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Sembra che in Calabria – come altrove – vincano sempre i cor

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Sembra che in Calabria – come altrove – vincano sempre i cor
La colomba della pace
4 - 2012
LA VITA
La vita è opportunità, coglila!
È bellezza, ammirala!
È sogno, fanne una realtà! Sfida, affrontala!
Dovere, compilo! Gioco, giocala! Amore, godine!
Ricchezza, conservala! Mistero, scoprilo!
Promessa, adempila! Tristezza, superala!
La vita è un inno, cantalo! E’ una lotta, accettala!
Avventura, rischiala! Felicità, meritala!
La vita … è la vita, difendila!!!
Madre Teresa di Calcutta.
“Premio Impegno per la pace” 1982
della fondazione Gianfrancesco Serio
30
Sembra che in Calabria – come altrove – vincano sempre i corrotti, i furbi, i violenti … Non importa. Tu spera e fai trionfare la
Giustizia …
Sembra che la società sia indifferente di fronte alla fame dei popoli dell’Africa e di tant’altre parti del mondo … Non importa,
tu scegli la solidarietà …
Sembra che stiano vincendo l’individualismo gaio, il fondamentalismo cieco … Non importa … Difendi la dignità dell’uomo che è
una ricchezza inesauribile, come l’intelligenza e l’amore!
Fai fiorire nel tuo cuore la pace che non è una virtù, non è negoziabile (come i beni di consumo), non si acquista al mercato, non
la si esporta, né la si difende con le armi … ma con la libertà, con
l’esempio e la testimonianza …
La Pace è frutto di virtù, è silenziosa come un bosco che cresce …
La Pace è il seme del bene comune. Il seme sei tu, giovane, che
cresci e ti carichi di semi … che nemmeno in tempo di carestia
puoi mangiare se vuoi che diventino … semi per altri giovani che
promuovono la vita … buona e onesta … (gs)
Qualeducazione
La violenza somiglia al bosco che brucia e s’incenerisce …
79
Sped. in A.P. 45% - Art. 2 comma 20/b Legge 662/96 - DCO/DC-CS/133/2003 Valida dal 17-03-2003
Qualeducazione
Per un dialogo libero in Europa - Trimestrale internazionale di Pedagogia
Giuseppe Serio, direttore scientifico
Walter Pellegrini, direttore responsabile
Filomena Serio, segretaria di redazione
Direzione-Redazione:
Viale della Libertà, 33
87028 PRAIA A MARE
Tel. e Fax (0985) 72047
Amministrazione: 87100 Cosenza
Via Camposano, 41 - Cas. Post. 158
Gruppo Periodici Pellegrini
Tel. 0984 795065 - Telefax 0984 792672
E-mail: [email protected]
Qualeducazione è una rivista del Gruppo Periodici Pellegrini:
Nuova Rassegna di Studi Meridionali, Letteratura &
Società, Giornale di Storia Contemporanea,
Incontri Mediterranei, La Questione
Meridionale, Labirinti del Fantastico, Voci,
Crocevia, Fata Morgana.
Comitato scientifico: Dietrich Benner (università di
Berlino), Franco Blezza (università di Chieti), Michele Borrelli (università della Calabria), Luciano Corradini (università di Roma3), S. Serenella Macchietti
(università di Siena), Gaetano Mollo (università di
Perugia), Antonio Pieretti (pro-rettore università
di Perugia), Jörg Ruhloff (university of Wuppertal,
Germany), Concetta Sirna (università di Messina),
Giuseppe Spadafora (università della Calabria), Giuseppe Zanniello (università di Palermo).
Comitato di Referees: Sergio Angori (università di
Siena), Massimo Baldacci (università di Urbino), Carlo Borgomeo (presidente Fondazione per il Sud), Michael Byram (univ. Durham, England), Carlo Nanni
(rettore dell’università salesiana), Dietrich Benner
(università di Berlino), Jörg Ruhloff (university of
Wuppertal, Germany), Gaetano Mollo (università di
Perugia), Stefania Paluzzi (università di Chieti), Antonia Rosetto Aiello (LUMSA Caltanissetta), Daniela
Grieco (pedagogista in Vicenza), Marisa Di Clemente.
RedazionE: Franco Blezza (Univ. G. D’Annunzio,
Chieti), Emilia Ciccia (ricercatrice), Vincenzo Pucci,
Giovanni Villarossa (Presidente nazionale UCIIM),
Filomena Serio.
RedazionE EUROPEA: Michele Borrelli (Univ.
della Calabria).
Libri (per recensione) e riviste (per cambio) debbono essere inviati al direttore della
rivista: Giuseppe Serio, Viale della Libertà, 33 - 87028 PRAIA A MARE (Cosenza)
Periodicità trimestrale - Anno XXX - N. 4 (ottobre-dicembre 2012) - Fascicolo N. 79 Abbonamento - annuale E 26,00 con il suppl. “Vivere la nonviolenza”; estero il doppio; un numero E 6,00 - Iscrizione R.O.C. n. 316 del 29/08/2001 (* Gli abbonamenti
s’intendono rinnovati automaticamente se non disdetti 30 gg. prima della scadenza).
Autorizzazione del tribunale di Cosenza - Iscr. Registro Nazionale della Stampa n.
00969 del 29-8-1983 - c.c.p. n. 11747870 intestato a Luigi Pellegrini Editore - Via
Camposano, 41 - 87100 Cosenza
Fotocomposizione: Pellegrini Editore
Per un dialogo libero in Europa
Rivista internazionale di Pedagogia
Nata nel 1982 – quando sembrava, come ancora sembra imminente
l’eclissi dell’educazione – questa rivista si propone al mondo della
scuola e dell’università come un progetto che si realizza con il dialogo
libero, plurale, aperto in continuità per approfondirlo tra un convegno
e l’altro che la fondazione Serio affida alla discussione della Comunità scientifica internazionale a cui aderiscono studiosi di alta qualità
e varia collocazione culturale.
La rivista – sin dall’origine – si configura come comunità scientifica
dialogante, disponibile all’incontro, al confronto costruttivo tra persone, istituzioni, associazioni e, grazie alla sua apertura, è cresciuta e
cresce producendo cultura.
Quando l’editore Pellegrini mi affidò la direzione avvertii, come avverto tuttora, l’esigenza di dare più forza alla cultura che privilegia
le problematiche concernenti la dignità della persona prescindendo dal
colore della pelle, dalla fede religiosa, dall’orientamento politico …
In 30 anni di presenza in Italia e in Europa, 79 fascicoli, settemila
pagine, chiede di poter continuare il suo discorso in un momento difficile della storia dell’educazione, un bel tempo per la libertà dell’uomo
e del cittadino.
Nota: L’abbonamento alla rivista è di E 26.00 da versare sul ccp N. 11747870,
intestato a Pellegrini Editore, Via Camposano, 41 – 87100 Cosenza.
Dai siti www.associazionegianfrancescoserio.it – www.progettolegalita.org. si
possono leggere gli ultimi 5 fascicoli, l’elenco dei collaboratori, l’impianto scientifico della rivista e il progetto “Costituzione e cittadinanza – Promozione della
legalità”.
I collaboratori di Qualeducazione
Giuseppe Acone, Aldo Agazzi (†), Silvana
Aguggini (†), Grazia Angeloni, Fabrizia Antinori, Karl-Otto Apel, Antonio Augenti, Ilaria
Attisani, Theodor Ballauff, Imma Barbalinardo, Giuseppe Barbarino, Nicoletta Bellugi, Dietrich Benner, Armin Bernhard, Anna
Bisazza Madeo, Franco Blezza, Lamberto
Borghi (†), Carlo Borgomeo, Michele Borrelli,
Wolfgang Brezinka, Maria Anna Burgnich,
Wilhelm Büttemeyer, Dieter Buttyes, Michael
Byram, Mimmo Calbi, Pasquale Cammarota
(†), Francesca Caputo, Tommaso Cariati,
Alessia Casoni, Bernat Castany Magraner,
Pier Giuseppe Castoldi, Francesco Castronuovo, Elide Catalfamo Favet, Giuseppe
Catalfamo (†), Vittoria Cavallai, Manuela
Cecotti, Lucia Cibin, Sergio Cicatelli, Emilia
Ciccia, Giuseppina Colaiuda, Ignazio Dario
Collari, Enza Colicchi, Ornella Comuzzo,
Eva Corradini, Luciano Corradini, Piero
Crispiani, Armando Curatola, Augusto Cury,
Emilio D’Agostino, Guido D’Agostino, Antonio
D’Aquino, Elio Damiano, Maria Ermelinda De
Carlo, Luisa Della Ratta, Tullio De Mauro,
Severino De Pieri, Paolo De Stefani, Lorenzo
Di Bartolo, Salvatore Di Gregorio, Walter Di
Gregorio, Adele Diodato, Vincenzo D’Onofrio,
Concetta Epasto, Armando Ervas, Michele
Famiglietti (†), Marisa Fallico, Marcella Farina, Antonio Fazio, Otto Filtzinger, Giuseppe
Fioroni, Franco Frabboni, Barbara Gaiardoni,
Lauro Galzigna, Hans-Jochen Gamm, Roberto Gatti, Mario Gennari, Andrea Giambetti,
Fatbardha Gjini, Franco Severini Giordano,
Guido Giugni (†), Maria Angela Grassi, Anna
Maria Graziano, Giovannella Greco, Adelina
Guerrera, Vincenzo Guli, Giuseppe Guzzo
(†), Hartmut Von Hentig, Eugenio Imbriani,
Nunzio Ingiusto, Massimo Introvigine, Isabel Jiménez, Fatane Hassani Jafari, Amik
Kasaruho, Maria E. Koutilouka, Edmondo
Labrozzi, Mauro Laeng (†), Marino Lagorio,
Nico Lamedica, Giuseppe Lanza, Raffaele
Laporta (†), Valeria Lenzi, Isabella Loiodice,
Sira Serenella Macchietti, Francesco Maceri,
Alessandro Manganaro, Giuseppe Manzato,
Ugo Marchetta, Maddalena Marconi, Lucia
Mason, Louis Massarenti, Giuseppe Mastroeni, Giovanni Mazzillo, Nomberto Mazzoli, Mario Mencarelli (†), Gaetano Mollo, Maria
Monteleone, Daria Morara, Paola Bernardini
Mosconi, Marina Mundula, Carlo Nanni, Walter Napoli, Stefano Orofino, Anna Paladino,
Roberto A. Paolone, Cecilia Parisi, Anna
Maria Passaseo, Anna Paschero, Luigi Pellegrini, Angela Perucca, Enzo Petrini, Rosaria
Picozzi, Antonio Pieretti, Gustavo Pietropolli
Charmet, Lucrezia Piraino, Antonio Pisanti,
Gianni Pittella, Andrea Porcarelli, Livio Poldini, Clide Prestifilippo, Alessandro Prisciandaro, Vincenzo Pucci, Marco Pasqua, Maria
Moro Quaresima, Francesco Raimondo,
Giusy Rao, Elena Ravazzolo, Paolo Raviolo, Micheline Rey, Aurelio Rizzacasa, Rosa
Grazia Romano, Antonia Rosetto Ajello,
Elisabetta Rossini, Angelo Rovetta, Franca
Ruggeri, Maria Antonietta Ruggeri, Morena
Ruggeri, G. Carlo Sacchi, Elisabetta Salvini,
Alessandra Samarca, Graziella Sanfilippo
Scuderi, Bruno Schettini (†), Pantaleone
Sergi, Filomena Daniela Serio, Alessandra
Signorini, Andrei Simic, Concetta Sirna, J.J.
Smoliez, Angela Sorge, Giuseppe Spadafora,
Gianfranco Spiazzi, Francesco Susi, Anna
Pia Taormina, Ermanno Taracchini, Gennaro
Tedesco, I. Testa Bappenheim, Alessandra
Tigano, Rosanna Tirelli, Enrica Todeschini,
Giuseppe Trebisacce, Mario Truscello, Laura
Tussi, Elena Urso, Pierre Vayer, Giovanni
Villarossa, Claudio Volpi (†), Giorgio Vuoso,
Giuseppe Zago, I. Zamberlan, Alex Zanotelli,
Antonino Zichichi, Corrado Ziglio.
SOMMARIO - Fascicolo 79/2013
EDITORIALE
PER DIALOGARE NELLA VERITÀ
di Giuseppe Serio........................................................................................ 3
IL DIALOGO DELLA SCUOLA ITALIANA CON L’EUROPA
by Gianni Pittella........................................................................................ 8
EDUCARE È UN ATTO DI AMORE
di Sira Serenella Macchietti....................................................................... 10
SCUOLA, “SAPERI”, “EDUCAZIONI”, “CITTADINANZA E
COSTITUZIONE”
di Luciano Corradini.................................................................................. 17
DIALOGARE PER COOPERARE
di Gaetano Mollo ........................................................................................ 25
IL DIALOGO ODIERNO, COME FORMA D’AIUTO E D’ESERCIZIO
PROFESSIONALE PEDAGOGICO
di Franco Blezza.......................................................................................... 32
COMUNICAZIONE E DIALOGO. RIFLESSIONI SULLA
CONOSCENZA E CRESCITA UMANA
di Grazia Angeloni...................................................................................... 41
DALLA SOFFERENZA ALLA SPERANZA. UN PERCORSO
DIALOGICO PER LA MATURAZIONE DELLA PERSONA
di Rosa Grazia Romano.............................................................................. 46
IL DIALOGO COME RECIPROCO ASCOLTO
di Vincenzo Pucci........................................................................................ 60
MAIEUTICA, AUTO-PROGETTO, RAPPORTO EMPATICO CON
L’ALTERITÀ: ATTUALITÀ DELLA PROPOSTA PEDAGOGICOSOCIALE DI ANTONINO MANGANO
di Antonia Rosetto Ajello............................................................................ 69
QUALE DIALOGO PER LA COSTRUZIONE DEL BENE COMUNE
di Concetta Sirna........................................................................................ 80
LA MEDIAZIONE CULTURALE COME STRATEGIA PER
FACILITARE IL DIALOGO
di Fatane Hassani Jafari........................................................................... 96
IL DIALOGO ELEMENTO PORTANTE DEL VATICANO II
di Giovanni Mazzillo...................................................................................103
DIALOGARE E TESTIMONIARE PER EDUCARE IN UNA SOCIETÀ
IN CRISI
di Giovanni Villarossa................................................................................108
IL DIALOGO FORMATIVO INTERCULTURALE PER LA SCUOLA
DEMOCRATICA
di Giuseppe Spadafora................................................................................111
Editoriale
Per dialogare nella verità
Trent’anni di promozione della cultura di pace
di
GIUSEPPE SERIO*
Nel corso del convegno internazionale sul tema “Educazione alla pace. Un progetto per la
scuola degli anni ’80” pensai che sarebbe stato interessante far conoscere ai lontani dal convegno le tematiche affrontate da pedagogisti cattolici, laici e marxisti al fine di far continuare il dialogo tra un convegno e l’altro della fondazione Serio. Nel 1982, perciò, nacque
questa rivista che fu presentata ai partecipanti del convegno sul tema “I Valori socio-politici nella vita giovanile”; allora, la rivista recava come sottotitolo “Per un dialogo libero nel
Mezzogiorno” (e l’ha mantenuto fino al fascicolo 30; a partire dal 2000 ha assunto, l’attuale).
Il dialogo a distanza ha giovato veramente al lavoro della comunità scientifica che via via
si è costituita intorno agli interessi culturali della fondazione Serio. Credo che sia giusto
ricordare che i Programmi didattici del 1985 dell’allora scuola elementare, raccolsero l’invito di promuovere la cultura di pace nella scuola.
Abstract:
To celebrate 30[=thirty!] years of
this magazine («QE: for a free dialogue
in Europe) we present the contributions
of collaborators and friends of Qualeducazione [=What Education?]: (Sira Serenella Macchietti, Luciano Corradini,
Gaetano Mollo, Franco Blezza, Grazia
Angeloni, Rosa Grazia Romano, Vincenzo Pucci, Rosetto Ajello, Concetta Sirna, Fatane Hassani Jafari, G. Mazzillo, G. Villarossa, Giuseppe Spadafora)
which expose their points of view on the
“concept”(noema) and practice(praxis) of
dialogue in contemporary world, look-
* Direttore del Centro studi per la promozione
della pedagogia dell’Associazione Pedagogica Italiana - Direttore scientifico di Qualeducazione.
ing from the Old Europe, the birthplace
of Socrates and Thomas Aquinas.
Il tema scelto per questo fascicolo
(che celebra i 30 anni della rivista) s’incentra sulla variegata e polisemica parola/chiave del sottotitolo della rivista;
cioè, il dialogo inter-personale; interculturale tra popoli, razze e stati; inter-religioso tra le chiese; educativo e politico
nelle varie istituzioni educative.
Ogni contributo per questo fascicolo speciale da parte di chi ha accettato di collaborare, vuole essere un atto
di chiarimento per l’Europa che ha il
dovere di scoraggiare ogni tentativo
di far prevalere il pensiero unico che
cerchi di aprirsi una porta entrando
come portavoce di un neo-razzismo vellutato proprio nell’Europa dei popoli,
QUALEDUCAZIONE • 3
delle culture e degli stati che s’impegnano a realizzare la democrazia del
dialogo politico e culturale che è una
grande ricchezza del pensiero libero in
un mondo che si libera dalla schiavitù
del potere finanziario e dalle urla dei
falsi democratici.
Dopo trent’anni, la rivista, presenta un nuovo progetto culturale che affonda le sue ragioni nella Costituzione
italiana che parla all’uomo, cittadino
di ogni tempo, e lo invita a volare alto
guardando la stella polare delle regole
condivise evitando di volare rasoterra,
di precipitare ancora là, dove l’assolutismo e il fondamentalismo lo riducono
al silenzio, alla morte del pensiero vivo
e della libertà, dono sublime di Dio alla
persona umana.
***
Sira Serenella Macchietti ritiene che
il dialogo sia un atto di amore riferendosi particolarmente al discorso di Benedetto XVI del 19.X.2006 per il quale
l’“esercizio della carità intellettuale” è
un’opera educativa della persona che,
in questa società in evoluzione, deve
essere assolutamente forte e coraggiosa perché – aggiunge – l’educazione
deve essere “illuminata dalla ragione
e dalla fede”.
In tal modo, il dialogo “allarga gli
orizzonti della razionalità” per promuovere la città dell’uomo che “esige relazioni di gratuità, misericordia e comunione” che sono le condizioni per realizzare la relazione di amicizia fra le persone e i popoli.
Il secondo contributo è di Luciano
Corradini, conoscitore dei tre modelli di scuola che si sono consolidati nel
secolo scorso (centralistico-burocrati4 • QUALEDUCAZIONE
co; partecipativo-democratico; autonomistico-manageriale) sul cui sfondo la
scuola sembra essere un apprenditoio
senza la struttura di cui si vantavano
gli studenti di Agrigento al tempo del
Progetto giovani, quella di saper usare
la testa pensante.
Il dialogo educativo è l’opportunità
offerta alla scuola per dibattere i temi
dei diritti umani, del valore della salute,
della sessualità, dell’inter-cultura, della Costituzione con cui si può prevenire la ludopatìa se la scuola sa istruire,
educare, formare i giovani mediante lo
svolgimento delle attività che li aiutino a crescere insieme come protagonisti e cittadini attivi. Dunque, i “saperi
diventano formativi se vengono … integrati, elaborati, assimilati …”. Corradini conclude il suo contributo richiamandosi all’art.1 della L 30.10.2008 che impegna la scuola ad assicurare agli studenti una acquisizione graduale di conoscenze e competenze che aiutino il
giovane a formarsi anche mediante la
prassi dialogica.
Il terzo contributo è di Gaetano Mollo secondo cui “al centro di ogni situazione volta alla comprensione deve esserci sempre il dialogo in atto, vivo, rispettoso, collaborativo e costruttivo”,
volto a “superare steccati e presunzioni di superiorità” e caratterizzato dall’ascolto empatico e attivo fra i dialoganti.
La comprensione fra persone e culture,
oggi, è per Mollo la sfida della pace che
implica rispetto reciproco e autentico di
soggetti “costruttori di ponti e creatori
di condivisioni”.
Franco Blezza, titolare della rubrica
Ricerca e innovazione educativa e didattica della rivista, si richiama a Socrate,
il primo grande teorizzatore del dialogo
e primo filosofo che “interpretò corret-
tamente il responso dell’oracolo di Delfi” scoprendo i limiti del dialogo avente,
come punto di partenza, la conoscenza
di sé (“ghnòthi seautòn”) e come punto
d’arrivo il riconoscimento della propria
ignoranza. Perciò, la scelta del tema è
attuale, “specificamente pedagogica, a
questo proposito”. Mollo analizza questo “strumento rigoroso di comunicazione interpersonale” facendoci dono
di una sintesi organizzata del dialogo
nell’evoluzione filosofico-pedagogica, a
partire da Socrate fino a Sant’Agostino e a Galilei.
Segue a questo, l’articolo della Angeloni che affronta la tematica del progresso della scienza e della tecnica per
evidenziare l’impreparazione dell’uomo
di fronte ai risultati e alle opportunità
offerte da tale evento e all’ incapacità di
contrapporre un risvolto orientato alla
volontà di dialogare per superare la logica dell’isolamento e dell’indifferenza.
Rosa Grazia Romano si propone di
aiutare la persona ad oltrepassare o superare i contrasti confidando nel perdono e cercando la pace interiore, momento indispensabile per superare la
sofferenza, oltrepassarla, vincere la inquietudine, l’incomunicabilità superando fatica, affanni, soprattutto, imparando a perdonare per vincere la solitudine. Il vero desiderio implica l’imparare
ad attendere, ad ascoltare gli altri, particolarmente se sono diversi. Insomma,
il ‘perdono’ fa bene a chi lo concede e a
chi lo riceve: è il segreto per star bene
con se stessi e gli altri vivendo nella società globale e disorientata.
Vincenzo Pucci (curatore della Rubrica aperta per un dialogo costruttivo
della rivista) ritiene che il dialogo autentico sia quello primordiale, quello
dell’uomo con Dio che “è ascolto reci-
proco nel silenzio torrenziale d’Amore”;
un dialogo difficile nel mondo egoistico,
cinico, urlante in cui ci troviamo a vivere. Il dialogo è il tentativo d’imparare ad ascoltare davvero l’interlocutore
perché un autentico e reciproco ascolto,
pur se raro, può rinnovare la vita sul
pianeta. Nel mondo com’è ora, però, domina il dialogo fra sordi o il monologo
dei potenti. “Insegnare stanca” a scuola – dove soprattutto s’impara poco e
male – ed “educare è faticoso”; lo è anche nella famiglia, in ogni ambito della
società frammentata.
La politica – esercizio di potere, non
servizio ai cittadini – è un cattivo esempio che sbilancia la testimonianza degli onesti che rispettano i valori, vanno contro corrente, ancorati alla carità
nella verità, nella giustizia, nella libertà e non a favore della massa grigia degli ignavi e degli opportunisti.
Antonia Rosetto Ajello coglie “l’occasione per ricordare Antonino Mangano (scomparso nel 2010) frequentatore
degli appuntamenti della fondazione
Gianfrancesco Serio, autore di articoli
che hanno trovato spazio in questa rivista e negli Atti di alcuni convegni; convinto sostenitore del suo progetto culturale”. L’amicizia con Danilo Dolci è
stata per Mangano “l’occasione per confrontarsi con una personalità stimolante e poliedrica con cui condivideva l’amore per la natura”. La pedagogia maieutica di Mangano si “coglie nel modo
d’interrogare la realtà sociale”; “nell’analisi dei bisogni dell’era planetaria” e
nella scoperta di un’etica fondata sul
rispetto e sull’apertura alle persone.
Per Mangano, collaborare è rielaborare l’esperienza, fare chiarezza mediante “l’ascolto attivo di chi è chiamato a
comprendere”. Secondo Rosetto Ajello,
QUALEDUCAZIONE • 5
“la maieutica richiede anche un conflitto che è essenziale come la diversità”.
L’intervento della Sirna integra
quelli affrontati da R. G. Romano, Rosetto Ajello e Pucci. Il mondo contemporaneo sta cercando di affrontare il dialogo in ambito planetario; ma la pedagogista messinese ritiene inadeguate sia
le teorie liberiste di orientamento individualistico sia quelle ispirate ai vari
comunitarismi. Entrambe, infatti, pur
veicolando alcuni principi accettabili,
risultano nel complesso riduttive e dagli esiti spesso problematici.
Il discorso che affronta la Sirna vuole soprattutto mostrare l’urgenza di promuovere la costruzione di una comunità
umana capace di realizzare il bene comune e metterlo a frutto col contributo
di tutti. Ma ciò non è facile. Lo riconosce
lei stessa che non è un’impresa semplice orientare le persone nella costruzione del mondo socio-economico solidale.
Non è nemmeno facile avviare un processo di sviluppo inclusivo dei soggetti
che vivono ai margini della società. Nel
mondo contemporaneo sono molti quelli
che preferiscono vivere nell’indifferenza, sia nei confronti degli ultimi della
terra … che per la possibilità di contribuire alla realizzazione del bene comune. Infatti, molte persone non dialogano
né politicamente né eticamente perché
sono concentrate egoisticamente su se
stesse e non sentono il bisogno di cercare la verità e l’amore per la vita …
A questo punto mi sembra giusto accogliere qui il contributo di Fatane Hassani Jafari, pedagogista iraniana, che
affronta il difficile progetto del dialogo
tra bambini indigeni e bambini stranieri, sono quelli che si trovano a vivere in
una realtà scolastica spesso confusa e
disorientata proprio perché diversa e
6 • QUALEDUCAZIONE
differente da quella di appartenenza.
L’A. lo fa raccontando la sua esperienza di mediatore culturale e di migrante in Italia.
Perciò, analizza con specifica competenza le tante e varie difficoltà che incontrano i bambini stranieri nel nostro
Paese, diverso dai loro; sono differenze
di popolo, di cultura, di religione, di comunicazione linguistica … non facile da
superare, ridurre, compensare … nella
società globale … e anche in un Paese
come il nostro dove c’è anche la realtà
della Padania in cui, purtroppo, alcuni
genitori insegnano ai loro figli di cambiare strada se incontrano il demonio
(il bambino extra-comunitario) e, anche
se si trovano a vivere in ambiente accogliente e aperto, devono, comunque, superare le normali difficoltà; occorre pur
sempre soddisfare i bisogni dei bambini
che frequentano la scuola sprovvista del
mediatore (MLC) che sa e può alleviare
o attenuare e, forse, anche contrastare
le tante differenze.
Al contributo di Fatane Hassani Jafari, iraniana, si affianca quello di don Giovanni Mazzillo, teologo della pace, che
osserva la Chiesa sul versante dell’auto-comprensione (Chiesa, chi sei?) e su
quello del rapporto con la realtà esterna (Chiesa, cosa dici del mondo e del suo
futuro?) proponendoci un dialogo ad intra e ad extra, che “innerva i due aspetti” ponendosi a fondamento della costituzione della Chiesa a cinquant’anni dal
Concilio Vaticano II, che vuole capirsi e
capire l’altro, anzi, gli altri. Il Concilio
guarda l’uomo, il suo futuro, in un dialogo che si fa “simpatia”, cioè, si fa “una
sola cosa”, chiesa e mondo, una coscienza dialogante che si manifesta esprimendosi con il “linguaggio dell’amore”che è il
dialogo fondamento della Parola.
Villarossa – docente “in progress” –
ha percorso tutto l’ordinamento scolastico dalla primaria alla secondaria di
secondo grado; è stato dirigente scolastico; cura la Rubrica Autonomia Dirigenza Progettualità di questa rivista;
fino a dicembre 2012 è stato presidente
nazionale dell’UCIIM. Il suo contributo
vuole dare chiarezza all’orizzonte della
scuola cattolica in Italia; interpreta il
dialogo come strumento educativo fondato sulla testimonianza ispirandosi,
appunto, alla sua multiforme carriera
di persona impegnata nell’associazionismo. Il ‘testimone vero’ – dice – ‘comunica ciò che passa in prima istanza attraverso se stesso’.
L’educazione mediante il dialogo è
testimonianza in quanto è anche ricerca dei punti strategici con cui si può capire il mondo vario e variopinto nei volti di bambini e ragazzi che frequentano
la scuola italiana aperta a tutti nell’accoglienza solidale… ed anche civile …
Il contributo di Spadafora conclude
il fascicolo speciale della rivista. Dopo
la significativa premessa, svolta particolarmente in chiave filosofica, appositamente scelta, interpreta il dialogo formativo partendo dal tema del concetto
di formazione che egli esplora alla luce
della tradizione filosofica e pedagogica che spesso s’incrocia e sovrappone a
tale riguardo.
La dimensione dello sviluppo psicobiologico del soggetto è vicina alla ‘vita
interiore’ che è “un fenomeno complesso” che si spiega con “le azioni umane
e attraverso l’interpretazione filosofica” per cui il processo formativo “esprime situazioni di crescita e di sviluppo”.
Le dimensioni del dialogo formativo,
scrive Spadafora, sono nel progetto che
si caratterizza nel pensiero e nella co-
municazione; il momento noetico è più
complesso nel rapporto tra mente pensante e corpo agente. Il dialogo si qualifica per le sue varie dimensioni: “intersoggettività, come problema filosofico”;
la relazione etnico-culturale-religiosa,
come “caso limite di dialogicità”; la tolleranza, “come nodo della cultura illuministica e liberale” e come rispetto nella reciprocità o nella “percezione dell’alterità quale riconoscimento che preannuncia l’azione inter-soggettiva.
Una seconda qualificazione, aggiunge l’A., è data dalla piattaforma valoriale e condivisa; la terza forma di dialogicità è l’integrazione /inter-azione dei
valori condivisi. Infine, il dialogo interculturale scolastico che, secondo il pedagogista calabrese, dipende “dal ruolo
culturale” e dalla “dimensione politica”
del docente, inteso come medium di cui
si sono interessati qui Luciano Corradini inizialmente e, nel precedente intervento, Giovanni Villarossa.
Giustamente, ci ricorda Vincenzo
Pucci, il dialogo, in un mondo in cui prevalgono gli urlanti che intimoriscono le
persone semplici, si avverte l’urgenza di
ricominciare dalla famiglia, dalla scuola
a parlare nella verità in maniera libera e, soprattutto, aggiungerei, considerando gli altri come titolari degli stessi
diritti e degli stessi doveri che fanno di
ognuno una persona unica e irripetibile “in fieri”, in crescita permanente …
Un sincero, caloroso ringraziamento all’on. le Gianni Pittella – primo Vicepresidente del Parlamento europeo
– per il suo intervento e al Presidente
della Commissione europea, onorevole
Josè Manuel Barroso, che ha concesso
il patrocinio morale a questo fascicolo
speciale della nostra rivista che celebra
30 anni di attività scientifica in Europa.
QUALEDUCAZIONE • 7
Il dialogo della scuola italiana
con l’Europa
The dialogue of the Italian school with Europe
by
GIANNI PITTELLA*
Riassunto:
Mi sembra giusto premettere una
breve riflessione sulla situazione in cui
si trova attualmente la scuola italiana
di cui si è sempre occupata la rivista internazionale di Pedagogia Qualeducazione (per un dialogo libero in Europa,
che celebra 30 anni di attività culturale) che riguardante il tema che affronto
nel seguente contributo.
Abstract:
I think it’s right to start first by making a brief reflection on the situation
in which the Italian school is nowadays,
theme always focused by the international journal of Pedagogy “Qualeducazione”, which celebrates 30 years of
cultural activity – for a free dialogue in
Europe – and deals with the topic I investigate in my following contribution.
Il depauperamento della scuola e la
dissipazione del patrimonio di esperienza e di sapere, costituita dalla mortificazione e dall’allontanamento di tanti
insegnanti validi e nonostante tutto ancora motivati, credo sia la responsabilità maggiore che prima il governo Berlusconi poi Monti portano su di loro nei
riguardi del paese.
* Primo Vicepresidente del Parlamento Europeo.
8 • QUALEDUCAZIONE
Se andiamo a leggere il decennio berlusconiano e leghista alla luce di quanto predicato e purtroppo poi realizzato nell’istruzione dobbiamo concludere
che si sta raccogliendo purtroppo quello che si è seminato a piene mani. Dapprima si è detto con il dicastero della
Moratti che la scuola pubblica doveva
trovare efficienza nel modello privatistico anglosassone in nome dell’autonomia scolastica. La conseguenza è stata
molti finanziamenti agli istituti privati a scapito di quelli pubblici, aumento indiscriminato delle quote universitarie e dei contributi delle famiglie in
tutti gli ordini di scuole, spese indirette, come libri, trasporti, mense lasciate
a briglia sciolta, formazione forzosa e a
pagamento dei precari per conquistarsi un posto in graduatoria. Operazione
che poi per molti si è rivelata doppiamente una beffa ai loro danni perpetrata dal MIUR.
Poi è arrivata la Gelmini in piena
era di tagli “orizzontali” e indiscriminati, con l’istruzione considerata alla
stregua di un qualunque ramo secco dello Stato (ma quelli veri rimangono saldamente attaccati all’albero insieme a
corrotti e mafiosi) e con la quale stiamo
assistendo al naufragio annunciato della scuola elementare e tecnica. Il ministro Profumo, sicuramente il più qualificato e competente, è riuscito a dare
solo qualche segnale di cambiamento,
per quanto importante, come le nuove metodiche adottate per il concorso a
cattedre e il varo dell’agenda digitale,
ma il tempo, e la variegata maggioranza che lo sosteneva, gli hanno impedito di fare qualcosa di più approfondito.
Tutto questo sfacelo deve ovviamente essere moltiplicato per due nel Mezzogiorno, dove l’abbandono scolastico
cresce, i laureati migliori scappano all’
estero, la mediocrità del servizio offerto è paradigmatica per le aziende che
assumono e la messa in strada di migliaia di precari si trasforma in un fenomeno di arretratezza sociale senza
precedenti.
Il livello di mediocrità in cui questa
politica ha precipitato la scuola e l’università italiana, rispetto al contesto
internazionale, sta producendo abissali differenze territoriali e ambientali. Il
numero degli espulsi dal sistema scolastico ci colloca fuori dall’Europa: in Italia il 20% dei giovani tra i 20 ai 24 anni
ha solo la licenza media, La Fondazione Agnelli calcola che se conseguissero il diploma di scuola media superiore
si occuperebbero un milione e 300mila
giovani in più, pari al 6,3% degli occupati. Nel Meridione si alternano aree di
eccellenza e esperienze positive, come
quella rappresentata dalla Basilicata,
a una scarsa efficienza del sistema pubblico che rende la situazione spesso fallimentare, la disoccupazione giovanile
dilaga sotto il peso della crisi mentre oltre un terzo dei giovani meridionali non
raggiunge il livello di competenze necessario per essere ritenuto a livello internazionale un cittadino attivo, l’età media degli insegnanti continua a crescere, così come l’affollamento delle classi.
Il divario misurato dal titolo di studio
dei genitori, dal contesto ambientale e
dalla qualità delle strutture frequentate pesa assai più del talento individuale, i paesi al vertice della classifica Ocse
e delle nazioni più progredite sono gli
stessi che riducono al minimo il divario
tra istituzioni pubbliche e famiglie, tra
ordini di scuola e la qualità di singoli
istituti: è questo il compito del governo
nazionale e locale per non far sprofondare il paese nel sottosviluppo sociale ed
economico e che deve essere affrontato
unendo e non aumentando le disparità
sociali e formative tra nord e sud.
Che dire, il quadro è desolante. L’unica via di uscita è tenere duro e non
smettere di denunciare la situazione
ai tanti utenti e lavoratori della scuola, perché sulla consapevolezza e la verità si possa costruire prima possibile
un’alternativa.
QUALEDUCAZIONE • 9
Educare è un atto di amore
Pensieri di Benedetto XVI sull’educazione
di
SIRA SERENELLA MACCHIETTI*
Riassunto
Questo contributo presenta e cerca
di interpretare la visione dell’educazione di Benedetto XVI, prendendo in esame la Lettera ai fedeli di Roma e l’Enciclica Caritas in Veritate, in cui il Papa
afferma che l’uomo si realizza nelle relazioni interpersonali e che l’educazione
è un atto d’amore ed esercizio della “carità intellettuale” che richiede responsabilità, dedizione, coerenza di vita ed
apertura alla Verità.
Abstract
This paper presents and tries to interpret the vision of education of Benedict XVI, by examining the Letter to the
faithful of Rome and the Encyclical Caritas in Veritate, in which he states that
man is defined through interpersonal relations and that the education is an act
of love and exercise of “intellectual charity”, that requires responsibility, dedication, coherence of life and openness
to the Truth.
Questo contributo si propone di riflettere sulla visione dell’educazione di
Benedetto XVI, prendendo in esame in
prospettiva pedagogica la Lettera ai fedeli di Roma1 ed accennando all’Enci* Università di Siena - Direttore della rivista
Prospettiva EP.
Cfr. Lettera del Santo Padre Benedetto XVI
alla Diocesi e alla città di Roma sul compito urgente dell’educazione, Dal Vaticano, 21 gennaio
2008.
1
10 • QUALEDUCAZIONE
clica Caritas in Veritate2.
Amore, autorevolezza e speranza
Nel discorso fatto il 19 ottobre 2006
ai partecipanti al Convegno Ecclesiale
di Verona, Benedetto XVI ha affermato che per far sì che «l’esperienza della
fede e dell’amore cristiano sia accolta
e vissuta e si trasmetta da una generazione all’altra, una questione fondamentale e decisiva è quella dell’educazione della persona»3.
Ha inoltre precisato che «un’educazione vera ha bisogno di risvegliare il
coraggio delle decisioni definitive, che
oggi vengono considerate un vincolo
che mortifica la nostra libertà, ma in
realtà sono indispensabili per crescere
e raggiungere qualcosa di grande nella vita, in particolare per far maturare
l’amore in tutta la sua bellezza: quindi
per dare consistenza e significato alla
stessa libertà»4.
Negli anni successivi il Papa ha continuato a proporre riflessioni sull’educazione, sull’importanza della testimonianza e ad indicare itinerari da com2
Benedetto XVI, Enciclica sociale Caritas
in Veritate (CIV), Roma, presso San Pietro, 29
giugno 2009.
3
Benedetto XVI, Discorso ai partecipanti al
IV Convegno Nazionale della Chiesa Italiana,
Verona 19 ottobre 2006.
4
Ibidem.
piere e traguardi educativi da conseguire.
Significativo, a questo proposito, è
il suo Discorso fatto in occasione dell’apertura del Convegno della diocesi di
Roma (11 giugno 2007) sul tema Gesù
è il Signore. Educare alla fede, alla sequela, alla testimonianza in cui ha precisato che promuovere questa educazione «vuol dire aiutare i nostri fratelli, o
meglio aiutarci scambievolmente, ad
entrare in un rapporto vivo con Cristo
e con il Padre». Ha inoltre ricordato che
questo è il compito fondamentale della
Chiesa, la quale non può rinunciare a
perseguire «lo scopo essenziale dell’educazione, che è la formazione della persona per renderla capace di vivere in pienezza e di dare il proprio contributo al
bene della comunità».
Il 21 gennaio 2008 il Papa è tornato a riflettere sulla questione educativa nella Lettera alla diocesi e alla città di Roma sul compito urgente dell’educazione.
La Lettera inizia con queste parole:
«Cari fedeli di Roma, ho pensato di rivolgermi a voi… per parlarvi di un problema che voi stessi sentite…: il problema dell’educazione» e continua rilevando che «Abbiamo tutti a cuore il bene
delle persone che amiamo, in particolare dei nostri bambini, adolescenti e giovani» e non possiamo «non essere solleciti per la formazione delle nuove generazioni, per la loro capacità di orientarsi nella vita e di discernere il bene dal
male, per la loro salute non soltanto fisica ma anche morale…».
«Educare però non è mai stato facile, e oggi sembra diventare sempre più
difficile» «trasmettere da una generazione all’altra, qualcosa di valido e di
certo, regole di comportamento, obiet-
tivi credibili intorno ai quali costruire
la propria vita». E, rivolgendosi ancora ai «Cari fratelli e sorelle di Roma»,
il Papa così si esprime: «a questo punto vorrei dirvi una parola molto semplice: Non temete! Tutte queste difficoltà,
infatti, non sono insormontabili. Sono
piuttosto, per così dire, il rovescio della
medaglia di quel dono grande e prezioso
che è la nostra libertà, con la responsabilità che giustamente l’accompagna».
Si tratta di una libertà sempre nuova che chiede sempre a ciascuna persona e a ciascuna generazione «… di prendere di nuovo, e in proprio», le proprie
decisioni.
A questo proposito il Papa ricorda
che a differenza di quanto avviene in
altri campi, ad esempio in quello tecnico o economico in cui i progressi di oggi
possono aggiungersi a quelli realizzati
nel passato, «nell’ambito della formazione e della crescita morale delle persone non esiste una simile possibilità
di accumulazione».
I valori del passato infatti non possono essere ereditati e debbono essere
coscientemente conquistati, interiorizzati, rinnovati, vissuti e testimoniati. Il
Papa rileva inoltre che le fondamenta di
questi valori sono state scosse pertanto
non si hanno più “le certezze essenziali”. Aggiunge però che il bisogno dei valori che orientano le scelte esistenziali e
i rapporti interpersonali «torna a farsi
sentire in modo impellente: così, in concreto, aumenta … la domanda di un’educazione che sia davvero tale».
Questa educazione è richiesta dai
genitori, dagli insegnanti e dalla «società nel suo complesso, che vede messe
in dubbio le basi stesse della convivenza…», e dagli stessi ragazzi e dai giovani, «che non vogliono essere lasciati soli
QUALEDUCAZIONE • 11
di fronte alle sfide della vita».
Il Papa pertanto invita tutti coloro
che hanno a cuore il futuro dell’umanità ad impegnarsi per soddisfare questa
domanda, ricordando che «chi crede in
Gesù Cristo ha … un ulteriore e … forte motivo per non avere paura: sa infatti che Dio non ci abbandona, che il suo
amore ci raggiunge là dove siamo e così
come siamo, con le nostre miserie e debolezze, per offrirci una nuova possibilità di bene».
A questo punto, per rendere “più
concrete” le sue riflessioni scrive che
«può essere utile individuare alcune
esigenze comuni» ed afferma che l’azione educativa «ha bisogno anzitutto
di quella vicinanza e di quella fiducia
che nascono dall’amore». E continua il
suo discorso pensando «a quella prima
e fondamentale esperienza dell’amore
che i bambini fanno, o almeno dovrebbero fare, con i loro genitori». Ricorda
inoltre che «ogni vero educatore sa che
per educare deve donare qualcosa di se
stesso e che soltanto così può aiutare i
suoi allievi a superare gli egoismi e a
diventare a loro volta capaci di autentico amore».
L’amore “pedagogico” chiede agli
educatori di non limitarsi a soddisfare
«il grande desiderio di sapere e di capire» che è presente «già in un piccolo
bambino» e che si esprime nelle continue domande e nella richiesta di spiegazioni. Infatti sarebbe «una ben povera educazione quella che si limitasse a
dare delle nozioni e delle informazioni, ma lasciasse da parte la grande domanda riguardo alla verità, soprattutto a quella verità che può essere di guida nella vita».
E sarebbe ancora più povera un’educazione che cercasse di tenere «al ri12 • QUALEDUCAZIONE
paro i più giovani da ogni difficoltà ed
esperienza del dolore». Questa educazione infatti rischierebbe «di far crescere, nonostante le nostre buone intenzioni, persone fragili e poco generose»… perché la capacità di amare corrisponde «alla capacità di soffrire, e di
soffrire insieme».
A questa riflessione, la quale vuole ricordare che la sofferenza «fa parte
della verità della nostra vita», seguono alcune considerazioni sulla necessità di «trovare un giusto equilibrio tra
la libertà e la disciplina…» cioè su un
classico problema pedagogico ed educativo. Il Papa afferma che «senza regole
di comportamento e di vita, fatte valere giorno per giorno anche nelle piccole
cose, non si forma il carattere e non si
viene preparati ad affrontare le prove
che non mancheranno in futuro».
Giova però non dimenticare che “il
rapporto educativo” è anzitutto «l’incontro di due libertà» e che «l’educazione
ben riuscita è formazione al retto uso
della libertà». Pertanto il Papa incoraggia gli educatori ad accettare il rischio
della libertà, senza mai rinunciare ad
essere disponibili e attenti ad aiutare
i giovani, senza mai assecondarli negli
errori, senza fingere di non vederli… e
senza condividerli e senza considerarli come «le nuove frontiere del progresso umano».
Successivamente il discorso passa
dall’educazione all’educatore, al quale
il Pontefice domanda quell’autorevolezza che è frutto di competenza e di esperienza e che «si acquista soprattutto con
la coerenza della propria vita e con il
coinvolgimento personale, espressione
dell’amore vero».
L’educatore è quindi chiamato a proporsi come testimone della verità e del
bene, testimone forse non perfetto ma
sempre disposto a mettersi e a rimettersi in sintonia con la sua missione, e
a non rinunciare mai all’esercizio della
sua responsabilità. A questo proposito
il Papa afferma che «nell’educazione è
decisivo il senso di responsabilità», di
quella dell’educatore, «ma anche, e in
misura che cresce con l’età, responsabilità del figlio, dell’alunno, del giovane
che entra nel mondo del lavoro», precisando che «è responsabile chi sa rispondere a se stesso e agli altri» e scrivendo
che «chi crede cerca inoltre, e anzitutto, di rispondere a Dio che lo ha amato per primo».
A proposito di responsabilità è comunque opportuno tener presente che
il fatto che essa «è in primo luogo personale» non può far dimenticare che c’è
anche una responsabilità da condividere «come cittadini di una stessa città e di
una nazione, come membri della famiglia umana», come “credenti”…, «come
figli di un unico Dio» e come «membri
della Chiesa».
È quindi indispensabile comprendere che la società non è «un’astrazione» e
che poi, «alla fine, siamo noi stessi, tutti
insieme», anche se abbiamo ruoli e responsabilità diverse. Ognuno di noi può
infatti offrire un contributo per la realizzazione della vera educazione, onorando la vocazione comunitaria che è
propria della persona.
A conclusione della Lettera il Papa
propone una riflessione sulla speranza,
rilevando che essa «è insidiata da molte parti» e che proprio dalla mancanza
di speranza «nasce la difficoltà forse più
profonda per realizzare una vera opera educativa».
La speranza che il Papa propone trova il suo fondamento in Dio. È pertanto
una “speranza affidabile” che costituisce “l’anima dell’ educazione” e dell’intera vita. Infatti «la speranza che si rivolge a Dio non è mai speranza solo per
me, è sempre anche speranza per gli altri: non ci isola, ma ci rende solidali nel
bene, ci stimola ad educarci reciprocamente alla verità e all’amore…».
Queste parole con le quali si chiude il discorso del Papa ci consentono di
considerare la Sua Lettera come un invito a riscoprire il valore dell’uomo e la
sua apertura al Sommo Bene, senza la
quale, «prima o poi ogni persona è condannata a dubitare della bontà della
sua stessa vita e dei rapporti che la costituiscono, della validità del suo impegno per costruire con gli altri qualcosa
in comune»5.
Se riflettiamo su questa Lettera in
cui Benedetto XVI costruisce un solido discorso pedagogico, attento ai modelli culturali odierni, al rischio del relativismo ed ai suoi effetti e alle difficoltà dell’educare, possiamo rilevare la
sua vigorosa passione educativa che gli
consente di intuire, “sentire” e comprendere, cioè di “saper prendere con se” le
fragilità, le ansie, le attese e le difficoltà
del tempo presente, le aspirazioni degli
educatori e i bisogni delle giovani generazioni e di saper parlare a tutti facendo leva sulla fede e sulla carità, ricordando che «anima dell’educazione, come
dell’intera vita, può essere solo una speranza affidabile»6.
5
Cfr. Benedetto XVI, Discorso ai partecipanti
al Convegno Ecclesiale della Diocesi di Roma su
Famiglia e Comunità cristiana: formazione della
persona e trasmissione della fede, 6 giugno 2005.
6
Per approfondire questa questione cfr. l’articolo di S.S. Macchietti, Abbiamo tutti a cuore l’educazione (in «Scuola Materna», n. 17, 10 giugno
QUALEDUCAZIONE • 13
Inoltre si può affermare che la testimonianza di attenzione, di premura
e di amore per l’uomo e specialmente
per le giovani generazioni permette al
Papa di proporre con semplicità riflessioni profonde sulla società del nostro
tempo e di indicare itinerari da percorrere, responsabilità da assumere e virtù da potenziare e da conquistare e di
far sentire la sua vicinanza agli educatori ai quali suggerisce fraternamente
di non rinunciare ad essere veramente
tali, invitandoli a pensare, a riflettere,
a riconquistare sicurezza e fiducia ed a
rispondere agli appelli della vita.
Ma a questo proposito si può anche
sostenere che la lettura di questa Lettera può consentire ad ogni lettore di riflettere su se stesso e di diventare educatore di se stesso, di interrogarsi sulla
sua esistenza e sui suoi timori, di mettere in discussione molti “luoghi comuni…” e i tanti dogmi che la cultura in cui
viviamo ci impone e che spesso accettiamo acriticamente… anche per pigrizia,
diventando vittime di un conformismo
che gradualmente spegne la gioia di vivere, di essere di elaborare e di realizzare un progetto esistenziale capace di
coltivare e di onorare la nostra umanità e la nostra creaturalità….
Per promuovere la “città dell’uomo”
Nell’enciclica Caritas in Veritate
2008, pp. 9-11) e il saggio Pensieri e Messaggi di
Benedetto XVI sull’educazione (in Aa.Vv., Identità
e specificità della scuola dell’infanzia. Ieri, oggi,
domani, a cura di S.S. Macchietti, Atti del XXXII
Convegno di studio – Roma, 7-9 settembre 2007 –,
Euroma-La Goliardica, Roma, 2008, pp. 67-78) il
cui contenuto è stato in parte riproposto in questo
contributo.
14 • QUALEDUCAZIONE
Benedetto XVI delinea implicitamente un percorso educativo da compiere per pervenire all’autentico sviluppo
dell’uomo. Collocandosi in questa prospettiva il Papa sostiene che negli interventi per lo sviluppo va fatto salvo il
principio della centralità della persona
umana. Afferma anche che a livello internazionale la più ampia e produttiva
solidarietà è quella che si esprime «innanzitutto nel continuare a promuovere, anche in condizioni di crisi economica, un accesso all’educazione, la quale,
d’altro canto, è condizione essenziale
per l’efficacia della stessa cooperazione internazionale»7.
A questa affermazione segue una
precisazione del significato del termine
“educazione” con il quale «non ci si riferisce solo all’istruzione o alla formazione al lavoro, entrambe cause importanti di sviluppo, ma alla formazione completa della persona. A questo proposito
va sottolineato un aspetto emblematico: per educare bisogna sapere chi è la
persona umana, conoscerne la natura»8.
A questo proposito il Pontefice rileva
che oggi l’affermarsi di una visione relativistica della natura dell’uomo «pone
seri problemi all’educazione» e soprattutto a quella morale pregiudicando sia
la realizzazione personale sia «l’estensione a livello universale» e lo sviluppo
di tutti gli uomini.
Questa visione relativistica della
natura dell’uomo pone problemi anche
al dialogo interculturale e determina
il rischio di sostituirlo con un eclettismo o con un appiattimento e quindi
con l’omologazione dei comportamenti
7
Cfr. CIV, 61.
8
Ibidem.
che convergono «nella separazione delle
culture dalla natura umana riducendo
l’uomo a solo dato culturale»9.
Di fatto oggi vengono a mancare certezze essenziali sulle quali può basarsi un’azione educativa volta a promuovere la realizzazione di tutto l’uomo, il
cui sviluppo integrale, «risposta ad una
vocazione di Dio creatore, domanda il
proprio inveramento in un “umanesimo
trascendente”», che conferisce all’essere
umano «la “sua più grande pienezza”10.
La vocazione cristiana a tale sviluppo riguarda dunque sia il piano naturale sia quello soprannaturale; motivo
per cui, “quando Dio viene eclissato, la
nostra capacità di riconoscere l’ordine
naturale, lo scopo e il ‘bene’ comincia a
svanire”»11.
Per educare è quindi indispensabile
conoscere la persona umana e, a questo
proposito, il Papa si richiama all’antropologia cristiana la quale, ispirandosi
«all’evento della rivelazione»12 e concependo l’uomo come creatura di Dio, può
sostenere un’azione educativa capace di
aiutarlo a coltivare la sua umanità e la
sua creaturalità.
Si tratta di un’antropologia che sostiene il primato dell’essere sulla conoscenza e il primato della vita sulla teoria e quello della carità sulla verità le
quali costituiscono un dono e si integrano vicendevolmente e sostengono,
9
Ivi, II, 26.
Cfr. Paolo VI, Populorum Progressio, 26
marzo 1967, 10, 265.
10
11
Benedetto XVI, Discorso ai giovani al molo
di Barangaroo, in «L’Osservatore Romano», 18
luglio 2008, p. 8. Cfr. anche CIV, I, 18.
12
Cfr. F. Attard, L’emergenza educativa. L’impegno della Chiesa e il recente magistero cattolico,
in «Itinerarium», n. 44, gen.-apr. 2010, p. 13.
orientano e rendono possibile l’educazione la cui realizzazione è legata alla
natura relazionale dell’uomo. In questa prospettiva la relazione è «elevata a criterio conoscitivo e costruttivo
della realtà umana in generale», è coessenziale all’educazione e si configura come una categoria che postula «un
approfondimento critico e valoriale» il
quale non può essere effettuato soltanto «dalle sole scienze sociali, in quanto richiede l’apporto di saperi come la
metafisica e la teologia, per cogliere in
maniera illuminata la dignità trascendente dell’uomo».
A questo proposito nella CIV si legge che «la creatura umana, in quanto di
natura spirituale, si realizza nelle relazioni interpersonali». Pertanto l’uomo
più «vive in modo autentico» le relazioni più matura «la propria identità personale. Non è isolandosi che l’uomo valorizza se stesso, ma ponendosi in relazione con gli altri e con Dio. L’importanza di tali relazioni diventa quindi fondamentale. Ciò vale anche per i popoli.
È, quindi, molto utile al loro sviluppo
una visione metafisica della relazione
tra le persone»13.
A questa relazione si collega la costruzione della comunità degli uomini
la quale «non assorbe in sé la persona
annientandone l’autonomia, […], ma la
valorizza ulteriormente, perché il rapporto tra persona e comunità è di un
tutto verso un altro tutto»14.
Si tratta di una relazionalità che trova «un’illuminazione decisiva nel rapporto tra le Persone della Trinità nell’unica Sostanza divina. La Trinità è asso-
13
Cfr. CIV, V, 53.
14
Ibidem.
QUALEDUCAZIONE • 15
luta unità, in quanto le tre divine Persone sono relazionalità pura. La trasparenza reciproca tra le Persone divine
è piena e il legame dell’una con l’altra
totale, perché costituiscono un’assoluta unità e unicità. Dio vuole associare
anche noi a questa realtà di comunione:
“perché siano come noi una cosa sola”
(Gv 17, 22)»15.
Prospettive e proposte educative
In coerenza con la certezza che l’uomo «si realizza nelle relazioni interpersonali» l’educazione che il Papa propone
è un atto d’amore, esercizio della “carità
intellettuale” che richiede responsabilità, dedizione e coerenza di vita, è infatti «aperta alla verità da qualsiasi sapere provenga»16.
È un’educazione che postula una relazione tra chi educa e chi è educatore
e che ha come modello quella che intercorre «tra Dio e il suo popolo, di Dio che
cammina con il Suo popolo e lo educa»17.
È un’educazione che è illuminata
dalla ragione e dalla fede, che è quindi
attenta alla conquista della cultura ed
alla promozione della capacità di produrla, alle esperienze e alla razionalità
educativa, alla ricerca della verità che
va cercata, trovata ed espressa nell’«economia della carità», la quale a sua
volta va compresa, «avvalorata e praticata nella luce della verità» in vista
15
Ivi, V, 54.
16
Ivi, Introduzione, 9.
Cfr. S.S. Macchietti, La pedagogicità della
Caritas in Veritate, in Aa.Vv., Educare tra scuola
e formazioni sociali, Atti del XLIX Convegno di
Scholé (Brescia, 9-10 settembre 2010), La Scuola,
Brescia, 2011, pp. 220-223.
dell’unificazione degli uomini «secondo modalità in cui non ci sono barriere
né confini»18.
È quindi un’educazione che allarga
gli orizzonti della razionalità, che mira
a purificare la ragione e che, attingendo alla sapienza divina, «getta luce sulla fondazione della moralità e dell’etica
umana» e la pone nella logica del dono
e del perdono, tenendo desta la sensibilità dell’uomo per la verità e per il
bene, orientando alla conquista delle
virtù umane e cristiane e della “libertà
responsabile”19.
Questa educazione può promuovere la “città dell’uomo” perché esige relazioni di gratuità, di misericordia e di
comunione e si ispira all’amore di Dio,
conferendo «valore teologale e salvifico a
ogni impegno di giustizia nel mondo»20.
Da destra E. Marino (Presidente Proloco di Praia),
L. Smeriglio (università di Messina) e G. Serio
(Presidente Associazione Amici dell’uomo) 1977.
17
16 • QUALEDUCAZIONE
18
Cfr. CIV, III, 34.
19
Ivi, I, 17; IV, 48; VI, 70.
20
Ivi, Introduzione, 6.
Scuola, “saperi”, “educazioni”,
“Cittadinanza e Costituzione”
di
LUCIANO CORRADINI*
Riassunto
La scuola può essere intesa, vissuta e
analizzata, come edificio più o meno accogliente e funzionale, come istituzione
più o meno efficiente e autorevole, come
servizio sociale più o meno apprezzato,
come organizzazione più o meno bene
disegnata e gestita, e infine come comunità educativa. Nella massa casuale, nello Stato come impersonale apparato di norme o addirittura nel carcere
o nell’ospedale di solito non ci si sente
identificati o appartenenti; nella comunità scolastica questo è possibile, a certe condizioni, che andrebbero esplorate
e possibilmente favorite.
Abstract
School can be regarded, lived and
analysed, as a more or less welcoming
and functional building, as a more or
less efficient and influential institution,
as a more or less appreciated social service, as a more or less well designed and
managed organization, and finally as
an educational community. In the casual mass , in the State as an impersonal system of rules or even in prison
or hospital usually we do not feel identified or belonging; in the school community this is possible, under certain conditions, which should be explored and
possibly fostered.
* Professore emerito di Pedagogia generale nell’Università di Roma Tre.
Modelli e fini della scuola
La scuola moderna ha assunto, negli
ultimi due secoli, il carattere di istituzione burocratica (non necessariamente nell’accezione peggiore), per l’omogeneità formale delle sue procedure, per la
validità dei titoli che rilascia, per i controlli che impone, per le strutture operative che utilizza: strutture costituite
da insegnanti specializzati e selezionati dallo Stato, alunni divisi per classi e
ospitati in aule, contenuti d’insegnamento graduati e scelti entro certi limiti dal Ministero, orari prestabiliti, lezioni, interrogazioni, compiti in classe,
compiti a casa, scrutini e/o esami finali.
Questo modello ha una sua semplicità
organizzativa, anche se presenta molti inconvenienti sul piano pedagogico e
didattico. Benché le norme relative alla
scuola, a partire dagli anni ’70, abbiano
autorizzato e talora favorito innovazioni sul piano dei contenuti, dei metodi,
delle modalità organizzative, attraverso
la partecipazione, la sperimentazione,
l’autonomia scolastica, le nuove tecnologie, lo schema di fondo resiste.
Si può dire che si siano imposti, nello scorso mezzo secolo, tre modelli di
scuola: quello centralistico-burocratico,
quello partecipativo -democratico e infine quello autonomistico- manageriale.
Il tentativo che fanno oggi molte persone di buona volontà è quello d’innovare
senza rinunciare alle conquiste precedenti: ossia a un certo grado di uniforQUALEDUCAZIONE • 17
mità dei contenuti e delle procedure di
valutazione, ad una sia pur debole partecipazione dei soggetti interessati alla
scuola, per garantirle consenso e linfa
vitale, e all’agilità gestionale e alla responsabilità che sono tipiche del mondo aziendale.
Alcuni pensano che questo schema
sia ormai “fuori mercato”, ossia non più
capace di garantire la sopravvivenza
della scuola, dati i profondi mutamenti sociali e culturali del mondo contemporaneo; altri, pur vedendone i limiti e
i rischi, ritengono che non sia il caso di
pensare a “descolarizzare” la società, se
si può ancora far qualcosa per “socializzare la scuola”, ossia per rendere questa istituzione più abitabile e più efficace, in riferimento alle finalità generali proposte dalla Costituzione italiana
del 1947. Questi fini, richiamati anche
dalla normativa più recente (si pensi al
dpr 275/1999 sull’autonomia scolastica
e al dpr 235/2007 sullo statuto delle studentesse e degli studenti), riguardano
l’istruzione, l’educazione, la formazione.
È vero che la società è come un mare
agitato da venti contrapposti e che il sapere diviene sempre più complesso, la
costellazione dei valori sempre meno visibile, l’approdo alla vita professionale
dei giovani sempre più problematico. È
vero anche che non mancano insegnanti e studenti a dir poco afflitti da demotivazione e da “mal di mare”. Tuttavia
sembra più utile riparare la nave-scuola, prima di abbandonarla, se come alternativa si può contare solo su precarie scialuppe e su un limitato numero
di salvagente.
Ricordo una frase scritta dai ragazzi
di Agrigento, in occasione del Progetto
Giovani 1993: “Non abbiamo strutture:
usiamo la testa!”.
18 • QUALEDUCAZIONE
Nelle aule e durante le ore scolastiche, accanto al buon grano di un apprendimento valido e gratificante crescono anche le erbacce della noia, della
superficialità, del non senso. Per quanto
taluni, per semplificarsi il compito, cerchino di ridurre le scuole ad “apprenditoi” e a “esamifici”, i problemi personali
e sociali non cessano di riproporre, nel
bene e nel male, la problematica educativa, in tutta l’ampiezza delle sue dimensioni e dei suoi ambiti. Il bisogno di
verità, di bellezza, di pulizia, di competenza civica, prima o poi viene fuori anche nella scuola, quando si insegnano e
si studiano “le materie” e quando si parla fra amici, quando si legge un giornale, si guarda la TV, si naviga in internet.
In sede teorica si dibatte fra i sostenitori dell’istruzione, o dei saperi e
i sostenitori delle educazioni: queste si
sono fatte strada nella scuola, in virtù
di leggi e di circolari ministeriali che
hanno spostato l’attenzione volta a volta sui diritti umani, sulla salute, sulla
sessualità, sull’intercultura, sulla legalità, sulla circolazione stradale, sulla cittadinanza, fino alla prevenzione
della ludopatia, che appare oggi come
una nuova droga. In astratto, e senza
impegnarsi in questioni architettoniche troppo complicate, si capisce che
non può esserci vera alternativa fra saperi e educazioni, perché, come abbiamo ricordato, la scuola ha il compito di
istruire, educare e formare. Queste funzioni si svolgono non solo “imparando
le materie”, ma anche svolgendo attività tali che facciano crescere studenti e
docenti, come quell’erba che cresce fra
un mattone e l’altro o trasversalmente
sui diversi mattoni, come fanno le piante rampicanti. Occupiamoci ora prima
dei mattoni, poi dell’erba.
Discipline scolastiche, itinerari formativi, valori e competenze
Le discipline, presenti nella scuola
come materie d’insegnamento e apprendimento, elencate secondo un tradizionale ordine d’importanza nelle pagelle,
concorrono alla trasmissione-elaborazione dei “saperi” delle nuove generazioni, che attingono anche ad altre fonti di conoscenza e di esperienza. Separati più o meno artificiosamente nelle
singole discipline, ma di fatto interconnessi, questi saperi diventano formativi
se vengono non semplicemente sommati, ma integrati, elaborati, assimilati, in
termini culturali, personali, esistenziali, ossia se diventano sapere e, più profondante, sapienza.
Diciamo educazione scolastica il processo dialogico attraverso il quale si realizza l’elaborazione personale delle discipline e dei saperi, ossia la trasformazione dei dati, delle informazioni, delle
conoscenze, delle esperienze, dei valori che le caratterizzano, in nutrimento
di personalità consapevoli, responsabili, capaci di affrontare al meglio le problematiche personali, civiche e professionali della vita.
Fra l’informazione, l’istruzione, l’erudizione, la conoscenza, la scienza, la
competenza e la sapienza c’è un difficile percorso che, da Platone ad Agostino a Dante a Rousseau a Delors, si può
chiamare “viaggio interiore”: in termini scolastici questo è il curricolo, ossia
quel processo in parte programmato e
verificato d’insegnamento e apprendimento che conduce verso il traguardo
del “successo formativo”. Questo successo solo riduttivamente si può identificare col punteggio ottenuto nei test
finali e col titolo di studio. In effetti ac-
canto al curricolo formale, c’è un curricolo nascosto, che non è meno importante per dare vita e forza al primo. Questo
secondo curricolo è come un albero che
affonda le radici nel buon terreno dei
“mondi vitali” (famiglia, chiesa, gruppi
giovanili, culturali, sportivi o di volontariato…), ma che può anche intercettare il terreno inquinato della criminalità e del vizio: sicché per certi aspetti
il curricolo nascosto, e cioè non formale e non scolastico, è formativo, per altri deformativo.
Questo viaggio interiore che è simbolico ma anche esistenziale e reale,
non è un’allegra passeggiata, perché i
“luoghi” che si debbono attraversare, da
quelli esteriori a quelli interiori, presentano oscurità e alternative in cui è facile smarrirsi. Da Abramo a Ulisse, dalla
caverna platonica alla selva dantesca,
la situazione di partenza è dura e quella di arrivo incerta.
Tutte le risorse interiori sono chiamate in causa: l’itinerario del sapere ha
forti implicazioni religiose, vocazionali,
etiche, che non tutti riescono a riconoscere e a mobilitare: il sapere, più che
una facile scoperta, è una dura conquista, per la quale, come insegna una tradizione millenaria, occorrono aiuti che
vengano dall’alto, o almeno da maestri
saggi e sapienti come Virgilio, il “savio
gentil che tutto seppe”.
Il quale solo al termine di un itinerario che è stato insieme conoscitivo e spirituale ha potuto dare a Dante la duplice laurea della piena maturità umana:
“Non aspettar mio dir più, né mio cenno:
libero, dritto e sano è tuo arbitrio, e fallo
fòra non fare a suo senno: perch’io te sovra te corono e mìtrio”(Purg., 139-142).
In sostanza: ormai sei cresciuto in conoscenza e in responsabilità, sei padrone
QUALEDUCAZIONE • 19
(papa e re) di te stesso: sbaglieresti a
non seguire la tua coscienza. Lo squallore e il degrado di certa attuale vita di
scuola non deve indurci a dimenticare
questo archetipo aristocratico, ascetico
ed eroico della crescita culturale, che
consente finalmente un uso etico della
libertà, frutto del dialogo educativo. Al
vertice degli studi non c’è solo un buon
mestiere ben pagato (condizioni che non
dipendono esclusivamente da noi), ma
c’è anche autonomia personale, da esercitarsi con “senno”.
Si tratta, in Omero e in Dante, di
una rappresentazione ben più forte e
drammatica della contemporanea “navigazione su internet”, facilitata da uno
dei “motori di ricerca”, che ha preso il
nome dell’antico poeta latino (appunto virgilio.it). Eppure anche nella navigazione nel cyberspazio si pongono
problemi non dissimili da quelli allegorizzati nell’Odissea omerica, nell’Eneide virgiliana e nella Commedia dantesca. Il richiamo all’immaginario presente in quelle “grandi narrazioni” che
sono all’origine della nostra civiltà e che
hanno fornito a molte generazioni punti
di riferimento ideali e simbolici, ci dice
per esempio che cosa stiamo perdendo
e dove dobbiamo ricostruire, per non restare impigliati nella selva della complessità disorientante del nostro tempo.
Certo, il sapere nella società secolarizzata, tecnologica e globalizzata è anche una risorsa utile alla produzione e
al consumo: una risorsa che si può anche comprare e vendere, con maggiore
o minore fatica, se si è motivati e capaci di entrare nel grande circuito della competizione per conquistare i posti
più pregiati nel mondo delle professioni.
Si possono però imparare le scienze
e le tecniche senza crescere in umanità.
20 • QUALEDUCAZIONE
Non smarrire, nel turbinio delle avventure, la nostalgia di Itaca e il dovere di
fondare Roma, comporta qualcosa di più
dei linguaggi e delle tecniche: fra l’altro
comporta strumenti critici e morali atti
a tenere sotto controllo per quanto possibile, nell’imprevedibilità degli eventi,
l’ideologia, l’odio, la violenza e la sete
di potere. Si confrontano ancora il sapere a pagamento dei sofisti, per fare
carriera, e quello gratuito di Socrate,
per diventare migliori. L’Occidente si
regge sull’uno e sull’altro. Senza etica,
anche gli affari prima o poi crollano: e
se anche non crollassero, quelli non sarebbero veri affari.
D’altra parte è difficile pensare che
si diventi eroi e santi, o vigliacchi e criminali solo in virtù dei programmi d’insegnamento e della saggezza o dell’ignavia dei propri maestri. Alessandro
fu discepolo di Aristotele, Giuda Iscariota di Gesù e Nerone di Seneca. Ma
talora si cresce anche liberandosi del
peso dei propri padri e dei propri maestri: per Aristotele, amicus Plato, magis amica veritas.
Un curricolo equilibrato per una
proposta educativa aggiornata
Se non esistono ingredienti capaci di
per sé di “produrre” personalità colte,
sagge e mature, non si può negare, non
foss’altro a partire dalla propria personale esperienza, che la qualità degli
apprendimenti scolastici, lo spirito e la
testimonianza con cui questi vengono
proposti, abbiano qualche influenza nella costruzione degli atteggiamenti e di
comportamenti giovanili. E non si può
dire che tutto ciò che serve a crescere
si trovi solo nell’ambito delle discipline
e di coloro che le professano.
Qualità, spirito e testimonianza hanno a che fare con i valori: i quali non
sono pillole che facciano crescere i muscoli dell’intelligenza e della volontà, ma
deboli luci che orientano la navigazione,
voci non sempre gradevoli, come quella
del collodiano Grillo parlante che, nonostante la sua saggezza, finì “stecchito e
appiccicato alla parete.” E tuttavia Collodi, alla fine della storia, lo fa risorgere come voce orientante e illuminante,
in un Pinocchio trasformato in uomo.
Nell’era dell’accesso alle reti, delle
neuroscienze, del cognitivismo, possiamo ancora parlare di personalità morale, di affetti, di volontà, di responsabilità? Mi limito, a questo proposito, a
citare Howard Gardner, una delle voci
più intonate della contemporanea ricerca sull’intelligenza umana e sul ruolo dell’educazione e della scuola: “In un
momento come questo, contrassegnato
dalla rapidità dei cambiamenti e dal
venir meno di ogni distinzione netta
ed evidente tra “buoni” e “cattivi”, inoltre, è diventata più frenetica la ricerca
di modelli di umanità. Questa fame ha
alimentato gli sforzi di molti per una
definizione più ampia di intelligenza.
“Tradizionalmente per ”intelligenza” si intendeva “attitudine alle materie
scolastiche e all’acquisizione delle abilità insegnate scuola”. Coloro che aspirano a far valere una visione più ampia
dell’intelligenza - e che quindi parlano
di intelligenza personale, di intelligenza emozionale, di intelligenza morale e
di saggezza - sostengono concordemente che non si può ridurre l’intelligenza
alla facilità di apprendere certe discipline di base e di risolvere certi tipi di
problemi. Non basta che le persone siano in grado di analizzare; occorre an-
che che operino con giustizia. Non basta che sappiano pensare o siano creative; occorre che siano ammirevoli anche
come esseri umani. Personalmente sottoscrivo il motto di Emerson: “Il carattere è più importante dell’ intelligenza”
(H. Gardner, Sapere per comprendere,
tr. it., Feltrinelli, Milano 1999, p. 264).
Il che pone problemi di notevole difficoltà, perché essere giusto non è come
saper calcolare il volume della sfera o
recitare una poesia. Essere ammirevole non significa solo vincere un concorso
di bellezza o avere la moto più grossa. Il
carattere non si può costruire e misurare
come la velocità nella corsa o la rapidità
nella risoluzione di un problema. Non per
questo si può rimuovere o non considerare tutto ciò che non è conoscibile e sviluppabile con evidenza matematica. Molti delinquenti sono maestri nell’uso della
matematica e del diritto. L’educazione si
occupa, sia pure nel rispetto della libertà delle persone, non solo del possesso di
certe conoscenze e di certe tecniche, ma
anche dell’uso che se ne fa. Ed è a questo proposito che si parla in senso pieno
di competenze, intendendo conoscenza,
abilità tecnica e responsabilità sociale.
Intanto teniamo fermo un principio:
occuparsi di educazione della personalità nella scuola non è impossibile, arbitrario, illegittimo. La ricerca sarà lunga ed esposta ad approssimazioni e forse ad errori. Ma non è giusto attendere
d’aver risolto tutti i problemi ideologici, epistemologici e metodologici per cominciare a programmare e a valutare
tenendo conto, per quanto possibile, e
con tutta la prudenza e la discrezione
necessarie, ma senza rimozioni o censure, dei risvolti affettivi, relazionali, etici e comportamentali della personalità
dei ragazzi, offrendo loro stimoli, aiuQUALEDUCAZIONE • 21
to e spazi di cittadinanza attiva. Il che
chiama in causa la questione dei valori, su cui non si può non soffermarsi.
Ho sott’occhio due saggi, uno di Luigi Zoja, dal titolo La morte del prossimo,
Einaudi, Torino, 2009, l’altro del CENSIS, presentato dal suo segretario generale Giuseppe De Rita, dal titolo I valori degli italiani. Dall’individualismo
alla riscoperta delle relazioni, CENSIS,
Marsilio, Venezia 2012. L’approccio del
primo è psicanalitico, quello del secondo
sociologico. Zoja vede nell’uomo metropolitano un individuo non più connesso con i vicini, ma con i lontani: si parla col cellulare o col computer, ma si diventa sempre più indifferenti ed estranei nei confronti dei vicini, che perdono di consistenza.
De Rita, a conclusione di un’ampia
indagine sociologica, rileva che la prossimità non è scomparsa: il 43,4% definisce il suo vicinato una comunità in cui
tutti si conoscono, si frequentano e, se
necessario, si aiutano. Il 26% degli italiani (poco più di 13 milioni) svolge attività di volontariato. Mi limito a questi
cenni per notare che, secondo De Rita,
si vanno lentamente avvicinando l’élite
che è stata protagonista di gran parte
della storia patria, dal Risorgimento al
fascismo, e il popolo, che è stato invece protagonista della lunga corsa al benessere della fase democratica. La cronaca presenta in proposito testimonianze contrastanti. Da un lato tende a dilatarsi la “forbice” che esiste da secoli fra
il popolo e le istituzioni, con particolare riferimento alla classe politica e alle
“caste” di privilegiati; dall’altro si scorge
un tessuto nuovo, che si viene formando
sottola crosta della corruzione, del carrierismo e della violenza. A scuola la
perdita di prestigio e di autorità di in22 • QUALEDUCAZIONE
segnanti e dirigenti, il bullismo, la volgarità non dilagano ovunque. C’è anche
una buona scuola, diffusa più di quanto
lasci intendere la cronaca giornalistica.
C’è da chiedersi se la scuola sia vissuta anche, almeno in parte, come comunità educativa, in cui si sviluppino
sentimenti e riflessioni di empatia, di
rispetto, appartenenza e di partecipazione. Tutto questo consente di produrre e di conservare, in vista del difficile
futuro verso il quale stiamo andando,
uno spirito di amicizia e di fiducia reciproca fra ex alunni, che costruiscano
un prezioso “capitale sociale”. Occorre
insomma un’alternativa sia alla solitudine di individui isolati o superficialmente collegati con facebook, sia alle
reti del malaffare.
Chiediamoci adesso se ci sono punti di riferimento, documenti, norme che
aiutino a connettere i vissuti di oggi con
i valori di verità, di giustizia, di merito, di solidarietà, senza i quali è difficile orientarsi e superare le fatiche e le
frustrazioni che accompagnano la nostra vita, in famiglia, a scuola, nelle associazioni e nella vita sociale e politica.
La mia risposta è che questi strumenti
ci sono e sono utili, se si impara a utilizzarli, come si farebbe con la bussola
e con le carte nautiche.
Una luce orientante per la vita scolastica e per la vita sociale
Il tema dell’educazione sociale e civica, ai diritti umani e alla cittadinanza, è molto sentito a livello internazionale, come dimostra una copiosa produzione di documenti delle Nazioni Unite, dell’UNESCO, dell’OMS, del Consiglio d’Europa e dell’Unione Europea. Il
Consiglio d’Europa ha avviato importanti progetti di educazione alla cittadinanza democratica; il Parlamento e
il Consiglio dell’Unione europea hanno
prodotto, nel 2006, un’autorevole Raccomandazione sulle competenze chiave
per la cittadinanza europea. L’Italia ha
dedicato al tema una recente legge dello Stato (l.30.10.2008, n. 169), che nel
1° articolo impegna la scuola ad assicurare, “nel primo e nel secondo ciclo,
l’acquisizione delle conoscenze e competenze relative a Cittadinanza e Costituzione, nell’ambito delle aree storicogeografica e storico-sociale e del monte
ore complessivo previsto per le stesse”.
In sostanza la legge indica nella Costituzione un patrimonio di conoscenze
necessarie per acquisire le indispensabili competenze di cittadinanza, che
comprendono oggi gli ambiti locale, regionale, nazionale, europeo e mondiale. Per “navigare” in questi ambiti occorrono conoscenze e competenze molteplici, che trovano nella Costituzione
una “bussola” efficace.
La CM 86/2010 precisa che “l’insegnamento/apprendimento di Cittadinanza e Costituzione è un obiettivo irrinunciabile di tutte le scuole”, e che “è
un insegnamento con propri contenuti,
che devono trovare un tempo dedicato
per essere conosciuti e gradualmente
approfonditi”: tale insegnamento implica sia una dimensione integrata alle
discipline dell’area storico-geograficosociale, con ovvie connessioni con filosofia, diritto, economia, sia una dimensione trasversale, che riguarda tutte le
discipline.
Questa scelta corrisponde a quanto richiesto dalle Indicazioni nazionali (dpr 15.3.2010 n.89), riguardanti gli
obiettivi specifici di apprendimento.
Nella premessa ai programmi di storia
dei nuovi Licei si dice che “uno spazio
adeguato dovrà essere riservato al tema
della cittadinanza e della Costituzione
repubblicana, in modo che, al termine
del quinquennio liceale, lo studente conosca bene i fondamenti del nostro ordinamento costituzionale, quali esplicitazioni valoriali delle esperienze storicamente rilevanti del nostro popolo,
anche in rapporto e confronto con alcuni documenti fondamentali (solo per
citare qualche esempio, dalla Magna
Charta libertatum alla Dichiarazione
d’indipendenza degli Stati Uniti d’America, dalla Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino alla Dichiarazione universale dei diritti umani)”.
Espressioni simili sono utilizzate
dalle Indicazioni nazionali relative agli
Istituti tecnici e professionali (dpr 15.
3. 2010, nn. 87 e 88).
Nonostante queste impegnative affermazioni le ore a disposizione per l’area storico-geografica, storico-sociale,
storico-filosofica e giuridico-economica,
dove esiste, non sono aumentate come
la commissione ministeriale che ho presieduto aveva proposto: anzi, i decisori non hanno nemmeno citato “cittadinanza e Costituzione” accanto alla storia, che, dal 1958, era affidata a un insegnamento dal titolo “storia e educazione civica”.
E tuttavia il problema resta, sul piano pedagogico culturale, non meno che
sul piano istituzionale.
Due strumenti didattici
Una messa a punto di questa problematica e delle prospettive per affrontarla validamente all’interno delle attuali
QUALEDUCAZIONE • 23
ristrettezze di orario abbiamo tentato
nel libro L. Corradini (a cura di) Cittadinanza e Costituzione. Disciplinarità
e trasversalità alla prova della sperimentazione nazionale Una guida teorico-pratica per docenti, Tecnodid, Napoli, 2009. Si esaminano quasi tutte le discipline scolastiche, dal punto di vista
della didattica interdisciplinare e trasversale, in funzione delle competenze
sociali e civiche.
Col collega Andrea Porcarelli, che ha
fatto parte della citata commissione ministeriale, abbiamo cercato di rivolgerci anche agli studenti del secondo ciclo,
con un libro il più possibile chiaro, sintetico e colloquiale, per offrire loro uno
strumento utile ad orientarsi nella vita
e nella cultura contemporanea e a costruire la loro identità personale e civile, in un tempo di oscuramento degli
ideali e di sfiducia nella scuola e nella
politica. Le nozioni sono presentate in
un contesto di senso che ne consenta la
comprensione e la discussione, in dialogo con tutte le discipline scolastiche.
Il libro, che ha per titolo Nella nostra società. Cittadinanza e Costituzione, SEI, Torino 2012, propone ai giovani
una sorta di visita guidata alla “galleria” dei 139 articoli della Costituzione,
per coglierne le implicazioni di carattere storico, etico, giuridico, politico, in
modo da facilitare in loro la scoperta e
la valorizzazione del “tesoro” che i “padri costituenti” hanno costruito intorno
alla metà del secolo scorso.
Il primo capitolo inizia il dialogo con
i lettori esplorando per così dire dall’alto
lo scenario storico in cui sono maturati
i diritti di cittadinanza, a partire dall’età antica. Nei successivi si presentano e
si commentano i nodi fondamentali del
testo costituzionale. Il libro intende va24 • QUALEDUCAZIONE
lorizzare ciò che di vivo e di essenziale
gli studenti possono incontrare nel corso dell’adolescenza e nell’itinerario formativo della scuola secondaria superiore, fornendo loro criteri di lettura della
realtà, e indicando prospettive d’impegno di cittadinanza attiva.
I glossari hanno il compito di accompagnare lo studente, offrendogli nel corso della lettura definizioni e spiegazioni
dei termini più tecnici o più difficili. I
laboratori consentono di “fare il punto”
sui temi trattati al termine di ogni capitolo e si strutturano in due tipologie di
esercizi: esercizi a schema chiuso, per
verificare alcune delle conoscenze fondamentali, ed esercizi a schema aperto,
collaborativi e creativi, per consentire
di mettere in atto, nei contesti concreti delle diverse classi, le proprie competenze culturali in ordine alla cittadinanza e in rapporto alla Costituzione.
Un sito apposito dell’Editrice SEI offre materiale da utilizzarsi on line, per
la documentazione e per l’approfondimento dei temi. Il profilo e i libri dell’A.
sono leggibili e scaricabili nel sito www.
lucianocorradini.it
Qualeducazione
è una rivista
internazionale
di pedagogia
fondata da
Giuseppe Serio
Dialogare per cooperare
di
GAETANO MOLLO*
“Il dialogo richiede che abbandoniamo
le nostre posizioni,
per entrare in quelle dell’altro.
Quanto più mi do all’altro,
tanto meglio conosco me stesso
tanto più acquisto un’identità unica”
L. Dupré
Riassunto
Il processo di comprensione reciproca fra persone, fra popoli, fra culture e
fra continenti costituisce, oggi, la grande sfida pedagogica. Al centro di ogni
situazione volta alla cooperazione deve,
pertanto, esserci sempre il dialogo. Una
società della cooperazione richiede una
socialità estesa, alimentata da un’eticità profonda. Vanno sollecitati tutti gli
aspetti di una relazionalità ampia. Attraverso il procedimento dialogico può
essere attivato un atteggiamento cooperativo, basato su tre elementi: a) l’accettazione incondizionata di ogni persona;
b) il rispetto profondo della diversità; c)
il fondamentale senso della corresponsabilità. Ascoltare in profondità richiede il sintonizzare il proprio animo sulle
lunghezze d’onda della persona in difficoltà e delle situazioni problematiche.
Questo richiede che non ci si fermi a un
ascolto emotivo e neppure ci si limiti a
un ascolto ideologico, ma ci si apra a un
ascolto patetico.
* Ordinario di Pedagogia, Università di Perugia.
Abstract
The process of mutual understanding between people, cultures and continents is, today, the great pedagogical
challenge. At the center of every cooperative situation must always be dialogue. A society of cooperation requires
an extensive sociality, fueled by a deep
ethic. For this reason should be promoted all aspects of a large relationality. Through the process of dialogue we
could trigger a cooperative approach based on three elements: a) the unconditional acceptance of each person, b) the
profound respect for diversity, c) the fundamental sense of shared responsibility.
Listen in depth requires tune your mind
on the wavelength of the person in distress and problematic situations. This
requires us not to stop to an emotional
listening, nor limit ourselves to an ideological listening, but open to a pathetic listening.
La società della cooperazione
Oggi non è più possibile rinchiudersi
nel proprio mondo. Siamo tutti interdipendenti. La nostra stessa personalità
– così come William Kilpatrick ha ben
messo in evidenza – costituisce contemporaneamente un bene personale e un
contributo sociale.
Così pure, si deve considerare – assieme a Edgar Morin – che è necessaria una riforma del pensiero, consistente nel riunire ciò che si presenta sepaQUALEDUCAZIONE • 25
ratamente. Tuttavia, è necessario riuscire anche a trascendere il pensare
nell’incertezza, scorgendo un orizzonte
di senso che permetta di affrontare le
incognite del futuro, delineando, attraverso una progettualità costruttiva, le
visioni dell’avvenire.
Il processo di comprensione reciproca fra persone, fra popoli, fra culture e
fra continenti costituisce, oggi, la grande sfida pedagogica. Se Jeremy Rifkin
prospetta una civiltà dell’empatia – la
cui grande ondata empatica ha avuto
origine con la venuta del Cristo –, condizione per lo sviluppo di una “coscienza biosferica”1, si deve poter costituire
un modello cooperativo fra persone, fra
comunità e sul piano internazionale,
per poter produrre un “sistema a rete”,
capace di soppiantare la gerarchia e la
separazione netta di funzioni, caratteristica del “sistema piramidale”.
Si tratta di formare una coscienza transpersonale, ossia una coscienza
che riesca a trascendere l’individualismo e superare il separatismo, espressioni queste di uno sguardo corto, incapace di scorgere con lungimiranza i
grandi orizzonti dell’avvenire. Questo
richiede la capacità di decentrarsi e di
riconoscersi nel diverso, nel distante e
nel difforme, ossia in tutte le forme di
vita di cui è costituita l’umanità. Da
tale tipo d’impostazione può scaturire
un “modello cooperativo”, che consideri la diversità una ricchezza e non una
questione di superiorità e inferiorità2.
La mentalità della cooperazione può
1
Cfr. J. Rifkin, La civiltà dell’empatia, tr. it.,
Mondadori, Milano 2011.
Cfr. G. Mollo, La civiltà della cooperazione,
Morlacchi, Perugia 2012.
2
26 • QUALEDUCAZIONE
sconfiggere la continua conflittualità e
la selvaggia competizione. Si devono
poter apprendere i due registri relazionali, che Paul Ricoeur individua nella
“pedagogia privata” – quale si scopre e
si esercita nell’amicizia e nei rapporti
col prossimo – e nella “pedagogia pubblica” – dove si possono apprendere il
rispetto delle leggi e delle regole associative. Da qui l’importanza che assume l’amicizia morale, per la formazione
delle virtù dell’apertura mentale, della
disponibilità collaborativa, dell’ascolto
e dell’aiuto3.
Solo in una visione edificante e di
superiore utilità dell’unificazione, ciò
che costituisce la tensione di armonizzazione e la consapevolezza del tornaconto di benessere personale e per tutta
l’umanità può ispirare le vie della cooperazione e dell’armonizzazione. Da ciò
l’importanza dell’ incontrarsi e del dialogare, per scoprire ciò che può essere
compreso eticamente e condiviso socialmente, portando alla cooperazione e generando corresponsabilità.
Si può, quindi, parlare di un vero e
proprio “paradigma del cooperare”, basilare per determinare un modo d’associarsi partecipe e responsabile. Tale associarsi, nella mentalità della post-modernità, si presenta ben diversamente
dall’associarsi funzionalistico e strumentale della modernità: si tratta di un associarsi non fondato sull’utilitarismo, ma
sul riconoscimento del valore delle emozioni e dell’importanza dei sentimenti.
Dalla considerazione e constatazione
del valore e della funzione del gruppo, discende l’utilità e la necessità di dover ap3
Cfr. G. Mollo, Aspetti pedagogici nel pensiero
di Paul Ricoeur, in “Pedagogia e Vita”, n. 5-6,
settembre-dicembre 2009, pp. 83-98.
prendere le varie modalità della vita sociale in situazioni culturali e lavorative
di cooperazione. In questa prospettiva,
il cooperative learning costituisce quella forma sociale di apprendimento di regole e di modalità operative, attraverso
la condivisione di un progetto e la collaborazione alla sua realizzazione. Attraverso di esso si può attivare un autentico “sistema a rete”, caratterizzato dai
seguenti aspetti: a) i rapporti e le relazioni sono sia verticali sia orizzontali; b)
si può passare da un sottogruppo a un
altro con una certa libertà; c) ogni membro può apportare, nelle sedi e momenti
opportuni, il proprio contributo; d) c’è un
centro della rete, dove convergono le idee
di tutti e si prendono le decisioni da parte della leadership; e) la partecipazione
è diffusa e la decisionalità è condivisa.
Per attivare tale sistema relazionale sono necessarie tre condizioni: a) una
visione d’insieme, che comprende le finalità da perseguire e i traguardi organizzativi da raggiungere; b) la consapevolezza per ogni collaboratore del
valore e della funzione del proprio contributo; c) il coinvolgimento nei processi decisionali, con il conseguente impegno e responsabilità.
Nel sistema della cooperazione dove il profitto passa da fine primario a
effetto dell’efficienza e della produttività del sistema socio-economico – prevale il parametro della condivisione e della corresponsabilità. Non ci deve essere
una lotta di reciproca volontà di superamento – e nel peggiore dei casi anche
di annientamento - ma una competizione al miglioramento.
Il sistema della cooperazione vive del
reciproco riconoscimento di diritti e doveri, liberamente accettati come parti
in causa di un’organizzazione e di tutta
l’umanità. All’interno di tale clima sociale l’autorità non costituisce una forma di aggressione contro la libertà dei
dipendenti ma può essere vissuta come
centro vitale dell’organismo sociale, di
cui si fa parte. A sua volta, chi è insignito dell’autorità, quale riconoscimento di
qualità e di propensione, non sarà portato a intendere il suo ruolo come superiorità di comando, ma come un dovere
verso i suoi dipendenti, tale che questi
siano indotti a sentirsi tutti collaboratori, a vari livelli e con differenti funzioni.
Così, non c’è lotta continua fra le varie parte di un organismo sociale, ma
costante ricerca di cooperazione, che richiede, in quanto tale, un coordinamento e un organo decisionale.
La condizione basilare per istituire
una civiltà della cooperazione è riuscire ad attivare reciproche condizioni di
ascolto. Si tratta di riuscire a dialogare fra persone, fra comunità, fa culture,
fra popoli, senza la pretesa di assimilare l’altro al proprio pensiero o riportarlo
alla propria visione del mondo.
Lo strumento del dialogo
Una società della cooperazione richiede una socialità estesa, alimentata da una eticità profonda. Per questo
vanno promossi tutti gli aspetti di una
relazionalità ampia: dalla relazione con
l’altro alla relazione col gruppo, dalla
relazione con l’umanità alla relazione
con il Tutto4.
4
Nell’altro – seguendo in questo la visione di
Aldo Capitini – va saputo riscoprire l’Altro, come
presenza religiosa che unisce tutta l’umanità,
da riconoscere attraverso la “prassi dell’amorevolezza”.
QUALEDUCAZIONE • 27
Da ciò la centralità della relazione:
si tratta di considerare alla base di ogni
intenzione e di ogni atto la relazione con
le altre persone e gli altri esseri viventi.
Da tale consapevolezza deriva la considerazione che siamo responsabili di ogni
sguardo e di ogni parola che rivolgiamo
agli altri, ivi comprese le omissioni. Conseguenza di tutto ciò è il rispetto, consistente nel farsi consapevoli della dignità di ogni persona e di ogni altro essere vivente, cercando di considerarne e
comprenderne la storia e le condizioni
di vita. Effetto ne è la reciprocità, rappresentante il senso della comprensione di tutti, percepita come vicendevole
riconoscimento e considerazione.
È attraverso la reciprocità che nel
mondo affettivo e nel mondo del lavoro ci si può considerare come membri
della stessa comunità, della stessa organizzazione, della stessa società, con
gli stessi diritti e doveri. La reciprocità
– a livello di coscienza transpersonale
e planetaria – si estende sino a tutti i
popoli e i diversi continenti.
È all’interno di una situazione di
reciprocità che si può istituire un vero
dialogo5. Questi si pone a tre livelli: a)
a livello personale, riguarda la dimensione interiore di ogni persona, dove la
passione ispira riflessioni e motiva azioni. È il luogo intimo dove si costituisce
il “me” di ogni soggetto. È fatto di passione; b) a livello interpersonale, costituisce la dimensione sociale della persona, fatta di reti relazionali, che permettono di entrare in rapporto col mondo e
di farne parte. È lo spazio entro il quale
si configura l’“io” di ogni personalità. È
fatto di compassione; c) a livello transpersonale: rappresenta la dimensione
del “Sé” ampio, dove si scopre il senso
profondo dell’umanità e il farne parte,
in compagnia di tutto ciò che chiamiamo “natura” e ”spirito”. È fatto di compartecipazione.
Tutti questi tre aspetti devono poter alimentare il dialogo di ogni essere
umano con se stesso, con gli altri e con
il mondo, per ampliare la coscienza, sino
a farsi coscienza planetaria e biosferica.
Il cercare di dialogare deve rappresentare la condizione di fondo di ogni
relazione inter-umana, quella sfera di
condivisione dove – secondo Marin Buber6 – può istituirsi il velo colloquio, in
cui ognuno possa riconoscere l’interlocutore come un uomo specifico, rivolgendosi a lui nella sua essenza. Da ciò
la fondamentale importanza di alcuni basilari atteggiamenti, da coltivare
come doti umane: a) il saper ascoltare
in profondità le esigenze intime altrui,
cercando di mettersi al posto dell’altro, sapendo percepire le domande e
riuscendo a fare quelle giuste. Questo
richiede l’interessarsi sinceramente
agli altri, incoraggiandoli a parlare di
se stessi, facendo sì che ognuno si senta importante, soprattutto come persona. b) il saper contribuire a realizzare
un’atmosfera dialogica, basata sulla comunicazione genuina, ma anche sulla
criticità, sulla relazionalità rispettosa
e sul confronto sincero.
È necessario riuscire a sostituire atmosfere di anti-dialogo – strutturate su
rapporti verticali, privi d’amore e senza
comprensione – con atmosfere dialogi-
Cfr. G. Mollo, La civiltà della cooperazione,
ed. cit., pp. 207-211.
Cfr. M. Buber, Il principio dialogico, tr. it.,
Edizioni di Comunità, Milano 1975, p. 215.
5
28 • QUALEDUCAZIONE
6
che – plasmate sulla fiducia e sulla collaborazione, come ha ben testimoniato
e sostenuto Paulo Freire7.
Attraverso il procedimento dialogico può essere attivato un atteggiamento cooperativo, basato su tre elementi:
a) l’accettazione incondizionata di ogni
persona; b) il rispetto profondo della diversità; c) il fondamentale senso della
corresponsabilità.
A tal fine ogni persona che intenda
assumere una responsabilità formativa
deve saper incoraggiare e valorizzare
tutti coloro che fanno parte di un progetto formativo o di una situazione d’apprendimento. Incoraggiare a dare il proprio contributo, credendo in ciò che si
può fare e ottenere. Incoraggiare a condividere e vivere la gioia delle conquiste assieme. Incoraggiare la comunicazione e lo scambio di idee e esperienze.
Si tratta di valorizzare tre fondamentali aspetti: a) le risorse e il potenziale di ogni persona; b) il senso di
comunanza collettiva, che pur contiene e ammette simpatie individuali; c)
le spinte creative e ideative, volte non
solo a rendere coprotagonisti, ma a far
si che un sistema di servizi o un sistema produttivo sia sempre aperto al rinnovamento e disposto all’innovazione.
Quello che si deve costituire è il sen-
Negli anni Sessanta, Paulo Freire ha
condotto un’esperienza, in Brasile, basata su
“circoli di cultura” e confluita nel “Movimento di
educazione popolare”. Furono creati – nel 1962
– 1300 sindacati rurali nelle regioni più povere
del nord-est, con quindici milioni di analfabeti
su venticinque milioni di abitanti. Fu elaborato
un piano per alfabetizzare due milioni all’anno
di persone, attraverso 20.000 circoli, con il fine
della coscientizzazione delle masse (cfr. P. Freire,
L’educazione come pratica della libertà, tr. it.,
Mondadori, Milano 1973, pp. 67-68).
7
so di un’interdipendenza positiva e costruttiva, lavorando e impegnandosi
per obiettivi comuni, pur mantenendo
l’apporto individuale e il riconoscimento di merito.
In tale prospettiva ciò che deve essere incentivato è sempre l’elemento dialogico di ogni gruppo, agevolando i rapporti da pari a pari, in quanto persone
– pur nella diversità di funzioni e ruoli – nello starsi di fronte in un vivente
scambio. Da tale autentico vivente interscambio discende la diversità fra il
dialogare – che ha al centro la relazione interumana e il logos – e il semplice
conversare, il discutere e il chiacchierare. Al conversare manca l’intenzionalità
di volersi implicare e cambiare. Il discutere è ispirato e sollecitato dal voler far
prevalere la propria idea o posizione. Al
chiacchierare difetta la profonda comprensione del fenomeno di cui si parla,
così come anche Martin Heidegger chiarisce in Essere e Tempo8.
Nel conversare prevale la stabilità nell’alternarsi dei protagonisti degli
interventi. Nel dialogare s’instaura un
certo squilibrio, che fa avanzare il gruppo verso riflessioni e considerazioni impreviste e inaspettate. Ed è all’interno
dell’autentico dialogare che può svilupparsi l’arte dell’ascoltare.
L’arte dell’ascoltare
Non esiste vero dialogo senza un au-
8
Per questo, Heidegger sostiene che la
“chiacchera” è la pretesa di voler parlare di
tutto, senza alcuna preliminare appropriazione
della cosa da comprendere, considerando che il
linguaggio presuppone sempre la comprensione
e l’interpretazione.
QUALEDUCAZIONE • 29
tentico ascolto. Potremmo dire che se
il dialogo è il motore della cooperazione, l’ascolto ne rappresenta il motorino
d’avviamento. La possibilità di attivare un clima dialogico e di ascolto è facilitata dall’impostazione dei work shop
– dove tutti i partecipanti di un gruppo sono chiamati ad assumere un atteggiamento aperto al dialogo – creando le condizioni per una partecipazione
collaborativa.
In tale atmosfera relazionale diventano possibili le due fondamentali forme di ascolto: a) l’ascolto empatico, costituito dal sapersi decentrare, immedesimandosi nel problema dell’altro e permettendogli, poi, una visione più ampia
e distaccata della difficoltà incontrata;
b) l’ascolto attivo, basato sull’opportunità che si offre di rispondere a domande, servendosi di supposizioni e di ipotesi, cogliendo il sentimento che ha mosso l’interrogativo o spinto la richiesta.
È riuscendo ad ascoltare che si perviene all’atteggiamento ipotetico, alimentandosi all’umiltà di chi sa che ogni
situazione è diversa. Sapere non basta.
È necessario riuscire a intuire la domanda intima e poter cogliere lo stato interiore del sentimento (paura, ansia, attesa, aspettativa, rabbia, risentimento, preoccupazione, interessamento, speranza, ecc.).
Per ascoltare in profondità bisogna
tener presente la relazione interumana
e la rete emotiva che s’istituisce. Eugenio Borgna afferma che “c’è sempre relazione e, cioè, costruzione, sia pur fragile
e frammentaria - di ascolto e di dialogo,
d’intersoggettività e di reciprocità”9. È
E. Borgna, Le emozioni ferite, Feltrinelli,
Milano 2009, p. 22.
9
30 • QUALEDUCAZIONE
in tale prospettiva che ci si deve porre
come uomini della domanda e non subito come uomini della risposta. L’uomo
della domanda è colui che cerca di porsi
dal punto di vista dell’altro.
Si tratta di un atteggiamento di compassione profonda, derivante della capacità di provare empatia per un altro,
per una comunità o per una situazione di vita10.
Tale atteggiamento empatico si basa
sulla capacità di ascoltare in profondità, sintonizzando il proprio animo sulle
lunghezze d’onda della persona in difficoltà o delle situazioni problematiche.
Questo richiede che non ci si fermi a un
ascolto emotivo e neppure ci si limiti a
un ascolto ideologico, ma ci si apra a
un ascolto patetico. Si deve, infatti, distinguere fra: a) ascolto emotivo: basato sull’emotività e sulla momentaneità, limitato alla percezione dell’immediatezza. È destinato a svanire presto
nel tempo, assieme alla sollecitazione
che ha generato l’emozione; b) l’ascolto
ideologico, limitato a ciò che rientra nei
propri schemi mentali e nel proprio sistema di valore, diffidando di tutto ciò
che si presenta come diverso e distante
dal proprio mondo; c) l’ascolto patetico:
basato sull’interessamento e sulla compassione, prodotto di appassionamento
e apertura mentale.
L’ascolto patetico è possibile se ci si
accorge della presenza e dei problemi
delle altre persone. Nel riferirsi alle si-
È in tal senso che Jeremy Rifkin sostiene
che Schopenhauer è stato il primo a descrivere un
rapporto empatico, anche se non ha usato proprio
questo termine, ponendolo alla base dell’atto
morale e in forza del convincimento dell’essere
tutti uno stesso essere (cfr. J. Rifkin, La civiltà
dell’empatia, ed. cit., pp. 321-322).
10
tuazioni problematiche, rappresenta
ciò che mette in moto un meccanismo di
compartecipazione. Da qui l’attenzione
verso i bisogni degli altri e la disponibilità a condividere situazioni di via, entrambe condizioni della possibilità del
prendersi cura11. Una leaderschip cooperativa deve possedere tale predisposizione, mossa da compassione, spinta
dall’amore e partecipe con intelligenza.
1980 Educazione alla pace; da sinistra G. Giugni
(univ di Perugia), A. Pieretti (univ di Perugia), avv.
L. Giugni (sindaco di Praia).G. Serio (presidente
fondazione), dott. G. Impedovo (Segr naz Aspei).
Educazione alla pace. Iil saluto di S.E. Mons. A. Lauro, vcescovo di S. Marco A - Scalea.
11
Paul Ricoeur definisce l’ascolto come un
“luogo pre-etico” e il dialogo come quello spazio
nel quale sorge l’etica.
QUALEDUCAZIONE • 31
Il dialogo odierno, come forma d’aiuto e
d’esercizio professionale pedagogico
di
FRANCO BLEZZA*
Riassunto
La pedagogia ha una storia antica,
anche se il termine si è consolidato nella cultura molto più di recente: il richiamo alle sue radici nella Grecia classica
è essenziale perché da quella fonte attingiamo tutto un complesso di strumenti
concettuali ed operativi di fondamentale importanza, sia per l’esercizio professionale pedagogico che per la pedagogia generale, e tra questi proprio il διάλόγoς è di assoluto rilievo come esercizio professionale e come potenzialità di
riflessione generale e metodologica. In
questo saggio si riprende la storia del
dialogo. dalle sue origini non filosofiche fino a taluni suoi rilevanti sviluppi
successivi, per approdare a quella forma attuale di dialogo che è l’interlocuzione pedagogica. Si discutono, attraverso i tratti salienti di questa tecnica
e modalità d’esercizio, alcuni dei tratti
di fondo della pedagogia professionale
odierna, come il suo carattere di relazione d’aiuto e di cura (to care of) ma non
terapeutica (to cure), la necessità di un
saldo fondamento scientifico, il carattere non normativo, il ruolo essenziale
della riflessione sul metodo.
Abstract
Pedagogy has a long history, although the term has established itself
* Redattore di Qualeducazione - Ordinario di
Pedagogia sociale nell’Università G. D’Annunzio, Chieti.
32 • QUALEDUCAZIONE
in culture much more recently: the reference to its roots in classical Greece is
essential because from that source we
draw a whole series of conceptual and
operational tools of fundamental importance, both for pedagogical professional
practice and for the general pedagogy,
among them just the διά-λόγoς is of absolute importance as a professional exercise and as a potential for an overall and
methodological reflection. This essay discusses the story of the dialogue from its
non philosophical origins up to some of
its major developments, to arrive at the
current form of dialogue that is the pedagogical interlocution . Through the main
features of this technique and the procedures of its practice, some of the pivotal
features of today’s professional pedagogy are discussed, such as its character of
supportive relationship and care (to take
care of) but not therapeutic (to cure), the
need for a strong scientific foundation ,
its non-regulatory character, the essential role of the reflection on method.
“Dialogo”, come noto, non è sostantivo che indichi una qualunque forma di
comunicazione tra persone o un canale
di socializzazione generico, bensì è un
termine tecnico che designa una forma
molto particolare e specifica di esercizio
di cultura umana con fini promozionali, evolutivi, di conquista di sé stessi e
di conoscenza della realtà.
Questa essenziale concettualità va
coniugata con quelle analogamente ti-
piche della civiltà greco-classica ed altrettanto caratterizzanti.
Potremmo cominciare dal πάντων
χρημάτων μέτρον ἐστὶν ἄνθρωπος,
τῶν μὲν ὄντων ὡς ἔστιν, τῶν δὲ οὐκ
ὄντων ὡς οὐκ ἔστιν di Protagora di Abdera (ca. 490-420 a.C.); ουδέν εστίν, ει
δ’ εστίν ου νοητόν, ει δε νοητόν, αλλ’
ου γνωστόν, ειδέ και γνωστόν, αλλ’ ου
δηλωτόν άλλους di Gorgia da Lentini (ca. 485-c.380 a.C.); φύσει μέν εστιν
‘άνθρωπος ζωον πολιτικόν di Aristotele (384-322 a.C.); dal ruolo e dall’importanza della’ρητορεία; dal διάλογος socratico; dalla πολιτεία intesa come socializzazione e come partecipazione attiva alla vita politica; dalla logica classica con le sue regole; dal γνῶθισεαυτόν
(nosce te ipsum), nel senso profondo della limitatezza dell’essere umano e della
piena consapevolezza delle potenzialità e dei limiti propri di ciascuno, con la
conseguente condanna della ‘ύβρις, superba ed arrogante violazione di questo carattere umano essenziale; ma potremmo continuare a lungo per linee altrettanto significative.
La contestualizzazione storica e culturale di questi strumenti concettuali,
e la loro integrazione in quella civiltà,
consente di coglierne appieno i caratteri e le valenze essenziali, sia dal punto di vista storico che con riferimento
all’attualità.
Non risulterà allora una coincidenza il fatto che il Socrate primo teorizzatore del dialogo come forma di promozione umana fosse anche quello stesso
Socrate che interpretò correttamente il
responso dell’oracolo di Delfo, nel senso di una saggezza umana che si identifica direttamente con la consapevolezza dei propri limiti e di quanto ancora
non si conosce.
In questo senso, il tema del presente numero speciale di “Qualeducazione”
nell’occasione del suo trentennale si offre ad una avanzata competenza pedagogica come la sede più adatta per fare
il punto dello stato dell’arte della professione di pedagogista circa il dialogo
nei tempi correnti: tempi caratterizzati
da un’evoluzione frenetica e con carichi
pedagogici pesantissimi, tempi di transizione epocale dopo un periodo storico
caratterizzato da un particolare spirito
borghese e durato all’incirca due secoli,
poco più poco meno a seconda delle realtà geografiche e culturali considerate.
Questo ci sembra anche il modo più
coerente per seguitare una collaborazione iniziata nel 1987, e prestata regolarmente dal 19901.
Non sarebbe in linea con la pedagogia odierna, che non è una scienza
normativa in senso forte, cogente e costrittivo, declinare questo tema generale (ancorché non generico) nel senso
della prescrizione o dell’esortazione o
del monito a dialogare sic et simpliciter. Ciò potrebbe portare, fra l’altro, ad
un’accezione del termine “dialogo” tanto aspecifica da risultare di scarso valore informativo, e comunque molto lontana da ciò che è stato il dialogo dalla
sua fondazione, due millenni e mezzo
fa, fino ai tempi attuali.
Un adempimento attualissimo, e
specificamente pedagogico a questo proposito, consiste invece nell’analizzare
questo prezioso ed estremamente rigoroso strumento di comunicazione inter1
Il primo contributo è apparso nel fascicolo
19 (anno VI, n. 4, ottobre-dicembre 1987, pag. 3339). La cura della rubrica “Ricerca ed innovazione
educativa e didattica” è iniziata con il fascicolo 29
(anno IX, n. 3, luglio-settembre 1990).
QUALEDUCAZIONE • 33
personale e di evoluzione umana, con
un riguardo per gli sviluppi millenari
e per le attuali discendenze legittime,
le quali fanno parte della cassetta degli attrezzi dei pedagogisti professionali e di ogni professionista intellettuale,
della cultura, dell’area socio-sanitaria,
il quale si avvalga nel suo esercizio professionale anche di strumenti specificamente pedagogici.
Ne ricaveremo, fra l’altro ma non in
seconda battuta, la testimonianza di
come la normatività non sia uscita dal
novero degli adempimenti della pedagogia attuale, ivi compresa la pedagogia
professionale intesa come branca degli
studi pedagogici portante una particolare professione sociale e tutte le altre
che a questa attingono, e di come essa
si ridefinisca precisamente nel senso
di normatività di metodo. Il pedagogista, o chi eserciti comunque in modo pedagogico, non ha prescrizioni di merito da impartire, bensì norme di metodo, imperativi ipotetici (o doppiamente
ipotetici) da prospettare al proprio interlocutore.
L’attualità del dialogo a partire dal
fondatore, e taluni suoi sviluppi nel
lungo lasso di tempo che ci porta fino
all’oggi, risulterà in modo particolare
attraverso la presa d’atto di quanto sia
prezioso questo strumento, o meglio di
quanto lo sia questo complesso di strumenti, per la persona e per la società
d’oggi, che di esercizio professionale
specificamente pedagogico nel sociale
dimostrano di avere un bisogno sempre crescente e sempre più essenziale,
ancorché ostacolato da pesanti inerzie
e largamente inadeguato come consapevolezza diffusa.
34 • QUALEDUCAZIONE
Il “dialogo” alle origini della pedagogia
Il termine λόγoς, come noto, si riferisce sia alle varie accezioni del discorso (espressione, parola, colloquio, …),
che alla ragione (intelligenza, regola,
giudizio, computo, valutazione, corrispondenza, analogia, …); la preposizione διά significa “attraverso”, “per”,
sia nel senso temporale che nel senso
del moto per luogo, con una derivazione che indica la penetrazione, la suddivisione conseguente a tale penetrazione nell’oggetto nel quale essa viene
compiuta, la spaccatura, lo squarcio. Il
termine può quindi intendere sia un
λόγoς che attraversa più persone, sia
un λόγoς che penetra nelle idee, nelle cose, nella realtà con discernimento
profondo ed essenziale.
L’origine del dialogo è nella Grecia
classica, ed è esterna alla Filosofia: anche se la mente andrebbe direttamente
a Socrate, il dialogo era presente in alcuni generi poetici, nella tragedia greca
(tra agonisti e coro, tra agonista e agonista), e nella storiografia (Erodoto, 484430 a.C.). Si originò in quello stesso periodo la Filosofia occidentale, sulla base
di problemi educativi, secondo il John
Dewey più noto2 che, almeno per chi si
occupi di pedagogia, dovrebbe costituire un riferimento essenziale.
Facciamo risalire basi importanti
della teoria e della metodologia pedagogica, in ispecie il dialogo, proprio a
Socrate; o meglio, ai dialoghi socratici
scritti da Platone, a quanto ci ha riferito Senofonte e a qualche altra fonte
2
Democracy and Education. In rete ad es.
all’URL http://www2.hn.psu.edu/faculty/
jmanis/johndewey/dem&ed.pdf, pag. 337-338.
ancora per lo più indiretta, essendo
ben noto che Socrate non ha lasciato
scritto nulla ed anzi ha asserito l’importanza dell’oralità e della memoria
proprio in un periodo storico nel quale la scrittura stava affermandosi nel
mondo greco e, anche per questa eredità, si sarebbe consolidata definitivamente in occidente.
Invece, l’esercizio professionale pedagogico è ancora precedente, riconducibile ai Sofisti cioè al primo corpo
di professionisti specificamente esercitanti in educazione.
I Sofisti insegnavano ’ρητορεία, e
si facevano carico dell’educazione dei
giovani al fine di farne dei cittadini in
grado di vivere la vita politica nella loro
πóλις. La pedagogia nasce in occidente
come professione sociale ai massimi livelli. Pensiamo a Protagora (V secolo
a.C.) che si presentava come maestro
di εύβουλία3, sia negli affari privati, ossia il modo migliore di amministrare la
propria casa, sia negli affari politici cioè
della πóλις, ossia il modo di diventare
in sommo grado abile nel governo della città-stato, negli atti e nelle parole.
È da una simile prospettiva, più pedagogica che non filosofica, che si comprendono e si apprezzano le posizioni
di quei professionisti dell’educazione
in età adulta che invece suscitavano e
suscitano la critica da una prospettiva
filosofica in senso stretto. Ad esempio,
la citata massima di Protagora secon3
Platone, Protagora [319 A - B]. Il termine
designa una capacità di consigliare bene: βουλή
indica la volontà, la decisione, come anche
il parere, l’avviso, o il progetto, il disegno,
e l’atto di riflettere e di deliberare, nonché
in concreto alcune forme di adunanza, di
assemblea, di consiglio; e il prefisso εΰ indica
un’accezione buona, positiva, ben fatta.
do la quale l’uomo è misura di tutte le
cose4, coniugata con la centralità della ’ρητορεία come arte di persuadere
con la parola i concittadini, le autorità e ogni istanza sociale5. In una democrazia come quella delle πóλεις, è
il consenso maggioritario dei cittadini
che conta; altra questione è se esistano una Verità, una Giustizia, una Virtù ed altri assoluti e, se del caso se essi
siano conoscibili, individuabili, descrivibili, trasmissibili, e come.
Si capisce come la ’ρητορεία dei Sofisti potesse anche essere impiegata
come esercitazione al limite estremo,
ma fondamentalmente come attestazione di questo atteggiamento correttamente relativistico in un contesto di
democrazia diretta.
Socrate, da parte sua, è chiaro al riguardo fin nel suo ultimo discorso, la
difesa o απολογία da lui pronunciata
davanti al tribunale ateniese nella primavera del 399 a.C., rispetto alla grave
accusa di empietà e di stravolgimento
delle idee e dei valori in un’azione diseducativa e di corruzione delle giovani generazioni. Dopo aver citato il responso che il suo amico, e stimato concittadino, Cherofonte ebbe dall’Oracolo di Delfo, secondo il quale non c’era
maggior saggio di Socrate stesso: “Da
un tale accurato esame, o cittadini ateniesi, […] mi derivò anche tale reputazione, ossia di essere sapiente […] che
io fossi sapiente in quelle cose sulle
quali confutavo l’altro. Invece, o cittadini, si dà il caso che, in realtà, sapiente sia il dio e che il suo oracolo voglia
dire appunto questo, ossia che la sa-
4
Teeteto, 166 D-167 B.
5
Gorgia, 452 D-E.
QUALEDUCAZIONE • 35
pienza umana ha poco o nessun valore. E il dio sembra che parli proprio
di me Socrate , e invece fa uso del mio
nome, servendosi di me come di esempio, come se dicesse questo: «O uomini, fra di voi è sapientissimo chi, come
Socrate, si è reso conto che, per quanto riguarda la sua sapienza, non vale
nulla». Appunto per questo anche ora,
andando attorno, io ricerco e indago, in
base a ciò che ha detto il dio, se io posso
giudicare sapiente qualcuno dei cittadini e degli stranieri. E, dal momento che
non mi sembra che sia tale, venendo
in soccorso al dio, dimostro che non
esiste un sapiente.”6.
Se ne può trarre anche una prospettazione realistica dell’atteggiamento
“sapiente”, nel senso che “la sua sapienza non vale nulla” in un certo senso
assoluto, che il professionista di cultura pedagogica deve avere nel suo esercizio nel sociale.
La limitatezza umana, intrinseca
all’uomo in quanto tale, non consente
né sapienza né verità: ma questo non
toglie alcunché all’eventuale convincimento che una Verità, un Sapienza, ed
anche una Giustizia o una Virtù esistano; semmai, è nella limitatezza umana
che si evidenzia l’importanza dell’atto
educativo, anche eventualmente raffrontandola o riferendola agli assoluti, anche come ricerca di andare oltre
questi limiti pur non potendo mai liberarsi dai limiti stessi.
Si può quindi riconfermare la validità come strumento concettuale del
dialogo con i suoi due momenti della ’ειρωνία e della μαιευτική τέχνη7,
6
Ivi, 21 B e 22 E - 23 C.
7
Essi sono esplicati nei vari dialoghi, in par-
36 • QUALEDUCAZIONE
con riguardo particolare al carattere
di questo secondo di dazione alla luce
delle idee maturate nell’allievo da parte dell’allievo stesso, con il maestro che
lo aiuta esattamente come una levatrice aiuta la partoriente, metafora efficacemente ripresa da Socrate nell’arte di sua madre Fenarete. Ma una tale
attualità va correttamente coniugata
con il senso del limite umano e della
consapevolezza di questa limitatezza
come caratteristica connaturata all’uomo in quanto tale, rispetto al quale
sarebbe gravissima ‘ύβρις derogare; il
che, almeno dal punto di vista specificamente pedagogico, esclude la ricerca di ‘αλήθεια cioè di verità assoluta.
Queste idee di fondo conservano la
loro attualità, pur se il dialogo ha avuto, da quei tempi lontani, un suo sviluppo cospicuo, come forma espositiva
letteraria, filosofica, scientifica, anche
a voler prescindere da tutto ciò che rimanda a generi teatrali.
In Latino antico, la forma-dialogo
sarà impiegati da Cicerone , da Severino Boezio (480-526), e da altri ancora; e sarà ulteriormente impiegato anche in Greco.
Questa forma verrà poi fatta propria anche da alcuni importanti autori cristiani come forma di discussione, di propaganda, di polemica contro
movimenti od idee di carattere eretico
(Gerolamo, 347-420 ca.; Agostino d’Ippona, 354-430). Per Agostino, vi è corrispondenza tra la SS. Trinità e la forma dialogica dello spirito umano.
Ed è da notarsi che non sono mancati esempi notevoli di impiego del dialogo come forma letteraria nella quale
ticolare nel Menone e nel Teeteto.
esprimere dei saggi: per la lingua italiana, la mente va immediatamente ai
vari dialoghi di Galileo Galilei8 (15641642), nei quali l’insegnamento disciplinare di Fisica moderna va insieme
ad un insegnamento metodologico e ad
una critica “ironica” nei confronti di posizioni anti-scientifiche, retrive, chiuse,
reazionarie. Ma esso fu impiegato anche da filosofi e saggisti molto diversi,
come Nicola Cusano (1401-1464), Giordano Bruno (1548-1600), George Berkeley (1685-1753), e da altri ancora.
Oggi, il termine “dialogo” è nel linguaggio comune: ad esso si tende ad
attribuire prima di tutto un’accezione
di apertura, di disponibilità, di ascolto reciproco, ad esempio tra insegnanti
ed allievi, tra genitori e figli, comunque
tra educatore ed educando; oppure, tra
partiti politici, tra maggioranza e minoranza, tra parti sociali. Queste caratteristiche rimangono valide anche
per il dialogo inteso come termine tecnico, che indica un modo particolare di
esercitare la professione, una procedura specifica, od anche un modo particolare di scrivere saggi di pedagogia o di
filosofia o di scienze dell’uomo.
Un pedagogista attento ai ceti e
ai popoli oppressi come Paulo Freire
(1921-1997) fece del dialogo addirittura il fondamento dell’educazione.
L’interlocuzione pedagogica e l’attualità del dialogo
Chiamiamo “interlocuzione pedagogica” l’erede attuale in campo pedagogico professionale del dialogo socratico
e, più in generale, del dialogo per come
questa forma di comunicazione umana
si è evoluta nei millenni.
Essa è stata sviluppata nel contesto della relazione d’aiuto professionale. Essa è stata proposta pubblicamente nel 1997, tanto alla comunità scientifica dei pedagogisti accademici quanto all’associazionismo del settore della
professione9 9. La sperimentazione era
in corso da molti anni10, ed è seguitata. Da un punto di vista più generale
questa proposta, con l’esperienza relativa, si offre come forma paradigmatica di tecnica di relazione d’aiuto, nella
quale implementare la metodologia e la
strumentazione concettuale ed operativa specifica del pedagogista professionale, o del professionista di cultura pe9
In particolare, una dispensa universitaria
(Pedagogia professionale odierna e problemi di
genere, Treviso 1997), largamente diffusa anche
in rete; la lezione magistrale al I Congresso Scientifico dell’A.N.Pe. (Roma, 10-11 ottobre 1997)
dal titolo L’educazione come relazione d’aiuto
(in L’educazione come relazione di aiuto ed etica
professionale; Professione Pedagogista, Bologna
1998, pag. 21-44); e in svariati articoli scientifici.
Molti scritti in materia sono stati pubblicati
in rete, nell’associazionismo e nella convegnistica
dei Pedagogisti professionali, e nella sezione di
Pedagogia che si è ottenuto fosse aperta presso il
sito www.larchivio.com. La prima sintesi organica
è stata data in Pedagogia della vita quotidiana
– La formazione del Pedagogista professionale,
un aiuto per chiunque sia educatore (Pellegrini,
Cosenza 2001). Quest’ultima opera ha avuto una
nuova edizione, interamente riscritta ed aggiornata, in Pedagogia della vita quotidiana. Dodici
anni dopo (Pellegrini, Cosenza 2011).
10
8
Il Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo (cioè Tolemaico e Copernicano) pubblicato nel 1632
è solo il più noto. Ad esempio, anche i Discorsi e
dimostrazioni matematiche intorno a due nuove
scienze attenenti alla meccanica e i movimenti
locali (cioè sulla statica e sulla dinamica), pubblicato nel 1638, è dialogico nella stessa forma
e con gli stessi personaggi.
QUALEDUCAZIONE • 37
dagogica. L’I.P., insomma, fornisce delle
indicazioni fruibili da chiunque eserciti una qualsiasi relazione d’aiuto pedagogica, ed offre i suoi contributi, per il
tramite di una opportuna mediazione,
alla pedagogia generale.
Questa rivista ne ha ospitato la prima proposta in forma di nota scientifica11. A quelle prime sedi si rimanda
per i dettagli che qui non è opportuno
ricapitolare, come anche nelle opere
più recenti in materia12.
“Provando e riprovando”
Il richiamo a Galileo come dialogista non è puramente storiografico od
attinente ad un genere letterario molto particolare, ove si consideri attentamente anche il ruolo simbolico che
si attribuisce al grande pisano circa la
scienza moderna propriamente detta,
cioè dell’evo moderno. Si rifletta sul
noto motto che la fiorentina Accademia del Cinto, la prima società scientifica sorta in Italia quindici anni dopo
la morte di Galileo, vale a dire sul notissimo «Provando e riprovando», motto che divenne comune tra quanti si richiamavano metodologicamente allo
stesso Galileo.
Non altrettanto noto è che si tratta
di un’eredità dantesca (Paradiso, canto III verso 3):
11
“L’interlocuzione come relazione d’aiuto
del pedagogista professionale” (anno XVI. n.
3-4, fascicolo n. 50 della serie, pp. 33-41, lugliodicembre 1997).
12
In particolare La pedagogia sociale (Liguori,
Napoli 2010), Pedagogia della vita quotidiana.
Dodici anni dopo, citata, La pedagogia professionale (E-book, ScriptaWeb, Napoli 2011).
38 • QUALEDUCAZIONE
Quel sol che pria d’amor mi scaldò ’l petto,
di bella verità m’avea scoverto,
provando e riprovando, il dolce aspetto;
Non è scorretto interpretare questo
motto nel senso della reiterazione degli approcci, che è tipica della ricerca
e che la connota fin dall’etimo latino
tardo13; sbagliato e fuorviante sarebbe
semmai interpretarlo in modo riduttivo. I due gerundi, in effetti, andrebbero letti in ordine logicamente inverso
rispetto a quello che la metrica ha richiesto al Sommo Poeta, ed indicano il
“riprovando” propriamente un confutare, e il “provando” cioè il dimostrare e avvalorare o, come diremmo oggi,
il corroborare. Poi, va discusso il ruolo della via empirica, o delle “sensate
esperienze”, e quello della via logica o
delle “necessarie dimostrazioni”, galileianamente parlando; ma il fondamento rimane quello.
La scienza moderna è andata incontro nella seconda metà dell’Ottocento ad una crisi, sia di ordine empirico che di ordine logico, che ben presto si è rivelata insuperabile. La rivoluzione scientifica che ne ha costituito il seguito è approdata ad una dualità di paradigmi nelle teorie della relatività e nelle teorie dei quanti, con
le loro ricadute nelle scienze chimiche,
nelle scienze della vita, nelle scienze
geografiche e dell’universo. Fra l’altro,
non è banale il fatto che la prima con13
“Circari” indicava la verbalizzazione
della preposizione “circa”, intorno, e tendeva a
denominare un “andare attorno a” qualcosa di
determinato. La particella “re” a prefisso indica
quell’impegno, quella costanza, quella determinazione, quella volitività che, in genere, richiedono
una reiterazione di atti ed un ritorno continuo su
fatti e circostanze, ipotesi e riflessioni.
futazione empirica del sistema scientifico moderno si sia avuta storicamente
nell’osservazione del moto dei pianeti
attorno al sole (la precessione del perielio di Mercurio, cioè la non validità
della prima delle leggi di Keplero che
erano state a fondamento proprio della costruzione meccanica di Newton);
e che una delle conseguenze empiriche
più rilevanti della Relatività Generale stava proprio nella ridefinizione del
moto dei pianeti in conseguenza della
nuova Meccanica, che ha consentito di
corroborare la costruzione di Einstein
misurando via via le precessioni dei perieli anche dei pianeti meno centrali.
Nuovi paradigmi significano anche
visioni evolutive delle idee sulla ricerca scientifica e sulla sua metodologia,
delle quali è opportuno fruire anche in
pedagogia e nel relativo esercizio professionale.
Ad esempio, l’approccio quantistico significa anche inseparabilità tra
osservatore e osservato, da cui il limite nella determinazione; nel nostro
caso, non distinguibilità del maestro
dall’allievo e del pedagogista professionale dall’interlocutore, parti di un
unico dialogo, nel quale è impossibile
anche in linea di principio isolare un
dialogante con le sue problematiche
dagli altri, come è impossibile qualunque cosa assomigli al “distacco clinico”.
Relatività non significa solamente
impossibilità di un sistema di riferimento assoluto, non si può ridurre un
complesso di teorie organiche con un
generico “tutto è relativo!”; ma anche
dovere di formulare le leggi in modo da
garantire l’equivalenza di ogni riferimento, cioè in modo che conservino la
stessa forma oltre che la stessa sostanza se osservate da qualunque sistema
alternativamente. Una simile proprietà si chiama “covarianza”.
Ma sono solo le primissime idee che
se ne dovrebbero trarre.
Non è cambiata quella parte essenziale dei fondamenti che consentono
di parlare legittimamente di scienza e
di ricerca in continuità, e che è quanto sostanzia la continuità anche della
pedagogia e del dialogo. In particolare, il considerare la scienza come un
esercizio di creatività umana entro la
ricerca continua, priva di certezze e di
definitività, sempre fallibile, sempre
ipotetica, congetturale, provvisoria,
storicamente contestualizzata. Tale
riconferma è andata di pari passo con
la crisi del Positivismo, vale a dire di
una concezione filosofica che si è appoggiata alla scienza moderna quando essa era ormai matura e poi già in
crisi o addirittura superata, e che ha
avuto ricadute anche in campo pedagogico e didattico come in altri campi di
scienze professionalmente applicative
come quello medico o quello sociologico.
Il dialogo, anche attraverso i suoi
eredi legittimi, esemplifica e sviluppa egregiamente una pedagogia che è
necessariamente anche esercizio professionale per il fatto stesso di essere
scienza. Del resto, l’etimo corretto del
termine “pedagogia”, apparso a cavallo tra Medio Evo ed Evo Moderno, direttamente latino e solo mediatamente greco-classico14, rende efficacemente
14
Arte del paedagogus. Che, poi, paedagogus
fosse un calco linguistico di παιδαγωγός, e che
questo termine derivasse a sua volta da παίς e
’άγω, è un altro discorso. La rigorosissima ricognizione in materia operata da Luigi Volpicelli
nel volume 2 del Lessico delle scienze dell’educazione da lui diretto (Vallardi, Milano 1978),
proprio alla voce “Pedagogia”, è estremamente
QUALEDUCAZIONE • 39
l’idea di una materia non riducibile né
a pura teoria (o filosofia dell’educazione o teoretica), né a pura prassi educativa. Essa è inscindibile dall’impegno
e dalla presa in carico nei confronti di
chiunque sia educando, e costituisce
una materia che esige un rapporto organico con l’esperienza sull’oggetto di
applicazione.
Vale il paragone con la Medicina
Chirurgia, anche in senso metodologico, anche nel senso dei fondamenti, anche nel senso dell’espressione di
una professione e del relativo esercizio. Con la sostanziale differenza che
la pedagogia non comporta una terapia, che significa il ristabilimento della fisiologia violata, in quanto la pedagogia stessa non reca una fisiologia o
normalità o normatività di merito di
riferimento che si possa considerare
ad essa interna ed intrinseca.
Semmai, essa mutua ad esempio le
norme del Diritto positivo, o quelle delle scienze naturali e della medicina, o
quelle della cultura e del costume sociali nei quali essa agisce, ma appunto dall’esterno.
Vi sono invero norme anche all’interno della pedagogia: ma esse sono
norme di metodo, che riguardano non
il che cosa fare ma il come. E si riconferma come il pedagogista sia anche un
metodologo e la metodologia faccia parte del suo strumentario più essenziale.
illuminante in proposito. Nel greco classico,
lingua di grande vocazione filosofica e pedagogica, vi sarebbero state le risorse lessicali a
questo scopo; ma nessuna tradizione ha portato
il termine παιδαγωγία, che designava appunto
l’arte o l’ufficio o il compito del παιδαγωγός,
oppure una locuzione come παιδαγωγική τέχνη,
dall’antichità attraverso il medio evo e fino
all’evo moderno.
40 • QUALEDUCAZIONE
La pedagogia, e il pedagogista, non
curano (to cure someone or something),
bensì si prendono cura (to care of someone or something). Il dialogo grecoclassico e quello socratico, evolutosi
in millenni di storia e alla luce delle
conquiste recenti della scienza e della
pedagogia, costituisce per questo uno
strumento essenziale Il come è stato
ampiamente esposto nelle sedi citate15
e viene continuativamente investigato
anche attraverso un esercizio professionale volontaristico.
Da destra F. Fusca, I. Bertone (univ. Genova),
A. Pieretti, G. Serio, L. Giugni, G. Giugni.
Opere citate, in particolare alla precedente
nota 12.
15
Comunicazione e dialogo. Riflessioni
sulla conoscenza e crescita umana
di
GRAZIA ANGELONI*
Riassunto
A seguito delle numerose teorie sviluppatesi nel corso degli anni sulla comunicazione, a partire dal primo Novecento, essa è attualmente considerata quale processo che pone in interdipendenza contemporaneamente due o
più esseri umani. Tale relazione è finalizzata a dare alla realtà un significato comune, ad interpretare e ri-costruire il mondo fenomenico attorno all’uomo, a porre e risolvere problemi. Il dialogo come forma privilegiata di comunicazione adempie questo compito, ma
perché venga posto in essere, devono essere richiamate talune sue caratteristiche: in primis riconoscere l’altro da sé,
esercitare un ruolo attivo, partecipativo
e di ascolto e coltivare l’ Einfühlung. Lo
scritto che di seguito si propone enfatizza le potenzialità della comunicazione e
del dialogo per la crescita umana e sociale. Parimenti, nel discutere gli effetti
di una comunicazione autentica, si suggerisce di partire da quelle istituzioni in
cui la sua mancanza sembra rafforzarne il legame lasco.
Abstract
After the many theories developed
throughout the years regarding communication, starting from the early XXth
century, nowadays it is considered as a
* Dipartimento di Lettere, Arti e Scienze Sociali,
Università G. d’Annunzio, Chieti.
process that puts two or more human
beings in interdependence. Such a relation is in order to give reality a common
meaning, to interpret and build again a
phenomenic world around man, to pose
and solve problems. Dialogue as its privileged form fulfils this task, but in order to occur it needs some features i.e.
to acknowledge the other self, to exercise an active, participative listening and
to nurture a sense of Einfühlung. This
issue is focused on the potentiality of either communication and dialogue in the
human and social growth. In discussing
the effects of an authentic communication it suggests to start from those institutions where the lack of it seems to
strengthen their loose-coupling systems.
Ad un esame attento delle teorie della comunicazione che dal 1949 arrivano
ai nostri giorni, notiamo una evoluzione
che sposta il focus dal canale e dal contenuto degli atti di parola scambiati tra
un emittente ed un referente alla relazione intercorrente tra due o più persone, processo che si svolge in un contesto
specifico e che acquista funzioni eminentemente formative più che informative. Non è peregrino richiamare autori
quali Shannon e Weaver (1949) e i relativi studi sulle modalità strettamente
fisiche dell’informazione, Pierce (1867)
e il suo contributo alle teorie linguistiche relative al segno, Wiener (1958)
considerato il padre della cibernetica
e tanti altri ancora che, come de SausQUALEDUCAZIONE • 41
sure (1916) nell’ambito della linguistica strutturalista e Roman Jakobson
(1961,1963) hanno tracciato sentieri di
ricerca, e riferirsi a tali suggestioni che
di fatto rappresentano modi di esplorazione ancora in progress dialettico.
Riconosciamo oggi alla comunicazione una dimensione sociale senza la quale essa non esisterebbe. Comunicazione
e gruppi sociali o, in alternativa, comunicazione e persone si configurano quale
binomio inscindibile. La scuola di Palo
Alto ed il suo autorevole rappresentante: Paul Watzlawick nella Pragmatica
della comunicazione (1971) enunciava
il suo primo assioma, detto anche meta
comunicazionale “Non si può non comunicare” e per il tramite del secondo, con
il quale egli riconosceva ad ogni atto comunicativo un aspetto di contenuto ed
uno di relazione, lo studioso procedeva
nella definizione degli altri tre che mettono rispettivamente in risalto la natura circolare della comunicazione tra gli
esseri umani, la non contraddittorietà
della stessa, grazie alla relazione contestuale che funge da cornice di riferimento per l’interpretazione del linguaggio e dei suoi contenuti.
Tale framework di contesto è creato proprio dai parlanti, cioè da coloro
che attraverso atti linguistici scambiano punti di vista, o rimangono irretiti
nelle loro personali convinzioni, negoziano ed effettuano transazioni di modi
di pensare e della loro stessa identità o
oppongono resistenza all’altro, nell’affermazione intenzionale o non volontaria del proprio ego.
Comunicare implica una personale abilità, un saper fare che si nutre
di quella particolare disposizione interiore di apertura e di accettazione della diversità ed unicità rappresentata
42 • QUALEDUCAZIONE
dall’altro e, che nel suo divenire, si determina quale competenza interpersonale. Parafrasando Lévinas, la comunicazione è la “grande avventura dell’essere”, perché immerge ogni persona,
nel riconoscimento di un bisogno innato, appunto quello di entrare in contatto con i propri simili, nella complessità di una o più relazioni. All’interno di
queste vengono veicolati, attraverso il
linguaggio che è manifestazione esteriore e perciò più visibile della cultura
intesa in accezione antropologica, valori ed assunti taciti condivisi. I primi
sono a fondamento dell’essere umano e
del suo stesso svolgimento in contesti
reali o ideali, i secondi rappresentano
le grandi categorie che la mente pone a
se stessa. Kant le nomina “idee regolative”: l’idea di ragione, dell’Io, del mondo,
di Dio che consentono all’uomo di proiettarsi oltre l’esperienza e che di fatto
la ordinano e la regolano. Schein (2000)
le classifica come natura della natura,
natura del tempo, natura dello spazio,
natura delle relazioni umane, natura
della realtà e della verità.
Sono queste, per lo studioso del MIT
le cinque categorie che giacciono in profondità e che, similmente ad un iceberg,
rappresentano la parte sommersa che
può all’occorrenza riemergere attraverso talune tecniche dialogiche e comunicative.
Quando qualcuno entra in relazione
con l’altro, affinché si realizzi l’evento
dialogico che è manifestazione particolare della comunicazione, pone se stesso
in scambio reciproco con un tu dal quale, secondo Buber l’io stesso dipende. Né
l’uno senza l’altro potrebbero mai esistere, perché è proprio in virtù dell’altro che il sé acquista la sua vera identità. L’io-tu, diverso dall’io-esso è sempre
soggetto, promotore di uno scambio interiore che è manifestazione piena di sé
all’altro, che riconosce questi come complementare e mai antagonista, che è rispetto in termini di intimità e discrezione, condizioni per Simmel (1906) essenziali della comunicazione. Ciò implica
il non entrare forzatamente nella sfera
privata dell’altro, non irrompere nella
altrui personalità attraverso l’eloquio
invadente, se mai discretamente e con
tatto riuscire a fare in modo che si realizzi quel processo di scambio valoriale
che in primis è narrazione del proprio
essere, senza alcuna pretesa di provocare una risposta immediata dall’altra
parte e perciò di accedere alla parte più
intima dell’altro.
La contingenza che è anzitutto circostanza storicamente oltre che socialmente stabilita, è intimamente legata
alla posizione di chi riconosce il carattere fugace e perciò contingente – di
ciò che è ora, ma potrebbe non essere
più – delle proprie convinzioni, dei propri modi di pensare, delle proprie visioni rispetto ad un evento, un fenomeno
o anche un problema. Quest’ultima capacità che caratterizza l’essere umano
che vive non il disincanto, ma la certezza che i fenomeni nel mondo e tutto ciò
che è precostituito all’uomo debbano essere interpretati e, di fatto lo sono, sulla base di assunti culturali che regolano la vita di una data comunità in un
dato periodo storico, viene nominata da
Rorty (1989) “ironia”, la quale pur se in
accezione diversa da quella socratica,
segna una sorta di relativismo cognitivo, funzionale all’integrazione di altri
modi di pensare, di sentire, di percepire la complessità di situazioni problematiche, di eventi ed esistenti.
Lo stesso Socrate, parimenti, attra-
verso l’ironia mirava al disvelamento
delle false congetture, alla dimostrazione dell’infondatezza di un ragionamento che ha il carattere di mera opinione, pertanto vacillante ed effimero.
Attraverso il dialogo che implica sempre un confronto orale tra le parti per
mezzo del discorso ci si può avviare, secondo il filosofo greco alla ricerca della
conoscenza.
Il processo gnoseologico si costituisce quale bildung personale, rielaborazione cognitiva in un dialogo intimo
dell’uomo con se stesso che nell’atto di
intuire, afferrare, fare proprio, inferire dall’esperienza, sintetizza, dà ordine, classifica, stabilisce connessioni tra
dati e informazioni di vario genere, ma
non senza il supporto di un contesto sociale che lo aiuta ad esplorare meglio, lo
sostiene nella scoperta, lo orienta nella definizione del sé. La conoscenza diviene così costruzione sociale e, nel suo
farsi storico, rappresenta la risposta di
una comunità che attraverso atti di parola, ricchi di significato, cerca di conferire senso al mondo, dandone rappresentazione congiunta, perpetuando, nel
mentre, quella continuità che è tensione dell’essere umano verso l’infinito ed
insieme speranza di lasciare qualcosa
al mondo dopo di sè.
Ancora, con il dialogo e per il suo
tramite le questioni problematiche che
sono nelle cose, possono essere poste
quali problemi effettivamente avvertiti che presuppongono soluzioni sì personali, ma sempre sollecitate, fatte nascere da altri. Il richiamo a Socrate e
alla maieutica, anche in questo caso, è
del tutto evidente. L’interlocuzione che
è forma privilegiata di dialogo (Blezza,
2001, 2007, 2008), infatti, dispone tanto l’emittente quanto il referente delQUALEDUCAZIONE • 43
la comunicazione ad una migliore definizione della situazione-problema, in
termini popperiani, dando adito ad una
rappresentazione più intellegibile, dotata dei caratteri dell’evidenza e della
nitidezza.
Per due o più menti che si predispongono a tale circostanza, il linguaggio e
la comunicazione sono strumenti del
pensiero che pone idee-ipotesi da corroborare costantemente, da porre al
vaglio di una realtà che si offre quale
trama da ri-tessere congiuntamente e
dove ciascuno è di diritto legittimato ad
apportare il proprio contributo (Lave &
Wenger, 1991).
Tuttavia ci sono alcune condizioni
che devono verificarsi perché il discorso tra le parti possa avvenire e perché
la situazione comunicativa sia davvero edificante: l’apertura nei confronti
dell’altro in termini di riconoscimento
quale interlocutore privilegiato è la prima, dalla quale discendono tutte le altre. Rogers evidenzia il ruolo dell’ascolto attivo che implica empatia, un riconoscersi nell’altro e che, secondo Bianchi (2010) è anche il “dono del tempo:
attendere l’altro, con le sue esitazioni e
i suoi ritardi, con la sua difficoltà ad
esprimersi, con i suoi timori e le sue reticenze”.
Gordon, nel richiamare il principio
dell’ascolto attivo lo pone in successione all’ascolto da lui definito “passivo”.
La capacità dell’interlocutore di prestare totale attenzione a ciò che l’altro
dice è preliminare e condizione necessaria per effettuare una compiuta riflessione, senza giudicare o sentenziare su ciò che l’altro ha espresso. L’empatia, diversa dall’Einfühlung steiniana, dispone a sentirsi parte di uno stesso costrutto umano, a soffrire, a sorri44 • QUALEDUCAZIONE
dere, in sostanza a provare le stesse
emozioni della persona con la quale si
è in relazione dialogica. L’ Einfühlung
è invece ben altra cosa: è un processo
che proietta la persona nella situazione
problematica dell’altro, nella personalità dell’altro, fin da farsi carico e non
solo emotivamente del vissuto del proprio referente.
Il dialogo implica dunque crescita
personale e sociale, nella misura in cui
la relazione comunicativa è improntata
al senso di comunanza, di condivisione
di interdipendenza. È solo allora che la
parola si fa logos che non è solo discorso,
racconto, ma come sostiene Heidegger
essendo il termine greco intimamente
connesso al verbo leghein è anche conservazione, raccolta, accoglimento di ciò
che viene detto e quindi ascolto. Il dialogo ha il potere di costruire o di demolire, di creare o di distruggere, di partecipare o di occultare.
Le possibilità in positivo e le eventuali distorsioni sono sempre a carico
dell’uomo e dell’immagine di socialità che questi ha sviluppato attraverso
la propria esperienza e la formazione.
Quando la parola perde la sua pregnanza, in termini valoriali e acquisisce accezioni meramente conative, il dialogo
e la comunicazione risultano in declino, impoveriti strutturalmente e privati della loro primaria funzione: quella
di fungere da collante tra gli uomini, di
porli non gli uni accanto agli altri, ma
in prossimità degli altri, lasciando loro
presagire orizzonti comuni di senso.
Quando persino significante e significato perdono la loro connessione e coerenza, quasi a riprodurre una torre di
Babele, i linguaggi diventano una sorta di “clashing grammars” e rinsaldano
legami a connessione debole - è il caso
di numerose organizzazioni umane, tra
cui la scuola e la famiglia-. In tali istituzioni in cui lo sviluppo umano e sociale è strettamente correlato alla comunicazione ed alla predisposizione
del contesto nel quale essa avviene, si
rende oggi, più che mai auspicabile la
formulazione e l’esercizio di azioni formative mirate all’apprendimento della
capacità di dialogo proprio lì dove essa
è in difetto. Apprendere a dialogare dialogando, una sorta di learning by doing,
teso ad un obiettivo più alto: la riscoperta dell’uomo.
“Considera l’uomo con l’uomo, e vedrai congiuntamente, ogni volta, la
dualità dinamica che è l’essenza umana: (…); sempre due in uno, completandosi l’un l’altro nel reciproco impegno,
mostrando l’uno con l’altro uomo. (…).
Alla risposta alla domanda “che cos’è
l’uomo?”, saremo più vicini se impareremo a comprendere nell’uomo l’essere
nel cui stato dialogico, nel cui reciproco attuale essere in due, si realizza e si
riconosce ogni volta l’incontro dell’uno
con l’altro” (Buber, 2004, p. 119).
le, come non pregiudicarle, La Meridiana, Bari, 2005.
Lévinas E., Umanesimo dell’altro uomo, Il
Melangolo, Genova, 1985.
Popper K., Tutta la vita è un risolvere problemi. Scritti sulla conoscenza, la storia e la politica, Rusconi, Milano, 1996.
Rogers C.R., A way of being, Houghton
Mifflin, Boston, 1980. Trad. italiana:
Un modo di essere, Martinelli, Firenze, 1985.
Rogers, C.R., On becoming a person, Houghton Mifflin, Boston, 1961 Trad. italiana: Da persona a persona, Astrolabio,
Roma, 1973.
Rorty R. Mc K., La filosofia dopo la filosofia:
contingenza, ironia e solidarietà, Laterza, Bari, 1989.
Schein E. A., Culture d’impresa, Raffaello
Cortina, Milano, 2000.
Simmel G., Sull’intimità, Armando, Roma,
1998.
Watzlawick P., Beavin, J.H., Jackson, D.D.,
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Astrolabio, Roma, 1971.
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Pellegrini, Cosenza, 2001.
Blezza F., Un pedagogista nel poliambulatorio. Casi clinici, Aracne, Roma, 2008.
Buber M., Il problema dell’uomo, Marietti,
Genova-Milano, 2004.
Gordon T., Relazioni efficaci, Come costruir-
Convegno internazionale I valori socio-politici
nella vita giovanile e nelle istituzioni
da sinistra G. Serio, G. Catalfamo (univ Messina).
QUALEDUCAZIONE • 45
Dalla sofferenza alla speranza.
Un percorso dialogico per la
maturazione della persona
di
ROSA GRAZIA ROMANO*
Riassunto
Il vertiginoso progresso della scienza
e della tecnica sembra rendere l’umanità
impreparata ad affrontare i complicati
risvolti di questo progresso, che toccano
gli aspetti della vita sociale, educativa,
affettiva, emotiva, spirituale, rendendo
l’uomo sempre più inquieto ed infelice,
incapace di vivere la sofferenza e di custodire la speranza.
Occorre riuscire a contrapporre un
percorso educativo che sia orientato ad
una maggiore capacità dialogica dell’essere umano con se stesso e con il mondo,
in modo che possa superare e trascendere la logica dell’isolamento narcisistico
e dell’indifferenza.
L’articolo traccia un percorso possibile di crescita in tale direzione, riflettendo su quali siano le condizioni perché la persona possa guardare oltre la
propria sofferenza e le proprie paure ed
aprirsi ad una relazionalità positiva.
Inoltre, propone un modo di conservare,
in tutte le circostanze della vita, quella forza che aiuta a superare le ineludibili difficoltà dell’esistere e di muoversi in un’ottica di speranza, recuperando il desiderio, la fiducia ed il perdono,
che aiutano a custodire la pace profonda del cuore.
* Ricercatrice di Pedagogia generale, Università di Messina.
46 • QUALEDUCAZIONE
Abstract
The rapid progress of science and
technology seems to make mankind
unprepared to deal with the complicated aspects of this progress, which affect
aspects of social, educational, emotional,
spiritual life, making the man more and
more restless and unhappy, unable to experience the suffering and guard/keep
the hope. It is essential to oppose an educational route oriented towards a greater
dialogical capacity of the human being
with himself and the world, so that he
may overcome and transcend the logic of
narcissistic isolation and indifference.
The article outlines a possible growth
path in this direction, reflecting on the
conditions for which the person can see
beyond his pains and his fears and open
up to a positive relationality. Also, the
article proposes a way to preserve, in all
circumstances of life, the strenght that
helps to overcome the inevitable difficulties of existence and to move in a perspective of hope, recovering desire, trust
and forgiveness, which helps to keep the
deep peace of the heart.
È possibile vincere l’inquietudine
e l’incomunicabilità?
Nonostante il progresso della scienza e della tecnica consenta ormai all’uomo di esercitare un potere sempre mag-
giore sulle forze della natura e sulla
realtà che lo circonda, non sembra che
si possa affermare che l’umanità sia più
felice, più in relazione e più in dialogo.
La nostra si rivela come un’epoca in
cui nuove inquietudini stanno permeando tutti gli aspetti della vita dell’essere umano, da quelli materiali, pratici
ed operativi, a quelli psicologici, ideali
e valoriali. Si respira nell’aria una tensione diffusa, densa di paura e incomprensione, anche perché sono forti gli
squilibri che continuano ad alimentare
conflitti a tutti i livelli e che ostacolano
l’instaurarsi di un clima relazionale positivo ed accogliente. Come afferma Benedetto XVI – si constata che “il dialogo
tra le generazioni si fa faticoso e a volte
prevale la contrapposizione; assistiamo
a fatti quotidiani in cui ci sembra che
gli uomini stiano diventando più aggressivi e più scontrosi; comprendersi
sembra troppo impegnativo e si preferisce rimanere nel proprio io, nei propri interessi»1. Prevale la tendenza del
soggetto a rivendicare la propria autonomia, a negare ogni limite al proprio
desiderio, a costruire la propria felicità
ed il proprio benessere in maniera autoreferenziale ed isolata, rimarcando
la propria indipendenza ed indifferenza nei confronti degli altri.
Sembra quasi che la ricerca della
felicità e del dialogo nella società delle
persone si configuri come una opposizione tra la sfera personale e quella relazionale e sociale, il che produce inevitabilmente un progressivo isolamento del
soggetto ed il conseguente sfaldamento
della coesione sociale e del senso di so1
Benedetto XVI (2012), Omelia nella solennità
di Pentecoste, Basilica Vaticana 27 Maggio 2012,
Libreria Editrice Vaticana.
lidarietà. La corsa a “salvarsi da soli”
sta avviando, cioè, un processo perverso di avvitamento in un circuito vizioso di incomunicabilità, incomprensione
e conflittualità che, lungi dal liberarci
dall’inquietudine, ci condurrà verso l’aridità dei sentimenti e l’incapacità di
costruire un futuro accettabile per l’intera umanità.
È possibile interrompere questa corsa disperata e disperante verso l’annullamento della vita e della speranza per
ricostruire, invece, un diverso e più positivo percorso che vada “oltre” l’inquietudine e l’incomunicabilità? È possibile
attrezzare il soggetto perché sia messo
in grado di attraversare questa nuova
temperie culturale senza soccombere
ai nuovi conflitti ed alle diverse e più
subdole inquietudini che la rendono vischiosa e, alla fine, distruttiva?
Urge ripensare un cammino capace di rafforzare le difese che l’uomo del
XXI secolo deve mettere in campo per
neutralizzare le rischiose e paralizzanti
derive che si aprono lungo il suo percorso esistenziale. Occorre riuscire a contrapporre, al senso di angosciosa solitudine e di sfiducia in un futuro comune e
solidale, un percorso educativo che sia
orientato ad una pacificazione dell’essere umano con se stesso e con il mondo, in modo che possa divenire capace di
superare e trascendere la logica dell’isolamento narcisistico e dell’indifferenza.
Nel tracciare un percorso possibile
di crescita in tale direzione, rifletteremo su quali siano le condizioni perché la
persona possa guardare oltre la propria
sofferenza e le proprie paure ed aprirsi ad una relazionalità positiva e ad un
dialogo costruttivo. Ci interrogheremo
su come si possa trovare un modo di
conservare, in tutte le circostanze delQUALEDUCAZIONE • 47
la vita, quella forza che aiuta a superare le ineludibili difficoltà dell’esistere ed a muoversi in un’ottica di speranza, recuperando il desiderio e la fiducia. Ci sforzeremo di trovare le buone
ragioni per custodire la pace profonda
del cuore2 e per rintracciare altri modi
meno paralizzanti di leggere il dolore e
la sofferenza (causati anche dalla solitudine e della mancanza di dialogo), altre e più positive logiche per orientare
le dinamiche relazionali, altri approdi
verso cui indirizzare desideri, attese e
comportamenti.
Desiderio e attesa: i volani della
vita
Il desiderio è un’esperienza umana
fondativa ed ineludibile, connessa sia
con il piacere che con il dolore, generativa di felicità ma anche di infelicità.
Tutte le culture e le società, riconoscendo la carica energetica e trasformativa
che da esso promana, gli attribuiscono
un valore ed un peso particolare nell’esperienza personale e sociale ed intervengono variamente sul suo controllo,
preoccupate della forza dirompente che
esso riesce a sprigionare.
Nel mercato capitalistico occidentale, ad esempio, il desiderio è considerato
come la molla vitale del sistema economico/finanziario e, pertanto, viene continuamente sollecitato, rappresentato
ed orientato nei modi più vari. Diversa è, invece, la cultura che si ispira al
buddismo perché, considerando il desiCome insegnano i maestri di spiritualità, la
pace si perde sempre per cattive ragioni. Si veda,
tra gli altri, il denso libretto di: Philippe J. (1991),
La pace del cuore, tr. it. Dehoniane, Roma, 1992.
2
48 • QUALEDUCAZIONE
derio come la vera fonte della sofferenza, propone di raggiungere la felicità attraverso pratiche ascetiche che portino
all’assenza di ogni desiderio, il nirvana.
Può accadere, cioè, che si rincorra
continuamente la soddisfazione di ogni
desiderio o, al contrario, che si scelga
di rinunciare al desiderio oppure anche che si smarrisca il desiderio, a seguito di drammatiche delusioni. In ogni
caso, al desiderio si rimane comunque
legati, anche quando si desidera di non
desiderare per non soffrire nel desiderare invano. Ma, se desiderare è inevitabile, come dice Salonia, «sta a noi decidere il cosa e il come desiderare. Si
può dire anzi che imparare a desiderare è una competenza necessaria nella
vita, che ne decide probabilmente pure
la qualità»3.
Può accadere, infatti, che si faccia
l’errore di desiderare qualcosa instead
of, “al posto di” qualcos’altro perché non
si riesce a capire ciò di cui si ha realmente bisogno e, in questo modo, si rischia di rimanere sempre insoddisfatti,
perché si insegue un desiderio illusorio
che non è quello reale. Ecco perché l’educazione al e del desiderio dovrebbe
essere un momento fondamentale del
processo educativo, un compito da non
sottovalutare.
Proprio perché viviamo nella società dell’overdose4, dove c’è troppo di tutto e non si riesce più a discriminare tra
cose necessarie e cose superflue, diventa vitale saper discernere tra i desideri
del cuore, più significativi e arricchen3
Salonia G. (2011), Sulla felicità e dintorni.
Tra corpo, parola e tempo, Il pozzo di Giacobbe,
Trapani, p. 27.
Da Empoli G. (2002), Overdose. La società
dell’informazione eccessiva, Marsilio, Venezia.
4
ti, e quelli superficiali ed inessenziali,
indotti dai modelli del consumismo imperante e dalle pubblicità martellanti
di esperti imbonitori. Diventa sempre
più difficile distinguere verità e falsità,
bene e male, positività e negatività in
un tempo, come il nostro, in cui le cose
superflue e perfino inutili sono percepite come necessarie e dove la struttura
economica poggia proprio sulla continua
creazione di nuovi bisogni indotti che
sollecitano il desiderio di comprare e di
consumare subito, inoculando l’illusione
di poter diventare felici col possesso di
alcuni oggetti. La nostra sembra ormai
una società della “felicità usa e getta”,
dove il desiderio è sempre mutevole, liquido e inafferrabile anche quando riguarda oggetti, legami e persone: tutto si usa finché serve e poi si butta via.
Ecco perché una delle sfide più impegnative è diventata quella di fornire
criteri per poter distinguere, nella pluralità di offerte e possibilità, cosa è da
considerare positivo e complessivamente accettabile e cosa è invece pericoloso o inutile, quindi da lasciare ed evitare. Ma, per saper desiderare e saper
scegliere, occorre apprendere a sostare
consapevolmente nel desiderio, piuttosto che continuare ad inseguire desideri
inconsistenti, riuscire a saper discernere
cosa sia valido e desiderabile e cosa non
lo sia, scoprire per cosa e per chi valga
la pena attendere, lavorare e soffrire.
La prima competenza da apprendere, pertanto, è il riuscire ad essere
consapevoli di cosa si desidera davvero. L’antica saggezza greca a riguardo
ci mette in guardia: «Quando gli dei ci
vogliono punire, realizzano i nostri desideri». Ci sono aspettative sbagliate il
cui perseguimento porta infelicità, scoraggiamento e delusioni distruttive, in
un crescendo di agitazione e di pretese
piuttosto che di soddisfacimento, serenità e felicità.
Saper desiderare significa anche saper attendere, esser capaci cioè di dilazionare nel tempo il raggiungimento
dell’obiettivo del desiderio, accettando
le condizioni necessarie (scelte, rinunce, fatiche, sofferenze, ecc.) perché questo divenga possibile. Senza maturare
la capacità di attesa, cui risulta collegata anche quella di progettare e organizzare coerentemente i propri comportamenti, il desiderio, infatti, può diventare fonte di infelicità ulteriore. Un’altra
competenza che occorre raggiungere riguarda il modo in cui occorre rapportarsi con le proprie attese. Infatti, ogni persona, a partire dalle proprie esperienze,
costruisce uno stile personale ed adotta
delle strategie che dovrebbero condurla alla realizzazione delle aspettative.
Se è vero che non esiste un unico stile
giusto o vincente, è pur vero che c’è una
linea di demarcazione tra stili di attesa personali patologici, rigidi e disfunzionali, e stili sani, flessibili, che permettono alla persona di adattarsi alle
circostanze, di individuare con ponderatezza ed equilibrio sia l’obiettivo da
conseguire, sia la strada da percorrere
(direzione) e l’energia/impegno necessari per raggiungerlo.
L’esperienza stessa del desiderare,
pertanto, può diventare strategia vincente soltanto se non alimenta aspettative irrealistiche, asfittiche ed orientate
in senso individualistico, e si trasforma
invece in un percorso maturativo della
persona, occasione di sviluppo delle sue
potenzialità e del suo impegno attivo
verso il bene comune. La tensione alla
realizzazione dell’obiettivo del desiderio, in questo caso, non rimane vincolaQUALEDUCAZIONE • 49
ta sempre e soltanto autarchicamente
a sé stessi (stile relazionale narcisistico), né legata esclusivamente alla presenza di un’altra persona (stile relazionale dipendente), ma si apre all’alterità in senso più ampio, con percorsi di
crescita comune (stile dialogante e cooperativo) basati sulla capacità di dare
e chiedere aiuto.
Maturare in senso pieno la capacità educativa della tensione dell’attesa
desiderante diventa, in tal modo, l’occasione per recuperare e valorizzare le
forze più potenti della vita. Si può dire,
anzi, che da come viviamo l’attesa dipende il modo in cui noi viviamo la vita,
la nostra capacità di affrontare e reagire alle esperienze più difficili.
Dolore e sofferenza: riuscire a
guardare al di là della siepe
E particolarmente difficili sono le
esperienze del dolore e della sofferenza che non mancano in nessuna esistenza, anzi diventano la cartina al tornasole per misurare la forza vitale della
persona.
La società dell’immagine e del consumo non aiuta certo ad affrontare con
equilibrio queste esperienze e queste
tematiche, che tratta invece in modo
schizofrenico e contraddittorio. Infatti,
da un lato, nel mondo edulcorato ed irrealistico delle rappresentazioni pubblicitarie massmediali così come nella
stessa organizzazione delle città si fa di
tutto per negare spazio e visibilità alla
sofferenza e al dolore della realtà quotidiana di poveri, emarginati, malati,
isolati di fatto in luoghi dove non possano incontrare, interferire o infastidire chi è sano, ricco, felice. Con questa
50 • QUALEDUCAZIONE
lontananza si vuole esorcizzare, negandola e circoscrivendola, la realtà della
negatività e del limite per distrarre il
pubblico dei consumatori5, rassicurandoli sulla bontà e appetibilità di alcuni
beni verso i quali si tende ad orientare i consumi. Per altro verso, invece, il
male e la sofferenza fanno irruzione in
tutta la loro forza e virulenza nei media
sia in dossier e reportage sia in particolari fiction, dove appaiono a dosi massicce sotto forma di crude rappresentazioni di violenza, indulgendo con sadica pervicacia su immagini di efferatezza
inaudita. Dolore, malattia, sofferenza,
anche quando riguardano altre persone
reali, diventano parti di uno spettacolo
e, come tali, psicologicamente tendono
ad essere confinate nella distanza della rappresentazione filmica, non sentite più come realtà coinvolgenti vissute
da nostri simili, ma come entità astratte, lontane e allontanabili a piacimento
con un click del telecomando.
Questa spettacolarizzazione ed assuefazione alla rappresentazione del dolore e della sofferenza produce, a lungo
andare, un inevitabile distanziamento
ed una insensibilità rispetto al dolore
così raffigurato ma, quel che è peggio,
non aiuta il soggetto a confrontarsi realisticamente né con le proprie emozioni né con l’altro (attraverso il dialogo);
anzi lo rende ancor più fragile ed indifeso, convinto di poter allontanare da sé
la fatica della rielaborazione dei propri
vissuti di sofferenza, quando questa si
presenterà.
5
Confronta su questi temi le efficaci descrizioni del sociologo Bauman Z., in particolare il suo
Homo consumens. Lo sciame inquieto dei consumatori e la miseria degli esclusi, tr. it. Erickson,
Trento, 2007.
Purtroppo ogni esistenza umana prima o poi viene attraversata, in un modo
o nell’altro e con diversa intensità, dal
dolore e dalla sofferenza e nessuno ne
può essere esente del tutto. Si tratta di
esperienze che nessuno sceglie né può
allontanare a piacimento, che talvolta
risultano anche positive, quando riescono a temprare e rafforzare la persona, ma che tante volte possono essere
talmente gravi e dolorose da schiacciare ogni resistenza, fino all’esperienza
estrema del suicidio.
Ma sarebbe riduttivo e miope fermarsi all’affermazione che il dolore e
la sofferenza, in sé e per sé, non hanno
alcun senso e sono una realtà negativa:
questo non aiuta certo ad affrontarli.
Meno banale e più significativo diventa,
come ci ricorda la saggezza della nostra
migliore tradizione culturale, riconoscere che tutta la vita è comunque e sempre una lotta per cui, in qualche misura, diventa fisiologico attraversare sofferenze e sconfitte. Più difficile, invece,
è comprendere quando e perché la sofferenza che l’uomo è costretto a sperimentare risulti eccessiva e disperante.
Quanta sofferenza è possibile sopportare? E cosa fare per imparare a sopportarla meglio?
Se è vero che non esistono risposte
magiche e valide sempre, tuttavia si
può imparare a trattarla se si riesce a
distinguere tra:
– la sofferenza “fisiologica”, cosiddetta “normale”, legata cioè ai cambiamenti fisiologici e traumatici dell’esistenza, (come, ad esempio, la sofferenza
di chi sperimenta un lutto o quella legata ad uno stato doloroso passeggero);
– la sofferenza che si fa problema,
che richiede la competenza dell’esperto,
perché ha provocato un blocco, una in-
terruzione della crescita e della trama
relazionale, con la conseguente chiusura nei confronti della vita e degli altri6.
Saper distinguere tra sofferenza e
problema è fondamentale, perché determina il tipo di sostegno da chiedere
o da dare e, conseguentemente, il tipo di
intervento da mettere in campo.
Indubbiamente, una via fondamentale per sopportare ed andare oltre è
quella di trovare un senso al dolore ed
alla sofferenza7. Non è cosa facile da
fare: è come chiedere di lanciarsi nel
buio oltre la siepe, andando contro e sfidando l’evidenza con lo sguardo più in
là rispetto al vissuto immediato! E non
tutti ci riescono e lo possono fare da soli.
Per dare un senso occorre riuscire a
guardare con gli occhi della speranza
per vedere in filigrana quello che generalmente non si riesce a vedere. Se si
riesce a fare questo salto avviene una
inversione di ottica che può cambiare di
segno tutta l’esperienza ed il vissuto della persona. La “forza salvifica” del dolore la si scopre meglio a distanza, quando il dolore è finito ed ha lasciato le sue
tracce, facendo maturare atteggiamenti
più comprensivi, convinzioni meno pre6
Cfr. Salonia G. (2011), Sulla felicità e
dintorni…, op. cit., pp. 75-80.
7
Sul tema del dolore e della sofferenza si
vedano, tra gli altri, i classici: Görres A. - Rahner
K. (1982), Il male, tr. it. Paoline, Cinisello Balsamo; Mounier E. (1995), Lettere sul dolore. Uno
sguardo sul mistero della sofferenza, tr. it. BUR,
Milano; Teilhard de Chardin P. (1991), Sulla
sofferenza, tr. it. Queriniana, Brescia; ed inoltre:
Natoli S. (1986), L’esperienza del dolore. Le forme
del patire nella cultura occidentale, Feltrinelli,
Milano; Andreoli V. (2007), Capire il dolore. Perché la sofferenza lasci spazio alla gioia, BUR,
Milano; Ravasi G. (2002), Fino a quando Signore?
Un itinerario nel mistero della sofferenza e del
male, San Paolo, Cinisello Balsamo.
QUALEDUCAZIONE • 51
suntuose e attese più realistiche.
La sofferenza, d’altra parte, è la condizione che aiuta ad aprirsi all’ascolto
degli altri che soffrono se viene accettata da chi soffre, che fa scoprire il sano
attaccamento alla vita ed ai suoi aspetti
essenziali, che abitua ad accettarsi pur
nella condizione di fragilità, ridimensionata e relativizzata. Soltanto a contatto
col dolore, accettandolo, la persona ne
può scoprire, autonomamente, l’oscuro
significato.
Non sono le spiegazioni scientifiche
o i significati esoterici che possono aiutare a vivere il dolore; per accettarlo,
serve molto di più l’esperienza consolante della presenza e della vicinanza
dell’altro che resta accanto ad ascoltare, anche in silenzio, il nostro racconto.
Sarà poi ognuno a scoprire, all’interno
dei temi della sua esistenza e dei suoi
particolari percorsi evolutivi, il senso
particolare del proprio dolore, attraverso un non facile cammino di accettazione e di risignificazione della propria fatica di vivere8.
Seguendo questa logica, la sofferenza, il nostro “essere spezzati”, non è più
semplicemente una noiosa interruzione nella nostra vita, ma rivela qualcosa su chi siamo, sul nostro limite, sulla nostra creaturalità e vulnerabilità9,
così come insegna a guardare in faccia
la solitudine e il dolore, senza stordirsi
ed anestetizzarsi, vivendo con pazienza
il “non ancora” e confidando in un futuro più luminoso.
Sappiamo ormai dalle scienze umaCfr. Salonia G. (2011), Sulla felicità e
dintorni…, op. cit., p. 78.
8
9
Gensabella Furnari M. (2008), Vulnerabilità
e cura. Bioetica ed esperienza del limite,
Rubbettino, Soveria Mannelli.
52 • QUALEDUCAZIONE
ne, che lo hanno ampiamente dimostrato, che un modo per affrontare meglio il
dolore è l’uscire dall’isolamento e condividerlo con qualcuno che sa e può accoglierlo. Infatti, entrare in relazione dialogica, raccontare i problemi, confidare
le lotte e le solitudini serve non soltanto a chi li vive ma anche a chi li ascolta,
aiuta a crescere insieme nella consolante condivisione dei problemi che allevia
le pene e toglie dall’isolamento. Nella
sua lunga esperienza di aiuto a coloro
che soffrono, Nowen scrive: «Quando
scopro di non essere più solo nella mia
lotta e quando comincio a sperimentare una nuova “fraternità nella debolezza”, allora può prorompere la vera gioia, in mezzo al mio dolore»10.
È il modo di vivere il dolore che consente ad esso di non costituirsi come
ostacolo alla gioia. Come dimostrano
tante testimonianze di mistici e di persone credenti di ogni tempo e cultura
che hanno subìto sulla propria persona
persecuzioni e violenze o che hanno dovuto lottare con gravi malattie, la sofferenza, quando viene accettata e vissuta con serenità come una esperienza di
amore necessaria per raggiungere qualcosa di più grande, può diventare il mezzo attraverso cui attraversare la siepe e
trasfigurare il dolore, la chiave segreta
che fa dell’essere spezzati un passaggio
misterioso verso la gioia.
Il Perdono: un modo di vivere la
gratuità
In fondo, a ben guardare, molta della
Nowen H.J.M. (1994), Vivere nello Spirito,
tr. it. Queriniana, Brescia, p. 33.
10
umana sofferenza, soprattutto di quella
che riguarda i sentimenti e le relazioni,
dipende dal rimanere legati ad una logica materialistica ed utilitaristica che
ci blocca in circuiti viziosi di reazioni e
contro-reazioni oppositive dai quali non
riusciamo a liberarci, vittime delle nostre stesse emozioni e passioni che ci
posseggono e che non sappiamo riconoscere, controllare e gestire. Diverso sarebbe se riuscissimo a scoprire la forza liberante della logica della gratuità
che ci aiuterebbe ad adottare elementi
di moderazione e dinamiche ricostruttive dei nessi essenziali per una sana
vitalità ed una positiva relazionalità,
anche in situazioni in cui la sofferenza
obnubila la capacità di autocontrollo e
non lascia spazio alla ragionevolezza.
Un passaggio importante per poter consentire al dolore di tramutarsi
in uno strumento di cammino verso la
gioia è, infatti, quello che porta la persona a superare ogni tipo di astiosità e
le fa scegliere di azzerare il complesso
intreccio di crediti/debiti, colpe/offese
che ne ostacolano l’avvio.
Si inizia il percorso quando la persona decide di riappacificarsi con se
stessa, e può farlo se riesce a liberarsi
di tanti sensi di colpa, che molto spesso sono indotti socialmente e culturalmente. Si tratta invero di un percorso
in salita, un po’ ostico ma di fondamentale importanza. È utile precisare che
“sentire la colpa” è molto differente dal
provare “senso di colpa”: se il sentire la
colpa può essere un sentimento sano,
restare in perenne senso di colpa per
ciò che si prova o per ciò che si è fatto
può portare ad una paralisi psicologica
per nulla costruttiva.
Pacificarsi con sé stessi, quindi, comporta il superamento del conflitto inte-
riore, nel quale – per sua natura – ci
sono degli elementi che si contrappongono. Questo confliggere di elementi opposti porta un grande senso di infelicità,
perché fa vivere l’individuo in uno stato di perenne combattimento interiore.
Certamente, il modo migliore, più
rasserenante e durevole, per superare
il conflitto interiore è quello di perdonare, adottando la logica della gratuità, applicata nelle tre declinazioni del:
1) perdonare sé stessi: spesso i giudici più impietosi contro di noi siamo proprio noi stessi che non ci perdoniamo gli
errori commessi, perché non ci accettiamo come esseri imperfetti;
2) perdonare la Vita e Dio, che ha
permesso tanta sofferenza nella nostra
vita ed in quella dei nostri cari o di persone innocenti e indifese;
3) perdonare gli altri, tutti coloro
che ci hanno fatto del male, o sono stati indifferenti alla nostra sofferenza, siano essi lontani ed estranei oppure nostri stessi familiari.
Se è vero che molta della nostra sofferenza più profonda deriva proprio dal
rapporto con noi stessi e con coloro che
amiamo di più e che ci amano di più,
con cui condividiamo la nostra vita quotidiana, perché nella quotidianità, continuità e vicinanza della sofferenza si
acuiscono/esasperano i vissuti dei problemi, quindi, è anche lì che occorre trovare soluzioni e rimedi. Fondamentale
e primario diventa, quindi, il perdonare sé stessi perché da questo discendono anche le altre forme di perdono. Facciamo molta fatica, infatti, ad accettarci con i nostri limiti ed a rinunciare
alle logiche giustificatorie che ci fanno
imputare sempre ad altri i fallimenti:
a volte, preferiamo crogiolarci nell’illusione consolatoria che i nostri errori
QUALEDUCAZIONE • 53
derivino dal fatto di essere stati vincolati da forze esterne ingestibili di cui ci
sentiamo in balìa.
Tutto può essere ribaltato solo se
sappiamo fare un salto di qualità nel
rinunciare all’idea di onnipotenza ed
accettarci limitati ma, anche e comunque, capaci di scegliere il percorso di
autotrasformazione: questo gesto gratuito ci restituisce la libertà di riavviare il cammino. La persona che non sa
perdonarsi non sa neppure perdonare
agli altri, anzi rimane stritolata dalle
fratture dei propri sentimenti ed invischiata in un circuito narcisistico, incapace di avviarsi su un sentiero di novità di pensiero e di vita.
Ma che significa “perdonare”? In
quasi tutte le lingue, il perdono è collegato al “dono”11, nel senso cioè di un atto
gratuito, che offre in dono ciò che è più
prezioso e nuovo, senza cercare motivazioni nel passato o nelle caratteristiche
(meriti, competenze, ecc.) del soggetto a
cui esso è rivolto. Come il dono, anche
il perdono si proietta nel futuro senza
attendere nulla in cambio.
È pur vero che, di fronte alla logica
del dono/perdono non può considerarsi irrilevante l’obiezione avanzata da
Jankélévitch, il quale sosteneva che per
certi crimini perdonare dovrebbe essere
impossibile, inopportuno e perfino immorale, perché il perdono potrebbe significare legittimare il crimine e generare l’oblio delle vittime12. Si pensi, ad
esempio, alle vittime del nazismo e dei
crimini hitleriani e al dibattito che, a
riguardo, ha agitato il mondo sociale,
culturale e politico lungo tutto il periodo del secondo dopoguerra.
Altrettanto intrigante e complesso da sciogliere è il nodo «se si perdona qualcuno o si perdona qualcosa a
qualcuno»13: è un problema che entra
nel merito se l’imperdonabilità riguardi
la persona nella sua interezza, oppure
salvi la persona e si riferisca soltanto ai
suoi atti. Diverse dovrebbero essere le
implicazioni operative sulla valutazione degli atti di compensazione che andrebbero richiesti a riparazione del danno, in nome di una giustizia che non si
può comunque mettere a tacere. Senza
voler entrare nel complesso intrigo dei
nodi teorici problematici che si aprono
nella trattazione del tema in questione, ferma restando la salvaguardia dei
fondamentali principi di equità e giustizia, ci sembra opportuno comunque richiamare l’attenzione sulla grande valenza innovativa del tema della gratuità e del perdono in campo educativo e
formativo. In questo settore, infatti, ai
fini della crescita personale e relazionale diventano estremamente importanti
gli effetti dinamizzanti correlati a tutte quelle forze che sono collegate alla
“cura del cuore”14 oltre che alla dimensione cognitiva e razionale.
Pertanto, di fronte ai tanti fatti che
siamo tentati di considerare imperdo-
11
Sirna C. (2004), Educazione alla libertà
come educazione al per-dono, in Sirna C. (a cura
di), Tempo formativo e creatività. Scritti in onore
di Leone Agnello, I Tomo, Pensa MultiMedia,
Lecce, pp. 231-239.
13
Cfr. Derrida J. (2004), Perdonare.
L’imperdonabile e l’imprescrittibile, tr. it. Raffaello Cortina, Milano, pp. 30 ss..
Jankélévitch V. (1987), Perdonare?, tr. it.
Giuntine, Firenze.
12
54 • QUALEDUCAZIONE
14
Cfr. Rossi B. (2007), Aver cura del cuore.
L’educazione del sentire, Carocci, Roma; Natoli S.
(1994), La felicità. Saggio di teoria degli affetti,
Feltrinelli, Milano.
nabili15 e che bloccano la positiva evoluzione della realtà personale e sociale, ci sembra particolarmente fruttuoso in termini di novità di vita, serenità
e libertà creativa ricorrere all’adozione
della logica del perdono, per quanto difficile e fragile essa possa apparire, per
iniziare un percorso di crescita creativa e liberatoria, svincolata da paure e
da schemi, sicuramente realistica e riequilibrante sul piano intra-personale
ed inter-personale.
Perdonare significa liberare dal carcere il cuore sia della persona che offre
il perdono che quello della persona da
perdonare. L’unico vero pericolo, infatti,
è rimanere prigionieri della rabbia, del
rancore, del risentimento che, anche sul
piano psicologico, ci legano all’altro molto di più di qualunque altro sentimento.
Scegliere di perdonare è, in ultima analisi, voler ricomporre l’integrità personale
e lasciare che il lupo e l’agnello, che vivono dentro ogni persona, giacciano insieme16, far sì che la parte adulta, matura e forte conviva con la parte bambina,
spaventata, ferita, bisognosa di affetto,
di approvazione e di comprensione. Se
diamo retta solo al lupo, ci scopriremo
capaci di vedere solo i nostri obiettivi
ed incapaci di vedere l’altra persona. Se
prestiamo attenzione solo all’agnello, diventeremo vittima di noi stessi, dell’altro
e del bisogno di attenzione altrui.
15
Cfr. Derrida J. (2004), Perdonare…, op.
cit.. La vera condizione del perdono, scrive l’A., è
la sua imperdonabilità, Infatti, se un fatto fosse
perdonabile, che bisogno ci sarebbe di perdono?
Il perdono, in realtà, è concepibile soltanto perché c’è qualcosa che ha creato una frattura, una
lacerazione che si fa fatica a far rientrare nella
normale economia della riparazione.
16
Si veda Isaia 11, 6.
Oggi più che mai, l’arte dell’educare
che voglia aprire l’uomo alla sanità, alla
ricchezza e alla dialogicità della vita è
chiamata a riconoscere, al contempo, la
forza e la vulnerabilità di ogni essere,
ad accettare ognuno nella sua integrità
ed interezza e, soprattutto, ad avviare
ciascuno ad accettare se stesso, gli altri
e il mondo con cuore aperto, comprensivo e fiducioso.
Condizioni della dialogicità: fiducia e speranza
Se manca la fiducia, il cammino
verso la serenità e verso il dialogo con
sé stessi e con l’altro è impossibile per
chiunque. Ma in chi o in che cosa si può
e si deve avere fiducia?
Sicuramente occorre che la persona
abbia fiducia in se stessa e nell’umanità
e non consideri la realtà come immutabile e gli eventi come inesorabili. Abbia
fiducia, cioè, in quella libertà che rende
ogni persona capace di agire e reagire
agli eventi che la sovrastano creando
strumenti, oggetti, relazioni e contesti
diversi da quelli dati, inventando così
situazioni migliori rispetto a quelle in
cui si trova a vivere ed operare.
La realtà può essere modificata, trasformata e migliorata soltanto da chi
crede che la realtà è modificabile ed ha
fiducia di poter intervenire, con le proprie forze, per progettare soluzioni ai
problemi17. In caso contrario non esiste altro che la paralisi e l’attesa fatalistica degli eventi o, peggio ancora, la
creazione di condizioni negative e falli-
Cfr. Kristeva J. (2006), Il bisogno di credere.
Un punto di vista laico, tr. it. Donzelli, Roma.
17
QUALEDUCAZIONE • 55
mentari: si pensi, ad esempio, ai circuiti viziosi che si innescano nelle borse
dove la sfiducia in un titolo finanziario
produce di fatto perdite indotte proprio
dall’effetto domino delle vendite relative a quel titolo.
Occorre avere fiducia in sé stessi per
iniziare il proprio percorso di crescita,
per affrontare compiti evolutivi e processi di apprendimento che esigono impegno così come per riuscire a maturare forme sempre più alte di autocontrollo delle proprie emozioni e relazioni più positive.
Ma, se si vuole crescere, occorre avere fiducia anche negli altri, in tutti coloro da cui in qualche modo si dipende,
perché offrono gli strumenti necessari
alla vita ed alla crescita, anche in quelli che, pur con tutti i loro limiti, rappresentano i punti di riferimento operativi
e istituzionali con i quali ci si deve confrontare per acquisire informazioni, conoscenze e saperi indispensabili.
Chi non ha fiducia negli altri rischia
di fatto di mettere in atto comportamenti che, inconsapevolmente ma inesorabilmente, lo portano ad accentuare la distanza e la sfiducia anche degli
altri nei loro confronti, perché di fatto il loro convincimento funziona come
una “profezia che si autoadempie”
(Watzlawick)18.
La fiducia negli altri è doverosa e
ineludibile anche, e soprattutto, per chi
esercita funzioni educative e formative,
perché deve sempre scommettere sulla
possibilità di sviluppare le potenzialità ancora inespresse degli interlocutori. Rosenthal e Jacobson (1976) hanno
18
Watzlawick P. - Beavin J.H. - Jackson D.D.
(1967), Pragmatica della comunicazione umana,
tr. it. Astrolabio, Roma.
56 • QUALEDUCAZIONE
dimostrato sperimentalmente quale
peso esercitino le nostre credenze e le
nostre aspettative relativamente all’esito positivo degli interventi formativi
(effetto Pigmalione): possono influenzare in maniera radicale le relazioni e
le performance che si possono ottenere
dagli altri.
Avere fiducia, in fondo, significa
scommettere su qualcosa possibile, che
può avvenire ma che è ancora solo preannunciata da alcuni segnali che il soggetto sa cogliere e che vuole valorizzare,
attivando tutte le sue energie nella direzione indicata. Una scommessa che,
come dimostra tutta la storia umana,
vale sempre la pena di fare perché dinamizza l’esistenza personale e sociale
in maniera straordinaria, contribuendo al conseguimento di risultati spesso impensabili.
Soltanto chi crede ha la forza di progettare e di guardare al futuro con entusiasmo e dinamismo: la fiducia/fede
scaccia la paura e mette nella condizione di sperimentare realtà e forze, altrimenti nascoste ed inattingibili (ad
esempio, riesce a sentire la forza e la potenza dal paracadute solo chi ha avuto
il coraggio di gettarsi nel vuoto).
In realtà, la serenità della persona
dipende molto dalla sua capacità di aver
fiducia nella vita e di riuscire a progettare il proprio futuro, contrastando problemi e sofferenze. La vera fiducia, quella che produce grandi cose, non è mai
senza rischi: è sempre un fidarsi senza
capire tutto necessariamente o subito,
un accettare di mettersi in cammino,
non con rassegnazione, ma con un vivo
e gioioso desiderio di realizzare qualcosa di cui si è intuita la grandezza e che
ormai si ha nel cuore. Come scrive Kierkegaard, credere è «inoltrarsi per quel-
la strada dove tutti i cartelli indicatori dicono: Indietro, indietro!», è «venirsi a trovare in mare aperto, là dove ci
sono settanta stadi di profondità sotto
di te»; è «compiere un atto tale che per
esso uno si viene a trovare completamente gettato in braccio all’Assoluto»19.
Il premio per chi crede è il dono del
coraggio della speranza, una speranza
necessaria per intraprendere il percorso di pacificazione e di apertura all’alterità ed all’Alterità che ci fa accettare i grandi misteri della vita – nascita,
vita, morte, sofferenza – rifuggendo dai
fantasmi di morte che continuamente ci
tentano20. Chi crede e spera è consapevole che, per quanto possa impegnarsi,
il mistero della vita non sarà mai svelato del tutto e che la realtà trascende
le possibilità di comprensione, previsione e controllo totale. Questo significa eliminazione di tante inutili rigidità e blocchi mentali che ci fanno vivere
nella «dimensione ambigua e dilemmatica» dell’attesa ed aprono ad un futuro
interpretato, invece, in una «dimensione radicalmente aperta e luminosa»21,
capace di far fronte alla disperazione
dell’uomo.
L’opposto di speranza, infatti, non
è paura, come spesso si è portati a ritenere, bensì disperazione. Di-sperare
è vivere senza speranza, vivere con le
prospettive di un futuro fermo al presente, di un futuro morto o, nel miglio-
19
Kierkegaard S. (1850/2012), Esercizio del
cristianesimo, tr. it. SE, Udine, passim.
20
Si veda l’ormai classico di Bloch E. (1994),
Il principio speranza, tr. it. Garzanti, Milano; ed
il recente Mosconi F. - Natoli S. (2012), Sperare
oggi, Il Margine, Trento.
Borgna E. (2005), L’attesa e la speranza,
Feltrinelli, Milano, p. 51.
21
re dei casi, un futuro molto, talvolta
troppo, prossimo. Sono i tanti disperati quelli che commettono scelleratezze
e si sentono legittimati a commetterle,
perché divenuti incapaci di aprirsi agli
orizzonti luminosi della speranza, che
colora la vita di gioia e brillantezza riempiendola di calore, di aperture e di
fervida serenità.
Nel tempo della speranza diventa
possibile vivere più pienamente l’esperienza della partecipazione, della condivisione, della solidarietà e del dialogo, perché si è più pronti ad aprirsi ad
inedite possibilità e, soprattutto, si comprendono meglio le sofferenze e le emozioni altrui.
La speranza, quindi, non si configura
tanto come uno “sperare che”, ma come
uno “sperare in” perché è sua peculiare caratteristica la necessità di aprirsi
all’alterità, e quindi alla fiducia in un
Altro: come scrive Gabriel Marcel «la
speranza è sempre centrata su di un
noi, su di una relazione vivente; e se
non ce ne rendiamo conto è perché usiamo troppo spesso la parola speranza là
dove invece si tratta del desiderio»22.
Non esiste quindi la speranza in sé,
ma esistono soltanto persone chiamate a sperare, che decidono di abitare la
22
Marcel G. (1951), Structure de l’ésperance,
in “Dieu vivant”, n. 19, pp. 76-77. La speranza
cristiana diviene certezza di una felicità futura
poiché si fonda sulla fede in Dio, ma si traduce
in una attesa attiva, quella dell’homo viator di
cui parla Marcel, sempre in cammino e sostenuto
dalla speranza: consapevole di essere straniero e
pellegrino, frutto di elezione e non di esclusione,
egli è al contempo appartenente ed estraneo al
mondo, è nel mondo senza essere del mondo (cfr.
Gv 17) e spera e si spende per la attuazione del
Regno promesso [Cfr. Marcel G. (1944), Homo
viator. Prolegomeni ad una metafisica della speranza, tr. it. Borla, Roma].
QUALEDUCAZIONE • 57
speranza. Vera speranza è solo quella
che si incarna in uomini e donne che
hanno il coraggio di sperare e si impegnano a realizzare quello in cui sperano: sono gli uomini che hanno imparato a sperare e che vogliono continuare
a farlo. Come dice Jürgen Moltmann,
teologo protestante tedesco, la speranza permanente non fa parte del nostro
corredo genetico, non ce la portiamo dietro dalla nascita, né l’acquisiamo dall’esperienza, ma è una possibilità esistenziale che dobbiamo apprendere23 ed apprendere a coltivare.
Coltivare la speranza non solo è possibile, ma necessario. Non si può essere
felici senza avere speranza, poiché è la
speranza che fa accettare gli errori del
passato ed apre la porta al futuro, riempie di senso e di luce l’inevitabile sofferenza che avvolge l’esistenza, ridona lo
stupore e il desiderio di conoscere cose
nuove, incoraggia ad entrare in novità
di vita, sollecita ad aprirsi all’ascolto ed
al dialogo. Essa rappresenta un importante punto di partenza per la crescita
e l’arricchimento dell’umanità, senza
la quale la visione del mondo e di sé rimane fortemente amputata: è la pista
di volo necessaria per intraprendere il
viaggio della vita, per accettare il rischio
di andare avanti ed affrontare il futuro.
È compito di ogni uomo apprendere
e coltivare il coraggio della speranza e
la forza del dialogo, un dovere educativo soprattutto verso quelle persone che
non li hanno mai conosciuti o li hanno
smarriti durante il percorso della loro
esistenza.
23
Moltmann J. (1979), Esperienze di Dio.
Speranza, angoscia, mistica, tr. it. Queriniana,
Brescia. Cfr. anche Moltmann J. (2011), Etica
della speranza, tr. it. Queriniana, Brescia.
58 • QUALEDUCAZIONE
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Convegno Educazione alla Giustizia. Da sinistra G. Serio, I. Bertoni, A. Pieretti, L. Giugni, I. Marrone,
apertura dei lavori.
QUALEDUCAZIONE • 59
Il dialogo come reciproco ascolto
di
VINCENZO PUCCI*
Riassunto
Il presente contributo vuole ribadire che l’emergenza educativa scaturisce
dalla pratica crescente e deleteria (nei
passati decenni) nei confronti degli educandi, del permissivismo e della “facilitazione”, cioè la rinuncia alla formazione morale e alla buona educazione (già
carente in famiglia) della gioventù. Tale
“politica” ha tolto dignità e tempo all’insegnante indifeso, e ha dato via libera
alla “vivacità” sempre più distruttiva
e incontrollabile di certi allievi, piccoli
“Attila”, iperprotetti, “ipersensibili” [se
vengono corretti, quando sbagliano, si
offendono (!?!)]1 ma incapaci di rispetto verso gli altri e privi del senso del limite. Dalla scuola autoritaria si è passati alla scuola confusa e fracassona,
sottomessa al diktat di genitori e figli
* Vincenzo Pucci, redattore della Rubrica Aperta
di Qualeducazione.
1
“«Fili mi, noli neglegere disciplinam Domini, neque deficias, dum ab eo argueris: quem
eum diligit, Dominus castigat…» Ad disciplinam
suffertis; tamquam filios tractat Deus. Quis enim
filius, quem non corripit pater? Quod si extra
disciplinam estis… ergo adulterini et non filii
estis!” (Epistula ad Hebraeos 12, 5-9).
(“«Figlio mio, non disprezzare la correzione
del Signore e non ti scoraggiare quando sei da
lui ripreso. Il Signore infatti corregge colui che
ama….» Per correzione voi soffrite; Dio si presenta
a voi come a figli: qual è il figlio che il padre non
corregge? Se invece siete senza correzione… allora
siete dei bastardi e non figli!”) Cfr. Al termine
disciplina, nella Vulgata, corrisponde nella
versione dei LXX, la parola παιδεία: c’è motivo di
riflettere su questo insegnamento biblico, solida
profonda perenne “paideia” dei popoli.
60 • QUALEDUCAZIONE
viziati. Anno dopo anno, la scuola si è
appiattita e impoverita, è divenuta poco
seria, caotica, ingovernabile per chi voglia educare e formare, oltre che istruire. Non c’era il dialogo, prima, non c’è
un vero dialogo neanche adesso. Gli educatori non possono operare nel tumulto permanente . Una volta si stava attenti in classe, per rispetto e per timore
di ripetere l’anno; oggi si pretende di
essere promossi, pur non rispettando
le regole di comportamento(corretto) e
rendimento(almeno sufficiente). Dall’attacco all’Autorità (storica e metafisica)
è scaturito il declino e la barbarie nella
scuola e nella società. Socrate, maestro
di dialogo e di arte maieutica, nella sua
amata πόλις, ieri, 2500 anni fa, martire
della libertà, oggi ci è più vicino di ieri.
Gesù di Nazaret, l’unico Maestro, superstite (perché Risorto), di dialogo senza
confini, da 2000 anni, coi suoi Discepoli, è Lui il solo che può salvare la Famiglia (e la “razza”) umana dall’estinzione.
L’unico possibile dialogo è Amore nella Verità. Wo Gott ist, da ist
Zukunft(Dove c’è Dio, c’è il futuro).
Abstract
This paper wants to repeat that Educational Emergency springs from permissivism and “facilities”, that is from
renunciation of moulding young people
about Freedom, Truth, Correctness and
Humility. Someone asked Mother(the
Blessed)Teresa of Calcutta: “When you
pray, what do you say to God?” “I don’t
speak, I listen” “And what God says?”
“God, He listens…” Praying is a mutual listening. Speaking, today, instead, is a mutual ignorance, because of
ego-latria (individual) and ethno-centrism (collective). The rush of life is the
opposite of the joy of living. In absence
of Project Life, we live as if God did not
exist (=etsi Deus non daretur). Yes, we
must learn to talk between us, so that
we become human, again and finally.
The lack of listening in the educational
activity (family, school, church, society)
is a direct con-sequence of “forbidden to
forbid” in May ’68; by this way, it’s impossible to dialogue (mutual listening)!
But, thank God, there are Islands of Resistance to drift legal-judicial and moral eclipse: a) The World Youth Days
with the Pope and b) honest and free
people, sincere and supportive persons
of every faith, in every place on Earth:
Citizens of the world [=Κοσμοπολίται].
Together, in the name of Jesus of Nazareth, we can build, in the mind and heart, the Family of Mankind (of the Human Race) …The only possible dialogue
is Love in Truth!
Qualcuno chiede a Madre Teresa di
Calcutta: “Quando prega, che cosa dice
a Dio?” «Ma io non parlo, ascolto…», risponde, lei , serafica. “E Dio che dice?”
«Lui, ascolta…». La preghiera è un reciproco ascolto. Il dialogo, primordiale,
con Dio è un reciproco ascolto nel silenzio torrenziale d’Amore. La realtà del
mondo d’oggi si colloca a distanze siderali, in una condizione inconciliabile
con la preghiera, immersa com’è nel rumore e nella fretta insonne; è necessario, per chi prega, ritagliarsi degli spazi di silenzio e di pace, all’insegna del
«Festīna lente» [ affrettati lentamente],
perché la gente vive – correndo furiosa-
mente – come se Dio non esistesse, in
un mondo asfittico.
Non ci sono, no, alternative: o recuperiamo la capacità dialogica e di mutuo rispetto (rallentando la vita, nostra
e altrui) o finiremo per scannarci, gli uni
con gli altri, cioè col nemico, che, volta
per volta, abbiamo introiettato! Basta
seguire la contesa elettorale e i dibattiti in cui ci si sbrodola addosso in modo
inverecondo! Sì, dobbiamo imparare di
nuovo a parlarci, ad ascoltarci, per ridiventare umani. Per ora, dappertutto,
vediamo individui che pretendono di
… celebrare «matrimoni gay», imporre a tutti il «gender» [«genitore 1 e genitore 2»], praticare la “religione fai da
te”, ritoccare (cioè “smontare”) la Costituzione, avere “tutto e subito”, perché non distinguono il Bene dal Male e
non si curano del bene comune, nelle
aule parlamentari, nelle aule giudiziarie, nelle aule scolastiche, tra le pareti
domestiche, nelle piazze, senza mai veramente ascoltarsi reciprocamente, pensando solo a sé stessi, murati in una
maschera beota o eginetica. Si blatera
di “progetti” in ogni ambiente, per ricavarne guadagno o prestigio, ma il Progetto Vita (la vita buona del Vangelo)
è minoritario: la qualità della vita
vien (quasi) sempre dopo i soldi, dopo
l’ideologia libertaria di turno. La libertà è in vendita: «I shop, (also) I am!» A
proposito delle «nozze» fra due uomini
o due donne “la Tradizione ha sempre
dichiarato che « gli atti di omosessualità sono intrinsecamente disordinati».
Sono contrari alla legge naturale. Precludono all’atto sessuale il dono della vita. Non sono il frutto di una vera
complementarità affettiva e sessuale”.
Tali persone “sono chiamate alla castità. Attraverso la virtù della padronanQUALEDUCAZIONE • 61
za di sé…con la preghiera e la grazia
sacramentale, possono e devono, gradatamente e risolutamente, avvicinarsi
alla perfezione cristiana” recita il Catechismo della Chiesa Cattolica (C.C.C.
n. 2357). Per bonificare le paludi dello spirito che ci circondano, 1) occorre considerare seriamente “lo smodato desiderio”, cioè il peccato («Poiché tutto ciò che vi è nel mondo: concupiscentia carnis, concupiscentia oculorum, iactantia vitae non è dal Padre»
[1Gv2, 16]) prenderne coscienza, perché il mondo ce lo presenta come modelli di comportamento da imitare[ la
cronaca quotidiana sembra suggerire
la trasgressione!]2 per smascherarlo e
combatterlo, e, naturalmente, 2) considerare i “novissimi”(morte, giudizio,
inferno, paradiso) le realtà ultime nella
vita di ogni uomo, credente o agnostico
o ateo; è imprudente vivere senza pensare al morire (“Laudato si, mi Signore,
per sora nostra morte corporale” come
la chiama Frate Francesco…).3 Vagando, come Diogene, con la lanterna accesa in pieno giorno, in cerca dell’Uomo,
troviamo, spesso, cupo mutismo e reticenza, apatia, menzogna, ghigni e sghignazzi, calunnia, mugugni e grugniti,
2
La pubblicità invita a coltivare non la
sobrietà, ma l’avarizia e lo sperpero, la lussuria
e la gola, non l’umiltà ma la superbia, l’invidia, la collera e l’accidia (quelli che la sapienza
millenaria della Chiesa chiama “vizi capitali”).
Ma sono proprio l’umiltà e la sobrietà che ci soccorrono, adesso e in ogni difficoltà della vita,
ovviamente insieme alle virtù teologali: fides,
spes, caritas…
3
«Ci tocca scegliere tra una liquidazione
tecnica e una vita offerta. Non c’è alternativa:
darsi la morte o donare la vita per ciò che ne
vale la pena» (Fabrice Hadjadj) [N.d.R.: l’evidenziatura è nostra].
62 • QUALEDUCAZIONE
sofismi , discorsi idioti, volgarità… e,
sovrana, regna su tutta l’ecumene, l’ininterrotta chiacchiera telematica, una
muta logorrea, che “parla” tanto e non
dice niente.
Ma la Parola (Λόγος, Verbum,
Wort, Palabra) resta, viva, nel Cuore
che ascolta.« Non ci sono parole senza
risposte … anche se non incontrano che
il silenzio, purché abbiano un ascoltatore». Infatti, a prescindere dal “grande orecchio” degli intercettatori di ogni
genere (“cimici” & affini), che non cercano il dialogo, perché origliano nell’etere per ben altri motivi, c’è un Grande Ascoltatore della mente e del cuore
umano, Dio, che non tralascia neanche un sospiro o un batter di ciglia e dà
sempre una risposta a ciascuna creatura vivente (passata, presente e futura).
“Qui habet aures, audiat”. E tutti coloro
che s’illudono, che si illusero, che continuano a illudersi (i furbi, gl’ipocriti e i
malvagi) di poter sfuggire alla propria
personale responsabilità, possono eludere la giustizia umana ma, alla morte,
dévono rispóndere a Lui. La «facoltà di
non rispondere» non è prevista davanti
a Dio “illa nocte” (Lc 17, 34). Qualche
premessa è necessaria per uscire dal vicolo cieco in cui ci siamo cacciati.
Insegnare stanca. “La professione
educativa esige un grado di resistenza
alla fatica incomprensibile a chi non ne
abbia fatto prova” scrive il grande pedagogista francese René Hubert [18851954], e aggiunge: “Tale equilibrio psicofisico non è meno necessario di quello
morale, della costanza di umori, della
padronanza di sé”. Oggi, però, al contrario di un passato che sembra mitico, preistorico (solo qualche decennio
fa!) l’insegnamento è divenuto un’attività poco gratificante, sempre meno
proficua per docenti smarriti e per discenti “frenetici” (specialmente nella
fascia più delicata, quella che era chiamata la “scuola dell’obbligo”) bistrattata dai media, trascurata dalla politica,
vissuta senza letizia, come reclusione.
Ci sono delle isole felici, dove i ragazzi
hanno imparato a leggere! Ha ragione
il Prof. Alessandro D’Avenia a parlare
di una «lettura “responsabile”» e George Steiner a proporre “in ironica polemica con le scuole di scrittura creativa,
l’inizio di «scuole di lettura creativa»”.
Bisogna prima imparare a leggere, per
riuscire, poi a “intus legere” e ad “inter
legere” (cioè capire e far capire) la Parola, le parole e la realtà “effettuale” e
virtuale che incontriamo nell’avventura di imparare ad apprendere, cioè di
imparare a vivere.
Educare è faticoso, oggi come non
mai, perché manca la capacità di ascolto, che è naturale conseguenza del sessantottardo “Il est interdit d’interdire” («proibito proibire!»). L’educazione
permissiva è come il sonno della ragione: «El sueño de la razón produce
monstruos». È come affidare una macchina da corsa ad un bambino. Il dialogo è il colloquio fra due o più persone,
ma se l’interazione comunicativa in famiglia, a scuola, per televisione, dappertutto assume si-ste-ma-ti-ca-men-te
la modalità della lite, della rissa, dello scontro (o, peggio, della supponente
sufficienza)… è praticamente impossibile conversare, realizzare un pacifico
scambio, un incontro che, esso solo,
migliora e arricchisce gli interlocutori.
La Tv e gli ordigni telematici, con poche eccezioni, fanno a gara a rimpinzarci di violenza e di scetticismo, a mostrarci tutto il negativo che si esprime
nel mondo, con cupa e martellante mo-
notonia e con effetti nefasti e variegati.
Il cattivo esempio, che ci viene offerto da talune personalità pubbliche
(non bilanciato dall’esemplarità di tanti sconosciuti servitori dello stato o di
semplici cittadini che, in Italia o all’estero, esaltano la dignità, l’onestà, la
creatività del proprio Paese) non aiuta ad avere fiducia nelle varie autorità e nei confronti del prossimo. Dalla
seconda metà degli anni ’60 del secolo
(e millennio)scorso, è cominciata la demolizione del concetto di autorità, anche se Messer Lionardo da Vinci ricorda che «Chi disputa allegando l’autorità
[Ipse dixit], non adopra lo ingegno, ma
più tosto la memoria». Demolito il concetto di autorità, che non sempre coincide con l’autorevolezza, rimane, però, il
Potere, in cui è sempre presente un’alta dose di ambiguità e di prevaricazione, ed ecco che ci troviamo a vivere in
una società non più libera, senza valori,
priva del senso del limite, grazie all’“educazione” libertaria che ha favorito lo
sviluppo di generazioni “invertebrate”,
che reclamano i diritti e ignorano i doveri. Qualcuno diceva: «Il potere logora!»
a cui altri rispondeva: «Il potere logora
chi non ce l’ha!». È vero, invece, che il
potere inquina, se non viene assunto
come servizio , con umiltà e dedizione
[deditio=resa, alla “Divina Potentia” da
cui proviene ogni umana “potestas”].
Solo la Grazia di Dio può salvare dalla petrificazione nel cinismo mercantile che disumana e reifica … gli utenti
della condizione umana. Tutto il resto
è … “pulvis et umbra”.
C’è anche il buon esempio di coloro che, andando contro corrente, fanno filtrare la verità e la giustizia dalla coltre di malaffare, dalla conclamata disonestà, dalla ‘ύβρις (tracotanza)
QUALEDUCAZIONE • 63
contemporanea, che è contrastata solo
dalla chiara e tenace testimonianza dei
“ptōchòi tō pnèumati” (i poveri in ispirito) dei “catharòi tē cardìa” (i puri di
cuore) e degli “eirēnopoiòi” (gli operatori
di pace), dai noti o, spesso, sconosciuti
Hoffnungsträger (i portatori di speranza) di ogni età, di ogni epoca e di ogni
parte del mondo…
Viviamo nell’epoca della contumacia universale, in cui si proclama – solennemente e ufficialmente – l’etica della responsabilità, ma – in pratica – nessuno risponde mai di nulla. Responsabile, secondo l’etimologia, è colui che risponde, ma nella realtà di ogni giorno
ognuno fa quel che gli pare. Alla Forza
del Diritto è subentrato, in ogni ambito dell’operare umano, il “diritto” della
violenza e dell’etno-ego-centrismo, che
non è forza ma debolezza, vacuità dello spirito, che spegne, però, la vita! Sulla sana forza del Diritto prevale, hic et
nunc, la “logica” paranoica del Cavillo
(& del Profitto ad ogni costo), la brutalità materiale e “culturale”, l’ottusa protervia, il vile servilismo, la libertà… recintata, la verità e la giustizia… malmenate ed offese, la Pace dilaniata e (quasi) irraggiungibile.
Ma, grazie a Dio, ci sono delle isole di Resistenza alla deriva giuridicogiudiziaria e all’eclissi morale:
– dei magistrati esemplari (per
l’abnegazione[fino al sacrificio], per l’umiltà e l’ efficienza);
– tanti ignoti cittadini (medici, insegnanti, sacerdoti, artigiani, operai, casalinghe) che fanno il loro dovere fino
in fondo – malgrado tutto, sempre e
dappertutto.
È necessario, dunque, che si ricomponga il puzzle del ministerium potestatis (servizio del potere) per combattere
64 • QUALEDUCAZIONE
il mysterium iniquitatis (mistero del
male) che sconvolge l’universo (Ap 12,
9): “Et proiectus est draco ille magnus,
serpens antiquus, qui vocatur Diabolus
et Satanas, qui seducit universum orbem; proiectus est in terram, et angeli
eius cum illo proiecti sunt [= il grande
dragone, il serpente antico, quello che
è chiamato Diavolo e Satana, colui che
inganna tutta la terra (tēn oikoumènēn
hòlēn) fu precipitato sulla terra (tēn
ghēn) e con lui furono precipitati anche
i suoi angeli”].
Ai nostri giorni, babelici e dementi,
la generale contumacia è la conseguenza diretta della demolizione della scuola ad opera della politica-parolaia e della pedagogia-virtuale: coloro che (senza avere mai sperimentato lo squallore
culturale spirituale ed umano di classi della secondaria di 1° e di 2° grado,
dove la Parola è sconosciuta o calpestata, la Luce è fioca o assente, l’“aurĕa
curiosĭtas” è [quasi] spenta) parlano di
riforme, progettano di costruire sulle
… macerie. La rivolta contro l’autoritarismo ha travolto l’Autorità in ogni
ambito della società (Famiglia Scuola
Chiesa Lavoro) e il «ribellismo» generale è cresciuto negli anni e nei decenni sui binari dell’ignoranza-arroganza,
non all’insegna della moderazione e del
buon senso ma sotto la spinta iconoclasta e trionfante dell’effimero dell’edonismo e dello sperpero. E del non
senso. E la famiglia è ferita, la scuola è devastata, la Chiesa sopra-v-vive(«
sed portae inferi non praevalebunt»).
Il lavoro è alienante o virtuale, spesso
nomade, non più stabile; per tanti non
c’è più lavoro per vivere. Per ricomporre le tessere del potere come servizio
(ministerium potestatis) occorre purificare la volontà e il pensiero inquinati
dal mistero del male e ri-costruire l’uomo frammentato e deformato dal peccato originale (mysterium iniquitatis) e
dalle sue conseguenze. Si parte sempre
dall’educare [= educāre + educĕre] e, finalmente… l’hanno capito (quasi) tutti
che l’Italia (insieme agli altri “Grandi”)
è fuori strada da decenni . Nelle scuole
euro-nippo-americane (nei Paesi cosiddetti “civilizzati”) enfatizzando, ma non
troppo, potremmo dire che si sta “allevando in batteria” l’uomo a una sola dimensione: cioè il-cliente-ha-sempre-ragione, cioè bestiame, animali senz’anima… “Chronica” (=mass media) docet. Possiamo combattere questa grave involuzione, rinnovando il vocabolario anglicizzato e tecnocratico, recuperando – nel deserto e nel silenzio della
preghiera del cuore – la gratitudine e
lo stupore, la disciplina: l’arte infinita
di imparare ad apprendere il poema del
Creato. Recuperiamo la fiaba, la capacità di narrare, l’innocenza del Bambino;
difendiamola dagli Orchi che si aggirano indisturbati fra di noi. Abbiamo la
Costituzione: impariamo a conoscerla e a difenderla, prima che una brigata di prestigiatori, sforbiciando, la faccia sparire. Abbiamo il Decalogo: impariamo a conoscerlo e a viverlo, prima
che lo mandino al macero. La carta fondamentale della nostra nazione, nata
dall’esperienza eccezionale (nel bene e
nel male) della Resistenza [una guerra
di popolo, dopo le guerre dei re, che ha
completato e ha dato senso al Risorgimento, “rivoluzione” borghese del secolo XIX] ha scelto la Repubblica fondata
sul lavoro. Se alla nostra Repubblica democratica (e all’Unione Europea) diamo
le regole umane e divine [=la Costituzione; il decalogo e il discorso della montagna] che sono state ripudiate
(perché scomode e obsolete? Ma il Futuro ha un cuore antico!), vivremo tutti
meglio nel mondo. L’emergenza educativa è molto avanzata, e per risolvere l’
intrico occorre:
a) far emergere dalla “palude stigia”
l’umile forgiatore di coscienze, l’educatore “utopiano” (come, ad es., Socrate, S. Agostino, S. Tommaso d’Aquino
<Doctor Angelicus>, S. Filippo Neri, S.
Teresa de Àvila, S. Teresa di Lisieux,
Don Bosco, il Mahatma Gandhi, Don
Lorenzo Milani, Giuseppe Lazzati, Salvatore Battaglia e infiniti altri) sulle
orme di Gesù Maestro… ridando alla
scuola dignità ed efficacia, efficienza
e rispetto;
b) restituire a ognuno il suo ruolo (il
docente formi le nuove generazioni secondo i valori perenni e, nel contempo,
le renda capaci di rispondere alle sfide
del futuro; il genitore faccia il genitore,
l’alunno faccia l’alunno) Ma è un compito immane, hic et nunc… Non possiamo più perdere tempo in questioni di lana caprina, come tanti “avventori” del ns Parlamento;
c) rimuovere i “docenti” non motivati [e incapaci di ascoltare l’infanzia e la
gioventù, incapaci di dialogare con esse,
nel cercare insieme la verità, nel difendere la comune libertà]; essi, gli “ignavi”, «a Dio spiacenti ed a’ nemici sui»,
vanno assegnati a mansioni più consone ai loro talenti…
d) aiutare la famiglia sana, la scuola viva, la parrocchia profetica , le associazioni di volontari a vivere dignitosamente, a combattere e a sconfiggere,
insieme, la Schwarzdenkung (il pensare in nero, la necrofilia) dovunque si
annidi, riscoprendo insieme alle nuove
generazioni tutto ciò che di bello grande e santo c’è, nel caleidoscopio diacroQUALEDUCAZIONE • 65
nico/sincronico della natura e cultura
umana.
Senza norme da rispettare, senza valori da testimoniare … non c’è identità,
non c’è appartenenza, non c’è senso di
responsabilità. Non c’è futuro, perché
non si può interagire dialogando.
Una società ipocrita e violenta che non
rispetta più le regole, non ci consente
di insegnarle e trasmetterle neanche
con l’esempio. L’unica autorità morale universale è il Papa [nella “Caritas
in veritate”c’è una sintesi pedagogica
grandiosa: «la verità.. è “lόgos” che crea
“diά-logos” e quindi comunicazione e
comunione»]; ogni altra autorità vive
in uno stato di compromesso, spesso di
ostilità o di indifferenza, nei confronti
dei valori irrinunciabili: la Vita (dall’alba : l’aborto uccide crudelmente una
creatura indifesa [50 milioni di morti
ogni anno] al tramonto: l’eutanasia è
un eufemismo che non può mascherare l’uccisione di un’altra creatura indifesa) la Libertà, la Verità, la Giustizia, la Pace. Dalla deriva dei valori non può nascere un mondo nuovo
[“Maledictus homo qui confidit in homine” (Ger17, 5): è la perenne tentazione e
presunzione dell’uomo (che pensa di potersi salvare, da solo, senza la Grazia!)]
ma soltanto una realtà da incubo.
E ci siamo già, per chi vuole capire…
che il lavoro umano “não è a pena que
paga para ser homem / mas um modo
de amar - e de ajudar / o mundo a
ser melhor… canção de amor geral
que eu vi crescer/ nos olhos do homem
que aprendeu a ler” [Thiago de Mello,
Faz Escuro Mas eu Canto - Porque a
Manhã Vai Chegar. Poesias, Editora
Civilização Brasileira, Rio, 1965].
I ragazzi delle GMG (Giornate Mondiali della Gioventù, WYD) confermano
66 • QUALEDUCAZIONE
al mondo che, se gli affidiamo i doveri, i
compiti, le sfide sempre più grandi che
ci interpellano, questi giovani se ne assumono la responsabilità perché credono (sanno chi sono: da dove vengono, dove vanno, perché vivono) e sanno obbedire [= ob + audio =oboedio=
ascoltare per] e sono capaci di lottare
(e perfino dare la vita) per un ideale formidabile e concreto: la santità, una parola sovversiva, proscritta (dai pennaioli del consenso facile). Se tutti i giovani
studiassero l’agiografìa come… quella
delle «star» del cinema, dello spettacolo
e dello sport, essi potrebbero fare il confronto e non avrebbero orizzonti angusti e mercantili, ma sconfinati. La
facile, immune trasgressione è il modo
di agire della persona incompiuta, facilmente soggiogabile, incapace di scegliere, sempre manipolata dai Media e
dall’artificio di Mammona (=denaro potere successo ad-ogni-costo) che baratta l’integrità della vita propria e altrui
col miraggio della “ribalta” (che spesso
brucia giovani esistenze con la droga e
con lo sperpero di tessuti irenico-semantici), che baratta la vita eterna per …
un effimero istante di notorietà e, poi,
con la rinuncia alla speranza di ri-nascere per sempre! I Cristiani sanno che
tutti risorgeremo, ma c’è un bivio: l’inferno o il paradiso? La dannazione o
la felicità senza limiti? La nostra vita
sarà pesata sulla bilancia: pensieri, parole, opere ed omissioni saranno finalmente valutati nella giustizia perfetta, senza ombre, senza “patteggiamenti”… Come ci svelano i poeti, il rumore e l’insensatezza delle “guerre” degli
uomini(pensiamo alla meschina “querelle” infinita dei politicanti nostrani
“aggrappati” alle poltrone… il reciproco
monologo tra filistei) è «ronzìo di un’ape
dentro il bugno vuoto». Abbiamo la testimonianza di scienziati come Galileo
Galilei, Albert Einstein, Enrico Medi ed
Antonino Zichichi, in cui fede e scienza convivono armoniosamente. Ci sono
filosofi come Fabrice Hadjadj [nato
nel 1971, moglie e 6 figli; libri speciali: “Réussir sa mort: Anti-méthode pour
vivre”, Presses de la Renaissance, 2005
etc]4 che dall’ateo-nichilismo sbarca nella vita buona del Vangelo, nel cuore del
cristianesimo.
La crisi sempre più globale e totalitaria, che stiamo vivendo, sta mostrando con chiarezza meridiana che non può
essere superata, se non si torna alle radici dell’essere uomini. Dobbiamo recuperare la sobrietà e la solidarietà del secondo dopoguerra [1945-1960]. C’è bisogno di un lavoro onesto e stabile per le
ultime generazioni, non il gioco d’azzardo e la «ludopatia», la microcriminalità
e la follia suicida quotidiana. Dobbiamo
tornare a Cristo, che ci ha detto: «senza
di me non potete fare niente». Ed è vero.
L’Italia, l’Europa e il mondo si sono affidati ai faccendieri, ai tecnocrati, ai prestigiatori della finanza e ai bucanieri
della politica, che hanno fatto scempio
della speranza e del futuro delle ultime generazioni. «La tierra no es una
herencia de nuestros padres, sino un
préstamo de nuestros hijos». Stiamo diventando tutti poveri – materialmente – perché abbiamo scelto di esser
4
“Entre una liquidation tecnique et une vie
offerte, il nous faut choisir. Il n’y a pas d’alternative: se donner la mort ou bien donner sa vie
pour ce qui en vaut la peine.” (Fabrice Hadjadj,
«philosophe juif, de nom arabe et de confession
catholique», autore di: Réussir la mort [2005] La
profondeur des sexes [2008] La foi des démons ou
l’athéisme dépassé [2009] Le Paradis à la porte
[2011] etc).
poveri spiritualmente: l’egoismo è l’atteggiamento più diffuso fra i governanti e i “decisori” , e l’empatia non abita
(quasi) più nelle case, nelle strade, nei
luoghi di lavoro, nei nostri cuori aridi.
Solo una stupida superbia può ostinarsi a combattere contro l’Amore di Cristo
e contro i suoi seguaci: i cristiani, coloro che si sforzano di essere, alla sequela del Maestro, “radicalmente umani”!
La “guerra” che era invisibile [il combattimento spirituale] è divenuta sempre più tangibile, giorno dopo giorno.
C’è una tenera madre, Maria, che ci
chiama a raccolta da Medjugorje (Bosnia) da oltre trent’anni. Ascoltiamo le
sue parole: «Cari figli, in questo tempo
di grazia, vi invito tutti a rinnovare la
preghiera. Apritevi alla Santa confessione perché ognuno di voi accetti col
cuore la mia chiamata. Io sono con voi
e vi proteggo dall’abisso del peccato e voi
dovete aprirvi alla via della conversione e della santità, perché il vostro cuore
arda d’amore per Dio. DateGli il tempo
e Lui si donerà a voi e così nella volontà di Dio scoprirete l’amore e la gioia
della vita. Grazie per aver risposto alla
mia chiamata» (25/11/2012). Le strade dell’uomo & la Via “Quante strade
[«How many Roads…»] deve percorrere
un uomo Prima che lo si chiami uomo?”
(Bob Dylan). «Deve versare fiumi di lacrime / di gioia e di dolore, / ascoltare e
produrre / fontane di risate / e bere l’odio e la paura, / cocenti umiliazioni, ferite laceranti / ed amare la vita e tutto
ciò che vive. / Sentirsi respinto da tutti, / da tutti non voluto: / un profeta che
sanguina, / senza essere creduto, [S. di
Cassandra] ed avere ancora / il coraggio di sperare… / per potersi avviare /
sulle strade dell’Uomo…
Animale in bilico / è la creatura umaQUALEDUCAZIONE • 67
na, / sospesa sull’abisso, tra il rifiuto
che annichila / e il silenzio dell’Annuncio, che brucia la mente / e prepara il
Risveglio / dell’Eterna Primavera, della Pienezza senza fine, / della Sorgente
che significa, / dell’Energìa che popola
di grazia / il groviglio semantico dell’Uomo. / La Sincronia-Diacronia: / l’esserci
insieme per sempre / nelle Radici della
Vita, ci rende liberi finalmente / di attingere la joie de vivre.
Ci consente di respirare / la letizia
e la sapienza / la salute e l’innocenza /
nella Natura Immacolata / senza più la
colpa disperata / senza più solitudine. /
Capaci finalmente di guardare / l’implacabile Amore di Dio / che ci fascia di tenerezza. / Finalmente capaci di capire /
la Sua gioia di averci ri-trovati».
Il dialogo, conflitto tra forti identità,
ma soprattutto reciproco ascolto, è il
metodo giusto per comunicare fra di noi,
dappertutto: a casa, in famiglia, fra genitori e figli; a scuola, fra gli allievi-di-
68 • QUALEDUCAZIONE
scepoli e i docenti-educatori; nel vasto
mondo, fra tutti coloro che insieme cercano il senso della vita, che camminano con la speranza nel cuore, vestiti di
umiltà e di empatia, armati di carità e
di parresìa, per incontrare Cristo ViaVerità-Vita, la concreta Utopia-Ucronia (=lo spazio-tempo che non è ancora,
non del tutto realizzato…Work in Progress) che ricapitola risana e rinnova il
pianeta martoriato e la storia e il cuore dell’uomo: non è una “pietosa insania”, come temeva Foscolo, ma, caduto
“il muro d’ombra” di cui parla Ungaretti, ci attende la pienezza della Vita eterna. Non è un mito, ma una promessa.
Non possiamo non ripetere, con Sant’Agostino: «…fecisti nos ad Te, et inquietum est cor nostrum, donec requiescat
in Te» . Θεός Πατήρ, Θεός ́Αγάπη (Dio
è Padre, Dio è Amore) ci ricorda Giovanni. Ed è vero. «Benedictus vir qui
confidit in Domino» (Ger 17, 7). Il solo
possibile dialogo, reciproco ascolto,
è Amore nella Verità (= Caritas in Veritate). “Tutto è Grazia!”
Maieutica, auto-progetto,
rapporto empatico con l’alterità:
attualità della proposta pedagogico-sociale
di Antonino Mangano
di
ANTONIA ROSETTO AJELLO*
Riassunto
Antonino Mangano ha dedicato la
maggior parte dei suoi studi ai marginali, alle relazioni tra diversità, al ruolo che la pedagogia e l’educazione giocano nel costruire una società più giusta ed inclusive, capace di promuovere
in tutti i suoi membri una crescita continua. Negli ultimi dieci anni della sua
carriera, egli ha sviluppato la sua proposta pedagogica confrontandosi con l’epistemologia della complessità e la maieutica di Danilo Dolci. Egli ha messo in
relazione la libertà con la responsabilità: la libertà comporta un impegno ad
assicurarsi che l’altro sia libero. In tal
modo, egli appartiene alla corrente della
pedagogia emancipatoria, di cui Freire
e Dolci sono rappresentanti. I risultati
della sua ricerca sono ancora molto significativi e pieni di spunti per la costruzione di una pedagogia sociale attenta
allo sviluppo delle comunità.
sive society, able to promote in all its
members a continuous growth. In the
last ten years of his career, he developed
his pedagogical proposal by comparing
it with the epistemology of complexity
and the “maieutica” of Danilo Dolci. He
related the freedom with responsibility:
freedom involves a commitment to ensure that the other is free. He thus belongs to the emancipatory pedagogy of
which Freire and Dolci are representatives. The results of his research are still
highly topical and full of ideas for the
construction of a social pedagogy attentive to the development of communities.
Abstract
Antonino Mangano devoted the most
part of his studies at the marginal people, the relationship between the diversity, the role of pedagogy and education
in building a more equitable and inclu-
Questo importante momento di celebrazione mi offre l’occasione per ricordare a tutti noi il prof. Antonino Mangano1, scomparso nel 2010. Attento frequentatore degli appuntamenti dell’Associazione “Gianfrancesco Serio”, autore di saggi che hanno trovato spazio
sulla rivista e sugli Atti di alcuni convegni, era un convinto sostenitore del
suo progetto culturale, che ponendo al
centro le tematiche della pace, dell’intercultura, della lotta alle marginalità
incrociava in molti punti la sua sensibilità. Io stessa sono venuta in contat-
* Pedagogista sociale - Messina.
Antonino Mangano fu professore ordinario di
Pedagogia Sociale presso l’Università di Messina.
1
QUALEDUCAZIONE • 69
to con questa realtà grazie alle sue sollecitazioni ed è una delle cose di cui gli
sono grata. Ricordarlo in un testo che
ha come tema di fondo il dialogo, inoltre, mi sembra quanto mai opportuno
perché lui era un uomo di dialogo e anche nella sua ricerca (oltre che nel suo
impegno di docente) questo aveva un
ruolo di primissimo piano. Chi lo ha conosciuto sa bene che Mangano è stato,
per le sue caratteristiche personali, un
maieuta. Con gli studenti e con i suoi
giovani collaboratori proponeva, sollecitava, coltivava le tendenze e le curiosità di ciascuno, con la mitezza e la sottile ironia che sapeva manifestare con
le persone che sentiva vicine.
In questo saggio ricorderemo soprattutto alcuni aspetti della riflessione degli ultimi anni della sua carriera di studioso, nei quali ha approfondito la maieutica di Danilo Dolci e l’epistemologia
della complessità, individuandone e
analizzandone i punti di intersezione.
L’amicizia con Danilo è stata per lui
soprattutto l’occasione per confrontarsi
con una personalità stimolante e poliedrica, con cui condivideva l’amore con
la natura, il senso di giustizia sociale,
l’amore per la cultura contadina e il desiderio di promuovere la valorizzazione
e lo sviluppo dall’interno di una cultura meridionale che entrambi ritenevano potesse dare un importante contributo ad una diversa impostazione delle relazioni tra uomini, tra uomo e natura, tra uomo e tecnologia2.
2
Il suo amore per questa cultura è testimoniato dall’ultimo testo da lui pubblicato, una raccolta
di poesie popolari siciliane su cui ha lavorato
negli ultimi anni della sua vita di studioso: A.
Mangano, F. Lazzara, Poesia popolare siciliana,
Armenio, Brolo (ME) 2010.
70 • QUALEDUCAZIONE
In alcuni brani da lui scritti alla
morte di Danilo si rileva chiaramente come si trattasse di un reciproco nutrirsi di spunti di riflessione, di un dialogo, spesso sorridente, tra due persone curiose del mondo e delle relazioni3.
La pedagogia maieutica di Antonino
Mangano non nasce infatti al momento dell’incontro con Danilo Dolci, avvenuto a metà degli anni ’80. La si coglie
nel modo di interrogare la realtà sociale,
nella scelta dei problemi da trattare (si
veda il suo porsi dalla parte degli alunni dispersi nella ricerca da lui pubblicata nel 1976 e la sua difesa della cultura
di partenza di questi ultimi4), nel suo
affermare l’importanza di un atteggiamento costante di ricerca sia da parte
degli insegnanti5 che di ogni uomo6. In
età giovanile alcune esperienze lo hanno orientato verso quell’atteggiamento
verso la cultura e l’educazione che poi
hanno caratterizzato la sua proposta
pedagogica7. Conclusi gli studi superio-
3
http://www.centrostudialeph.it/archivio/
dolci/web_site/dda/mangano.html
4
A. Mangano, S. Cambareri, I processi selettivi nella scuola elementare, Peloritana, Messina
1976.
A. Mangano, L’assenteismo dei docenti e la
democrazia formale nei processi educativi, Herder, Messina 1984.
5
6
A. Mangano, Danilo Dolci educatore, Edizioni Cultura della Pace, Firenze 1992; Id., Problemi
e prospettive della pedagogia sociale, Bulzoni,
Roma 1989; A. Mangano, A. Michelin Salomon (a
cura di), La devianza dei minori come problema
educativo, Lacaita, Manduria-Bari-Roma 1996;
A. Mangano-A.Michelin-Salomon (a cura di), La
scienza sociale dell’educazione nel contesto della
civiltà planetaria, Lacaita, Bari-Manduria 1998;
A.Mangano, Dispersione scolastica e qualità della
scuola, «Qualeducazione», 51, 1998.
Per un racconto autobiografico del suo percorso di ricerca cfr. A. Mangano, La mia proposta
7
ri, in un periodo trascorso a stretto contatto con la natura durante il quale ha
avuto modo di meditare sui propri bisogni profondi, ha appreso il piacere della
ricerca come forma di autoeducazione,
di crescita permanente della personalità. Ha maturato così l’idea che il vero
apprendimento non è quello che avviene
per effetto di un’induzione dall’esterno,
ma quello che ha come molla la ricerca, che prende le mosse da una curiosità interna e da una volontà di innovare
che egli vede come connaturate all’uomo, molla dell’evoluzione, della crescita permanente dell’uomo e della comunità umana. Questa convinzione lo ha
indotto a caratterizzare la propria proposta socio-pedagogica “come teorizzazione, appunto, della ricerca, della progettualità creativa, nell’apprendimento,
nei contesti relazionali, nella vita civile;
come istanza di un’educazione non isolata ma contestualizzata nei più grandi problemi umani del momento presente: collegata ad es. ai bisogni micro
e macro-sociali dell’era planetaria, alla
nozione dell’interdipendenza in ambito
culturale, biologico, cosmico”8. E questo
atteggiamento di ricerca ha promosso
anche negli altri, convinto che ciascuno possa accedere ad esso, anche se a
livelli e in modi diversi.
A partire dagli anni Ottanta Mangano ha cominciato ad approfondire la
riflessione sul tipo di educazione necessario per affrontare le pressanti sfide che l’attuale situazione planetaria
propone. Attribuisce, infatti, educaziosocio-pedagogica, in M. Borrelli (a cura di), La
pedagogia italiana contemporanea. III volume,
Pellegrini, Cosenza 1996, pp. 171-192.
A. Mangano, Evoluzione e struttura maieutica in danilo Dolci, «Scuola e città», 5-6, 1996.
8
ne un ruolo cruciale: le chiede di svolgere una funzione maieutica rispetto ad
una nuova società. Naturalmente non a
quella educazione “che riproduce lo statu quo, ma ad un’altra, in grado di promuovere negli individui e nei gruppi la
capacità del progetto, la realizzazione
delle potenzialità di sviluppo presenti
nell’uomo e nel mondo”9. Mangano vede
in essa il lievito del cambiamento. Dice
infatti: “una nuova etica (quella del rispetto, dell’apertura verso gli uomini, le
culture, il mondo), una nuova economia
(quella della valorizzazione e promozione cooperativa delle risorse umane e naturali – non dello sfruttamento competitivo e distruttivo di esse), una nuova
politica (collegata ai bisogni umani e
planetari, non al dominio e alla violenza sull’uomo e sulla natura), sono irrealizzabili senza una nuova educazione”10.
Epistemologia della complessità e
sapere pedagogico
L’epistemologia della complessità ha
fornito alla pedagogia spunti interessanti per una più articolata e dinamica lettura della realtà, ispirando nuovi modi
di rapportarsi a se stessi, alla conoscenza, al proprio ruolo, agli altri, al mondo.
Aiuta ad impostare in modo co-evolutivo
i rapporti tra le culture e tra le diversità,
rafforza una lettura autopoietica dei processi conoscitivi, enfatizza il senso di responsabilità di ciascuno rispetto ai propri atti conoscitivi e alle proprie azioni.
In ambito educativo, richiede un pro-
9
A. Mangano, Danilo Dolci educatore, cit.,
p. 12.
10
Ibidem.
QUALEDUCAZIONE • 71
liferare di sperimentazioni, di attività
esplorative, di progetti di ricerca decentrati, che vedano come attori principali i
soggetti impegnati in un modo o nell’altro in attività educative e coinvolgano
le professionalità pedagogiche per perfezionare metodologie e quadri di riferimento. Una sperimentazione diffusa,
che parta da micro-contesti educativi e
si fondi sulla specificità di questi ultimi, potrebbe contribuire ad evitare che
le spinte frenanti e omologanti tipiche
delle istituzioni educative tradizionali
incrementino forme di analfabetismo
esperienziale che diventano facili strumenti di dominio, in quanto alimentano
il disorientamento e potrebbero condurre – analogamente a quanto avvenuto
nei primi decenni del XX secolo – a cercare rifugio in a-storici, paternalistici,
semplificatori regimi dispotici.
Pedagogicamente, l’indicazione di
una direzione positiva per l’azione è
fondamentale per arginare il rischio di
passivizzazione connesso ad una fruizione acritica delle informazioni catastrofiche o drammatiche sui rischi e le
emergenze. La critica diventa momento di emancipazione se associata alla
alternativa, alla possibilità 11. Se è giu11
Così Mangano, dopo aver indicato alcuni
dei principali elementi di crisi dei nostri tempi
sottolinea: “Ma accanto ai segni del disfacimento
ci sono pure i segni della ricostruzione. Il nostro
è anche il secolo che sta elaborando un «nuovo
modo di pensare» in grado, forse, di rivedere
l’atteggiamento suicida della segmentazione
frammentatrice. Il «nuovo modo di pensare» –
di cui Einstein avvertiva la mancanza ad era
atomica avviata – è appunto quello relazionale
e sistemico, attento alle diversità, al pluralismo,
alle parti di un sistema (che sono anch’essi dei
sistemi), ma attento anche a non assolutizzare
le parti, a non concepire l’insieme come aggregazione meccanica di elementi cosificati, irrelati,
72 • QUALEDUCAZIONE
sto comprendere ciò che opprime l’uomo, è poi egualmente necessario lavorare alla costruzione di alternative. Per
sostenere l’affermarsi di questa pluralità di modelli Mangano curò la pubblicazione di un testo, Frammenti della «città futura»12, nel quale accoglieva
il racconto di esperienze maturate sul
territorio siciliano per contrastare varie forme di marginalità.
L’educazione deve fornire agli uomini del XXI secolo gli strumenti per gestire l’ipercomplessità. Strumenti flessibili, frutto di negoziazione e di riflessione,
per individuare i quali occorre tornare
a cercare la sapienza, superando – integrandola – la mera conoscenza; recuperare la meditazione come spazio mentale autonomo, tanto più in un mondo
in cui lo spazio fisico pro capite appare
inesorabilmente destinato a ridursi; recuperare la capacità di entrare in relazione con l’altro (uomo, natura) vivendo questa relazione come relazione-reciproca, in ottica comunicativa.
L’epistemologia della complessità offre una intrinsecamente dialogica della
realtà, nella quale la cooperazione e l’interdipendenza svolgono sull’evoluzione
un ruolo perfino superiore a quello svolto dalla competizione e dalla selezione
del più debole13. Dallo studio dei sistemi
staccati dal contesto”: A. Mangano, Interculturalità e azione educativa nonviolenta nell’ottica
della complessità, in V. Bolognari, C. Sirna (a
cura), Razzismo e frantumazione etnica. Politiche
sociali e interventi educativi, Quaderni dei «Nuovi
Annali della Facoltà di Magistero dell’Università
di Messina», Herder, Roma, 1995.
12
A. Mangano, Frammenti della «città» futura, Lacaita, Manduria-Bari-Roma, 1990.
13
cfr. A. Mangano, La scienza sociale dell’educazione nel contesto socio-politico e scientifico
contemporaneo, «Qualeducazione», 53, 1998, p. 46.
autopoietici14 Mangano trae elementi a
supporto di quella visione del rapporto
con la realtà e con la conoscenza sostenuta anche dalla psicologia piagetiana
e post-piagetiana, per la quale noi conosciamo la realtà sulla base non tanto delle sollecitazioni che questa ci offre quanto delle domande che le rivolgiamo15, e dopo cerchiamo il confronto
con le osservazioni e le interpretazioni
degli altri (dimensione intersoggettiva
della conoscenza). Sulla base di questi
elementi egli concepisce come compito
dell’educazione e dell’istruzione la “crescita reale, continua, della personalità
vista come «sistema aperto»”16 sostanziandola nelle seguenti capacità: “capacità di ricerca e analisi critica, di autoapprendimento e di autoconduzione o
autoprogetto, di apertura cooperativoprogettuale ai problemi della comunità, da quella locale a quella massima o
planetaria”17.
L’interdipendenza è un altro dei concetti chiave che egli assume dal pensiero complesso: nei rapporti tra uomo e
ambiente; come interdipendenza e cofecondazione tra le culture e nei processi di apprendimento; come influenza reciproca tra contesto sociale ed educazione. Da esso prende elementi a supporto
di una “concezione permanentemente
evolutiva, non riduttiva, della realtà e
14
Cfr. H. Maturana-F. Varela, Autopoesi e
cognizione. La realizzazione del vivente, Marsilio,
Venezia 1985; H. Maturana-F. Varela, L’albero
della conoscenza, Garzanti, Milano 1992.
Cfr. A Mangano, Dispersione scolastica e
qualità della scuola, cit., p. 40.
15
16
A. Mangano, Presentazione del convegno, in
A.Mangano-A.Michelin-Salomon (a cura di), La
scienza sociale dell’educazione,cit., p. 44.
17
Ibidem.
della persona, in corrispondenza con i
bisogni profondi e le prospettive antropologiche del nostro tempo”18.
Nella maieutica dolciana egli vede
una modalità educativa consonante con
le più recenti acquisizioni scientifiche
maturate nell’alveo dell’epistemologica della complessità e uno strumento
idoneo ai bisogni di crescita autopoietica dei singoli e delle comunità, ispirata
ad un approccio filosofico e metodologico nonviolento.
Il metodo maieutico come ambito
esperienziale complesso
Mangano mette in relazione l’emergere, nel XX secolo, del paradigma della complessità e la nascita di un “movimento etico-religioso e socio-politico
a carattere nonviolento (Gandhi, Capitini, Dolci, per limitarci ad alcuni più
recenti) che si organizza grosso modo
attorno a due poli: il polo della diversità, della irripetibilità, della singolarità
e il polo dell’unità organica dei diversi,
all’insegna della verità e della trasparenza. Ogni entità esistente sulla terra (individuo, specie vegetale o animale, bioregione, cultura locale o nazionale
o continentale) – continua Mangano –
ha diritto ad essere se stessa, ad esprimere pienamente le sue potenzialità a
beneficio di se stessa e del contesto cui
è inscindibilmente connessa. Questo
processo di «auto-organizzazione» non
esclude, ma richiede i rapporti di interazione dei diversi tra loro e con l’insieme,
a diversi livelli di «eco-organizzazione».
18
A. Mangano, Introduzione, in A. ManganoA.Michelin-Salomon (a cura di), La scienza sociale
dell’educazione, cit., p. 11.
QUALEDUCAZIONE • 73
In tal modo, movimento nonviolento e
scienza della complessità – conclude –
sostanzialmente coincidono. In Danilo
le due fondamentali istanze risultano
fuse: sia l’azione nonviolenta che la costruzione della complessità risultano
per lui un programma”19.
In questo programma di costruzione
della complessità, la maieutica attribuisce all’uomo un ruolo attivo, propositivo, etico. Si propone come metodo rigoroso di ricerca e sperimentazione di nuovi modi di rapportarsi alla conoscenza,
alla verità, nonché come strumento di
costruzione di modalità relazionali flessibili, creative, cooperative, nonviolente, rispettose della diversità. Tale metodo, in Danilo Dolci, nasce fin dall’inizio come un metodo comunitario, con
finalità di trasformazione progettuale e
dall’interno di una realtà sociale, pur valorizzando la soggettività personale. È
questo aspetto che appare così interessante al pedagogista sociale Mangano.
«Liberazione educativa» e «maturazione di un nuovo spirito comunitario»
Mangano identifica il benessere “con
la capacità di crescita aperta e permanente, con l’autoaffermazione creativa
nel lavoro, nel tempo libero e nella vita
associata, con l’autoespansione culturale nei settori congeniali all’individuo
(arte, scienza, tecnica, hobbies), con
l’autostima o percezione positiva di sé,
fiducia nei propri poteri non provenienti
deterministicamente dal solo potenzia-
A. Mangano, L’impegno educativo di Danilo
Dolci, «Scuola e Città», 2, 1994, p. 72.
19
74 • QUALEDUCAZIONE
le genetico dell’individuo, ma costruiti
mediante l’impegno, l’educazione”20 e
propugna un’educazione liberatoria ed
emancipatrice.
L’educazione, egli scrive, è rivoluzionaria “nella misura in cui aiuta la crescita dal di dentro degli individui e della
comunità: la crescita autentica, liberatrice, nella quale individui e comunità
prendono coscienza dei loro bisogni, in
un contesto locale organicamente raccordato con quello planetario, e progettano la soluzione dei relativi problemi.
[…] L’educazione può così divenire il
nuovo principio dinamico motore della
storia, il nuovo legame di interdipendenza paritaria tra gli uomini”21.
Il tema della liberazione educativa
era presente anche nella ricerca sull’assenteismo degli insegnanti22, dove la capacità di problematizzare e l’atteggiamento di ricerca erano ritenuti strumenti chiave per superare quell’alienazione che poi si traduce in insuccesso
scolastico e formativo per gli alunni. In
questo senso egli fa riferimento alle “«libertà positive» (Fromm) come poteri di
progettualità e di scelta che nessuna organizzazione politica e sociale può elargire, ma solo aiutare a conquistare (tramite le sue «agenzie» educative)”23. Libertà dunque non innate, bensì presenti nell’individuo sotto forma di elementi
potenziali24, la cui conquista richiede un
20
Ivi, p. 68.
21
Ivi, pp. 38-39.
22
A. Mangano, L’assenteismo dei docent, cit.
A. Mangano, Introduzione, in A. Mangano,
A. Michelin-Salomon (a cura), La devianza dei
minori, cit., p. 44.
23
24
Cfr. Id. Introduzione, in A. Mangano, A.
Michelin-Salomon (a cura), La scienza sociale
dell’educazione, cit., p. 53.
intervento educativo e condizioni facilitanti. Libertà legate all’acquisizione di
“capacità e competenze di tipo innovativo e progettuale, sensibilità comunitarie e cooperative, superamento del fatalismo e dell’individualismo egoisticofamilistico, acquisizione di un senso civico che va oltre la chiusura tradizionale nella cerchia dello Stato-nazione. Le
une e le altre, tali capacità, sensibilità
e competenze presuppongono in qualche
modo un atteggiamento problematizzante, richiedono la dimensione del futuro
nella vita individuale e collettiva, come
modi di pensare e di essere da parte di
individui e gruppi umani impegnati ad
esercitare la responsabilità connessa al
potere democratico”25. Libertà strettamente connesse alle “dimensioni creativo-produttive e progettuali della vita
umana concepite come diritto, ma anche come responsabilità dell’individuo e
del gruppo”26 e che possono essere rese
effettive solo attraverso un’educazione
liberatrice che assuma la forma “della
conquista dei poteri di libertà, tramite l’esercizio del pensiero indipendente, della capacità di documentazione,
dell’apprendimento collegato all’intuizione, all’ipotesi e alla verifica, ossia
alla crescita tradotta in capacità di ricerca e di autopoiesi”27.
Sono evidenti forti legami con la
responsabilità e la solidarietà, con
la «maturazione di un nuovo spirito
comunitario»28 che deve diventare anche “impegno responsabile per la libera-
25
Ivi, pp. 53-54.
A. Mangano, Presentazione del convegno,
cit., p. 45.
26
27
Ivi, p. 47.
28
Ivi, p. 57.
zione degli Altri e il rispetto dei diritti
dell’Alterità (non solo umana)”29.
La pedagogia sociale di Mangano è
dunque incentrata sulla difesa di un
ruolo attivo della soggettività progettante, sia nella dimensione individuale sia in quella comunitaria. Il concetto
autopoietico di autoeducazione fonda la
possibilità di ricostruire su basi nuove
la vita culturale e sociale. “Una cultura
e una vita sociale fondata sui due principi circolarmente interagenti dell’identità (creativa) e della connessione (cooperativa) – scrive Mangano – richiedono un’educazione consapevole perché
la vita sociale possa essere ricostruita
su quelle basi”30. E ancora: “Gli individui, le comunità a diversi livelli crescono non isolatamente, come di solito si
pensa, ma nella logica dell’interdipendenza, la quale coinvolge sia le parti che
l’insieme. Crescono per impulso interno,
secondo i bisogni (sia di ciascuna delle
parti che dell’insieme), non per pressione o trasmissione esterna […]. Crescere, sviluppandosi nella comunicazione,
significa identificarsi (non omologarsi)
nella ricerca/valorizzazione: ricerca di
sé (espressione, autoascolto) e ricerca
dell’altro (ascolto rispettoso, interesse
anche per la natura non umana, interpretazione decentrata dell’alterità)”31.
Una grande influenza ha avuto su
Mangano la lettura degli studi di Maturana e Varela sui sistemi autopoietici. Anche le persone, le comunità, le
culture, devono avere la possibilità di
29
Ivi , p. 60.
30
A. Mangano, Danilo Dolci educatore, cit.,
p. 57.
A. Mangano, Evoluzione e struttura maieutica in Danilo Dolci, cit., p. 262.
31
QUALEDUCAZIONE • 75
crescere dall’interno, in base ad un autoprogetto, coltivando un auto-ascolto,
un’autorappresentazione. È questa capacità di auto-ascolto e auto-comprensione che può costituire la base per il
cambiamento. “Se l’evoluzione si avvale
di processi intimi – mette in luce Mangano – se vi concorre «la volontà degli
organismi», essa non è un fatto, ma uno
sviluppo creativo: non il risultato di violenza distruttrice, ma bisogno e volontà di co-adattamento, di co-operazione:
non spreco ma convergenza, co-valorizzazione di energie”32.
Questa attività ricostruttiva richiede un primo momento di critica dell’esistente: è in reazione alla logica del dominio che questo modello educativo elabora le proprie strategie, che investono
i diversi ambiti vitali. Scrive infatti ancora Mangano: “L’assuefazione alla violenza depersonalizzante della vita scolastica spiana […] il terreno alle forme
di spersonalizzazione, di massificazione extrascolastica: quelle subite nel lavoro e nel tempo libero appunto. […]
Quale alternativa? Se il dominio, la repressione, la colonizzazione si verificano perché il lavoro, il tempo libero, la
città, il territorio vengono progettati e
organizzati da altri, da persone e gruppi diversi rispetto a coloro che lavorano, trascorrono il tempo libero, vivono
la città e il territorio, l’alternativa sta
nel restituire il protagonismo, la capacità di progettazione/organizzazione ai
diretti interessati”33.
Ancora una volta, ciò è possibile solo
facendo esperire costantemente l’auto-
32
Ivi, p. 260.
A. Mangano, Danilo Dolci educatore, cit.,
pp. 64-65.
33
76 • QUALEDUCAZIONE
progetto, senza abdicare al ruolo di guida (facilitazione?) che ci si richiede in
quanto educatori, ma ampliando gradualmente le aree di autonomia di ciascuno. In tutti i casi, se ci si comporta
in maniera adeguata rispetto alle esigenze di progettazione degli individui e
dei gruppi, sarà sempre dopo l’ideazione del progetto che dovranno intervenire gli esperti per discutere, insieme ai
diretti interessati, le modalità migliori per il raggiungimento degli obiettivi.
Anche per questi aspetti, la pedagogia sociale di Mangano è oggi di grande attualità: essa consente di inquadrare entro coordinate squisitamente
pedagogiche pratiche in corso di evoluzione, quali la pedagogia di comunità,
la progettazione partecipata o la ricerca-azione, considerate sempre più importanti ma talvolta messe a rischio da
tecnicismi.
«Aprire prospettive alternative al
mondo del dominio» (D. Dolci)
Mangano ha elaborato una lettura
dell’interculturalità strettamente collegata all’epistemologia della complessità e contemporaneamente molto attenta rispetto a quella dimensione fondamentale delle relazioni inter-umane e
inter-specifiche che è la dimensione del
potere. L’interculturalità reale è la condizione ordinaria del rapporto tra le culture, benchè “implicita, come condizione
di fatto” 34: essa comporta lo scambio di
34
A. Mangano, Elementi introduttivi. Dossier: Società multiculturale e risposte educative,
«Nuova Paideia», 2, 1992, p. 20; cfr. anche Mangano A., Urgenze planetarie e risposte educative
interculturali, in V.A. Baldassarre (a cura di), Le
tecniche, usi, linguaggi che poi vengono riadattati creativamente35, e costituisce “un elemento di dinamizzazione
e di progresso, di creatività individuale e collettiva” per ciascuna cultura36. A
questo si è contrapposto in quasi tutte
le società storiche il “monoculturalismo
esplicito”, come affermazione di una superiorità culturale enfatizzata fondandola su una presunta superiorità genetica. Questo monoculturalismo, di cui
la scuola “per la sua origine storica”, è
portatrice, insieme ad una strutturale
difficoltà a fare i conti col cambiamento – nella sua ricchezza e nei suoi limiti37 –, è alla radice di una buona parte
dei processi di selezione scolastica anche ai danni di autoctoni appartenenti
a subculture dialettali38, e/o, aggiungerei, portatrici di una qualsiasi forma di
diversità, nonostante il formale riconoscimento dei diritti.
Gli attuali «tagli» economici ai danni
della scuola pubblica sembrano un rinvigorimento di un’idea di darwinismo
sociale che sembrava ormai consegnata al passato, ma che purtroppo ritrova
vigore nell’ideologia neoliberista.
La tutela dell’identità culturale
di origine, lungi dall’essere strumento di conservazione, è essenziale allo
sviluppo della “creatività individuale
scienza della formazione. Prospettive di ricerca
nell’area del Mediterraneo. Atti del seminario
internazionale 14-16 aprile 1994, Edizioni dal
Sud, Modugno, 1996, pp. 221-232.
e comunitaria”39, dal momento che “la
creatività e il senso critico esigono una
prospettiva”40. Contemporaneamente
la possibilità di attingere alla diversità culturale e linguistica, di apprendere codici e culture diverse, la capacità
di lettura moltiprospettica della realtà, non solo forniscono le competenze
oggi necessarie per vivere nelle nostre
società, ma “arricchiscono di per sé l’esistenza individuale”41.
Tuttavia conoscere non significa
semplicemente incamerare dati, non
è sufficiente neanche saperli inserire
entro gli opportuni schemi concettuali (come sostiene una parte del cognitivismo). La conoscenza diventa cultura nel momento in cui interagisce con
l’esistenza del soggetto, modificandolo.
E, reciprocamente, una cultura è viva
quando è possibile ad ogni individuo
modificarla adeguandola ai propri bisogni profondi. In questo contesto è possibile leggere quella critica alle istituzioni
educative – in quanto prevalentemente
finalizzate al mantenimento dello statu
quo e poco propense a mettere al centro la ricerca e la curiosità – che è stata una costante del lavoro di ricerca di
Mangano. Nell’ambito di una pedagogia maieutica, “l’istruzione che privilegia la ghettizzazione e l’esclusione, oppure persegue la repressione dell’originalità, della diversità e creatività, si riduce ad indottrinamento passivizzante,
massificante”42 è anti-educativa. Al contrario, un miglioramento delle opportu-
35
cfr., A. Mangano, Elementi introduttivi,
cit., p. 20.
36
Ibidem.
cfr. A. Mangano, Dispersione scolastica
e qualità della scuola, «Qualeducazione», 51,
1998, p. 41.
37
38
Cfr., Ivi, p. 39.
39
Ivi, p. 22.
40
Ibidem.
41
Ivi, p. 23.
A. Mangano, Evoluzione e struttura maieutica in Danilo Dolci, cit., p. 261.
42
QUALEDUCAZIONE • 77
nità di crescita permanente della personalità può prendere le mosse da punti
diversi del sistema formativo. Mangano
sottolinea l’interdipendenza tra il rinnovamento della scuola, dell’organizzazione del lavoro e del tempo libero. “Il
rinnovamento della scuola, dell’organizzazione del lavoro e del tempo libero si influenzano a vicenda. Lo sviluppo nella scuola delle attività espressive, della esplorazione della natura, della cultura locale, dell’attività di ricerca,
dell’uso attivo-produttivo delle tecnologie dell’educazione, etc. creano tutte le
premesse creativo-progettuali (ma non
solo queste) per l’umanizzazione degli
altri due settori. Di contro, l’impegno
degli emarginati per affrontare i loro
problemi […], documentare i bisogni,
esaminare le difficoltà, etc., da un lato
è il miglior impiego non alienante del
tempo libero […], ma da un altro lato
produce una maggiore attenzione delle
comunità alle istituzioni formative di
cui queste hanno bisogno”43.
Dato il legame esistente tra promozione dei legami cooperativi e comunicativi e sviluppo socio-culturale, “anche
la mancata organizzazione o correlazione dei singoli nel gruppo creativo è una
piaga cancerosa”, o “quanto meno uno
spreco su vastissima scala che l’umanità deve imparare ad evitare”44.
Maieutica e cambiamento
L’obiettivo di un’educazione autenticamente democratica è fornire a tutti gli
43
p. 68.
A. Mangano, Danilo Dolci educatore, cit.,
A. Mangano, L’impegno educativo di Danilo
Dolci, cit., p. 74.
44
78 • QUALEDUCAZIONE
individui gli strumenti per apprezzare
l’eredità culturale, criticandola e dove è
il caso modificandola per renderla sempre più idonea a costituire l’ambiente
ideale per la crescita di tutte le creature. Questo processo educativo-evolutivo
è possibile solo attraverso un autentico
e diffuso processo comunicativo. Comunicare è rielaborare esperienza, chiarirsi attraverso l’ascolto attivo di chi sa di
essere chiamato a comprendere per verificare la vicinanza o la lontananza reciproca dei pensieri, senza che si istituisca una gerarchia tra le opinioni. Ci si
confronta attivamente con l’evoluzione
del pensiero proprio e altrui, sapendo
di potere esprimere la propria opinione, la quale a sua volta sarà vagliata
dagli altri partendo da un atteggiamento positivo. Ogni opinione è pertinente,
anche se da ciascuna è possibile prendere le distanze. Ogni domanda è fatta
a tutti e a ciascuno, ed ognuno cerca in
sé la risposta perché nessuno si pensa
del tutto “incompetente”.
A questo modo di concepire la comunicazione corrisponde una precisa visione del processo educativo come processo
comunicativo, bene illustrato da Mangano. “Se la comunicazione (da cum e
munus) – egli dice – è il dono reciproco
che gli esseri si fanno nel loro rapporto
simbiotico, sistemico, la struttura maieutica implica la matura consapevolezza (dopo oltre duemila anni da Socrate)
che, a livello educativo, lo sviluppo ha
alle sue origini la ricerca, la domanda
che l’essere umano pone a se stesso e
agli altri, alla natura e alla cultura: la
consapevolezza, inoltre, che nel rapporto reticolare, interattivo - il luogo ove
maturano i problemi, gli interrogativi,
ma non solo essi – non ci si aiuta reciprocamente soltanto nel partorire ri-
sposte, soluzioni, progetti, ma pure ci si
insemina e ci si aiuta nel concepirli”45.
Essa dunque può modificare l’educazione scolastica ed extrascolastica, la
formazione dei docenti e degli educatori limitando il momento trasmissivo a
quando questo risponde ad un bisogno
di informazione da parte del soggettoin-ricerca46, e coltivando come momento
formativo fondamentale il fare emergere i bisogni per trasformarli in problemi, “consentire che nell’incontro e nello
scontro nonviolento fra opinioni diverse
matur[i] la prassi, l’innovazione e l’autostrutturazione cooperante”47.
La maieutica richiede dunque anche
un’educazione al conflitto, che le è essenziale come la diversità. “In mancanza di una diversità di esperienza, di una
divergenza (più o meno provvisoria) di
pensiero e di opinione, la pluridirezionalità di un problema non potrebbe essere scorta né esplorata. Né ci sarebbe,
in tali casi, reciprocità di azione maieutica e crescita reale dei membri del rapporto. Possiamo dire che la divergenza è
lievito del pensiero critico e dell’evoluzione (individuale, comunitaria), mentre il conformismo, l’uniformità acritica, procedono invece in direzione della
stasi, come sanno bene i dominatori di
tutti i tempi”48.
Il tipo di conflitto che caratterizza la
struttura maieutica è il conflitto nonviolento, la cui soluzione richiede che le differenze si cofecondino e producano una
nuova realtà, fonte di ben-essere per
tutti. Il dialogo, lo scambio, l’empatia,
l’entropatia (di cui parla la pedagogia
fenomenologica) sono strumenti fondamentali per trasformarlo in momento di
crescita. Nessuno nega le difficoltà, ma
quella della co-evoluzione è una strada
che va perseguita con convinzione, perché un approccio approssimativo e semplicistico al problema crea frustrazione,
danneggia a volte gravemente la comunicazione e la relazione, può giungere
a frenare il processo di sviluppo della
personalità.
Va perseguita con convinzione anche per contrastare il continuo prevalere di interessi ristretti sui diritti alla
vita, alla salute e alla crescita permanente della personalità di tutti e per
dare nuova speranza ai futuri abitanti
del pianeta. Una speranza che si pone in
azione: “Cultura di pace non è assenza
di conflitti, ma azione ricostruttiva che
l’uomo rivolge a se stesso e all’ambiente in cui vive, per rendere quest’ultimo
ospitale […] nel rispetto delle diversitàoriginalità dei luoghi, delle culture, delle personalità individuali: cioé del mondo concepito come complessa «creatura
di creature»”49. La ricerca pedagogica di
Antonino Mangano si è costantemente
svolta in questa direzione, cercando di
indicare piste di riflessione e di azione
agli educatori e agli uomini dei nostri
tempi: senz’altro merita di essere conosciuta per la sua profondità e per la sua
straordinaria attualità.
45
A. Mangano, Evoluzione e struttura maieutica in Danilo Dolci, cit.
46
cfr. Mangano, L’impegno educativo di Danilo Dolci, cit., p. 75.
47
Ivi, p .78.
A. Mangano, Evoluzione e struttura maieutica in Danilo Dolci, cit., pp. 263-264.
48
49
p. 31.
A Mangano, Danilo Dolci educatore, cit.,
QUALEDUCAZIONE • 79
Quale dialogo per la costruzione
del bene comune
di
CONCETTA SIRNA*
Riassunto
I complessi problemi che l’umanità
deve affrontare su scala planetaria non
sono più risolvibili con le teorie liberalindividualistiche e neo-contrattualistiche nè con quelle ispirate ai tanti comunitarismi fondamentalistici: esse, pur
veicolando alcuni principi accettabili,
risultano nel complesso riduttive e dagli effetti perversi. Per realizzare contesti globalizzati meno precari e drammatici non basta la disponibilità di nuove
strumentazioni tecnologiche facilitanti
la comunicazione, perchè l’accresciuta
vicinanza e interdipendenza degli individui e dei popoli spesso è foriera soltanto di incomprensioni e conflittualità.
Occorre, invece, impegnarsi a costruire
una comunità umana che, riconoscendosi come un’unica famiglia, riesca a corresponsabilizzarsi ed a cooperare per la
realizzazione del “bene comune”, mettendo a frutto il contributo di tutti i suoi
membri. Non è facile far sì che l’attuale
organizzazione socio-economica e politica, governata dalla legge del profitto e
della concorrenza ma indifferente rispetto ai costi in termini di emarginazione e
sofferenza umana, venga orientata verso una nuova logica etico-solidale, più
comprensiva ed equa, capace di avviare
processi di sviluppo inclusivo anche per
i tanti soggetti tuttora ai margini. L’articolo precisa a quali possibili equivoci si
* Università di Messina.
80 • QUALEDUCAZIONE
presta il discorso sul “bene comune” e in
che misura le attuali democrazie in crisi
possano e debbano farsi carico di questo
compito, insieme educativo e politico, di
ricostruzione di comunità etiche e civiche, rinunciando alla tentazione di tante pericolose scorciatoie (tecnicismi giuridici, neutralità valoriale, ideologismi
dottrinari, ecc.). Le attuali società postdemocratiche eticamente indifferenti, infatti, si limitano a negoziare interessi individuali e non riescono più a vedere nel
dialogo tra diversi lo strumento principe
per interpretare concretamente e correttamente il compito ed il destino dell’uomo, né a guardare ai valori come a impegnativi e condivisi “fini da raggiungere”. Nell’educazione, come nella politica,
il dialogo come ricerca critica della verità rimane il vero canale del cambiamento epocale, quello capace di dar voce ai
bisogni di tutti, soprattutto di quegli ultimi e poveri che costituiscono non “uno
scarto” ma una risorsa, anzi, il motore
stesso dei processi di umanizzazione e di
autentico sviluppo.
Abstract
The availability of new technological equipment is not sufficient to achieve less precarious and dramatic globalized contexts. Efforts should be made to
build a human community, which recognize itself as one unique family, and is
able to cooperate in the implementation
of the “common good”, with the contribution of all its members. The text spe-
cifies how many misunderstandings the
discourse on the “common good” leds
and how ‘’ in crisis ‘’ democracies should
take responsibility for this educational
and political task. Democracies have the
task of reconstructing ethical and civic
community, but they must renounce to
many dangerous shortcuts (legal technicalities, neutral values, doctrinaire ideologies, etc.). In Education, as in Politics, critical dialogue remains the true
channel of the change, that can express
the needs of all, especially of those who
are poor but must be considered a “resource” and the engine of both: the ‘ humanization process’ and the ‘genuine
development’ process
Democrazie in crisi e bisogno di
comunità
Le democrazie occidentali, che per
lungo tempo si sono proposte come ancoraggio etico per il mondo intero, vedono oggi il loro universalismo confliggere con altri universalismi. L’Occidente, che ha preteso di farsi mondo, si trova ormai alla prova della grande crisi,
perché non riesce a garantire le sue promesse di pace, ordine, benessere e libertà. Di fronte alle fratture geopolitiche,
alle guerre, al malessere sociale, alle
crisi di sovranità che umiliano gli stati
e delegittimano la politica, ci si chiede
perfino a cosa serva questo modello offuscato di democrazia che non riesce a
gestire la propria impotenza1.
1
Cfr., tra l’altro, su questi problemi il numero
n. 2 del 2012 di “Limes. Rivista Italiana di geopolitica” dedicato al tema “A che serve la democrazia?
Finanza über alles – L’Occidente che volle farsi
mondo – Alla prova della grande crisi”.
Cadute le grandi ideologie, attivate in tanti paesi nuove primavere rivoluzionarie dagli esiti ancora confusi e
contraddittori, è diventato a tutti evidente quanto numerosi siano ormai gli
elementi di fragilità del sistema economico-finanziario e politico complessivo
che governa il pianeta. Subdoli dinamismi attivati da poteri anonimi, pericolosamente fluidi e ingestibili, rischiano continuamente di portare al collasso interi paesi e di innescare un effetto
domino capace di influenzare negativamente le scelte ed il futuro di gran parte della popolazione mondiale.
Sono tanti i motivi di incertezza e
di ansia che offuscano ormai l’orizzonte di questo XXI secolo, aperto con alte
prospettive ma divenuto troppo denso
di minacce e di pericoli. E, se è vero che
la scienza annuncia quotidianamente in
tutti i campi scoperte che aprono nuove possibilità, fornendo soluzioni tecniche strabilianti, è altrettanto vero che
lo spettro della catastrofe eco-sistemica rimane sempre incombente, a motivo della estrema complessità delle problematiche da affrontare e governare
su scala planetaria.
Le maggiori difficoltà e preoccupazioni provengono soprattutto dall’incapacità delle persone di relazionarsi in
modo positivo e significativo, di trovare
cioè quella unità di intenti indispensabile all’organizzazione di una convivenza più equa, previdente e solidale per
tutti, l’unica capace di affrontare i tanti problemi che assillano l’umanità nel
suo complesso e ne minacciano la stessa sopravvivenza sul pianeta.
In contesti globalizzati come quelli attuali, estremamente variegati ma
sempre più interdipendenti, siamo tutti consapevoli infatti che per governare
QUALEDUCAZIONE • 81
e per superare le tante conflittualità e
fratture non basti la semplice vicinanza. Occorre, come da più parti si auspica, riuscire a dar vita a nuove comunità
umane capaci di coordinare e comporre i diversi interessi, quelli individuali
e quelli delle singole realtà etniche, religiose, culturali e politiche, in nome di
un “bene comune”, quello dell’umanità
intera. Si sente il bisogno cioè di costruire un nuovo universalismo etico, non
più monocratico ed imposto unilateralmente, ma frutto di un dialogo di civiltà rispettoso delle diversità. Lo esigerebbe anche, e soprattutto, la necessità
di risolvere con logiche più comprensive ed olistiche i gravi rischi derivanti
dagli squilibri dell’ecosistema, divenuti
incommensurabili e incontrollabili per
dimensione e complessità.
Non sembrano orientati, invece, in
questa direzione i contesti attuali delle società capitalistiche avanzate occidentali, dove lo sviluppo si ispira ancora in gran parte a logiche settoriali
o di mercato e dove è prevalsa la cultura dell’individualismo solipsistico e
del frammentarismo etico2. Innalzata a criterio veritativo l’autonomia del
singolo e legittimato come diritto l’interesse soggettivo, si è prodotta una
società di individui solitari, reciprocamente indifferenti, incapaci di vera attività dialogica e politica. Senza riferimenti ad un ordine valoriale oggettivo
e condiviso, i soggetti risultano infatti
Il riferimento riguarda le teorie liberalindividualistica (Nozick, Hayek) e neo-contrattualistica (Rawls, Gauthier, Buchnan) che riconoscono valore primario esclusivo agli interessi
individuali dei cittadini ed assegnano allo Stato,
laico e neutrale, il ruolo tecnico di garanzia di
sicurezza e di equilibrio tra le parti.
2
82 • QUALEDUCAZIONE
slegati da qualsiasi vincolo sociale stabile di tipo comunitario e non si sentono responsabilizzati rispetto ai contesti
(territori, modelli, relazioni, valori, persone, ecc.). Riconoscono come unica forma di appartenenza e di partecipazione rassicurante, non quella di membro
di un gruppo o di una comunità, ma lo
stare all’interno dello “sciame inquieto
dei consumatori” - come dice efficacemente Bauman3.
L’homo consumens della postmodernità accetta di far parte soltanto di
raggruppamenti temporanei, orizzontali e senza gerarchia fissa, all’interno
dei quali condivide la prossimità fisica
con altri soggetti, provvisoriamente ed
in funzione di obiettivi mobili. Preoccupato molto di più di mantenere la propria autonomia e sicurezza, fugge da
Z. Bauman, Homo consumens. Lo sciame
inquieto dei consumatori e la miseria degli
esclusi, Erickson 2007. L’Autore spiega che la
sostituzione del “gruppo”, con i suoi leader e le
sue gerarchie, con gli “sciami”, raggruppamenti
mobili e provvisori che sorgono e scompaiono in
funzione di obiettivi momentanei e mutevoli,
risponde al bisogno dell’homo consumens di sfuggire ad ogni vincolo. Gli sciami non hanno bisogno
di una forma definita ma solo di “una direzione
di fuga che in se stessa determina la posizione
dei leader e dei seguaci per la durata di quella
traiettoria, o almeno per una sua parte”. Nello
sciame non esiste né divisione del lavoro, né la
presenza di specialisti o di persone dotate di particolari capacità da insegnare ad altri: non c’è “né
scambio, né cooperazione, né complementarietà,
solo prossimità fisica e una generale direzione di
movimento”. La sicurezza sulla direzione del volo
non dipende dall’autorevolezza del leader, ma
dal numero e dalla certezza delle altre persone
partecipanti che, proprio perché tante, si pensa
che “non potrebbero essere ingannate”. Chi si allontana dallo sciame non è un ribelle o un eretico
ma, probabilmente, soltanto un pasticcione che,
una volta uscito dal perimetro dello sciame, si
sente perduto o smarrito.
3
ogni vincolo stabile per rifugiarsi in un
surrogato di comunità nel quale ripone le proprie certezze, che consistono
nel seguire la massa di individui che
si muovono nello sciame. Soddisfa così
in modo distorto la sua voglia di comunità4, rinunciando però alle forme più
significative ed impegnative di legame
prosociale, quelle di cooperazione e di
complementarità.
In questo modo, non soltanto impoverisce di senso e di relazioni significative la sua esistenza individuale, ma
rende anche evanescente ed improbabile la sua maturazione di un’etica della responsabilità sociale ed indebolisce
la sua capacità di dialogo e di partecipazione democratica, fondamento e metodo della vita etica e della vera dialettica politica.
Con la sua pretesa di essere autosufficiente, il soggetto di fatto precipita
in un processo di chiusura monadistica che lo fa illudere di essere assolutamente libero da vincoli mentre, di fatto, diventa osservatore isolato ed inerme della realtà, in balia di forze incontrollabili e succube di subdoli processi
manipolatori che lo rendono irresponsabilmente delegante. Per usare la metafora5 di una nota canzone di Samuele
4
Cfr. a riguardo anche Z. Bauman, Voglia di
comunità, Laterza, Bari 2001; T. Nagel, La possibilità dell’altruismo, Il Mulino, Bologna 1994;
E. De Bono, La rivoluzione positiva, Sperling &
Kupfer, Milano 2000 (1991); De Beni M., Sviluppo
della prosocialità e apprendimento-servizio, Introduzione a M. N. Tapia, Educazione e solidarietà.
La pedagogia dell’apprendimento-servizio, Città
Nuova, Roma 2006.
5
Sull’importanza e l’utilità delle metafore
per rappresentare realtà e processi in campo
pedagogico si veda, tra l’altro, C. Sirna, Metafore
di libertà, nel volume E. Colicchi (a cura di), Edu-
Bersani, si comporta come uno “scrutatore non votante”6, figura emblematica
del soggetto postmoderno, strutturalmente apolitico e trasgressivo, che interpreta la propria libertà in modo individualistico e soddisfa il proprio ineludibile bisogno di comunità con surrogati inefficaci e comportamenti contraddittori: sta sempre collegato nella realtà
virtuale ma non conosce i suoi vicini di
casa, apparecchia la tavola ma non invita mai nessuno, conosce la bellezza e
fragilità dell’ambiente ma distrugge le
foreste, non sopporta la vista del sangue ma auspica la pena di morte, ecc. .
È, questa, la rappresentazione di
cazione e libertà nel tempo presente, A. Siciliano,
Messina - Civitanova Marche, 2008, pp. 313-336.
6
Riportiamo il testo della canzone di Samuele
Bersani dal titolo “Lo scrutatore non votante”.
“Lo scrutatore non votante è indifferente
alla politica. Ci tiene assai a dire “ohissa!” ma
poi non scende dalla macchina. È come un ateo
praticante seduto in chiesa alla domenica; si
mette apposta un po in disparte per dissentire
dalla predica. Lo scrutatore non votante è solo
un titolo o un immagine per cui sarebbe interessante verificarlo in un indagine. Intervistate quel
cantante che non ascolta mai la musica oltre alla
sua, in ogni istante sentiamo come si giustifica.
Lo scrutatore non votante è come un sasso che non
rotola, tiene le mani nelle tasche e i pugni stretti
quando nevica. Prepara un viaggio ma non parte,
pulisce casa ma non ospita, conosce i nomi delle
piante che taglia con la sega elettrica. Lo scrutatore non votante conserva intatta la sua etica e
dalle droghe si rinfresca con una bibita analcolica.
Ha collegato la stampante ma non spedisce mai
una lettera, si è comperato un mangia-carte per
sbarazzarsi della verità. Lo scrutatore non votante
è sempre stato un uomo fragile: poteva essere
farfalla ed è rimasto una crisalide. Telefonate al
cartomante che non contatta neanche l’aldiquà.
Siccome è calvo usa il turbante e quando è freddo
anche la coppola. Lo scrutatore non votante con
un sapone che non scivola si fa la doccia 10 volte
e ha le formiche sulla tavola Lo fa svenire un po’
di sangue ma poi è per la sedia elettrica.”.
QUALEDUCAZIONE • 83
una mentalità ormai molto diffusa nel
XXI secolo, soprattutto in quelle realtà urbane e metropolitane dove prevale
l’anomia e dove la “folla solitaria” cerca
nuovi spazi di comunicazione, apparentemente più sicuri e soddisfacenti, nei
quali può mantenere il contatto nel quasi anonimato di relazioni fluide e funzionali (le strade, i mercati, luoghi affollati, il mondo di internet). Non è un caso
che sia aumentato in modo esponenziale
il tasso di rifiuto della politica e che la
partecipazione alla vita pubblica spesso sia ridotta a settoriali forme di protesta o a mero commento e chiacchiera
virtuale. D’altronde, alle relazioni interpersonali dirette dei contesti familiari, sociali, esistenziali e civici ormai
si tende a preferire la vita di single, con
scarsi legami di coppia, fluidi e temporanei, ed un operare confinato prevalentemente nella sfera della virtualità,
dove ciascuno può celebrare il proprio
delirio di onnipotenza sentendosi finalmente padrone assoluto del tempo, dello spazio e delle relazioni, liberato dallo sforzo incerto e faticoso del rapporto
col volto dell’altro (Levinas7).
Per quanto illusoria, è ancora forte la
tentazione di salvarsi da soli, al di fuori dei vincoli imposti dall’appartenenza
alla comunità umana con la quale di fatto si condividono gli effetti apocalittici
dei processi e degli eventi planetari. E
mentre l’ideologia individualistica continua a promettere ai singoli tanti spazi di libertà che si rivelano falsi, vuoti e
densi di incubi, si registra intanto l’aumento del disagio e la nascita di diverse nuove patologie relazionali collegate
E. Levinas, Totalità e infinito, trad. di A.
dell’Asta, Jaca Book, Milano, 1980.
7
84 • QUALEDUCAZIONE
all’uso distorto della cyber cultura: il bisogno inevaso di comunità, mal diretto,
trova nuovi pericolosi surrogati in comportamenti massificati, spesso maniacali, ossessivi e canalizzati verso nuove
dipendenze (new addiction)8.
Il progressivo sfaldamento del tessuto sociale e il diffuso crescente disagio dimostrano, a nostro avviso, come
le disponibilità tecnologiche e comunicative, di cui oggi si dispone, non possano da sole garantire soluzioni efficaci
in assenza di una chiara e decisa linea
di intervento di una comunità umana,
plurale ma coesa, che sappia rappacificarsi per riuscire a governare le forze
e i processi in atto. Si sente il bisogno,
soprattutto, di una chiara e condivisa
riflessione etico-politica che affronti anche i drammatici bisogni di sopravvivenza di larghissime fasce della popolazione mondiale ed i notevoli costi in
termini di emarginazione e sofferenza
umana dell’attuale organizzazione socio-economia e politico-culturale.
Senza l’adesione ad una nuova logica etico-solidale, più comprensiva ed
equa, non è possibile realizzare comunità umane accoglienti, orientate a realizzare il bene comune, capaci di attivare processi di scambio cooperativo e di
sviluppo inclusivo per tutti. Urge quindi apprestare contesti culturali e sociali
che aiutino la nascita e l’affermazione
di queste nuove comunità, eticamente
esigenti ma democraticamente aperte
e dialoganti, all’interno delle quali sia
possibile sperimentare quella sicurezza e libertà, che sono necessarie al sog8
Confronta su questi temi il testo di R.G.
Romano, Virtualità e relazionalità nella cybercultura. Percorsi pedagogici tra ludos e patìa, Pensa
Multimedia, Lecce, 2012.
getto per costruirsi come persona attiva e responsabile, capace di progettare e costruire nuove realtà più fraterne e libere.
Le democrazie, per quanto grave
sia la crisi in cui versano e i limiti da
cui sono afflitte, non possono rimanere
inerti. Come scrive Eric Weil, la democrazia ha “limiti storici, limiti costituiti dalle condizioni sociali, limiti ideologici. Nessuno di questi limiti è definitivo, nessuno è insuperabile dagli uomini
di buona volontà e – va da sé- di sana
ragione; ma non si supereranno se non
si prende la briga di riconoscere e smascherare, sotto il travestimento delle
buone intenzioni, la mancanza di chiarezza e la pigrizia del cuore e del cervello. L’uomo è capace di creare un mondo
umano; è questo il credo della democrazia, ed è questo credo che distingue il
democratico. Bisogna che impari a volerlo ragionevolmente, nelle condizioni
che la realtà storica gli offre come solo
campo della sua azione”9 .
Spetta ad esse, quindi, farsi carico
di questo compito, insieme educativo
e politico, di ricostruzione di comunità
etiche e civiche impegnate nella definizione e nel perseguimento di ciò che
può essere da tutti considerato come
bene comune, di quel bene cioè che non
coincide soltanto con la sommatoria dei
beni individuali ma che si riverbera sul
benessere di tutti e può essere intenzionalmente perseguito e conseguito soltanto con il contributo di tutti.
Per riuscire in questo percorso occorre, tuttavia, che esse rinuncino alla
tentazione di percorrere tre pericolose
scorciatoie:
– la imposizione di ideologismi monocratici dottrinari di varia natura (politica, religiosa, etnica, ecc.),
– l’adozione di sofisticati tecnicismi giuridici, tesi a bilanciare gli interessi individuali attraverso regole formali generali,
– il vincolo alle istituzioni pubbliche della neutralità valoriale e dell’indifferenza etica rispetto ai vari orientamenti presenti nella realtà sociale e testimoniati dai vari gruppi di cittadini.
Si tratta infatti di scorciatoie pericolose perché, sebbene possano a volte far
conseguire qualche risultato positivo,
tuttavia non sono in grado di offrire garanzia di sicurezza e libertà per tutti 10.
La prima ipotesi, infatti, proponendo vecchi e nuovi fondamentalismi (etnici, religiosi, politici, ideologici, ecc.),
confida in comunità forti ma assillanti
e totalizzanti, che precludono i necessari spazi di libera decisionalità, vitali per la crescita della persona: risulta,
quindi, coercitiva e illiberale, incapace
di garantire il dialogo tra diversi.
Analogamente, anche le altre due
posizioni, apparentemente più liberali,
9
Eric Weil, Limiti della democrazia, traduzione e presentazione di Marco Filoni in “Limes.
Rivista Italiana di geopolitica” n. 2-2012 “A che
serve la democrazia? Finanza über alles – L’Occidente che volle farsi mondo – Alla prova della
grande crisi, p. 111.
10
Già J. J. Maritain aveva denunciato le pericolose derive presenti nella politica del ’900 ed
aveva individuato la soluzione nella ricostruzione
di quel tessuto culturale, etico e spirituale che
poteva rappresentare il fondamento di una reale
convivenza democratica .
Società democratiche tra neutralità e valori
QUALEDUCAZIONE • 85
di fatto non garantiscono una effettiva
e piena partecipazione ed un aperto ed
efficace confronto. Infatti entrambe propongono diversi artifici giuridici (norme, leggi) ed etici (neutralità, indifferenza) per evitare il confronto delle idee
dimostrando, così, di considerare irrilevanti quegli orientamenti di senso che
dovrebbero, invece, essere posti al centro dell’attenzione. Questi orientamenti di senso sono, invece, fondamentali
sia per riuscire a riconoscersi ed accettarsi come interlocutori, sia per potersi confrontare apertamente e in modo
approfondito sui temi essenziali lungo
il cammino verso la definizione insieme
di una agenda comune.
In realtà sono molte le società multiculturali, attraversate da diversità
e conflittualità, che ancora preferiscono dichiararsi eticamente indifferenti
e neutre11 proprio per paura di dover
affrontare conflitti difficili da gestire.
Questo non risolve i problemi, anzi li
Esempi di questa contraddittoria e paradossale difesa del “bene comune” della laicità
dello Stato neutrale è la sentenza che in Francia
ha imposto il divieto di indossare abiti o segni
religiosi in pubblico, perché considerati una
esibizione identitaria . Il velo delle musulmane
o la croce cristiana, cioè, che potrebbero essere
accettabili e legittimi come espressione di futili
mode estetiche, sono vietati soltanto perché sono
carichi di significati simbolici condivisi da una
comunità di credenti, che bisogna occultare nell’agorà quotidiana per non evidenziare le diversità
esistenti!! Cfr. su questi temi anche i testi C.
Sirna, Oltre la neutralizzazione delle culture e la
mimetizzazione delle differenze, in A. Portera e P.
Dusi (a cura di), Gestione dei conflitti e mediazione
interculturale, Franco Angeli, Milano 2005, pp.
102-119 e C. Sirna, Dalla neutralizzazione delle
diversità alla pedagogia del conflitto, in A. M.
Di Vita e E. Giambalvo ( a cura di), Figure della
differenza. Corpi, generi, culture, CISU, Palermo
2005, pp. 9-30.
11
86 • QUALEDUCAZIONE
aggrava perché scoraggia lo sforzo del
dialogo, strumento principe per interpretare concretamente e correttamente
il compito ed il destino dell’uomo. C’è il
rischio che si continui a guardare ai valori, propri e degli altri, come a vessilli
da difendere ad ogni costo e non, come
dovrebbe essere, come impegnativi “fini
da raggiungere”, su cui discutere e ritrovarsi in un percorso condiviso.
Non è facile realizzare comunità ed
istituzioni che sappiano garantire a tutti i membri la sicurezza mantenendo,
allo stesso tempo, un clima di libertà:
c’è sempre il rischio che, prima o poi, da
case accoglienti queste si tramutino in
gabbie e ghetti pericolosi (es. gli Stati
etici, totalitari ed invasivi; i movimenti fondamentalisti, le sette religiose, le
lobbies occulte, ecc.) oppure, al contrario, che la asettica neutralità delle istituzioni democratiche scoraggi la partecipazione popolare alla vita pubblica ed
all’impegno sociale.
Quando manca un contenuto etico
da difendere, lo Stato rischia di cadere
preda delle lobbies, cui garantirà interessi e privilegi, la politica diventa soltanto una tecnica amorale di gestione
del potere, ed il “bene comune” si riduce ad una astratta e vaga formula dietro la quale si contrabbandano pressioni di gruppi e logiche partitiche.
È quello che sta accadendo oggi, con
una globalizzazione attuata all’ombra
esclusiva della legge del mercato che
ha accelerato i processi di secolarizzazione e di materializzazione e, di fatto,
ha diffuso ed imposto la religione unica del consumismo e l’ideologia dell’indifferenza reciproca12, contrabbandate
12
G. Savagnone, I cattolici e la politica oggi.
come doverosa “neutralità” dello Stato liberale nei confronti delle religioni positive.
Se manca una comunità etica e civile in cui riconoscersi, ognuno cercherà soltanto di difendere e legittimare le
proprie pretese e l’azione politica si ridurrà a mediazione degli interessi per
la conservazione del consenso. Ha origine così la “prassi equivoca o addirittura disonesta del potere”13 accompagnata dal declino intellettuale e morale della classe politica.
Per uscire dalla palude occorre quindi un nuovo progetto culturale e sociale
animato di spiritualità e supportato da
una efficace azione politica. Deve essere
un progetto capace di motivare, mobilitare e responsabilizzare tutti i cittadini,
facendoli uscire dall’indifferenza verso
la politica ma, anche, aiutandoli a non
soggiacere alle tante forme di coinvolgimento emozionale di tipo demagogico, che circolano nei contesti attuali. È
tempo di un rinnovato protagonismo
positivo, capace di costruire intese finalizzate all’impegno sociale attraverso la
sperimentazione di esperienze comunitarie e di pratiche cooperative.
Premessa necessaria è la rinuncia ai
lobbismi e la ricostruzione di una visione della democrazia che rinunci a fungere da strumento puramente formale
di spericolate negoziazioni e di offerte
politiche contraddittorie e si impegni,
invece, a ritrovare la sua carica ideale
nelle originarie aspettative etiche legate alle promesse di libertà, uguaglianza e solidarietà.
Sette nodi da sciogliere, Cittadella Editrice, Assisi
2012, p. 38.
13
G. Savagnone, Op. cit., p. 69.
Bene comune come giustizia e gratuità
Una democrazia che voglia recuperare il senso più profondo della propria
essenza non può rinunciare al riconoscimento del valore fondante del dialogo
come procedura di convincimento razionale . Esso costituisce quel confronto
non superficiale mediante il quale, entrando nel merito delle diverse legittime prospettive in campo, si può sperare
di definire, al di là del fisiologico quanto inevitabile conflitto, sia gli elementi che possono costituire il “bene comune”, cioè quei fini e quelle proposte che
sono più importanti da raggiungere, sia
il modo più opportuno per realizzarli
prima possibile, o almeno in parte, con
accordi condivisi.
Tuttavia un vero dialogo non può affidarsi soltanto all’ottica della legalità
e della negoziazione degli interessi in
campo: potrebbe produrre anche leggi
ingiuste e legittimare privilegi. Quello
a cui il dialogo deve mirare è una legalità che va sempre integrata con la ricerca etica di ciò che va oltre la somma
degli interessi individuali, quel patrimonio ideale avvertito come senso, destino e direzione comune dell’umanità.
Soltanto questo, infatti, merita un impegno comune e cooperativo per la sua
realizzazione, un gioco di squadra capace di valorizzare tutti i componenti
nella loro diversità nell’ottica del raggiungimento del fine scelto, il superamento di individualismi e frammentazione che diventi cammino assieme per
guadagnare tutti di più.
Come ricorda Benedetto XVI nella
sua “Caritas in veritate”, è la stessa interdipendenza su scala globale che oggi,
di fatto, diventa una categoria morale e
QUALEDUCAZIONE • 87
politica di fondamentale importanza, il
punto di forza da cui partire per cogliere e valorizzare tutte le potenzialità insite nel processo di globalizzazione e finalizzarle alla costruzione di una vera
comunità mondiale unitaria. Soltanto
se ci riconosciamo come una sola famiglia, infatti, sapremo anche capovolgere
l’attuale sviluppo squilibrato e le tante
situazioni di ingiustizia e di esclusione
che tuttora costituiscono condizioni di
vita non buone per i tanti poveri, esclusi ed emarginati.
Cogliere il punto di vista dell’etica
del “bene comune” non può significare
soltanto affermare la ricerca di regole
etiche mutuate dalle norme giuridiche
(giusnaturalismo positivistico), né può
limitarsi alla semplice contrattazione
degli interessi individuali in nome della giustizia, ma comporta soprattutto la difesa della comune dignità della
natura umana che esige per la persona
la libertà, l’uguaglianza dei diritti e soprattutto la fraternità. Il bene comune
– precisa il cardinal Bertone, “non va
confuso né col bene privato, né col bene
pubblico: Nel bene comune, il vantaggio
che ciascuno trae per il fatto di far parte di una certa comunità non può essere scisso dal vantaggio che altri pure ne
traggono. Come a dire che l’interesse di
ognuno si realizza assieme a quello degli altri, non già contro (come accade nel
bene privato) né a prescindere dall’interesse degli altri (come succede con il
bene pubblico) . In tal senso ‘comune’ si
oppone a ‘proprio’, così come ‘pubblico’
si oppone a ‘privato’. È comune ciò che
non è solo proprio, né ciò che è di tutti
indistintamente”14.
14
I. Bertone, L’etica del bene comune nella
88 • QUALEDUCAZIONE
Muoversi nella logica del bene comune, quindi, significa ispirarsi al principio di reciprocità che esclude le varie
forme di opportunismo (di chi attende solo di essere assistito) ma supera
anche l’atteggiamento puramente filantropico ( concessione unilaterale)
ed il semplice scambio tra equivalenti
(do ut des). Nella interpretazione della dottrina sociale della Chiesa cattolica, ad esempio, l’idea di bene comune
non si riduce all’idea di società giusta
e solidale, diretta soltanto “a rendere
uguale i diversi” e a soddisfare i diritti
dei cittadini ai beni di giustizia. Il vero
“bene comune” per il cristiano è qualcosa di più ricco ed impegnativo: é realizzare una società “fraterna” che “consente agli eguali di affermare la propria diversità” e promuovere, accanto
ai beni di giustizia, anche quei “beni di
gratuità”15 e di sovrabbondanza (come
l’amicizia, la compassione, il perdono,
ecc.), fondamentali per il bisogno di felicità perché fondati sul riconoscimento di “un’obbligazione” che deriva dallo
speciale legame che ci unisce come persone. Una società è capace di sviluppo e
di futuro soltanto se, accanto allo scambio contrattuale ed alla redistribuzione
giusta della ricchezza, sa testimoniare
anche la reciprocità fraterna e la forza
dirompente del legame gratuito e libero che anima la vita di comunità. Gradottrina sociale della Chiesa, Libreria Editrice
Vaticana, 2007, p. 31.
15
Sull’importanza del principio di gratuità
in economia si veda S. Zamagni, L’economia
del bene comune, Citta Nuova 2004; ma anche
i volumi di L. Bruni, Reciprocità. Dinamiche di
cooperazione, economia e società civile, Mondadori
2006; Il prezzo della gratuità, Citta Nuova, 2008;
La ferita dell’altro. Economia e relazioni umane,
Il Margine, 2007.
tuità, dono e perdono sono le attività
etiche e simboliche che rendono possibile e rafforzano il senso di appartenenza alla comunità ed arricchiscono l’esistenza umana16.
Indubbiamente, spetta alle società
democratiche utilizzare il diritto per tutelare il principio della libertà e dell’uguaglianza, assicurare rispetto esteriore, protezione dei beni materiali e
ripartizione secondo regole stabilite.
Se tutto questo è sicuramente necessario, non sempre però risulta sufficiente a garantire una convivenza umana
veramente arricchente e soddisfacente
come è quella che promuove anche l’amicizia civile e la fraternità, ispira disinteresse, distacco dai beni materiali,
atteggiamenti di gratuità , disponibilità nei confronti dell’altro e reciprocità17.
La storia ci ricorda che tanti si sono
cimentati nella difficile definizione del
bene comune ma gli esiti non sono stati
sempre positivi: tante ideologie comunitariste e tanti movimenti politici e religiosi, pur mossi da buone intenzioni,
paradossalmente hanno suscitato anche guerre lunghe e sanguinose per affermarlo. Bisogna riconoscere, tuttavia,
che molti sono stati anche i contributi
che le varie realtà comunitarie hanno
apportato nelle varie epoche ai processi di pacificazione e di positivo rinnovamento della civiltà umana. Ad esempio,
proprio nell’Occidente rissoso ed impe-
16
Sulla valenza educativa della gratuità e
del perdono v. anche il mio contributo: C. Sirna,
Educazione alla libertà come educazione al perdono, in C. Sirna (a cura di), Tempo formativo e
creatività. Scritti in onore di Leone Agnello, Pensa
Multimedia, Lecce 2007, I tomo pp. 231-239.
Cfr. il Compendio della dottrina sociale
della Chiesa.
17
rialista, ispirate dal mondo spirituale
cristiano, sono nate anche le maggiori
conquiste civili, politiche, economiche e
sociali. Sono tante soprattutto le proposte e le innovazioni economico-giuridicofinanziarie introdotte dalle comunità religiose (benedettini, francescani, gesuiti, ecc.) che hanno segnato la nascita e
lo sviluppo del moderno stato sociale e
della stessa economia di mercato: iniziative sorte tutte per migliorare e rispettare la dignità delle persone, cercando
soluzioni razionali originali (es. nella organizzazione del lavoro e degli scambi
– nella diffusione del prestito per produrre il miglioramento delle condizioni
dei non abbienti – nella realizzazione
di attività di sviluppo cooperativo, ecc.)
non limitate esclusivamente a forme di
elemosina e di assistenza18 .
La società occidentale ha potuto sviluppare la democrazia e le stesse idee
di libertà, uguaglianza e fraternità proprio perché si è alimentata della idealità e della spiritualità delle comunità religiose, cristiane e non, che hanno
interpretato la fede non come un fatto
privato, individuale e interioristico, ma
come una forza operativa ed unitiva, un
legame fondante testimoniato fattivamente nella sua carica vitale all’interno della vita sociale.
Anche oggi la dottrina sociale della Chiesa, mentre rispetta l’esigenza
di laicità delle istituzioni pubbliche,
contribuisce al dialogo democratico sul
bene comune proponendo, in controtendenza rispetto alle teorie dominanti, di guardare ai poveri come “risorse”
e non come problemi. Accogliendo la
18
L. Bruni, A. Smerilli, Benedetta economia.
Benedetto di Norcia e Francesco d’Assisi nella
storia economica europea, Citta Nuova, 2008.
QUALEDUCAZIONE • 89
sfida della globalizzazione che caratterizza il XXI secolo, trova in essi la vera
opportunità di rinnovamento per la comunità mondiale. Nell’enciclica “Deus
caritas est” Benedetto XVI indica infatti la gratuità e la fraternità come punto di riferimento della condizione umana e considera l’esercizio del dono come
il presupposto indispensabile affinché
Stato e mercato possano funzionare
avendo di mira il bene comune. Senza
pratiche estese di dono si potrà anche
avere un mercato efficiente ed uno Stato autorevole (e perfino giusto), ma di
certo le persone non saranno aiutate a
realizzare la gioia di vivere. Perchè efficienza e giustizia, anche se unite, e insieme, non bastano ad assicurare la felicità pubblica.”19
È rivoluzionario pensare che lo spirito del dono non debba essere relegato
soltanto nella sfera privata ma possa
trovare spazio anche nella sfera pubblica, valere per l’economia e rinnovare la
politica. Abbiamo tanto bisogno oggi di
una politica e di una economia laiche
ma eticamente attente, che sappiano
cogliere l’invito religioso a riconoscere
A questo tema è dedicato nell’enciclica di
Benedetto XVI, Caritas in veritate, (2009), tutto il
cap. III dal titolo “Fraternità, sviluppo economico
e società civile” (pp. 52-70) nel quale si precisa
che, “Mentre ieri si poteva ritenere che prima
bisognasse perseguire la giustizia e che la gratuità intervenisse dopo come un complemento, oggi
bisogna dire che senza la gratuità non si riesce
a realizzare nemmeno la giustizia [….] Carità
nella verità significa che bisogna dare forma e
organizzazione a quelle iniziative economiche che,
pur senza negare il profitto, intendono andare
oltre la logica dello scambio degli equivalenti e
del profitto fine a se stesso” (p.60-61) , cioè alle
organizzazioni produttive che perseguono fini
mutualistici e sociali attuando una sorta di economia della gratuità. .
19
90 • QUALEDUCAZIONE
il “primato della relazione, del legame
intersoggettivo sul bene donato, dell’identità personale sull’utile”20 .
Educazione e politica in “dialogo”
per il “bene comune”
È evidente che la costruzione di questo tipo di bene comune non é mai del
tutto realizzabile, perché legato soprattutto ai complessi e lenti processi che
regolano la maturazione culturale e
spirituale dell’umanità. Ancor più difficile diventa oggi in una realtà in cui
prevale una cultura egoprotettiva ed
autocentrata, che confonde il bene col
benessere, che esalta la fuga dall’impegno dei sentimenti, che preferisce l’estetica all’etica. Si è andata profilando ormai l’affermazione di un tipo di comunità molto fragile e poco coesa, fondata
sull’apparenza e sullo spettacolo: sembra quasi una comunità che ha deciso
di disfarsi di se stessa perché è diventata una comunità di individui “soli” che
non cercano più un “pensare condiviso”
ed uno “star bene insieme”.
Sembra che il potere dell’educazione
ed il governo della politica, che di questo stare insieme dovrebbero essere i
costruttori e garanti, siano progressivamente venuti meno. Sono stati sostituiti sia dalla forza seduttiva di illusorie forme di comunicazione mediatica e
telematica, sia dai vincoli di modelli di
propaganda captativi, tesi ad enfatizzare le differenze e le divisioni. Entrambi non aiutano a maturare la consapevolezza dei grandi problemi comuni, né
contribuiscono a far crescere la sensi-
20
T. Bertone, op.cit., p. 55.
bilità all’apertura verso forme più ricche di vita comunitaria e neppure stimolano forme di impegno trasformativo e creativo di tipo cooperativo. Tende
a crescere, piuttosto, la paura del confronto e del conflitto e, conseguentemente, prevale il disperante bisogno di difendersi dagli altri, un bisogno che impoverisce tutti perchè li imprigiona in
una spirale perversa.
È ancora possibile recuperare e riproporre un concetto di comunità diverso, dove la conoscenza non sia finalizzata soltanto allo sviluppo di una
cultura personale ma trovi il suo senso più profondo nel diventare strumento di servizio agli altri? C’è spazio per
una educazione ed una politica che, in
modo coordinato ed integrato, non siano più un sottoprodotto dell’attuale degrado sociale, ma recuperino il ruolo di
“motori” del cambiamento e della ricostruzione di una comunità capace di un
pensare condiviso?
Senza questa visione prospettica –
dice De Beni – educazione e politica negherebbero la loro stessa funzione, quella che le fa essere, in primo luogo, strumenti per costruire fiducia nel futuro e
garanzie contro le forme peggiori di disunità, distruzione, sopraffazione e miseria. Ad esse, pertanto, spetta il compito di riuscire a far maturare persone
capaci di condividere responsabilmente i problemi e di porre limiti alla propria avidità, collaborando con saggezza alla prevenzione di tante situazioni
disastrose e trovando modi più intelligenti e più sicuri di coesistenza.
L’esito, mai scontato, dipende in primo luogo dal modo in cui la politica riuscirà a promuovere ed apprestare contesti socio-economici e giuridici rispettosi
della dignità delle persone, muovendosi
all’interno dei quali sia possibile canalizzare, favorire e garantire la formazione e la partecipazione comunitaria.
Accanto al compito politico, non
meno importante ed urgente risulta
anche il lavoro educativo, tanto più efficace quanto più mirato a sviluppare
il senso di comunità e la corresponsabilizzazione. Va in questa direzione la
proposta educativa dell’apprendimento servizio21, che si fa promotrice di una
cultura rispettosa dell’altro, aperta al
dialogo ed orientata alla cooperazione
attraverso l’esercizio di un comportamento prosociale-altruistico22. In questo tipo di percorso, infatti, i processi di
apprendimento non vengono attivati in
modo formale ed astratto, ma vengono
presentati come intimamente correlati
con le esigenze di servizio alla comunità, emergenti dai bisogni e collegati alla
risoluzione dei problemi.
21
La proposta dell’apprendimento-servizio
(ApS), di cui Maria Nieves Tapia delinea i contorni nel volume Educazione e solidarietà. La
pedagogia dell’apprendimento-servizio, Città
Nuova, Roma 2006), è già operativa in molti paesi
nel mondo, soprattutto in America latina dove è
applicata sia in ambiente scolastico che extrascolastico e risponde all’esigenza di responsabilizzare
gli apprendenti relativamente alle numerose e
gravi problematiche delle comunità in cui vivono,
attivando un loro pieno ed attivo protagonismo.
22
M. De Beni, Sviluppo della prosocialità e
apprendimento-servizio, Introduzione a M. N.
Tapia, Educazione e solidarietà. La pedagogia
dell’apprendimento-servizio, Città Nuova, Roma
2006, pp.7-19. “Con prosocialità si indicano quei
comportamenti finalizzati ad aiutare un’altra
persona o gruppo, senza che esista previamente
alcuna forma di ricompensa esterna. Si tratta di
modi di pensare e di comportamenti socialmente
positivi, che spesso richiedono un costo personale,
un ‘sacrificio’ da parte di un individuo o di un
gruppo a beneficio di altri, un’intenzione anche
esplicita di ridurre disagi, disuguaglianze, ingiustizie, violenza, ecc.” (p. 12).
QUALEDUCAZIONE • 91
Si tratta di una proposta educativa
efficace proprio perché il suo fondamento poggia essenzialmente sul lavoro cooperativo di una comunità degli educatori, capaci di creare un clima positivo di
accoglienza con il loro comportamento
coerente e dialogante, prima ancora che
con le esortazioni morali. Si preoccupano di insegnare agli apprendenti soprattutto ad essere persone in comunione
con altre persone, a riconoscere gli altri
punti di vista, ad avvicinarsi al sapere
non in modo individualistico o solo cognitivo ma procedendo insieme, nell’interdipendenza degli uni verso gli altri.
La diffusione sempre maggiore in
tanti paesi di queste esperienze di apprendimento-servizio conferma che,
laddove esiste un contesto di tipo comunitario pro-sociale, esso è in grado
di sprigionare quella forza educativa
che riesce a dare solidità e durata alle
trasformazioni perché diventa capace di
attivare, orientare e coordinare le tante
energie soggettive, motivandole e supportandole nel loro sviluppo verso forme sublimate e continuative di dialogo
e di gratuità. Niente, invece, cambia in
senso positivo se manca una comunità
di persone che, credendo, scommettano e si impegnino in quella che si configura come l’unica autentica rivoluzione positiva, quella contro la disperante
frammentazione ed insensatezza di una
realtà ogni giorno più drammaticamente complessa ed ingovernabile.
Queste esperienze di apprendimento-servizio si affiancano, in verità, a
tante altre forme di impegno educativo attualmente presenti e funzionanti
nei più vari contesti, tutte nate da gruppi altamente motivati, spiritualmente molto ricchi e idealmente coerenti.
Sono queste realtà che oggi ci aiutano
92 • QUALEDUCAZIONE
a sperare nella possibilità di un miglioramento ed a scommettere sulla forza
che si sprigiona da una comunità che
crede nell’educazione e nella potenza
trasformativa e costruttiva del dialogo. Esse ci indicano la via che funziona in ogni continente e sotto ogni cielo, e che può valere quindi anche per
le nostre imperfette democrazie, dove
quotidianamente dobbiamo fare i conti con forme di strapotere, mercanteggiamenti utilitaristici, ricatti e logiche
clientelari. Vale sempre la pena lottare per evitare che prevalga la mentalità impersonale dell’opinione pubblica,
la cultura dell’ovvio, la voglia di illudersi che esistano soluzioni facili e miracolose ai problemi complessi, il desiderio di assicurarsi privilegi personali,
l’indifferenza per il saccheggio delle risorse comuni, il disimpegno e la mancanza di iniziativa.
Certamente occorrono democrazie
che siano rianimate dalla forza delle comunità che vivono al loro interno, rivitalizzate dalla partecipazione di cittadini impegnati nella difesa della dignità
di tutti e che non si affidino soltanto a
leggi e cavilli giuridici formali, preoccupati soltanto di difendere i propri privilegi o le disparità esistenti! Un dialogo
corretto e fraterno tra persone responsabili rappresenta lo spazio più adatto
per un cammino di promozione di una
cultura comunitaria e di fraternità che
politica ed educazione, in modo integrato, sono chiamate a costruire: spetta ad
entrambe proporre ed attuare provvedimenti sia di tipo politico-amministrativo sia di ordine socio-pedagogico, tesi al
rafforzamento dei contesti istituzionali
ed alla formazione e supporto di persone
capaci di libertà di pensiero e di azione,
e quindi di vero dialogo.
L’impegno educativo, spesso sottovalutato, rappresenta, a nostro avviso, la vera sostanza del processo dialogico perché va alla radice dei problemi, avviando quei necessari processi di coscientizzazione che alimentano
la sostanza della vita democratica. Un
compito educativo siffatto, coerentemente supportato dall’impegno politico di governo delle cornici istituzionali
e dei processi operativi che consentono
la libera partecipazione di tutti, rappresenta, oggi come ieri, il vero motore della storia.
Non sempre questo compito educativo, di cui si alimenta il benessere e
la vita stessa delle società, viene oggi
bene interpretato e realizzato all’interno delle varie realtà sociali. Troppo
spesso di esso si continua a disconoscere
la dimensione etico-valoriale fondante,
considerata superflua ed esornativa, e
si tende invece a relegarlo nella fascia
di una operatività finalizzata esclusivamente all’utilità. È riduttivo limitarsi
a rispondere soltanto alla preoccupazione, sicuramente seria ma non esaustiva, di offrire a tutti i soggetti quegli
strumenti operativi e quelle risposte
tecniche che sono indispensabili a ciascuno per operare e sopravvivere, attuando i propri progetti di vita.
Competenza ed eticità non vanno
contrapposte nel processo formativo,
perché costituiscono entrambe fattori
ineludibili del progresso umano. È pericoloso sottovalutare il peso e l’indispensabile apporto che ciascuna di esse
garantisce. La tentazione di ridurre lo
scambio intergenerazionale al semplice scambio di competenze tecno-scientifiche ed operative, che aiutano il soggetto a tutelare il proprio interesse, se
apparentemente può sembrare libera-
toria di energie positive in ogni attività, sia essa economica, politica, scientifica, artistica o tecnica, nel lungo periodo rischia inevitabilmente di impoverire e distruggere il benessere comune e
la stessa esistenza collettiva ed espone
a pericolosi squilibri.
Se manca il fondamentale e primario rispetto della persona che si apre al
bene comune in un atteggiamento dialogico e solidale, se si pensa di poter
fare a meno della dimensione etica e
valoriale preoccupandosi esclusivamente degli effetti a breve termine, prima
o poi gli esiti saranno inevitabilmente negativi per tutti ed a tutti i livelli.
Come scriveva Don Luigi Sturzo, l’assenza di ideali superiori ha come esito
che “tutto si deturpa: la politica diviene mezzo di arricchimento, l’economia
arriva al furto e alla truffa, la scienza
si applica ai forni di Dachau, l’arte decade nel meretricio”23.
Oggi si continua a chiedere alle
agenzie educative formali ed alle istituzioni politiche di provvedere a migliorare la formazione dei cittadini, giovani e non, in tutti i campi del sapere ma
in modo frammentato. (educazione alimentare, sanitaria, tecnologica, economico-finanziaria, civico-istituzionale,
ecc.). Quello che è veramente urgente
per il nostro tempo, a nostro avviso, è
recuperare il compito primario dell’educazione che consiste nel coltivare in
ogni uomo la capacità di superare l’ottica angusta che lo tiene legato, esclusivamente ed in modo miope, ad aspetti settoriali e a bisogni soggettivi, per
23
Cfr. L. Sturzo, Coscienza e politica (1953),
Zanichelli, Bologna 1972 (a), in Opera Omnia di
Luigi Sturzo, a cura dell’Istituto Luigi Sturzo, I
serie (Opere), voll. V e VI.
QUALEDUCAZIONE • 93
aprirsi a scelte di ampio respiro24, impegnate a difendere e potenziare l’intera comunità umana e l’ecosistema del
pianeta di cui si alimenta.
La rivista “Qualeducazione” da un
trentennio valorosamente porta avanti
questo progetto educativo in modo egregio, contribuendo alla sensibilizzazione
sui temi cruciali del nostro tempo con
l’apporto della riflessione approfondita
di studiosi italiani e stranieri di grande
caratura scientifica oltre che di grande
umanità. Siamo grati a tutti loro e in
modo particolare al suo fondatore, Giuseppe Serio, il quale nel difficile contesto calabrese è stato, e continua ad essere, testimone attivo e grande animatore di un dialogo aperto, coinvolgente
e costruttivo che contribuisce alla reale
ricostruzione educativa del vivere civile.
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cambiare se stessi e il mondo, prefazione
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farsi mondo – Alla prova della grande
crisi, pp. 103-111).
ACTA PAEDAGOGICA
Collana diretta da Giuseppe Serio
1 – aa.vv.
EDUCAZIONE ALLA PACE.
UN PROGETTO PER LA SCUOLA
DEGLI ANNI ’80.
(1981) Roma, Città nuova
(esaurito)
2 – aa.vv.
I VALORI SOCIO-POLITICI NELLA VITA
GIOVANILE E NELLE ISTITUZIONI
EDUCATIVE DEL NOSTRO TEMPO.
A cura di Filomena Serio.
(1983) 272 p. £. 25.000
(esaurito)
3 – aa.vv.
EDUCAZIONE ALLA GIUSTIZIA.
A cura di F. Fusca, E. Esposito, F. Serio.
(1984) 219 p. £. 22.000
(esaurito)
4 – aa.vv.
I DIRITTI UMANI.
PRESENTE E FUTURO DELL’UOMO.
A cura di L. Corradini, A. Pieretti, G. Serio.
(1986) 291 p. £. 25.000
(10 copie)
5 – aa.vv.
EDUCAZIONE E DEMOCRAZIA
TRA CRISI E INNOVAZIONE.
A cura di L. Corradini, A. Pieretti, G. Serio.
(1988) 192 p. £. 25.000
(30 copie)
6 – aa.vv.
DOVE VA LA SCIENZA?
EDUCAZIONE ALLA CONOSCENZA
E ALLA RESPONSABILITÀ.
A cura di L. Corradini, A. Pieretti, G. Serio.
(1990) 236 p. £. 25.000
(200 copie)
7 – aa.vv.
EDUCAZIONE ALLA SALUTE
TRA PREVENZIONE
E ORIENTAMENTO.
A cura di L. Corradini, A. Pieretti, G. Serio.
(1992) 184 p. £. 20.000
(esaurito)
8 – aa.vv.
EDUCAZIONE AL LAVORO
NELL’EUROPA DEGLI ANNI ’90.
A cura di M. Borrelli, L. Corradini, A. Pieretti,
G. Serio. (1992) 172 p. £. 20.000 (esaurito)
9 – aa.vv.
POPOLI CULTURE STATI
A cura di M. Borrelli, L. Corradini, A. Pieretti,
G. Serio (1994) 330 p. £. 35.000 (25 copie)
10 – aa.vv.
L’UOMO NOMADE.
UNA METAFORA DEL NOSTRO TEMPO
A cura di A. Pieretti
(90 copie)
11 – aa.vv.
LA NONVIOLENZA. UNA PROPOSTA
EDUCATIVA PER IL TERZO MILLENNIO
A cura di G. Serio-V. Pucci (1998) 296 p.
£. 40.000
(poche copie)
12 – aa.vv.
PEDAGOGIA E CULTURA PER EDUCARE
Saggi in onore di Giuseppe Serio
A cura di L. Corradini (2006) 320 p. E 25,00
13 – aa.vv.
EDUCARE ALL’ONESTÀ, OGGI, NELLA
FAMIGLIA, NELLA SCUOLA, NELLE ISTITUZIONI
A cura di M. Borrelli-G. Serio
⌛
QUALEDUCAZIONE • 95
La mediazione culturale come strategia
per facilitare il dialogo
di
FATANE HASSANI JAFARI*
Riassunto
I flussi migratori sono determinati da
motivazioni diverse tra loro, ma sono uno
dei fenomeni dominanti la nostra epoca.
Tuttavia, troppo spesso ancora agli immigrati viene chiesto di abbandonare la
propria cultura d’origine e assumere senza troppi discostamenti quella del paese
di accoglienza. Questo comporta un impoverimento sia per i migranti che per i
paesi ospiti. L’autrice racconta la propria
esperienza di migrante e da lì parte per
analizzare le difficoltà che incontrano
soprattutto i bambini migranti e le loro
famiglie. Difficoltà che almeno in parte
possono essere alleviate con il supporto
del mediatore culturale, che può aiutare gli stranieri (soprattutto le donne, i
bambini) ad inserirsi nel nuovo paese,
nel modo in cui questo è organizzato, ma
può anche favorire l’incontro tra il modo
in cui lo straniero vede se stesso e il proprio modo di vivere nel mondo e le stesse rappresentazioni negli autoctoni, anche in vista di un dialogo che sarebbe in
grado di arricchire entrambi.
Abstract
Migratory streams are caused by different reasons, however they are one of
the dominant phenomenon in our society. Nevertheless, immigrants are very
often asked to abandon their own original culture and adopt that of the host
country without too many divergences.
* Patame Shahr ray, Department of educational
of Sciences University Payam Noor di Tehran
- Iran.
96 • QUALEDUCAZIONE
This means an impoverishment for migrant people and for host countries as
well. The author tells her own experience
as a migrant and goes on analyzing the
difficulties especially encountered by migrant children and their families. Such
difficulties can be partly solved thanks
to the help of cultural mediators who are
able to help foreigners (especially women and children) to integrate within
the host society The cultural mediator
acts as a point of encounter between the
foreigner’s perception of him/herself
and the way of living in the world, as
well as the same representations done by
autochtones, in such a way that a common dialogue is established.
Globalizzazione e migrazioni
La storia dell’umanità è storia di
flussi migratori. Fin dai tempi più antichi, dalla preistoria, individui, piccoli
gruppi o interi popoli sono migrati attraverso il pianeta alla ricerca di sicurezza, di migliore benessere o per cercare di realizzare le proprie aspirazioni.
Lo stesso popolamento dei continenti è
stato determinato da questo spostamento di ingenti masse di uomini o di piccoli
gruppi alla ricerca di migliori possibilità di vita e di sviluppo. Allora come oggi
si poteva fuggire da avverse condizioni
climatiche (carestie, catastrofi naturali), dalla fame, dalla guerra, dalla miseria o dalla schiavitù; oppure si lasciava il luogo di nascita per cercare condi-
zioni di vita migliori, per creare nuove
realtà e nuovi paesi, per cercare di realizzare il sogno di una vita migliore per
se stessi e per i propri figli.
Gli studiosi hanno suddiviso i fattori
che stanno alla base della scelta migratoria come fattori di espulsione (push
factors) e fattori di attrazione (pull factors): i primi sono quelli che spingono le
persone a lasciare il paese d’origine, i
secondi quelli che inducono a raggiungere un altro paese o un’altra città.Oggi
la situazione è in parte analoga a quella
del passato, in parte è amplificata dalle diverse condizioni del pianeta. Molti
paesi oggi sono contemporaneamente
meta di flussi migratori e luoghi di partenza di migranti, in quanto attraggono
gli appartenenti a paesi più poveri pur
non avendo condizioni di grande prosperità. La popolazione mondiale negli
ultimi anni è aumentata con un ritmo
sconosciuto alle epoche passate e questo, unito ad una ingiusta suddivisione
delle risorse su scala planetaria, produce nelle generazioni più giovani il bisogno di cercare di sfuggire ad un destino
di miseria o di mediocrità per cercare
condizioni di vita migliori in quei paesi
che presentano livelli di qualità della
vita più elevati. Detto altrimenti, lascia
il proprio paese chi ritiene di non potere in alcun modo trovare al suo interno
le risorse per raggiungere un tenore di
vita accettabile o un adeguato aumento delle proprie condizioni di benessere ed ha delle risorse personali da tentare di investire in una nuova realtà1.
1
Cfr. G. Carlini, Note sulle migrazioni contemporanee, in D. Barra, W. Bereta Podini (a cura
di), Le migrazioni. Educazione interculturale e
contesti interdisciplinari, Roma, CRES/Edizioni
Lavoro, 1995, p. 24.
La diffusione dei mezzi di comunicazione di massa e dei cosiddetti new media, inoltre, rende sempre più possibile venire a conoscenza di modelli di vita
diversi, anche se spesso ne fornisce rappresentazioni semplificate, quando non
falsate e spettacolari. Questa apertura
di orizzonti spinge, soprattutto le giovani generazioni, a desiderare di sperimentare altri modelli di vita, a cercare vie di fuga da condizioni di vita considerate impossibili, inaccettabili o più
semplicemente indesiderabili. A questo
si aggiunga il flusso dei cosiddetti migratori temporanei, di tutti quei giovani
che si recano all’estero per motivi di studio o di lavoro per periodi brevi o mediolunghi, ma avendo in mente di tornare
in patria. Nel considerare la realtà delle migrazioni sarebbe sbagliato e miope
considerare soltanto l’aspetto di miglioramento legato al cambiamento. Migrare, abbandonare il proprio paese d’origine per studiare, lavorare o vivere fuori, è
faticoso, spesso porta sofferenze cui non
si pensa e che gravano su coloro che vivono questa esperienza: l’ampliamento
delle proprie conoscenze e competenze è
legato anche ad una perdita o al rischio
di una perdita: la perdita delle proprie
radici, del senso del valore della propria
appartenenza culturale precedente.
Spesso è difficile sia comprendere la
cultura del paese d’arrivo che farsi capire dai suoi abitanti, soprattutto quando
ci si trova in condizioni di debolezza o di
bisogno: si pensi ai bisogni legati alla salute o alla tutela dei diritti rispetto alla
propria posizione di lavoratore. Tali sofferenze sono però ancora maggiori per
i nuclei familiari, in cui i genitori sono
spesso combattuti tra la volontà di vedere i propri figli vivere serenamente il
loro inserimento nel nuovo paese, senQUALEDUCAZIONE • 97
za dover affrontare pesanti esperienze
di esclusione o di derisione per la loro
diversità, e il desiderio che essi non dimentichino la cultura, la lingua, le usanze, i valori del paese da cui loro stessi
provengono. Magari l’ambiente di vita
dei ragazzi sarà senz’altro il nuovo paese, ma i genitori desiderano che non tutto il bagaglio culturale che ha costituito
il terreno più significativo della loro crescita venga ignorato dai figli.
È fin troppo frequente che agli immigrati il paese di accoglienza chieda
proprio questo: di dimenticare la propria cultura precedente, le proprie tradizioni, le modalità di affrontare la vita
e i problemi, e di accogliere senza discuterle quelle del nuovo paese. La scuola,
ad esempio, fin troppo spesso si limita
a cercare di inculcare nei nuovi arrivati la lingua e la cultura del paese ospite
senza far alcuno sforzo per tenere conto
del fatto che i bambini o i ragazzi sono
portatori di una propria cultura, che è
quella che vivono all’interno della loro
famiglia o che hanno sperimentato nel
paese che hanno lasciato per seguire i
genitori. La cultura d’origine è ignorata
o fraintesa e trasformata in uno strumento di discriminazione, quasi fosse
solo un folclore che è bene sia abbandonato il più presto possibile, o il retaggio
di una forma di incultura o barbarie che
va superata attraverso un atteggiamento rigoroso o discriminatorio. Chi fatica ad apprendere i nuovi codici, i nuovi
usi o si attarda nel rispetto dei propri,
viene considerato ingrato, pigro o stupido e raramente ci si chiede se ci siano motivazioni più profonde che lo tengono legato alle sue radici.
Il peso di conservare il legame con la
cultura di origine, quando non è espressamente ostacolato in un’ottica assimi98 • QUALEDUCAZIONE
latrice, viene lasciato per intero sulle
spalle dei genitori, che non sempre hanno gli strumenti per farlo. Io stessa, nella mia esperienza di migrante in Italia,
dove ho vissuto per numerosi anni per
motivi di studio e di lavoro, ho potuto
conservare il rapporto tra i miei figli e
la mia cultura d’origine solo al prezzo
molto alto di uno sforzo personale continuo e intenso. Ho seguito personalmente e con perseveranza i miei figli nello
studio della lingua e della cultura persiana, nella loro formazione personale
e religiosa, ho cercato con determinazione i contatti per fare in modo che la
loro formazione culturale e professionale consentisse loro di mantenere aperta
la possibilità di realizzarsi nella società
iraniana come in quella italiana, senza
trasformare la loro doppia appartenenza
in un rischio di impoverimento. Ho costantemente mediato tra le due culture,
per consentire loro di non confondersi e
non perdersi. In questo sono stata aiutata però anche dagli studi che andavo facendo e da una consapevolezza profonda
del progetto di vita che avevo per loro.
Non tutti i migranti hanno le stesse caratteristiche e la maggior parte di
loro ha bisogno di essere aiutata per
poter perseguire questi obiettivi. Sono
convinta, d’altra parte, che perseguirli
sia utile anche nell’interesse della società che ospita i migranti, perchè trascurare la cultura d’origine porta ad un impoverimento non solo delle persone, ma
anche della qualità delle risorse umane
che in quel paese si recano contribuendo allo sviluppo economico e produttivo. Occorre inoltre tener presente che,
come si è visto già nei paesi di più antica immigrazione, il riconoscimento della diversità culturale all’interno di una
società multiculturale rappresenta il
modo più efficace per evitare l’insorgere di forme di violenza legate alla tutela
di identità d’origine spesso trasformate in miti e distorte rispetto alla realtà.
I bambini stranieri a scuola
Ovunque nel mondo, i migranti vengono visti dalla legislazione del paese
ospite solo come lavoratori: forza lavoro
che temporaneamente o in maniera più
stabile si inserisce nel tessuto produttivo del Paese producendo ricchezza. È in
funzione di questo che la loro presenza
viene regolata sia negli aspetti formali
(permessi di soggiorno, riconoscimento di diritti civili) che sociali (riconoscimento di diritti sociali, come la tutela
sanitaria e le condizioni abitative). Molte volte, anche a livello umano, lo straniero, colui che presenta una diversità
culturale o somatica, viene guardato con
sospetto o sufficienza, come potenziale
nemico o come peso, soprattutto se si
sposta dal suo paese spinto dal bisogno.
Una problematica particolare presenta l’incontro tra il bambino o il ragazzo e la cultura del paese ospite attraverso la scuola. Questi minori emigrano soprattutto al seguito delle famiglie,
anche se nelle società occidentali non è
raro il fenomeno dell’arrivo di minori
stranieri adottati all’estero o di quelli non accompagnati, casi che producono ulteriori problemi per la loro tutela
fisica e psicologica2. Col passare degli
anni aumenta poi la presenza dei figli
di stranieri nati nel paese accogliente,
2
Cfr. D. Demetrio-G. Favaro, Bambini stranieri a scuola. Accoglienza e didattica interculturale
nella scuola dell’infanzia e nella scuola elementare, La Nuova Italia, Firenze, 1997, pp. 39 segg.
ma che non per questo possono essere
considerati sradicati dal contesto socio-culturale delle famiglie di appartenenza. Questo, invece, è quello che generalmente accade. La lingua materna viene completamente ignorata, anche perchè all’interno della scuola non
vi sono figure professionali che la parlino e gli insegnanti sono tutti formati
nella lingua nazionale, frequentemente associata alla loro lingua regionale
e a qualche lingua straniera tra quelle
considerate importanti.
In genere, il bambino (o anche il ragazzo o la ragazza) che frequenta una
scuola in un dato paese viene istruito
e socializzato esclusivamente nella lingua e nella cultura di quel paese e nella lingua straniera che in quel dato momento storico viene considerata utile a
farne un lavoratore efficiente per il sistema economico del paese ospite. I rapporti tra docente e studente riproducono
i codici e i rapporti di ruolo dominanti nella società ospite e a questo si adeguano anche le aspettative riguardanti il comportamento dei ragazzi. Questo
può dar luogo a fraintendimenti culturali significativi, che intimidiscono lo
studente o ne ostacolano l’inserimento
scolastico e il profitto negli studi.
Ma può anche verificarsi che l’assoluta indifferenza della scuola rispetto
alle conoscenze pregresse degli studenti porti ad una graduale perdita di queste conoscenze insieme all’indebolimento dell’autostima del giovane e alla perdita di stima nei confronti della cultura
e della lingua dei genitori. Non è infrequente vedere tra i migranti la tendenza ad abbandonare la lingua d’origine
nel dialogo con i figli per adottare la lingua del paese ospite, anche se la si conosce poco. In questo modo si ha la sensaQUALEDUCAZIONE • 99
zione di aiutare l’inserimento scolastico e sociale del bambino, ma in effetti
si producono fenomeni di deprivazione
linguistica e culturale che si traducono
poi anche in deprivazione affettiva ed
emozionale, a scapito dello sviluppo armonico della personalità3.
In Italia è a partire dalla C.M. n. 205
del 26 luglio 1990 che le istituzioni segnalano l’importanza di prestare particolare attenzione alla presenza di bambini stranieri a scuola, per trasformarla
in una risorsa per l’intera comunità scolastica attraverso lo sviluppo di una pedagogia specificamente interculturale.
Questo approccio interculturale
comprende la necessità di un approfondimento della conoscenza reciproca delle culture di cui sono portatori gli studenti, con la convinzione che tale conoscenza reciproca possa favorire la crescita di tutti. La stessa circolare ministeriale sollecita la scuola, o, nel caso in
cui ciò non sia possibile, gli enti locali, a
promuovere, “in presenza di richieste”,
“corsi specifici di lingua e di cultura del
Paese d’origine e in carenza di apporti delle competenti rappresentanze diplomatiche, a favorire le iniziative degli Enti locali e lo svolgimento di questi
corsi da parte delle comunità interessate, raccomandando la massima collaborazione della scuola sia per la disponibilità delle attrezzature e sia per quanto
riguarda il coordinamento tra gli Enti
e le comunità interessate, da realizzarsi possibilmente nell’ambito della programmazione scolastica”4.
In questa stessa Circolare ministeriale è richiamata la possibilità di utilizzare mediatori linguistico-culturali per agevolare la comunicazione sia
all’interno della scuola, sia tra questa
e la famiglia. Tali figure professionali
possono essere utilizzate anche per realizzare iniziative di valorizzazione della
cultura d’origine dei ragazzi5.
Il ruolo del mediatore culturale
come facilitatore del dialogo
La prima legge che in Italia definisce l’utilizzo dei mediatori culturali è la
legge 40/98, divenuta poi «Testo Unico
sull’Immigrazione» (d.p.r. 286/98)6. Da
quel momento sono nati molti corsi professionali volti a preparare queste nuove figure di operatori destinate a lavorare soprattutto nel sociale (nei servizi
alla persona, nei servizi sanitari, nel segretariato sociale) e, soprattutto al centro-nord del paese, sono fiorite numerose esperienze che hanno avuto anche
funzione di sperimentazione rispetto ad
un approccio che non aveva precedenti.
Queste figure hanno operato prevalentemente come mediatori socio-culturali, favorendo l’incontro e la comprensione reciproca tra stranieri e servizi e
mediando sia rispetto agli aspetti del
funzionamento e della fruizione dei servizi sia con riferimento all’ambito delicato delle differenze culturali. Questo è
particolarmente importante quando ad
avere bisogno dei servizi sono le donne,
5
Cfr. C. Sirna, Lingua e apprendimento in
prospettiva interculturale, EDAS, 1992; Id. Pedagogia interculturale. Concetti, problemi, proposte,
Guerini, 2003.
3
4
Cfr. C.M. n. 205 del 26 luglio 1990.
100 • QUALEDUCAZIONE
Cfr. ibidem.
Cfr. U. Melchionda, Modello e metamodello
della mediazione linguistico-culturale nell’esperienza italiana, in M. Andolfi (a cura di), La
mediazione culturale. Tra l’estraneo e il familiare,
Angeli, Milano, 2003, p. 101.
6
le quali, in molti paesi, sono abituate –
a differenza di quanto avviene nei paesi
occidentali – a confrontarsi e a sviluppare una maggiore confidenza soprattutto ,
se non esclusivamente, con altre donne.
La mediazione culturale passa quasi
sempre attraverso la mediazione linguistica, ossia l’affiancamento di persone
della stessa cultura o in grado di parlare la stessa lingua che svolgono un’opera di traduzione dei bisogni e delle richieste dello straniero agli operatori dei servizi, o viceversa. Attraverso la mediazione linguistica è possibile
promuovere l’incontro tra le due culture, ossia tra i due insiemi di valori, usi,
costumi, tecniche e modi di confrontarsi con la realtà, di cui sono espressione
lo straniero e l’operatore dei servizi (o
l’insegnante). Attraverso questo primo
passo è possibile che vengano riconosciuti anche i modi in cui lo straniero
vede se stesso, il proprio rapporto con
la società e con il suo gruppo di appartenenza, il sistema di ruoli all’interno
della famiglia e nella società, il rapporto con la malattia o con la morte, ecc.7
Nel mondo umano, infatti, non sono le
cose in sè a produrre i maggiori effetti
sulla vita degli uomini, quanto i significati che gli uomini danno alle cose: e
a questi significati è possibile accedere
solo mediante il linguaggio8.
La mediazione linguistico-culturale
può aiutare a definire meglio la situazione tra stranieri e autoctoni in relazione alla realtà sociale che essi condividono, creando le condizioni per cui le
7
M. Fiorucci, La mediazione culturale. Strategie per l’incontro, Armando, Roma 2007, Ivi, p. 103.
Cfr. R.M. Farre-S. Moscovici (a cura di), Rappresentazioni sociali, Il Mulino, Bologna, 1989.
8
visioni contrastanti vengano negoziate
e tale negoziazione porti ad una definizione valida per entrambi: questo può
valere, ad esempio, in relazione alle
diverse aspettative riguardo a ciò che
un servizio offre, oppure nel caso in cui
ciascun gruppo ritenga valide esclusivamente le norme e i valori elaborati
al proprio interno, anche se contrastano con quelle dell’altro gruppo.
In questi casi, l’assenza di una valida attività di mediazione può portare ad
un conflitto, laddove invece la sua presenza può portare ad un arricchimento reciproco, attraverso un nuovo sistema di rappresentazioni che comprende quelle di entrambi i gruppi. Questo,
però, comporta anche un lavoro educativo sul paese ospite affinchè non consideri culturalmente inferiori gli stranieri, ma li riconosca come interlocutori su un piano paritario.
È a queste condizioni che il lavoro
del mediatore può assumere la forma
attribuitagli da Melchionda: «Il mediatore culturale lavora nell’ambito delle scelte che compiono i soggetti coinvolti, fornendo loro le informazioni, gli
strumenti, il counseling per effettuare
le scelte migliori, ma lasciando a coloro
che vivono la situazione nuova di cambiamento e di transizione la responsabilità della scelta»9. Ciò significa non
ignorare che le parti coinvolte nel rapporto si trovano in posizioni di potere
differente che sono di ostacolo ad un
reale dialogo.
Riconoscere che il ruolo del mediatore interculturale consiste nel ristabilire le condizioni per una comunicazione
9
U. Melchionda, Modello e metamodello della
mediazione linguistico-culturale nell’esperienza
italiana, cit., p. 109.
QUALEDUCAZIONE • 101
tra pari diventa, quindi, la via per aumentare la possibilità e la capacità dello
straniero di far conoscere e comprendere il suo punto di vista e, al contempo,
per avviare un reale costruttivo dialogo
interculturale arricchente per entrambi
gli interlocutori10. A questo punto appare evidente che questa mediazione diventa particolarmente significativa soprattutto quando l’asimmetria è ancora
più forte, come nel caso del rapporto tra
insegnante e studente all’interno della
scuola. Qui è più facile che altrove che
l’identità culturale del minore straniero venga ignorata, deformata o svalorizzata e che in tal modo venga messa
in discussione anche la relazione tra il
minore e i suoi genitori, la sua famiglia
d’origine. L’insegnante poco sensibile a
queste problematiche, che si preoccupi
soltanto dei processi di alfabetizzazione, mentre trasmette il proprio modo di
pensare impone anche la propria visione del mondo attraverso i propri comportamenti, oltre che attraverso il proprio linguaggio. La presenza di strumenti e competenze adeguate facilita
l’adozione di un atteggiamento interculturale intenzionale nella relazione
tra docente e studente, favorendo una
migliore conoscenza reciproca tra studenti di culture diverse, con arricchimento di entrambi. Ecco perchè diventa importante l’inserimento anche nelle
scuole della figura del mediatore culturale, come “colui o colei che, in quanto
membri delle comunità di appartenenza dei bambini, hanno il compito di tutelare che queste non vengano del tut10
Cfr. C. Baraldi, Il significato della mediazione con bambini e adolescenti, in C.Baraldi-G.
Maggioni (a cura di), La mediazione con bambini
e adolescenti, Donzelli, Roma 2009, p. 5.
102 • QUALEDUCAZIONE
to disperse e di farle conoscere ai bambini” del paese ospite11.
Personalmente ho vissuto questa
esperienza di comunicazione durante
il mio percorso formativo in Italia in
numerose scuole e ho potuto constatare l’interesse e la curiosità dei ragazzi,
la loro apertura verso un’esperienza di
confronto che, oltre a rafforzare la stima di sè degli stranieri, che in tal modo
non sviluppano più alcun senso di inferiorità, arricchisce anche loro e li abitua
al dialogo rispettoso con l’altro.
Bibliografia
Andolfi M. (a cura di), La mediazione culturale. Tra l’estraneo e il familiare, Angeli, Milano, 2003.
Baraldi C.-Maggioni G. (a cura di), La mediazione con bambini e adolescenti, Donzelli, Roma 2009.
Barra D., Bereta Podini W. (a cura di), Le
migrazioni. Educazione interculturale e
contesti interdisciplinari, Roma, CRES/
Edizioni Lavoro, 1995.
Demetrio D.-Favaro G., Bambini stranieri a
scuola. Accoglienza e didattica interculturale nella scuola dell’infanzia e nella
scuola elementare, La Nuova Italia, Firenze, 1997.
Farre R.M.-Moscovici S. (a cura di), Rappresentazioni sociali, Il Mulino, Bologna, 1989.
Fiorucci M., La mediazione culturale, Strategie per l’incontro, Armando, Roma
2007.
Sirna C., Pedagogia interculturale. Concetti,
problemi, proposte, Guerini, 2003.
Sirna C., Lingua e apprendimento in prospettiva interculturale, EDAS, 1992.
Cfr. D. Demetrio-G. Favaro, Bambini stranieri a scuola, cit., p. 5.
11
Il dialogo elemento portante
del Vaticano II
di
GIOVANNI MAZZILLO*
Riasssunto
Col Vaticano II la Chiesa si rinnova ad intra e ad extra. Una rinnovata
autocomprensione della Chiesa procede
di pari passo a una rivoluzionaria comprensione del «mondo». Effettiva ecumenicità, caratterizzazione pastorale, missione come testimonianza (μαρτυρία)
che può arrivare anche al martirio. Gli
elementi dell’autocomprensione sono:a)
il primato di Dio e della sua Parola…
che dialoga con gli uomini; b) la riscoperta dell’ecclesialità come realtà dialogante in quanto comunione e conciliarità; c) la Chiesa “popolo di Dio in cammino verso la parusìa…in dialogo con
la storia… Gli elementi portanti della
Chiesa ad extra sono: a) la dimensione
storica del popolo di Dio; b) la dimensione dialogica della Chiesa (il vero ecumenismo); c) la proposta di una rinnovata prassi pedagogica e di una prassi
ministeriale evangelica, ispirata dalla
teologia della comunione e del dialogo.
Abstract
With the Second Vatican Council, the
Church is renewed ad intra(self understanding) and ad extra (understanding
the “world”). The fundamental elements
of the Church (ad intra) are: effective
ecumenism, pastoral characterization,
mission of witness.The fundamental
* Docente di Teologia nel seminario S. Pio X, Catanzaro.
elements of the Church (ad extra) are:
the historical dimension of God’s people,
the dialogical dimension of the Church,
the proposal of a new pedagogical practice and a ministerial practice of Gospel
(theology of communion and dialogue).
Annotiamo brevemente gli elementi
caratterizzanti il Vaticano II. Innanzi
tutto su due versanti principali: quello dell’autocomprensione (Chiesa che
cosa dici di te stessa?) e quello del suo
rapporto con la realtà esterna da sé,
ma nella quale e per la quale la Chiesa
esiste (Chiesa che cosa dici del “mondo” e soprattutto del tuo rapporto con
esso? Che cosa dici dell’uomo e del suo
futuro?). Il dialogo non solo innerva entrambi gli aspetti, ma ne è il fondamento costitutivo.
Sul piano dell’autocomprensione
(sguardo ad intra) avviene il passaggio dalla Chiesa come società perfetta
alla Chiesa come comunità: come partecipazione al Mistero di Dio e come comunione con gli uomini e tra gli uomini (koinonìa). Sul piano della comprensione della realtà storica e sociale (del
mondo) (sguardo ad extra) si può schematicamente annotare che da un nuovo
modo di capirsi la Chiesa passa felicemente a un diverso e più attento e dialogante modo di capire l’altro, gli altri.
È stato detto che la Chiesa conciliare è passata dall’anatema al dialogo. È
sostanzialmente vero, ma non nel senso puramente formale e canonico dell’eQUALEDUCAZIONE • 103
spressione, bensì nel diverso modo di
porsi davanti al suo interlocutore: “il
mondo”, spesso identificato con il mondo anticlericale, laicista, nemico della
Chiesa e, in buona sostanza, della religione. Con il Vaticano II la Chiesa ha
invece cominciato a guardare il mondo
esterno con un atteggiamento nuovo,
non più difensivo, né di contrapposizione, e nemmeno di condanna. Ciò è immediatamente visibile nel mutato approccio alle altre confessioni religiose, non
considerate più espressioni demoniache o pure e semplici credenze erronee.
Ma si evince anche da come il Concilio guarda all’uomo e al suo futuro, ai
suoi problemi e alle sue legittime aspirazioni. Ed ancora da come la Chiesa
conciliare si rivolge al mondo contemporaneo, guardando con fiducia alla
stessa modernità, alle forme di partecipazione democratica e alla stessa
emancipazione del pensiero umano.
Per capire il carattere rivoluzionario
di tutto ciò, basti solo ricordare che
le realtà qui menzionate erano precedentemente considerate, soprattutto
da Pio IX in poi, con molta diffidenza
e non di rado espressamente condannate. Il Sillabo docet. Una rinnovata
autocomprensione della Chiesa procede di pari passo a una rivoluzionaria
comprensione del «mondo».
Il mondo degli uomini diventa per la
Chiesa anche il “proprio” mondo, perché mondo degli uomini che Dio ama.
Di conseguenza ciò che ne contraddistingue l’atteggiamento si può indicare
con quello del dialogo che scorga dalla
simpatia, nel senso originario del synpathein1: sentirsi una sola cosa con il
mondo che gioisce e che cerca, che soffre e che lotta. Se la conferma letteraria
di quest’assunto viene dal titolo stesso
della costituzione pastorale sulla Chiesa Gaudium et spes, l’humus spirituale
e metodologico che ne è alla base è già
presente nei primi testi approvati dal
concilio. Sicuramente è presente nella
costituzione Sacrosanctum concilium,
sul rinnovamento liturgico. In verità
è presente nella stessa aula conciliare: «Si potrebbe affermare che i primi
convertiti al Concilio sono stati i vescovi stessi … proprio nell’assecondare lo
Spirito creatore»2.
Chiarendo il contesto in cui avviene
questa “conversione”, Mons. Luigi Bettazzi indica l’effettiva ecumenicità geografica, a motivo della provenienza dei
vescovi da ogni parte del mondo (con il
conseguente scambio interculturale che
ne deriva), la caratterizzazione “pastorale” del Concilio, per espressa volontà di colui che l’aveva indetto, Giovanni XXIII, la particolare concezione della missione della Chiesa cattolica nei
termini di una testimonianza, tesa ad
«aiutare tutte le religioni e tutti i popo-
Grundmethode des Konzils und die Erneuerung
christlicher Gemeindepraxis in Italien», in:
Brixner Theologisches Forum 116 (2-3/2005) 111121: relazione tenuta alla Katholische Akademie
in Bayern, reperibile in www.puntopace.net/
Mazzillo/konzil-Wue-07-10-05.htm.
Le idee portanti di quest’intervento sono
reperibili anche in un contributo in italiano: G.
Mazzillo, «Le gioie e le speranze degli uomini di
oggi…» in: www.puntopace.net/Mazzillo/GioieSperanze-Orsomarso21-01-06.htm; e in «Profezia
e simpatia: due valori fondamentali per la Chiesa
del Vaticano II», in Horeb 49 [1/2008] 75-81, leggibile anche da questo link: www.puntopace.net/
Mazzillo/ProfeziaSimpatia-Horeb.pdf.
L. Bettazzi, «Memorie del Concilio», in
Brixner …, cit., 107-110, qui 107.
2
1
Cf. G. Mazzillo, «Dialog und Sympathie. Die
104 • QUALEDUCAZIONE
li ad aprirsi all’accoglienza di Dio, alla
solidarietà umana e alla pace, come un
fermento che sollecita tutti a corrispondere sempre più al piano di Dio, cioè al
“regno di Dio”»3.
Lo stesso Mons. Bettazzi raccomanda altrove e ripetutamente la fedeltà
alla lettera e allo spirito del Vaticano
II, come, ad esempio, nel breve e intenso
testo, già chiaro nel titolo: Non spegnere lo Spirito. Continuità e discontinuità del Concilio Vaticano II (Queriniana,
Brescia 2006). In questo testo richiama
il proclama di Benedetto XVI alla continuità (cf. Discorso alla curia romana
del 22/12/2006), ma anche le problematiche, tipiche di questi ultimi anni, relative alla discontinuità e alle sue forme:
da una “discontinuità moderata” ad una
“continuità moderata”, che significa la
continuità nei principi e negli orientamenti di fondo, distanziandosi da quelli
che sembrano gli “eccessi”. L’argomento
di alcune serpeggianti ostilità al Vaticano II era già apparso in un suo precedente scritto dal titolo Difendo il Concilio,
divenuto successivamente Il Concilio
Vaticano II Pentecoste del nostro tempo
(Queriniana, Brescia 2000).
Pertanto Bettazzi, che è ancora uno
dei pochi dei padri conciliari viventi,
può concludere: «Credo che la novità –
o meglio, la forza – del Concilio, sia consistita proprio in questo puntare sulla
coscienza e sull’amore, e che a questo
debbano orientarsi l’approfondimento e
l’impegno dei cristiani, delle comunità
e dei pastori»4. La Chiesa si sente frut3
Ivi, 108.
Ivi, 110. Sulle tappe che avrebbe attraversato la Chiesa dopo il Vaticano II ad oggi,
cf. anche la prima parte del nostro «Dialog und
Sympathie…».
4
to e creatura di un Dio che dialoga con
gli uomini perché animato dall’amore,
anzi è l’Amore stesso, e acquisisce consapevolezza di dover continuamente
trasmettere lo stesso amore agli uomini di ogni tempo. È a questa continuità sostanziale che occorre sempre riferirsi, pur senza nascondersi i processi
che recentemente hanno fatto parlare
di una discontinuità in orientamenti e
scelte ecclesiali particolari5.
5
Sulla discontinuità, che anche a noi sembra non sia sulle idee di fondo del Concilio, ma
sulle tendenze e i processi da esso messi in atto,
potremmo dire che oggi in una certa teologia ufficiale e in alcuni degli orientamenti che ne scaturiscono, più che un ritorno all’epoca pre-conciliare,
sembra ci sia qualcosa di simile a ciò che è stato
registrato a proposito del documento conclusivo
di Aparecida, sulla V Conferenza dell’episcopato
latinoamericano, chiusasi il 31 maggio 2007: «È
una teologia che si allontana da quella conciliare e
soprattutto post-conciliare. Senza voler affermare
che c’è un ritorno al pre-conciliare, si percepisce
comunque un desiderio di equilibrare tendenze e
neutralizzare correnti più audaci che, nel corso
degli ultimi decenni, volevano dare alla Chiesa
latinoamericana un volto e un pensiero propri,
diversi da quelli prodotti dal continente europeo»
(M. C. L. Bingemer, «La V Conferenza dell’episcopato latinoamericano. La sfida della fede e il
lavoro dell’ermeneutica», in Concilium 43 [4/2007]
683-696, qui 688). L’osservazione vale anche e
soprattutto per la teologia del popolo di Dio: «…
quest’ecclesiologia del popolo di Dio fu cruciale per
la elaborazione della cristologia latinoamericana
degli anni post-conciliari e appare ben chiara –
anche se non è l’unica – nei documenti di Medellín
e di Puebla. Dopo il regresso registrato a Santo
Domingo, l’ecclesiologia cresce di nuovo, ma in
un’altra direzione, che percepisce la Chiesa come
comunione tra diversi carismi e stati di vita, nella
linea di Rm 12. Si tratta di una comunione nella
quale la gerarchia dei segmenti ecclesiali è ben
chiara e dove viene enfatizzata la funzione predominante dei pastori nella conduzione del processo
ecclesiale» (ivi, 687-688). Alle stesse conclusioni
si giunge in maniera ancora più stringente in J.
Comblin, Il popolo di Dio, Servitium, S. Egidio
di Fontanella di Sotto il Monte (Bergamo) 2007.
QUALEDUCAZIONE • 105
A conclusioni simili si perviene anche da un’altra strada: quella che correttamente vuole interpretare il Vaticano II a partire dall’intenzione del legislatore, con le sue componenti di fondo,
tra le quali la pastoralità, l’aggiornamento e la centralità dello stesso Concilio. A questi criteri ermeneutici si accompagna quello di cercare di leggere
sia nel Concilio stesso sia nei suoi documenti le dinamiche oscillanti tra “compromesso” e ricerca dell’unanimità6. Ma
lasciando tutto ciò agli approfondimenti
specialistici, ritorniamo ai principi cardini del Concilio riconducibili al dialogo. Intanto sull’autocomprensione della Chiesa sembrano essere stati determinanti questi elementi:
a) il primato di Dio e della Sua Parola, che crea le fondamenta del dialogo e dialoga con gli uomini, dialogando soprattutto con la Chiesa, in quanto
valore fondamentale della Chiesa come
mistero7;
b) la riscoperta dell’ecclesialità come
realtà dialogante in quanto comunione
e conciliarità: due aspetti della medesima realtà teologica che vede la Chiesa inserita nella dinamica salvifica della Trinità8;
6
Cf. G. Alberigo, «Fedeltà e creatività nella
ricezione del Concilio Vaticano Secondo», in
Brixner …, cit., 65-83.
7
Cf. soprattutto la Sacrosanctum concilium,
costituzione sulla liturgia, e la Lumen gentium,
costituzione dogmatica sulla Chiesa.
8
Sebbene la conciliarità non sia stata sviluppata pienamente, non è altro che la naturale
evoluzione dell’acquisizione della Chiesa come
comunione pur nella differenza dei diversi carismi. Cf. soprattutto: Lumen gentium; Apostolicam
actuositatem, sui laici; Christus Dominus, sui
vescovi; Presbyterorum ordinis, sui presbiteri;
Perfectae caritatis, sui religiosi. Ma cf. anche
106 • QUALEDUCAZIONE
c) la natura escatologica e peregrinante della Chiesa, che riscopre la sua
indole di popolo di Dio in cammino verso
la parusìa e pertanto si sente in dialogo
con la storia e con gli uomini di ogni provenienza, riconsiderando la sua presenza nel mondo come missione d’amore e
di servizio tra gli uomini e tra i popoli9.
Il Dialogo appare così come il valore sorgivo e fondante della Parola di
Dio, declinata come conciliarità e come
dimensione escatologica della Chiesa.
Tutto ciò dice molto di più, anche nelle sue formulazioni teologiche, di quanto non dica il termine «mistero», sebbene queste dimensioni rimandino continuamente ad esso. Nella categoria del
popolo di Dio esse sono ancora più evidenti: sono evocate dalla stessa entità
storica di un popolo che viene e dipende
da Dio, ma vive e cammina nel tempo.
Se la Chiesa è mistero (1° capitolo della
Costituzione sulla Chiesa Lumen gentium), lo è per il legame a Cristo, luce
delle genti, che svela il mistero di Dio
e il mistero dell’uomo (Gaudium et spes
22: «In mysterio Verbi incarnati mysterium hominis vere clarescit» (nel mistero del Verbo incarnato si chiarisce realmente il mistero dell’uomo). Ciò porta
a vedere la realtà ad intra della Chiesa
in diretto riferimento alla Chiesa come
realtà ad extra.
Gli elementi portanti della Chiesa ad extra, cioè rispetto all’uomo e al
mondo sono:
a) la dimensione storica del popolo
di Dio, che vive senza soluzione di con-
Y. Congar, Diversità e comunione, Cittadella,
Assisi 1984.
Cf. sulla missione: Ad gentes; e sull’indole
escatologica cap. VII della Lumen gentium.
9
tinuità l’antico e il nuovo Patto, come
fasi di un’unica storia della salvezza10;
b) la dimensione dialogica della
Chiesa, che seguendo la metodologia di
Dio, s’intrattiene con l’umanità come si
parla ad amici, ad essa si relaziona11 e
ad essa propone una ricchezza non sua
e il tesoro di un messaggio d’amore che
viene da lontano12. Per questa ragione
la Chiesa vuole praticare il dialogo e
rivedere i criteri della comunicazione
ai più vari livelli in cui si pone la sua
azione13: rispetto al mondo orientale e
al suo patrimonio spirituale14; rispetto
alle confessioni cristiane acattoliche15,
alle religioni non cristiane16, e alla religiosità in genere17;
c) la proposta di una rinnovata pras10
Cf. cap. II della Lumen gentium.
Cf. G. Mazzillo, Dio sulle tracce dell’uomo.
Saggio di teologia della rivelazione, San Paolo,
Cinisello Balsamo (MI) 2012, per una sintesi cf.
http://puntopace.net/Mazzillo/DioSuTracceUomo/
Prefazione%20di%20Piero%20Coda.pdf.
11
12
Cf. la Dei Verbum, costituzione dogmatica
sulla rivelazione e la più recente Verbum Domini.
Cf. la Gaudium et spes, costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo, che si
può considerare la magna charta dell’agire della
Chiesa, e il decreto sui mezzi di comunicazione
sociale Inter mirifica, che fissa alcuni criteri fondamentali per una comunicazione corretta, cioè
fedele alla vocazione trascendente dell’uomo e ai
suoi irrinunciabili ed universali valori di verità,
giustizia e carità (cf. in particolare il n. 5).
13
14
Cf. Orientalium ecclesiarum, decreto sulle
chiese orientali cattoliche.
15
Cf. Unitatis redintegratio, decreto sull’ecumenismo. Cf. anche L. Sartori, L’unità della
Chiesa - Un dibattito e un progetto, Queriniana,
Brescia 1989.
16
Cf. Nostra aetate, dichiarazione sulle relazioni della Chiesa cattolica con le religioni non
cristiane.
Dignitatis humanae, dichiarazione sulla
libertà religiosa.
17
si pedagogica e gli indirizzi pastorali
per una prassi ministeriale più evangelica, ispirata dalla teologia della comunione e del dialogo tanto per i laici18
quanto per la formazione dei presbiteri19, ma anche per il rinnovamento della vita religiosa20 e per il ministero dei
vescovi21.
Sono tutti elementi che hanno una
particolare consistenza teologica e pastorale e che qualificano ulteriormente la sottolineatura del popolo di Dio»
come comunità frutto del dialogo e portatrice di dialogo. Sono princìpi e corollari di un’ecclesiologia che approfondisce il dato «misterico» del popolo di Dio, spingendosi fino alla sua ultima e sempre primaria radice, quella
della vita Triunitaria di Dio, il cui protendersi verso la storia umana diventa
norma di ogni agire della Chiesa. Sono
anche le linee portanti di un rinnovamento non solo strutturale, ma anche
personale all’interno dello stesso popolo di Dio22, con l’appello a saper mettere in discussione le modalità storiche
e pratiche dell’agire della Chiesa e del
singolo cristiano.
18
Cf. la dichiarazione sull’educazione cristiana Gravissimum educationis e il decreto
sull’apostolato dei laici Apostolicam actuositatem
19
Cf. il decreto sulla formazione sacerdotale
Optatam totius.
Cf. il decreto sul rinnovamento della vita
religiosa Perfectae caritatis.
20
21
Cf. il decreto sull’ufficio pastorale dei vescovi Christus Dominus.
Una corretta ecclesiologia del popolo di Dio
porta infatti a un rinnovamento spirituale della
Chiesa, che sa rimettersi continuamente in stato
di conversione. Una conversione oggi tanto più
necessaria, perché nel confronto con la «modernità», la Chiesa attraversa passaggi e difficoltà che
rievocano quelli dell’attraversamento del deserto.
22
QUALEDUCAZIONE • 107
Dialogare e testimoniare per educare in
una società in crisi
di
GIOVANNI VILLAROSSA*
Riassunto
Il dialogo educativo va impostato
secondo percorsi euristici adeguati alle
nuove esigenze degli educandi. I giovani hanno bisogno di esempi e di testimonianze. È ritenuto ancora vero maestro
chi testimonia con la vita le proprie idee.
I giovani chiedono le regole che gli adulti non rispettano più. Essi segnalano
un grande bisogno di affetto e di sostegno spirituale proprio col disincanto, la
provocazione, l’aggressività. Don Bosco
è sempre più vivo. La gioventù vorrebbe
volare alto, non vuole una vita banale .
In questa fase, difficile e lunga, di transizione, chiedono speranza. Bisogna raccordare passato e futuro attraverso un
attivo presente. Duc in altum…schola!
Abstract
The educational dialogue must be
adapted to the new needs of young people. They need examples and testimonies. It’s true master who bears witness
to life their ideas. Youth ask for the rules
that adults no longer respect. They need
to fly up, not like a banal life. Young people demand with disenchantment, with
the challenge, to become hopeful.
È necessario favorire un dialogo idoneo a sostenere la componente testimoniale nel rapporto educativo e a stabili-
* Redattore di Qualeducazione - Presidente emerito dell’UCIIM.
108 • QUALEDUCAZIONE
re alleanze con la famiglia, con la chiesa
e con altre agenzie educative, così come
indicano i Vescovi negli Orientamenti
pastorali “Educare alla vita buona del
Vangelo” per il decennio 2010/2020. La
componente dialogica, in ambito educativo, necessita del sostegno di una valida dimensione culturale, utile per potersi esprimere adeguatamente attraverso la testimonianza. Questa produce nei giovani coinvolgimento, accettazione, rispetto e favorisce, a sua volta,
la ricerca della dimensione culturale.
Il dialogo educativo, pertanto, va impostato secondo percorsi da adeguare
alla nuove esigenze che esprimono gli
educandi. Di fatto, bisogna cercare, individuare, conoscere ed utilizzare alcuni mezzi prevalenti nell’uso quotidiano
dei nostri giovani digitalizzati. Di conseguenza sorgono spontanee le seguenti
domande: i giovani hanno ancora bisogno di esempi e di testimonianze? È ritenuto ancora vero maestro chi testimonia con la vita le proprie idee?
Ritengo di dover rispondere “si” ad
entrambe. Perché i news media non
hanno reso più forti le nuove generazioni, ma più indifese e fragili. I giovani che gli educatori incontrano fanno
loro da specchio e riflettono un mondo
adulto allo sbaraglio, una società violenta dove ci si scontra per futili motivi, dove gli stessi adulti non hanno più
regole. Regole, che i giovani richiedono!
Amarli e mostrare loro di farlo, scriveva don Bosco, è la sintesi meravigliosa
dell’educare! Parlare in questi termini
di educazione può sembrare patetico in
questa società, ma, alla luce della esperienza e del sentire di molti educatori,
si può dedurre che è necessario recuperare il valore e il senso dell’amore inteso come esserci, come servizio per la
promozione umana, oggi più che mai, di
fronte alle ultime generazioni che spesso manifestano disincanto, provocazione e aggressività.
Se, però, i giovani comprendono che
l’educatore è presente, che li coinvolge
e dà prova di credere in quello che dice,
si rendono disponibili a farsi guidare e
si pongono in rispettoso ascolto. L’educatore diventa testimone vero quando
tutto ciò che comunica passa in prima
istanza attraverso se stesso e finalizza
la propria azione per aprire l’anima dei
giovani verso un corretto flusso vitale.
Una simile azione educativo-testimoniale è impresa ardua e faticosa: richiede equilibrio, pazienza, motivazione, disponibilità a mettersi in gioco, oltre alla capacità di cogliere i sentimenti dei giovani anche al di là dei loro atteggiamenti.
Tale azione va sostenuta da un impegno gratuito, significativo e liberante, che non manifesta effetti immediati,
ma nel tempo dà frutti, ossia concorre
a formare persone libere e forti. Persone che si fidano della vita e, soprattutto, del Dio della vita.
Il riscontro di questa azione, quindi,
è collegato a coloro che con la propria
vita mettono in pratica ciò che dicono e
che sanno pagare di persona le proprie
scelte di onestà, di coerenza e fedeltà.
I giovani, alunni o figli, non si possono ingannare. Spesso gli educatori,
nel proporre loro alti ideali e di vivere
per essi, considerando i propri limiti, si
sentono inadatti, incapaci e scoraggiati nell’assumere responsabilità. Si domandano: come facciamo a dire ai nostri alunni o ai nostri figli che bisogna
comportarsi in un certo modo se non riusciamo mai, per le nostre debolezze, ad
essere coerenti?
Nasce così la tentazione di ridurre
la verità, di offrire ai giovani solo quello che della vita si riesce a realizzare.
Così si riducono gli ideali, si offre un
esempio di vita banale.
Non si può ridurre quel che si propone ai giovani solo a quello che vivono gli educatori in crisi. Bisogna sempre
proporre alti ideali, a cui ci si orienta
anche per tentativi. Assieme, educatori
ed educandi, potranno essere capaci di
pensare una vita migliore. Tante volte
gli stessi giovani riescono a ridare fiducia alle stanche perdite di speranza degli adulti se hanno visto in loro l’umiltà e la tenacia della ricerca, non tanto
la brillantezza del risultato.
L’educazione, attraverso il dialogo e
la testimonianza, si concretizza nel fornire continuamente ai giovani i punti
di riferimento di cui essi hanno bisogno per capire il mondo che li circonda
e per comportarsi in maniera responsabile e giusta.
Ciò che conta sono la relazione, il
confronto, il guardarsi in faccia, l’incontrarsi e principalmente sapere dove
siamo e dove vogliamo andare in questo
periodo storico ricco di complessità culturali e civili, oltre che di vicende materiali ed economiche molto intense, che lo
caratterizzano fino al limite della drammaticità. Lo schema più rappresentativo di questo periodo è quello di un tempo marcato da instabilità politica, da incertezze economiche e da forme evidenti di impoverimento sociale e culturale.
QUALEDUCAZIONE • 109
Siamo, infatti, in una fase di passaggio, lunga, importante, impegnativa, faticosa, che interessa persone, istituzioni, contesti socio-economici e politici; è
una fase di crisi profonda, aperta ad un
futuro per molti aspetti ancora indecifrabile, tutto da esplorare come persone e come comunità, in una dimensione nella quale dobbiamo continuare ad
impegnare il meglio di noi, i riferimenti essenziali a valori condivisi, ribaditi,
riproposti. Dobbiamo, infatti, batterci
per soluzioni che favoriscano lo sviluppo delle risorse dei giovani attraverso
il potenziamento dei grandi valori della libertà e della giustizia, in chiave di
solidarietà e di cooperazione.
È necessario considerare ed approfondire le proposte socio-educative
emergenti, che si differenziano dalle nostre idee, al fine di formulare e/o ribadire proposte alternative valide o sintesi dialogiche.
Il nostro impegno non può rimanere
ripiegato sul passato né proiettato unicamente sul futuro. Bisogna raccordare passato e futuro attraverso un attivo presente, capace di sostenere sia un
significativo processo di apprendimento che un armonico sviluppo delle capacità critiche, entrambi necessari nella
società della conoscenza.
L’azione educativa deve creare le
condizioni affinché l’acquisizione di
nuove conoscenze sostenga il cammino
attraverso una società nuova, che, a sua
110 • QUALEDUCAZIONE
volta, deve essere aiutata ed illuminata nell’avvalersi delle proprie scoperte
e delle proprie risorse tecnologiche per
non lasciarsi catturare all’interno di un
sistema di negazione dei valori umanistici, che invece devono essere ulteriormente vissuti e affermati.
Va effettuata la scelta della cultura
della solidarietà per contenere l’idea
che il mercato sia inevitabilmente la
misura di tutte le relazioni, per mettere in discussione il primato del profitto
e della sua logica sui bisogni di condivisione e di fratellanza.
È necessaria una maggiore e consapevole attenzione verso la scuola, luogo educativo, mediante il riconoscimento di un’effettiva autonomia, indispensabile per esercitare con autorevolezza
la propria funzione per il risanamento
della complessa situazione di degrado
in cui è precipitato il nostro Paese.
Ho ragionato anche al futuro, un futuro difficile ma possibile, andando verso il quale bisogna continuare a produrre idee per discuterle, per approfondirle,
per trovare accezioni consolidate e nuove e cercarne insieme un senso autentico: è il caso dei concetti di legalità, trasparenza, sobrietà, solidarietà, rispetto,
pace e coerenti stili di vita. Sono convinto che oltre le risposte di breve periodo
servano idee strategiche da ripensare e
condividere, ricostruendo anche un linguaggio comune, di senso, all’altezza dei
compiti straordinari che si prospettano.
Il dialogo formativo interculturale per
la scuola democratica*
di
GIUSEPPE SPADAFORA**
Riassunto
Il dialogo formativo interculturale
serve a promuove nella scuola uno stile
di vita democratica; perciò è necessario
focalizzare il concetto di dialogo formativo, dal punto di vista pedagogico, per
evidenziarne la centralità al fine di contribuire alla definizione e costruzione di
una scuola autenticamente democratica.
Il dialogo formativo, infine, viene esaminato anche dal punto di vista dell’intersoggettività come problema filosofico molto attento al pensiero del Dewey.
Abstract
Intercultural educational dialogue
for democratic school Intercultural educational dialogue is needed to promote a
democratic lifestyle in school; therefore,
it is necessary to concentrate on the concept of educational dialogue, in pedagogical terms, to emphasize its centrality
in order to contribute to the definition
and to the construction of an authentically democratic school. Educational
dialogue, finally, is also analysed intersubjectively, as a philosophical problem very strongly focused on Dewey’s
thought.
La pedagogia interculturale negli
ultimi decenni come oggetto di studio
specifico ha avuto e continua ad avere
una notevole attenzione da parte della
cultura filosofica e pedagogica. In effetti, la vasta letteratura specialista non
ha sufficientemente approfondito da un
punto di vista epistemologico il significato della relazione intersoggettiva pedagogicamente intesa come dialogo interculturale, soprattutto in relazione
alle applicazioni scolastiche e, in particolare, alla attività dell’insegnante
che è il vero protagonista della possibile realizzazione dei processi interculturali educativi della classe e della scuola. In questo scritto cercherò di focalizzare il concetto di dialogo formativo interculturale da un punto di vista pedagogico per evidenziarne la centralità al
fine di contribuire alla definizione e alla
costruzione di una scuola democratica1.
Per sviluppare questa tematica esaminerò alcuni aspetti del processo formativo al fine di riflettere sul problema specifico del dialogo come questione interculturale. Queste annotazioni
saranno le basi per analizzare il significato del concetto di dialogo formativo
interculturale.
* Questo articolo riprende e sviluppa tematiche già trattate in altri due articoli sul tema della
comunicazione interculturale.
** Ordinario di Pedagogia - Presidente del
corso di laurea in Scienze della Formazione,
Università della Calabria.
1
Cfr R. Fornet Betancourt, Trasformazione
interculturale della filosofia, Edizioni Dehoniane,
Roma 2006.
QUALEDUCAZIONE • 111
La letteratura pedagogica dominante, specialmente nel nostro paese, ha
evidenziato la centralità del concetto di
formazione all’interno del discorso pedagogico, in ragione del suo essere elemento di sintesi interdisciplinare e, al
tempo stesso, una possibile esplicazione, ma anche un problema aperto, di
un sapere come la pedagogia, posto tra
costituzione e regolazione di senso, tra
teorizzazione e applicazione.
Il concetto di formazione, sebbene sia stato variamente e lungamente
esplorato dalla cultura e dalle tradizioni
filosofiche e pedagogiche che si sono incrociate e sovrapposte al riguardo (basti pensare nella cultura occidentale ai
concetti di paideia greca, di humanitas
latina e cristiana e di Bildung romantica che, in effetti, sancivano la perfettibilità dell’individuo verso un modello valoriale espressione del paradigma storico-culturale del tempo), necessita di
continui approfondimenti rispetto alle
trasformazioni epistemologiche e tecnologiche della società digitale e globale2.
La formazione esprime una “famiglia
di processi”, che si manifestano nello
stesso momento e con modalità differenziate, in modo autonomo e dipendente.
Ci si forma perché si cresce nel tempo
secondo una dimensione ontologico-biologica – la crescita involontaria –, ma ci
si forma in modo più significativo attraverso un’attività intenzionale e non intenzionale nei confronti dell’ambiente di
vita e degli altri soggetti, e ci si forma,
altresì, indipendentemente da qualsia-
si scelta e azione in virtù di accadimenti, di eventi positivi e negativi (si pensi
alla nascita e alla crescita, ma anche al
trauma, agli stati patologici congeniti o
che si manifestano improvvisamente e
progressivamente e, ovviamente, al misterioso evento della morte) che caratterizzano la vita umana.
Il prendere forma, infatti, determina diversi fenomeni che si sviluppano
contestualmente e in modo plurale e sistemicamente sinergico e che, quindi,
sfuggono in un certo senso alla matrice
aristotelica del rapporto potenza-atto,
sfuggono cioè ad una specifica finalità
naturale dell’azione umana, soprattutto per la complessità della vita interiore
del soggetto in relazione alla sua intenzionalità e all’azione nelle situazioni.
Il processo formativo non solo è vario
e plurale ma si connette più o meno direttamente a quei processi sociali, culturali, politici ed economici che caratterizzano una data realtà antropologica e sociale in uno specifico e determinato tempo storico. In questo processo
che si sviluppa tra la crescita, l’azione
noetico- pratica, l’intenzionalità, la comunicazione, l’azione e l’evento, diversi sono i fenomeni che ne caratterizzano la complessità3.
Innanzitutto, la formazione è espressione di una crescita e di uno sviluppo
involontario, ontologico-biologico del soggetto. Ci si forma, trasformando la propria persona nel corso degli anni. Le trasformazioni dello sviluppo biologico, neuronale, fisiologico, psicologico del soggetto, nonché le sue trasformazioni patologiche determinano cambiamenti spesso
Cfr. P. Ferri, Nativi digitali, Bruno Mondadori, Milano 2011.
Cfr. G. Spadafora, a cura di, Verso l’emancipazione, Carocci, Roma.
Il processo formativo.
2
112 • QUALEDUCAZIONE
3
inavvertiti dalla coscienza del soggetto
e indipendenti dalla sua volontà. Ci si
trasforma dall’infanzia all’adolescenza,
dall’adolescenza alla età matura e ancora di più, dall’età matura alla senescenza; e l’essere trasformati rappresenta il
vissuto del soggetto, che diviene, prende forma e si autodefinisce nel tempo e
nello spazio4. Probabilmente la crescita
non presenta mai una sua specifica spontaneità in quanto il biologico e, in senso
più complessivo, l’ontologico sono determinati da programmazioni “genetiche”
che derivano sempre dall’azione biologica e culturale e da azioni eteronome impreviste. È indubbio, però, che il quadro
della crescita biologica-ontologica risulta il momento fondamentale del “vissuto” del soggetto, un mondo “prelogico”
e “precategoriale” che si sviluppa indipendentemente dall’azione cosciente del
soggetto. È altresì chiaro che la crescita
biologica-ontologica si sviluppa, comunque, indipendentemente dalla coscienza
razionale e dalla volontà del soggetto.
Accanto alla dimensione della formazione determinata dalla crescita e
dallo sviluppo del soggetto esiste anche
una dimensione pulsionale-motivazionale all’ azione che, studiata da varie
correnti psicologiche e psicoanalitiche, è
un fattore centrale per determinare l’agire formativo5. È il vasto e vago territorio della “vita interiore”, della vita presente e non rivelata. La “vita interiore”
4
Cfr. E. Colicchi, Dell’intenzione in educazione. Materiali per una teoria dell’agire educativo,
Loffredo, Napoli 2011.
è un fenomeno complesso che può spiegare le ragioni e le azioni umane attraverso l’interpretazione filosofica, le rappresentazioni psicoanalitiche predominanti (l’inconscio freudiano e l’archetipo junghiano), le vie religiose alla fede
(l’interiorità della preghiera, della meditazione, della illuminazione ascetica).
È indubbio che la “vita interiore”
rappresenta un elemento condizionante
per la coscienza e per l’attività umana
teorico-pratica. Questo aspetto è fondamentale per comprendere il significato
della relazione tra la vita interiore e le
azioni umane. Quando, ad esempio, la
struttura istintuale e la motivazione del
soggetto, per varie ragioni, sono limitate o addirittura negate, si possono insinuare nel soggetto elementi di frustrazione, di apatia, di malinconia, o addirittura di depressione, che caratterizzano
un rapporto negativo con la realtà6. Un
approfondimento della complessa questione della vita interiore è sicuramente dato dalle recenti scoperte delle neuroscienze che forniscono ulteriori spiegazioni al problema dell’apprendimento umano. Senza una chiara consapevolezza dei rapporti tra la vita interiore e
le azioni umane difficilmente si possono
comprendere le possibilità formative del
soggetto, le sue scelte, le sue decisioni e
le sue specifiche realizzazioni pratiche.
Il processo formativo è caratterizzato anche da altri aspetti, uno dei quali può essere sintetizzato dai complessi
fenomeni legati al pensare, al comunicare e all’agire e si afferma attraverso
la connessione organica tra il momento noetico, la comunicazione intersog-
5
Cfr. A. Gaston, Genealogia dell’alienazione,
Feltrinelli, Milano 1998. I. Matte Blanco, Preludi
della bi-logica. I, Metabolismo psichico e logica
dell’inconscio; II. Riflessioni sulla psicodinamica,
Liguori, Napoli 2002-2003.
6
Cfr. Rita Fadda, Sentieri della formazione.
La formatività umana tra azione e evento, Armando, Roma 2002.
QUALEDUCAZIONE • 113
gettiva e il momento pratico-applicativo secondo una connessione “animacorpo” che era stata già intravista dal
giovane Dewey7.
Il momento noetico è forse l’elemento
più complesso legato al rapporto mente-corpo che ha presentato una vastissima letteratura epistemologica negli ultimi decenni, di carattere psicoanalitico
e psichiatrico o legato al fondamentale
sviluppo delle neuroscienze8 .
Quello che in maniera chiara traspare dal rapporto tra la dimensione noetica e la realtà è la complessità di questo rapporto. Si manifesta con chiarezza una problematicità del pensare (basti fare un riferimento anche se molto
generico alla bi-logicità dell’attività del
pensiero o ai disturbi psicologici e psichiatrici della personalità che determinano il complesso rapporto tra mente e
corpo) legata alla complessità del comunicare e dell’agire. È fondamentale questa connessione noetico-comunicativapratica che caratterizza il senso centrale del processo formativo.
La crescita biologica, la motivazione
e la pulsione fondamenti della “vita interiore” e la dimensione noetico-comunicativo-pratica coesistono nell’attività
soggettiva in modo integrato e continuo
ed esprimono il processo formativo che
non potrebbe essere compreso fino in
fondo se non si considera il significato
dell’agire nei confronti degli eventi, degli accadimenti che sono indipendenti
dall’attività umana.
Un incontro occasionale, il caso, un
7
Cfr. T. Pezzano, Il giovane Dewey. Individuo
educazione assoluto, Armando, Roma 2007.
8
Cfr. John T. Cacioppo, W. Patrick, Solitudine. L’essere umano e il bisogno dell’altro (2008),
Il Saggiatore, Milano 2009.
114 • QUALEDUCAZIONE
evento tragico, un trauma, una malattia improvvisa, un lutto, la morte percepita nell’altro ma anche vissuta come
aspettativa, “essere per” l’evento finale nichilisticamente inteso, esprimono
situazioni che determinano, inevitabilmente, una reazione negativa o positiva
del soggetto, un segnale evidente di frustrazione, uno sforzo di rielaborazione,
un momento, comunque, di trasformazione cognitiva, affettiva e relazionale
del soggetto. L’evento esterno all’attività del soggetto è espressione dei più
significativi cambiamenti nella formazione della soggettività.
Il processo formativo esprime, quindi, situazioni di crescita, di sviluppo, di
cura e di coltivazione autoformative e
eteroformative in una soggettività unica e irripetibile, che si sviluppa nel tempo e nello spazio attraverso relazioni di
spontanea formazione, di consapevole autoformazione e di etero-formazione; ma nelle sue trasformazioni è condizionata soprattutto dall’occasionalità dell’evento.
In questa particolare accezione, il
processo formativo è da intendersi come
sviluppantesi in modo oscillante tra diversi contesti: i processi di condizionamento e di indottrinamento, le regole della competizione sociale, le suggestioni del mondo mediatico, i processi di
conformazione, le possibilità di emancipazione salvifica che conducono il soggetto-persona alla possibile realizzazione del suo potenziale umano e del suo
rapporto con il sé, con le altre persone
in forma empatica e dialogica.
In siffatta oscillazione ambivalente
tra la conformazione e l’emancipazione,
che ha sempre caratterizzato l’educabilità umana, due sono le categorie ulteriori di analisi delle problematiche del-
la persona: il riconoscimento dell’identità, in altri termini il punto di arrivo del
processo formativo, che dalla soggettività in formazione è vissuto come una
perenne tensione ideale e l’impossibilità di fare a meno di un vincolo, di un
punto fermo, necessario a determinare
lo sviluppo della potenzialità umana.
Il soggetto, che è un soggetto-persona nella situazione specifica, si definisce
progressivamente attraverso un complesso processo formativo che è insieme conformativo, emancipativo, legato
al riconoscimento e al vincolo. Un insieme di processi che disvela e costituisce
il soggetto-persona nel mondo ma che,
nel contempo, propone un complessivo
ripensamento del concetto di libertà. La
libertà del soggetto-persona non è mai
tanto “libera” né nelle sue potenzialità,
come “assoluto” biologico, né tantomeno
nella sua capacità emancipativa e progressiva di trasformazione del mondo9.
La formazione della soggettività della persona unica e irripetibile trova un
suo elemento decisivo nella relazione intersoggettiva, di cui il dialogo formativo interculturale è l’elemento fondante.
Le varie dimensioni del dialogo formativo interculturale
pensiero di matrice platonico-aristotelica. In particolare su uno sfondo religioso sono stati variamente trattati i temi
del riconoscimento dell’altro (Lévinas),
del dialogo comunicativo (Buber), ma
soprattutto della comunicazione linguistico-dialogica (Ebner)10. Ma, accanto a
questa impostazione della filosofia intersoggettiva, è stata decisiva la “secolarizzazione” del processo intersoggettivo e comunicativo che lega l’impianto
della filosofia intersoggettiva alla ricerca
della democrazia dal basso (Habermas e
Apel)11. E, accanto a questa impostazione filosofica, non bisogna dimenticare il
tema centrale della ricerca delle neuroscienze sul tema dei “neuroni a specchio”
che può costituire un ulteriore contributo alle problematiche culturali che analizzano il tema della intersoggettività12.
In base a questa impostazione il dibattito interculturale contemporaneo ha
assunto una sua centralità pedagogica,
legata a quelle che sono le politiche sociali sulla immigrazione. Come ho cercato di dimostrare, il processo formativo
individua le trasformazioni del soggetto-persona in tutta la sua complessità
nella crescita, nella vita interiore, nella
intenzionalità, nella comunicazione intersoggettiva, nell’azione e nell’evento.
La cultura filosofica contemporanea
ha investito molto nella riflessione sulla intersoggettività come problema filosofico. La dimensione intersoggettiva è
espressione di una lunga trasformazione della filosofia con le radici salde nella struttura dialogica e confutativa del
10
Cfr. tra i numerosissimi interventi i recenti: F. Ebner, Proviamo a guardare al futuro,
Morcelliana, Brescia 2009; E. Lévinas, Totalità e
infinito. Saggio sull’esteriorità, Jaca Book, Milano
2010; M. Buber, Il principio dialogico e altri saggi,
Feltrinelli, Milano 2011.
9
Cfr. Cfr. R. Laporta, L’assoluto pedagogico.
Saggio sulla libertà in educazione, La Nuova
Italia, Firenze 1996.
12
C. Rizzolati e G. Sinigaglia, So quel che
fai. Il cervello che agisce e i neuroni a specchio,
Raffaello Cortina Milano 2006.
11
Cfr. K. Otto Apel, Etica della comunicazione, Jaca Book, Milano 1992; J. Habermas,
L’inclusione dell’altro. Studi di teoria politica,
Feltrinelli, Milano 2002.
QUALEDUCAZIONE • 115
Un aspetto fondamentale del processo formativo è dato dal legame intersoggettivo che, inevitabilmente, approfondisce il complesso rapporto tra l’identità
e la relazione del soggetto-persona con
se stesso e con l’alterità e, per quanto
concerne il processo interculturale, la
relazione intersoggettiva diventa fondamentale per analizzare le problematiche pedagogiche che ne derivano e, in
particolare, il concetto fondante di integrazione interculturale13.
L’intersoggettività, dal punto di vista interculturale, si pone come incontro di due processi formativi dei soggetti-persona che tendono a svilupparsi tra
l’appartenenza e l’emancipazione, tra la
ricerca dell’identità e la possibilità di
trasformazione formativa, tra il vincolo della tradizione etnico-culturale-religiosa e la possibilità del cambiamento
formativo in relazione all’alterità.
In altri termini, i processi formativi dei soggetti-persona si relazionano
in modo complesso tenendo conto della
chiara oscillazione di ognuno tra il vincolo della tradizione etnico-culturale-religiosa e le possibilità di trasformazione
identitaria. La relazione intersoggettiva, che si sviluppa nel complesso rapporto Io-Tu, è determinata da un incontro
problematico tra valori di cui sono portatori i soggetti-persona che, relazionandosi, esprimono un complesso incontro
valoriale. Il nodo della questione della
relazione intersoggettiva è determinato dal concetto di dialogo intersoggettivo secondo una prospettiva pedagogica.
In effetti, senza un confronto con il
concetto di dialogo intersoggettivo pe13
A. Portera, P. Dusi, B. Guidetti, L’educazione interculturB.ale alla cittadinanza. La scuola
come laboratorio, Carocci, Roma 2010
116 • QUALEDUCAZIONE
dagogicamente fondato, intendendo con
questo termine un dialogo che determina trasformazioni educative nei soggetti-persona coinvolti, è difficile approfondire la dimensione dell’intersoggettività. Il dialogo intersoggettivo è, dunque,
il luogo di teorizzazione e di applicazione delle problematiche della intersoggettività pedagogicamente intesa. Questa si rivela come una teorizzazione e,
al tempo stesso, una pratica dell’agire
che nella dimensione interculturale si
esprime in modo significativo.
Per tentare di chiarire il problema
complessivo della dialogicità interculturale dal punto di vista pedagogico, si
potrebbero definire dal punto di vista
interculturale tre possibilità di dialogicità interculturale tra i soggetti-persona nella classe scolastica e, in senso più
generale, nei rapporti umani nei differenti contesti sociali e politici.
Una prima possibilità è determinata
dalla difficoltà dell’incontro stesso, dalla complessità della comunicazione intersoggettiva e, dunque, dalle possibilità limitate del dialogo. Tra due soggettipersona si può ipotizzare una difficoltà
di dialogo interculturale, ad esempio,
tra un cristiano e un musulmano chiaramente fondamentalisti. Quello che
rappresenta, da un punto di vista pedagogico, una siffatta dialogictà interculturale è determinato dalla difficoltà
dell’incontro e dalla difficile integrazione empatica e valoriale.
Il risultato positivo di una simile situazione nella scuola, nella famiglia e
nel mondo esterno non può che essere
rappresentata dalla tolleranza dell’altro intesa come reciproco rispetto valoriale. In genere, un rapporto interculturale inteso come tolleranza, come accettazione ma soprattutto rispetto dell’altro,
non è pienamente considerato in quanto
il tema della tolleranza, secondo la tradizione illuministica e massonica14, (K.
Popper, 2003) dovrebbe essere superato dal concetto di integrazione e, nel recente dibattitico culturale e politico della formazione, dell’inclusione sociale.
La tolleranza è espressione del rispetto dell’alterità di fede, di culto, di razza,
del soggetto-persona in nome dei princìpi della ragione che permette, in quanto ragione, di superare l’atteggiamento
di intolleranza tipico dello scontro tra le
ideologie e le fedi religiose contrapposte.
Eppure, nel caso-limite dell’incontro
tra due appartenze etnico-religiose fondamentaliste e intolleranti è necessario
da un punto di vista pedagogico sforzarsi, in ogni modo, con le adeguate strategie metodologiche e didattiche per cercare il dialogo, l’incontro, l’integrazione, in
altri termini la più completa comunicazione interculturale. Ma il principio pedagogico che sorregge questa tipologia
di dialogo interculturale è la possibilità di realizzare il rispetto reciproco pur
mantenendo le diversità molto accentuate. Un rispetto tollerante, in questo caso,
determina non la sopportazione dell’alterità, ma la consapevolezza che l’alterità può sviluppare la sua specifica formazione in relazione alla sua appartenenza etnico-culturale-religiosa. Si tratta di
un caso-limite di dialogicità interculturale, ma è estremamente significativo.
La tolleranza come nodo centrale della
cultura illuminista e liberale può diventare una conquista della comprensione
dell’alterità se la si considera come limite inviolabile e invalicabile nel rapporto
Cfr. K. Popper, In Search of a Better World,
Routledge, London- New York 1994.
14
intersoggettivo. L’atteggiamento di tolleranza inteso come reciproco rispetto è,
comunque, fondamentale per definire il
senso del rispetto dell’altro, la considerazione che l’altro debba esprimere un
limite ad ogni azione culturale ed eticopolitica che possa violare la sua unicità e la sua irripetibilità. La tolleranza è
da intendersi, in questo senso, come la
presa di coscienza del rispetto culturale
e etico dell’altro senza promuovere un
processo costruttivo di integrazione. È
un riconoscimento che già definisce una
possibile integrazione.
Una seconda possibilità di dialogicità interculturale è data dalla capacità di costruire “piattaforme” valoriali comuni tra i due soggetti-persona. È,
quest’ultima, la dimensione pedagogica più ricorrente nelle possibili relazioni interculturali.
Si tratta nell’ambito di un’aula scolastica, ad esempio, della modalità di
incontro-dialogo più diffusa. La dialogicità interculturale di due soggettipersona che presentano diversi processi formativi può esprimere una piattaforma valoriale comune, “transazionale”, di reciproco compromesso tra i due
processi formativi.
Non si tratta di una vera e propria
integrazione, intesa come costruzione
di nuova cultura, di nuovi valori in seguito all’incontro-dialogo tra i soggettipersona. Si tratta di un reciproco compromesso di valori culturali tra i due
processi formativi, un punto intermedio valoriale basato, specialmente dal
punto di vista delle strategie didattiche, sulla conoscenza delle tradizioni
culturali, politiche e religiose dell’altro
e, quindi, sulla riformulazione dei contenuti dell’insegnamento e di alcune
metodologie didattiche.
QUALEDUCAZIONE • 117
In effetti, il concetto di integrazione,
che è stato sviluppato principalmente
nell’ambito della pedagogia speciale per
i soggetti-persona diversamente abili
con modalità differenziate, diventa il
paradigma centrale del dialogo formativo interculturale “transazionale” tra
un Io e un Tu.
Dal punto di vista della intersoggettività non vi è soltanto un “riconoscimento” dell’altro o una specifica comunicazione linguistica, un “agire comunicativo” che pone la centralità dell’intersoggettività come dimensione fondante
dell’agire umano, ma c’è dal punto di vista pedagogico qualcosa in più rispetto
alle tradizionali definizioni filosofiche
della intersoggettività. L’integrazione
Io-Tu in questa prospettiva interculturale è un incontro-dialogo, stimolato dal
rapporto insegnamento-apprendimento, una reciproca concessione di valori,
una privazione e un accrescimento che
potrebbe determinare un reale incontro
tra due soggetti-persona in un momento specifico della loro esistenza, nell’infanzia e nella preadolescenza.
La terza possibilità della dialogicità
interculturale pedagogicamente fondata si può definire quella della integrazione “realizzata come nuova costruzione di valori”. L’integrazione interculturale è un processo pedagogico-didattico
che determina una trasformazione completa dei processi formativi rispetto alle
appartenenze originarie. Il processo formativo interpersonale tra due soggettipersona con nette differenziazioni delle tradizioni etnico-religiose-culturali,
costruisce nuovi valori culturali, cognitivi, metacognitivi affettivi e sociali Si
può raggiungere, in un certo senso, una
completa dialogicità interculturale, che
può riproporre una importante riflessio118 • QUALEDUCAZIONE
ne sul significato nella contemporaneità della scuola come “nuovo laboratorio
di democrazia” e come nuova coscienza
empatica nel mondo contemporaneo15. In
effetti la dialogictà interculturale diventa “empatica” nel momento in cui si realizza la possibilità di costruire nuovi valori, nuove possibilità culturali comuni.
L’ibridismo interculturale può attivare in modo specifico una comunicazione dialogica che permetta, ad esempio, un nuovo insegnamento della storia
che tenga conto delle diverse tradizioni
culturali (musulmana, cinese, indiana,
ecc.) per riproporre un nuovo insegnamento della storia non più e non solo
italiano o eurocentrico ma addirittura globale, e che permetta, quindi, una
formazione specifica più adeguata alle
varie dimensioni interculturali della società contemporanea.
Questi tre paradigmi possono definire uno specifico modello di dialogicità
formativa interculturale unitaria e differenziata al tempo stesso da applicare
alla scuola dell’autonomia contemporanea. In questo senso è fondamentale da
parte dell’insegnante che il lavoro pedagogico e didattico fondamentale nella scuola dell’autonomia è quello di promuovere la costruzione intersoggettiva
di valori, tenendo in debita considerazione queste tre possibilità di comunicazione interculturale anche per ripensare la classica distinzione tra assimilazione e multiculturalismo che è centrale
nelle analisi culturali contemporanee16.
Questa dimensione interculturale
15
Cfr. J. Rifkin, La civiltà dell’empatia. La
corsa verso la coscienza globale nel mondo in crisi,
Mondadori, Milano 2010.
Cfr. V. Cotesto, Sociologia dello straniero,
Carocci, Roma 2012.
16
può dare un contributo essenziale ad
una pedagogia della democrazia per
la trasformazione della società contemporanea, in quanto la “naturalità”
della democrazia, intesa come “way of
life”, modo di vivere secondo l’accezione deweyana, non può che fondarsi su
un modello pedagogico interculturale.
Il dialogo interculturale nella sua
dimensione scolastica
Le complessità del processo formativo del soggetto-persona e del dialogo
formativo interculturale pongono con
chiarezza un maggiore approfondimento del concetto di scuola democratica nel
mondo contemporaneo. Facendo riferimento a questo problema ritengo che
il ruolo culturale e la funzione politica
dell’insegnante risulti fondamentale.
Il processo pratico-applicativo non
può che essere mediato, come già intuiva Dewey nel testo del 1929 The Sources
of a Science of Education, dal docente,
dalla “mente dell’insegnante” che applica consapevolmente o inconsapevolmente i modelli delle scienze dell’educazione alle situazioni formative17. Il tema
sviluppato dalle ricerche di storia della scuola nel nostro paese negli ultimi
decenni secondo cui “tanto vale la scuola quanto vale l’insegnante” deve essere rielaborato in una prospettiva europea nell’ambito del concetto di risorsa
umana legata al discorso sulla “società
della conoscenza”. “Il capitale umano”
nella scuola, (concetto probabilmente da
rivedere anche alla luce dei gravi pro17
Cfr. L. Hickman G. Spadafora, edited by,
John Dewey’s Educational Philosophy in International Perspective, SIUP, tr. 2009.
blemi economici che la cosiddetta “società della conoscenza” ha determinato per l’economia europea ), è rappresentato dall’insegnante e da chi agisce
educativamente nella scuola.
Nell’ambito della letteratura scientifica internazionale sull’argomento
è abbastanza chiaro che la formazione dell’insegnante e la sua azione pedagogico-didattica sono fondamentali
per riaffermare la centralità della scuola come centro per la realizzazione dei
processi formativi e per la promozione
culturale e politica della democrazia
delle comunità.
L’insegnante, come è stato già detto
con riferimento all’intuizione deweyana, è un “medium” che determina l’applicazione alle situazioni scolastico-educative dei princìpi culturali e pedagogico-didattici. È indubbio che l’insegnante ha bisogno di una preparazione “plurale” per definire la sua formazione e la
sua azione (vi può essere una distinzione temporale e non epistemologica tra
i due momenti) nell’ambito della classe
e della realtà complessiva della scuola.
In effetti, l’insegnante deve conoscere i
contenuti del suo ambito disciplinare,
i principi della didattica e della metodologia e, soprattutto le scienze dell’educazione. Questa rete di conoscenze e
di saperi teorico-pratici deve essere applicata e contestualizzata alle specifiche
situazioni educative per migliorare la
qualità dell’apprendimento e della formazione dello studente nelle sue varie
fasi di sviluppo biopsichico.
Questo significa che l’azione dell’insegnante, al pari dell’educatore professionale, si pone come il nodo specifico
dell’incrocio tra la teorizzazione e l’applicazione, il momento in cui si definisce nei risultati concreti la complessità
QUALEDUCAZIONE • 119
del rapporto tra il sapere pedagogico e
l’agire educativo.
Proprio per questo l’insegnante, che
nella recente normativa italiana riguardo la scuola dell’infanzia e la scuola primaria non è stato valorizzato adeguatamente rispettando le sue specifiche e
plurali competenze, ha un ruolo fondamentale per la costruzione di una scuola democratica.
È abbastanza evidente che l’insegnante deve preliminarmente mettere
in discussione la sua specifica identità
culturale e professionale proprio per
eliminare quei pregiudizi, inevitabili
nell’approccio con l’altro, o in senso più
complessivo, per mettere in discussione da un punto di vista culturale e professionale il proprio approccio critico e
per favorire quel pensiero “decentrato”
che può ascoltare le ragioni dell’altro e
rendersi conto delle diversità culturali e sociali18.
È in questa prospettiva che il dialogo formativo interculturale diventa un
momento determinante come applicazione del processo formativo. In altri
termini si determina e si sviluppa una
doppia comunicazione formativa nella
situazione scolastica: quella dell’insegnante nei confronti dell’allievo o degli allievi (le due relazioni sono molto
diverse) da una parte, e il dialogo formativo intersoggettivo tra gli studenti
mediato soprattutto, ma non esclusivamente, dall’insegnante19.
Un altro aspetto fondamentale da
approfondire è la riorganizzazione del
curricolo secondo una prospettiva interculturale. La “rivisitazione” interculturale del curricolo è centrale per orientare le scelte interculturali complessive della scuola. L’ampliamento alla prospettiva di altre culture dell’insegnamento, sia nelle discipline di carattere
linguistico-umanistico (in particolare il
settore storico-linguistico), sia nelle discipline di carattere scientifico (in particolare il settore logico-matematico e naturalistico) determina la possibilità di
formare gli studenti a competenze critiche più dinamiche e flessibili, adatte
alle specifiche dimensioni interculturali
della scuola contemporanea.
Il dialogo, tenendo conto di questi
due presupposti, diventa una particolare dimensione della trasformazione
della situazione specifica. Il dialogo formativo interculturale, infatti, rappresenta il momento applicativo centrale
di un modello pedagogico in una specifica classe della scuola contemporanea
per favorire l’educazione alla cittadinanza e, quindi, la democrazia20. Il senso dell’applicazione che avviene da parte dell’insegnante è determinato dalla
possibile trasformazione dell’esistente,
dal passaggio da un modello “tollerante” di dialogo formativo ad un modello
di “nuova costruzione” di valori, di cui
la tensione verso la democrazia e la
giustizia etico-sociale è fondamentale21
La complessità del fenomeno educativo, legata ai criteri etico-pedagogici di
18
Cfr. A. Santoni Rugiu, S. Santamaita, Il
professore nella scuola italiana dall’Ottocento a
oggi, Laterza, Roma 2011.
20
Cfr. L. Corradini, Cittadinanza e Costituzione, Tecnodid, Napoli 2009; S. Chistolini, a cura
di, Cittadinanza e convivenza civile nella scuola
europea. Saggi in onore di Luciano Corradini,
Armando, Roma 2006.
Cfr. R. Guolo, Identità e paura. Gli italiani
e l’immigrazione, Forum Edizioni, Udine 2011.
K. Amartya Sen, L’idea di giustizia, Mondadori, Milano 2010.
19
120 • QUALEDUCAZIONE
21
riferimento, si basa sulle effettive e possibili trasformazioni che i vari modelli
di dialogo formativo interculturale determinano nell’ambito della situazione
educativa. Il risultato specifico della applicazione può essere orientato da una
scienza educativa della possibilità trasformativa (SEPT),(ovviamente da fondare e la cui esplicitazione dell’acronimo serve solo per definire alcune possibilità di orientamento pedagogico), che
adatta, secondo criteri di previsione e
controllo, quelli che sono le specificità
del modello teorico-empirico del dialogo formativo interculturale.
Le conseguenze fondamentali della
applicazione scolastica del dialogo formativo interculturale sono determinate
dall’orientamento delle possibilità di trasformazione delle situazioni educative
specifiche e, ovviamente, dalla possibilità di favorire la democrazia nella scuola.
Il modello pedagogico del dialogo formativo interculturale non può che favorire i due aspetti fondamentali di una
pedagogia della democrazia: la valorizzazione del soggetto-persona e il miglioramento del dialogo formativo interculturale.
Una pedagogia della democrazia deve
orientare verso possibili trasformazioni il soggetto-persona nella complessità delle varie fasi della sua formazione
e questo può avvenire solo grazie all’azione culturale e pedagogico-didattica
dell’insegnante. La soggettività della
persona è unica, irripetibile, irrinunciabile ed è molto legata alla imprevedibilità e al possibile insuccesso del progetto
di vita di ogni soggetto-persona e del suo
agire formativo. L’altro compito dell’azione dell’insegnante per costruire una
possibile scuola democratica è favorire il
processo della relazione empatica inter-
soggettiva specialmente, ma non solo o
esclusivamente, da un punto di vista del
dialogo formativo interculturale.
Il progetto formativo della persona
pone l’insegnante come un “progettista
della formazione” unica e irripetibile del
soggetto-persona nella sua complessità.
L’insegnante, nello spostare il baricentro della sua azione dalla trasmissione del sapere alla valorizzazione della
formazione del soggetto- persona esprime la possibilità di analizzare e orientare una possibile trasformazione del
progetto di vita del soggetto-persona.
In questa forma di orientamento alle
scelte consapevoli il docente non può
che orientare le possibili trasformazioni
educative verso la responsabilità e l’autonomia del soggetto-persona.
Questi concetti non possono non considerare il rapporto con gli altri come un
momento fondamentale della crescita e
dello sviluppo di ogni soggetto-persona
nelle situazioni specifiche. Non si è mai
responsabili se non in relazione all’altro
e per l’altro, non si è mai autonomi senza uno specifico processo di dipendenza
da vincoli esterni e, in particolare, da
vincoli intersoggettivi di varia natura
e di vario genere. Il dialogo formativo
interculturale, in questo senso, è una
delle azioni più significative dell’azione del docente. La relazione intersoggettiva trova proprio nell’interculturalità una sua dimensione fondamentale. L’intercultura è la chiave di lettura
per l’insegnante per favorire il processo intersoggettivo di una cultura democratica. L’insegnante riesce a formare
la soggettività della persona solo se coglie l’importanza del dialogo formativo
interculturale.
Non può sussistere la soggettività
della persona se non in relazione all’alQUALEDUCAZIONE • 121
tro e la relazione intersoggettiva si pone
e si propone come dialogo formativo che
diventa il nodo centrale della responsabilità umana. Si è responsabili non solo
se si interiorizzano le norme e le regole
e si operano le scelte e le azioni che determinano le conseguenze più opportune, ma soprattutto se questo complesso
processo che è stato variamente trattato
dalle teorie etiche si relaziona con l’alterità. Si è responsabili solo se si riesce
ad accettare e a costruire una rete valoriale con l’alterità, ritenuta un vincolo
importante per autodeterminare la responsabilità del soggetto-persona. L’insegnante, nel promuovere il dialogo formativo interculturale nelle sue varie dimensioni, favorisce i processi democratici nell’ambito della classe e della scuola.
Ci si è resi conto come il dibattito
complessivo sulle tematiche della democrazia approfondisca soprattutto la
ricerca di tecniche politiche per la migliore organizzazione delle istituzioni
democratiche per migliorare la governabilità dei sistemi democratici determinati, soprattutto, dal criterio della
rappresentanza, dal potere delle élites spesso distanti dai bisogni concreti
dall’opinione pubblica. Questa fenomenologia del potere non permette la partecipazione dei cittadini ai processi di
deliberazione pubblica, in quanto non
sviluppa specifici processi formativi e
comunitari dal basso22
Proprio per questo, in relazione al
dibattito contemporaneo, la vera novità del discorso sulla e per la democrazia rimane la centralità della scuola e,
quindi, principalmente dell’insegnan-
P. Ginsborg, La democrazia che non c’è,
Einaudi, Torino 2006.
22
122 • QUALEDUCAZIONE
te all’interno del processo scolastico. E
in questa prospettiva si deve cogliere il
legame profondo tra il concetto di dialogo formativo interculturale e l’azione
culturale, pedagogica e didattica degli
insegnanti. L’insegnante, che favorisce il dialogo formativo interculturale, di fatto contribuisce a costruire una
nuova scuola come “laboratorio di democrazia”. L’intercultura è la chiave di
lettura della contemporaneità per comprendere e favorire i processi democratici, e l’insegnante in questa prospettiva rappresenta la condizione necessaria ma non sufficiente per costruire il
processo democratico nella scuola della
contemporaneità.
Il dilemma politico assimilazionemulticulturalismo, che sembra essere
di difficile soluzione, può essere superato dall’ipotesi complessiva di questo
scritto: l’equilibrio tra il modello assimilazionista e quello multiculturale è
quello di promuovere la costruzione della democrazia. In effetti non può e non
deve esistere una contrapposizione tra
l’assimilazione e il multiculturalismo,
in quanto l’assimilazione ai valori culturali, religiosi e etici della terra ospitante dell’immigrazione non può essere una conformazione da imporre, ma
deve legarsi alla possibilità della costruzione democratica di una società multiculturale e questo può avvenire soltanto all’interno della fondazione di un dialogo formativo interculturale, condizione indispensabile per ridefinire e rifondare il concetto di scuola democratica.
FONDAZIONE CULTURALE
GIANFRANCESCO SERIO
Breve storia
Alla Fondazione Gianfrancesco Serio [34 anni di
promozione della cultura di pace, fondamento della
Legalità] si riconosce una ricchezza di idee per la
vita onesta e solidale. Nata nel 1977, ha assunto la
veste giuridica di fondazione nel 1980 (con riconoscimento della personalità giuridica); dall’1.04.06
ha assunto la veste attuale di Associazione culturale di volontariato avente le stesse finalità della
fondazione. Infatti, continua a svolgere attività di
prevenzione della violenza, della corruzione, della
cultura di morte diffondendo i valori della vita.
Ha assegnato l’Impegno per la pace a Madre Teresa di Calcutta (1980), al vescovo anticamorra, Don
Antonio Riboldi (1981), al prof. Antonino Zichichi
(1984), ai giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, alla memoria (1994), a Nicola Gratteri (2009)
e a personalità del mondo della politica (Mandela,
Scalfaro, Prodi) oltre che a Il delfino di Cosenza, il
Progetto Abele di Torino, il S. Egidio di Roma, l’Unicef . Per altre informazioni sulle attività svolte dal
1979 ad oggi, è possibile consultare le pagine del
sito (www.associazionegianfrancescoserio.it
L’Associazione è un Centro studi per la promozione della cultura di pace e del dialogo fra le culture europee. All’uopo ha organizzato eventi regionale, nazionali e internazionali; pubblica le riviste
Qualeducazione (a partire dal1982) e Vivere la
nonviolenza (1994) rivolte a università, biblioteche, fondazioni, associazioni, scuole e al mondo
dell’associazionismo.
Cura la collana editoriale Acta Paedagogica dell’Editrice Pellegrini di Cosenza i cui testi, adottati dalle
università affrontano temi di cultura generale (Nonviolenza, Diritti umani, Giustizia, Pace, Legalità,
Salute, Onestà). Le si riconosce il merito di aver
fondato una Comunità scientifica internazionale
per la cultura di pace che si propone di promuovere il clima di giustizia mediante la realizzazione
di appositi progetti, messaggi, incontri culturali coniugando la cultura dell’etica con la politica intesa
come servizio alla persona.
Progetti recenti:
2006 Giornata della legalità: Pace e Giustizia nei
cuori -Cetraro (Cs), Colonia San Benedetto. Relatori: Don Ennio Stamile, direttore della Caritas
regionale; Giancarlo Maria Brigantini, vescovo di
Locri; Don Giovanni Mazzillo, teologo; Maria Grazia Laganà, vedova Fortugno; Antonella Bruno
Ganeri, senatrice; Giuseppe Aieta, sindaco della
città; Giuseppe Serio, presidente del Centro di promozione della cultura di pace. Concerto di Agnese
Ginocchio, cantautrice per la pace. Fiaccolata per il
borgo marinaio della città tirrenica.
2007 Formazione di volontari per la cittadinanza
attiva in collaborazione con il Comune di Praia a
Mare, Assessorato alle Politiche sociali e giovanili.
Assistenza ad ammalati soli e inabili (in collaborazione con il Comune di Praia a Mare e l’ Assessorato alle attività di promozione assistenziali);
promozione della legalità e stili di vita democratici;
promozione d’incontri culturali sul tema Promuovi
un clima di giustizia.
2008 Convegno nazionale, n collaborazione con la
presidenza nazionale dell’ Associazione Pedagogica Italiana sul tema: Futuro dei giovani e media
education. Relatori: Giuseppe Spadafora, Giovannella Greco, Mario Caligiuri (Unical); S. Serenella
Macchietti, Sergio Angori (univ di Siena); Luciano
Corradini, unv. di Roma3; Giuseppe Serio, direttore
della rivista Qualeducazione.
2010 Progetto Cittadinanza attiva - Promozione
della legalità (finanziato con fondi protocollo d’intesa Fondazioni bancarie e volontariato) che si è
svolto nel territorio dell’alto Tirreno cosentino. Con
l’Associazione Gianfrancesco Serio, responsabile
della partnership, partecipano i comuni di Praia a
Mare e Tortora, in qualità di Enti erogatori di spazi
per la logistica degli interventi. Inoltre, aderiscono
le Direzioni didattiche di Praia a Mare e Tortora, l’Istituto tecnico per il Turismo di Tortora in qualità di
partner nello svolgimento autonomo di attività didattiche nella scuola sul tema della legalità; il Centro di Accoglienza L’Ulivo di Tortora, Cooperativa
sociale per la realizzazione delle attività di rieducazione alla legalità, attraverso la Rassegna stampa e i Racconti di vita vissuta elaborati dagli ospiti
dell’Ulivo; l’Associazione di volontariato Arianna
di Tortora in qualità di partner per la realizzazione
delle attività didattiche nella scuola, sul tema della legalità, riguardanti la tematica “Costituzione e
cittadinanza”; il Centro studi Aldo Nicodemo collaboratore nella gestione del Centro Permanente del
Volontariato locale.
Alle attività, interne ed esterne, previste dal Progetto, hanno collaborato il Centro Permanente
per il Volontariato della fondazione Serio di Praia
a Mare; il Centro d’accoglienza l’Ulivo di Tortora;
l’associazione di volontariato Arianna di Tortora; il
Centro di Aggregazione Giovanile di Praia a Mare
e l’Osservatorio su “criminalità, illegalità”, in via
Piave, 4 Praia a Mare, curato dall’associazione di
volontariato Gianfrancesco Serio.
Nel progetto era previsto il “Servizio di vigilanza
presso le scuole”, svolto dai volontari al fine di prevenire lo spaccio di droghe. Ha funzionato il sito
Web (www.proettolegalita.con) in cui sono state
pubblicate le fasi progettuali, la rassegna stampa,
le news del progetto dotato del blog su cui i giova-
QUALEDUCAZIONE • 123
ni si sono confrontati e raccontati. Oltre al sito, il
progetto è stato anche sui social network (con un
gruppo su facebook) che ha realizzato le “Giornate
di sensibilizzazione e orientamento” per migranti regolari finalizzate alla conoscenza della lingua
italiana, della normativa concernente il mondo del
lavoro e la conoscenza della prima parte della Costituzione italiana.
La Rassegna stampa, a cura dell’Ulivo, periodicamente è stata pubblicata sul sito web, con registrazione di eventi di particolare rilievo (criminalità, tossico-dipendenza, alcolismo, devianza).
Sono state eseguite delle esercitazioni simulate di
cittadinanza attiva (nei comuni di Praia a Mare e
Tortora) anche su strada con i volontari e i Vigili.
Per ciò che concerne l’attività didattica nelle scuole
aderenti, autonomamente, i docenti hanno illustrato gli articoli della Costituzione italiana inerenti all’
Educazione alla cittadinanza con temi e disegni
elaborati dagli alunni delle classi IV di scuola primaria e dagli studenti nella quotidianità ordinaria
dell’attività scolastica.
A gennaio del 2012 è stato pubblicato un libro
avente lo stesso titolo del progetto in cui figurano
anche gli elaborati degli alunni, mentre, nel corso
di svolgimento del progetto sono state presentate
al pubblico le esperienze di vita raccontate dagli
“ospiti” dell’Ulivo, per una riflessione sui loro percorsi esistenziali “sbagliati” e la diffusione di esse
per una prevenzione indiretta dell’uso di sostanze
tossiche ed alcoliche.
I convegni dell’Associazione
CONVEGNI INTERNAZIONALI
Si riportano i nomi degli studiosi che collaborano
alle attività della Fondazione con l’indicazione, soltanto per la prima volta, della sede dell’università
o di lavoro oppure nel caso siano passati ad altra
sede
Praia a Mare 2-4 ottobre 1980, Educazione alla
pace. Un progetto per la scuola degli anni ‘80. Relatori i proff. Aldo Agazzi (università cattolica di Milano), Angelo Broccoli (univ. La sapienza di Roma),
Serafino Cambareri (univ. di Catania), Pasquale
Cammarota (univ. di Salerno), Giuseppe Catalfamo (univ. di Messina), Luciano Corradini (univ. di
Milano), Benedetto D’Amore (direttore del centro
internazionale di relazioni culturali, Roma), Francesco Fusca (dir. did. di Corigliano Calabro), Guido
Giugni, (Univ. di Perugia), Gaetano Mollo (univ. di
Perugia), Antonio Pieretti (Univ. di Perugia), Fabrizio Ravaglioli (univ La Sapienza di Roma), Giuseppe Serio (liceo cl. di Praia a Mare), Giuseppe
Spadafora (univ. della Calabria), Giuseppe Trebisacce (univ. della Calabria), Matteo Venza (univ. di
Messina). Gli Atti sono stati pubblicati dall’ Editrice
Città Nuova 1981.
Praia a Mare 18-21 ottobre 1981: I valori sociopolitici nella vita giovanile e nelle istituzioni educative del nostro tempo. Relatori proff. Italo Bertoni
(univ. di Genova), Giuseppe. Catalfamo, Luciano
124 • QUALEDUCAZIONE
Corradini, Francesco Fusca, Guido Giugni, Francesco Inzodda (univ. di Messina), Gaetano Mollo, Antonio Pieretti, Fabrizio Ravaglioli, Armando
Rigobello (univ. di Roma Tor Vergata), Giuseppe
Serio, Vittorio Telmon (univ. di Bologna), Giuseppe
Trebisacce, Matteo Venza. Gli Atti sono stati pubblicati dall’ Ed. Luigi Pellegrini, Cosenza 1982.
Praia a Mare, 12-15 settembre 1982: Educazione alla Giustizia. Relatori: proff. Giuseppe Acone
(univ. di Salerno), Aldo Agazzi, Italo Bertoni, Giuseppe Catalfamo, Luciano Corradini, Benedetto
D’Amore, Michele Famiglietti (Univ della Calabria),
Francesco Fusca, Guido Giugni, Antonio Marchesiello (Suprema corte di Cassazione), Antonio Pieretti, Fabrizio Ravaglioli, Armando Rigobello, Giuseppe Serio, Giuseppe Trebisacce. Gli Atti sono
stati pubblicati dall’ Ed. Pellegrini 1983.
Praia a Mare 18-21 maggio 1984: I diritti umani.
Presente e futuro dell’uomo e dell’umanità. Relatori: proff. Giuseppe Acone, Aldo Agazzi, Adriano
Bausola (Rettore dell’univ. cattolica, Milano), Enrico Berti (univ. di Padova), Italo Bertoni, Angelo
Broccoli, Vittorio Buscemi, Pasquale Cammarota,
Serafino Cambareri, Giuseppe Catalfamo, Luciano
Corradini, Vito D’Armento (univ. di Lecce),Guido
Giugni, Francesco Inzodda, Louis Massarenti
(univ. di Ginevra), Jacques Muhlethaler (univ. di
Ginevra), Anna M. Murdaca (univ di Messina), Antonio Papisca (univ. di Padova, direttore dell’ufficio
europeo dei diritti dell’uomo), Louis P. Pettiti, Antonio Pieretti, Armando Rigobello, Aurelio Rizzacasa
(univ. di Perugia), Giuseppe Serio, Jhon Toth (univ.
di Ginevra), Matteo Venza. Gli Atti sono stati pubblicati dall’ Ed. Pellegrini 1985.
Praia a Mare 15-18 ottobre 1986: Educazione e
democrazia tra crisi e innovazione. Relatori: Silvana Aggugini Matano (docente di SM, Milano) Enrico Berti, Italo Bertoni, Angelo Broccoli, Piero Bucci,
Pasquale Cammarota, Giuseppe Catalfamo, Hervè
Cavallera (univ. di Lecce), Giacomo Cives (univ di
Roma, La Sapienza), Luciano Corradini, Giuseppe
Flores D’Arcais (univ di Padova), P. De Biase Gaiotti (deputato europeo), Franco Frabboni (univ. di
Bologna), Otto Filtzinger, Francesco Fusca, Anthony Lumley (univ. di Londra), Mario Manno (univ. di
Palermo), Antonio Pieretti, Franca Pinto Minerva,
Alvaro Pollice, Armando Rigobello, Giuseppe Serio, Claudio Volpi (univ. di Roma La Sapienza). Gli
Atti sono stati pubblicati dall’ Ed. Pellegrini 1988.
Praia a Mare 1-4 maggio 1988: Dove va la scienza? Educazione alla conoscenza e alla responsabilità. Relatori: proff. Giuseppe Acone, Luigi
Alici (univ. di Perugia), Massimo Baldini (univ. di
Perugia), Franco Blezza (univ. di Trieste), Michele
Borrelli, Giovanni Brianda (univ. di Cagliari) Wilheln
Büttemeyer (univ. di Olldenburg), Pasquale Cammarota, Giuseppe Catalfamo, Giuseppe Cavallini (univ. di Milano), Luciano Corradini, Maria E.
Koutlouka (univ. di Salonicco), Italo Mancini (univ.
di Urbino), Mario Manno, Pasquale Mascheretti
(univ. di Pavia), Riccardo Massa (univ. di Milano),
Antonio Pieretti, Louis Prieto (univ. di Ginevra), Mi-
chele Riverso (univ. di Cassino), Giuseppe Serio,
Bernardino Stamino (univ. di Cassino), Barbara
Skarga (univ. di Varsavia), Antonino Zichichi, Centro di ricerche nucleari, Ginevra; univ. di Bologna).
Gli Atti sono stati pubblicati dall’Ed. L. Pellegrini
1990.
Praia a Mare 28-31 ottobre 1990: Educazione alla
salute e al lavaro nell’Europa degli anni ‘90. Relatori: proff. Giuseppe Acone, Franco Blezza, Cado Borgomeo, Giovanni Brianda, Michele Borrelli,
Luciano Corradini, Renato Di Nubilo (Sole 24ore),
Giorgio Ferrazzi (univ. di Milano), KG. Fischer,
Lutz Gotz (univ. Wuppertal), Georg Groth (univ di
Berlino), Francesco Latella (univ di Messina), Sira
Serenella Macchietti (Univ. di Siena), Adele Gioia
Pellicciari (preside nei licei), Antonio Pieretti, Gustavo Pietropolli Charmet (univ. di Milano), Giovanni Maria Pinna (univ. di Cagliari), Michele Riversa,
Graziella Scuderi (univ. di Catania), Giuseppe Serio, Axel Schulte (univ Norimberga), Bernardino ,
Maria E. Koutllouka, Giuseppe Zanniello (univ. di
Palermo). Gli Atti sono stati pubblicati dall’ Ed. Pellegrini, 1992 due volumi.
Praia a Mare 28-30 ottobre 1992: Popoli, culture,
stati. Relatori: proff. Bernardo Bernardi (univ. di Roma 3), Italo Bertoni, Franco Blezza, Michele Borrelli, Luciano Corradini (univ. di Roma 3), Maria Luisa
De Natale (univ. cattolica di Milano), Paolo De Stefani (univ. di Padova), Guido Giugni, Sira Serenella
Macchietti, Antonino Mangano (univ. di Messina),
Giuliana Martirani (univ. Federico II di Napoli), Maria Teresa Moscato, (univ. di Catania), Anselmo
Roberto Paolone (MPI, Roma), Antonio Pieretti,
Antonio Pisanti (dir. did. Napoli), Michele Riverso,
Antonia Roseto Alello (univ. di Messina), Giuseppe
Serio, Franco Severini Giordano (dir. did. Crotone),
Graziella Scuderi, Vittorio Telmon, Giuseppe Trebisacce, Giorgio Vuoso (univ. di Roma 3). Gli Atti
sono stati pubblicati dall’ Ed. Pellegrini 1994.
Praia a Mare 28-31 ottobre 1994: L’uomo nomade. Una metafora del nostro tempo. Relatori: prof F.
Giuseppe Acone, Lucia Baldassa (univ. di Trieste),
Italo Bertoni, Franco Biancardi (dir. did. Napoli),
Franco Blezza, Francesco Brancato (univ. di Palermo), Luciano Corradini, Guido Giugni, Giuseppe
Guzzo (Isp. Tec. della PI Catanzaro), J. Lapassade
(univ. di Parigi), Sira Serenella Macchietti, Antonio
Pieretti, Vincenzo Pucci (docente di SM), Aurelio
Rizzacasa, Marina Santinello (docente,Treviso),
Giuseppe Serio, Maria Veronese (docente, Trieste). Gli Atti sano stati pubblicati dall’Ed. Pellegrini
1996.
Praia a Mare 24-28 1995: Progetto di cooperazione scientifica tra 14 università italiane e
le università albanesi. La formazione docente
nell’università: aspetti psicopedagogici e didattici.
Relatori: proff. Sezai Bazai, Vasil A. Bici, Ilir Syri
Bzgo, Mehmet Celiku, Adem F. Dalipi, Fatmir J.
Dibra, Mira Latif Gjata, Arnaldo P. Hadimaj, Adem
Jakilari, Adriatik I. Kalluli, Gjovalin Kolombi, Jetmir
Korini, Blenm A. Metani, Gjergi X. Pendarinji, Liliana H. Recka, Dhimitraq i. Sckende, Vladimir
M. Spahu, Ismaul A. Stafa, Sali Tabaku, Rexhep
Y. Vagan, AvduI Handi Veyzi, Fatmir Vadhai, Genc
V. Vincani, Semi M. Vorpsi, Vasillaq Zoto (delle
università albanesi, compresi i rettori). Italia: proff.
Francesco Altimari (Dir. del dip. di lingue, UNICAL),
Franco Blezza, Hervè Cavallera, don Giuseppe
Colavero (liceo cl. di Otranto), Armando Curatola
(univ. di Messina), Elio Damiano (univ. di Parma),
Mario Ferracuti (univ. di Potenza), Giuseppe Spadafora, Guido Giugni, Sira Serenella Macchietti,
Nicola Paparella (univ. di Lecce), Angela Perucca
(univ. di Lecce), Antonio Pieretti, Michele Riverso,
Vittorio Telmon, Giuseppe Serio, Giuseppe Trebisacce, Simon Villani (univ. di Catania), Giuseppe
Zanniello (univ di Palermo).
Praia a Mare 15-17 settembre 1996: La non- violenza. Una proposta educativa per il terzo Millennio. Relatori: proff. Giuseppe Acone, Franco Blezza, Michele Borrelli, Rita Borsellino (vice presidente
di LIBERA), Enza Colicchi Lapresa, Luciano Corradini, Armando Curatola, Elio Damiano, Marcella
Farina (Pontificia univ. di Scienze dell’ Educazione,
Roma), Franco Frabboni, Francesco Lo Giudice
(Ispett. Tec. della PI), Bruno Segre (Presidente dell’
Associazione italiana Amici del Newé Shalon, wahat As Salam), Rachele Lanfranchi (Pontificia univ.
di Scienze dell’Educazione, Roma), Anna Madeo
(preside SMS Rossano), Sira Serenella Macchietti, Antonino Mangano, Antonio Pieretti, Giuseppe
Serio, Enzo Srangati (Comunità Baha’i), Giovanni
Villarossa (preside nei licei, Caserta).
Praia a Mare-San Nicola Arcella 29-31.X.1998:
Europa: Economia, Etica, Educazione. Quale futuro? Relatori: Proff: Luciano Amatucci, Gennaro
Baccile (Ingegnere informatico, Roma), Michele
Borrelli, Luciano Corradini, Elio Damiano, Giuseppe Frega, Agostino Giovagnoli (univ di Milano), Auxilia Ghang Hiang Chu (Pontificia univ di Scienze
dell’Educazione, Roma), Sira Serenella Macchietti,
Giuliana Martirani, Anna Paschero (Assessore alle
politiche finanziarie, Tivoli-Torino), Franco Pezzotti (ex generale della GG. FF., Scalea), Giuseppe
Richiedei (presidente dell’Age), Paola Tantucci
(presidente dell’E.I.P., Roma), Rudholf Jorg (univ
di Wuppertal), Gian Cesare Romagnoli (univ di Roma), Bruno Rossi (univ di Arezzo), Graziella Scuderi e Giuseppe Serio.
Praia a Mare - San Nicola Arcella 28-31.X.2000:
POLITICA, ETICA E PEDAGOGIA DELLA PERSONA OGGI. E DOMANI? Giuseppe Acone, Luigi Alici, (univ di Macerata), Sergio Angori (univ di
Arezzo), Michele Bartelli (dirigente scolastico),
Franco Blezza, Michele Borrelli, Enza Colicchi
(univ di Messina), Luciano Corradini, Franco Crispini (preside della Facoltà di Lettere e Filosofia,
univ della Calabria), Armando Curatola, Giuseppe Dall’Asta (Pontificia università delle Marche),
Elio Damiano, Roberto Gatti, Guido Giugni, Sira
Serenella Macchietti Anna Madeo (preside), Marco Milella (univ di Perugia),Gaetano Mollo, Antonio
Pieretti, S.E. Mons Riboldi, Giuseppe Spadafora,
Vittorio Telmon, Giuseppina Vetri (membro della
QUALEDUCAZIONE • 125
Giunta dell’As Pe.I.), Giovanni Villarossa.
Nel corso del convegno si sono svolte tre tavole rotonde: Mutamenti sociali e crescita della persona;
Mutamenti politici e crescita della libertà; Mutamenti culturali e crescita della fede.
Ajeta - Palazzo dei Principi - 28.X.03 nel, presidenza del prof. Luciano Corradini . Interventi di
saluto del dott. Gennaro Marsiglia, Sindaco della
città, del prof. R. Mandarano, segretario dell’ Associazione culturale Ajeta; di Don Cono Araugio, Vicario per la Pastorale della Cultura della Diocesi di
S. Marco Argentano.- Scalea e del prof. B. Praticò,
sindaco di Praia a Mare.
Nella Sessione inaugurale sono intervenuti i
proff. Giuseppe Serio, Giuseppe Acone; Francesco
Rennis, pro-Rettore dell’Unical; Pantaleone Sergi,
Redattore di Repubblica, docente dell’Unical.
Al termine si è svolto un ricco Rinfresco con prodotti locali offerti dall’Associazione Ajeta. Successivamente, i partecipanti provenienti da varie città
italiane, in corriera hanno raggiunto l’ Hotel Villa del
Mare di Maratea dove si sono svolte le altre sessioni nei giorni 29, 30 e 31 ottobre.
Maratea - Hotel Villa del Mare - 29-30-31/x/2003
alla Seconda sessione hanno partecipato i proff:
Sira Serenella Macchietti; Presidente onorario
dell’As. Pe. I.; Luciano Corradini (Cittadinanza plurima e convivenza civile); Sergio Angori (Università
di Siena), Rachele Lanfranchi (Pontificia Università di Scienze dell’Educazione, Roma), Giuseppe
Spadafora (Direttore del Dipartimento di Scienze
dell’Educazione dell’ Unical).
Si sono svolti i Gruppi di lavoro su Globalizzazione e Scuola (Coordinatrice dott.ssa Bianca
Strangis, Dirigente scolastico, Segretaria Nazionale dell’As. Pe. I.. e comandata presso la Direzione
Scolastica Regionale di Catanzaro), Relatori: proff.
Giovanni Villarossa (Dirigente scolastico e Vicepresidente dell’UCIIM), Francesco Nacci (Ispettore
del MIUR); su Globalizzazione e fede (Coor-dinatore: Don Cono Araugio, Vicario per la pastorale della Cultura (Diocesi di San Marco A.Scalea),
Relatori: proff. Antonio Staglianò (Direttore dell’Istituto Calabro di Teologia, Consulente del Servi-zio
Naz. del Progetto Culturale della C.E.I.), Giovanni
Mazzillo (Pax Christi, docente di Teologia nel Seminario S. Pio X di Catanzaro); su Globalizzazione
ed educazione (Relatori: proff. Gianni Balduzzi,
Università di Bologna), Emilio Lastrucci (Università
di Matera).
Alla Terza Sessione sul tema Globale e locale
hanno partecipato i proff. Giuseppe Zanniello, Presidente dell’As. Pe. I.; On.le prof. Paolo Danuvola
(Consigliere Regiona-le della Lombardia, Dirigente
scolastico), Franco Blezza (ordinario di Pedagogia,
Università G. D’Annunzio, Chieti).
Alla Quarta sessione sul tema Globalizzazione
ed educazione alla mondialità sono intervenu-ti
i proff. Michhele Borrelli e Dietrich Benner (Università di Berlino), Maria Luisa De Natale (Pro-rettore
dell’Università cattolica, Milano).
Alla Quinta Sessione sul tema Globalizzazione e
126 • QUALEDUCAZIONE
Politica hanno partecipato i proff. Chang Hang-chu
(Pontificia Università di Scienze dell’Educazione,
Roma), prof.ssa Giuliana Martirani e Nello Venturelli (Libera università di Bari).
Il convegno si è concluso con la Tavola rotonda
coordinata dal prof. Antonio Pieretti, Presidente
dei convegni internazionale della fondazione, ordinario di Filosofia del linguaggio nell’Università di
Perugina, sul tema Globalizzazione e Politica Vi
hanno partecipato i suoi allievi, proff. Antonio Capecci, Gaetano Mollo, Carlo Vinti (dell’Università di
Perugia).
Praia a Mare 22, 23, 24 Maggio 2009, Educare
all’onestà, oggi, nella famiglia, nella scuola, nelle
istituzioni.
Hanno partecipato: Antonio Pieretti Pro-Rettore
Università di Perugia, On.le Giorgio Napolitano,
dott. Carlo Lomonaco sindaco di Praia a Mare, dott.
Gianni Malgieri direttore del CSV Cosenza, Giuseppe Serio Direttore della rivista Qualeducazione,
Luciano Corradini Università Roma tre, Sira Serenella Macchietti Università di Siena, Giovanni Villarossa Coordinatore di Master Università europea
Roma, prof. Franco E.Carlino Presidente Provinciale UCIIM Cosenza, dott. Antonio Fazio giornalista, Giuseppe Spadafora Università della Calabria,
dott. Mario Russo sindaco di Scalea, Concetta Sirna Presidente Nazionale dell’Associazione Pedagogica Italiana, Giovanni Mazzillo Seminario S.Pio
X Catanzaro, Marcello Cozzi Responsabile nazionale della Formazione di Libera, Michele Borrelli
Università della Calabria, Sergio Angori Università
di Siena, Dietrich Benner Università di Berlino, Vincenzo Pucci docente Scuola Media Statale Tortora, Gaetano Mollo Università di Perugia, Agostino
Fortunato Patrocinante in Cassazione, Giuseppe
Trebisacce Università della Calabria, Gianni Novello Pax Christi, Graziella Scuderi Università di
Catania, Teobaldo Guzzo Dirigente scolastico, Simon Villani Università di Catania, dott. Egidio Lorito
Giurispubblicista, Pietro De Paola Assessore alla
Cultura Praia a Mare, Marcello D’Amico Assessore alla P.I. Scalea, Maria Carmela Aragona Azione
Cattolica Diocesi S. Marco Argentano, Maria Grazia Cianciulli Dirigente Scolastico, Annamaria Depresbiteris Assessore alle politiche giovanili Praia a
Mare, Antonia Palladino Docente, Filomena Serio
Docente.
CONVEGNI NAZIONALI E REGIONALI
(rivolti principalmente alla formazione e all’aggiornamento di docenti e dirigenti delle scuole di ogni
ordine e grado):
Praia a Mare 14.03.1979: Migliorare l’uomo. Relatore: prof. Letterio Smeriglio, univ. di Messina.
Praia a Mare 9.05.1979: I diritti del bambino. Considerazioni storiche e pedagogiche. Relatore: prof.
Giuseppe Trebisacce (università della Calabria).
Praia a Mare 17.05.1979: La personalità del bambino. Fattori di sviluppo. Relatore: Guido Giugni
(università di Perugia).
Praia a Mare 12.04.1982: La continuità educativa
nella scuola dell’obbligo. Relatore: prof Guido Giugni
Fuscaldo 27,28,29.10.1982: Scuola di cultura
generale Relatori: proff. Franco Frabboni (univ. di
Bologna), Guido Giugni, Mario Mencarelli (univ. di
Siena), Giuseppe Serio (presidente della sezione
As.Pe.I. di Praia a Mare)
Tortora 26,27,31.05.1983: Linee innovative nei
nuovi programmi della scuola elementare. Problemi e prospettive. Relatori: prof. Franco Frabboni
(univ. di Bologna), Guido Giugni, Mario Mencarelli,
(univ. di Siena), Giuseppe Serio (componente della
giunta nazionale dell’As.Pe.l.).
Cosenza: 22.02.1985: I nuovi programmi della
scuola elementare. Problemi e prospettive. Relatori: proff. Mario Mencarelli, Giuseppe Serio, Giuseppe Trebisacce, Mario Valentini (Isp. Tec. della P.I.,
direttore di Scuola e vita).
Maratea 26.27.04.1985:La competenza pedagogica in un paese che cambia. Relatore: prof. Mario
Mencarelli; (partecipano 18 direttori di riviste di pedagogia e didattica).
Tortora 11,12,13.04.1986: La continuità educativa
nella scuola di base. Relatori: proff. Angelo Broccoli (univ. di Roma La Sapienza), Franco Frabboni,
Mano Mencarelli, Giovanni Garreffa (Provveditore
agli studi di Cosenza), Franco Nacci (Isp. Tec. della
P.I. della Basilicata), Marcello Maiorana (preside
della SMS), Francesco Fusca, Pasquale Cavaliere
(dir. did.), Giuseppe Serio (direttore di Qualeducazione).
Tortora 18.04.1986: I nuovi programmi. Una sfida
per gli insegnanti. Relatori: prof. Pasquale Cavalieri
(direttore. didattico Tortora), Antonio Pieretti, Giuseppe Serio.
Diamante 7.04.1987: Valutazione e teorie dell’apprendimento. Relatrice: prof.ssa Maria Antonietta
Ruggiero (univ di Roma La Sapienza)
Diamante 8.04.1987: La valutazione dell’alunno.
Come e perché. Relatori: proff. Francesca Cozzi
(direttore. didattico.), Claudio Volpi (univ. La Sapienza, Roma).
Rende 8.04.1987: Educazione alla convivenza
democratica nella scuola. Relatori: proff. Giovanni
Garreffa (provveditore agli studi, Cosenza), Mario
Valentini, Claudio Volpi.
Scalea 8.04.1987: Teoria dell’apprendimento per
l’uso di tecnologie informatiche. Relatrice: prof.ssa
Maria Antonietta Ruggiero.
Scalea 9.04.1987: Programmazione dell’apprendimento e sistemi di valutazione. Relatori: Maria
Antonietta Ruggiero, Franco Lo Giudice (Isp. Tec.
della PI, Paola).
Scalea 10.04.1987: Programmazione dell’apprendimento e sistemi di valutazione. Relatori: Maria
Antonietta Ruggiero, Franco Lo Giudice.
Praia a Mare 11.04.1987: Educazione linguistica e
nuovi linguaggi. Relatore: prof. Claudio Volpi.
Tortora 30.31.10.1988: Processi decisionali e capa
cità manageriali nella funzione direttiva, Relatori:
proff. Luciano Corradini (univ. di Milano), Rosa Colafranceschi Tobarelli (preside di SM, Milano), Giu-
seppe Guzzo (dir. did. Catanzaro), Francesco Fusca (dir. did. Corigliano), Francesco Nacci, Vincenzo Lo Coco (preside di SMS Palermo),Giuseppe
Repaci (preside di SMS, Palmi).
Maratea 6,7,8.05.1989: Quarant’anni di cultura
democratica nella prospettiva dell’Europa Relatori: Luciano Corradini, Francesco Inzodda (univ. di
Messina), Guido Giugni, Sira Serenella Macchietti
(univ. di Siena), Antonio Ibanez Martin (univ. di Madrid), Antonio Pieretti (univ. di Perugia), Giuseppe
Serio (Consiglio Naz. dell’As.Pe.I.).
Cosenza 20,21.12.91: Giovani, educazione, mafia.
Relatori: Salvatore Di Bella (univ. di Messina), Luigi
Maria Lombardi (univ. di Roma, La Sapienza), Antonio Pieretti, Giuseppe Serio, Mons. Dino Trabalzini (arcivescovo di Cosenza Bisignano).
Cetraro 30.03.1993: I giovani e la salute tra prevenzione ed orientamento nella scuola. Relatori:
proff. Michele Borrelli (Unical), Giuseppe Serio (coordinatore della Consulta nazionale delle riviste di
Pedagogia).
Praia a Mare 5,6.06.1993: L’impegno degli intelletlettuali cattolici nel rinnovamento della cultura
politica per l’Italia e l’Europa. Relatori: Domenico
Nunnari (RAI-TV, Cosenza) Antonio Pieretti, Giuseppe Serio, Sua Eminenza Card. Paul Poupard
(già rettore dell’univ. Cattolica di Parigi,presidente
della Pontificia commissione della cultura).
Praia a Mare 6,7,8.04.1994: Seminario per genitori e figli nella scuola. L’educazione sessuale nel
rapporto con se stessi e gli altri. Relatori: Paola Castellucci (collaboratrice del Brutium di Rende), Mario Pedranghelu (direttore del COSP di Cosenza),
Giuseppe Serio, don C. Spitelli (sacerdote).
Praia a Mare 23,24.05.1994: Ama, lavora, vivi
l’Europa in Calabria (I conferenza regionale degli
studenti calabresi). Relatori: Luciano Corradini,
Giovanni Garreffa, Giuseppe Serio ed un gruppo di
studenti di istituti secondari superiori.
Praia a Mare 1.06.1994: Educazione alla salute e i
giovani tra scuola, famiglia, società. Relatori: Pina
Boggi Cavallo (univ. di Salerno), Giovanni Garreffa,
Mario Managò (dir. did. Tortora), Mario Pedranghelu, Giuseppe Serio.
Praia a Mare 1995: Camminare eretti. Relatori:
proff. Rocco Donnici (univ. di Urbino), Mario Managò, Giuseppe Serio.
Lamezia Terme 28,29,30.01.1996: Ecologia scolastica ed educazione alla salute. Relatori: proff. Luciano Corradini, Armando Curatola (univ. di Messina), Sira Serenella Macchietti, Mario Pedranghelu,
Giuseppe Serio, Bianca Strangis (dir. did. Lamezia), Giuseppe Trebisacce.
Scalea 27,28.02.1996: Quale carta dei servizi,
quale autonomia per la scuola calabrese. Relatori
proff: Michele Borrelli (Unical), Antonio Cosentino
(liceo sc. di Cetraro), Mario Managò, Giuseppe Serio, Giovanni Villarossa (preside nei licei), Osvaldo
Ziccarelli (presidente della sez. dell’UCIIM dell’alto
Tirreno cosentino).
Scalea 10,11 .04.1996: Educazione e continuità nella scuola dell’obbligo. Relatori proff: Amelia
QUALEDUCAZIONE • 127
Amatucci (Isp. Tec. del MPI, Roma), Guido Giugni,
Sira Serenella Macchietti.
Catanzaro 13,14,15.02.1997: Quale autonomia
per la scuola cattolica in Calabria. Relatori: proff.
S.E. Antonio Cantisani (Arcivescovo di Catanzaro),
Teobaldo Guzzo (dir. did. di Catanzaro, vice presidente dell’IRRSAE della Cal.), Giuseppe Serio,
don Nicola Scriniti, Giovanni Villarossa.
Tiriolo 7,8,9.04,1997: La scuola della continuità
per la persona in evoluzione. Relatori: proff. Teobaldo Guzzo, Giuseppe Serio, Giovanni Villarossa.
Tortora 20,21,22.10.1997: La scuola della continuità per la persona in evoluzione nella scuola di
base. Relatori: proff. Giuseppe Serio, Giovanni Villarossa.
Rende 8,9.10.1997: La Scienza, oggi: educazione alla conoscenza e alla responsabilità. Relatori:
proff. Franco Blezza, Michele Borrelli, Gilda De Caro (preside nei licei), Donatella Laudadio (Assessore provinciale alla P.I)
Catanzaro: 18,19.11.1997: Il centro di informazione e consulenza negli istituti secondari superiori.
Relatori: proff. Luciano Corradini, Anna Maria Jembo (vice provveditore agli studi di Catanzaro), Giuseppe Serio.
Paola: 20,21.11.1997: Educazione alla salute, CIC
e il progetto giovani 2000. Relatori: prof. Michele
Bartelli (preside nei licei), Antonella Ganeri Bruno
(sindaco di Paola, senatrice della Repubblica, Isp.
Tec. della PI), Luciano Corradini, Giuseppe Serio.
Tortora 25,26.11.1997 2,3.12.1997; 27.02.1998:
Ridefinizione della professionalità nella scuola
dell’autonomia. Relatori:prof. Francesco Lo Giudice, Giuseppe Serio, Giovanni Villarossa.
Tortora: 2-4.04.1998: Autonomia, come? Relatori:
proff. Gianni Balduzzi (Isp. Tec. della PI, Bologna),
Antonella Ganeri Bruno, Michele Borrelli, Cesarina
Checcacci (Presidente del C:N.P.I. , Roma), Elio
Damiano, Antonio De Angelis (Provveditore agli
studi di Isernia), Francesco Lo Giudice, Sira Serenella Macchietti, Eduardo Martinelli (ex alunno di
don Lorenzo Milani a Barbiana), Francesco Nacci
(Isp. Tec. della PI, Basilicata), Antonio Santagata
(vice- provveditore agli studi di Cosenza), Giuseppe Serio, Giovanni Villarossa
San Nicola Arcella 9.06.99, Hotel Bridge: Giubileo ed educazione alla speranza in Calabria Relatori: S. E. Mons Giusuppe Agostino, S. E. Mons Antonio Cantisani, S. E. Mons Domenico Crusco. S.E.
Mons Vincenzo Rimedio; proff. don Cono Araugio
(Direttore dell’I. S. R. di Belvedere Marittimo), Luigi
Intrieri (Segretario della Commissione Cultura del-
la C. E. C.), Renato Serpa (docente nell’ I. S. R.),
Giuseppe Serio ( id. )
Cetraro (Cosenza), 18. XII.2005: PACE GIUSTIZIA LEGALITA’ NEI CUORI, Colonia S. Benedetto– Cetraro. Con Agnese Ginocchio in Concerto,
cantautrice per la pace e i diritti umani, e MARIA
GRAZIA LAGANA’, vedova FORTUGNO
Relatori: Mons Giancarlo Maria Bregantini, Vescovo di Locri - Gerace; prof. Don Giovanni Mazzillo,
Seminario S. Pio X, Catanzaro. Interventi: Don Ennio Stamile, Direttore della Caritas diocesana; dott.
ssa Maria Grazia Laganà, ved Fortugno; senatrice
pof. ssa Antonella Ganeri Bruno; prof. Giuseppe
Serio; dott. Giuseppe Ajeta, sindaco di Cetraro.
Aieta (Cs) 2 luglio 2006 - Palazzo dei Principi Pedagogia e cultura per educare
Relatori (Saluti del Sindaco dott. Eugenio Marsiglia): proff. Franco Blezza, Michele Borrelli, Luciano Corradini, Sira Serenella Macchietti, Graziella
Scuderi, Giuseppe Serio e Giovanni Villarossa.
Praia a Mare 15.12.07, La fondazione Serio compie 30 al servizio della cultura di pace nella società
disorientata. Relatori: prof. Michele Borrelli, Università della Calabria; dott. Maria Rosalba Lupia,
dirigente scolastico, Segretaria Nazionale dell’ As.
Pe. I.; prof. Giuseppe Serio, presidente dell’Associazione culturale Gianfrancesco Serio.
Tortora: 16.05.08, Persona Persone Povertà nella
società disorientata.
Relatori: dott. Mario Daniele Managò, dirigente
scolastico; Don Giovanni Mazzillo, teologo; prof.
Giuseppe Serio
Lauria, 18.10.2008, patrocinio del Consiglio Provinciale fo Potenza: “Scienza e fede: quale dialogo?”
Relatori: Michele Borrelli, Università della Calabria;
Giuseppe Serio, direttore della rivista Qualeducazione.
Polistena 30 gennaio 2010: “Giustizia e legalità
in Calabria”.
Saluti: dott. P. Cullari, Assessore alla Legalità del
comune.
Relatori:Don Pino De Masi, Libera Calabria; Michele Borrelli (Unical); Giuseppe Serio (direttore della
rivista Qualeducazione); Maria Grazia Laganà (deputato al Parlamento).
Tortora 19 giugno 2010: “E’ possibile sconfiggere la ‘ndrangheta?”
Saluti: Ing. P. Lamboglia sindaco della città e Maria.
Lamboglia, assessore alla cultura
Relatori: Michele Borrelli, Luciano Corradini (emerito nell’univ di Romatre), Giuseppe Serio
…ed ora la storia della fondazione la continuano a
scrivere Filomena e Angelo Serio in collaborazione con i
volontari e gli amici di sempre e quelli futuri…
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