicemente impossibile fare il quadro della situazione, dal momento che il mondo della scienza è nettamente diviso in due. Da una parte, i convinti assertori dell’effetto serra e del disastro climatico in atto, numerosi e agguerriti; dall’altra i cosiddetti “negazionisti”, oggi in continuo aumento dopo essere usciti allo scoperto dalla censura che ancora negli anni ‘90 gravava su di loro. Schieramenti opposti, dati contrastanti: l’equazione è ovvia. Cerchiamo comunque di porre alcune coordinate. Gli “ambientalisti”: chi sono e cosa dicono Chiameremo “ambientalisti” - operazione arbitraria ma necessaria, mancando un termine appropriato - tutti coloro che credono nella minaccia climatica e ambientale incombente sul nostro pianeta. La principale autorità scientifica in tema di riscaldamento globale è il Comitato Intergovernativo sul Cambiamento climatico (IPCC), creato nel 1988 dalle Nazioni Unite come organo parallelo ai già esistenti WMO (Organizzazione Meteorologica mondiale) e UNEP (Programma Ambientale delle Nazioni Unite). A cadenza quinquennale, il Comitato presenta un rapporto completo sulla situazione della Terra: l’ultimo è del 2007 ed è scaricabile, in inglese, dal sito dell’organizzazione. Per sommi capi, i punti da ricordare sono i seguenti: • il pianeta è in preda a mutamenti climatici gravi causati, per il 90%, dall’uomo • la temperatura del pianeta si alzerà di 2-2,5 gradi centigradi in un secolo • entro il 2050 si estinguerà il 20-30% delle specie vegetali e animali del pianeta • entro la fine del secolo il livello del mare salirà da 18 a 60 centimetri a causa dello scioglimento dei ghiacciai • nelle zone umide le precipitazioni aumenteranno del 10-40% e saranno sempre più violente; nelle zone secche le precipitazioni diminuiranno del 10-30%, provocando gravi siccità • nel 2020, in Africa, si stimano sui 75-250 milioni le persone che subiranno le conseguenze della siccità • l’evolversi della situazione dipenderà dalle politiche adottate dagli stati Scenari apocalittici, come quelli appena descritti, invitano chiunque a riflettere: cosa possiamo fare? Siamo ancora in tempo? Domande, però, che agli occhi degli scettici appaiono assurde. I “negazionisti”: chi sono e cosa dicono Anche questa volta in modo assolutamente arbitrario, chiameremo “negazionisti” coloro che non credono alle tesi degli “ambientalisti”. Esponente di spicco di questo schieramento è Franco Battaglia, docente di Chimica Fisica presso l’Università di Roma III e collaboratore de Il Giornale; per gustare la sua prosa vi rinvio al sito www.galileo2001.it dell’omonima associazione, nata nel 2001 per stornare la minaccia di un inutile spreco di denaro pubblico - decine di miliardi di lire - nella creazione di commissioni sul presunto inquinamento elettromagnetico, del tutto inesistente. Fra i soci fondatori, altri personaggi di rilievo, come Umberto Veronesi, oncologo di fama mondiale ed ex ministro della Sanità, e Umberto Tirelli, direttore del prestigioso istituto per la cura dei tumori di Aviano. Battaglia, comunque, non si è fermato qui; assuntosi l’onere di controbattere punto per punto alle affermazioni degli ecologisti, ha fatto, in questi anni, affermazioni forti: • l’uomo non ha alcun impatto sull’ambiente: i fattori che influenzano il clima sono l’attività solare, nonché gli effetti del vapore acqueo e delle nuvole • che il clima cambi è nella natura stessa della Terra e a testimoniarcelo sono, tanto per fare due esempi, quattro grandi glaciazioni e un Sahara che si estende laddove, ancora nel 5500 a.C., si apriva un’immensa savana • i movimenti ambientalisti sono delle consorterie che speculano sul nulla per ottenere finanziamenti dagli stati, mentre l’IPCC è un organo creato dai palazzi della politica, ha pochi reali scienziati al suo interno e dice ciò che i politici vogliono sentirsi dire • a smentire l’idea che i mutamenti climatici debbano per forza avvenire in tempi geologicamente lunghi c’è, fra le tante, una scoperta del 1993, quando gli scienziati, grazie a una serie di carotaggi, si accorsero che la Groenlandia aveva subito aumenti anche di 7 gradi nell’arco di soli 50 anni, spesso con drastiche oscillazioni anche di soli 5 anni (e questo ben prima delle moderne emissioni di CO2) • l’energia solare è pura utopia: costa troppo e non è produttiva; il nucleare rimane l’unica via perseguibile, la più sicura, la più economica, la più pulita. Battaglia argomenta le sue tesi - del resto sempre più diffuse nel mondo scientifico e di cui egli è solo uno dei portavoce - con una messe di dati che appaiono inconfutabili. A chi credere, dunque? Eccessi e follie dell’informazione mediatica Dicembre 2007. Jay Zwally, climatologo della NASA, annuncia che i ghiacci del Polo Nord si scioglieranno completamente entro l’estate del 2012. Cioè fra quattro anni! Ma non era il 2050? No, anzi, il 2070... Vi consiglio di fare un esperimento. Andate su Google e scrivete “scioglimento dei ghiacci”, affiancando ogni volta un anno diverso: vedrete che vi compariranno sempre nuovi indirizzi internet abbinati alla ricerca! Ora, la cosa è evidente: in questo tipo d’informazioni, la verità latita. Bisognerebbe poi riflettere sui dati presentati dall’IPCC, perché, a mio modo di vedere, il solo fatto di oscillare fra un 10 e un 40% dimostra poca scientificità. E Al Gore, con il suo film Una scomoda verità? Niente di personale contro l’ex vicepresidente dell’era Clinton, tra l’altro - cosa risibile - novello premio Nobel per la pace, ma personalmente ripongo più fiducia nell’Alta Corte di Londra che, il giorno prima della consegna del Nobel, dopo aver «esaminato il documentario e confrontatolo con un’ampia rassegna di studi in materia di ambiente, [...] ha concluso che “la visione apocalittica” presentata dal film è “politicamente di parte” e non un’analisi imparziale della questione del cambiamento climatico. Un’opera […] che contiene una serie di errori fattuali minori, ma pur sempre di rilievo. Il giudice ne ha citati nove, inclusa la previsione che lo scioglimento dei ghiacci farà alzare il livello dei mari di sette metri nel prossimo futuro, mentre “un simile scenario da Armageddon potrebbe realizzarsi solo nel corso di un millennio”; la tesi secondo cui gli orsi polari stanno affogando nel tentativo di cercare un nuovo habitat a causa del surriscaldamento del Polo, e le affermazioni che l’esaurimento della corrente del Golfo, la perdita delle nevi del Kilimangiaro, il prosciugamento del lago Ciad, sono da imputare direttamente all’emissione di gas nocivi. Il messaggio centrale è esatto, sentenzia il giudice, ma gli errori impongono che il film, per essere mostrato nelle scuole, debba essere accompagnato da informazioni più equilibrate» (www.conteadiaversa.it). Curioso: questa notizia è passata quasi del tutto sotto silenzio. Così come il fatto che Gore sia stato attaccato e sbertucciato da un gruppo di climatologi esperti sul Wall Street Journal. Ma tant’è. A variegare ulteriormente lo scenario ci sono le previsioni del tempo, che da qualche anno si sono decuplicate, comparendo addirittura tra il primo e il secondo tempo di un film! Da Giuliacci a Caroselli, passando per Eleonora Pedron, è tutto un fiorire di meteorologi e “meteorine” dalle espressioni ardite, come la «morsa del freddo» o la «colonnina di mercurio», ma soprattutto, invenzione recente, la temperatura «percepita», che Dio solo sa come misurare in rapporto a quella reale. E i telegiornali? «In arrivo un’ondata di freddo polare». Dove per “polare” lorsignori intendono 1 grado sotto zero! «Caldo equatoriale a Roma». E poi scopri che è luglio inoltrato e che, ma guarda un po’, a Roma ci sono 36 gradi. «Rischio siccità, possibili danni per miliardi». Appena, però, piove un po’ più del normale, allora subito si passa al piagnisteo: quando tornerà il sole, colonnello Foglia? La verità è che noi uomini pretendiamo di dominare un fenomeno che per sua stessa natura e portata ci sfugge: abbiamo la presunzione di attribuire valore dogmatico alle previsioni del tempo quando invece sono, appunto, solo “previsioni”. Un’analisi razionale Naturalmente, non nego che un problema ambientale esista. È fuor di dubbio che l’Amazzonia sia uno dei polmoni verdi della Terra da preservare. È innegabile che il petrolio sia destinato, prima o poi, a finire. È evidente che occorre ridurre le emissioni di anidride carbonica. Proprio per questo insisto sulla piaga della disinformazione, che svia dai veri temi da affrontare: la salvaguardia dell’ambiente è troppo importante per essere affidata ad incompetenti capaci solo di diffondere allarmismo. Nessuno ha mai dimostrato la relazione fra attività umane e mutamenti climatici globali (anche se questo non significa che non esista: la discussione è appena agli inizi), ma soprattutto è falsa la tesi secondo cui i cambiamenti climatici non possano avvenire, secondo natura, in tempi brevi. Sono altri i veri problemi, e tutti a livello locale. In Italia, uno in particolar modo: le nostre grandi città scoppiano per il traffico e l’inquinamento, che in luoghi come Torino, Roma e Milano superano tutti i parametri previsti dalla legge. Bisogna avere allora il coraggio di prendere decisioni scomode. Se le nostre città hanno la fortuna di essere così antiche, significa che la loro struttura non è stata pensata per le automobili, quindi non c’è altra soluzione che chiudere completamente al traffico tutti i centri storici, di qualunque entità e dimensione, attraverso una vera e propria riappropriazione, da parte dei cittadini, dei loro spazi urbani. Il nostro paese, però, si dimostra negligente anche nel versante opposto: l’incapacità di soddisfare a pieno il fabbisogno energetico nazionale e la penuria di infrastrutture come autostrade e ferrovie, nonché il dissesto di quelle già esistenti, fanno dell’Italia un paese di second’ordine nel panorama economico mondiale. Uno stato non può essere messo in scacco da persone che agitano lo spettro dell’ambiente per porre il veto su qualsiasi cosa: inceneritori, autostrade, ferrovie, ponti, centrali elettriche, dighe. Rendiamoci conto che il nostro è un paese in cui, il 19 dicembre 2005, una parlamentare veneziana è riuscita ad ottenere dall’Unione Europea una lettera di mora contro l’Italia per le «perturbazioni dannose agli uccelli» che causerebbero le paratie mobili del MOSE (per altro ancora inesistenti). Capito il ragionamento? Venezia e i suoi tesori possono essere rovinati dalle acque, se non distrutti come nell’alluvione del ‘66, mentre, che so, le folaghe non possono essere disturbate, anche se le paratie mobili si alzerebbero solo con un livello d’acqua superiore a 110 cm e solo per poche ore. No comment. La realtà locale Anche questa volta, concludiamo con uno sguardo alla nostra realtà. Il cementificio e la vetreria, da una parte, e la linea ferroviaria ad alta velocità (TAV), dall’altra, sono stati – e sono tuttora – i temi caldi della politica locale. Comitati, dibattiti, polemiche infinite, ritrattazioni, compromessi: abbiamo visto e letto di tutto sui giornali. Il problema è: qualcuno di voi ci ha capito qualcosa? Soprattutto: chi ha ragione? Qual è l’impatto ambientale di queste tre opere? Non esistono ancora delle certezze: cosa preoccupante, perché, al di là degli schieramenti, un accordo dovrebbe essere preso partendo dai dati di fatto. Il resto sono solo chiacchiere. VANNI VERONESI continua da pag. 1 ... non vi erano grandi quantità di olio esausto. Questo episodio ci serve a chiarire la situazione in cui ci troviamo noi oggi, stretti tra la necessità di svilupparci per sopravvivere e quella di tutelare il nostro già torturato territorio: spesso la difesa dell’ambiente è un pretesto per ottenere posizioni di potere e prestigio; chi ne fa le spese alla fine siamo noi. Spesso tendiamo a percepire come opinione di maggioranza quella più urlata, più plateale; per poi doverci ricredere. Ditemi cinico, ma non credo né agli ambientalisti né ai loro oppositori. Perché entrambi sono partecipi dello stesso spettacolo. Malati di protagonismo, entrambi utilizzano le stesse armi. Entrambi contribuiscono ad avvelenare l’acqua del pozzo. In ogni dibattito morale, sociale o politico ci sono sempre due modi diametralmente opposti di considerare lo stesso problema. E per sostenere le proprie posizioni le persone chiamano in causa tradizioni, principi e diritti, omettendo certi fatti ed evidenziandone altri. L’unica ricetta per questo è: cercare di affinare la nostra competenza morale per dirimere le questioni, tenendo ben presente che la conoscenza è la chiave del successo. Evitiamo però di diventare “scansafaticattivisti”, un neologismo ideato da James Harkin per indicare quelli che sono convinti di poter cambiare il mondo senza muoversi dalla poltrona, in un’emorragia di petizioni per boicottare qualunque tipo di campagna non etica. Ognuno di noi può agire sui propri comportamenti quotidiani: lo sapevate che sostituendo 70 lampadine a incandescenza con quelle fluorescenti si evita l’emissione di una tonnellata di anidride carbonica? Date un’occhiata all’iniziativa di Repubblica: http://www.repubblica.it/2007/11/speciale/altri/2007ambiente/ introduzione-gioco/introduzione-gioco.html. NORMAN RUSIN Per ulteriori informazioni e dati visita il sito www.altaquotaonline.org SVILUPPO vs ECOLOGIA? INTERVISTA AL SINDACO PIETRO PAVIOTTI -Ambiente e sviluppo: oggigiorno esiste un conflitto tra questi due concetti? «Si, un conflitto indubbiamente esiste, e lo vediamo tutti i giorni. Ogni volta che si parla di nuovi investimenti, che si tratti di una ferrovia o di un’area produttiva, c’è una parte della società che dimostra la propria contrarietà. Personalmente ho sempre creduto che ai problemi vada trovata una soluzione, uscendo dalle paure e dai dubbi dettati dall’emotività e passando ad un approccio tecnico e scientifico. Credo sia un modo di pensare ragionevole e che possa andare incontro alle necessità del mondo moderno». -Si parla spesso di sviluppo sostenibile. Questo concetto è applicabile alla realtà? «La tecnologia e gli sviluppi della scienza ci vengono incontro, da questo punto di vista. Resta il fatto che una comunità deve avere anche delle attività produttive, industriali e manifatturiere. Esiste a mio avviso un’etica della produzione che, ad esempio, mi porta a non guardare con favore alla delocalizzazione e al trasferimento delle fasi di produzione in paesi in via di sviluppo. Le ragioni sono note: la manodopera costa meno e i controlli ambientali sono meno stringenti. Rischiamo però di svuotare il nostro territorio di possibilità occupazionali, quando potremmo invece produrre i beni in maniera accettabile grazie alla tecnologia». -L’ambientalismo corre il rischio di degenerare in “fondamentalismo ambientalista”? «Noto spesso un atteggiamento troppo estremo da parte di alcuni rappresentanti del mondo ambientalista. Trovo tuttavia che si tratti di un atteggiamento spesso strumentale da parte di membri della società con desiderio di protagonismo e che ricercano spazi di visibilità. Nel tempo molti temi sono stati oggetto di strumentalizzazione, dalle antenne per i telefoni fino ai depuratori, alla TAV e ai rifiuti. Accanto a un mondo ambientalista corretto ve n’è uno che usa strumentalmente questi argomenti». -In tutto questo, quali sono il ruolo e la responsabilità della politica? «Quando si fa questo mestiere, bisogna accettare l’idea che vi siano anche decisioni scomode da prendere e che vanno contro l’interesse di ottenere consensi. Credo che sia opportuno essere disponibili a fare ragionamenti con onestà intellettuale e correttezza, ma alla fine è necessario arrivare a una decisione. Se non si fa nulla, i problemi restano». - La “coscienza” dell’opinione pubblica sta cambiando? Si sta ripensando ad alcuni temi e ad alcune scelte? Un esempio su tutti, il nucleare. «Negli anni, grazie ad approfondimenti ed esperienze, alcune questioni vengono viste dall’opinione pubblica sotto una diversa luce. E nel momento in cui l’opinione pubblica inizia a rendersi conto di una certa cosa, anche gli oppositori più intransigenti iniziano a “ragionare”. Gli amministratori pubblici devono però anche dare messaggi chiari su questo tipo di questioni». - Si parla spesso di “sindrome di Nimby” riferendosi all’atteggiamento di protesta di residenti e comitati contro la realizzazione di particolari opere d’interesse pubblico. Secondo una statistica, tuttavia, risulta che nella maggior parte dei Paesi europei la tensione si è ridotta grazie a migliori strumenti di partecipazione e consultazione popolare. L’Italia è indietro da questo punto di vista? «In Italia abbiamo subito molti interventi dannosi in passato, siamo un popolo che non si fida. È un problema generale e per risolverlo servono maggiore consapevolezza e senso civico. Tendiamo a rinchiuderci nel nostro interesse personale e non riusciamo ad astrarci all’interno di un interesse più vasto. Essere buoni cittadini implica una visione che vada al di là, verso le necessità di un intero territorio. Oggi invece tutti affermano che certe cose vanno fatte, ma nessuno le vuole. Quindi, accanto all’aumento di partecipazione da parte delle autorità, va messa anche una generale disponibilità non egoistica». SIMONE BEARZOT Due opinioni a confronto sul delicato tema dell’ambiente e un’inchiesta su...: Alta Quota cede la parola ai protagonisti e propone alcuni dati di recentissima diffusione L’ATTUALITÀ IN TEMPO REALE RAPPORTO APAT (Agenzia per protezione dell’ambiente e per i servizi tecnici) 2007 “LA PRODUZIONE DEI RIFIUTI IN ITALIA” I primi dati del Rapporto sono stati divulgati giovedì 8 febbraio e fotografano la realtà italiana della produzione e dello smaltimento dei rifiuti, tema caldo delle cronache recenti. Sui gravissimi problemi di Napoli e zone limitrofe siamo tutti informati quotidianamente dai mezzi di comunicazione, ma il rapporto APAT si occupa di questi aspetti solo dal punto di vista dei numeri e delle statistiche; vediamone alcune. A) PRODUZIONE DI RIFIUTI Regioni con maggiore produzione pro capite di rifiuti urbani nel 2006 (kg per abitante per anno) 1. Toscana: 704 kg 2. Emilia Romagna: 677 kg 3. Umbria: 661 kg 4. Lazio: 611 kg 5. Liguria: 609 kg Regioni con minore produzione pro capite di rifiuti urbani (kg/abitante per anno) 17. Trentino Alto Adige: 495 18. Friuli Venezia Giulia: 492 19. Calabria: 476 20. Molise: 405 21. Basilicata: 401 kg B) SMALTIMENTO DEI RIFIUTI Regioni con maggior incremento nella percentuale di raccolta differenziata tra il 2005 ed il 2006 (variazione in punti percentuali 2005-2006) 1. Sardegna: 9,9 - 19,8 [+ 9,9%] 2. Trentino Alto Adige: 44,2 - 49,1 [+ 5,0 %] 3. Piemonte: 37,2 - 40,8 [+ 3,6 %] 4. Umbria: 21,5 - 24,5 [+ 3,1 %] 5. Friuli Venezia Giulia: 30,4 - 33,3 [+ 2,9 %] 6. Valle d’Aosta: 28,4 - 31,3 [+ 2,9 %] Presenza di inceneritori nelle regioni italiane 13 in Lombardia 8 in Toscana ed Emilia Romagna 4 in Veneto 3 in Lazio 2 in Piemonte, Puglia, Basilicata, Sardegna 1 in Friuli - Venezia Giulia, Trentino - Alto Adige, Umbria, Marche, Calabria, Sicilia 0 in Valle d’Aosta, Liguria, Abruzzo, Molise, Campania INTERVISTA A MARIO MATASSI - Ambiente e sviluppo: esiste oggi un conflitto? «C’è, perchè è fisiologico ed è diventato anche patologico. È praticamente inesorabile che ci sia un confronto, meno che debba sempre nascere un conflitto. Sta all’uomo trovare forme meno divergenti, tentando di non far prevalere troppo spesso le ragioni dell’interesse, parola che si presta a mille suggestioni semantiche. Scienza e tecnologia non ovviano sempre a questo». - Lo “sviluppo sostenibile” è applicabile alla realtà? «Se è accettabile la definizione della Commissione Brundtland delle Nazioni Unite (1987), ovvero “Sviluppo che consente la soddisfazione di bisogni economici, ambientali e sociali delle attuali generazioni senza compromettere lo sviluppo delle generazioni future” direi proprio di sì, nonostante i tentativi maldestri di qualcuno». - L’ambientalismo può degenerare in “fondamentalismo ambientalista”? «Il “fondamentalismo ambientalista” è diventato tale anche perchè l’ambientalismo, nell’accezione più alta del termine, è stato, diciamo negli ultimi quarant’anni (quelli ai quali posso fare riferimento come testimone-operatore), destituito, deprezzato, depauperato, quando non irriso ed escluso dalle decisioni che contavano. Bisognerebbe ricucire le forze migliori degli schieramenti e dar luogo a un movimento ampio e incisivo, capace di sottrarsi alle logiche degli interessi di parte. Credo che sia arrivato il momento, con o senza Grillo». - Quali sono il ruolo e la responsabilità della politica? «Ingrato e non sempre remunerativo il compito di chi deve prendere decisioni di vasta portata (sono sotto gli occhi di tutti i casi più recenti, locali e nazionali). Colgo, però, in molti politici una notevole pregiudiziale nei confronti del sapere ecologico e una spiccata attrazione verso quello economico». - La “coscienza” dell’opinione pubblica sta cambiando? Si sta ripensando ad alcuni temi e ad alcune scelte? Un esempio su tutti, il nucleare. «Se sta cambiando, non incide. Ha poco peso, perchè rimangono troppe resistenze e reticenze in quella parte della cittadinanza che potrebbe avvalersi di una maggior informazione, con gli strumenti opportuni. C’è troppo scollamento, anche ideologico, tra chi governa e chi è governato; c’è troppa inerzia, anche qui da noi, in chi potrebbe contribuire a una crescita culturale, prima di tutto, diversa. C’è poi un’insinuante tendenza all’indifferenza querula che finisce per ammorbare quasi tutto. Quanto al nucleare, è inutile invocarlo quando non si è disposti a un consumo critico, basato sulle regole delle “quattro erre”: riduzione, riutilizzo, riciclo, rispetto». - Si parla spesso di “sindrome di Nimby” riferendosi all’atteggiamento di protesta di residenti e comitati contro la realizzazione di particolari opere d’interesse pubblico. Secondo una statistica, tuttavia, risulta che nella maggior parte dei Paesi europei la tensione si è ridotta grazie a migliori strumenti di partecipazione e consultazione popolare. L’Italia è indietro da questo punto di vista? «Sono arrivato alla conclusione che più della “sindrome di Nimby” siamo affetti da quella della “cornucopia di Pandora”, che vorremmo sempre colma e che, invece, tende a svuotarsi per gli eccessi d’uso a cui l’abbiamo sottoposta. Chi partecipa alla costruzione di un rapporto uomo-ambiente credibile è ancora minoritario e forse lo sarà ancora per molto, se non si torna al paradosso di Francis Bacon: “Alla natura si comanda solo ubbidendole”». GIOVANNI STOCCO AMBIENTE E SVILUPPO SARANNO I TEMI PROTAGONISTI DEL PRIMO APPUNTAMENTO DI CROSSROADS! VEDI A PAGINA 12 INDUSTRIE E AMBIENTE CHIMICA ED INQUINAMENTO: TRA AMBIENTALISMO E SVILUPPO Controlli pressanti e tecnologie sempre più sviluppate per garantire la sicurezza dei cittadini della Bassa Friulana. È quanto afferma Alfonso Nardelli, 48 anni, a Cervignano dal 1990, “chimico puro”, come si definisce non senza una punta di orgoglio. Il nostro intervistato lavora alla Serichim R&D Company, che assieme alla Caffaro, alla Spin e alla Sapio costituisce il panorama chimico-industriale di Torviscosa. - Quali attività svolgete attualmente a Torviscosa? «L’attività della Serichim, nata dalla Divisione Ricerca della Caffaro (oggi società indipendente solo in parte partecipata da Caffaro), consiste nella ricerca e nello sviluppo di nuove vie di sintesi di composti chimici, e nella loro applicazione alla produzione industriale, sia per il gruppo Caffaro sia per conto di altre società nazionali ed internazionali. Oltre a questi servizi, la Serichim si occupa anche dello sviluppo di processi industriali, dell’applicazione di metodologie analitiche per migliorare processi esistenti, nonché di analisi e bonifiche ambientali». - Proprio a questo proposito, vorrei che parlassimo del rapporto tra chimica e ambiente, con particolare riguardo alla nostra zona. «Come è abbastanza noto all’opinione pubblica della Bassa Friulana, il problema più grosso degli anni passati è stato quello della contaminazione da mercurio, spesso citato come una “bomba ecologica” per l’ecosistema delle lagune di Grado e Marano. Dagli anni del fascismo la SAICI prima, la Chimica del Friuli e la Caffaro poi hanno utilizzato questo metallo pesante per la produzione industriale della soda e del cloro, scaricando i reflui contaminati dal mercurio nei corsi d’acqua, e contribuendo così all’inquinamento della laguna. Bisogna precisare che, mentre ciò accadeva, non esisteva una precisa legislazione in materia, né si conoscevano gli effetti del mercurio sulla salute umana o sull’ecosistema in cui veniva riversato. Dagli anni 70-80, quando si iniziò a comprendere che l’inquinamento da mercurio poteva avere pesanti ripercussioni sulla salute umana, le normative ed i controlli divennero più rigorosi e severi, anche sulla scorta di pressioni più o meno giustificate da parte dell’opinione pubblica. Ricordo sempre che, fino a non molti anni fa, percorrendo il fiume Aussa da Cervignano alla foce, alla confluenza con il canale Banduzzi (proveniente da Torviscosa), il colore dell’acqua mutava da verde smeraldo ad un poco rassicurante color “Coca Cola”, dovuto agli scarichi dell’impianto della cellulosa (oggi chiuso). Quella colorazione, causata dalla massiccia presenza di composti organici, di per sé poco o nulla nocivi, aveva però un impatto devastante sull’opinione della gente». - Fin dove è giustificata, allora, la preoccupazione ambientale? «Possiamo dire che attualmente, in Friuli, non esiste un’emergenza ambientale. È vero, in parte stiamo ancora pagando le conseguenze di comportamenti sconsiderati negli anni passati. Un altro esempio: anni fa, vicino ad Udine operava un’azienda di lavorazioni galvaniche, presunta responsabile della contaminazione da cromo della falda acquifera. Attualmente, la concentrazione di cromo nelle acque sotterranee tra Udine e Santa Maria la Longa è a livello di allarme, e pian piano questo inquinamento potrebbe arrivare anche fino a Cervignano. Nonostante questo, bisogna dire che negli ultimi anni l’attenzione alle problematiche ambientali è molto cresciuta, da parte delle autorità, delle aziende e soprattutto da parte dei lavoratori dell’industria chimica, dei sindacati o dei semplici cittadini del circondario. Oggi, le grandi aziende chimiche hanno i riflettori talmente puntati addosso da non potersi permettere neppure il minimo errore. Nella nostra realtà abbiamo degli esempi quasi quotidiani: al minimo “odore” sospetto iniziano le telefonate dei cittadini e le visite dei carabinieri. Paradossalmente, credo che il rischio più grosso per l’ambiente non venga più dalla grande azienda chimica, quanto piuttosto da comportamenti poco accorti di artigiani o di piccole aziende, meno visibili e perciò meno controllate». - Mi sembra significativo. In un certo senso, quindi, c’è un eccesso di zelo? «Ti racconto un altro aneddoto: qualche tempo fa, mentre viaggiavo in autostrada, notai un’azienda dai cui impianti si sollevava un’enorme nube bianca. Sulla costruzione, un enorme cartello rassicurava la popolazione: “Da queste ciminiere fuoriesce esclusivamente vapore acqueo”. Erano solo torri di raffreddamento che emettevano in atmosfera dell’innocuo vapore acqueo: se questo non è eccesso di zelo…pur di tranquillizzare la popolazione! È chiaramente necessario porre attenzione alla questione ambientale, ma certe volte si eccede, spesso in buona fede, talvolta anche a scopo di strumentalizzazione politica. In Italia, la sostenibilità ambientale non va di pari passo con quella economica: per un’azienda che vuole produrre utili ragionevoli, è ormai conveniente chiudere gli impianti nel nostro paese ed aprirne di nuovi nei paesi dell’Est europeo o dell’Asia, dove le legislazioni in termini di ambiente e sicurezza dei lavoratori sono molto più permissive. Così facendo si sposta il problema, ma il bilancio dell’inquinamento globale non viene modificato. I Verdi e gli ambientalisti hanno certamente una responsabilità in questo fenomeno: non è possibile dire sempre “no” a priori, senza proporre soluzioni alternative. Questo è vero per l’industria chimica così come per il trattamento dei rifiuti urbani: in Austria e nei paesi del Nord Europa, patria dei Verdi, esistono termovalorizzatori costruiti con tecnologie avanzatissime, che dimostrano come sia possibile coniugare sostenibilità ambientale e progresso. Certo, ci vuole una volontà politica, che in Italia purtroppo manca». - Ritornando alla Bassa Friulana, qual è la situazione attuale? Secondo lei i controlli sono sufficienti? «Credo di sì. Nella nostra zona esiste il Consorzio di Depurazione della Laguna, che si occupa del trattamento delle acque di scarico di parecchi comuni della Bassa Friulana e di alcuni complessi industriali. Il Consorzio esercita per le industrie anche un controllo a monte, nel senso che non è possibile convogliare alla depurazione qualsiasi tipo di refluo, ma vengono accettati solo scarichi che rispettino precisi limiti di concentrazione di sostanze pericolose, costringendo le aziende a provvedere direttamente ad un primo abbattimento degli inquinanti. Ai controlli degli organi istituzionali si affianca oggi l’attività di “vigilanza” di comitati spontanei e di associazioni, tra cui la ben nota Laguna 21, che propongono soluzioni per migliorare la situazione del nostro ambiente. Inoltre, ogni qualvolta si insediano nuovi processi industriali, si effettuano studi dei rischi, simulando le situazioni di emergenza che potrebbero verificarsi e proponendo le possibili soluzioni per prevenire incidenti. Così, per esempio, considerando una reazione chimica, si simulano gli effetti derivanti da una perdita di controllo della stessa in un reattore, e si possono così inserire nel progetto più sistemi di sicurezza (valvole di rottura, impianti di raffreddamento più efficienti, etc)». - E per quanto riguarda il problema mercurio? «Attualmente, le normative in materia sono piuttosto severe. Come immaginerai, non è possibile quantificare con esattezza gli effetti del mercurio sull’ecosistema e sull’uomo, ma da alcuni studi dell’ARPA sui mitili nella laguna di Grado e Marano non sono state riscontrate sostanziali differenze tra le concentrazioni di mercurio allo sbocco dell’Aussa-Corno in laguna e in altre zone dell’alto Adriatico, quelle a Nord di Grado e a Sud dell’Isonzo, per intenderci. Lo stesso fiume giuliano, inoltre, costituisce una fonte naturale di inquinamento da mercurio, in quanto recettore del fiume Hidria, nelle cui acque erano riversati i reflui delle omonime miniere, in Slovenia, dove un tempo veniva estratto proprio il metallo “incriminato”». - Dunque, dalle sue parole, nulla di cui preoccuparsi… «È ovvio che tutti noi vorremmo vivere in un ambiente incontaminato. Ci sono stati anni in cui le aziende hanno pensato solo agli utili, senza curarsi dei danni che potevano arrecare all’ambiente, ed è innegabile che questo rischio, seppure in misura minore, esista anche ai giorni nostri. Per come sono impostate la nostra economia e la nostra vita quotidiana, però, politici ed amministratori dovrebbero porsi anche un altro problema: quello del rapporto tra profitto industriale e sostenibilità ambientale. Perché una cosa è certa: non è possibile continuare a chiudere industrie in Italia». ALESSANDRO MORLACCO «IO, DISOCCUPATO PER FORZA» Intervista a Cesare Paron, ex operaio della S. Gobain Cesare Paron ha 48 anni, abita a Perteole, è un ex-dipendente della fabbrica S. Gobain, la cui apertura risale al 1937; al momento è disoccupato. Abbiamo chiesto la sua opinione riguardo al problema delle fabbriche, nell’occhio del ciclone quando si parla di inquinamento e ambiente, ma spesso insostituibile fonte di lavoro. - Quanto è durata la sua esperienza di lavoro alla S. Gobain? «Ho iniziato a lavorare lì nel 1995, quindi è stato il mio posto di lavoro per 11 anni». - Come può descrivere, dal suo punto di vista di ex-dipendente, la chiusura della fabbrica? «La decisione è stata presa unilateralmente e di certo uno dei motivi principali è stata la volontà di togliere un’industria da quello che ormai è considerato centro di Cervignano. Il problema, a mio parere, è la mancanza di una zona industriale nella nostra città». - In che modo la chiusura di una fabbrica cambia la vita dei suoi dipendenti? «Di sicuro la chiusura della S. Gobain ha scombussolato la vita di circa 60 persone che lavoravano al suo interno. Alcuni sono riusciti ad arrivare alla pensione, per età anagrafica, altri hanno dovuto ricominciare da capo e cercare un nuovo impiego. La fabbrica costituiva una fonte di sicurezza professionale: per molti gli stipendi erano ormai consolidati dopo anni di impiego, senza parlare del rapporto di conoscenza e fiducia che si era instaurato con il tempo. Inoltre la collocazione della fabbrica era una comodità per quasi tutti i dipendenti, che abitavano a pochi km da distanza, e questo senza dubbio influiva anche dal punto di vista ambientale (per esempio, la si poteva raggiungere in bici)». - A proposito di inquinamento, com’era l’impatto ambientale della S. Gobain? Influiva negativamente sull’ambiente? «La fabbrica aveva certamente dei difetti, ma ci sono delle normative che, se rispettate a dovere, rendono l’inquinamento pari a zero, sebbene si trattassero anche materiali tossici e ci fosse il problema dello smaltimento. È vero, però, che anche la stessa struttura della fabbrica aveva un grande spazio verde attorno: spesso noi stessi incontravamo fagiani e lepri prima di entrare a lavorare». - Cosa ne pensa del tema molto attuale dell’ambientalismo, avendo provato sulla sua pelle come la chiusura delle fabbriche possa essere soprattutto un’imponente perdita di posti di lavoro? «L’interesse per l’ambiente è senz’altro giusto: non abbiamo ricevuto una buona eredità da chi ci ha preceduto, e andando avanti di questo passo forse la lasceremo ancora peggiore. Però questo impegno rischia, a volte, di essere strumentalizzato, mentre a mio parere sarebbe utile trovare una via di mezzo che possa mettere d’accordo tutti. Ritengo che sia più giusto guardare alle piccole cose, prima di pensare alle grandi opere: per esempio, privilegiare mezzi pubblici (che però sono carenti, almeno nel nostro territorio) o bicicletta, e lasciare a casa di più l’automobile. Concludendo: visto e considerato che del lavoro abbiamo bisogno e quindi non possiamo eliminare le fabbriche e le industrie, l’impegno di ognuno deve guardare a costruirle con rispetto verso il mondo che ci circonda e a nostra misura, e non con il solo fine del profitto». SOFIA BALDUCCI «IL PROBLEMA? L’IMMOBILISMO DELLE ISTITUZIONI» Intervista a Paolo Tonello, ingegnere ambientale Bonifiche ambientali spesso bloccate dalla burocrazia e dai ricorsi. E intanto l’inquinamento avanza. Abbiamo chiesto il parere di Paolo Tonello, 33 anni, ingegnere ambientale, impegnato presso la Direzione Centrale Ambiente e Lavori pubblici della Regione Friuli Venezia Giulia. La nostra discussione sul rapporto tra ambiente ed ambientalismo parte da argomenti in parte già affrontati, che vogliamo approfondire dando voce a chi quotidianamente si occupa di “rimediare” alle piccole o grandi scorrettezze ambientali. «La nostra attività - esordisce Paolo - consiste essenzialmente nella bonifica di siti industriali o commerciali che presentino problemi di inquinamento». «Per fare un esempio - prosegue l’ingegnere - in provincia di Pordenone il nostro ente si sta occupando di trattare dei terreni inquinati da tetracloruro di etilene, una sostanza chimica che ha raggiunto anche la falda acquifera». Paolo ci fa notare che, in questo caso come in altri, c’è stato un problema di giurisdizione: attualmente, la bonifica è di competenza regionale, ma prima del 2006 la responsabilità ricadeva sui comuni. Questo fa sorgere spontanea una domanda: quanto incide, oggi, la burocrazia sulle politiche ambientali? La risposta di Paolo non si fa attendere. «È una mia opinione personale, ma non si può certo dire che il Ministero dell’Ambiente brilli per efficienza: ad ogni emergenza ambientale, si nominano commissari e supercommissari, ma restano gravi problemi nel definire le precise competenze. L’attenzione per l’ambiente è certamente nobile, ma non bisogna dimenticare di definire con esattezza le responsabilità». Da quanto capiamo, attuando politiche ambientali incaute, si rischia di cadere in due eccessi opposti: o mettere in pratica una vessazione eccessiva nei confronti delle aziende, oppure lasciare che le responsabilità si perdano nelle aule dei tribunali, tra ricorsi e contro-ricorsi. «Il primo caso - riprende Paolo - è probabilmente quello della Caffaro di Torviscosa, e dell’inquinamento da mercurio delle lagune di Grado e Marano». La zona, assieme all’area portuale di Trieste, è considerata infatti “sito di interesse nazionale”, e quindi controllata direttamente del Ministero dell’Ambiente. Le analisi ambientali in laguna sono state effettuate dal commissario straordinario per l’emergenza e non sono state validate dall’Arpa, mentre il canale Banduzzi, i cui fondali sono contaminati dal mercurio, è ancora sotto sequestro. Nonostante i risultati apparentemente confortanti di alcuni studi tossicologici, permane l’incertezza sugli effetti che il metallo pesante possa avere a lungo termine, soprattutto concentrandosi ai vari livelli della catena alimentare. «Attualmente - spiega Tonello - nell’area non è in corso alcuna operazione di bonifica, perché nessuno si prende la responsabilità di intervenire a sbloccare la situazione. Nonostante ciò, sono in atto controlli e politiche restrittive nei confronti delle aziende: gli incaricati del ministero hanno dichiarato pubblicamente che preferiscono ricevere valanghe di ricorsi al Tar, con l’accusa di vessazione, piuttosto che incorrere nel rischio di un avviso di garanzia per non aver ottemperato pedissequamente ai loro obblighi». Sorprendentemente simili sono gli effetti degli eccessi nell’altro senso: spesso capita che le bonifiche siano bloccate dal ricorso all’autorità giudiziaria. La parola di nuovo all’ingegnere: «Questo è il caso, per esempio, della falda acquifera superficiale a sud di Udine. Nel ’97, analisi sull’acqua hanno mostrato la presenza di cromo esavalente, un elemento cancerogeno, ma la ditta di lavorazioni galvaniche indicata come responsabile ha intrapreso una serie di azioni giudiziarie». «Il problema - prosegue Paolo - è che così facendo si perdono anni preziosi per le bonifiche, permettendo una diffusione deleteria degli inquinanti». Un altro aspetto interessante del problema riguarda l’apertura di nuovi impianti industriali. Come è noto, nella fase iniziale della procedura il progetto deve essere sottoposto alla v.i.a., la valutazione di impatto ambientale, dove sono presi in considerazione gli effetti che la nuova industria potrà avere sull’ambiente e vengono studiate misure per prevenire le possibili conseguenze negative. «Paradossalmente - incalza Paolo - da parte degli ambientalisti e della popolazione c’è un’altissima attenzione verso i nuovi impianti, ma nessuno pensa all’inquinamento prodotto da installazioni industriali obsolete. Un esempio? La famigerata ferriera di Servola, che da sola produce una quota molto rilevante nel computo delle emissioni nocive dell’intera regione, ma che nessuno si sognerebbe di far chiudere». A nostro parere, l’ostacolo più grande è l’immobilismo di certe istituzioni, che sulla scorta di pressioni ambientaliste sembrano costrette a trascurare il bilancio tra rischi e benefici. «Nel nostro lavoro di bonifica di siti inquinati - conclude Paolo - non ci capita spesso di suscitare l’interesse degli ambientalisti, interessati più che altro alle grandi industrie ed ai progetti di nuove infrastrutture. Certo, è giusto sollevare il problema ambientale, ma non è possibile alzare sempre i toni ed utilizzare l’arma della magistratura per far valere le proprie esigenze». ALESSANDRO MORLACCO QUESTI ED ALTRI SERVIZI LI PUOI TROVARE SUL SITO www.altaquotaonline.org Scusi, passerà da qui la TAV? Quando ero ragazzo io non si parlava mai di ecologia, di raccolta di rifiuti, di inquinamenti. Oggi invece… Quando si presentarono nell’agone politico i verdi, mi venne da ridere, talmente sentivo ancora lontano da me questo problema dell’ecologia. Oggi invece… Oggi tutto diventa problema di ecologia; i consumi sviluppati al massimo creano un’immensità di cose da gettare e da rifiutare, enormi e diffusi inquinamenti che colpiscono in vari modi la nostra vita. Il problema è certamente grosso, le soluzioni difficili, ma non si può smettere di vivere perché ci sono dei problemi! Eppure c’è qualcosa che non quadra. Ci si accorge che lo sviluppo dell’uomo richiede sempre anche un conto negativo da pagare e i casi sono due: o si entra nel compromesso, cercando le migliori soluzioni ai problemi, o ci si ferma e si rinuncia all’ “andare avanti”. Padre Zanotelli lo dice da molti anni: se ogni uomo della terra volesse vivere come viviamo noi in Europa e negli Stati Uniti (e ne avrebbero tutto il diritto!), bisognerebbe avere due altri mondi, oltre al nostro. Uno per estrarre le risorse e uno per depositare tutti gli avanzi del nostro cosiddetto “progresso”. Quale strada scegliere? Fermarci o andare avanti? A Trieste c’è la ferriera di Servola che crea inquinamento, ma come si fa a chiudere il posto di lavoro di tanta gente? Bisogna affidarsi a nuove ricerche: sarà ben possibile trovare la soluzione al problema delle scorie nell’aria! C’è la possibilità di creare una fabbrica a Torviscosa, ma è un cementificio: inquinamento, non si deve fare! Ma io dico: il cemento è necessario e da qualche parte bisogna per forza produrlo, oppure dobbiamo accettare di ritornare indietro e costruire le nostre abitazioni con pietra, calce e mattone. Forse è possibile trovare dei mezzi per purificare l’ambiente! Ahi! Arriva la TAV! Le nazioni hanno deciso di far correre questa arteria ad alta velocità attraverso l’Europa: la fermeremo noi di Villa Vicentina e di Strassoldo? Alternative non sembrano esserci, a meno che non la si possa far volare o farla correre sotto terra: (ma da noi, con l’acqua a qualche spanna sotto il livello stradale, non sembra proprio possibile). E allora? Si può sempre andare a passo di cavallo. Il compromesso sembra l’unica strada. Non si è voluto il nucleare. È vero, al termine della lavorazione presenta delle sostanze che richiedono molti secoli per stabilizzarsi. Forse si può fare, ma prima bisogna trovare il sito profondo nel quale stoccare le scorie! Sempre di compromesso si tratta. La paura qui non è buona consigliera, ma occorre affidarsi necessariamente a dei tecnici. E se non si fa, occorre ridurre la fame di energia o trovare altre tecnologie meno pericolose, soprattutto per il futuro. E i rifiuti? Nessun sindaco è disposto ad accogliere nel proprio comune il sito di una discarica. Meno male che i nostri scouts, in accordo col Comune, hanno saputo trasformare la vecchia discarica di Cervignano in un luogo ideale per passeggiate e relax! Oggi abbiamo tecniche di lavorazione dei materiali ben più sicure e sofisticate di ieri per garantire una vita sana per tutti, che è un bene sommo. Qualche anno fa si è molto parlato dell’inquinamento elettromagnetico. Era semplice terrorismo, o si tratta di vero pericolo? E perché oggi nessuno ne parla? Si può benissimo superare il problema non usando e non mettendo in vendita i telefonini. Potrebbe essere anche utile e bello, ma è possibile? Due cose, comunque, si devono fare: 1) affidare alla ricerca la semplificazione dei problemi: avere meno scorie e rifiuti, più tecnologia che affronti seriamente i problemi; 2) che ognuno di noi, per quanto è capace, semplifichi al massimo la sua vita. Credo che la paura, comunque, non sia una buona consigliera. Non ti pare? DON SILVANO FESTA DEL SOCIO RSM 27 GENNAIO 2008 (Sala Parrocchiale) VUOI RIVEDERE LE FOTO DELLA FESTA? www.altaquotaonline.org nella “Galleria di foto” Via Silvio Marcuzzi Montes 27 Telefono 0431 32505 Cervignano del Friuli (UD) “DAMMI UN CINQUE ……..X MILLE” dona il 5 x 1000 al Centro Giovanile di Cultura e Ricreazione di Cervignano del Friuli lta. delle En “RiCReatoRio San MiChele” ECCO UN SEMPLICE GESTO PER AIUTARCI IL “5 X 1000” AL CENTRO GIOVANILE DI CULTURA E RICREAZIONE “RICREATORIO SAN MICHELE” di CERVIGNANO DEL FRIULI PE E DELL’IR PER MILL CINQUE NE DEL , INAZIO ità sociale ciute 7 e e di util LA DEST riconos SA LA ESPRES SE SI È PER SCELTA ativ zioni 460 del 199 rtivi ni non lucr le associa spo n. anizzazio iale, del del D.Lgs. ento ai fini delle org mozione socc. 1, lett a), riconoscim Sostegno . 10, so del ni di pro ociazioori di cui all’artche in posses .... tisti ...... delle ass ...... o nei settrtive dilettan ran ...... ni spo che ope ...... ...... ociazio ...... delle ass FIRMA FIRMA ...... fiscale delntuale) Codice ario (eve benefici ...... ento agl università e della Finanziam ntifica rca scie della rice ...... ...... ...... ...... ...... ...... ...... ...... ...... ...... ...... ... fiscale delntuale) Codice ario (eve benefici Mar9io 0R0ossi0 0 0 2 0 3 0 6 ..... ...... ...... i enti ento aglitaria Finanziam rca san della rice ente”, contribu ni per il formazio rdelle “In re la scelta. ve appo grafo 1 ua ente de ficiario. nel para trate per att ibu ta ntr nu ne co . FIRMA conte delle En RPEF, il un soggetto be dei dati, genzia lle dell’I di ttamentozati solo dall’A e per mi codice fiscale qu tra l le del le) cin su fisca l il ntua Codice ativa o utiliz quota de icare anche ario (eve benefici ll’inform ente verrann rie della GINA. di ind icato ne ibu LA PA destinata ltre la facoltà anto ind nali del contr NDO AL finalità ino nta a qu O IN FO rso una delle ibuente ha O POST In aggiu che i dati pe favore di ficiarie. contr UADR tà bene scelta a spondente. Il SITO RIQ si precisa lle finali rri APPO rimere la ..... ...... con la prossima dichiarazione dei redditi, tutti coloro che presenteranno un modello CUD/730/UNICO 2008 Persone Fisiche avranno la possibilità di sostenere e firmare, con una nuova normativa, per le Associazioni di Promozione Sociale come la nostra. Non si tratta di un aggravio delle vostre imposte, ne vi sarà trattenuto nulla in più di quanto viene già trattenuto sull’ IRPEF : ...... ...... ...... ...... ...... ...... ...... ...... ...... ... r esp dro co nte per una de E NELL’ ANCH l riqua ENZE Pe FIRMA AVVERT ria fir ma ne ta esclusivame RRE LA op APPO re la pr deve essere fat ARIO NECESS La scelta ELTA È FIRMA SC SA LA ESPRES SE SI È uto né n è ten che no redditi (Mod. bilità, i responsa hiarazione de dic propria ni sotto la presentare la formazio hiara, di delle “In critto dic della facoltà rafo 3.3 tos rag sot pa Il ere il avvalersi eda, ved intende della sch di invio lità da Per le mo Anche quest’anno tutti coloro che vorranno sostenerci potranno apporre il nostro codice fiscale e la firma nei modelli CUD/730/UNICO 2008. Basterà indicare nella apposita casella della scheda del 5 per mille in nostro CODICe fIsCAle e apporre la firma. C.f. 90000020306 basterà indicare nella apposita casella della scheda del 5 per mille il nostro CODICE FISCALE: 90000020306 e apporre la firma. Senza spendere un euro in più, in quanto l’IRPEF viene già trattenuta dalla pensione, dallo stipendio, potrai contribuire a sostenere le attività di promozione sociale della nostra Associazione impegnata da anni nel mondo giovanile, nel campo della Ricreazione, della Spiritualità, della Cultura e dello Sport. Come per l’ 8 x 1000, non ti costa nulla di più. Invita amici, parenti, conoscenti a sostenerci nel nostro sito internet www.ricreatoriosanmichele.org re la sce r attua n trate pe EF, il co dell'IRP r mille mente pe ll'otto pe quota de fatta esclusiva ie della ere neficiar lta deve ess verrann be te i ca en ion sce tal te istituz ente. In blee d ioni. 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Graphic 2 - Cervignano a cura di Andrea Folla di Marco Gerin Menù di Pasqua per 4 persone Antipasto: Ovetti di quaglia profumati con cappuccina Ingredienti: 16 uova di quaglia, 200 g d’insalata cappuccina, Una tazza di maionese, 2 cucchiai di panna montata, 4 cucchiai di succo d’arancia, sale, pepe bianco e noce moscata (facoltativa) Procedimento: Rassodare le uova di quaglia, sgusciarle e tagliarle a metà. Lavare bene l’insalata, asciugarla con cura e tagliarla a striscioline molto sottili, disporla su di un piatto da portata creando una specie di praticello. Sopra, distribuire i mezzi ovetti di quaglia suddivisi quattro a quattro e disposti come petali di fiori. Incorporare delicatamente la panna montata alla maionese, diluirla con il succo d’arancia filtrato al colino. Insaporirla con il pepe bianco e regolare il sale, metterla in una salsiera e accompagnarla all’insalata. A piacere, spolverare le uova con della noce moscata. Primo: Trofie al verde di Miramare Ingredienti: 400g di trofie (in alternativa pennette) 150 g piselli (vanno bene anche surgelati) 4 piccole zucchine Uno scalogno Uno spicchio d’aglio Un cucchiaio di prezzemolo tritato Un cucchiaio di basilico tritato Olio,sale e pepe Procedimento: Pulire e lavare le verdure. Scottare i piselli in acqua bollente (che recupereremo per cucinare la pasta) per una decina di minuti. Far soffriggere nell’olio l’aglio e lo scalogno tritati. Unire i piselli sbollentati, le zucchine tagliate a rondelle, 2 cucchiai di acqua, il sale, il pepe e le erbe aromatiche. Mantenere caldo il sugo e cuocere la pasta, unire il tutto e servire caldo. Secondo: Agnello con carciofi Ingredienti: 1 kg di agnello in pezzi 50g di prosciutto crudo 6 carciofi puliti e tagliati a spicchi 1\2 cipolla Uno spicchio d’aglio 1\2 bicchiere di vino bianco Sale pepe e olio (per il brodo vegetale va bene anche il dado) Procedimento: Tritare aglio, cipolla e prosciutto e rosolarli in olio, unire l’agnello (già tagliato a pezzi uguali) e farlo dorare. Bagnare con il vino, lasciare che evapori, poi aggiungere i carciofi. Salare e pepare e lasciar cuocere a fuoco medio bagnando di tanto in tanto con il brodo. A cottura ultimata spolverare con un ciuffo di prezzemolo tritato e spruzzare poco succo di limone. Sorbetto alla mela verde Si prepara direttamente in dei bicchieri da vino rosso molto capienti: 2 palline di gelato alla mela verde o vaniglia e una spruzzata di calvados. [email protected] www.friulivg.celiachia.it Sito dell’omonima associazione onlus, presente in regione dal 1990 per promuove il sostegno ai celiaci ed alle loro famiglie sui problemi dietetici e psicologici inerenti la celiachia e sensibilizzare le strutture politiche, amministrative e sanitarie sulle problematiche ad essa correlate. La celiachia è un’intolleranza permanente al glutine, sostanza proteica presente in avena, frumento, farro, kamut, orzo, segale, spelta e triticale. www.lulu.com Stai cercando un modo per pubblicare le tue opere autonomamente? 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Dessert: Dolce di ricotta al caffè Ingredienti: 500 g ricotta Una tazza di latte 100 g zucchero 3 tazzine di caffè forte 2 bicchierini di rum 4 biscotti di pasta frolla sbriciolati Un pezzetto di cedro candito a pezzettini Per guarnire: caffè in chicchi interi Procedimento: Rendere spumoso il composto ottenuto con 500 g di ricotta ed una tazza di latte. Amalgamare 100 g di zucchero, 3 tazzine di caffè ben forte, 2 bicchierini di rum, 4 biscotti di pasta frolla ben sbriciolati, un pezzetto di cedro candito ridotto a pezzettini. Distribuire il tutto in 6-8 tazze da macedonia o in coppe, guarnire con chicchi di caffè interi e collocare in frigorifero. Va servito freddo. www.oliviero.it Interessante negozio on line dedicato al settore dell’abbigliamento sportivo. È un buon sito per quanto riguarda attrezzature e tempo libero. www.cites.org Cites è un accordo internazionale tra i governi: si tratta della Convenzione sul commercio internazionale delle specie in via d’estinzione di flora e fauna selvatiche. Il suo obiettivo è quello di garantire che il commercio internazionale di animali e piante selvatici non minacci la loro sopravvivenza. Toni e Meni di Luca “snoop” Di Palma fonte: Bruno Fontana, Cervignano austriaca di Gennaro Riccardi a”... erie i r s o a t l s r e a P a dell n e c s o r “i ret Bruno Morbin (indicato dalla freccia) nella sua formazione di basket; é il 1947 IL CUORE DELLO SPORTIVO È STATO IL PRECURSORE DEL BASKET IN CITTÀ HA GAREGGIATO AI CAMPIONATI NAZIONALI DI CANOTTAGGIO SI È ALLENATO CON I MIGLIORI ATLETI ITALIANI INTERVISTA ESCLUSIVA A BRUNO MORBIN Classe 1917, 91 anni di grinta e di ricordi e alle spalle una vita da sportivo. Il signor Bruno mi accoglie in casa sua, dove, sul tavolo della cucina, ha preparato ritagli di giornale e vecchie foto, a testimoniare ciò che mi racconta nell’intervista. cervignanese di questo sport; mi ricordo che ai miei tempi le trasferte si facevano in bicicletta! Era tutto molto diverso rispetto ad oggi, non venivamo pagati niente e il massimo era un caffè offerto all’arrivo. Eravamo un gruppo di ragazzi e il nostro allenatore era un farmacista, il dottor Gualtiero Morpurgo. Purtroppo con la guerra tutto cambiò, molti furono chiamati alle armi e non tornarono più e Morpurgo, che era ebreo, fu vittima delle leggi razziali. Durante il periodo in cui ero in servizio militare a Bari ho giocato nella squadra locale, nel campionato di serie B. Le partite mi hanno portato anche a girare tutta la Sicilia, sono stato a Monreale, a Palermo… Fino al 1943 ho sempre giocato, non sono mai riuscito a stare fermo. Dopo la guerra sono ritornato a Cervignano, ho riunito un gruppo di circa venti ragazzi e ho sistemato il vecchio campo sportivo di via Del Zotto; inoltre, ho cercato di ricostruire il basket cervignanese, la cui squadra era stata duramente colpita dalla guerra». - Ha mai pensato di fare l’allenatore o il dirigente di una squadra di basket? «Ho allenato solo una squadra di donne, poi no, non ci ho mai pensato. Era molto meno faticoso fare il giocatore che il dirigente o l’allenatore». - Infine, nel 2005, quella che si può definire la sua ultima impresa sportiva... «Quell’anno è arrivata anche a Cervignano la fiaccola dei Giochi Olimpici della gioventù europea che si tenevano a Lignano; io ho avuto l’onore di percorrere come tedoforo l’ultima tappa in Piazza Indipendenza». SILVIA LUNARDO - Nel 2003 l’Unione Nazionale Veterani dello Sport l’ha premiata come ex atleta. Quali sono state le motivazioni? «Sono sempre stato uno sportivo, ho iniziato a praticare sport già negli anni Trenta. All’età di 12 anni ho cominciato a giocare a basket, anzi, quella volta si chiamava pallacanestro; si giocava in un campo di ghiaia dietro le scuole di via Roma. Sono stato il primo giocatore di pallacanestro di Cervignano! Poi ho praticato per 2 anni il canottaggio e, successivamente, l’atletica leggera, in particolare i 100 metri e il lancio del giavellotto». - Lo sport l’ha portata a gareggiare fuori dal Friuli, addirittura a Milano… «Sì, quando facevo canottaggio. Era il 1932, avevo quindi 15 anni, e insieme ad altri ragazzi della provincia di Udine sono arrivato a gareggiare a Milano, all’idroscalo. Mi ricordo che gli allenamenti erano alle 5 del mattino e si facevano 16 chilometri al giorno lungo il fiume Ausa. Appena finivo di allenarmi, prendevo la bici e correvo a lavorare a Monfalcone, alla Solvay, un’industria di solventi». - Grazie all’atletica, invece, è arrivato a Roma… «Le mie specialità erano i 100 metri e il giavellotto, che mi hanno portato a gareggiare ai raduni nazionali di atletica al Parioli, a Roma». - Lo sport che però le ha dato più soddisfazione è la pallacanestro. Cosa ci racconta di questa sua passione? «Come ho già detto, ho iniziato a giocare a 12 anni, mi è sempre piaciuto lo sport, e la pallacanestro in particolare. Sono stato il primo giocatore PROGETTO NELLE GIOVANILI DELL’ABC BASKET: IL 3° TEMPO UN MODELLO DA SEGUIRE, UNA SFIDA EDUCATIVA: L’INIZIATIVA DI ADRIANO PALIAGA Adriano Paliaga, allenatore della squadra under 13 dell’ABC di Cervignano, ha voluto portare nel mondo del basket la pratica del terzo tempo, consuetudine già in uso da anni nel rugby e da poco introdotta nel calcio. Ma di cosa si tratta? In questo tempo i giocatori non si danno battaglia, ma si danno semplicemente la mano in segno di rispetto e per congratularsi della partita, appena conclusa, con il proprio avversario, fra gli applausi dei tifosi. Nello specifico del rugby, i giocatori, dopo aver fatto la doccia, si incontrano e si scambiano regali e pacche sulle spalle, mangiando un boccone e brindando assieme. Magari proprio contro l’avversario che per tutta la partita ti ha placcato duro e poi battuto. Nel terzo tempo, le due squadre diventano una sola: le distanze, non solo geografiche, si annullano, l’agonismo che le divideva scompare e diventa possibile quella crescita derivante dal confronto con il diverso che lo sport dovrebbe sempre promuovere. Non importa se questo avviene in giacca e cravatta, come dopo una partita di alcuni tornei prestigiosi, o in tuta fuori da un campetto di serie minore: il terzo tempo è una vera e propria istituzione di questo sport. Questa prassi è stata introdotta da due anni nel campionato giovanile dal coach Paliaga, che ha ideato vari modi per diffonderla. Innanzitutto, quando la squadra avversaria arriva negli spogliatoi della nostra palestra, si trova delle caramelle come benvenuto. Prima dell’inizio della partita, le squadre entrano in campo e davanti al pubblico salutano con l’urlo per la squadra avversaria, gesto che era già praticato in questo sport negli anni ’80. Da quest’anno, prima dell’urlo, un dirigente invita ad applaudire un bel passaggio o un bel canestro, anche se effettuato da un giocatore della squadra avversaria; inoltre, il mister ci racconta che spesso i primi ad applaudire sono proprio i giocatori in panchina. A fine partita c’è il saluto fra le due squadre al centro del campo che rappresenta il vero e proprio terzo tempo del rugby. Il tutto si conclude, indipendentemente dal risultato, con un rinfresco offerto dai genitori dell’ABC, oltre che ai propri figli, anche alla squadra avversaria e relative famiglie. L’allenatore sottolinea come tutto ciò sia possibile perché, alle spalle dei suoi ragazzi, ci sono genitori molto disponibili ed affiatati, indispensabili per la riuscita di quest’iniziativa, e invita tutte le squadre del campionato a copiare quest’idea, in modo da creare un clima più sereno nel campo da gioco e fuori, auspicando, inoltre, un contributo dei giornali locali: con una buona pubblicità, tale progetto potrebbe essere portato a conoscenza della maggior parte degli addetti all’ambiente. Perché con un po’ di buona volontà ed impegno, da parte di tutte le varie componenti del mondo dello sport, si possano ottenere ottimi risultati. SANDRO CAMPISI La squadra under 13 dell’ABC di Cervignano A CARNEVALE... OGNI SCHERZO VALE! Festa o pagliacciata: l’opinione dei cervignanesi Il proverbiale motto riassume in maniera assai efficace quella che è ed è sempre stata l’essenza di questa festa popolare, antica quanto misteriosa e affascinante. Partiamo allora proprio da qui per lanciarci nel nostro viaggio fra riti antichi e feste odierne, dalle tradizioni locali al nostro Carnevalfest cervignanese. Il Carnevale nasce in epoca precristiana, come rito contadino della stagione invernale teso a propiziare la fertilità dei campi e scacciare gli spiriti maligni. Tradizioni di questo genere erano già attestate presso gli Egizi e Greci, con giochi e riti in onore rispettivamente di Iside e Dioniso, dei della fecondità e del rinnovarsi della vita. Nel mondo romano, feste che richiamano l’odierno Carnevale erano i Saturnali, dedicati al dio Saturno - divinità italica delle sementi -, durante i quali avvenivano banchetti che spesso sfociavano in eccessi. Durante i Saturnali, infatti, tutto era consentito: in particolare era in uso lo scambio dei ruoli, indossando gli abiti altrui; gli schiavi, ad esempio, venivano serviti dai padroni e potevano concedersi ogni libertà. Non mancavano le maschere: la cosa curiosa, anzi, è che il termine latino per “maschera” era... persona (tra l’altro, di origine etrusca)! Con l’avvento dell’era cristiana, anche il Tempo di Carnevale entrò a far parte delle pratiche liturgiche, come momento essenziale di riflessione e riconciliazione con Dio in avvicinamento alla Quaresima. Il nome stesso della festività, pure di origine incerta, pare che derivi dal latino carnem levare, in relazione al giorno precedente l’inizio della Quaresima, in cui cessava il consumo di carne. Le origini pagane di questa festa non si persero però del tutto con l’affermarsi del Cristianesimo: spesso le tradizioni antiche si integrarono con quelle moderne, altre volte sparirono senza lasciare traccia. È però attestato che, durante il Medio Evo e i secoli successivi, la Chiesa continuò a tollerare la presenza degli antichi riti dei campi, di stampo appunto paganeggiante, già caratterizzati comunque dall’uso di maschere, con funzione cerimoniale e di esorcismo della morte, oltre che da un clima di festosa allegria, di licenza comportamentale e di esagerazione. Nel corso del Rinascimento, i festeggiamenti in occasione del Carnevale furono introdotti pure nelle corti europee ed assunsero forme più raffinate, spesso legate al teatro, al ballo e alla musica. La festa carnevalesca raggiungerà il massimo splendore nel XV secolo, nelle strade della Firenze di Lorenzo de’ Medici. Danze, lunghe sfilate di carri allegorici e costumi sfarzosi segnano una svolta in questa festa, amatissima nella città rinascimentale. Oggi il Carnevale ha ovviamente perso la sua carica magica e religiosa di rito della fecondità della terra, rimanendo una festa popolare percorsa dal tema dello scherzo e del gioco, precedente il periodo di ascesi che inizia con la Quaresima. In un certo senso, sono venute meno le sue reali ragioni d’essere: le sue colorite (e colorate) manifestazioni esteriori le conosciamo tutti, mentre è ormai scivolato nell’oblio il nucleo tematico e il reale motivo che avevano portato alla sua nascita. Per questo, la presenza di una festa del genere in una cultura del tutto diversa da quella in cui era nata può far sorgere spontanea in alcuni la domanda: «Ma questa chiassosa pagliacciata, che senso ha?». È vero che il Carnevale sopravvisse nei secoli per la sua dimensione giocosa, divertente, oltre che per l’affascinante idea di poter essere qualcun altro tramite una maschera, stuzzicante soprattutto per la fervida immaginazione dei bambini, ma è anche vero che il Carnevale divide la critica, “spacca” l’opinione pubblica fra trasformisti-sostenitori e austeri-denigratori. A pensarci bene, non saprei dire se sono più le persone che conosco che amano il Carnevale o quelle che lo detestano: da piccoli, è ovvio, tutti quanti ci siamo vestiti in maschera almeno una volta, ma da grandi? Alcuni “fanatici” hanno continuato, profondendosi anche nella creazione di mirabolanti carri allegorici, mentre altri hanno smesso, sono passati dalla parte dei «troppo grandi o troppo timidi per fare quelle cose», al massimo presenziando alle sfilate altrui. A questo punto sarà facile dire che la scelta dipende dal carattere dell’individuo, dalle personali inclinazioni che ci portano ad amare o meno la festa dell’allegria sguaiata e dello scherzo sempre permesso; questo è certamente vero, ma non ci sarà forse anche dell’altro? Non sarà forse un problema culturale, una perdita o un fraintendimento delle origini di tutto? Una perplessità di fronte a ciò che non capiamo che ci porta a rifiutare il Carnevale, mentre una tendenza alla beffa e al gioco ad accettarlo? Per vedere cosa ne pensano i nostri concittadini sono andato a interpellarli proprio durante la tradizionale sfilata, nella fredda domenica di febbraio che anche Cervignano consacra al divertimento e alle maschere. Ecco di seguito alcuni commenti che partecipanti e spettatori hanno espresso nel corso dell’evento. MARCO SIMEON Giacomo Zanier, 15 anni: «Non mi piace per nulla il Carnevale, trovo che sia una festa sciocca e senza senso. Per meglio dire, un senso sicuramente c’era in origine, ma oggi non lo tiene presente nessuno: il senso sarebbe “schiumarsi” e fare scherzi? Il Carnevale non è altro che una scusa per poter fare baldoria in libertà e senza regole, senza nessuno che si stupisca o abbia qualcosa da ridire». Una menzione particolare merita il sig. P. Balli, di San Canzian d’Isonzo, cultore di ciclismo d’epoca e artefice dell’ottocentesca bicicletta di legno con cui si è presentato alla sfilata: «Per me il Carnevale è soprattutto un’occasione per esibire i prodotti del mio artigianato, le biciclette d’epoca che costruisco da solo e che uso per partecipare a prestigiose sfilate in tutta Italia, fra le altre quella di Viareggio. Oltre a questo c’è ovviamente una passione profonda per la festività in sé, che mi viene da un’antica e forte tradizione familiare». Daniela Burba, 16 anni, cowgirl del gruppo esploratori-guide: «La sfilata è stata meglio di quello che credevo, visto il tempo inclemente degli ultimi giorni e la conseguente defezione di alcuni carri importanti. Noi come scout, comunque, vediamo quasi come un dovere l’adesione al Carnevalfest, e in effetti il contributo dei gruppi associativi cittadini è fondamentale per dare colore a questa festa, peraltro assai importante per una città che non offre molte occasioni di divertimento. Io personalmente amo partecipare alle sfilate, meno assistervi; tanta gente invece non capisce l’essenza scherzosa e allegra di questa festa e la snobba completamente». Giulia Mari, 17 anni, in tenuta da “Cappellaio Matto” «Amo il Carnevale perchè è una festa allegra, e io credo di essere una persona molto solare. Coloro che lo criticano lo fanno probabilmente per ragioni caratteriali, perchè non sopportano la confusione e le feste pubbliche, o perchè si sentono a disagio con una maschera indosso. La manifestazione è senz’altro positiva per Cervignano; anche quest’anno, nonostante il tempo inclemente, l’affluenza di carri e gruppi, oltre che di pubblico, è stata buona». Fra gli spettatori d’eccezione ricordiamo gli immancabili vigili urbani, guardiani efficienti della sfilata. A titolo personale, dichiarano di non amare molto la festività, ma, a causa del loro lavoro, sono attivamente coinvolti nella sfilata: «È senz’altro un evento molto bello per Cervignano, tranquillo quanto a ordine pubblico e anche per la viabilità tutto sommato abbastanza semplice. L’unico problema è tenere uniti i carri durante la sfilata: a volte non è facile e si procede a rilento, e ciò provoca sempre animate proteste». Daniel Margarit, Muscoli, che ha sfilato con la moglie e il figlio piccolo: «Io partecipo alla sfilata con la mia famiglia e amo moltissimo questa festa, forse perchè ci sono affezionato: per me la partecipazione alle sfilate è una tradizione antica. Inoltre è divertente e la creazione dei costumi può dare molta soddisfazione, se si tratta di un lavoro ben fatto. Quella di Cervignano, lo dico io che ho preso parte a molte sfilate in tutta la regione, è senz’altro una manifestazione ricca e con buone prospettive di accrescimento. È anche bella per la sua genuinità, dal momento che i gruppi lo fanno per passione, senza ricevere un compenso in denaro, come avviene in altre città». Fabrizio Facchinetti, 17 anni, il cavaliere nero del carro “Alice nel paese delle meraviglie”: «Il Carnevale è bello. Secondo me, inoltre, al giorno d’oggi ha assunto un significato del tutto particolare: è come uno sfogo di gioia, un divertimento illimitato, uno dei rari momenti durante l’anno che ci permette di mettere da parte lo stress e darci alla “pazza gioia”. Riguardo alla sfilata, trovo che questa sia stata meglio delle precedenti, con un’organizzazione migliore». 10 VIAGGIO A di Vanni Veronesi 1 2 3 4 5 Ci sono persone che segnano per sempre la storia di un luogo, diventando con esso un tutt’uno inscindibile. È il caso di Luigi Chiozza e della villa, a Scodovacca, che ne ha preso il nome. Ho la fortuna di visitarla [>fig.1] a metà dicembre, proprio quando è in corso una mostra molto interessante intitolata La terra indagata e dedicata ai pionieri della ricerca scientifica applicata all’agricoltura e all’allevamento in Friuli (vedi in fondo): un percorso che si snoda fra i grandi nomi della chimica ottocentesca, da Louis Pasteur a Guglielmo Ritter, fino al nostro protagonista, uno dei massimi scienziati a livello europeo. Ad accogliermi e a guidarmi sono la dott.ssa Franca Cortiula, la dott.ssa Chiara Maran e due ragazze assunte per la mostra, Marta Monferà e Margherita Gimona: un ringraziamento a tutte e quattro è d’obbligo. Quella che vi apprestate a leggere è una delle storie più affascinanti che ricordi la nostra Cervignano: un tuffo in un passato di cui dobbiamo andare orgogliosi. Luigi Chiozza: vita, opere e amicizie Nato a Trieste il 20 dicembre 1828, Luigi Chiozza [>fig.2a] è rampollo di una famiglia di grandi imprenditori di origine ligure, trasferitasi a Trieste nel 1775 attratta dal porto franco. Erano anni di grande sviluppo economico: Trieste, porta d’Oriente e d’Occidente, vedeva arrivare genti da tutta Europa (e non solo) e, assieme ad esse, le idee e le culture. È in questa città straordinaria che Chiozza vive gli anni della sua giovinezza, per poi formarsi nei suoi studi a Milano, Ginevra e soprattutto Parigi, dove ha modo di lavorare nel laboratorio di Carlo Gerhardt, il padre della chimica organica. Tornato a Milano nel 1854, diventa insegnante di chimica, per poi dare le dimissioni dall’incarico quattro anni dopo, in concomitanza con la morte della moglie Pisana di Prampero. Non è ancora chiaro il motivo per cui lo scienziato, avviato ad una grande carriera - si sa che fu il primo a sintetizzare una sostanza aromatica -, volle ritirarsi a Scodovacca, nella villa ereditata dalla madre; di certo, fu una scelta del tutto meditata e non è casuale che proprio qui egli si sia dedicato a nuovi studi scientifici legati all’agricoltura. In quei tempi, i campi del Friuli e di gran parte dell’Europa erano attraversati da terribili malattie, come la pebrina per il baco da seta (spesso l’unica fonte di sostentamento per le famiglie) e la tignola, la filossera, la peronospora e l’oidio per la vite: veri e propri flagelli che hanno falcidiato le piantagioni di gelsi e i vitigni europei. Ma la situazione non si limitava a questi già gravi disastri: basti ricordare che nei nostri campi gli aratri erano ancora quelli del XVI secolo, mentre negli altri paesi era già in uso un aratro molto più pesante, capace di aumentare la produttività. Chiozza interviene in questa direzione: dimostra che, con opportuni investimenti, nelle sue campagne le famiglie coloniche sono in grado di lavorare il doppio dei terreni rispetto a prima, e con maggiori entrate; usa da pioniere i concimi chimici; è il primo italiano a introdurre nel nostro paese una trebbiatrice. Nel 1865, inoltre, fonda a Perteole la prima industria della Bassa Friulana, una fabbrica che oggi rappresenta un gioiello dell’archeologia industriale: la cosiddetta «Fredda» per l’estrazione dell’amido di frumento e in seguito per la lavorazione del riso, settori in cui diventa un campione di modernità; durante l’esposizione di Philadelphia (1876), presenta infatti un amido perfettamente bianco tratto dal mais, accolto con grande favore negli USA e di lì in Francia e Inghilterra (e non è azzardato pensare che proprio questo brevetto abbia favorito il grandissimo sviluppo dell’industria americana dei derivati del mais). Nel 1869, ritrova un’amicizia instaurata negli anni parigini: si tratta del grande Louis Pasteur [>fig.2b]. Lo scienziato francese era stato inviato dall’imperatore Napoleone III nelle tenute di Villa Vicentina, ospite di Elisa Bonaparte Baciocchi, per completare le ricerche sulle malattie del baco da seta: Chiozza capisce che è un’occasione da sfruttare al meglio e decide di allestire nella villa un laboratorio, dove lavorare a fianco del grande studioso. I risultati non tardano ad arrivare: individuata la causa della pebrina, i due riescono a porre le basi per il sistema cellulare di produzione del seme, avviando gli studi futuri alla soluzione del problema. Chimico, agricoltore, imprenditore: Luigi Chiozza è tutte e tre queste figure. E non solo. Il suo nome compare accanto ad altri grandi progetti: la costituzione della Società di Cabotaggio cervignanese, la canalizzazione delle cascate del Reno e soprattutto la straordinaria ferrovia Pontebbana, opera di altissima ingegneria. Il 21 maggio 1889 una grave affezione cardiaca lo porta alla morte: ha 61 anni e lascia in eredità, oltre alla villa e alla sua tenuta, un grande patrimonio di conoscenze e di libri (molte migliaia). La residenza [>in fig.3 è riprodotto il vecchio laboratorio] subisce le varie vicende dei suoi eredi; durante la Prima guerra mondiale, gli Austriaci cercano di salvare dalla distruzione un buon numero di volumi, trasferendoli a Vienna dove ancora oggi si trovano, lasciandone comunque la maggior parte in loco. Poi, anni di alterne fortune, fino a quando, nel 1970, l’intera proprietà viene acquistata dall’ERSA, che vi allestisce il Centro di educazione professionale per imprenditori agricoli. Il parco Un’estensione di 16 ettari e una varietà infinita di piante da tutto il mondo fanno del giardino di villa Chiozza il più grande e importante parco all’inglese del Friuli Venezia Giulia. Oggi è difficile immaginare l’aspetto originario del parco così come era stato voluto da Luigi Chiozza, poiché gli alberi e le piante sono cresciuti in modo disordinato; tuttavia, almeno la fisionomia generale non è cambiata. Non entro nei particolari botanici più specifici, non avendo la benché minima competenza in questo settore; mi affido per questo alla piccola pubblicazione offertami dalla dott.ssa Maran: «Alcune piante furono fatte pervenire addirittura da Parigi: è il UN UOMO, UNA STORIA: 6 7 8 9 11 CERVIGNANO OTTAVA PUNTATA VILLA CHIOZZA 10 11 12 caso di un esemplare di Sciadopis verticillata di cui non rimane traccia e della cui esistenza dà curiosa notizia la figlia Teresa, che vale la pena di ricordare, a riprova dell’amore di Chiozza per la natura: “...pochi giorni dopo si scatenò un fortissimo uragano e, temendo che la pianta potesse soffrire, corse a ripararla con l’ombrello e col mantello, rimanendo però inzuppato fino alle ossa”. Gli alberi importati furono felicemente accostati a soggetti preesistenti, tipici della flora locale, in particolare di farnia, carpino bianco ed acero campestre [...]». Nei primi del Novecento e poi negli anni Trenta il parco subisce alcune trasformazioni: «Nel sottobosco fu significativa l’introduzione da parte di Piero Chiozza delle violette e dei crochi che poi, grazie all’ombrosità ed alla freschezza del suolo, si diffusero notevolmente e tuttora ingentiliscono il parco». Oggi, a testimoniare ancora il disegno ideale di Luigi Chiozza ci sono i grandi spazi aperti [>fig.4] alternati a quelli più chiusi e affascinanti dei boschetti [>fig.5], mentre il piccolo fiume Pulvino scorre tranquillo ad Est [>fig.6]. Sicuramente originari anche l’enorme sequoia [>fig.7], vera e propria rarità, e il bellissimo sentiero dei carpini [>fig.8] che forma uno splendido cannocchiale puntato verso la villa, nonché il grande canneto di bambù [>fig.9], nel frattempo estesosi in maniera esponenziale e diventato un suggestivo bosco, fittissimo e popolato, come del resto tutto il parco, da ricci, lepri, caprioli e cerbiatti. Non so, invece, datare con sicurezza la realizzazione del laghetto delle ninfee [>fig.10]; tuttavia, era un ornamento che andava di moda nella seconda metà dell’Ottocento, per l’influenza dei giardini giapponesi. Ritengo ottocentesca, e ascrivibile proprio al Chiozza, anche la collocazione, nell’altura sopra il laghetto, dei due frammenti in >fig.11, piccoli resti di età romana forse trovati proprio qui, durante i lavori per la sistemazione del parco: rientrava nel gusto dell’epoca porre nei giardini alcune rovine, meglio se coperte dal muschio e inglobate dalla vegetazione. Rovine romane, ma anche rovine moderne: della vecchia serra [>fig.12] resta solo un rudere coperto dal verde, nell’attesa che un restauro adeguato la riporti alla luce. Ottimo, invece, il recupero del vitigno di Refosco [>fig.13] posto nei terreni dietro la villa: si tratta di uno dei ceppi più antichi del Friuli, ancor oggi vendemmiato pur nella limitatezza della sua produzione. Tutto attorno, un lungo recinto racchiude una vasta area popolata dai famosi cervi [>fig.14] che tutti, almeno una volta, abbiamo visto dalla strada attraversando via Carso: sembrano incuriositi a vedere il sottoscritto con la macchina fotografica e sono in molti a puntare lo sguardo verso il mio obiettivo... La villa Passando alla villa, mi conviene nuovamente citare dalla pubblicazione prima ricordata: «L’attuale complesso edilizio è costituito dalla villa, di probabile origine settecentesca, da un corpo a doppio U, i cui edifici si affacciano sul cortile posteriore della stessa, e da un villino, posto vicino all’ingresso di servizio». Nel 1904, durante la ristrutturazione del complesso, «la villa mutò radicalmente aspetto: essa fu rialzata di un piano, acquistando un carattere che si può definire ‘primonovecentista’, perdendo l’armonia architettonica che caratterizzava la costruzione precedente, di cui è testimone una cartolina di fine ‘800». Eccola, la cartolina: è la >fig.15. Comunque la si pensi, però, non si può certo dire che l’attuale costruzione non sia molto bella, tanto nella facciata quanto negli interni [>fig.16]. Una volta entrato, le mie quattro guide mi accompagnano lungo le stanze della residenza, illustrandomi i contenuti della mostra, composta da pezzi provenienti da vari musei locali e altri già qui presenti. Dagli strumenti usati da Chiozza e Pasteur [>fig,17, fig.18] ai bellissimi volumi di botanica giapponesi, davvero dei pezzi unici [>fig.19], fino alla interessante ricostruzione di un laboratorio scientifico ottocentesco: camminare in queste stanze è come fare un salto indietro nel tempo. Infine, il pezzo forte è all’ultimo piano: la camera di Luigi Chiozza. A voler essere precisi, si tratta di una ricostruzione, ma tutto il mobilio è assolutamente originale [>fig.20]: non nascondo di provare una certa emozione, quell’emozione che ci cattura quando ci troviamo davanti alle testimonianze concrete dei Grandi del passato. Perché Luigi Chiozza era uno di loro. 16 17 18 19 La Terra indagata - fino al 20/03/2008 (via Carso, 3 Scodovacca) Per informazioni: www.ersa.fvg.it Telefono: 0431 386711 13 14 15 20 12 EMOZIONI…D’ARTE Ivan Bidoli è nato nel 1933 nella vicina Fiumicello ed esercita la professione di pittore designer. Dal 1962 si è presentato al pubblico, sia in Italia che all’estero, con numerose mostre personali, ottenendo altrettanti riconoscimenti. Alta Quota è andato a fargli visita e l’esperienza è stata a dir poco affascinante. Oltre alla sua gentilezza e disponibilità, una delle prime cose che balza all’occhio è senz’altro il suo studio: tre grandi stanze ricche di suoi quadri alle pareti e angoli di laboratorio dove le nuove opere stanno prendendo forma. Una scritta dipinta sulla porta si nota subito: «L’arte è un appello a cui troppi rispondono senza essere chiamati». Una volta accomodati, il signor Bidoli comincia a presentarci dettagliatamente alcune sue opere, raccontandoci anche come sono nate: «Mi piace parlare perché rivivo le stesse emozioni». Così, in un clima amichevole e nello stesso tempo attraente, abbiamo trovato risposta alle nostre curiosità. - Signor Bidoli, ci può dire come è iniziata questa sua passione? «Ho frequentato il liceo artistico di Venezia, che mi ha fornito tutti i presupposti e requisiti per poter dipingere. Era la mia passione e l’ho sempre fatto. Mentre all’inizio mi mantenevo con piccoli lavori, da 25 anni a questa parte esercito la professione vera e propria». - Ci presenta le sue opere? «Devo essere emozionato e anche colpito nel cuore per dipingere. Lavoro su emozioni, mi ritengo un trasmettitore di emozioni. Se provo qualcosa devo subito “scaricarla” nella pittura. È un concetto per me fondamentale, che ci tenevo a sottolineare». - Cosa ci può dire riguardo alla sua tecnica di pittura? «Mentre le prime mostre collettive dopo il liceo erano incentrate sull’uso dell’acquerello e della tecnica ad olio, la mia vera personalità l’ho trovata in quella che tuttora è la mia tecnica: una tecnica che col tempo è stata perfezionata e che è da tutti riconosciuta come unica. Lavoro a spatola, uso acrilici e smalti. Inizialmente sovrappongo un primo strato, passo la vernice e poi ne sovrappongo un altro. Inoltre, mescolo colori per vetro e lacche, capaci di dare quell’effetto di trasparenza e quegli effetti cromatici che mi sono caratteristici. Ci vogliono una decina di giorni per ottenere questo risultato, ma ti garantisco che, alla fine, ne sono entusiasta. Inoltre, a seconda della luce, le sfumature cambiano. Per esempio, una persona a cui avevo venduto un quadro, dopo alcuni giorni si ripresenta nel mio studio e mi dice: “Ogni giorno lo vedo completamente diverso”». - Quali sono le sue tematiche principali? «Qui mi dilungo volentieri, l’argomento è fondamentale. Come ti ho detto prima, devo essere emozionato per dipingere: una cosa deve prendermi particolarmente. Ti parlo per esempio della gioia della primavera, della bellezza della donna. Ho dipinto, e ne sono legatissimo, molti personaggi di Fiumicello di 40 anni fa, ma non quelli famosi e ritratti in fotografia come il sindaco, la maestra o il medico che sia, bensì quelli “tipici”, “strambi”, molto spesso gente sola, ma che comunque nella sua felicità mi dava emozioni fortissime. Ecco, io rappresento la loro personalità: ai miei tempi si godeva con pochissimo, le gioie e le felicità erano date da poco, molto poco. Nel mondo di oggi, ormai, ci sono continue pressioni a comprare, a consumare, ad avere di più, a cercare la firma. Il lusso non fa godere la vita; anni fa c’era tanta più gioia di vivere. In base a questo, altre mie opere sono incentrate su momenti di satira della vita odierna, molto spesso in una specie di confronto e paragone rispetto ad anni fa». - Dove ha esposto le sue opere? «Di mostre ne ho fatte parecchie, sia in Italia che all’estero. Oltre a molti paesi del Friuli, le mie opere sono state esposte anche a Firenze, Roma, Venezia, Milano, Grosseto, Padova, Bergamo. All’estero a Stolberg (Germania), Parigi, Barcellona, Siviglia, New York, Bucarest, Hong Kong, Bangkok, Singapore. Ho viaggiato tantissimo e ho conosciuto molte culture e posti nuovi. Sono innamorato dell’Oriente, e tra tutti i viaggi che ho fatto è stata Singapore a colpirmi di più: una città pulitissima, ordinatissima». - Qual’è l’ opera a cui è più legato? «Poiché tutti i quadri che dipingo nascono da emozioni, sono legato a tutti. In linea di massima cerco di non vendere subito l’ultimo quadro, perché devo guardarmelo ancora per un po’, essendone ancora sentimentalmente legato! In realtà c’è un quadro che non venderei mai, a nessun prezzo. Si tratta di “Filo”, ovvero la rappresentazione di questo personaggio di Fiumicello che, tanti anni fa, veniva a vangare l’orto». - Che importanza ha per lei il riconoscimento degli altri? «Il giudizio positivo di un’altra persona è qualcosa che gratifica, fa piacere e dà la carica per continuare. Ma io dipingo per me, per le mie emozioni. Ovviamente, in fondo, c’è sempre la paura che la gente non apprezzi o, ancora peggio, non capisca quello che dipingo». ALBERTO TITOTTO STA RITORNANDO... “CROSSROADS”! Il primo appuntamento è in Ricreatorio San Michele VENERDÌ 29 FEBBRAIO ore 20.45 - sala “Don Bosco” per parlare di “Ambiente e sviluppo”. Ospite il prof. FRANCO BATTAGLIA Docente di Chimica Ambientale all’Università di Modena e redattore de “Il Giornale”. NON MANCATE! 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