...

Storie di soldati di Pavia

by user

on
Category: Documents
28

views

Report

Comments

Transcript

Storie di soldati di Pavia
Storie di soldati di Pavia
a cura di Andrea Pozzetta
Storia di Angelo Nervetti
Dati anagrafici:
Nome e cognome: Angelo Nervetti
Data di nascita: 9 aprile 1899
Luogo di nascita: Vellezzo Bellini
Luogo di residenza: Pavia
Professione: casaro
Statura: 1,63
Capelli: castani
Occhi: grigi
Fondi di riferimento: Ruoli matricolari e taccuino personale di Angelo
Nervetti conservato presso l’Archivio storico civico di Pavia.
Angelo Nervetti, originario di un piccolo comune nel pavese nordoccidentale,
viene chiamato alle armi il 15 febbraio 1917, a diciott’anni non ancora compiuti.
Inquadrato nel 3° Battaglione di milizia territoriale di fanteria nel Distretto
militare di Voghera, passa, nell’aprile dello stesso anno, nel Distretto militare di
Pavia come soldato di terza categoria. Il 26 giugno viene trasferito al Deposito
del 53° Reggimento Fanteria nella città di Vercelli, presso la caserma “Umberto
I”.
È proprio da Vercelli che Angelo Nervetti inizia ad appuntare su un piccolo
taccuino le bozze delle lettere che invierà, in un italiano molto stentato, alla
273
madre e alla sorella Giuseppina. A metà tra esercitazioni di scrittura e
appunti personali, il taccuino di Nervetti è utile per comprendere le
preoccupazioni e gli stati d’animo di una giovane recluta che per la prima
volta si ritrova fuori casa, lontano dalla propria famiglia e alloggiato in città a
lui sconosciute. La sua principale preoccupazione è tranquillizzare i familiari
riguardo al proprio stato di salute e circa la qualità della vita nella caserma di
Vercelli, in particolare per quanto riguarda l’alimentazione: «qui a Vercelli si
sta molto bene in tutte le cose ciè il vino bommercato si paga 90 centesimi e
vino buono in caserma si sta molto bene che a Pavia ciè la carne tre volte alla
settimana […] per il vito non si può a lamentarsi». È significativo, tuttavia, che
in un successivo appunto, la recluta si lasci sfuggire: «sono molto stanco di
fare il soldato»; è difficile comprendere la motivazione che ha spinto Nervetti
a porre per iscritto un simile pensiero, giacché la pagina precedente del
quadernetto risulta strappata, ma anche in una successiva lettera indirizzata
a un amico scrive: «io qui a Vercelli no si sta bene è una città che non ce
gniente i non mi piace anche».
Il 1° agosto Angelo Nervetti è trasferito al reparto Mitraglieri Fiat di Brescia
del 37° Reggimento Fanteria. Appare sollevato della nuova collocazione tra i
mitraglieri perché, come scrive alla sorella, «non si va alla salto come la
fanteria noi stiamo in dietro»; subito dopo, quasi ad allontanare da sé ogni
sospetto di codardia, specifica che «non è per paura che noi si sta doppo» ma
allo stesso tempo confessa: «non pensare di me che io mi trovo tanto bene». Il
quadernetto s’interrompe e non contiene ulteriori appunti. Dal ruolo
matricolare si apprende tuttavia che nei mesi successivi verrà inviato in
territorio dichiarato in stato di guerra; dovrà ben presto rendersi conto che
anche nei reparti mitraglieri non è possibile, al fronte, godere di una
maggiore protezione. Muore sul Monte Grappa il 15 giugno 1918 per le ferite
riportate in combattimento.
Storia di Giuseppe Franchi Maggi
Dati anagrafici:
274
Nome e cognome: Giuseppe Franchi Maggi
Data di nascita:
15 settembre 1890
Luogo di nascita:
Pavia
Luogo di residenza:
Professione:
Pavia
ingegnere
Statura:
1,76 ½
Capelli:
castani
Occhi:
castani
Fondi di riferimento: presso il Museo del Risorgimento di Pavia (fondo
Grande Guerra) e presso l’Archivio storico civico di Pavia (fondo Prima
guerra mondiale) sono conservate due ricche raccolte di corrispondenza
tenute da Giuseppe Franchi Maggi con i famigliari, fotografie e documenti
ufficiali. Sono inoltre stati consultati i ruoli matricolari e, per quanto riguarda
i riferimenti sulla famiglia Franchi Maggi, si è fatto riferimento a
pubblicazioni di storia locale.
Giuseppe Franchi Maggi, soprannominato affettuosamente Peppino dagli
amici e dai parenti, nasce a Pavia in una tipica famiglia della borghesia
democratica cittadina, imbevuta di miti risorgimentali e garibaldini. Il padre,
l’ingegnere Emilio Franchi Maggi, è una figura di spicco della vita politica
pavese: è stato sindaco della città dal 1911 al 1915, guidando una giunta
composta da radicali, socialisti e repubblicani; la madre, Bianca Casorati, è
figlia del matematico e docente all’Università di Pavia Felice Casorati. Lo zio,
l’avvocato Giacomo Franchi, è anch’egli una personalità molto conosciuta a
Pavia, autore di numerosi volumi di storia locale e attivo nella vita politica e
culturale cittadina.
Peppino trascorre i suoi anni d’infanzia nella villa di famiglia, a San Pietro in
Verzolo, ma si lega soprattutto a zio Giacomo e a zia Carlotta; a ogni
vendemmia, assieme al fratello Felice, si reca nella loro tenuta di Casteggio,
vivendo quel periodo dell’anno come una festa gioiosa e spensierata.
Come il padre, anche Peppino viene avviato agli studi in ingegneria e,
studente presso il Politecnico di Milano, si laurea nel settembre 1912.
275
Ammesso a ritardare nel 1911 il servizio militare, in quanto studente, viene
chiamato alle armi per istruzione il 20 luglio 1913 e inquadrato nel 1°
Reggimento Genio (zappatori) presso il Centro di mobilitazione di Pavia. Il 10
dicembre 1913 ottiene il congedo illimitato con dichiarazione di aver tenuto
«buona condotta» e di aver servito «con fedeltà ed onore».
Nel 1915, all’entrata in guerra da parte dell’Italia, condivide con lo zio gli
entusiasmi patriottici. Mentre Peppino viene richiamato con il grado di
Sottotenente di Complemento dell’arma del Genio per servizi tecnici e
inquadrato nel 1° Reggimento Zappatori, la sua famiglia si dedica con
passione all’opera di assistenza ai soldati e di mobilitazione civile: la madre
entra nell’esecutivo del Comitato Femminile di Preparazione, presieduto da
Maria Rampoldi Manzoli; lo zio diviene vice-presidente del Comitato
Provinciale di Preparazione, presieduto dall’amico Roberto Rampoldi,
deputato radicale al Parlamento.
Inviato in Trentino, con gli zappatori del Genio, Peppino si dedica a dirigere e
coordinare lavori campali come scavi e riassetti di trincee, posa di reticolati,
costruzione di camminamenti, trasporti di materiali. Nei momenti di pausa,
scrive ai famigliari, soprattutto alle zie Carlotta e Silvia e allo zio Giacomo,
producendo una copiosa corrispondenza e divenendo, come lui stesso
scherzosamente si definisce, «dispensario di cartoline guerresche».
Lo stretto rapporto di ammirazione e stima con zio Giacomo, sembra
rafforzarsi negli anni della guerra; allo zio confida le sue preoccupazioni, gli
stati d’animo e, sovente, gli affida il compito di mediare con i genitori le
notizie che man mano rivela sulle sue attività: il 10 giugno 1915, ad esempio,
Peppino riporta in una cartolina che «Ci è stato affidato (dillo ai miei e se
credi anche puoi non dir niente) un compito non facile per esecuzione ma
niente affatto pericoloso»; oppure, nell’agosto 1918, soltanto allo zio rivela di
aver ricevuto «un compito molto difficile e può essere che mi capiti qualche
guaio […] Nel caso di un guaio sarà a te che mi rivolgerò o si rivolgeranno. Ho
tanta stima di te che non occorre dica altro».
Il paesaggio ameno e incontaminato delle montagne trentine permette
talvolta al giovane sottotenente del Genio di estraniarsi dalla realtà della
guerra: «questo bel sito si presta a darmi l’illusione di essere in
276
villeggiatura», affermerà più volte; ma allo stesso tempo, di fronte alla
stravolgente modernità bellica, alla soverchiante potenza delle macchine e
della tecnica in grado di trasformare radicalmente lo stesso paesaggio,
Peppino appare inebriato, abbandonandosi a descrizioni delle operazioni
belliche quasi fantascientifiche: «Si è lavorato giorno e notte, alla luce di
potenti fari acetilene, solo alla parte a cui sono addetto io e che ora è la più
importante. Una scena veramente fantastica! Genio e artiglieria in un lavoro
febbrile in mezzo a un bosco di abeti; comandi e ordini a destra e sinistra:
mostri di acciaio trainati da motori; un po’ di fracasso anche in alto per
gentile collaborazione degli amici austriaci: un mezzo finimondo! Avevamo
sentinelle da tutte le parti con ordini severissimi! Ti assicuro che mi sono
divertito molto».
Le zie Carlotta e Silvia, assieme alla mamma, si premurano sovente di
confortare il giovane con l’invio di pacchi di generi alimentari e abiti
invernali: giungono soprattutto dolci, che Peppino divide con i compagni, la
“torta paradiso” di Pavia, i “biscotti di Novara”, caramelle, cioccolatini.
Particolarmente gradite sono anche le copie della “Provincia pavese”, il
giornale cittadino di orientamento democratico-radicale: talvolta gli capita
anche di incontrare il suo ex direttore, Carlo Ridella, partito volontario in
guerra dopo aver condotto una battaglia interventista sulle colonne del
giornale.
Nell’agosto 1915 le operazioni militari portano Peppino in prima linea:
incominciano giorni «intensi di rischi e di avventure» come ufficiale
guastatore con l’incarico di far saltare reticolati e fortificazioni nemiche. Per
esorcizzare il pericolo scrive frasi scherzose alla famiglia descrivendosi «sano
ancora e senza buchi». Ma è proprio in una di queste giornate che il giovane
viene ferito gravemente al braccio sinistro. È sempre allo zio che affida le
notizie sulla sua salute: «ti avverto: credo che dato che non si tratta di roba
pericolosa puoi avvertire papà e mamma. Ad ogni modo fa tu, quello che tu
fai è ben fatto. Io domanderò di essere mandato a Pavia al più presto a casa
mia». Peppino rimane minorato all’arto e ottiene una medaglia di bronzo al
valor militare. Sebbene inabile al servizio di guerra, rifiuta il congedo e torna
al fronte.
277
Con grande piacere suo e della famiglia, viene promosso tenente, assumendo
il comando della 100° compagnia del 1° reggimento Genio. Tornato in
territorio di guerra scrive allo zio: «siamo ora a posto attendati in un
bellissimo sito. Si sente di qui il rombo dei cannoni che infuriano sugli
altopiani e mi viene la nostalgia […] sono contento di essere qui e qualunque
fossero le conseguenze della mia decisione, non me ne pento certo».
Combatte in Carnia, sull’Isonzo, sulla Bainsizza, tra i suoi compiti di occupa
anche di istruire i soldati; mentre giungono le notizie della presa di Gorizia,
nell’estate 1916, si mostra beffardo contro i nemici: «ogni sera io ed altri ci
rechiamo nei posti più avanzati e con un megafono diciamo agli austriaci il
nostro bollettino in tedesco (sono io l’incaricato!). Quelli ci rispondono:
italiano vigliacco! Ma non mostrano neanche le punta del naso!». Non c’è
traccia di commiserazione o rimpianto nelle lettere dal fronte, anzi,
descrivendo le sue attività sembra elettrizzato, immerso in quella che gli
appare come una grande avventura: «ho una vita attiva e piacevole», scriverà
più volte agli zii. La stessa percezione del pericolo sembra del tutto assente o
ridimensionata: «domani mi reco in prima linea per fare alcuni rilievi: non
dirlo naturalmente: ma qui non vi è pericolo: la guerra si può dire che non si
sente».
Nel mese di agosto Peppino riceve l’offerta da parte del generale Maglietta, a
capo del Genio della 1° e 3° Armata, di seguirlo per lavorare con lui. Il giovane
è onorato, ma nei mesi successivi una malattia lo costringe al ricovero in
ospedale; avvertendo lo zio, il 29 novembre 1916, scrive: «sono da quindici
giorni a letto all’Ospedale Militare per un avvelenamento intestinale. Ora
miglioro (oggi non ho febbre) ma sono stato male assai ed è da 10 giorni che
non prendo che latte! Te ne avverto unicamente perché tu stia attento che i
miei non lo vengano a sapere».
Rimane inabilitato al servizio fino al marzo 1917, quando è inviato a San
Colombano, frazione del comune di Collio, in Val Trompia. La vita a San
Colombano, lontano dai combattimenti, è tranquilla, forse troppo placida per
Peppino; ha molto tempo libero, riesce persino a organizzare una piccola
fanfara militare (tra le sue carte è presente anche uno spartito della canzone
di guerra francese “Quand Madelon”) ma, come scrive il 25 agosto allo zio,
278
«comincio […] ad arrabbiarmi per la mia eccessiva permanenza qui e ti
assicuro che credo che farò qualche grossa sciocchezza perché vedo che non
mi si vuole lasciar fare quello che voglio».
In seguito alle giornate di Caporetto sprona i suoi famigliari a non
demoralizzarsi: «a noi non manca la fede, occorre più di tutto che voi abbiate
a confermarcela». Dopo un periodo di riposo a Parma, viene inviato, nei primi
mesi del 1918, in Francia con il 2° Corpo d’Armata; partecipa alla Seconda
battaglia della Marna e ottiene due onorificenze militari, una francese e una
italiana. In Francia incontra «tutti i generi di truppe delle varie parti del
globo: neri, gialli, olivastri, bianchi, pellirosse, cinesi e nyam-nyam, fanno
però tutti schifo e io sono del parere che meglio del nostro soldato non ce ne
sono. Siamo noi i cretini che non sappiamo farci valere». Incontra anche
Peppino Garibaldi in visita ai soldati italiani: «fu veramente splendido, ci
hanno cinematografato e se vedete quella cinematografia lì mi vedete certo al
seguito del generale su di un focoso destriero (una paura)». È in questi mesi
che nella corrispondenza di Peppino sembrano accentuarsi i riferimenti
patriottici e militaristi; sembra anzi maturare un certo disagio nei confronti
della vita civile: «sono ritornato per qualche ora nei paesi civili. Mi han fatto
una impressione strana: non mi par vero di essere seduto a un caffè, dopo
tanti giorni in cui ho preso il caffè in una tazza di latta sotto la tenda alle
quattro di mattina».
La mattina del 29 settembre 1918, riceve l’ordine di recarsi presso un
reparto di fanteria di prima linea per prendere accordi riguardo le operazioni
di guerra. Peppino, a scopo di ricognizione, attraversa un guado sul fiume
Aisne assieme ad alcuni uomini; secondo un documento ufficiale, i soldati
intuiscono nell’insolita calma un tranello ma «Risoluto a voler condurre a
buon fine l’impresa iniziata per poter procurare notizie che giovassero
all’azione che stava per svolgersi, il Tenente Franchi Maggi cercò rassicurare
il manipolo di soldati con la parola e con l’esempio»: si drizza in piedi
sull’argine ma una scarica di mitragliatrice lo colpisce a morte, rivelando così
la presenza del nemico. Il 30 settembre ha luogo nel cimitero militare di La
Ferme de Chery-Chartreuve una solenne cerimonia funebre con largo stuolo
279
di ufficiali italiani e francesi. Gli verrà assegnata la medaglia d’oro al valor
militare.
Storia di Angelo Mantovani
Dati anagrafici:
Nome e cognome: Angelo Mantovani
Data di nascita:
21 marzo 1895
Luogo di nascita:
Porto Maurizio
Luogo di residenza:
Professione:
Pavia
studente
Statura:
1,63
Capelli:
castani
Occhi:
cerulei
Fondi di riferimento: fotografie di Angelo Mantovani con qualifica e note
biografiche presso il Museo del Risorgimento di Pavia (fondo Grande
Guerra); corrispondenza con la famiglia, biografia manoscritta, lettera
ricordo della madre, presso l’Archivio storico civico di Pavia (fondo Prima
guerra mondiale); ruoli matricolari.
Angelo Mantovani nasce in Liguria, a Porto Maurizio, da Francesco e da
Faustina Bertolini. Un anno dopo la sua nascita, il padre viene assunto a Pavia
nella Tesoreria Provinciale e anche il piccolo Angelo, assieme alla famiglia, si
trasferisce nella città lombarda.
Cresce in un ambiente piccolo borghese, di orientamento democratico ma
profondamente influenzato dalla retorica nazional-patriottica. Nella breve
biografia manoscritta, probabilmente opera dei suoi famigliari, viene
descritto come un appassionato sportivo e, il suo carattere energico, è
associato ai primi entusiasmi patriottici. Frequenta il liceo ginnasio “Ugo
Foscolo” di Pavia e diventa allievo del professor Archia Poderini, membro del
Partito radicale e acceso irredentista. Entra ben presto a far parte della
280
Sezione
Studentesca
Pavese
della
società
“Dante
Alighieri”
e,
successivamente, diventa animatore a Pavia del Corpo Nazionale dei
Volontari Ciclisti Automobilisti, organizzazione civile creata nel 1908
sottoposta al Ministero della Guerra.
Non è una sorpresa per i cari di Angelo la scelta, compiuta a diciott’anni, di
entrare volontario nell’esercito e frequentare il corso degli allievi ufficiali
all’8° Reggimento Fanteria di stanza a Milano; vi rimane fino alla nomina a
sottotenente, nell’aprile 1915, quanto viene assegnato al 43° Reggimento
Fanteria e inviato al deposito di Tortona.
Come molti suoi ex compagni liceali, è un acceso interventista e vede in una
guerra contro l’Austria la naturale prosecuzione e l’obbligato completamento
del Risorgimento nazionale. Le sue note biografiche danno una curiosa
narrazione della sua passione interventista: «Quando per qualche giorno
sembrò che il partito neutralista avesse il sopravvento, si avvilì e pianse!
Vedeva distrutto il suo sogno di marciare contro l’odiato straniero e di
entrare vittorioso in Trieste».
Nel maggio 1915, alla vigilia dell’entrata in guerra, viene inviato lungo il
confine con l’Austria. A Pavia saluta i genitori, la sorella e la fidanzata Franca.
Parte con una costosa macchina fotografica, con cui spera di immortalare i
momenti di vita al fronte e di inviare costantemente alla famiglia
testimonianze il più possibile vivide della sua vita quotidiana.
Giunto al confine descrive con emozione, nelle prime lettere ai famigliari, il
giuramento dei sottotenenti, «nulla di più bello, di più maestoso». Tenta
anche di incoraggiare i genitori, sia con la retorica patriottica – «Prima
bisogna amare la Patria, poi la famiglia» – sia con un atteggiamento di serena
imperturbabilità: «Sono felice che voi vogliate essere forti ma desidererei che
veramente lo foste. Bisogna essere fatalisti e poi possibile che accoppino
proprio me?».
Il 22 maggio invia alla famiglia una lettera contenente le sue ultime volontà in
caso di morte in combattimento. Angelo scrive il testo delle partecipazioni,
chiedendo che non siano listate a lutto e aggiungendo: «l’ultimo suo desiderio
è stato esaudito essendo morto sul campo»; chiede alla famiglia di non essere
dolenti per il suo destino e di non provare lutto, bensì gioia. I suoi pensieri
281
sono anche per la fidanzata Franca, alla quale chiede di bruciare le lettere e le
cartoline a lei inviate e a cui dona il suo orologio da braccio.
Angelo descrive le prime giornate di guerra come tranquille scaramucce
contro un nemico perennemente nascosto nelle trincee. Un giorno, un
proiettile nemico gli perfora il tacco di una scarpa: racconta l’episodio con
estrema leggerezza alla famiglia e, il proiettile, diventa il suo cimelio
portafortuna.
Dopo nemmeno un mese di combattimento, tuttavia, la sera del 16 giugno
1915, viene ferito a Plava, sul monte Kuk, durante la prima battaglia
dell’Isonzo. Muore a vent’anni incitando i suoi soldati, secondo la
testimonianza del medico che lo cura sul campo di battaglia, a proseguire nei
combattimenti.
Il suo professore Archia Poderini scriverà una testimonianza in suo ricordo
sulla “Provincia Pavese” e, in una cerimonia organizzata in Piazza Castello, a
fianco del monumento a Garibaldi, verrà consegnata una medaglia d’argento
al valore alla famiglia Mantovani.
Storia di Enrico Preti
Dati anagrafici:
Nome e cognome: Enrico Preti
Data di nascita:
30 gennaio 1896
Luogo di nascita:
La Maddalena (Sassari)
Luogo di residenza:
Professione:
Pavia
Contabile
Statura:
1,97
Capelli:
castani
Occhi:
bigi
Fondi di riferimento: articolo in suo ricordo pubblicato su “La Provincia
Pavese”, lettera dal fronte e diario di guerra (inedito) presenti presso
l’Archivio storico civico (fondo Prima guerra mondiale), fogli matricolari.
282
Enrico Preti nasce a La Maddalena in Sardegna, dinanzi all’isola di Caprera:
un luogo simbolico che rimarrà una costante nella sua formazione e
maturazione politica, giacché, in famiglia, verrà educato nel mito di Garibaldi
e del Risorgimento nazionale. Suo padre, Roberto Preti, è insegnante di
scuole elementari; è anche poeta, autore di inni patriottici e di libri di testo
per le scuole elementari; tra le sue opere poetiche pubblicate, figurano un
Ricordo ai visitatori di Caprera e l’ode Per l’inaugurazione del monumento alla
famiglia Cairoli.
Il piccolo Enrico Preti, al seguito del padre, assunto alle scuole cittadine di
Pavia, e della madre Alberta Mariani, giunge nella cittadina lombarda nel
1897. Viene avviato alle scuole professionali, studia ragioneria ma, allo stesso
tempo, aderisce con convinzione ai movimenti e gruppi interventisti cittadini.
Pochissimi giorni dopo l’entrata in guerra dell’Italia, il 27 maggio 1915, a
diciannove anni, si iscrive al Corpo Nazionale Volontari ciclisti e
automobilisti come ciclista nel comitato di Alessandria. Esattamente un mese
dopo, il 27 giugno 1915, viene inviato in zona di guerra.
Fin dai primi giorni di servizio, Enrico inizia ad appuntare un diario di guerra
in cui dà forma scritta ai suoi stati d’animo, alle sue impressioni, in cui
rielabora i principali eventi bellici cui partecipa ma anche semplici episodi di
vita quotidiana. Si tratta di un diario ben scritto, meditato, composto in un
linguaggio non privo di espedienti retorici ed evidentemente allenato
all’esercizio della scrittura. Nelle intenzioni del giovane, probabilmente, il
manoscritto è concepito come nucleo per una futura pubblicazione giacché,
come testimonia anche una sua lettera, invia a più riprese le note di guerra a
una non precisata “Signorina” (potrebbe trattarsi di Luisa Castoldi,
benemerita maestra cittadina, attiva nel volontariato a favore dei soldati al
fronte e destinataria di molte lettere di soldati pavesi) che lo incoraggia a
proseguire nel componimento.
Come si intuisce dalle sue annotazioni, Enrico era partito per il fronte con
un’idea
tutta
ottocentesca
della
guerra,
dell’assalto
al
nemico,
dell’organizzazione militare; il diario, del resto, si apre con una frase
lapidaria: «Sono giunto in zona di guerra il 27 giugno 1915 e ho provato
283
subito una disillusione. Quella la guerra?». Enrico condivide anche
l’impressione, comune a molti altri giovani soldati animati da spirito
attivistico ed esaltati dalla retorica bellicista, di ritrovarsi, immediatamente
giunti al fronte, in «una pacifica villeggiatura in montagna»; come scrive
anche nella già citata lettera, «I pericoli qui non sono poi grandi come
generalmente si crede». Sono tuttavia i rumori, i boati dei cannoni, le
macchine e i congegni bellici, le periodiche piogge «di ferro e di sassi sollevati
dallo scoppio delle granate» a far piombare Enrico nella dimensione della
guerra moderna: «udii il cannone. Era la voce calma del cannone italiano che
molestava le posizioni nemiche con periodici getti di fuoco e di ferro. […] Ed
io che credevo – quando partii – di andare subito a battermi!». Nei primi mesi
di guerra il giovane appare estraniato, quasi deluso: «Quanto orribile e
perfezionata è la guerra moderna! Macchine terribili di distruzione e di
morte sono celate su verdeggianti collinette, in ridenti vallate, in incantevoli
paesaggi». Proprio la tematica del rapporto conflittuale tra natura e
modernità bellica rimane una costante nel diario, sempre simboleggiata dalla
figura incombente del cannone: «La visione panoramica era magnifica. Ma
vicinissimo a me il cannone fece udire la sua voce baritonale».
Enrico non perde le sue convinzioni interventiste e introietta le parole
d’ordine della propaganda patriottica ma allo stesso tempo è cosciente di
trovarsi di fronte a un evento inedito, a un nuovo e terribile modo di fare la
guerra, su cui non può fare a meno di soffermarsi e ragionare: «La guerra
d’oggi è guerra d’insidia; i nemici si uccidono senza vederli. Se un uomo si
mostra è morto».
Le note di guerra si interrompono all’agosto 1915; oltre quella data, è
ragionevole supporre, Enrico entra nel vivo dei combattimenti in prima linea.
Ottiene la qualifica di Aspirante del 12° Reggimento Bersaglieri e, nel
dicembre 1915, si distingue nella difesa di una postazione sul monte
Javorcek: viene promosso al grado di Sottotenente di complemento il 26
dicembre.
Nel marzo 1916 è sul monte Pal Piccolo. Il 27 marzo, al comando di un
plotone, si ritrova improvvisamente sotto attacco; viene ripetutamente ferito
284
dopo essersi più volto esposto fuori dai ripari per individuare gli
appostamenti nemici. Muore il 29 marzo nell’ospedale militare di Timau.
Gli vengono resi gli onori militari dagli ufficiali e da un battaglione di
bersaglieri e alla famiglia verrà consegnata la medaglia di bronzo al valor
militare. Un suo compagno d’armi, anch’egli pavese, lo ricorderà con affetto
sulla “Provincia Pavese” descrivendolo come ottimo soldato ed eroe di
guerra.
Storia di Pietro Boscaroli
Dati anagrafici:
Nome e cognome: Pietro Boscaroli
Data di nascita:
20 marzo 1892
Luogo di nascita:
Vigevano
Luogo di residenza:
Professione:
Vigevano
Calzolaio
Statura:
1,59
Capelli:
castani
Occhi:
castani
Fondi di riferimento: Foglio matricolare conservato presso l’Archivio di
Stato di Pavia.
Pietro Boscaroli nasce a Vigevano nel 1892 e, come molti giovani della sua
città, viene impiegato nella locale industria calzaturiera. Probabilmente non
frequenta le scuole elementari dal momento che, come risulta dal suo foglio
matricolare, dichiara di non saper leggere e scrivere. Ciò che più di tutto
emerge dagli incartamenti militari è, tuttavia, la sua radicale resistenza
all’inquadramento militare e alla logica della guerra.
Nel 1912 è renitente alla leva, fugge probabilmente all’estero; nell’aprile
1914 è tuttavia arrestato e tradotto alle carceri giudiziarie di Milano. Il 30
giugno1914 è quindi costretto a presentarsi al Consiglio di leva di Pavia, dove
285
viene iscritto come soldato di leva di prima categoria per la classe 1894.
Inquadrato nel 36° Reggimento Fanteria, alla vigilia dell’entrata in guerra da
parte dell’Italia viene inviato al confine orientale e il 24 maggio 1915 si
ritrova in territorio dichiarato in stato di guerra.
Pietro combatte al fronte fino al novembre 1915 quando, colpito da malattia,
lascia il territorio di guerra per essere ricoverato in un ospedale. Coglie
l’opportunità per tentare, ancora una volta, di sottrarsi dall’esercito e
soprattutto dalla operazioni belliche: scappa nuovamente, a ridosso del
Natale 1915. Il 25 dicembre è infatti dichiarato disertore ma, nel febbraio
1916, viene arrestato dai carabinieri e tradotto nelle Carceri Preventive di
Firenze con una condanna a sei anni di reclusione militare.
Secondo la legislazione adottata per il tempo di guerra, la pena è
temporaneamente sospesa: esce dal reclusorio militare il 21 marzo 1917 e si
ricongiunge al 36° Reggimento Fanteria.
Pietro deve aver maturato una ancor più forte insofferenza per la vita
militare se, nel luglio 1917, viene imputato del reato di minacce e violenze
agli agenti della forza pubblica, di porto d’armi proibito e, inoltre, del
possesso di monete riconosciute false: viene nuovamente denunciato al
tribunale di guerra e condannato a una nuova pena alla reclusione militare
per sette anni, facendo cumulo con quella precedentemente inflittagli.
L’esecuzione della sentenza è sospesa fino al termine dello stato di guerra.
Il foglio matricolare non fornisce ulteriori notizie sulla sua vita militare, se
non che nel dicembre 1917 si ritrova dislocato presso il distretto militare di
Genova e che il 30 agosto 1919 è inviato in congedo illimitato. Pietro
Boscaroli potrà beneficiare dell’amnistia concessa nel dopoguerra ai soldati
ritenuti colpevoli di reati militari ma gli sarà rifiutata la dichiarazione di aver
tenuto buona condotta e di aver servito con fedeltà e onore.
Storia di Paride Pizzocaro
Dati anagrafici:
Nome e cognome: Paride Pizzocaro
286
Data di nascita:
18 dicembre 1894
Luogo di nascita:
Pavia
Luogo di residenza:
Professione:
Pavia
Studente
Statura:
1,67
Capelli:
castani
Occhi:
castani
Fondi di riferimento: Foglio matricolare conservato presso l’Archivio di
Stato di Pavia, fotografia e ritaglio di giornale con necrologio conservati
presso il Museo del Risorgimento di Pavia, fondo Grande guerra.
Paride Pizzocaro nasce a Pavia da «piissimi genitori» – come riporta un lungo
necrologio che delinea i tratti essenziali della sua biografia – e, fin da
ragazzino, si avvicina ai gruppi dell’associazionismo cattolico pavese.
Paride è descritto come «una delle gemme più fulgide, una delle più care
speranze del movimento giovanile cattolico di Pavia» e nella sua breve
esistenza alternerà sempre l’impegno e la passione per lo studio con l’attività
nell’associazionismo e nel volontariato locale. A Pavia è infatti animatore
dell’“Associazione giovani studenti della cattedrale” con cui dà vita al doposcuola cattolico.
Studia presso l’Istituto tecnico di Pavia, divenendo ragioniere e ricevendo la
licenza d’onore; riceve anche un premio come miglior studente e vince una
borsa per un quadriennio di studi presso l’Università commerciale Bocconi di
Milano.
Gli studi universitari, tuttavia, si interrompono ben presto. Già ammesso a
ritardare il servizio di leva nell’agosto 1914, il 1 giugno 1915 anche Paride è
chiamato alle armi. Non si conoscono le sue posizioni personali a proposito
del dibattito tra interventisti e neutralisti; con tutta probabilità anche Paride
appartiene a quei gruppi di cattolici organizzati che avevano sperato in una
soluzione pacifica ai contrasti tra le potenze europee e che avevano sostenuto
la neutralità dell’Italia ma che, al momento dell’intervento, avevano risposto
aderendo al nazionalismo delle classi dirigenti. Paride viene inviato come
287
allievo ufficiale di complemento alla Scuola Militare di Modena e, nel
settembre 1915, raggiunge la qualifica di Sottotenente di complemento
effettivo per la mobilitazione al 4° Reggimento alpini.
La sua vita militare è tuttavia molto breve. Raggiunta la destinazione al fronte
nel settembre 1915, con gli alpini del Reggimento “Val d’Orco”, Paride
partecipa, il 23 ottobre, a un’operazione che gli costa la vita; secondo il
racconto riportato nel suo necrologio su un giornale pavese, il sottotenente
Pizzocaro «compiva un’ardita esplorazione ritornando con preziosissime
informazioni, sulle quali il Comando si basava per l’avanzata. Fu uno dei
primi a slanciarsi all’assalto alla testa del suo drappello: ma fatalmente
incolse in una mina che lo stramazzò a terra fatalmente ferito»; trasportato
alla quarta Sezione di sanità, muore dopo due giorni, il 25 ottobre 1915. Sarà
decorato con medaglia d’argento al valor militare.
Storia di Achille Baroffio
Dati anagrafici:
Nome e cognome: Achille Baroffio
Data di nascita:
2 agosto 1890
Luogo di nascita:
Pavia
Luogo di residenza:
Professione:
Pavia
Contabile
Statura:
1,68 ½
Capelli:
castani
Occhi:
castani
Fondi di riferimento: libretto commemorativo realizzato dai genitori in
memoria del figlio morto in guerra con note biografiche, trascrizioni di
alcune lettere di condoglianze, annunci mortuari e foglio manoscritto della
madre in ricordo del figlio, conservati presso l’Archivio storico civico; foglio
matricolare del soldato.
288
Achille Baroffio nasce il 2 agosto 1890 in una famiglia della piccola borghesia
pavese. Un ruolo importante nella sua formazione ed educazione, è rivestito
da un suo prozio, Achille Maiocchi, vera e propria icona vivente, personaggio
centrale nella mitologia di famiglia, in quanto colonnello Garibaldino a
Calatafimi e deputato al Parlamento italiano per diverse legislature.
Stimolato dal padre Luigi e dalla madre Maria Troncori ad avviarsi alla
carriera degli studi, Achille frequenta l’Istituto tecnico di Pavia conseguendo
il diploma di Ragioniere; viene successivamente assunto, per svolgere un
tirocinio, alla Banca Popolare Agricola di Pavia e, in seguito, viene impiegato
come contabile alla sede del Credito Italiano di Milano.
Nel 1910 è soldato di leva, inquadrato nel 78° Reggimento Fanteria (passa
successivamente al 79° Fanteria); viene mandato in congedo il 6 novembre
1911 con concessione della dichiarazione di aver tenuto buona condotta e di
aver servito con fedeltà e onore.
Nel 1914, a ventitré anni, Achille è scelto dalla Direzione Generale del Credito
Italiano per dirigere la contabilità nella nuova sede di Catania, assumendo la
qualifica di capocontabile e, allo stesso tempo, ricevendo dalla Direzione
l’assicurazione che, entro due anni, sarebbe tornato a Milano e promosso
Procuratore della Banca. Scoppia invece la guerra: il 24 maggio 1915 si
presenta al 4° Reggimento Fanteria in seguito alla mobilitazione generale e,
immediatamente, parte per il fronte.
Achille viene aggregato alla VI Compagnia del 146° Fanteria e combatte in
Carnia, sul monte Cimone. Dopo otto mesi, trascorso l’inverno 1916, viene
inviato al Corso Allievi Ufficiali e, con il grado di Aspirante, è assegnato al
239° Fanteria, dislocato sul monte Sober. Iniziano i mesi più duri, trascorsi
nelle trincee del Carso. Dal fronte scrive spesso ai genitori, rassicurandoli per
la propria salute e dissimulando i frequenti pericoli della vita in trincea. Il 7
settembre 1917, mentre svolge una ricognizione con alcuni soldati, Achille
viene colpito all’addome e alle gambe dalle schegge provocate da una granata
nemica. Muore poche ore dopo, assistito dal cappellano militare, mentre un
suo superiore, il maggiore Giovanni Solentino, raccoglie i suoi oggetti
personali da inviare ai famigliari: il portafoglio, un orologio, un anello, una
penna, una lampadina elettrica, gli indumenti.
289
A distanza di alcuni anni, i genitori realizzano un libretto commemorativo per
onorare la memoria del figlio, in cui rielaborano l’intera esistenza di Achille e,
in particolare, i suoi ultimi istanti di vita, in una narrazione accorata e
malinconica, inframmezzata da preghiere, necrologi, componimenti poetici,
brevi pensieri di amici e familiari. Il giovane soldato è ricordato dei suoi
genitori come «la luce, l’orgoglio, la gioia» che «ottenebrò per sempre colla
Sua dipartita il roseo sorriso del loro cielo che non avrà più sereno». Gli
ultimi momenti di vita vengono illustrati passo a passo; i resoconti inviati dai
commilitoni si confondono alle rappresentazioni elaborate dagli stessi
genitori: «con infinita sovrumana pietà non si lamentava per sé, non piangeva
la gioventù perduta ma si straziava al pensiero del dolore che avrebbe
provato la Mamma sua alla quale rivolse l’estremo pensiero».
In questo singolare componimento funebre realizzato dai genitori, sono
pressoché del tutto assenti i richiami nazionalistici e patriottici alla guerra
“redentrice” ma, quasi a connettere la vita di Achille con la generazione degli
avi eroi del Risorgimento, riecheggiano i miti e le memorie familiari: «Era il
Ragioniere Achille Baroffio, nipote del prode Colonnello Garibaldino Achille
Maiocchi, l’eroico mutilato di Calatafimi, che diè il suo braccio alla Patria e
cinque legislature al Parlamento Italiano, nipote del Generale Ingegnere
Zanzi e dell’insigne patriota Avv. Gerolamo Forni: era quindi naturale che se
egli nulla diceva di sé, di lui scrivessero i suoi Superiori le innate virtù».
Storia di Giulio Salaroli
Dati anagrafici:
Nome e cognome: Giulio Salaroli
Data di nascita:
16 giugno 1898
Luogo di nascita:
Ferrara
Luogo di residenza:
Professione:
Pavia
Studente
Statura:
/
Capelli:
/
290
Occhi:
/
Fondi di riferimento: lettere a famigliari e amici conservate presso
l’Archivio storico civico; edizione del giornale pavese “Giovine Italia” in
commemorazione della sua morte, conservato presso l’Archivio storico
civico; fascicolo personale presso l’Archivio storico dell’Università degli Studi
di Pavia; note biografiche nell’annuario 1918-19 dell’Università degli Studi di
Pavia; diario di prigionia di Angelo Rognoni, pubblicato, in cui sono citati
episodi di prigionia assieme a Giulio Salaroli.
Giulio Salaroli nasce a Ferrara da Lamberto Salaroli e Elvira Bertelli. Il padre,
medico, cambia di frequente la sede del proprio lavoro e così, anche Giulio,
assieme alla madre, alle sorelle e ai fratelli minori, lo segue nei vari
spostamenti: prima a Como, dove Giulio inizia a frequentare il Ginnasio, poi
ad Ancona, dove consegue il diploma liceale nell’ottobre 1915.
A scuola, Giulio si distingue in particolar modo nelle materie letterarie ma
sono soprattutto la poesia e il teatro le sue vere passioni: con gli amici si
diverte a declamare le poesie di D’Annunzio e di Carducci e a organizzare
piccoli spettacoli teatrali. Nello stesso tempo matura anche una coscienza
politica che lo avvicina agli ideali repubblicani, al pensiero di Mazzini e che,
nei confronti della guerra, lo porta su posizioni di convinto interventismo.
Dopo il liceo, Giulio inizia gli studi in Legge all’Università di Macerata ma qui
trascorre soltanto il primo anno; nel 1916, infatti, si sposta con la famiglia a
Pavia, iscrivendosi al secondo anno di Giurisprudenza.
Nella città lombarda, Giulio si immerge subito nella vivace vita politica locale,
avvicinandosi ai movimenti studenteschi più ribelli e contestatari. Entra in
contatto con l’Associazione studentesca repubblicana “Giovine Italia”,
divenendone Consigliere nel 1916 e collaboratore nel suo giornale periodico.
All’interno del circolo repubblicano si fa anche promotore di varie iniziative
culturali fondando la “Sezione dilettanti Filodrammatici”, una compagnia
teatrale che si presenta al pubblico per la prima volta nel salone degli
Impiegati Civili nel febbraio 1917: vanno in scena “L’Assessore” e la
291
“Stroncatura”, dramma in due atti dell’amico, futurista pavese, Angelo
Rognoni.
Anche con gli amici pavesi, Giulio si distingue come appassionato recitatore
di poesie: come verrà ricordato, dopo la sua morte, «non vi è alcuno che dopo
avere sentito la “Preghiera dei cittadini” di Gabriele D’Annunzio, o le Odi di
Carducci, o il Giuramento del “Romanticismo” di Rovetta, come Salaroli le
sapeva dire, potesse rimanere insensibile, senza sentirsi trascinato dal più
grande entusiasmo».
Con la chiamata alle armi della classe 1898, la Sezione Filodrammatica di
Salaroli si svuota ed è costretta a sciogliersi. Anche Giulio accorre a
partecipare alla guerra che aveva voluto e invocato. Prima di partire, incontra
i compagni della “Giovine Italia” per un’ultima volta; come commiato, gli
amici gli chiedono di declamare ancora una volta un verso, o una poesia e
Giulio recita il giuramento mazziniano della Giovine Italia: «Giuro di
consacrarmi tutto e sempre …».
Inquadrato nell’esercito, il giovane partecipa al corso alla Scuola Militare di
Parma e, prima di partire per il fronte, ritorna a Pavia, dove rimane ancora
per un mese. A metà ottobre 1917 parte definitivamente, con il grado di
Sottotenente, per raggiungere l’89° Fanteria (Brigata “Salerno”) sul Carso,
dove ritrova l’amico Angelo Rognoni. Giulio ha diciannove anni.
Trascorre tuttavia poche settimane al fronte; alla fine del 1917, infatti, nel
corso di un combattimento, è fatto prigioniero e inviato nel campo di
concentramento tedesco per ufficiali di Celle, nella Bassa Sassonia. Il viaggio
verso il campo è lungo e difficoltoso per Giulio che, colpito da un principio di
congelamento, è costretto a farsi trascinare dai compagni durante la marcia.
In pieno inverno, durante un periodo di internamento al campo di Crossen
am Oder, prima di giungere a Celle, Giulio si ammala gravemente; secondo le
memorie di Angelo Rognoni, «Salaroli soffre terribilmente e vorrebbe entrare
al lazarett. I suoi piedi si sono gonfiati; da più giorni non si alza dal
pagliericcio e noi gli portiamo la scodella con la sbobba. Sviene
frequentemente e delira. Ha attacchi di tosse che non riesce a frenare.
Brancola poi si accascia».
292
È ancora inverno quando Salaroli e Rognoni vengono infine inviati a Celle.
Anche nel campo per ufficiali le condizioni di vita sono durissime e
colpiscono pesantemente Giulio nella salute e nel morale. Dalla prigionia
scrive lettere accorate alla madre e al padre, dai quali, a causa delle difficoltà
postali, non giungono che risposte molto saltuarie; Giulio attende pacchi di
vestiario e di alimenti, ma più di tutto invoca notizie da casa, che possano
idealmente accorciare la distanza con i genitori lontani.
Come scrive alla madre, nel febbraio 1918, «io passo i miei giorni in continuo
pensiero di voi. Mamma mia, come tutti i vostri cari volti mi stanno impressi
nel cuore e come mi è dolce rievocarle queste vostre immagini!». Sono
proprio i ricordi familiari a non far precipitare Giulio nella disperazione e
sovente, nelle sue lettere, si sofferma su episodi della propria infanzia che
rievoca e rivive quasi come una terapia alle sofferenze della prigionia: «Ti
ricordi, mamma, le dolcezze che provavamo nei nostri discorsi, in tutte le
nostre cose? Babbo! Mamma! Sorelle! Fratelli! Che nomi dolci; santi! Come mi
si velano gli occhi di commozione rievocandoli». Il pensiero di Giulio rimane
spesso rivolto all’attesa della liberazione e del ritorno a casa: «Quando io
penso che verrà un giorno, Dio volesse fosse vicino, da cui mi ritroverà in
seno agli adorati miei, è tale e tanta l’emozione che provo, che mi si velano gli
occhi e resto per ore immobile su tale pensiero».
Il 24 marzo 1918, domenica delle palme, scrive al padre rivolgendo un
pensiero di pace; l’occasione della festa e soprattutto l’arrivo della primavera
non leniscono però le sofferenze di Giulio: «La vita si rimodella coll’avanzare
della primavera ma pel prigioniero nulla è nuovo se non la crescente quantità
d’amore e forse anche di bontà, perché chi soffre è sempre buono». La
condizione di sofferenza e di prigionia spingono il giovanissimo ufficiale
Salaroli a riflettere anche sul passaggio, ormai sancito dall’esperienza di
guerra, alla vita adulta: «Come la mia mente vaga nel passato! L’anno scorso a
quest’ora inconsciamente godevo noncurante, oggi considero tutto; sono
diventato uomo».
Nonostante le assicurazioni ai famigliari sul buono stato della propria salute,
Giulio rimane gravemente ammalato. Nel mese di agosto viene portato nel
293
lazzaretto del campo, il medico gli diagnostica una nefrite, un’infiammazione
renale. Muore dopo venti giorni di lazzaretto.
Durante l’inaugurazione dell’anno accademico 1918-1919, a Pavia, Giulio
Salaroli, assieme agli altri studenti dell’università pavese morti in guerra,
riceverà la laurea honoris causa e la sua fotografia, con alcune brevi note
biografiche, saranno inserite nell’annuario 1918-19.
Storia di Giuseppe Resegotti
Dati anagrafici:
Nome e cognome: Giuseppe Resegotti
Data di nascita:
25 agosto 1898
Luogo di nascita:
Tromello
Luogo di residenza:
Professione:
Zerbolò (Pavia)
studente
Statura:
1,73
Capelli:
neri
Occhi:
castani
Fondi di riferimento: 2 cartoline dal lager di Celle, conservate presso
l’Archivio storico civico; 2 articoli di giornale commemorativi; fascicolo
personale presso l’Archivio storico dell’Università degli Studi di Pavia; note
biografiche realizzate dai famigliari all’interno della pratica per le lauree
honoris causa, Archivio storico dell’Università degli Studi di Pavia; diario di
guerra, pubblicato; note biografiche nell’annuario 1918-19 dell’Università
degli studi di Pavia; foglio matricolare.
Giuseppe Resegotti nasce a Tromello, un piccolo paese nel cuore della
Lomellina, il 25 agosto 1898 da Annibale Resegotti, conduttore di Cascina
Boschetta a Zerbolò, e Francesca Valle.
Si iscrive al liceo “Ugo Foscolo” di Pavia, dove ottiene il diploma nel
settembre 1916: dai voti dello scrutinio finale, si deduce la sua predilezione
294
per le materie letterarie, oltre a educazione fisica, e una certa difficoltà nelle
materie scientifiche. Dopo il liceo decide comunque di iscriversi alla facoltà di
Medicina e Chirurgia. La sua vita accademica si interrompe tuttavia ben
presto, appena il tempo di sostenere tre esami del primo anno di Medicina: il
2 gennaio 1917 è infatti chiamato alle armi e il 22 aprile 1917 è inviato alla
Scuola Militare di Parma come aspirante allievo ufficiale di complemento,
dove, fra le reclute pavesi, incontra anche l’amico Giulio Salaroli. Ne esce con
il grado di Aspirante all’inizio dell’ottobre 1917 ed è assegnato al 20°
Reggimento Bersaglieri. Avendo già superato alcuni esami di Medicina, gli
viene offerta l’opportunità di passare alla sezione di sanità e di svolgere
l’attività di medico sul campo: Giuseppe rifiuta; come ricorderanno i genitori
«Non volle per dare maggiore tributo, come ufficiale di arma combattente,
alla sacra causa per la quale aveva sempre entusiasticamente parteggiato».
La guerra aveva già sconvolto al suo interno la famiglia Resegotti: i tre fratelli
di Giuseppe, infatti, nel 1917 si trovavano al fronte; un fratello, Enrico, è
capitano medico e morirà il 14 marzo 1918 per malattia; un altro fratello è
sacerdote, arruolatosi all’entrata in guerra dell’Italia; un altro ancora si
trovava in America prima della guerra ed era tornato in Italia per rispondere
alla chiamata alle armi.
Il 13 ottobre 1917 anche Giuseppe giunge in territorio di guerra. È poco più
che un ragazzino, ha diciannove anni, e si ritrova a comandare soldati molto
più anziani di lui: «Se sarò prudente sarà per essi, perché ho cara la loro vita,
perché penso che hanno moglie e figli», appunta nel suo diario di guerra.
Il 24 ottobre Giuseppe raggiunge la linea del fuoco; è il giorno della battaglia
di Caporetto e Giuseppe, nel suo diario, descrive la disfatta con smarrimento
e sconcerto: «mi assale un po’ di scoraggiamento nel notare che nulla è
preparato per la difesa». Il giorno successivo, il 25 ottobre 1917, viene
catturato dai tedeschi assieme a tutto il reggimento. Nella marcia verso i
campi di concentramento, Giuseppe nota incredulo che molti soldati
prigionieri appaiono allegri e anzi scherniscono gli ufficiali: «è finita la
cuccagna».
Nel suo diario Giuseppe descrive il viaggio verso il campo alternando parole
di profonda amarezza a momenti di sconcerto: nella condizione di
295
prigioniero, vede infatti crollare tutte le certezze che lo avevano
accompagnato al conflitto, i ruoli e le gerarchie si mescolano e lui, da ufficiale
addestrato alla disciplina di guerra, ritorna nei panni di un ragazzino lontano
da casa, impaurito e demoralizzato.
Dopo alcune soste in campi di prigionia intermedi, dove rivede anche l’amico
Salaroli gravemente malato, giunge alla destinazione finale, il lager di Celle. Il
suo diario si interrompe alla data dell’11 novembre 1917.
Nel campo di prigionia, Giuseppe si ammala gravemente. Come testimoniano
due sue cartoline all’amica Lina Cordone di Pavia anche il morale è abbattuto;
si tratta di cartoline non scritte di pugno dal prigioniero, come riporta un
tratto di testo nella cartolina stessa, ma probabilmente dettate a un altro
prigioniero a causa del suo grave stato di salute. Il 6 giugno 1918 scrive:
«Cosa vuole, mi trascino come una carretta rotta: lei si ricordi di me preghi
per me e cerchi di consolare i miei poveri vecchi e tutti i miei cari che sia per
l’Enrico sia per me chi sa in quali dolori saranno immersi. Io sono
perfettamente rassegnato alla volontà Diddio o almeno cerco di esserlo il più
possibile».
Un ultima cartolina, inviata l’11 luglio 1918, esprime ancora rassegnazione e
quasi apatia di fronte alla sua condizione di prigioniero gravemente malato:
«Anche a lei scrivo questa cartolina tanto perché conservi mio ricordo: di
nuovo non so cosa dirle, la mia salute continua sempre ugualmente».
Giuseppe Resegotti muore dopo venti giorni, il 31 luglio 1918. Anche lui
riceverà, durante l’inaugurazione dell’anno accademico 1918-19, la laurea
honoris causa in medicina.
Storia di Giuseppe Angelo Lodigiani
Dati anagrafici:
Nome e cognome: Giuseppe Angelo Lodigiani
Data di nascita:
22 settembre 1899
Luogo di nascita:
Robbio
Luogo di residenza:
Robbio
296
Professione:
contadino
Statura:
1,70
Capelli:
castani
Occhi:
castani
Fondi di riferimento: foglio matricolare.
La storia di Giuseppe Angelo Lodigiani è simile a quella di molti altri
giovanissimi
ragazzi,
strappati
dagli
affetti
familiari
e
ritrovatisi
improvvisamente in trincea senza reali motivazioni o valide spiegazioni nei
confronti della guerra in corso.
Giuseppe Angelo nasce a Robbio, un centro agricolo della Lomellina
settentrionale disposto lungo il confine con il Piemonte. I genitori, Luigi
Lodigiani e Giulia Bertone sono contadini e lui stesso è un lavoratore della
terra. Al momento dell’entrata in guerra dell’Italia ha quindici anni e,
probabilmente, vive il conflitto bellico come un fatto lontano, che non lo
coinvolge direttamente.
Nel maggio 1917, tuttavia, anche Giuseppe Angelo viene iscritto nel Distretto
militare di Pavia come soldato di leva di terza categoria. Il 17 giugno 1917
viene chiamato alle armi per la mobilitazione generale: non ha ancora
compiuto diciotto anni.
Inizia dunque nell’estate 1917 la storia militare di Giuseppe Angelo: il 26
giugno 1917 viene collocato nel deposito del 53° Reggimento Fanteria ma,
dopo la disfatta di Caporetto, nel novembre, viene mandato in territorio di
guerra come soldato del 13° Battaglione di marcia, ovvero un reparto di
reclute sommariamente addestrate, che serve da rimpiazzo ad altri reparti.
Il 24 febbraio 1918 viene inquadrato nel 42° Reggimento fanteria ma, la
conoscenza diretta della morte di massa e della rigida disciplina di guerra,
deve avergli fatto maturare una viva repulsa verso le forme della gerarchia
militare. Il 24 luglio 1918 viene infatti rinchiuso nelle «camere di
punizione» in attesa di giudizio: è accusato di reati militari particolarmente
gravi e infamatori, tra cui il rifiuto di compiere un servizio di guerra in
presenza del nemico, di insubordinazione con insulti, minacce e vie di fatto
297
verso un caporale. Si tratta di reati puniti, secondo il codice penale
dell’esercito, con pene molto elevate, inasprite peraltro in quanto commessi
in stato di guerra; l’insubordinazione e la scelta della disobbedienza
compiute da Giuseppe Angelo mettono infatti in discussione la natura del
rapporto gerarchico e il rapporto di autorità tra ufficiali e soldati.
Il 3 agosto 1918 il giovane soldato viene condannato dal Tribunale Militare di
Guerra del 6° Corpo d’Armata alla pena complessiva di 25 anni di reclusione
militare «con ogni altra conseguenza di legge per il reato di rifiuto di
compiere un servizio di guerra in presenza del nemico». Il giorno successivo
parte dal territorio dichiarato in stato di guerra e viene rinchiuso nelle
carceri di Livorno: passerà gli anni della giovinezza in prigione.
Dopo la fine del conflitto, nel luglio 1919, la pena sarà ridotta a 22 anni di
reclusione e, successivamente, nel febbraio 1922, sarà ancora ridotta a 12
anni e 6 mesi con commutazione della condanna in condizionale.
Le ultime notizie sul conto di Giuseppe Angelo Lodigiani risalgono al periodo
della seconda guerra mondiale quando, il 10 febbraio 1943, viene iscritto nel
ruolo 115 della forza in congedo Fanteria del distretto militare di Pavia.
Storia di Francesco Domenico Albertario
Dati anagrafici:
Nome e cognome: Francesco Domenico Albertario
Data di nascita:
9 maggio 1891
Luogo di nascita:
Bornasco
Luogo di residenza:
Professione:
Pavia
studente
Statura:
1,67
Capelli:
biondi
Occhi:
grigi
Fondi di riferimento: fotografia con ruolo militare presso il fondo Prima
guerra mondiale del Museo del Risorgimento di Pavia; note biografiche nel
298
libretto commemorativo dei caduti in guerra del collegio “San Francesco” di
Lodi, nell’albo d’oro dei medici caduti e nell’annuario 1918-19 dell’Università
degli studi di Pavia; lettera dei famigliari al deputato pavese Roberto
Rampoldi con note biografiche di Albertario; “santino” in sua memoria
realizzato dopo la morte; fascicolo studente presso l’Archivio storico
dell’Università degli Studi di Pavia; note biografiche composte dai famigliari
nella pratica generale per il conferimento delle lauree honoris causa presso
l’Archivio storico dell’Università degli Studi di Pavia; foglio matricolare.
Francesco Albertario nasce in una famiglia di possidenti terrieri originaria di
Gualdrasco, frazione del comune di Bornasco, un piccolo centro a pochi
chilometri da Pavia. Il padre, Filippo Albertario, è sindaco di Bornasco,
mentre lo zio, il grand’ufficiale Ferdinando Albertario, è presidente della
Deputazione Provinciale.
Francesco compie gli studi liceali in un istituto privato, il collegio “San
Francesco” di Lodi, diretto dai Padri Barnabiti. Dai voti dello scrutinio finale
del novembre 1910, inclusi nel Diploma di licenza liceale, si deduce che
Francesco non è propriamente uno studente modello: italiano, latino, filosofia
non sembrano andargli a genio e, in queste materie, deve ripetere l’esame
nella sessione di ottobre 1910, mentre nelle discipline scientifiche ottiene la
sufficienza a luglio.
Ottenuto
il
diploma,
Francesco
si
iscrive
all’Università
di
Pavia
immatricolandosi il 2 novembre 1910 alla facoltà di Medicina e Chirurgia. Nel
settembre 1911 ottiene quindi la proroga per ritardare il servizio militare.
Secondo i registri dei corsi seguiti, partecipa a molte lezioni ma gli viene
negato l’attestato di diligenza per alcuni insegnamenti particolarmente ostici,
tra cui dissezione anatomica, tecnica delle dissezioni, anatomia applicata alla
chirurgia.
Dagli
incartamenti
risultano
pochi
esami
sostenuti
e,
probabilmente anche a causa di queste difficoltà negli studi, nel dicembre
1913 presenta una domanda di trasferimento per il 4° anno di medicina
all’Università di Modena. La carriera universitaria, tuttavia, si interrompe a
causa della guerra.
299
Il 22 maggio 1915 Francesco è chiamato alle armi: come molti suoi compagni
studenti di medicina, le competenze acquisite negli studi universitari
dovranno ora essere messe in pratica prestando servizio in qualità di medico.
L’8 giugno 1915 viene inquadrato nella 2° Compagnia di Sanità; comincia
quindi, in un primo tempo, a svolgere l’attività di medico negli ospedali
militari di Pavia e Alessandria – dove vengono inviati i soldati bisognosi di
cure direttamente dal fronte – ottenendo prima il grado di caporale e,
successivamente, di sergente. Nel maggio 1916, infine, è Aspirante
sottotenente medico alla Direzione di Sanità di Alessandria ma, in questa
città, rimane soltanto fino agli inizi di giugno.
L’11 giugno 1916 giunge infatti in territorio dichiarato in stato di guerra e
viene aggregato al 141° Reggimento Fanteria (Brigata Catanzaro) comandato
dal colonnello Attilio Thermes. Appena raggiunta la sua Brigata, Francesco
non trova certamente una situazione distesa nei rapporti tra ufficiali e
truppa: soltanto poche settimane prima, alla fine del maggio 1916, lo stesso
colonnello Thermes aveva infatti ordinato l’esecuzione sommaria di 12
soldati della Brigata Catanzaro, accusati di sbandamento e diserzione.
Francesco inizia comunque a svolgere la sua mansione di addetto al servizio
medico di reggimento. Tra i suoi compiti, si occupa di soccorrere i soldati
feriti nelle trincee, agendo direttamente sul campo e sulla linea del fuoco. È
proprio mentre svolge il suo servizio che, l’11 agosto 1916, a soli due mesi
dal suo arrivo al fronte, viene colpito mortalmente da una pallottola nemica.
Francesco si trovava con la sua brigata, intenta alla conquista delle pendici
occidentali del monte Nad Logem, nei pressi di Gorizia.
Viene sepolto nel cimitero militare di Vallone Doberdò, sotto il Nad Logem e
il colonnello Thermes informa i famigliari del triste avvenimento: «Tra noi
che lo amavamo per la sua bontà e per l’amore con cui adempiva al Suo
pietoso ufficio, la sua perdita ha lasciato largo compianto».
Nel 1918, a guerra conclusa, riceve la laurea honoris causa in medicina
dall’Università di Pavia.
Storia di Enrico Petrella
300
Dati anagrafici:
Nome e cognome: Enrico Petrella
Data di nascita:
18 agosto 1896
Luogo di nascita:
Pavia
Luogo di residenza:
Professione:
Pavia
studente
Statura:
/
Capelli:
/
Occhi:
/
Fondi di riferimento: fotografia con note biografiche presso il Museo del
Risorgimento di Pavia, fondo Grande guerra; lettera e cartoline di Petrella da
Mogadiscio, note biografiche dattiloscritte, lettera di lascito della madre
conservate presso l’Archivio storico civico, fondo Prima guerra mondiale.
La storia di vita di Enrico Petrella è la vicenda di un giovane pavese che ha
voluto concepire la guerra e l’azione militare come una grande avventura,
un’impresa eroica, intrinsecamente individualistica. Una simile visione si
inquadra pienamente nelle correnti culturali che in Italia si sono battute per
l’intervento, invocando la guerra come un’esperienza redentrice e
giovanilistica.
Enrico Petrella nasce a Pavia da Salvatore e da Erminia Broglia. Trascorre i
primi anni di vita nella città lombarda, dove vivranno sempre i famigliari e gli
amici, ma termina gli studi liceali a Forlì. Conseguito il diploma, si iscrive, nel
1915, all’Università di Perugia, alla facoltà di Ingegneria. Il 22 settembre
1915, Enrico è tuttavia chiamato alle armi e si presenta al Distretto militare
di Forlì. Nel gennaio 1916 entra nella Scuola militare di Modena come allievo
al corso accelerato per ufficiali; segue un corso per mitraglieri, ottenendo
ottime valutazioni: ne esce il 30 novembre 1916 con il grado di sottotenente.
Due settimane dopo è già in territorio in stato di guerra, aggregato presso il
12° Reggimento Bersaglieri. Al fronte è istruttore di Arditi, istruttore di
lancio di bombe a mano ed esploratore.
301
Trascorre in territorio di guerra tutto l’inverno e la primavera del 1917. Il 27
maggio, sul Monte Vodice, è al comando di un plotone d’Arditi: dopo aver
subito un violento bombardamento, si lancia con i suoi uomini attraverso le
difese avversarie; rimane ferito per lo scoppio di una bomba a mano ma non
rinuncia all’impresa e rimane, con pochi bersaglieri, sulla posizione
raggiunta. In seguito a questo episodio gli verrà conferita una medaglia
d’argento al valor militare.
A causa del ferimento, lascia il territorio di guerra e rientra al Deposito
Bersaglieri di Barletta: rimane in aspettativa per infermità per quattro mesi,
fino al dicembre 1917. Il 10 dicembre si ricongiunge al 12° Reggimento
Bersaglieri con una promozione al grado di tenente.
La propensione alla continua ricerca di esperienze avventurose ed eroiche,
già dimostrata dalle sue azioni con gli Arditi, spinge Enrico ad arruolarsi nel
Battaglione Scuola Aviatori, nel febbraio 1918: frequenta il corso di
pilotaggio e, il 28 giugno 1918. ottiene il brevetto di pilota militare su
apparecchio Farsan 122 1914. Sono gli ultimi mesi di guerra ed Enrico
compie le sue prime azioni aeree con la qualifica di Ufficiale capolinea
Aviatore.
Terminata la guerra, Enrico decide di rimanere nell’aviazione militare e di
gettarsi in una nuova avventura: quella coloniale. Nel novembre 1919, a
ventitré anni, raggiunge l’Eritrea, dove prende servizio al Campo di Aviazione
di Gioia del Colle. Si trasferisce in seguito al Nucleo di Aviazione della
Somalia, a Mogadiscio.
Alcune lettere inviate da Mogadiscio ad amici pavesi, testimoniano la sua
curiosità per gli spazi esotici della colonia italiana; il 16 maggio 1921 scrive
all’amica Noemi Morani: «Sono stato a caccia ed ho ucciso, credo per sbaglio,
qualche bestiaccia stanca della vita; qualche coccodrillo un ippopotamo e
altri insetti di calibro minore». Ed è lui stesso a destare curiosità tra le
popolazioni indigene: «Abbiamo cominciato a svolazzare anche qui fra la
grande meraviglia degli indigeni presso i quali sono diventato niente meno
che il tenente acimleer (tenente uccello), che roba!».
302
È proprio nel corso di un’esercitazione aerea che, il 17 giugno 1921, Enrico
Petrella, assieme al suo assistente, cade con il velivolo poco dopo aver preso
il volo, probabilmente per un guasto al motore. Enrico muore sul colpo.
Il funerale si svolge a Mogadiscio, con grande solennità: Enrico Petrella è
salutato come eroe di guerra e alla cerimonia partecipano anche il Duca degli
Abruzzi e il Governatore della Colonia. In sua memoria l’aeroporto
internazionale di Mogadiscio viene intitolato a “Enrico Petrella” e, ancora
oggi, quella è la sua denominazione.
Gli oggetti raccolti da Enrico in Somalia, testimonianze della presenza
coloniale italiana e manufatti locali, saranno donati dalla madre alla città di
Pavia, attualmente conservati nel Museo civico Robecchi Bricchetti.
Storia di Achille Malcovati
Dati anagrafici:
Nome e cognome: Achille Malcovati
Data di nascita:
21 gennaio 1897
Luogo di nascita:
Pavia
Luogo di residenza:
Professione:
Pavia
commesso
Statura:
1,71
Capelli:
castani
Occhi:
castani
Fondi di riferimento: diplomi e attestati conservati presso l’Archivio storico
civico; articoli di Malcovati su stampa combattentistica locale; libretto in sua
memoria realizzato dalla famiglia dopo la sua morte; foglio matricolare.
Achille Malcovati nasce nel 1897 da Angelo Malcovati, panettiere con bottega
in Strada nuova e da Maria Lardera. Ha un fratello e una sorella: Enrica, più
grande di tre anni, diverrà insigne filologa e accademica, docente presso
l’Università pavese; Piero, il fratello più piccolo, sarà medico e celebre
303
studioso in campo ostetrico e ginecologico. La vocazione di Achille non si
orienta, come nei fratelli, verso gli studi, ma si manifesta sin da giovane in
un’indole più pratica e in un temperamento attivistico ed esuberante;
sviluppa, ancora ragazzino, una visione della vita come esperienza eroica, che
si concretizza, di conseguenza, nelle sue convinzioni irredentistiche e
interventiste.
Achille frequenta la Scuola Tecnica “Felice Casorati” e, nel 1911, si iscrive
all’Istituto Tecnico “Antonio Bordoni”. Come intere generazioni di pavesi di
quell’epoca, anche Achille viene educato dai maestri e dagli insegnanti nel
mito del garibaldinismo e del Risorgimento che, in una città come Pavia, si
identifica nella saga familiare e politica dei Cairoli. Achille, quasi
istintivamente, diventa repubblicano e, allo scoppio della guerra in Europa,
nel 1914, non ha alcuna intenzione di restare passivo a osservare gli eventi:
decide, a diciassette anni, di lasciare la scuola, di scappare di casa e, assieme
all’amico Luigi Maino, di raggiungere la Liguria e da lì la Francia, dove si
arruola nella Legione Garibaldina organizzata da Peppino Garibaldi. Il 3
novembre 1914 giunge una cartolina in casa Malcovati con la fotografia del
giovanissimo Achille, in uniforme garibaldina: «A Te mio caro Padre,
chiedendoti perdono, giurando di essere soldato e figlio, con tutto l’affetto del
mio cuore. Viva la libertà dei Popoli». Mario fa parte della 7° compagnia, con
il ruolo di tamburino e si avvia a combattere in difesa della Francia.
Nel gennaio 1915, dopo le sanguinose battaglie di Bois de Bolante e di Four
de Paris, nelle Argonne, Luigi Maino muore sul campo e Achille è dato per
disperso. Viene ritrovato, ferito, ma, con lo scioglimento della Legione
garibaldina, fa ritorno a Pavia, dove è accolto come un eroe.
Partecipe alle manifestazioni interventiste e il 5 maggio 1915 è allo scoglio di
Quarto, assieme ai garibaldini delle Argonne.
Il 27 maggio 1915 inizia il suo secondo volontariato: si arruola a Genova –
città a cui sarà successivamente molto legato – nel 90° Reggimento Fanteria
come soldato semplice volontario. Tre giorni dopo è in territorio dichiarato
in stato di guerra.
Nell’intera vicenda bellica di Achille Malcovati si susseguono azioni
temerarie, imprese e decorazioni militari; il 19 agosto 1915, sul monte Sleme,
304
è ferito all’addome e al ginocchio: dopo un intervento urgente nella Sezione
Chirurgica mobile della II Armata, viene inviato per le cure e la convalescenza
all’Ospedale militare allestito presso il collegio Ghislieri di Pavia. Dopo circa
sei mesi è già pronto per ritornare sul campo: aggregato nel 90° Reggimento
Fanteria giunge al fronte il 25 febbraio 1916; il 10 giugno è promosso
caporale ma, il 19 giugno è nuovamente ferito: viene colpito dalla scheggia di
una granata al braccio destro. Nuovamente inviato al Deposito del 90°
Fanteria, dopo un mese è ancora sul fronte con una promozione ad Aiutante
di Batteria. Il 22 agosto 1917, sul Carso, è ferito per la terza volta: una
pallottola gli trapassa la gamba sinistra. Rimane a riposo per due mesi e, il 1°
novembre 1917, è ancora al fronte con il grado di Sottotenente di
Complemento per merito di guerra.
Alla fine del conflitto mondiale riceve sei medaglie al valor militare – quattro
d’argento e due di bronzo – oltre alla medaglia della Legion d’Onore conferita
dal governo francese. Soldato pluridecorato, martoriato nel corpo dalle
numerose ferite, Achille incarna il modello del veterano vittorioso ed eroico,
giovanissimo ma reso adulto dall’esperienza tragica della guerra. Tornato a
Pavia, nell’immediato dopoguerra diviene lui stesso uno dei punti di
riferimento del reducismo e del combattentismo cittadino. Nel frattempo
riprende gli studi interrotti e, nel 1920, riceve il diploma di agrimensore.
Nei suoi articoli sulla stampa pavese (risalenti agli anni 1923 e 1924)
emergono tutte le tematiche legate al mito della Grande guerra; l’esperienza
della trincea è descritta come prova generazionale che ha inesorabilmente
fatto da spartiacque tra un’Italia vecchia e un’Italia giovane, tra chi ha
combattuto e chi è rimasto a casa: «il XXIV maggio è la sagra della trincea, è la
sagra di coloro che alla guerra hanno dato non parole, adesioni, incitamenti
ma sangue, fatica, anima, cervello, di coloro che hanno vissuto della vita della
trincea tutta la brutale realtà, tutto il fango, tutto il freddo, tutto il sudiciume,
tutte le sofferenze, tutti gli sforzi, tutti gli entusiasmi e tutti gli sconforti tra i
fischi delle pallottole e gli scoppi e gli scrosci dei bombardamenti».
Ricorrente è anche l’idea di una rigenerazione nazionale fondata sul culto dei
morti, su una «religione dei ricordi», quale seconda e definitiva unificazione
nazionale raggiunta grazie al sacrificio dei soldati caduti: «La maestà e la
305
santità della Patria si manifestano, nelle sconosciute vibrazioni degli spiriti
nobili, attraverso la suggestione di una data», il 4 novembre.
La rivendicazione di un combattentismo politico e lo sdegno per la “vittoria
mutilata”, conducono Achille Malcovati ad accostarsi al movimento e al
partito fascista. Durante gli anni del regime rimane fedele all’interpretazione
fascista della Grande guerra e, al momento dell’entrata in guerra a fianco
della Germania, Achille decide nuovamente di arruolarsi volontario: nel 1940
è capitano nel 4° Reggimento Carristi della divisione Ariete, con cui partecipa
alla battaglia di El Alamein. Riceverà un nuovo encomio e una croce al valor
militare.
In seguito all’occupazione tedesca dell’Italia dopo l’8 settembre 1943,
tuttavia, sembra non aderire al fascismo repubblichino; come si evince dai
necrologi e dai ricordi degli amici, Achille dà anzi ospitalità nella sua casa
milanese a ebrei in fuga e combattenti nella Resistenza.
Nel secondo dopoguerra, Achille Malcovati continua la sua attività, iniziata
negli anni ’20, di commerciante e imprenditore a Genova. Si dedicherà infine
a opere di filantropia e di beneficienza. Muore a Nervi il 2 febbraio 1963.
Storia di Francesco Domenico Sacchi
Dati anagrafici:
Nome e cognome: Francesco Domenico Sacchi
Data di nascita:
6 luglio 1896
Luogo di nascita:
Pavia
Luogo di residenza:
Professione:
Pavia
carrettiere
Statura:
1,58 ½
Capelli:
castani
Occhi:
neri
Fondi di riferimento: foglio matricolare e fascicolo personale presso
l’Archivio di Stato di Pavia.
306
Francesco Domenico Sacchi, giovane carrettiere domiciliato a Pavia, viene
riconosciuto abile di prima categoria il 19 novembre 1915. Chiamato alle
armi il 22 novembre, viene inquadrato nel 91° Reggimento Fanteria e inviato
al fronte.
Dopo poche settimane in territorio di guerra, il 22 gennaio 1916 Francesco
riceve una licenza straordinaria di convalescenza per 90 giorni, in seguito a
«lunga e grave malattia». Dopo il periodo di riposo, rientra al Corpo il 22
aprile.
In seguito al suo rientro, Francesco sembra maturare una crescente
insofferenza verso la disciplina militare. L’8 giugno 1916 è infatti punito a tre
giorni di carcere, come recidivo, per indisciplina e l’11 luglio è nuovamente
punito, a 10 giorni di carcere, perché «Si assentava dal distaccamento per 60
ore».
Nel 1917 Francesco è aggregato al 154° Reggimento Fanteria ma, nel mese di
settembre, viene colto da un nuovo e ben più grave provvedimento
disciplinare. Francesco è infatti denunciato al Tribunale di Guerra del 25°
Corpo d’Armata per il grave reato previsto dall’articolo 92 del Codice penale
dell’esercito: l’articolo prevede la pena di morte e intende colpire quei soldati
che, in faccia al nemico, si sbandino, abbandonino il posto, non compiano la
dovuta difesa o si rifiutino di marciare contro il nemico stesso. Francesco è
infatti accusato di essersi rifiutato, il 23 settembre 1917, di obbedire
all’ordine di raggiungere il proprio reparto che si trovava sulla linea del fuoco
e per questo è incarcerato nella prigione del Corpo in attesa di giudizio.
Tradotto alle carceri militari del Tribunale di Guerra del 25° Corpo d’Armata,
il 6 febbraio 1918, Francesco viene infine condannato, con sentenza dell’8
febbraio, alla pena di vent’anni di reclusione e al pagamento delle spese
processuali.
Rimane in carcere per quasi due anni: il 15 dicembre 1919 la pena viene
infatti sospesa e Francesco può lasciare il carcere, grazie all’amnistia
promulgata nel settembre 1919. Inviato a dicembre in congedo illimitato, gli
viene negata la dichiarazione di buona condotta.
307
Storia di Giuseppe Sozzani
Dati anagrafici:
Nome e cognome: Giuseppe Sozzani
Data di nascita:
27 febbraio 1899
Luogo di nascita:
Garlasco
Luogo di residenza:
Professione:
Vistarino
studente
Statura:
1,73
Capelli:
castani
Occhi:
neri
Fondi di riferimento: lettere di Giuseppe Sozzani inviate dalla Scuola
Militare di Parma, conservate presso l’Archivio storico civico, fondo Prima
guerra mondiale; foglio matricolare.
Giuseppe Sozzani, al momento della chiamata alle armi, è un giovane
studente di Vistarino, piccolo centro nel Pavese nord-occidentale. Soldato di
leva di prima categoria richiamato il 16 febbraio 1917, viene destinato ai
corsi accelerati per Ufficiale di Complemento e inviato alla Scuola Militare di
Parma.
Dalla scuola di Parma invia alcune lettere agli amici pavesi e ai famigliari in
cui racconta la vita di un comune allievo ufficiale, commenta fatti di vita
quotidiana e, soprattutto, trasmette un quadro dell’educazione al
patriottismo e al principio di autorità impartita nelle scuole militari.
Come Giuseppe scrive a un’amica, il 12 giugno 1917, «Qui ci insegnano il
sacrificio: ci dicono i superiori che l’ufficiale di fanteria è la personificazione
del sacrificio. Tutto quello che stiamo imparando proviene da quella sacra
zona che si chiama frontiera della patria, a quella la nostra mente sempre è
rivolta».
Per il giovane, lontano da casa, è frequente il pensiero della famiglia: «alle
volte il ricordo in me suscita un po’ di malinconia»; tuttavia, Giuseppe è
308
anche cosciente di trovarsi a un fatidico punto di una svolta nella propria
formazione personale: «In due mesi la macchina guerresca mi ha trasformato
da pacifico principino borghese in aspirante, che se riuscirò, degli alpini». Si
coglie, in queste frasi, la sensazione di una sublimazione raggiunta attraverso
l’esperienza militare, una trasfigurazione non solo in uomo adulto, ma
nell’archetipo del soldato che si sacrifica per la patria.
Raggiunta la qualifica di Aspirante Ufficiale di Complemento, Giuseppe parte
per il fronte: viene aggregato al 61° Fanteria, 3° Battaglione. Come si evince
dalla sua corrispondenza, raggiunge il territorio di guerra nelle settimane
immediatamente precedenti i giorni caldi di Caporetto. Il 21 novembre, dopo
la disfatta, scrive alla mamma: «Sto riposandomi delle faticose marcie fatte, si
può dire coi tedeschi alle calcagna da Coseano in provincia di Udine fin qui.
Mi pare un sogno il rivedermi sul ponte del Tagliamento e del Piave, pallido»
senza «ne cibo ne bevande».
La descrizione della ritirata offre immagini di crudo realismo, descritte
tuttavia con distacco ed estrema freddezza; Giuseppe appare del resto
assuefatto alla presenza costante della morte di massa: «I cavalli morivano
per la strada, i soldati svenivano. Rivedo i portici di Sacile ove dormii una
notte sui sassi fulminato dalla fatica».
Una descrizione ancor più intensa della ritirata, Giuseppe la offre all’amica
pavese Lina Cardone, nel dicembre 1917: «Si passava tra cavalli stecchiti,
forme umane che non si sarebbero più mosse, fra camion rovesciati, colpiti,
contorti».
Il giovane trascorre gli ultimi mesi del 1917 a Casinalbo, in provincia di
Modena, dove, con i suoi soldati del 61° Fanteria, 3° Battaglione, è alloggiato
a villa Bonacini. Rifugge tuttavia la vita tranquilla delle retrovie e spera di
poter tornare al più presto al fronte: «Nutro speranze di passare negli Alpini;
se così sarà presto me ne andrò di nuovo in linea e saprò vendicare la
perduta libertà di molti miei fratelli d’arme fra i quali Peppino Resegotti».
Non si hanno notizie sulle destinazioni successive di Giuseppe Sozzani o sugli
eventi bellici cui partecipa. Come si evince dal foglio matricolare, dopo la
guerra ritorna a Pavia e viene pacificato il 29 agosto 1925.
309
Storia di Ettore Mariani
Dati anagrafici:
Nome e cognome: Ettore Mariani
Data di nascita:
2 dicembre 1890
Luogo di nascita:
Pavia
Luogo di residenza:
Professione:
Pavia
tipografo
Statura:
1,67
Capelli:
castani
Occhi:
cerulei
Fondi di riferimento: documenti identificativi di Ettore Mariani dal campo
di prigionia di Mauthausen e fotografie del campo, conservati presso
l’Archivio storico civico, fondo Prima guerra mondiale; foglio matricolare.
Al momento dell’intervento dell’Italia in guerra, Ettore Mariani è un giovane
tipografo che svolge la sua attività a Pavia. Già soldato di leva di terza
categoria, arruolato con la classe 1892 e lasciato in congedo nel maggio 1912,
il 1° giugno 1915 viene chiamato alle armi e inquadrato nel 37° Reggimento
Fanteria. Quattro mesi dopo è sull’Isonzo, in territorio dichiarato in stato di
guerra.
Dopo un mese di combattimenti, Ettore viene ferito: partito dal fronte, è
ricoverato all’ospedale militare allestito all’interno di collegio Ghislieri di
Pavia. Riceve una licenza di convalescenza di due mesi e, il 6 marzo 1916,
rientra al corpo del 37° Fanteria.
Nuovamente in territorio in stato di guerra dal 20 luglio 1916, Ettore viene
aggregato all’87° Fanteria, presso cui riceve una promozione a Caporale.
Come registra il suo foglio matricolare, il 1° giugno 1917 è ancora una volta
infortunato: riporta infatti una contusione al malleolo interno del piede
sinistro nelle trincee di prima linea del Monte Santo.
310
Nell’ottobre 1917, Ettore vive in prima persona la rotta di Caporetto e lui
stesso è fatto prigioniero dagli austriaci. Viene destinato al campo di
prigionia austriaco di Mauthausen, nei pressi di Linz, campo che diverrà
tristemente famoso, anni dopo la conclusione della Prima guerra mondiale,
come lager di sterminio nazista.
Nel campo, Ettore si ammala gravemente ma riesce a scampare dalla
prigionia venendo rimpatriato con un treno della Croce Rossa il 22 giugno
1918, nel corso di uno scambio di prigionieri invalidi.
Tornato in Italia, viene ricoverato in ospedale: prima all’Ospedale Militare di
Saluzzo, dove gli viene concessa una licenza di convalescenza di sei mesi, poi
all’Ospedale militare di Savigliano.
Ettore viene infine inviato in congedo illimitato il 15 agosto 1919 con
concessione della dichiarazione di buona condotta e con il riconoscimento a
usufruire degli assegni di sussistenza per la durata di due anni, in quanto
riconosciuto inabile al servizio militare. Considerato come riformato, viene
collocato in congedo assoluto il 21 novembre 1919. Nel 1922 gli viene infine
concessa la Croce al Merito di Guerra.
La prigionia rimarrà probabilmente una traccia indelebile nella memoria di
Ettore. Anche per adempiere a uno spontaneo impulso di testimonianza,
dopo il suo ritorno in Italia Ettore conserverà alcuni cimeli della sua
esperienza di prigionia: si tratta di oggetti apparentemente insignificanti ma
che, nello stesso tempo, possiedono una valenza documentaria tale da
rendere vivida e concreta la connessione tra l’osservatore di oggi, distaccato
dai fatti del 1917-18, e l’esperienza di Ettore Mariani.
Gli oggetti, oggi conservati dall’Archivio storico civico, comprendono una
placca con il numero di matricola del prigioniero, applicato probabilmente al
berretto o alla giubba; una tessera per la riscossione della paga al campo
prigionieri; documenti di identificazione del prigioniero; vi è anche una
cartolina dove sono riprodotte due fotografie del campo, che stupiscono per
la crudezza delle immagini: una inquadra un prigioniero legato mani e piedi a
un palo, per punizione, sorvegliato dalle guardie; l’altra raffigura un soldato
che addenta voracemente una pagnotta ricevuta tramite un pacco,
311
probabilmente proveniente da casa; la didascalia riporta: «il pacco della
salvezza».
Storia di Agostino Setti
Dati anagrafici:
Nome e cognome: Agostino Setti
Data di nascita:
19 dicembre 1894
Luogo di nascita:
Robecco Pavese
Luogo di residenza:
Professione:
Buenos Aires
falegname
Statura:
/
Capelli:
/
Occhi:
/
Fondi
di
riferimento:
Cartolina
fotografica
con
motivazioni
dell’assegnazione della medaglia al valore ad Agostino Setti, conservata
presso il Museo del Risorgimento di Pavia, fondo Grande guerra; note
biografiche su pubblicazione dedicata ai decorati pavesi.
Agostino Setti nasce a Robecco Pavese, un piccolo paese dell’Oltrepò. È figlio
di due contadini, Luigi Setti e Rachele Poletti. Agostino rimane ben presto
orfano di padre e, per contribuire al sostentamento della famiglia, è costretto,
da giovanissimo, a emigrare: sbarca in America Latina, stabilendosi a Buenos
Aires, dove svolge il mestiere di falegname.
Nei mesi precedenti la dichiarazione di guerra all’Austria, anche Agostino
viene richiamato per la mobilitazione generale: ripercorre la lunga traversata
transoceanica e si presenta al distretto militare di Tortona, dove viene
arruolato nel 1° Reggimento Granatieri.
Nel maggio 1915 varca con il suo Reggimento il confine con l’Austria
raggiungendo il settore di Monfalcone. Ferito in combattimento, riceve, dopo
lunga convalescenza, l’incarico di ciclista porta-ordini per il 4° Battaglione.
312
Durante i combattimenti sul Monte Cengio, in Val Canaglia, a Cesuna, a
Magnaboschi della primavera 1916, Agostino attraversa zone scoperte e
battute dal nemico portando gli ordini tra i vari reparti. Nel settembre è sul
Carso, dove partecipa all’occupazione dell’altura di San Grado di Merna.
Alla fine dell’agosto 1917, il giovane è con i granatieri del 1° Reggimento alla
conquista dello Stari Lovka, sul Carso. Si tratta di una delle battaglie più
sanguinose cui partecipa il Reggimento: moriranno più di 1.500 soldati
italiani. Il 19 agosto, mentre infuriano i combattimenti, Agostino è incaricato
di consegnare un importante ordine, fondamentale per la sorte del suo
battaglione: per farlo, è costretto ad attraversare una porzione di terreno non
coperta da difese e, sotto il fuoco nemico, si lancia correndo nel mezzo del
campo di battaglia. Agostino viene colpito mortalmente, perde molto sangue,
ma raccoglie le ultime energie per proseguire; stringendo la lettera fra i denti,
striscia sul campo fino al comando cui è destinata e, esausto, muore.
Ricca di suggestioni e di valenze simboliche, la vicenda di Agostino Setti si
arricchisce, attraverso la propaganda di guerra, di elementi e particolari
quasi leggendari. Nella costruzione di un’epopea popolare della Grande
guerra, il giovane portalettere che muore compiendo il suo lavoro diviene la
trasfigurazione del soldato esemplare, pronto al sacrificio e al “martirio” per
la Patria: Agostino verrà esibito come il modesto contadino della bassa
pavese, volontariamente tornato dal Sud America per combattere l’Austria
morto valorosamente sotto il fuoco nemico consegnano, stretta fra i denti,
una lettera con importanti comunicazioni. La sua morte verrà raffigurata
dall’illustratore Vittorio Pisani in una cartolina di propaganda intitolata “Il
sacrificio sublime”.
Il 16 agosto 1918, alla memoria del giovane granatiere, verrà concessa la
medaglia d’oro al valor militare con la seguente motivazione:
Costante, fulgido esempio ai compagni di attività, zelo e fermezza, quale ciclista presso il
comando di un battaglione, disimpegnò sempre con infaticabile lena il proprio compito, sotto
furiosi bombardamenti avversari, sprezzante del pericolo e dei disagi, ed essendo di mirabile
esempio anche ai più arditi. Affidatogli in un momento critico dell’azione un ordine di tale
importanza da dover essere recapitato in modo assoluto, partì mentre più intenso era il
fuoco nemico. Colpito a morte durante il cammino e conscio della gravità del momento,
313
raccolte le sue ultime energie, volle trascinarsi fino al comando designato, e spirò mentre gli
recapitava l’ordine, assicurando, coll’eroico sacrificio della propria vita, il buon esito del
combattimento.
Ad Agostino Setti saranno dedicate vie a Pavia e nella sua provincia, mentre,
nel comune di Santa Giuletta, sorge oggi un piccolo museo dei combattenti e
reduci a lui intitolato.
Storia di Francesco Bermond
Dati anagrafici:
Nome e cognome: Francesco Bermond
Data di nascita:
26 marzo 1897
Luogo di nascita:
Broni
Luogo di residenza:
Professione:
Pavia
studente
Statura:
/
Capelli:
/
Occhi:
/
Fondi di riferimento: fascicolo personale presso l’Archivio storico
dell’Università degli Studi di Pavia; note biografiche all’interno della pratica
per le lauree honoris causa agli studenti caduti presso l’Archivio storico
dell’Università degli Studi di Pavia; note biografiche e lettera ai genitori
pubblicate su libretto commemorativo dei caduti in guerra del collegio “San
Francesco” di Lodi; note biografiche su Annuario 1918-19 dell’Università di
Pavia.
Francesco Bermond nasce in una ricca famiglia residente a Broni, nell’Oltrepò
Pavese. Il padre, Pietro Bermond, è notaio ed esercita la professione a Milano.
Il giovane Francesco viene avviato alla carriera degli studi: è iscritto prima al
collegio “San Francesco” di Lodi, successivamente si diploma come studente
privato presso il liceo “Cesare Beccaria” di Milano, durante la sessione di
314
ottobre del 1916. Francesco riporta buoni voti nelle materie scientifiche,
mentre sembra penare maggiormente per materie come Latino e Greco.
Ottenuto il diploma, si iscrive all’Università di Pavia, optando per
Giurisprudenza: una scelta quasi obbligata data la ben avviata professione
del padre.
Dalle carte presenti nel suo fascicolo personale conservato presso l’Archivio
storico dell’Università di Pavia, sembrerebbe che Francesco non frequenti
molte lezioni universitarie: il 23 ottobre 1916 risulta infatti già arruolato
volontario, aggregato al Reggimento artiglieria a cavallo nel deposito del 3°
Riparto.
Francesco non intende rinunciare alla carriera universitaria, nemmeno
durante gli addestramenti nelle retrovie. Nel marzo 1917, dal comando del
Reggimento artiglieria a cavallo di Milano, fa domanda al rettore
dell’Università di Pavia per sostenere i primi esami del corso di
Giurisprudenza: Statistica, Diritto Costituzionale, Istituzioni di Diritto Civile.
Non si hanno notizie sull’esito della domanda di ammissione agli esami e, dai
fascicoli universitari, non risultano prove sostenute. Del resto, nell’autunno
1917 è in trincea, aggregato al 45° Reggimento Artiglieria di campagna, sulle
montagne del Trentino.
Svolge la mansione di ufficiale di collegamento con il 5° Reggimento
Bersaglieri dal 1° al 18 ottobre e raggiunge una promozione al grado di
sottotenente.
L’8 ottobre 1917, questa volta dal fronte, il giovane invia al rettore
dell’Università di Pavia una nuova domanda di ammissione per gli esami a
Giurisprudenza: Istituzioni di Diritto Civile, Istituzioni di Diritto Romano,
Storia del Diritto Romano, Economia Politica. Francesco riesce a ottenere una
licenza e, il 20 ottobre, è a Pavia, appositamente per prendere parte alla
sessione di esami. Vi rimane poco più di una settimana: il 29, dopo la rotta di
Caporetto, è in partenza per il fronte.
Durante i difficili giorni dell’offensiva austriaca, Francesco invia ai genitori
una lettera che esprime tutta l’eccitazione di un giovane soldato che, quasi a
voler adombrare la tragedia che lo circonda, si vede protagonista di una
315
grande avventura bellica: «Sono momenti grandiosi per noi. Spero di sapervi
forti, come lo siamo noi, abbarbicati all’erbe, fusi coi macigni».
Il 10 novembre Francesco è ancora di collegamento con il 157° Reggimento
Fanteria (Brigata Liguria) rimanendovi fino ai primi di dicembre. Per la sua
condotta e dopo alcune azioni coraggiose sotto il fuoco nemico, il generale
Zamboni lo propone sul campo per la medaglia d’argento in quanto «esempio
di slancio, di fede e di virtù militare».
Il 19 dicembre 1917, mentre lascia la sua batteria per una comunicazione di
servizio al comando, viene colpito da un proiettile shrapnel a Malga
Costalunga, sull’Altopiano di Asiago. Francesco è gravemente ferito, in sei
parti del corpo; trasportato al più vicino posto di medicazione, saluta i
commilitoni e i superiori, consapevole di avere ormai poco da vivere. Viene
trasportato all’ospedaletto da campo, la sezione di sanità n. 51, ma ogni cura
si rivela inutile e il giovane stesso chiede i conforti religiosi. Muore lo stesso
19
dicembre.
Francesco
verrà
sepolto
nel
piccolo
cimitero
di
Campomezzavia, sull’Altopiano, e alla sua memoria sarà conferita una
medaglia di bronzo. Nel 1919 gli sarà assegnata anche la laurea honoris
causa.
Storia di Daniele Cressini
Dati anagrafici:
Nome e cognome: Daniele Cressini
Data di nascita:
11 novembre 1895
Luogo di nascita:
Milano
Luogo di residenza:
Professione:
Pavia
studente
Statura:
/
Capelli:
/
Occhi:
/
316
Fondi di riferimento: notizie biografiche fornite dai famigliari al rettore
dell’Università di Pavia, libretto commemorativo realizzato a cura della
famiglia, articolo-necrologio del Corriere della Sera, presenti nella pratica per
il conseguimento delle lauree honoris causa agli studenti caduti in guerra
presso l’Archivio storico dell’Università degli Studi di Pavia.
Daniele Cressini nasce l’11 novembre in una conosciuta e facoltosa famiglia
milanese: il padre è Carlo Cressini, pittore paesaggista e divisionista; il nonno
paterno è l’avvocato Daniele Cressini, garibaldino e organizzatore logistico
della Spedizione dei Mille.
Daniele cresce in un ambiente famigliare di orientamento liberale e
democratico; è descritto come un ragazzo schivo, timido, circondato da pochi
amici, ma entusiasta per lo studio e la lettura, dotato di mirabile forza di
volontà. Negli anni del liceo, Daniele propende soprattutto per le scienze
fisiche e naturali e, ottenuto il diploma, decide, di conseguenza, di iscriversi
alla facoltà di Medicina dell’Università di Pavia. Come ricorderà il suo amico e
compagno di studi Carlo Rusca, il giovane Daniele si dà «agli aridi studi
dottrinali del primo triennio con una passione, direi con una avidità della
quale […] era prova sicura nel quotidiano estendersi del suo sapere, nella
convinzione quasi ostinata che egli portava in ogni discussione scientifica».
Diventa allievo dell’Istituto di Patologia generale appassionandosi alla
batteriologia e all’istologia. Sempre l’amico Carlo Rusca ricorderà «con
compiacenza pari al rammarico certe lettere voluminose, nelle quali il povero
Daniele dava relazione dei suoi studi durante le vacanze estive, tracciava
piani di lavoro per l’anno seguente, poneva questioni di scienza o di
letteratura». Divoratore di “dispense” e di letteratura scientifica, Daniele
impara da autodidatta l’inglese e il tedesco, ma approfondisce anche una
cultura letteraria, artistica e musicale: si appassiona a Wagner, partecipa a
mostre ed esposizioni d’arte.
Gli anni pavesi sono tuttavia anche gli anni delle passioni interventiste,
condivise e propagandate dalla gran parte degli studenti dell’Università.
Daniele, come tutta la sua famiglia, condivide le motivazioni irredentistiche e
nazionaliste e, nel 1915, al momento della mobilitazione generale, tronca gli
317
studi del terzo anno di Medicina. Impaziente nell’attesa della chiamata alle
armi, Daniele decide di arruolarsi volontario: gli viene proposta la
destinazione nei reparti di sanità ma lui declina, propendendo per gli alpini.
Rifiutato tuttavia dal corpo degli alpini a causa della sua miopia, entra alla
scuola per ufficiali di Modena, frequentando il corso accelerato e ottenendo,
nell’autunno 1915, il grado di sottotenente di fanteria.
Nell’inverno 1915-16 è inviato in territorio di guerra, in Carnia, aggregato al
146° Reggimento Fanteria. Si appassiona gradualmente alla vita militare,
superando la nostalgia per gli studi universitari e, quando i famigliari e gli
amici lo rivedono durante un permesso a Milano, all’inizio del 1916, lo
trovano profondamente cambiato: «robusto, tarchiato, bruciato dal sole e
dalle nevi, mutato l’imberbe volto adolescente in quello maschio rude e
barbuto dell’alpigiano».
Nella primavera del 1916 è inviato in val Lagarina, a fronteggiare l’offensiva
austriaca nel Trentino ma, durante l’estate, la corrispondenza ai famigliari
che prima era sempre stata frequente, si interrompe di colpo. Daniele muore
infatti il 3 agosto 1916 nella valle dell’Orsa, mentre incitava i suoi uomini a
mantenere le proprie posizioni sotto il fuoco delle mitragliatrici nemiche.
Alla sua memoria, il 9 dicembre 1916 verrà conferita una medaglia d’argento
al valor militare e, come agli altri studenti universitari caduti in guerra, la
laurea honoris causa.
Il padre di Daniele deciderà anch’egli di arruolarsi volontario, riprendendo il
grado di tenente d’artiglieria.
Storia di Edoardo Andreoni
Dati anagrafici:
Nome e cognome: Edoardo Andreoni
Data di nascita:
12 aprile 1897
Luogo di nascita:
Pavia
Luogo di residenza:
Professione:
Pavia
parrucchiere
318
Statura:
1,66
Capelli:
/
Occhi:
/
Fondi di riferimento: foglio matricolare.
Edoardo Andreoni nasce a Pavia da Gaetano Andreoni e Lerario Celestina.
Frequenta le scuole elementari, impara a leggere e scrivere e, da ragazzo, si
avvia alla professione di parrucchiere.
Nel 1915, quando anche Pavia diviene un centro attivo di mobilitazione
interventista, Edoardo è diciottenne. Probabilmente si lascia sedurre dalle
convinzioni patriottiche dei suoi coetanei studenti giacché, il 7 giugno 1915,
non attende la chiamata alle armi ma si arruola volontario nel 12°
Reggimento Bersaglieri ciclisti. Verrà in seguito registrato nel Distretto
militare di Pavia come soldato di leva di prima categoria con l’obbligo di
compiere la ferma di leva. Il giorno successivo raggiunge la sede del
Reggimento a Milano.
Edoardo giunge in territorio di guerra il 31 agosto 1915, nell’alta valle
dell’Isonzo, ma, evidentemente, la realtà della guerra di trincea, le dure
condizioni di vita delle reclute, la rigida disciplina militare, minano
profondamente le convinzioni del giovane parrucchiere pavese: la guerra
reale non corrisponde alla guerra poetica ed eroica mitizzata dai fautori
dell’intervento. Dopo un mese e mezzo di combattimenti, Edoardo viene
infatti messo alla prigione del Reggimento, imputato del reato di codardia
con atti di mutilazione volontaria in faccia al nemico.
Tipica forma di rifiuto verso la guerra e di disperazione per le atrocità
vissute, l’autolesionismo commesso in stato di guerra è severamente colpito
dal codice penale dell’esercito. Inviato in osservazione all’ospedale militare,
Edoardo è riconosciuto colpevole di essersi provocato lesioni per rendersi
inabile alla guerra; il foglio matricolare riporta: «Mentre trovavasi in trincea
nella Conca di Plezzo in faccia al nemico si esplodeva per codardia un colpo di
fucile al braccio sinistro provocandosi così una lesione. Tale da rendersi
inabile alla difesa».
319
Nell’ottobre 1915 Edoardo è tradotto alle Carceri militari preventive del
Tribunale di Guerra del IV Corpo d’Armata; l’11 marzo 1916 viene
condannato alla pena di cinque anni di reclusione ordinaria previa
degradazione ed espulso dall’esercito.
Il 30 giugno 1921, per effetto di amnistia, sono dichiarati cessati l’esecuzione
e gli effetti penali ma non gli viene rilasciata la dichiarazione di buona
condotta.
Storia di Marco Billitz
Dati anagrafici:
Nome e cognome: Marco Billitz
Data di nascita:
29 settembre 1893
Luogo di nascita:
Locate Triulzi
Luogo di residenza:
Professione:
Pavia
studente
Statura:
/
Capelli:
/
Occhi:
/
Fondi di riferimento: note biografiche composte dai familiari raccolte nella
pratica per il conferimento delle lauree honoris causa agli studenti caduti,
presso l’Archivio storico dell’Università degli Studi di Pavia.
Marco Billitz nasce a Locate Triulzi, cittadina dislocata tra Pavia e Milano, da
genitori ungheresi naturalizzati italiani. Il padre, Solomon Géza Billitz, è un
chimico di famiglia ebraica proveniente da Pécs (Ungheria); si sposa a Vienna
con Helene Specht nel 1891 e, poco tempo dopo, emigra in Italia, dove svolge
attività scientifica di ricerca.
Come il padre, anche il giovane Marco Billitz viene avviato alla carriera degli
studi scientifici: terminate le scuole superiori, si iscrive infatti all’Università
320
di Pavia al corso di laurea in Chimica della facoltà di Scienze fisiche,
matematiche e naturali.
È ancora immerso negli studi universitari, frequentante il terzo anno,
quando, nel 1915, l’Italia dichiara guerra all’Austria. Marco si ritrova in una
posizione certamente singolare all’interno della comunità studentesca
pavese: egli, infatti, è non soltanto ebreo, appartenente quindi a una
comunità percepita come “separata” rispetto alla gran parte dei giovani
studenti pavesi, ma di origini austro-ungariche, dunque decisamente
suscettibile di inimicizie e avversioni. Del resto, come lo ricorderà un suo
docente universitario in un necrologio, «le sue doti di ingegno, di diligenza, di
fine distinzione […] gli avevano cattivata le simpatie di tutti».
La famiglia Billitz, tuttavia, si sforza di mostrarsi totalmente italiana,
patriottica e disposta al sacrifico. Il giovane Marco, pur avendo per legge i
diritti per entrare nel corpo sanitario dell’esercito, opta per l’arma
combattente e viene dunque inviato al corso accelerato della Scuola militare
di Modena. Ne esce sottotenente del 68° Fanteria il 28 settembre 1915.
Raggiunta la frontiera orientale, invia ai famigliari lettere da cui traspare il
suo pieno convincimento verso la causa patriottica: «Da qualche giorno
siamo in territorio redento, non molto lontano dal nemico. Aspettiamo con
ansia d’andare avanti. Ho spirito ed il morale è elevatissimo». Dopo le prime
azioni, per le sue qualità militari, viene nominato aiutante maggiore in
Seconda.
Marco condivide in pieno l’entusiasmo attivistico e combattivo dei giovani
che erano stati interventisti e irredentisti; dimostra anzi una sorprendente
esuberanza sul campo di battaglia, nella convinzione di essersi finalmente
risvegliato dal torpore degli anni universitari. Come scrive al padre, il 24
novembre, «Qui si combatte a tutto andare. Però sempre allegri […] Qui non
c’è molto tempo per scrivere, ma appena mi sarà data l’occasione vi
descriverò qualche squarcio di questo quadro di vita veramente vissuta».
Anche Marco appare dunque convinto di ritrovarsi in una fase elettrizzante
della sua vita e in un momento di passaggio: non solo verso la vita adulta, ma
anche verso un’esistenza pienamente vissuta.
321
La sublimazione e mitizzazione dell’atto bellico, tuttavia, non cancellano la
realtà fatta di sofferenze e supplizi. Il 28 novembre, sul monte S. Michele,
Marco viene colpito al torace da un proiettile mentre trasmette un ordine
attraversando una zona di terreno molto battuta dal fuoco nemico. Il
comandante del 3° Battaglione, tenente colonnello Gastone Avogadro di
Vigliano, invia la notizia al padre elogiando il comportamento esemplare,
financo esuberante («Già ieri, in altra azione del battaglione, io ebbi a
richiamarlo, perché, trascinato dall’entusiasmo, si esponeva troppo al fuoco
nemico»), sempre tenuto da Marco sul campo di battaglia e rassicurando la
famiglia sul suo stato di salute: «per quanto la ferita non sia leggera, spero,
come ho detto a lui stesso, di riaverlo presto a commilitone».
Trasportato all’ospedaletto da campo n. 76 a Romans, le cure si dimostrano
tuttavia difficoltose; rimane nell’ospedale per molti giorni finché, il 15
dicembre, muore.
Viene sepolto nel cimitero di Romans con gli onori militari e gli viene
conferita la medaglia di bronzo al valore militare con la seguente
motivazione: «Quale aiutante maggiore, portava ordini ai reparti impegnati,
percorrendo zone intensamente battute, e si spingeva poi, con i reparti stessi,
all’assalto, dando prova di slancio, ardimento e serena fermezza. Rimaneva
gravemente ferito. Monte San Michele, 29 novembre 1915».
Dopo la conclusione del conflitto, verrà conferita a Marco Billitz la laurea
honoris causa in chimica da parte dell’Università di Pavia; come scriverà il
padre Géza al rettore dell’Università, «Tale onorificenza reca grande conforto
alla mia famiglia e mi convince che l’entusiasmo giovanile, col quale egli
offerse la sua esistenza, piena di speranze, all’altare della patria, trova anche
l’assentimento di questo spettabile Consiglio Accademico».
Storia di Stefano Passoni
Dati anagrafici:
Nome e cognome: Stefano Passoni
Data di nascita:
13 febbraio 1892
322
Luogo di nascita:
Vellezzo Bellini
Luogo di residenza:
Professione:
Pavia
seminarista
Statura:
1,65
Capelli:
neri
Occhi:
castani
Fondi di riferimento: lettere al rettore del seminario vescovile di Pavia
conservate presso l’archivio privato del rettore; fogli matricolari.
Stefano Passoni, figlio di Giuseppe e Giovanna Moro è, al momento della
dichiarazione di guerra all’Austria, studente presso il seminario vescovile di
Pavia.
Già iscritto e chiamato alle armi nel 1912 dal distretto militare di Pavia, era
stato riformato con determinazione della direzione dell’Ospedale Militare di
Piacenza e congedato.
Nel marzo 1916 viene tuttavia richiamato alle armi e dichiarato idoneo al
servizio militare. Stefano, il 29 aprile 1916, è assegnato alla Seconda
Compagnia di sanità e la raggiunge il 12 maggio. Tre giorni dopo viene
tuttavia messo alla prigione del Corpo in attesa di giudizio: è imputato di
«falso in foglio di viaggio» e, con sentenza del Tribunale militare di
Alessandria, viene condannato alla pena del carcere militare per due mesi,
oltre al pagamento delle spese processuali.
L’8 giugno invia una lettera al rettore del Seminario, don Edoardo Casiroli, in
cui si scusa per non aver dato sue frequenti notizie: «Il luogo più che mai
desolante in cui mi sono trovato nei primi venti giorni circa, luogo di cui il
solo nome “Campo contumaciale” ricorda qualche cosa di doloroso, non mi
pareva posto di permanenza»; riferisce di trovarsi ora all’ospedale militare di
riserva Salesiani di Alessandria ma appena giunto nella nuova destinazione,
scriverà in una lettera successiva, «dovetti […] subire la vergogna di vedere
ad una parete dell’osped. prima il mio atto processuale, in cui si diceva che,
applicate tutte le attenuanti, venivo punito a tre mesi di pena sofferta».
Stefano si rifiuta di dare precise spiegazioni su quanto è avvenuto ma non
323
tralascia di paragonare l’esperienza del carcere a una gravosa sofferenza:
«Dante sognò di essere passato per l’inferno e vi uscì ch’era tutto annerito, io
ci sono stato (tre mesi!) speriamo almeno che mi abbia a giovare per
l’avvenire».
Il servizio all’ospedale di Alessandria è descritto come una nuova spiacevole
circostanza. Nelle sue lettere, Stefano mette spesso a confronto la vita placida
e gradevole del Seminario con l’esperienza militare, sempre descritta come
una sgradevole parentesi da cui ritirarsi al più presto: «Se si vuole il servizio
che presto è un po’ umiliante: faccio di osservante (solo osservante) agli
epilettici: siamo addetti in quattro e prestiamo servizio per turno a due per
due […] Del resto è motivo per esercitare la rassegnazione cristiana e rendere
gloria a Dio».
Il giovane seminarista attende con crescente ansietà e preoccupazione il
momento della partenza per il fronte, descritto quasi come un fardello da cui
è impossibile scappare; chiede quindi al rettore di ricordarlo nelle sue
preghiere, «stante il pericoloso momento che sto per incontrare». Colpisce,
nelle parole del giovane, la profonda distanza di giudizio verso la guerra
rispetto ai suoi coetanei pavesi studenti universitari: per gran parte di
costoro, la guerra è un dovere etico e morale oltre che un’esperienza di per sé
bella e positiva; secondo il giovane seminarista, invece, la guerra aleggia
sempre come un angoscioso e incomprensibile pericolo.
Il 18 luglio 1917, Stefano è ancora collocato all’ospedale di Alessandria; come
scrive al rettore, «sono ancora in buona salute e, grazie a Dio, ad Alessandria,
sebbene nuvoloni minacciosi, di quando in quando, vengono a molestarmi»;
questi “nuvoloni” sono proprio le voci che si rincorrono di una prossima
partenza per il territorio di guerra.
Il giovane verrà infine inviato al fronte nel gennaio 1918: giunge in territorio
dichiarato in stato di guerra il 6 gennaio ed assegnato all’ospedaletto da
campo n. 25. Durante i mesi di permanenza al fronte, si limita a inviare poche
e concise notizie sul suo stato di salute e di morale, celando la realtà della vita
di trincea e della morte di massa.
L’armistizio e la cessazione delle attività belliche sono salutate con gioia da
Stefano, che invia al seminario di Pavia un messaggio di pace. Tuttavia, deve
324
attendere ancora molti mesi perché possa fare ritorno a Pavia. La domenica
di Pasqua del 1919 scrive ricordando ancora con nostalgia la vita del
seminario: «andando ora colla mente alle belle Pasque passate coi compagni
in Seminario alle dolci funzioni nella nostra Cattedrale, mi pare di sentire
pieno il tripudio della sacra Trinità».
Stefano verrà infine inviato in congedo il 3 settembre 1919 con la
dichiarazione di aver tenuto buona condotta e di aver servito con fedeltà e
onore. Diventerà negli anni successivi sacerdote e, come si evince dal suo
foglio matricolare, sarà dispensato dal rispondere al richiamo alle armi nel
luglio 1940 in applicazione del Concordato con la Santa Sede.
Storia di Angelo Bocchiola
Dati anagrafici:
Nome e cognome: Angelo Bocchiola
Data di nascita:
15 agosto 1894
Luogo di nascita:
Villanterio
Luogo di residenza:
Professione:
Albuzzano
cuoco
Statura:
1,67
Capelli:
biondi
Occhi:
grigi
Fondi di riferimento: foglio matricolare.
Angelo Bocchiola nasce nel 1894 da Leopoldo e Amalia Mantovani. Lavora ad
Albuzzano, nel Pavese orientale, dove svolge l’attività di cuoco.
Il 20 aprile 1914, Angelo è iscritto al distretto militare di Pavia come soldato
di leva di seconda categoria; chiamato alle armi per istruzione, si presenta
agli uffici di leva il 10 novembre 1914 ed è aggregato al 7° Reggimento
artiglieria di Fortezza. Il 10 dicembre il giovane cuoco è tuttavia riformato in
325
seguito a rassegna medica da parte dell’Ospedale Militare di Alessandria.
Viene congedato il 13 dicembre.
Non si conoscono le motivazioni della dichiarazione di inidoneità al servizio
militare, tuttavia, nei mesi precedenti all’intervento in guerra dell’Italia e
durante i primi anni di scontro bellico, Angelo Bocchiola non immagina
certamente di dover tornare in caserma o di partire per il fronte. Eppure,
dopo il tragico inverno del 1917, giunge l’ordine di ripresentarsi all’Ospedale
Militare di Alessandria: ai sensi del decreto luogotenenziale n. 1230 del 12
agosto 1917, Angelo viene rivisitato e dichiarato abile al servizio militare;
vengono quindi annullati gli atti di rassegna e, il 25 febbraio 1918, il giovane
è incorporato nell’esercito come militare di prima categoria. Su giudizio del
direttore dell’Ospedale di Alessandria, Angelo è assegnato ai servizi sedentari
in modo permanente.
Chiamato alle armi, Angelo non si presenta in caserma. Viene dichiarato
disertore, e denunciato, il 5 marzo 1918 per non aver risposto alla chiamata.
Soltanto il 26 giugno 1918 il giovane decide di costituirsi al distretto militare:
rimane in carcere dal 27 giugno sino ai primi di agosto, quando viene avviato
al 34° Battaglione di Milizia territoriale di Pavia, pur rimanendo a
disposizione del Tribunale Militare di Guerra di Alessandria.
Angelo non incorrerà in ulteriori conseguenze carcerarie: il 6 agosto 1918
viene infatti assolto dal reato di diserzione per non provata reità.
Verrà inviato in licenza illimitata nel marzo 1919 con dichiarazione di aver
tenuto buona condotta e di aver servito con fedeltà e onore e con la
concessione degli assegni.
Storia di Michele Canevari
Dati anagrafici:
Nome e cognome: Michele Canevari
Data di nascita:
24 luglio 1894
Luogo di nascita:
Cura Carpignago
Luogo di residenza:
Professione:
Pavia
seminarista
326
Statura:
1,61
Capelli:
castani
Occhi:
castani
Fondi di riferimento: lettere al rettore del seminario vescovile di Pavia
conservate presso l’archivio privato del rettore; fogli matricolari.
Il seminarista Michele Canevari, figlio di Pietro e di Lucia Sacchetti, viene
iscritto come soldato di leva di seconda categoria nel distretto militare di
Pavia e chiamato alle armi per istruzione il 13 gennaio 1915. Inquadrato nel
28° Reggimento Fanteria, viene rinviato alla successiva chiamata, perché
riconosciuto temporaneamente inabile, in seguito a rassegna del 3 febbraio
1915.
Con l’ingresso dell’Italia in guerra, il giovane seminarista viene nuovamente
chiamato alle armi, in seguito alla mobilitazione generale: il 7 giugno 1915 è
aggregato alla Seconda Compagnia Sanità.
All’interno delle strutture dell’esercito, dall’ospedale di Alessandria, Michele
rimpiange i tempi del seminario; a ridosso del Natale 1915, dopo sei mesi di
inquadramento militare, scrive una lettera malinconica al rettore, don
Edoardo Casiroli: «Oh venga presto questo giorno in cui potrò ritornare
ancora nel mio Seminario…!».
Viene inviato in territorio dichiarato in stato di guerra il 12 marzo 1916 ed
assegnato all’ospedaletto da campo numero 084. Come scrive al rettore, il 19
aprile 1916, «Qui non si sta tanto male, dato che siamo in guerra» ma, si
affretta a precisare, «è inutile, non è il mio ambiente e il pensiero ritorna
sempre con dolce nostalgia ai giorni di pace e di tranquillità passati nel
nostro caro Seminario». Alla placida vita del seminario, Michele contrappone
la violenza vertiginosa della guerra e della trincea: «qui tutto è turbinio, tutto
è pericolo di vita».
Al fronte Michele contribuisce ai lavori di allestimento degli ospedali da
campo e alla cura dei feriti; di notte dorme in tenda, all’aria aperta e al fresco:
«fresco un po’ troppo accentuato però. Nelle notti di tormenta il freddo è un
vero martirio: e se piove e la bufera infuria entra aria da tutte le parti». Il
327
giovane racconta le giornate trascorse a raccogliere i feriti dai campi di
battaglia, sotto il fuoco nemico, ma vorrebbe spingersi ancora oltre e
raccontare al suo rettore tutto quello che vede e che prova nella condizione
di soldato: «questo non è ancora nulla, appresso ad altre cose che le vorrei
narrare, se potessi parlare liberamente: gliele dirò quando ritornerò». Il
giovane seminarista, è evidente, non nutre alcun fascino per le
interpretazioni propagandistiche e patriottiche della guerra, tanto meno per
la sua mitizzazione estetizzante, fatta propria dai molti dei suoi coetanei
studenti pavesi; la guerra, piuttosto, è una calamità da accettare con docilità:
«Pazienza, Dio vede le nostre pene e ci provvederà: non siamo qui per
divertimento».
Nel maggio 1916, in occasione della Pasqua, invia gli auguri al suo rettore,
narrando delle sue sofferenze continue e delle più dure privazioni: «pensi Sig.
Rettore che è quasi una settimana che non posso dormire per il grande lavoro
e mi riduco sempre a far colazione verso le quattordici. Sono stanco, molto
stanco, specialmente ho sonno, tanto sonno!».
Alla fine del maggio 1916, Michele lavora all’allestimento dell’ospedale da
campo 029; risiede e dorme in una cascina, «sotto ci sono le mucche che
fanno un concerto infernale giorno e notte: una puzza orribile». A luglio si
sposta nuovamente e le sue impressioni non migliorano: «si sta male… male.
Un caldo snervante che cuoce le cervella si fa sentire sotto le tende».
Mentre molti giovani borghesi vedono nelle violente esperienze della guerra,
nei sacrifici e nelle privazioni, un memorabile rito di passaggio, un’epica
transizione a una vita veramente vissuta, il giovane Michele rimpiange gli
anni felici del seminario e della vita pavese: «Oh come viene in mente il
nostro caro Seminario, asilo di pace e di tranquillità», ripeterà più volte nelle
sue lettere.
Con il trascorrere dei mesi, sempre più Michele invoca la pace e il ritorno a
casa. Il giovane appare frustrato e demoralizzato: «sorgerà presto quel giorno
tanto desiderato ed aspettato da tutti che ci ridia alle nostre famiglie […] in
cui cessino le ansie e ci possa aprire il cuore alla speranza? Preghi Sig.
Rettore che sorga presto questo giorno, ché io sono stufo, proprio stufo di
fare il soldato».
328
Nel febbraio 1917, il giovane è aggregato al 208° Reparto Fanteria e,
probabilmente per allontanarsi qualche tempo dalla zona di guerra, fa
domanda per essere ammesso al corso per allievi ufficiali: alla fine dell’estate
1917 è Aspirante ufficiale di complemento dell’Arma di fanteria.
Nel settembre 1917 Michele si trova nel Carso, sull’altipiano della Bainsizza:
«Giungemmo qui mentre ferveva la azione nella sua massiccia intensità; la
lotta nel più alto grado di accanimento». Appena giunto con il suo reparto alla
destinazione prestabilita, lavora tutta la notte per scavare una piccola trincea
in cui trovare riparo dal fuoco nemico che «ci sparava addosso con una
rabbia satanica». È una visione quasi infernale quella in cui si ritrova
immerso Michele, con i soldati trincerati nel fango rosso di sangue e con il
duro lavoro quotidiano: «tutto il giorno si lavora come bestie a ricavare
camminamenti sul monte su cui ci troviamo, a fortificare trincee, a trascinare
sassi su pel monte come i dannati di Dante».
Nelle trincee del Carso, un nuovo nauseante incubo tormenta il giovane
seminarista: la visione costante e continua della morte di massa e
l’indifferenza dei commilitoni nella convivenza quotidiana con i cadaveri:
«Trovammo cadaveri insepolti che emanavano un fetore insopportabile».
Una notte anche Michele è incaricato di rimare sdraiato, vicino alle postazioni
avversarie, in mezzo a due cadaveri in avanzato stato di putrefazione, per
spiare le mosse del nemico: «All’alba si ritornava in trincea, si aveva lo
stomaco rivoltato ed un male di testa. Anche ora, sebbene non vi sia più
nessun morto […] la terra si trova intrisa di sangue in putrefazione ed un po’
di odore di carne marcia esiste sempre».
Non si hanno più notizie sulla sorte di Michele dopo i terribili mesi
dell’autunno-inverno 1917. Si può solo dedurre che faccia infine ritorno sano
e salvo a Pavia, ponendo fine alla spaventosa esperienza della guerra.
Secondo il foglio matricolare, il giovane viene infatti pacificato a Pavia il 23
gennaio 1925.
Storia di Francesco Cavagnini
329
Dati anagrafici:
Nome e cognome: Francesco Cavagnini
Data di nascita:
23 agosto 1899
Luogo di nascita:
Torre d’Isola
Luogo di residenza:
Professione:
Pavia
seminarista
Statura:
1,71
Capelli:
castani
Occhi:
castani
Fondi di riferimento: lettere al rettore del seminario vescovile di Pavia
conservate presso l’archivio privato del rettore; fogli matricolari.
Francesco Cavagnini nasce nel 1899 a Torre d’Isola, un piccolo centro nel
pavese orientale, da Giovanni Cavagnini e Emilia De Paoli. Si iscrive come
studente al seminario vescovile di Pavia ma, nell’infuriare della guerra, il 13
giugno 1917 viene chiamato alle armi, non ancora diciottenne, assieme ai
suoi coscritti del 1899.
Il 24 giugno è inviato al deposito del 91° Reggimento Fanteria ad Abbiate
Guarrone, nei pressi di Varese: «è un bel sito» scrive Francesco al suo rettore,
«ma sono in brutta compagnia. Quali ambienti ci procura la Patria che
dobbiamo, ci si dice, amare!». Come nelle lettere dei suoi compagni
seminaristi, anche nelle testimonianze di Francesco è del tutto assente
qualsiasi richiamo alla propaganda patriottica, se non in senso negativo e
deteriore. Anche per Francesco la guerra è una calamità, una sciagura cui,
tuttavia, non è possibile sottrarsi.
Nel mese di ottobre è promosso caporale e trasferito a Tradate, presso la
Terza Compagnia. Come si evince dalle sue lettere al rettore del seminario di
Pavia, viene probabilmente collocato nel servizio di sanità. Francesco teme
tuttavia il trasferimento al fronte: «l’aria che spira non è troppo buona,
speriamo di non partir presto!», scrive il 28 ottobre 1917, mentre dalla
frontiera giungevano le notizie di Caporetto.
330
Anche il giovane seminarista viene infine inviato in territorio dichiarato in
stato di guerra: raggiunge il fronte il 15 novembre 1917 e viene aggregato
all’82° Reggimento Fanteria. Dalla nuova collocazione non giungono che
saltuarie cartoline di saluti e ossequi al rettore del Seminario ma prive di
qualsiasi riferimento sulle sue occupazioni o sulle sue impressioni di fronte
alla guerra di trincea.
A poche settimane dalla firma dell’armistizio, il 9 ottobre 1918, parte dal
territorio di guerra per malattia: «sono all’ospedale» scrive al seminario, «ma
senza serio motivo, per semplice febbre malarica». Francesco riesce a
raggiungere Pavia in licenza e, dopo l’armistizio, è inviato ancora al deposito
dell’82° Reggimento Fanteria. Viene trasferito nel dicembre 1918 a Corneto
Tarquinia, presso un campo di concentramento di soldati prigionieri
austriaci, dove, presumibilmente, svolge attività di assistenza sanitaria.
Al termine del servizio militare, Francesco riceverà l’assegno di indennità di
150 lire e gli verrà concessa la dichiarazione di buona condotta. Il 28 gennaio
1925 gli verrà anche concessa la croce di guerra.
Storia di Achille Antonini
Dati anagrafici:
Nome e cognome: Achille Antonini
Data di nascita:
12 gennaio 1891
Luogo di nascita:
Giussago
Luogo di residenza:
Professione:
Pavia
cocchiere
Statura:
1,67
Capelli:
biondi
Occhi:
grigi
Fondi di riferimento: foglio matricolare.
331
Achille Antonini nasce a Giussago, cittadina nel Pavese settentrionale al
confine con la provincia di Milano, da Antonio Antonini e Giuseppina Comotti.
Di professione è cocchiere e, all’ufficio di leva, dichiara di non saper né
leggere né scrivere.
Achille viene riconosciuto abile di prima categoria il 17 maggio 1911. Viene
chiamato alle armi nell’ottobre dello stesso anno e assegnato al 19°
Reggimento Cavalleggeri Guide, un reggimento di cavalleria e di esploratori
di stanza a Salerno.
Quando Achille viene inquadrato nell’esercito, era già scoppiata la guerra
Italo-Turca per la conquista coloniale della Tripolitania e della Cirenaica: è
proprio per combattere in questa campagna militare che il giovane ventenne
di Giussago viene imbarcato a Siracusa, il 23 luglio 1912, e inviato in
Tripolitania. Rientra tuttavia in Italia ad ottobre, pochi giorni prima della
firma del trattato di Losanna, in seguito a malattia: sbarca a Livorno l’11
ottobre.
Achille rimane in Italia e viene aggregato al Reggimento Cavalleggeri con
sede a Voghera. Viene mandato in congedo illimitato il primo dicembre 1913,
con concessione di dichiarazione di aver tenuto buona condotta e di aver
servito con fedeltà e onore.
Già veterano di una campagna bellica, Achille viene nuovamente chiamato
alle armi dopo la dichiarazione di guerra all’Austria: giunge al deposito del
Reggimento Cavalleggeri Guide il 7 febbraio 1916 ed entra in territorio
dichiarato in stato di guerra il 31 maggio 1916. Benché già la guerra per la
conquista della Libia si fosse rivelata ardua per i soldati italiani, ora, di fronte
alla guerra di posizione, alla vita di trincea e alla morte massificata, anche
veterani come Achille si ritrovano indubbiamente sconvolti per le sofferenze
e i sacrifici imposti.
Il giovane venticinquenne rimane al fronte pochi mesi; il 19 luglio è infatti
alla Scuola Bombardieri del Comando del Corpo d’Armata di Alessandria. Il
23 novembre, Achille decide tuttavia di allontanarsi dal Corpo e recarsi,
senza alcun permesso, a trovare i propri famigliari: viene arrestato e tradotto
alle prigioni del Corpo di Scandiano in attesa di giudizio. Il 5 febbraio viene
dichiarato disertore perché, invece di giungere alla destinazione ordinatagli,
332
si era arbitrariamente recato in famiglia. Achille viene rinchiuso nelle carceri
militari preventive di Mirandola e, l’11 febbraio 1918, è condannato dal
Tribunale militare di Guerra alla pena della reclusione per due anni.
La pena, secondo i regolamenti in uso per sopperire le esigenze belliche, non
è immediatamente eseguita: Achille viene infatti rimandato a combattere al
fronte nel mese stesso di febbraio assieme alla 231a Batteria bombardieri. La
nuova esperienza al fronte, tuttavia, è di breve durata: il 17 marzo 1918, sul
Piave, viene gravemente ferito; muore nella sezione di sanità il giorno stesso.
Storia di Gaetano Paolo Fiocchi
Dati anagrafici:
Nome e cognome: Gaetano Paolo Fiocchi
Data di nascita:
7 settembre 1898
Luogo di nascita:
Chignolo Po
Luogo di residenza:
Professione:
Chignolo Po
carrettiere
Statura:
1,67
Capelli:
castani
Occhi:
castani
Fondi di riferimento: foglio matricolare.
Gaetano Paolo Fiocchi è un giovane carrettiere di Chignolo Po, una cittadina
del circondario di Pavia, dislocata tra il fiume Lambro e il Po.
Gaetano viene riconosciuto abile di prima categoria nel gennaio 1917 ma
aggregato alla classe di leva 1899. Il 1° marzo 1917 viene chiamato alle armi
e, due settimane dopo, raggiunge il deposito del 1° Reggimento Artiglieria
Campale Pesante.
333
Giunto in territorio di guerra, ottiene il 30 giugno 1917 una promozione al
grado di Caporale. Non si conoscono gli spostamenti e le destinazioni di
Gaetano lungo il fronte, tuttavia, come si evince dal suo foglio matricolare, un
grave atto accade il 30 marzo 1918, la vigilia del giorno di Pasqua: Gaetano
viene infatti dichiarato disertore per essersi allontanato arbitrariamente dal
Corpo e denunciato al Tribunale Militare di Alessandria. Il giovane
diciannovenne si costituisce spontaneamente al Deposito di Alessandria
soltanto due mesi dopo, il 23 maggio 1918. Messo alle prigioni del Corpo in
attesa di giudizio, viene infine condannato con sentenza del 26 giugno 1918 a
una pena particolarmente severa: ergastolo, pagamento delle spese
processuali, interdizione perpetua dai pubblici uffici, privazione della facoltà
di testare. La gravità di una simile pena suggerisce che, probabilmente, la
diserzione di Gaetano sia stata considerata “in presenza del nemico”, secondo
quanto previsto dal Codice penale dell’esercito che, del resto, per un simile
reato, contempla financo la pena di morte.
Il giovane viene retrocesso a soldato ed espulso dall’esercito il 13 agosto
1918. Il foglio matricolare non fornisce ulteriori informazioni e non si hanno
riferimenti a eventuali concessioni di amnistia.
Storia di Ettore Tibaldi
Dati anagrafici:
Nome e cognome: Ettore Tibaldi
Data di nascita:
19 dicembre 1887
Luogo di nascita:
Bornasco
Luogo di residenza:
Professione:
Pavia
medico
Statura:
/
Capelli:
/
Occhi:
/
334
Fondi di riferimento: corrispondenza e documenti personali di Ettore
Tibaldi conservati nel fondo “Tibaldi Ettore” dell’archivio dell’Istituto
nazionale per la storia del movimento di Liberazione in Italia (Istituto “Parri”
Milano); fascicolo personale studente presso l’Archivio storico dell’Università
degli Studi di Pavia; fascicolo personale docente presso l’Archivio storico
dell’Università degli Studi di Pavia.
Ettore Tibaldi nasce a Bornasco dall’ingegner Giacomo Tibaldi e da Irene
Morosini. Cresce in un ambiente familiare intriso di miti risorgimentali e
garibaldini che lo indirizzano, fin da giovane, ad abbracciare ideali
democratici e repubblicani. Ettore viene avviato alla carriera degli studi e
iscritto nel 1902 al Liceo “G. Baldessano” di Carmagnola; si diploma il 21
ottobre 1907 riportando una buona votazione agli esami finali.
Ritorna dal liceo con una ancor più agguerrita coscienza politica: si avvicina
infatti agli ideali socialisti, entrando in contatto con il circolo socialista
pavese. Nello stesso 1907 si iscrive all’Università di Pavia, dove inizia a
frequentare i corsi di Medicina e chirurgia.
Gli anni universitari sono scapigliati e turbolenti: Ettore si fa conoscere non
solo nell’ambiente socialista, ma anche in quello repubblicano, nelle
associazioni studentesche e nei circoli radicali. Collabora con il giornale
locale, di tendenza radicale, “La Provincia Pavese” ed è tra i fondatori del
circolo universitario “Carlo Marx”.
Negli esami del corso di Medicina, Ettore ottiene discreti risultati; è un
ragazzo diligente e costante, appassionato di scienze naturali. Frequenta il
quarto anno di studio (1910-1911) all’Università di Perugia, per terminare il
proprio percorso accademico nuovamente a Pavia: si laurea il 15 luglio 1913
con una votazione di 98/110 e presentando una tesi dal titolo “Tubercolosi
atipica delle ghiandole linfatiche dal punto di vista anatomopatologico”,
elaborata presso l’Istituto di Anatomia Patologica diretto dal professor
Achille Monti.
Ottenuta la laurea, Ettore rimane nell’Istituto anatomo-patologico quale
assistente volontario del professor Monti. Figura di spicco dell’Università,
irruento
e
passionale,
in
passato
335
aspramente
criticato
per
aver
pubblicamente difeso Anna Kuliscioff degli ostracismi postegli dall’ambiente
accademico pavese, Achille Monti riveste un ruolo fondamentale nella
formazione politica del giovane Ettore Tibaldi. È proprio presso l’Istituto
diretto da Monti che il giovane laureando diviene fervente irredentista e
cofondatore, assieme al maestro, dell’Associazione pavese “Pro Università
italiana a Trieste”.
Durante tutto il 1913 Ettore intrattiene corrispondenza con personalità
politiche e associazioni irredentistiche per la stesura di manifesti e appelli;
partecipa attivamente anche all’elaborazione del numero unico Per
l’Università italiana a Trieste, utilizzato poi dalle autorità austriache come
capo d’accusa rivolto contro Cesare Battisti.
Il 5 maggio 1913, Ettore è tra gli oratori, di fronte alla lapide di via Mazzini,
della commemorazione in ricordo di Muzio Mussi, giovane studente
repubblicano, figlio del deputato radicale Giuseppe Mussi, ucciso durante le
manifestazioni pavesi del maggio 1898. In questa occasione Ettore viene
denunciato per aver pronunciato, a conclusione del suo intervento, la frase
“Viva la Repubblica!” e processato in agosto: il fatto suscita un certo clamore
in città, ma il giovane medico viene prosciolto per inesistenza di reato.
All’inizio del 1914, Ettore parte per l’Università di Sassari, dove è assistente
della professoressa Rina Monti alla cattedra di Zoologia e anatomia
comparata. Nel frattempo, allo scoppio della guerra in Europa, matura la
scelta interventista, giudicata come naturale prosecuzione della lotta
democratica risorgimentale e come guerra in difesa dei popoli oppressi.
Nell’autunno del 1914, destando viva preoccupazione tra parenti e amici,
raggiunge Ventimiglia, intenzionato a congiungersi alla costituenda legione
repubblicana, la “Compagnia Mazzini”. L’avventura non avrà seguito,
l’iniziativa stessa verrà bloccata dal governo italiano, ma da questa
esperienza Ettore vedrà rafforzate le sue convinzioni interventistiche e sulla
base di queste si schiererà pubblicamente nelle associazioni democratiche e
sui giornali pavesi.
Tornato a Pavia, è tra i fondatori dei Fasci interventisti e vive l’intera stagione
del fermento patriottico e nazionalista interno all’ambiente universitario
336
pavese: dal balcone del caffè Demetrio, dai monumenti a Garibaldi e ai
Cairoli, Ettore è sempre tra gli oratori ai comizi interventisti.
Quando infine l’Italia dichiara guerra all’Austria, il giovane medico decide di
arruolarsi volontario: il 20 maggio 1915 è inquadrato nell’esercito quale
sottotenente medico; il 25 maggio si presenta all’Ospedale militare di
Alessandria e, cinque giorni dopo, è in territorio dichiarato in stato di guerra,
in Carnia, aggregato al 2° Battaglione Alpini. Dal fronte, invia continuamente
cartoline e lettere ai genitori e alla sorella, Maria, tranquillizzandoli per le
proprie condizioni di salute e sollecitandoli a inviare loro frequenti notizie:
«io sto sempre benone», ripete in quasi tutte le cartoline. Il 26 giugno,
tuttavia, è costretto a lasciare il territorio di guerra in seguito a una ferita alla
mano e all’avambraccio sinistro, provocata dalle schegge di una granata
nemica. Viene operato e rimane in licenza di convalescenza fino al 10
novembre 1915; nel frattempo ottiene una promozione al grado di Tenente
medico di complemento. Il 1° dicembre è assegnato all’Ospedale militare di
Voghera ma, un mese dopo, fa ritorno, su sua richiesta, al 2° Reggimento
Alpini. Nel gennaio 1916 entra nel corpo di spedizione organizzato per
l’occupazione dell’Albania continuando a prestare servizio medico-sanitario.
Rimane in Albania per 18 mesi, fino al settembre 1917, quando rientra in
Italia per aver contratto la malaria. Ettore viene quindi nuovamente inviato
in congedo, per due mesi ma, dopo Caporetto, decide di rinunciare al periodo
di riposo ed entra nel 2° Reggimento Fanteria di marcia con una promozione
a Capitano. Dal fronte, il giovane medico invita i famigliari a non demordere
dalla causa patriottica: «davanti a noi ci sono quei soldati che hanno in questi
giorni mostrato come ancora sanno battersi gli italiani […] Ho fede che siano
passate le ore di passione d’Italia e che siano per venire le ore di
resurrezione».
L’avventura militare di Ettore si conclude con il suo definitivo rientro e
collocamento in congedo nell’ottobre 1919: torna dalla guerra con una
medaglia di bronzo al valor militare, conferita il 3 novembre 1918, due croci
al merito e una pensione di guerra vitalizia per l’invalidità causata dal
ferimento.
337
Nelle numerosissime lettere e cartoline che Ettore spedisce dal fronte, sono
quasi del tutto assenti riferimenti precisi alle proprie mansioni, agli
spostamenti o riflessioni sulla conduzione della guerra in corso: si preoccupa
piuttosto di avere costantemente notizie dai propri cari, quasi a voler
sentirsi, pur nella lontananza, in continuo contatto ideale con essi.
Al ritorno a Pavia, Ettore è tra gli animatori dell’associazionismo reducistico,
rimanendo sulle posizioni di un patriottismo e di un interventismo
democratico, inteso come naturale prosecuzione dello spirito garibaldino e
risorgimentale; come scriverà nel 1923 su un giornale combattentistico «La
fede incrollabile nella missione dell’Italia e nell’avvenire della Patria, che
animò gli interventisti della prima ora, che tutti ci strinse dopo Caporetto è
tutt’ora viva e ardente più che mai». Nei suoi interventi è frequente il
richiamo alla «nobile missione» di «raggiungere l’unità spirituale fra gli
italiani», al di sopra delle divisioni politiche. Nel pesante clima politico degli
anni del dopoguerra, tuttavia, Ettore matura sentimenti antifascisti,
orientandosi piuttosto su posizioni socialiste riformiste.
Nel 1921, dopo aver frequentato una serie di corsi di perfezionamento
all’estero, Ettore è assunto all’Università di Pavia in qualità di assistente di
Anatomia Patologica, a fianco del professor Monti. Nel 1923, infine, supera un
concorso per l’incarico di Libero docente di Patologia medica, ruolo che
manterrà fino al 1926, quando gli verrà negato il rinnovo del contratto a
causa della sua attività antifascista all’interno dell’Università. Negli anni
seguenti, Ettore Tibaldi riuscirà a ottenere il ruolo di primario all’ospedale
“San Biagio” di Domodossola, città in cui, nel settembre-ottobre 1944, sarà
presidente della Giunta provvisoria di Governo della “Repubblica” partigiana
dell’Ossola. Nel secondo dopoguerra sarà eletto senatore per il Partito
Socialista e, dal 1964, per il PSIUP, ricoprendo anche l’incarico di Presidente
del Senato. Reintegrato come docente all’Università di Pavia, morirà nel 1968
a Certosa di Pavia.
Storia di Giuseppe Bianchi
338
Dati anagrafici:
Nome e cognome: Giuseppe Bianchi
Data di nascita:
31 gennaio 1899
Luogo di nascita:
Albuzzano
Luogo di residenza:
Professione:
Albuzzano
contadino
Statura:
1,68 ½
Capelli:
neri
Occhi:
grigi
Fondi di riferimento: foglio matricolare.
Giuseppe Bianchi è figlio di due contadini di Albuzzano, paese dislocato alla
destra dell’Olona, nel Pavese orientale. Come i suoi coscritti della classe 1899,
viene chiamato alle armi nel 1917: riconosciuto abile di prima categoria il 16
febbraio, viene aggregato al 34° Battaglione di milizia territoriale di Fanteria
presso il Distretto militare di Voghera.
Il 17 aprile il giovane contadino di Albuzzano viene iscritto nella terza
categoria di leva e trattenuto alle armi. Inviato in territorio di guerra il 3
luglio 1917, viene successivamente trasferito al Deposito del 2° Reggimento
fanteria da Fortezza. Il 24 agosto, Giuseppe si allontana dal proprio reparto
senza permesso: viene immediatamente applicata la disciplina militare e
dichiarato disertore. Il 2 settembre 1917 è denunciato al Tribunale Militare
di Guerra di La Spezia.
Giuseppe si costituisce spontaneamente, ma è subito messo alle prigioni del
Corpo in attesa di giudizio. Mentre al fronte si fa più dura l’offensiva
austriaca, il giovane si vede sospeso il procedimento per diserzione l’8
settembre 1917 per essere inviato in territorio di guerra.
Il 26 gennaio 1918, tuttavia, il giovane contadino è nuovamente dichiarato
disertore: seconda la motivazione ufficiale, il soldato, «comandato di Scorta
rimaneva abusivamente assente dal 16 gennaio 1918 al 3 febbraio».
Denunciato per la seconda volta al Tribunale Militare di La Spezia, viene
imprigionato il 18 febbraio.
339
Uscito dalle carceri militari per sospensione del procedimento il 30 marzo
1918, viene infine aggregato al 16° Reggimento Artiglieria da campagna. Nel
marzo 1919, beneficiando dell’amnistia in favore dei soldati dichiarati
disertori, verrà dichiarato il non farsi luogo a procedimento penale e
Giuseppe viene lasciato in congedo.
Come attesta il suo foglio matricolare, Giuseppe verrà richiamato alle armi il
15 maggio 1941 giungendo in territorio dichiarato zona di operazioni
belliche il 6 giugno 1941.
Storia di Giulio Cesare Bonfanti
Dati anagrafici:
Nome e cognome: Giulio Cesare Bonfanti
Data di nascita:
19 settembre 1894
Luogo di nascita:
Como
Luogo di residenza:
Professione:
Pavia
studente
Statura:
/
Capelli:
/
Occhi:
/
Fondi di riferimento: note biografiche composte dai familiari e necrologio
raccolte nella pratica per il conferimento delle lauree honoris causa agli
studenti caduti presso l’Archivio storico dell’Università degli Studi di Pavia.
Cesare Bonfanti, appartenente a famiglia di origine nobiliare, nasce a Como
da Oreste Bonfanti e Jeanne Lampugnani. Studente di legge all’Università di
Pavia, viene chiamato alle armi nel 1915, durante il primo anno di studi
universitari. Licenziato a settembre dal corso accelerato per ufficiali della
Scuola Militare di Modena, viene aggregato con il grado di Sottotenente di
complemento al 156° Reggimento Fanteria.
340
Come riporta la memoria realizzata dai genitori «Con serena tranquillità
aveva salutato parenti ed amici il giorno della partenza per il campo
dell’onore e con eguale tranquillità affrontò il suo destino». Per due volte, per
intercessione della madre, aveva ottenuto di poter passare al Corpo Sanitario
dell’esercito ed evitare dunque lo scontro diretto con il nemico, ma entrambe
le volte Cesare aveva «energicamente e recisamente rifiutato».
Il giovane vive con serena accettazione il passaggio brusco dal comodo status
di studente universitario, alla dura vita di trincea e alla rigida disciplina
militare. Sempre secondo la biografia scritta dai famigliari, «Partito senza
conoscere il Reggimento al quale sarebbe stato aggregato, ebbe la ventura
(che forse altri avrebbero ritenuta fortunata) di vedere al campo un cugino
colonnello comandante il Reggimento che formava brigata col suo»; il
giovane studente, tuttavia, «nella sua semplicità, nel suo orgoglio, ben
ammirevole, non credette opportuno di presentarglisi, affinché né collega né
superiori dubitassero che invocasse aiuti o mendicasse privilegi ed il cugino
seppe della sua presenza al Reggimento, solo quando il suo bel corpo giaceva
esanime sul campo dell’onore».
Inviato in territorio di guerra, fin dai primi giorni Cesare è inviato in prima
linea, sul monte San Michele. Tiene tuttavia nascosto alla sua famiglia e, in
particolare, alla mamma, di trovarsi in tale pericolo, tranquillizzando parenti
e amici nelle lettere e cartoline.
Il 10 ottobre 1915, dopo solo 13 giorni dal suo arrivo al fronte, Cesare viene
colpito da una granata nemica. Muore il giorno stesso. È il primo studente
dell’Università di Pavia e il primo degli allievi ufficiali licenziati dalla Scuola
Militare di Modena a cadere sul campo di battaglia.
Ricordato dai genitori come un martire della causa patriottica che
«generosamente immolò la sua giovane e balda esistenza per un grande
ideale», Cesare verrà commemorato l’11 novembre 1915, durante la solenne
inaugurazione dell’Anno Accademico, nell’orazione ufficiale del nuovo rettore
Oreste Ranelletti. Nel 1919 gli verrà conferita la laurea honoris causa in
Giurisprudenza.
341
Esempi di storie di vita
1-Generale Achille Papa
Il 23 febbraio del 1863 nasceva a Desenzano del Garda Achille Papa, il futuro
eroe, caduto sulla Bainsizza all’alba del 5 ottobre 1917. Il padre del futuro
condottiero amava raccontare ai figli le vicende delle guerre del
Risorgimento, esaltando il valore del giovane esercito che aveva saputo
condurre all’unità la patria divisa. Nel piccolo Achille nacque così la
vocazione per la carriera militare, vocazione in quanto fu portato all’esercito
per compiervi un’azione di apostolato educativo. Uscito sottotenente degli
alpini dalla scuola di Modena nel 1882, tenente al Battaglione Morbegno,
capitano al battaglione Susa con suo immenso dolore è trasferito nella
fanteria. Sarà la sua croce perché amava la montagna di un amore grande,
viveva per la montagna. Con gli uomini delle Alpi e sulle Alpi si sentiva a
posto. Il 24 maggio 1915 entra in linea nella zona del col di Lana. L’ufficiale,
riformato dagli alpini, combatterà ventotto mesi in montagna; si coprirà di
gloria nella difesa di uno dei più alti massicci del fronte, il Pasubio; sarà dopo
il generale Cantore il generale più popolare tra gli alpini. Nel novembre del
1915 è promosso maggior generale e assume il comando della brigata Liguria
(157-158 regg fanteria) operante nel settore di Monte Nero, Mrzli, Vodil,
Santa Lucia, quanto sangue, quante morti eroiche. Achille Papa amava i
soldati fraternamente; faceva si che non mancasse nulla, presente sempre
nelle prime linee. Esplorava e studiava sul posto il terreno prima di ogni
azione : Divideva con l’ultimo fante le asprezze della trincea, la povertà della
menza, il pericolo del ricovero. Teneva insomma in considerazionel’opera dei
cappellani militari perché senza la fede non si può combattere. Scriveva di
proprio pugno alle famiglie dei Caduti e numerose lettere sono sparse per
342
l’Italia, segno del suo amore per i soldati. Comandante di presidio a Caporetto
nella primavera del 1916, oltre che educatore di soldati diviene educatore di
bimbi. Lo spettacolo di bimbi abbandonati che si aggiravano tra gli
accampamenti, toccarono il cuore al generale. Egli che si era fatto militare per
un’opera di educazione, capì che era giunto il momento di provvedere
all’educazione, alla formazione dei piccoli che erano ormai fi figli dell’Italia
nuova. Fondò così un ricreatorio che oltre alla refezione forniva gli indumenti
per i più poveri e abbandonati. Con una scuola di fortuna, iniziava quella
conquista spirituale delle popolazioni alloglotte che le nostre maestre di
confine conducevano ancora con ardore ammirevole. Alle cure del ricreatorio
dedicava tempo ed amore. Dava indirizzi si intratteneva coi piccoli che
sgranavano gli occhioni alla vista di quel militare alto, dai lunghi baffi dal fare
paterno che arrivava sempre con pacchi e distribuiva giocattoli, indumenti e
ghiottonerie. Divenne così il signor Ispettore. L’arrivo suo era segnalato da un
solo grido dei bambini “il signor Ispettore”, “il signor Ispettore”, “il signor
Ispettore”. Fu così il primo ispettore scolastico nelle terre redente. Ecco
alcune osservazioni del generale fatte nelle lettere alla famiglia che parlavano
del ricreatorio: …Tra una cannonata e l’altra io sto costituendo un ricreatorio
per cercare di raccogliere un centinaio di creature e toglierle così dalla strada,
dove stanno con gravi pericoli di tutti i generi Per quanto diffidenti questi
sloveni, credo di essere riuscito ad ammansirli e l’idea del ricreatorio è bene
accolta. Oggi ho già potuto raccogliere 30 bambine, molte purtroppo orfane e
quegli occhioni azzurri come il loro Isonzo che mi sorridevano, erano per me
una grande ricompensa al poco che faccio per loro. Noi dobbiamo penetrare tra
queste popolazioni senza urtarle nei loro sentimenti, nella loro lingua cui
tengono moltissimo. Sarà un lavoro lungo, difficile, ma che dobbiamo
cominciare fin fa ora dimostrando che la guerra attuale era per noi una dura
necessità e che dove possiamo tendiamo al bene, ad alleviare i danni orribili che
la guerra arreca. Questi erano i suoi principi etici. Ecco alcuni ricordi di Luigi
Regazzola: Si aggirava giorno e notte nelle trincee a spronare, ad incoraggiare,
a correggere, a punire. La bontà d’animo non gli impedì mai di essere un
severissimo capo. Sopraffatto. Era oratore poco felice, ma quando parlava ai
soldati di guerra, di giustizia, di dovere, di Patria, tanto si infiammava e dagli
343
occhi miti uscivano tale fuoco di intima convinzione che soggiogava. Il soldato
l’amava e lo seguiva perché egli era giusto, perché
Era il primo a pagare nel pericolo, perché lo difendeva. Tra un periodo e
l’altro di trincea, tra un combattimento e l’altro, per cui ebbe sempre elogi
aperti ed encomi ed alta stima di superiori e caldo affetto dei soldati Con
coraggio e tenacia seguiva i suoi soldati nei combattimenti del Zovetto e sul
Magnaposchi. Dallo Zovetto(in cui la Brigata guadagna una medaglia d’oro) Il
generale Papa passa al Pasubio a mietere altre vittorie. All’alba del 29
settembre il massiccio montuoso della Bainsizza, che portava il nome di
Quota 800 (oggi quota Papa) era stato preso di slancio dalle sue truppe.
Rimase accanto ai suoi soldati durante i massicci bombardamenti austriaci.
Quando la sera del 4 ottobre voleva scendere a ispezionare i reticolati ed il
terreno, fu fermato e avvertito del pericolo. Ma all’alba del giorno, dopo il 5
ottobre volle ugualmente visionare la zona incurante del pericolo che poteva
colpirlo. Come avevano previsto i suoi soltati il cecchino nemico lo colpì a
morte. Il generale diceva “ il soldato si porta avanti con l’esempio”. Era il 5
ottobre 1917.
Fonti di riferimento: ASBs, (Archivio di Stato di Brescia), Nastro Azzurro, b.
3. M. ANNIBALE MARCHINA, Gli aspetti umani della Grande Guerra-Il
cardinale Giulio Bevilacqua e il generale Achille Papa, IX Settimana della
Cultura, convegno e mostra, Brescia, maggio 2009.
2-Comunicazione della promozione a Generale, 28 novembre 1915.
Caro…Generale, mentre sono spiacente di perderLa, ho il piacere di essere il
primo ad annunciarle che ella deve partire per Caporetto per prendere il
comando della Brigata Liguria quale colonnello incaricato. Congratulazioni
vivissime ed una cordiale stretta di mano. Affezionatissimo Ferrari
3-Don Francesco Galloni-Cappellano militare
Dati anagrafici
Nome e cognome
Galloni Francesco.
Data di nascita
8 febbraio 1890
Luogo di nascita
Lodetto di Rovato
344
Luogo di residenza
Lodetto di Rovato
Professione
sacerdote-cappellano
Statura
1,64
Capelli
castani
Occhi
castani
Il 28 novembre 1915 fu chiamato alle armi e giunto in territorio in stato di
guerra e il di dicembre dello stesso anno si uni al Terzo battaglione di Sanità.
Le figure dei cappellani della Grande Guerra, furono importantissime
indispensabili ed ineguagliabili, che pur essendo soldati di Cristo, furono
anche eroici soldati. La loro presenza al fronte alleviò di non poco la
drammatica situazione dei soldati. Furono consiglieri fraterni, scrivani per
coloro che non sapevano scrivere, confidenti, psicologi, padri, cioè diedero sia
conforto spirituale che quello umano. Tutto ciò che i cappellani fecero per i
nostri soldati non basterebbero vari tomi per descriverli. Uno di questi fu
Francesco Galloni del Lodetto di Rovato che fu cappellano del V Reggimento
Alpini. Con questo reggimento combatté sul Pasubio, sul Dente italiano di
fronte al Dente austriaco dove la battaglia era caratterizzata da enormi
quantità d’esplosivo. Conobbe e apprezzò l’umanità del generale Achille Papa.
Dopo la morte del generale e terminata la guerra mantenne una fitta
corrispondenza con la vedova e i suoi figli. Ecco un esempio di una lettera
scritta da don Galloni il 31 dicembre 19177:Venerata Signora Eugenia, ieri
sera abbiamo parlato a lungo del generale con un Maggiore del Genio che lo
ebbe vicino tutto il luglio e per diversi giorni anche nel carso;è statauna
commemorazione di…che mai potremo dimenticare, è stato un caro ritorno a
ricordi che ci stanno nel cuore come parte della nostra vita e delle nostre
speranze. E mi parveche della nostra tenera riconoscenza ci venisse suggerito
un augurio per Lei e le sue creature, un augurio cheè promessa di letizia e di
conforto perché viene raccolto dalla capanna dove è esultato il Natale del
Redentore…don Francesco Galloni.
Don Galloni fu decorato nel 1916 con la medaglia di Bronzo per il Trincerone
di Zugna, nel 1917 altra medaglia d’oro e d’argento. Fu amicissimo del futuro
cardinale Giulio Bevilacqua, che durante la Guerra era anche lui cappellano
345
militare. Finito il conflitto il suo apostolato continuò con la fondazione
dell’Istituto Santa Maria dell’Opera “Pro Oriente” a Velo d’Astico (Vi).
Fonti di riferimento: ASBs, Nastro Azzurro, b.3.
4Nome e cognome
Mario Fusetti
Data di nascita
Luogo di nascita
Milano
Luogo di residenza
Professione
Il testo è stato redatto da uno studente di origine milanese, il sottotenente
Mario Fusetti, di 22 anni, due giorni prima della sua morte, avvenuta il 18
ottobre, all’assalto di una contrastata vetta alla quale bisognava inerpicarsi,
come scrive un suo commilitone con un lavoro improbo di mani, di funi di
piedi di ginocchi. Mario, che era figlio di un ispettore principale delle Ferrovie
dello Stato, ha dettato così il suo testamento spirituale, con raccomandazione
di comunicarlo a una ristrettissima cerchia di persone, prima di tutti al suo
colonnello. Questa lettera esprime in modo chiaro la retorica patriottica che
aleggiava tra gli animi dei giovani soldati.
Con mano sicura esprimo colle parole che seguono non le mie ultime volontà,
ma quei miei pensieri che desidero sopravvivano, per quelli che mi amano, alla
mia morte. Sono alla vigilia d’una azione d’ardimento, dal cui esito dipendono
in gran parte, le sorti di una vittoria A me, ai miei compagni d’arme, non manca
gran copia di fede: l’esito, con la vita, con la bella morte, sarà degno del nostro
imperturbabile amore per la Patria. Se cadrò, Papà, Gina, Angiolo mio, amici e
parenti che mi amate, non abbiate lagrime per me: io la morte, la bella morte,
l’ho amata. Non pensatemi, col petto squarciato nell’ultimo spasimo, ma da
fervore d’un impeto eroico, svanire in una beatitudine suprema. Io ho sognato,
nelle peregrinazioni del pensiero, nelle grandi questioni umane e cosmiche, un
avvenire di perfezione nelle cose, morali e fisiche. Ho amato la Patria mia
nell’intimo delle sue divine bellezze, delle sue tradizioni. Ho amato sopra ogni
cosa
l’uman Genere, campo ove è possibile e necessario la lotta, dov’è
desiderabile e probabile il pacifico trionfo delle idealità non sacrileghe. E
346
appunto perché ho stimato necessaria la lotta io mi sono volenterosamente,
serenamente battuto. Che il mio povero corpo riposi semplicemente dove sono
caduto, io desidero: inumato coll’onore delle armi, fra i miei commilitoni. Che il
sacrificio mio, umile fra tanta gloria, sproni, se c’è, l’ignavo e dia sangue al
codardo.“Babbo mio, Gina mia, parenti, amici, voi che tanta parte siete
dell’anima mia, colla memoria adorata della Mamma, in alto i cuori!.
Fonti di riferimento: ASBs, Nastro Azzurro, b.3, c. n. 174.
5Nome e cognome
Franco
Data di nascita
Luogo di nascita
Milano
Luogo di residenza
Professione
Lettera del 14.1.1916 del maggiore Franco, già attendente del Generale
Papa all’81 Fanteria.
…. Il reggimento non potrà mai obliare che il colonnello Papa l’ha condotto fin
dall’inizio della guerra, l’81 Fanteria non potrà obliare che il Colonnello Papa
aveva trovato, oltre che il condottiero, il vero padre. La sua eccezionale e rara
bontà d’animo ha migliorato tutti noi, me per primo che quotidianamente ebbi
ad imparare da Lei quello che in 20 anni di spalline, non avevo imparato e cioè
“la dolcezza dell’animo pur nell’adempimento del proprio dovere” e ciò non è
poco. Quando un uomo lascia una scia d’affetto e di devozione come Ella ha
lasciato, può ben dirsi fortunato e può andare orgoglioso dell’opera sua.
Quanto io le esprimo non è servo encomio, poiché l’animo mio rifugge dal
convenzionale servilismo, ma è la genuina espressione di una collettività,
pensante, operante, vibrante qual è l’ufficialità e la truppa dell’81. Il
reggimento è sempre in via di trasformazione, partono i vecchi, giungono dei
giovani, la fisionomia iniziale è cambiati. Resta solo sovrana nei nostri cuori la
sua personalità Le auguro sig. colonnello, ogni bene, anzi il bene che auguro a
me stesso e che si compendia nel felice avvenire dei nostri figli. Le accludo due
numeri della tribuna, uno è per la sua buona cara signora. Se non ha tempo di
347
scrivermi, a me basta di tanto in tanto una sua cartolina con le notizie sulla sua
salute. Io le scriverò lo stesso. Con immutabile e costante affetto mi creda
sempre suo affezionatissimo Maggiore Franco
Fonti di riferimento: ASBs, Nastro Azzurro, b.3.
6)
Nome e cognome
Ettore Bussi
Data di nascita
Luogo di nascita
Luogo di residenza
Professione
Questa lettera (14 ottobre 1917) mette in evidenza l’affetto e la
riconoscenza degli uomini della Brigata Liguria, quando in occasione della
promozione del colonnello Papa a Generale, decisero di offrire ad esso una
spada. Quelli della Brigata non ebbero la possibilità di consegnarla perché il
generale mori per un colpo sparato da un cecchino austriaco, durante una
perlustrazione prima che i suoi alpini andassero all’assalto.
La spada d’onore che noi facemmo eseguire per offrirla al nostro Generale, il
Generale della Brigata Liguria per antonomasia, al nostro Padre, Fratello,
Amico, che tutti senza distinzione di grado amavamo col lo stesso intenso
affetto. La spada giunse qui il giorno 9 ed ora è in giro ai vari battaglioni
dislocati in diverse località, perché gli Ufficiali possano vederla: Il Battaglione
del Maggiore Re e quello del Maggiore Montemaro si recheranno a riposo a R…
fra qualche giorno, e allora, non appena si saranno sistemati, i due maggiori e il
Tenente Ferrero si onoreranno di presentare a Lei, la Spada che noi volevamo
offrire in segno della nostra grande stima, della nostra ammirazione, ma
soprattutto del
nostro grande affetto al nostro Generale, suo degnissimo
compagno affettuoso della vita. Tuttora che scrivo a lui, o Distintissima
Signora, mi sento commuovere, e ad un nodo di pianto sento stringermi la gola.
Dall’Alto dei cieli dove la sua Grande Anima è salita per ottenere
dall’Onnipotente Iddio la ricompensa alle sue grandi virtù. Egli guarderà a Lei,
alle Figliole e al Figlio suo, a noi anche della Brigata che tanto l’amammo,
mentre si conforterà di tanto affetto sincero e profondo, pregherà e otterrà dal
Sommo Iddio quel conforto all’anima di Lei, quel conforto che solo Lui, sa e può
348
darLe, in tanta sventura. Ho qui le lettere di Ufficiali lontani, che di Lui mi
scrivono con tutto quell’affetto che solo Lui può scrivere. Quando le avrò
raccolte gliele invierò perchè restino a attestare ai Figli le grandi virtù del
Padre. Se Ella mi credesse utile in qualche cosa, La prego vivamente non mi
risparmi, gliene sarò grato. Devotissimamente Ettore Bussi Colonnello, 14.X.917
Fonti di riferimento: ASBs, Nastro Azzurro, b.3.
7
Giovanni Pacchi, Felice Venturi, Paolo Lancini, durante la loro vita militare,
sviluppatasi nella tremenda esperienza della Grande Guerra intraprese un
fittissimo carteggio con i loro parroci e curati, in cui descrissero in modo
semplice e spontaneo la vita che trascorrevano in trincea, tra pidocchi,
freddo, fame e sotto il bombardamento continuo di cannoni e mitraglie.
Lettera di Giovanni Pacchi al reverendo Don Lusardi Giovanni, Rovato
per Pedrocca Brescia
Nervi 5 giugno 1916
Vengo da lei con questa mia cartolina a portargli le mie notizie ne o spedito
anche altra due credo che le avrà ricevute. Ora gli dico che io sono comodato
molto bene e ce dell’aria buona qui sulla spiaggia del mare e a piè delle
montagne e mi trovo di ottima salute e così spero anche di lei: intanto gli
mando molti saluti e presto verrò a trovarla si mi do la licenza e sono il suo
patriota
Pacchi Giovanni.Riguardo alla mia salute va bene. Saluti alla sig. Maria
Fonti di riferimento: ASBs, Carteggi Prima guerra Mondiale, b. 26, Cartolina
postale n. 1462
8-Lettera di Paolo Lancini, Dal fronte, 1/11/1916
Egregio Signor Rettore
Vengo da lei con questa mia cartolina per dargli una volta le mie notissie.
Dunque io al presente gli posso dire che mi trovo molto bene colla mia salute e
posso dire che sono a comodato bene e si troviamo in un piccolo paesello
aquestato col nostro sangue e siamo dentro noi in riposo. Io credo che sarà di
349
ottima salute lei e la S. Maria. Intanto io ad avere più nulla da dirgli ho da
inviargli i miei saluti. Saluti anche alla mia famiglia e alla sig. Maria.
Fonti di riferimento: ASBs, Carteggi Prima guerra Mondiale, b. 26, Cartolina
postale n. 1463
9-Lettera di Felice Venturi, Dal fronte 16.1.17
Riverendo Signor Rettore,
Dopo un lungo tempo vengo con questa mia cartolina portandoli mia ottima
salute sperando simile di lei, Sono molto contento perché da parecchi giorni che
sono in riposo e siamo molto indietro, che sa forse cambieremo fronte, spererei
in questo riposo venite in licenza, ora ne mandano più numerosi, ma siamo
ancora in molti di andare, avrei molto piacere trovarsi a casa prima che il
fratello Giuseppe venga via, almeno potete rivedere sto sempre in quella buona
spettanza, e anche se potrà combinarsi con mio fratello Paolo ma sarà una
grande combinazione. Io la ringrazio della Voce del Popolo che mi a mandato
alle feste e anche contraccambio lei suoi saluti e auguri che vi stava. Sono suo
soldato Venturi Felice
Fonti di riferimento: ASBs, Carteggi Prima guerra Mondiale, b. 41, Cartolina
postale n. 4365
10-Lettera di Angelo Zamboni di Passirano -Zona di Guerra Lì 10-1915
Cari miei
Oggi che sono di servizio di vedetta che ho di riposo questo tempo ne approfitto
per darvi mie più precise notizie. E ancora dal giorno 13 che siamo su queste
alpi di e rocciose vette, mantenendosi la posizione che abbiamo occupato. Il
nemico, dacche fu respinto, non è venuto più a disturbarci solo che i primi
giorni ci mandavano qualche cannonata per disturbarci ma vedendo che era
tutto fiato sprecato indarno, ora ci lascia quieti: E’ 12 giorni che siamo qui al
ciel sereno e appena colla mantellina, di giorni si sta ancora bene, intanto che è
tempo bello, ma di notte in questa stagione trovarsi all’aperto su queste vette,
quel poco che si ha di riposo si balla dal freddo, e si desidera che venga giorno
per riscaldarsi col sole. Ah cari miei la vita che si passa in questi luoghi non è
considerevole, ci portano il rancio una volta al giorno, la sera per non farsi
350
vedere dal nemico, il pane, una razionaria di carne e due cucchiai di pasta che
tutto il giorno è sbattuta sui muli, e questo è il rancio per 24 ore; mangiare
sempre di freddo e poco dormire al duro, in mezzo alle rocce e per guanciale
adopero un sasso con pochi rami o erba. Ah se provassero certuni che cosa sia
la guerra e la vita del soldato senza i pericoli… e non direbbero vogliamo la
guerra. In mezzo a tanti sacrifici e fatiche però non posso lamentarmi che Dio
mi conserva sano e salvo, godo proprio una salute di ferro, avrei bisogno
proprio di un po’ di borghese per rimettermi, e chi sa che presto mi si conceda
una breve licenza. Otto dei miei compagni per premio perché hanno fatto
saltare i reticolati con tubi di gelatina, ieri sono andati in licenza per 6 giorni,
ma presto il mese venturo forse chi sa che possa venire anch’io, già è arrivata
una circolare del Comando supremo di concedere brevi licenze ai soldati al
fronte. Speriamo che il momento di potersi abbracciare
non sia tanto
lontano,ho come sono contento! E queste cose ho da darvi. E questo tanto
sospirato e desiderato giorno che ci porti la pace che non venga. Ah che Dio
faccia cessare questo flagello, che mi pare una vita da brigante quello che
faccio, e faccia ritornare un aurora di pace, per riposare tanta gioventù
sacrificata. Anche questi testoni dovrebbero bene intenderla una buona volta
che tutte le parti hanno perdite, anche noi li mettiamo un po’ alle strette
adesso, e sottomessi. Speriamo che presto sia finita anche questa guerra, e se
Dio mi conserverà sano e salvo possa di nuovo ritornare in seno alla mia figlia.
Vi giungla come un eco di queste nostre amate alpi i miei più caldi affettuosi
saluti a tutti parenti e amici e conoscenti. Cara mamma, ti mando tanti baci e
abbracci, stai allegra che benché sia lontano il mio pensiero e sempre a te con
quella speranza di rivederti mi passano i giorni. Caro fratello quando sarò che
potremo di nuovo abbracciarsi e fatti coraggio e scrivi di sovente, se sapesti
come mi sono di sollevo e conforto le tue cartoline, così pure te cara sorella
scrivimi, che avrai più tempo, e termino col mandarvi tanti baci e una stretta di
mano ricevete dal vostro datemi notizie del paese, addio amato fratello Angelo.
Ciao ciao ciao.
Fonti di riferimento: ASBs, Carteggi Prima guerra Mondiale, b. 42, lettera n.
4434.
351
11- Lettera di Angelo Zamboni
Al signor Zamboni Giovanni Cazzago S.M, Provincia di Brescia-Zona di
guerra lì 12-6-1916
Carissimi genitori. Ora vi scrivo di nuovo per darvi le mie notizie, la mia salute è
ottima come spero di tutti voi in famiglia, ora vi faccio sapere che la sera del
giorno 9 sono andato in trincea e per ora mi trovo in terza linea. Voi non
pensate a pensare male di me che io sono comodato bene sono al sicuro per ora.
Vi o’ scritto una lettera e una cartolina fatemi sapere con questa cartolina se
l’avete ricevuta, se ricevi questa datemi subito la risposta che avete l’indirizzo e
o’ voglia di sapere le vostre notizie. Basta non vi dico altro perché spero che
avete letto le altre che vi o’ mandato. Vi prego di mandarmi la carta e cartoline
tutte le volte che mi scrivete perche’ qui non ce ne carta ne cartoline ne
francobolli fatemi sapere colla lettera se avete pagato la tassa, qui siamo in
mezzo alle montagne che non si vede nessuno e non ce niente di comperare
qualche cosa da mangiare però di mangiare ne danno abbastanza danno di
fumare di tutto danno, e i soldi non so che farne qui, Quel che vi dico di nuovo di
andare almeno alla festa, ascoltare una messa per me voi che avete tempo, che
qui non ce ne festa gne niente: i giorni sono tutti uguali: Dunque pregate il
signore che abbia di tornare a casa presto sano e salvo in mezzo a voi, fatevi
coraggio anche voi genitori non state a mettere dei pensieri nella testa che mi
faccio coraggio anch’io ciao addio. Saluti a tutti i ziii i parenti e speriamo
sempre che si finisca presto. Intanto vi saluto caramente tutti in famiglia:
Vostro caro figlio Angelo vi mando tanti baci a tutti, addio. Pronta risposta
Fonti di riferimento: ASBs, Carteggi Prima guerra Mondiale, b. 42, Cartolina
postale n. 4432, lettera di Zamboni Angelo di Cazzago San Martino.
12-Dati anagrafici
Nome e cognome
Milesi Giovanni
Data di nascita
12 ottobre 1895
Luogo di nascita
Cellatica
Luogo di residenza
Cellatica
Professione
contadino
Statura
1,62
352
Capelli
castani
Occhi
castani
Giovanni Milesi (1895-1957), soldato di leva di prima categoria del
Distretto di Brescia, si presentò alla leva il 17 novembre del 1914 e poi
lasciato in congedo illimitato dal 10 gennaio 1915 a causa della ferma del
fratello maggiore Vincenzo della classe 1892. Fu poi chiamato alle armi per
mobilitazione il 22 maggio 1915. Si presentò il 1 giugno 1915, al 50
Reggimento Fanteria. Passato poi il 6 settembre, dello stesso anno, nel 49
Fanteria Mobilitato. Il 6 novembre 1917 risultò prigioniero di guerra, in
conseguenza della disastrosa disfatta di Caporetto dell’ottobre del 1917.
Giovanni la prigionia la subì in un campo di concentramento in Germania.
Liberato, con la fine del conflitto, rientrò in Italia il 18 novembre 1918, ma fu
mandato nel campo di raccolta di Pistoia. Il 19 marzo 1919 risulta aggregato
al deposito del 77 Reggimento di Fanteria. In quell’anno esattamente il 12
settembre, il comandante Gabriele d’Annunzio, insieme ai suoi Legionari, con
un colpo di mano, occupa Fiume. Tra questi ultimi si trova anche Giovanni
Milesi, che pur essendo stato messo in congedo illimitato il 18 novembre del
1919, rimase al fianco di Gabriele d’Annunzio. fino alla conclusione del
sanguinoso Natale dell’anno successivo.
Dopo avere combattuto la prima Guerra Mondiale, si immerse con fervido
entusiasmo agli avvenimenti fiumani. A Gabriele d‘Annunzio restò sempre
legato rendendogli visita di tanto in tanto al Vittoriale, unitamente ai nipoti.
In occasione di una di queste visite il poeta staccò da una parete un quadro
con un suo ritratto fotografico, appose di pugno una dedica al mio prozio al
quale lo donò. Alla morte di Giovanni il ritratto passò al nipote Luigi che lo
conserva. Giovanni era coniugato con Teresa Uberti che gli sopravvisse di un
anno e morì in conseguenza della gotta di cui soffriva. Non ebbero figli. Era
l’esperto cantiniere della famiglia e la sua eredità fu raccolta dal nipote
Giovanni che ha fatto rivivere e che continua, con il figlio Alessandro, le
tradizioni vitivinicole dei Milesi.
Fonti di riferimento: ASBs, Ruoli Matricolari Distretto di Brescia, classe
1895- C. BERTULLI, Storia della famiglia Bertulli, Cellatica, 2007.
353
13
Nome e cognome
Giusepppe Giavarini
Data di nascita
6 giugno 1900
Luogo di nascita
Pontoglio
Luogo di residenza
Professione
sacerdote
don Giuseppe Giavarini,
figlio di Angelo e Teresa Lamera, partecipa
giovanissimo all’ultima fase della Grande. Viene consacrato sacerdote il 26
maggio 1923. I primi anni da sacerdote li passa nella natia Pontoglio sotto la
guida di don Giovan Battista Orizio, scrupoloso sacerdote e inflessibile
antifascista. Da don Orizio assimilò una passione vivace per il Movimento
cattolico e per la pastorale fra il popolo. Personaggio di spicco nella comunità
bresciana per il suo particolare temperamento vissuto con atteggiamenti per
il periodo eterodossi. Dopo aver partecipato attivamente nella Resistenza
venne nominato parroco dal Vescovo Giacinto Tredici il 15.12.1946 e
prendendo
possesso della parrocchia il 6.1.1947. Sacerdote di grande
personalità, pietà, dottrina e cultura oltre che gran predicatore, il suo ricordo
è ancora vivissimo. Prende parte attivamente alla Resistenza e viene
condannato a morte dai nazifascisti, ma riesce fortunosamente a salvarsi
fuggendo in Svizzera. Per la sua attività durante la Resistenza viene decorato
dal Comando Inter-Alleato. Muore improvvisamente il 20 gennaio 1977, a 77
anni. Fu grande amico del comandante partigiano Tarzan con il quale si
ritrovava spesso malgrado da diversa fede politica.
Fonti di riferimento: A. FAPPANI, Enciclopedia bresciana, V, Ed. “La Voce del
Popolo”, Brescia, 1982, p. 275.
14-Lettera del Tenente farmacista dott. Giuseppe Cappelli
Costa di Tiè, 3 agosto 1915
Illustrissimo signor Colonnello, io sono l’Ufficiale che già una volta, Le inviò dei
passamontagna per i suoi sodati. Ma sono semplicemente organo di
trasmissione, fra alcune mie colleghe del laboratorio di Chimica Pura della Real
Università di Roma, ed i soldati combattenti. Sono spiacente di trovarmi
attualmente sprovvisto di oggetti di lana, perché quelli che avevo, li ho
354
distribuiti ad un battaglione di bersaglieri, che è rimasto per alcuni giorni in
riposo a Villagrande. Non mi è rimasto che questo corredo completo per uno,
giuntomi dalla dott.ssa Irma Greco d’Alceo via….ieri mattina, e son ben felice di
poterglielo inviare. So che ella ha avuto, la cortesia di comunicare alla detta
signora alcuni suggerimenti, che sono stati senz’altro accolti. Perdoni, la libertà
presami nello scrivere questo biglietto, che però ha procurato a me l’ambito
onore di una relazione epistolare col Colonnello Papa, il cui nome avevo
ripetutamente sentito ricordare con ammirazione dai soldati dell’81 di
passaggio, perché feriti o malati dall’ospedaletto mio in Andrai e Collaz.
Distintamente Ossequiando, devoto dr. Giuseppe Cappelli, Tenente farmacista,
61 Ospedaletto da 50 letti, 9° Corpo d’Armata, 4^ Armata. In basso alla missiva
il colonnello Papa scrive a matita un commento: Vedi i miei soldatini, mandala
ad Ulisse5.
Fonti di riferimento: ASBs, Nastro Azzurro,b. 3, Carteggio gen. Achille Papa.
15- Lettera di Riccardo Giustacchini alla madre
Questa lettera dimostra la spontaneità e l’immediatezza delle forme dialettali.
La situazione familiare di Riccardo, da come estende la lettera alla sola madre
che non fa riferimento al padre, in quanto deceduto tre anni prima. Riccardo
Giustacchini apparteneva alla famiglia di Cartai e commercianti di Nave, che
nel risorgimento ebbe Carlo come protagonista nella lotta contro gli
Austriaci. Condannato a morte per alto tradimento, fu graziato grazie
all’intercessione di sua moglie e di alcuni nobili lombardi.
Li 2 luglio 1916
Ricevetti il pacco dal Velo, ancora intatto, che mi sente caro per cambiarmi, mi
ha detto Aristide a venirti ad avisarti come mi scrissi. Si è imprestato poveretto
ringrazialo e salutamelo. Ricevetti anche una cartolina di Pinello e una di
Giovanni e non mi dicono che hanno ricevuto le mie; si vede che non ci arrivano
come mi disse Pinello che è un mese che non riceve nemmeno le tue. Adesso che
c’è qui Mini bevo qualche bottiglia di vermut Marsala con cioccolatta, anzi è
andato a Caporetto a lavorare la biancheria a suo padrone, cioè tenente
medico e si trova con Menech e fece una mangiata di pasta asciutta, mi avrebbe
5
L’appunto a matita era rivolto alla mogliie Eugenia Federici, affinché facesse vedere la lettera al cugino Ulisse. ASBs,
Nastro Azzurro, b. 3.
355
piaciuto essere anch’io, invece porto qualche cosa, pazienza. E’ stato qui anche
il parroco e disse la santa messa in baracca; era dietro ancora che metteva via i
suoi libri che sente bestemmiare uno da parte e uno dell’altra, fece una morale
e scappò via rabbiato, e disse che è una sporcheria. Pare che stiamo ancora c’è
di lavorare ma non siamo così al pericolo. Adesso mi hanno cambiato la
pagnocca e non mi fa più male. Io sto bene e spero anche di te, e guarda di
andare alle acque e non pensarci se vuoi star bene. Salutami fratelli sorelle a
zia Angela a tutti un bacio dal tuo figlio Riccardo. Spero che si finisce…
ASBs, Carteggi I Guerra Mondiale, b. 30.
16-Il Cittadino di Brescia Il 23 luglio, appena tre settimane dopo aver scritto
alla madre, veniva colpito alla fronte da una scheggia nemica. La madre e i
fratelli annunciarono la morte del loro congiunto sul quotidiano“Il Cittadino”
mentre su “La Sentinella” altro quotidiano di Brescia, annunciava: E’ caduto
valorosamente al fronte il 23 luglio il soldato Riccardo Giustacchini, di Nave,
appartenente a famiglia di commercianti assai nota nella nostra città. Inviamo
alla sua memoria un pensiero di gratitudine e sentite condoglianze alla
famiglia.
17- Cartolina del 26 luglio 1915 di Alberto Godi di Villanuova sul Clisi.
Ho l’onore ancora di inviarvi le mie notizie e della mia ottima salute che tanto
mi piangeva il cuore a non aver potuto darvi una notizia dopo tanti giorni che
da voi tanto mi avrete pensato. In questi giorni di vittoriosi combattimenti che
a avuto il nostro vittorioso 18° Fanteria, che io ne provai di tutte per ottenere
sopra le colline la vittoria. State tranquilla che il vostro Alberto farà di tutto
per darvi sempre notizie, sempre se esisterò. Addio mamma mi dichiaro vostro
Alberto. Tanti saluti. Ricevete un bacio e distinti saluti dal vostro figlio Alberto.
Speditemi denaro urgente.
Fonti di riferimento: ASBs, Carteggi Prima guerra Mondiale, b.30
18-Dati anagrafici
Nome e cognome Lauro Giuseppe….
Data di nascita
12 dicembre 1895
Luogo di nascita
Moscoline
356
Luogo di residenza Moscoline
Professione
contadino
Statura
m 1,62
Capelli
castani
Occhi
neri
Segni particolari
cicatrice tempia destra
Leggere-scrivere
poco
Assegnato al V Reggimento Alpini, Battaglione Vestone
Richiamato il 23 maggio 1915 in territorio dichiarato in stato di guerra.
Dichiarato disertore, il 15 luglio 1917, per non essere rientrato al proprio
reparto alla scadenza di una breve licenza. Tale denunziato al Tribunale di
Guerra per l’Intendenza di Finanza per diserzione. Arrestato dai Reali
Carabinieri il 29 luglio 1917. Condannato a anni tre di reclusione Militare con
sentenza del Tribunale di Guerra della 6^ Armata in data 23 agosto 1917.
Sospesa poi l’esecuzione della pena fino alla fine della guerra. Tale nel 3°
Reggimento, Battaglione Val Dora, dal 10 settembre 1917.
Fu fatto prigioniero il 17. 1. 1918. Morto in prigionia a Tolmezzo per malattia
di cuore, come da elenco Ministero della Guerra 3 giugno 1918.
Fonti di riferimento : ASBs, Ruoli Matricolari Militari classe 1895.
19-Dati anagrafici
Nome e cognome Tonali Pietro ….
Data di nascita
21 gennaio 1895
Luogo di nascita
Manerba
Luogo di residenza Manerba
Professione
pescatore
Statura
m 1,59
Capelli
neri
Occhi
neri
Segni particolari
cicatrice sulla fronte
Leggere-scrivere
poco
Chiamato alle armi l’11 gennaio 1915, assegnato al 26° Reggimento Genio,
richiamato in territorio dichiarato in stato di guerra si presentò il 23 maggio
357
1915. Morto in combattimento sulla collina Santa Lucia, come da atto di
morte inscritto al 146 del registro degli atti di morte del 26° Reggimento
Fanteria, il 21 agosto 1915.
Fonti di riferimento: ASBs, Ruoli Matricolari Militari, classe 1895.
20-Lettera del sottotenente Magazzino degli alpini al generale Papa,
Monte nero 19 marzo 1916
Illustrissimo sig. Generale
Mi prendo la libertà di pregarla di assegnare due fettine del prosciutto che la
direzione dei Servizi Alpini distribuisce alle truppe alpine alle quali Vostra
Signoria Illustrissima appartenne per molto tempo ed ove la ricordano con
devotissimo affetto. Lo scrivente quando il sig. Generale Achille Papa era
capitano, copriva il posto di furiere della 34^ Compagnia ossequiando e
chiedendo venia della presami libertà. Auguro buon appetito ed ottima fortuna.
Il sottotenete Consegnatario del Magazzino degli Alpini in Iderotto Ge Monte
Nero.
Fonti di riferimento: ASBs, Nastro Azzurro, b. 3
21-Dati anagrafici
Nome e cognome
Zandonini Angelo….
Data di nascita
15.7.1897
Luogo di nascita
Bagnolo Mella
Luogo di residenza
Bagnolo Mella
Professione
contadino
Statura
m 1,67
Capelli
castani
Occhi
castani
Fu fatto prigioniero di guerra a Caporetto il 15 novembre 1917. Dopo la
guerra fino al 1937 fu Camicia Nera.
Fonti di riferimento: ASBs, Ruoli Matricolari Militari, classe 1897.
22-Dati anagrafici
Nome e cognome
Odelli Abramo….
358
Data di nascita
24 settembre 1895
Luogo di nascita
Ono san Pietro
Luogo di residenza
Ono san Pietro
Professione
contadino
Statura
m 1,71
Capelli
castani
Occhi
castani
Arruolato nel V Reggimento artiglieria di campagna si presentò il 25 maggio
1915 in territorio dichiarato in stato di guerra. Denunciato dal Comando
della Fortezza di Verona, perché colpevole del reato di cui all’articolo 95 del
C.P.E (Codice di Procedura Penale Esercito). Condannato a anni tre di
reclusione militare conseguenze di legge, tale nelle carceri di Verona:Sospesa
la pena il 23 ottobre 1917 fu inviato nel Deposito Scuola Bombardierei.
Mandato in congedo illimitato il 10. 11. 1919 con rifiuto di rilasciare la
dichiarazione di aver servito con fedeltà ed onore la patria.
Fonti di riferimento: ASBs, Ruoli Matricolari Militari, classe 1897.
23-Dati anagrafici
Nome e cognome
Donati Arcangelo….
Data di nascita
21 giugno del 1894
Luogo di nascita
Ceto
Luogo di residenza
Ceto
Professione
Studente
Statura
m 1,78
Capelli
castani
Occhi
grigi
Chiamato alle armi il 7 febbraio 1915 nel V reggimento Alpini Battaglione
Edolo, trattenuto alle armi in territorio dichiarato in stato di guerra,
aspirante ufficiale di complemento, in detto con anzianità 15 maggio 1917.
Sotto tenete di Complemento in detto con anzianità 15 giugno 1917. Fatte le
campagne di guerra negli anni 1915, 1916, 1917.
Fonti di riferimento: ASBs, Ruoli Matricolari Militari, classe 1894
359
24-Dati anagrafici
Nome e cognome
Borghetti Angelo….
Data di nascita
4 ottobre 1897
Luogo di nascita
Cellatica
Luogo di residenza
Brescia
Professione
Operaio
Statura
m 1,65
Capelli
castani
Occhi
castani
E’ stato insignito della Croce di Guerra per la Campagna Libera del 1919. Il 17
agosto gli fu rilasciato il passaporto per la Francia.
Fonti di riferimento: ASBs, Ruoli Matricolari Militari, classe 1897.
25-Dati anagrafici
Nome e cognome
Gualla Eugenio Bartolomeo
Data di nascita
28.5.1897
Luogo di nascita
Inzino di Gardone
Luogo di residenza
Inzino
Professione
armaiolo
Statura
m 1,62
Capelli
castani
Occhi
castani
Nel 1917 fu fatto prigioniero a Caporetto
Fonti di riferimento ASBs, Ruoli Matricolari Militari, classe 1897i
26-Dati anagrafici
Nome e cognome
Racchi Giovanni….
Data di nascita
4 maggio 1897
Luogo di nascita
Peeomotore (Pola)
Luogo di residenza
Professione
Carabiniere
Statura
1,71
360
Capelli
Neri
Occhi
neri
Si arruolo nei nell’arma dei carabinieri e tale rimase.
Fonti di riferimento: ASBs, Ruoli Matricolari Militari, classe1897
27-Dati anagrafici
Nome e cognome
Bullesi Michele….
Data di nascita
3 marzo 1897
Luogo di nascita
Pola
Luogo di residenza
Pola
Professione
militare
Statura
m 178
Capelli
castani
Occhi
castani
Bullesi fece parte dell’esercito Austro-ungarico fino al 8.9.1915 quando passò
nell’esercito italiano fino alla fine dell’armistizio.
Fonti di riferimento: ASBs, Ruoli Matricolari Militari, classe1897.
28-Dati anagrafici
Nome e cognome
Agosto Giuliano….
Data di nascita
31.1.1897
Luogo di nascita
Pola
Luogo di residenza
Pola
Professione
già militare
Statura
m 1,67
Capelli
biondi
Occhi
grigi
Già militare nell’esercito Austro-ungarico, dal 15.1.1916 passò nell’esercito
italiano col grado di soldato semplice
Fonti di riferimento: ASBs, Ruoli Matricolari Militari, classe1897
29-Dati anagrafici
361
Nome e cognome
Androli Giacomo ….
Data di nascita
29.9.1895
Luogo di nascita
Borno
Luogo di residenza
Borno
Professione
contadino
Statura
m 1,63
Capelli
castani
Occhi
castani
Disertore
Fonti di riferimento: ASBs, Ruoli Matricolari Militari, classe1895.
30-Dati anagrafici
Nome e cognome
Piccinotti Luigi….
Data di nascita
21.8.1895
Luogo di nascita
Botticino Mattina
Luogo di residenza
Botticino Mattina
Professione
scalpellino
Statura
m 1,65
Capelli
castani
Occhi
neri
Dichiarato disertore 18.4.1918 ed anche denunciato di furto di £ 60, sottratte
dalla giubba della persona che lo ospitava. Rifiutata la dichiarazione di
fedeltà e onore.
Fonti di riferimento: ASBs, Ruoli Matricolari Militari, classe1895.
362
Fly UP