(HOMO MILITARIS_ La nuova identità dei soldati italiani nella
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(HOMO MILITARIS_ La nuova identità dei soldati italiani nella
UNIVERSITÀ TELEMATICA PEGASO Corso di laurea in SCIENZE DELL’EDUCAZIONE E DELLA FORMAZIONE Insegnamento di SOCIOLOGIA GENERALE HOMO MILITARIS: La nuova identità dei soldati italiani nella società contemporanea. RELATORE: CANDIDATO: Chiar.ma Prof.ssa Antonio Monaco Simona Iannaccone Matr. 090090011 Anno Accademico 2010/2011 Indice Introduzione 1 2 L’ISTITUZIONE MILITARE PER LA SOCIOLOGIA 1 1.1: Riflessioni sociologiche sull’istituzione militare. 1 1.2: L’istituzione militare per i fondatori della sociologia. 3 1.3: L’istituzione militare nel periodo classico della sociologia. 3 1.4: La «questione militare» in Italia. 5 MILITARI E SOCIETA’ 2.1: 3 7 L’idea di Nazione dal XVIII al XXI secolo nell’ottica mondiale. 7 2.2: Lo Stato Italiano e la Nazione Italiana. 13 2.3: La matrice cristiana nell’identità del militare italiano. 15 2.4: La bandiera italiana. 17 2.5: Il sentimento nazionale. 21 LA CULTURA MILITARE IN ITALIA 25 3.1: Il patrimonio di idee e valori ereditato dall’Esercito Italiano. 25 3.2: Come la cultura militare influenza i comportamenti. 27 3.3: Il ruolo della cultura militare oggi. 29 3.4: L’influenza della cultura militare sugli altri organismi e il ruolo dei militari. 30 L’arte italiana di saper decidere. 31 3.5.1: Analisi della decisione. 33 3.5.2: Raccolta delle informazioni aggiuntive. 33 3.5.3: Tecniche di focalizzazione. 34 3.5.4: Sistemi artificiali. 34 3.5: 4 5 3.6: Gli esiti negativi delle decisioni in condizioni estreme. 34 3.7: Psicologia militare italiana. 36 3.8: L’ Homo Militaris Italicus. 40 3.8.1: La psicologia dell’uniforme. 41 3.8.2: L’esibizione delle armi. 43 3.8.3: La gerarchia. 44 3.8.4: La posizione dell’ “attenti”. 45 3.8.5: Il saluto militare. 45 3.8.6: Il “gergo” militare. 46 3.8.7: L’ educazione alla coesione. 48 3.8.8: Lo spirito di corpo. 49 3.8.9: Il rapporto con i media. 50 LA FAMIGLIA MILITARE 52 4.1: Famiglie e militari o famiglie militari? 52 4.2: Stress, impiego e forme di sostegno della famiglia militare. 57 4.3: Problematiche e richieste delle famiglie militari in Italia. 61 DINAMICHE EMOZIONALI NELLO STUDIO E NEL MONITORAGGIO DI FENOMENI DI DISADATTAMENTO NEI MILITARI: NONNISMO, SUICIDIO, DISTURBO POSTTRAUMATICO DA STRESS, DISTURBO ACUTO DA STRESS, DISTURBI DELL’ADATTAMENTO 65 5.1: Nonnismo. 65 5.2: Suicidio. 68 5.3: Altri disturbi: disturbo post-traumatico da stress, disturbo acuto da stress e disturbi dell’adattamento. 76 6 L’ESERCITO DELLA GENTE E NELLA GENTE 80 6.1: Il soldato italiano espressione della propria Patria. 80 6.2: L’ingresso della donna nelle Forze Armate. 86 6.3: L’era del Peace-Keeping. 92 CONCLUSIONI 96 Ringraziamenti. Ai miei genitori, Salvatore e Maria, per tutto ciò che da loro ho imparato e ricevuto nella vita . . . . . . alle mie sorelle, Ivana e Viviana, per il sacrificio insegnatomi attraverso le proprie testimonianze di vita . . . . . . a tutti i parenti, amici, amiche e a tutti coloro che ho incontrato sul sentiero della vita e che hanno contribuito alla mia crescita umana, facendomi comprendere che l’ora del ben fare è subito . . . . . . a tutti i bambini e bambine che ho avuto vicino durante le missioni umanitarie di pace a cui ho partecipato: a coloro che sono cresciuti, a coloro che ancora sperano e credono nella Pace, a coloro che ora non ci sono più, cadendo vittime dell'odio che imperversa in diverse regioni della terra, consapevole che porterò con me, per tutta la vita, ogni loro sorriso . . . . . . attraverso il quale ho sperimentato la presenza del Creatore. “L'Amore e la Concordia costruiscono la Pace, l'Odio e la Violenza la distruggono.” Giovanni Paolo II (“LETTERA AI BAMBINI”, 1994) INTRODUZIONE Gli avvenimenti che hanno caratterizzato la storia recente, a partire dalla caduta del muro di Berlino fino alla caduta dell’Unione Sovietica, passando per i vari conflitti nei Balcani e giungendo a quelli in alcuni Paesi del Golfo negli ultimi tempi, hanno suscitato l’interesse di molti studiosi. Le problematiche legate ai nuovi conflitti a alle cosiddette “guerre asimmetriche”1, la complessità degli eventi e la loro interrelazione, l’intervento armato per l’imposizione della pace, nonché la costruzione ed il mantenimento di quest’ultima, costituiscono oggetto di studio sociologico nel comprendere la nuova identità del militare italiano. Le Forze Armate hanno sviluppato un processo di trasformazione organizzativa e relazionale negli ultimi tempi, dopo un lungo periodo in cui il nostro Paese ha alimentato per anni il proprio Esercito con il servizio di leva prestato da soli uomini. L’obiettivo di questo lavoro è quello di lasciar comprendere il senso della militarità attuale e dei suoi valori, confrontata con quella di generazioni precedenti, dando uno sguardo storico all’evoluzione degli uomini in uniforme, dei loro rapporti con la società del mondo civile fino al raggiungimento della professionalizzazione dell’Esercito moderno ed all’ingresso delle donne nelle Forze Armate. _________________________ 1 Per “guerra asimmetrica” si intende non soltanto la guerra che vede contrapposti da un lato un potere statuale e dall'altro una entità priva di sovranità (ma che, d’altra parte, per reggere il confronto ha bisogno d'essere rifornita di soldi e di mezzi da Stati veri e propri). Questo tipo di conflitto implica anche la mancanza di confini netti tra pace e guerra, peculiarità propria dell’utilizzo terroristico di armi di distruzione ed in particolare del terrorismo suicida. Comporta anche la mancanza di un limite chiaro tra uno stato di prevenzione e uno stato di guerra. Tutto ciò può essere nobilitato o abbellito attraverso fantastiche denominazioni come la riabilitazione della cosiddetta "guerra giusta" che, a seconda dei casi, delle circostanze e delle sensibilità, è stata chiamata guerra umanitaria oppure, in maniera meno soft, “guerra preventiva”. Da “Guerra e costituzione. Nuovi conflitti e sfide alla democrazia”, di Virgottini Giuseppe, ed. Il Mulino, 2004. In una panoramica generale della vecchia identità del soldato italiano, da sempre ispirato da cristiane storiche radici della nostra Nazione, si giungerà a comprendere quei fattori quali la “meridionalizzazione” e la “multietnicità” che negli ultimi tempi caratterizzano sempre di più il nostro Esercito. I processi di evoluzione tattica, logistica e tecnologica hanno portato con sé un importante cambiamento anche nell’investimento delle risorse umane, spendibili per trovare non più “l’uomo giusto al posto giusto” ma “la persona giusta al posto giusto”, valorizzando uomini e donne con le stellette capaci di creare un “Esercito della gente e nella gente”. Volgendo uno sguardo al vasto panorama della cultura militare italiana, ricca di tradizioni e di elementi ereditati dal Regio Esercito e dalle influenze cristiane nella nostra società, si giungerà a conoscere maggiormente, nel proprio intimo, quella che è la personalità del militare italiano e della propria famiglia d’appartenenza. Ulteriore obiettivo di questo lavoro di ricerca sarà quello di rendere più chiara all’opinione pubblica il senso della vita di persone normali che, vestendo l’uniforme, vengono spesso associate a sinonimo di violenza, morte e distruzione per pregiudizio e disinformazione. Si volgerà quindi uno sguardo critico su alcuni aspetti negativi dell’homo militaris, caratterizzato da fattori come il nonnismo, il suicidio, varie patologie e disturbi dell’adattamento che lo hanno reso (ed a volte continuano a renderlo ancora), protagonista in negativo alla ribalta di cronache nere nazionali. Da qui si giungerà, infine, alla dimostrazione di un nuovo Esercito rivestito di una sua nuova responsabilità nella società, di una sua nuova missione per il bene della collettività e di una sua “nuova identità”, sempre però fedele ai principi, agli ideali, ai costumi ed alle tradizioni dell’Italia. Si offrirà anche la prospettiva per rendere note le straordinarie capacità, la semplicità e la normalità di uomini e donne che vivono come missione il proprio spirito di servizio impostato su una vita sana, fatta spesso di sacrifici, rinunce e disciplina per la difesa del bene comune, della verità e della vita. Spesso il nostro Paese si è fregiato di buona fama nel Mondo per aver esportato la propria cultura e quindi la propria identità attraverso i propri artisti, i propri scienziati, i propri campioni dello sport, la propria musica, i propri prodotti alimentari. Negli ultimi tempi però, l’Italia ha raggiunto il suo successo e la sua popolarità, degna di ammirevole considerazione sulla scena internazionale, anche grazie al contributo delle proprie Forze Armate , le quali hanno sempre contraddistinto il militare italiano, visto con la sua presenza nella società di oggi, come segnale indicatore di pace e portatore di cittadinanza e diritto, rendendosi sempre più presente nelle coscienze della società e protagonista nella quotidianità di tutti. Un ultimo sguardo è rivolto al successo dei nostri uomini e delle nostre donne nelle “missioni di pace” in cui ogni giorno la nostra Nazione è chiamata a partecipare. Quest’analisi, che non vuole essere affatto una campagna pubblicitaria in favore delle Forze Armate, si propone con l’intento di costituire un valido strumento di studio in grado di fornire indicazioni utili per legittimare dubbi, perplessità e riflessioni di fronte al senso delle missioni militari italiane all’estero, nella nuova era del peace-keeping 2 , in cui alcuni dei nostri connazionali hanno perso la vita per il nobile scopo di rendere salva la vita di terze persone, quando questa stava per essere offesa, violentata o soppressa da altri. _________________________ 2 Per “peace-keeping” si intende qualsiasi operazione in armi svolta per il “mantenimento della pace”. Tra le operazioni militari si includono anche quelle di “peace-enforcement” (di “imposizione della pace”) e di “peace-building” (di “costruzione della pace”). “Chi siamo?, Cosa facciamo?, Cosa desideriamo?” sono le tre domande che caratterizzano con una risposta certa la vocazione militare, la quale richiama tutti i suoi membri (ed anche i non appartenenti alle Forze Armate) alla felicità per il bene dello Stato e dell’intera Umanità. CAPITOLO 1 L’ ISTITUZIONE MILITARE PER LA SOCIOLOGIA 1.1:Riflessioni sociologiche sull’istituzione militare. L’indagine che studia i valori di una società quali contenuti derivati da credenze, tradizioni, sentimenti condivisi e convissuti in una determinata epoca storica, offre da moltissimo tempo largo spazio all’indagine nel campo della struttura militare. Il possibile metodo di analisi dei valori militari ricerca innanzitutto l’oggetto d’indagine, gli strumenti conoscitivi ed il quadro di riferimento teorico. Su questi parametri si fonda la sociologia militare che si propone di indagare su due campi:il primo che è inerente alla “posizione strategica militare” nei confronti delle altre istituzioni dello Stato, tenendo conto anche dei valori storici della stessa istituzione militare in relazione alle restanti istituzioni; il secondo campo d’indagine è invece inerente ai fenomeni sociali all’interno della stessa istituzione militare (composizione, mobilità, leadership, formazione dei gruppi, rapporti di eguaglianza/subordinazione tra i membri dell’istituzione militare e quelli della società circostante). L’obiettivo principale della fase iniziale del nostro lavoro sarà proporre la realtà militare, partendo da ricerche sociologiche di fine Ottocento fino all’identità militare italiana dei giorni nostri. Parlando di valori, secondo la teoria di Weber, l’uomo è un soggetto portatore di cultura, intendendo per cultura il patrimonio di coscienza nel saper interpretare gli eventi umani. A tal proposito i componenti di una società accettano determinati valori di un’epoca storica a seconda di comportamenti ben definiti, secondo i quali gli stessi valori possono essere sentiti come subìti coercitivamente. Le Istituzioni quindi fanno riferimento ai valori umani e sono il prodotto collettivo di lunghi processi storici che trascendono la vita del singolo. L’Istituzione militare è il risultato di processi storici con significati sociali storicamente determinati; è origine di comportamenti ed atteggiamenti collettivi; assume la forma di idee, di valori e di contenuti che conservano la loro validità per generazioni. Ogni società ha una propria visione delle funzioni e degli scopi dell’istituzione militare, perché è la stessa società a crearla e a trasformarla ed è nello stesso tempo abile ad interpretarne i suoi fini secondo la propria cultura o, ancora meglio, secondo il variare nel tempo della propria matrice culturale. L’indagine sociologica sull’istituzione militare non avrebbe senso se, per comprendere quest’ultima, non la si esamini nel contesto culturale della società che la esprime in una determinata epoca storica. Inoltre il metodo qualitativo dell’indagine sociologica sarà pienamente efficace quando analizzerà l’istituzione militare, confrontandola globalmente con le coesistenti istituzioni restanti e con le attese e sollecitazioni della società presa in considerazione in quel determinato momento storico.1 _________________________ 1 Francesco Cervoni in Rivista Militare n. 2,1986, pp. 72-75. 1.2:L’istituzione militare per i fondatori della sociologia. Comte, Saint Simon, Spencer, Proudhon furono i padri fondatori della nuova disciplina sociologica e studiarono l’istituzione militare del proprio tempo. In quell’epoca gli eserciti nazionali iniziarono la propria trasformazione tramutandosi in eserciti di popolo, basati sulla leva di massa e sulla coscrizione obbligatoria. Fu questo infatti il fenomeno messo in moto in Europa dopo la Rivoluzione Francese. Comte, Spencer, Saint Simon non colsero l’aspetto di questo processo e ritennero opportuno credere che l’istituzione militare fosse la traccia visibile della “società militare feudale” in uno stadio più avanzato: quello della “società industriale”. La società militare appariva per loro come basata su valori ormai tramontati ed in netto contrasto con quelli provenienti dalla società industriale. 1.3:L’istituzione militare nel periodo classico della sociologia. Il tema militare venne affrontato in seguito da altri studiosi, tra cui Weber. Questi, configurando la tripartizione del potere razionale-legale, tradizionale e carismatico, studiò l’organizzazione militare come esempio pregnante del potere carismatico del capo tribù e del capo orda, che si trasmette quotidianamente ad altri capi non più carismatici, attraverso l’ organizzazione burocratica. In quest’organizzazione burocratica non predomineranno la figura del “dux” e dei suoi seguaci, ma la razionalità formale fondata su regolamenti e norme che legittimano il potere degli stessi capi. Per Weber, l’organizzazione militare è matrice di riferimento per la società industriale, in cui prevale il tipo di “razionalità rispetto allo scopo”. Questo tipo di razionalità mira all’efficienza dei mezzi piuttosto che al valore del fine. In questa società prevarrà il potere razionale-legale su quello tradizionale e carismatico. In una visione marxista, la sociologia militare si proporrà di risolvere due quesiti: 1) Che cos’è l’istituzione militare in relazione al sistema generale? 2) Quali sono le norme del suo funzionamento? Per rispondere alla prima domanda, la “sociologia borghese” ha ottenuto solo astrazioni e formulato tante teorie. In risposta alla seconda domanda, sono intervenute la sociometrìa2 e la psicologia sociale che hanno estrapolato il gruppo militare dal complesso sociale per studiarlo. In conclusione, per Marx il rapporto istituzione militare/società si è profondamente modificato con la nascita del capitalismo moderno. Il variare del processo produttivo ha consentito un mutamento di rapporto tra la società e l’istituzione militare che resta comunque la struttura autorizzata ad organizzare e ad amministrare la “violenza” nella società. Per la teoria marxista quindi, l’istituzione militare è estromessa dal processo di radicale di trasformazione economica e sociale ed assumerebbe di fatto un ruolo “sovrastrutturale”. In conclusione, l’analisi marxista interpreta nelle funzioni dell’istituzione militare quella del “militarismo” accostato al concetto di “imperialismo borghese”. In definitiva le funzioni militari vengono inquadrate come strumenti per conservare il potere e per ampliare i mercati. _________________________ 2 Termine coniato dallo psicologo J. Moreno nel 1938 per designare la scienza delle interazioni umane nei gruppi, con esclusione di altri fenomeni umani studiati invece dalla sociologia. 1.4:La «questione militare» in Italia. La crisi economica internazionale ed i conflitti armati nei Balcani ed in Medio Oriente hanno portato l’opinione pubblica italiana ad interrogarsi sul senso dell’esistenza del proprio esercito. Spesso l’istituzione militare è stata considerata come un potente strumento di controllo sociale, di manipolazione del consenso e di imposizione del potere da parte della classe dominante. Quando il nostro Esercito è stato impiegato in operazioni sul territorio nazionale come Forza Paris, Riace, Vespri Siciliani, Partenope ed all’estero in missioni come Libano, Albania, Somalia, Mozambico, Bosnia, Kosovo, Macedonia, Afghanistan, Iraq, l’opinione pubblica si è molto interrogata sulla qualità del servizio offerto dai membri appartenenti alle Forze Armate. Soprattutto è da ricordare il consenso favorevole riscosso dall’Esercito, passato dalla leva alla professionalizzazione degli stessi militari, che ha lasciato molto discutere su quei canali istituzionali che disciplinano i rapporti tra organizzazione militare ed organizzazioni politiche. I civili spesso pongono l’accento sull’esercito di professionisti purchè questi siano depoliticizzati e non strumentalizzati con norme che potrebbero anche contrastare con la natura della nostra Costituzione. I militari invece intendono il distacco dalla sfera politica non tanto come un non intervento negli affari politici, ma come astensione dei civili nelle questioni militari.3 _________________________ 3 L’Istituzione militare nella riflessione sociologica”, Rivista Militare n.2, 1986, pp. 72-80. Al vaglio degli studi della sociologia odierna, c’è quello di affrontare con serenità e con ampiezza di strumenti conoscitivi quelle “questioni militari” ancora un po’ scomode per l’opinione pubblica. Argomenti che spesso hanno generato scontri di idee e pregiudizi tra sfera civile e sfera militare sono stati episodi di nonnismo, suicidi di giovani militari, caduti in missione, l’uso di sostanze stupefacenti da parte dei militari, la qualità della vita nelle caserme ed un dilemma tanto attuale sulle missioni che oggi non si sa se vadano inquadrate in riferimento alla “pace” o alla “guerra”. Spesso nasce il dilemma se sono i civili che vogliono controllare le informazioni militari o se sono i militari che vogliono controllare le informazioni dei civili. Oggi, in Italia il nesso tra esercito e società, tra istituzioni civili e quelle militari, tra valori della società e valori militari, ha portato un’evoluzione di pensiero per cui la realtà militare è attualmente considerata patrimonio culturale del Paese. L’istituzione militare moderna non è un fenomeno esclusivamente militare, anzi è il prodotto di un processo storico di evoluzione tecnica, politica, economica e culturale. La realtà militare italiana di oggi si presenta con il suo iter di formazione, con la propria struttura organizzativa ed amministrativa e con l’impiego del proprio personale nel collocarlo al posto giusto. Le nostre Forze Armate esprimono, con il proprio operato, l’identità dei valori fondamentali della nuova società in cui si riconoscono. La società si evolve plasmando della propria identità la realtà militare vivente dentro di sé, alla quale attribuisce i connotati permanenti della propria cultura che vanno consolidandosi nel tempo.4 _________________________ 4 “Professione militare: sociologia e storia”, Rivista Militare n. 2, 1987, pp. 84-91. CAPITOLO 2 MILITARI E SOCIETA’ 2.1:L’idea di Nazione dal XVIII al XXI secolo nell’ottica mondiale. Il tema dell’identità nazionale ha suscitato di recente l’interesse del mondo della cultura, sensibilizzato da avvenimenti drammatici che hanno colpito l’Europa, i Paesi del Golfo ed il cuore degli Stati Uniti d’America con la caduta delle “Twin Towers” nei tragici fatti dell’11 Settembre 2001. La complessità del dibattito e la portata di quegli eventi indicano l’opportunità di tracciare il cammino percorso dall’idea di Nazione nel nostro Paese e la forma presa nelle coscienze di tutti gli italiani, militari e civili. Mentre nel XVIII secolo, il concetto legato al termine di ”Nazione” aveva una valenza prettamente culturale, nel XIX e XX secolo invece esso ha iniziato ad assumere una valenza politica. Il percorso della nostra identità nazionale è lungo circa 150 anni ed è fatto di tappe importanti in cui tutti ci riconosciamo sotto la stessa Bandiera, nello stesso Inno nazionale e siamo coscienti di mantenere viva la memoria di chi, per quell’ identità, ha donato anche la propria vita in sacrificio. La Patria è un valore assoluto per l’Esercito, che da sempre è chiamato a difenderla e a tutelare il suo popolo, come da sempre è pronto a rispondere ad ogni chiamata e ad ogni esigenza. Senso di Nazionalità significa senso di individualità storica, per cui l’idea di Nazione si riferisce alla singolarità di un popolo in relazione a fattori sostanziali. L’idea di Nazione va diritta allo spirito di un popolo formatosi attraverso vicende storiche e che si manifesta attraverso i suoi costumi, le sue tradizioni e la sua cultura.5 Il termine Nazione già esisteva nel Medioevo, quando le Università degli studi erano divise per Nazioni e le città in cui esse risiedevano ne identificavano la cultura di quel Paese (l’Italia aveva le sue sedi prestigiose a Bologna e Padova, la Francia a Parigi). Anche il Machiavelli studiava la Nazione come Stato politicamente organizzato, ma nel XVIII secolo, ci sarà un nuovo modo di concepire la Nazione negli scritti degli intellettuali. Lo svizzero L. Von Muralt criticherà fortemente la minaccia di egemonia francese nei costumi svizzeri. Sarà questo il primo tentativo di protezione dell’identità nazionale. Egli aggiungerà che gli svizzeri sono un popolo di uomini forti perché resi saldi dall’ambiente naturale e dalle loro tradizioni di rettitudine morale e di libertà. Altri pareri interessanti sul concetto d’identità nazionale verranno espressi da molti intellettuali di quel tempo tra cui il De Foe, che riteneva che l’orgoglio eleggesse a sua sede la Spagna, la lussuria l’Italia, l’ubriachezza la Germania, mentre la Francia era la Nazione dei ballerini. In quell’epoca la parola “libertà” accompagnava le aspirazioni e le affermazioni nazionalistiche insieme ad elementi naturalistici (ambiente naturale, clima ecc.) e volontaristici. _________________________ 5 “L’idea di Nazione nella prospettiva europea”, Rivista Militare n. 1,1999, pp. 107-115. La libertà iniziava così a definire un nuovo concetto di Nazione e di identità Nazionale, proprio perché intesa come prodotto dell’azione e della volontà di un popolo. Ulteriori elementi che arricchiranno il dibattito saranno offerti dallo scrittore tedesco Gottfried Herder (1744-1803), il quale esalta la lingua materna intesa come fattore di coesione di un popolo e carattere comune dello stesso. Per questo autore il popolo non ha una natura umana comune ad altri popoli. Quella natura è processo di trasformazione di due variabili: l’ambiente e le vicende vissute. Quindi, quella natura è la peculiarità di quel popolo e fa di esso un’ individualità a se stante ed inconfondibile. Herder crea il termine “nazionalismo” giungendo fino al concetto di “autarchia spirituale”di un popolo tale da rigettare l’importazione delle idee straniere. Con Herder si privilegerà moltissimo l’aspetto etnico di una razza ed a lui si affiancheranno le idee di Schlegel (“quanto più puro è il ceppo, tanto più grande sarà la nazione”), Schiller e Fichte che parleranno di sangue puro, razza pura e linguaggio puro. In Italia, il Muratori ed il Filangieri sottolineano invece la diversità di un Paese dall’altro, riferendosi alla lingua ed ai costumi diversi. Inoltre il Filangieri, a differenza dello stesso Herder, è favorevole a sminuire le differenze tra diverse Nazioni e a far sì che un popolo possa comunque arricchirsi con l’accettazione dei caratteri positivi di un altro popolo. Con la Rivoluzione Francese, il tema dell’identità nazionale si arricchisce esaltando la Nazione come idea di entità collettiva in cui il popolo è dotato di autocoscienza politica in contrapposizione al monarca ed ai ceti privilegiati. Il popolo diventerà quindi titolare della sovranità ed unica fonte di legittimazione dello Stato. Nell’Ottocento la Nazione assumerà i tratti politici e non più culturali e sarà identificata nel carattere sacro e divino della Patria. I caratteri di questa sacralità sono presenti anche nella poesia italiana dell’Ottocento, dove si potrà citare il Foscolo (“ove fia santo e lagrimato il sangue per la Patria versato”)6 e l’Alfieri che usa un tono più politico che culturale in “Del Principe e delle lettere”. L’incitamento per l’avvenire consiste nella “rivoluzione da tirannide a libertà” e con il XIX secolo apparirà sulla scena italiana ed europea la grande figura di Giuseppe Mazzini. Egli tratterà il “principio di nazionalità” vedendo la Nazione non come ricordo del passato, ma come aspirazione per l’avvenire, non come sentimento ma come “volontà” per costruire una casa nazionale. In Paesi politicamente divisi di quell’epoca, come la Germania, la Polonia e la stessa Italia, saranno gli intellettuali a definire il concetto di Nazione in senso più territoriale che culturale. In Italia e Germania ferverà moltissimo il dibattito ma con accenti diversi nel modo di considerare la Nazione: quello naturalistico e quello volontaristico. Il pensiero tedesco privilegiava l’aspetto naturalistico rifacendosi all’etnia, quello italiano motivato da intellettuali quali Gioberti, Berchet, Foscolo, Durando e lo stesso Mazzini faceva maggiormente riferimento al fattore volontaristico, sostenendo che non sono i caratteri preesistenti di un popolo a farlo nazione, ma è la volontà di esso a formare la nazione. _________________________ 6 “Dei Sepolcri”, 1886, Ugo Foscolo. In Italia il principio della libertà e dell’Europa alimenteranno maggiormente l’idea di Nazione e sarà proprio il Mazzini a parlare in senso repubblicano di quella libertà politica.7 Egli sosterrà che l’Umanità è la Patria delle patrie: “le nazioni sono gli individui dell’umanità, così come i cittadini sono gli individui della Nazione. La patria singola è solo uno stadio intermedio… Dio ha dato a ciascun popolo una sua missione, perché l’insieme di tutte quelle missioni compite in santa armonia per il bene comune, rappresenterà la Patria di tutti, la Patria delle patrie, l’Umanità”. Per Mazzini l’Umanità è l’Europa che succederà a quella morente del Papato, della monarchia e dell’aristocrazia. La nuova Nazione, ricca di una nuova identità sarà vista non come valore esclusivistico ma come mezzo per accordarsi con gli altri. Le idee di Mazzini non saranno però condivise da altri intellettuali come Cattaneo che parlava di Stati Uniti d’Europa mentre Cavour pensava ad innalzare l’Italia al livello delle grandi potenze europee. Più tardi il Cancelliere tedesco Bismarck definirà l’Europa una nazione geografica affermandola come Stato singolo e quindi come Nazione che non accetta limiti se non quelli imposti dal suo interesse e dalle sue convenienze. Purtroppo però un’esasperata interpretazione della “purezza della razza” decantata da Fichte, Schiller e Schlegel, l’ idea di “missione” promossa da Mazzini e quella del “primato morale e civile degli italiani” avanzata da Gioberti sfoceranno in degenerazione dei concetti resi, i quali giungeranno alla presa di rigide posizioni _________________________ 7 Mazzini: “Dove gli uomini non riconoscono un principio comune, dove non è identità d’intento per tutti, non esiste nazione ma folla ed aggregazione fortuita (1835)”. Lo stesso Mazzini affermerà nel 1859: “La Patria è una missione, un dovere comune… La Patria è prima di ogni altra cosa la coscienza della Patria… Però che… i confini che la natura pose fra le vostre e le terre altrui e la favella che vi risuona pur entro non sono che la forma visibile della Patria: ma se l’anima della Patria non palpita nella vostra coscienza quella forma rimane simile a cadavere senza alito di creazione e voi siete turba senza nome, non Nazione; gente non Popolo” (“Ai giovani d’Italia”). nazionaliste, le cui massime espressioni saranno il nazionalsocialismo tedesco ed il fascismo italiano. Proprio il fascismo in Italia tenterà di mantenere vivo il senso dell’identità nazionale con eccessiva enfasi nel mito della “maschia gioventù” coraggiosa, attiva, virile, onorabile ed orgogliosa. La “Missione” di Mazzini verrà interpretata come missione di predominio, mentre Il “Primato” di Gioberti sarà intesa come idea da realizzare con la forza delle armi. Nel periodo delle due guerre mondiali, la volontà di un’identità nazionale assumerà un carattere etnico, verranno abbandonati i concetti di libertà e di umanità che avevano caratterizzato ed arricchito il nobile principio di nazionalità ed inoltre i nazionalismi rigetteranno ogni altro sentimento europeo-umanitario contrario alla logica delle armi di quel tempo. Gli avvenimenti del secolo scorso dimostrano che il male dei nazionalismi era nel senso del predominio egoistico e non nell’idea di Nazione tanto propugnata da vari intellettuali. Spesso le nobili idee venivano strumentalizzate e trasmesse in maniera difforme e quanto più vicina possibile al soddisfacimento degli interessi egoistici di leader politici fanatici. Giungendo poi ai giorni nostri, le nuove crisi internazionali hanno aperto nuovi scenari bellici in cui si è giunti ad una nuova visione dell’idea di Nazione identificata nella patria e del modo di concepire le Forze Armate sempre più dedite ad operare per la pace, riconosciuta universalmente dal Diritto Internazionale come condizione necessaria per l’armonia tra i popoli. La nostra Costituzione, all’articolo 11, cita: “L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo”. 2.2:Lo Stato Italiano e la Nazione Italiana. Non sempre il concetto di Stato coincide con quello di Nazione (ad esempio lo Stato del Regno Unito include le nazioni di Inghilterra, Galles, Scozia ed Irlanda del Nord, al contrario la Nazione Stati Uniti d’America include 50 Stati).8 In altri casi la Nazione e lo Stato coincidono come capita all’Italia. Ma la coincidenza territoriale spesso porta a confondere Nazione e Stato che seppur collegati sono ben distinti nel concetto. Lo Stato rappresenta la burocrazia necessaria per la civile convivenza della Nazione. La Nazione invece indica espressione di una manifesta volontà di orientamento.9 Nel caso italiano c’è chi sostiene che sia sorta prima la Nazione da cui è scaturito in seguito lo Stato italiano. C’è chi invece sostiene il contrario, affermando che sia stato lo Stato ad affermare nelle coscienze dei cittadini l’idea di identità nazionale. Bisogna però tenere in considerazione che prima della nascita del Regno d’Italia il 17 Marzo del 1861, si parlava la stessa lingua in varie città italiane che dopo si sono unificate sotto la stessa bandiera. _________________________ 8 “Lo Stato e la Nazione” in <http://essepunto.it/2010/04/lo-stato-e-la-nazione/>. 9 Secondo la Costituzione (Art. 67 e 87) i parlamentari rappresentano la Nazione ed il Presidente della Repubblica rappresenta l’unità nazionale. La percezione del sentimento nazionale ha incontrato nel tempo molte difficoltà per riuscire a catturare la coscienza dei cittadini italiani, perché spesso la modesta alfabetizzazione della popolazione non agevolava ad offrire la capacità di comprendere i segnali degli uomini di cultura. Si capisce dunque che non esiste nazione dove non esiste una cultura10 e la cultura della nazione italiana non può prescindere da una lingua parlata dalla maggioranza delle persone e soprattutto dal cattolicesimo. Non si può quindi escludere dalla storia dell’Italia, intesa come Nazione e Stato, la fortissima e tangibile presenza di elementi cristiani. Spesso si sente parlare di laicità dello Stato rischiando di fare il gioco di coloro che vogliono smembrare l’Italia. Togliendo la storia e la cultura al nostro Paese non si avrebbe più la Nazione, come espressione di volontà umana maturata nel corso di circa due secoli di storia. E quindi ci si dovrebbe chiedere a cosa serva il territorio italiano. _________________________ 10 La Dichiarazione Universale dei Diritti Collettivi dei Popoli cita: “Ogni collettività umana avente un riferimento comune ad una propria cultura e una propria tradizione storica, sviluppate su un territorio geograficamente determinato [...] costituisce un popolo. Ogni popolo ha il diritto di identificarsi in quanto tale. Ogni popolo ha il diritto ad affermarsi come Nazione”. 2.3:La matrice cristiana nell’identità del militare italiano. Basta notare la presenza di numerosi campanili che popolano le nostre città e menzionare la letteratura di Dante e Manzoni, fortemente permeata di cattolicesimo. Anche l’arte italiana ne richiama le radici cristiane come ad esempio, il monumento italiano della torre di Pisa che è un campanile, per non dimenticare il vasto patrimonio artistico, che racchiude la cultura cristiana del nostro Paese, presente a Roma, a Napoli, a Padova, a Milano ed in tantissime altre città d’Italia. Ulteriore elemento di fede cristiana è nei versi dell’inno di Mameli: ”…che schiava di Roma, Iddio la creò!”. L’Esercito Italiano è parte della nazione italiana, è parte della storia italiana, è anima di un Paese che ha lottato per giungere all’unità nazionale, è parte della cultura italiana e conserva quindi una cultura prevalentemente cristiana nonostante i cambiamenti che, oggi, lo portano ad essere una Forza Armata sempre più multietnica. Secondo le ispirazioni cattoliche della nostra Costituzione, non poteva non ispirarsi al Cristianesimo la natura del nostro Esercito, il quale nel suo operato tiene sempre in considerazione quanto espresso nel Concilio Vaticano II sulla natura della pace e dei militari. La pace è infatti garantita coniugando libertà e giustizia.11 _________________________ 11 “La pace non è la semplice assenza della guerra, né può ridursi unicamente a rendere stabile l'equilibrio delle forze avverse; essa non è effetto di una dispotica dominazione, ma viene con tutta esattezza definita a opera della giustizia” in “GAUDIUM ET SPES” n. 78. Nell’ottica per garantire l’ordine di questa simbiosi, i militari vengono considerati come operatori di pace in quanto amministratori di essa e ministri della sicurezza e libertà dei popoli.12 L’Esercito di oggi è formato da persone che, per etica e valori in cui credono, sono armate per non usare le armi e forti per non usare la forza, ma per educare alla pace e alla non violenza i popoli oppressi dalla guerra. I nostri uomini e le nostre donne con le stellette sono quindi chiamati a rappresentare il tricolore del nostro Paese, affinché questo sia riconosciuto come come garante di pace e di libertà nella cultura degli altri popoli. _________________________ 12 “La guerra non è purtroppo estirpata dalla umana condizione. E fintantoché esisterà il pericolo della guerra e non ci sarà un'autorità internazionale competente, munita di forze efficaci, una volta esaurite tutte le possibilità di un pacifico accomodamento, non si potrà negare ai governi il diritto di una legittima difesa. I capi di Stato e coloro che condividono la responsabilità della cosa pubblica hanno dunque il dovere di tutelare la salvezza dei popoli che sono stati loro affidati, trattando con grave senso di responsabilità cose di così grande importanza. Ma una cosa è servirsi delle armi per difendere i giusti diritti dei popoli, ed altra cosa voler imporre il proprio dominio su altre nazioni. La potenza delle armi non rende legittimo ogni suo uso militare o politico. Né per il fatto che una guerra è ormai disgraziatamente scoppiata, diventa per questo lecita ogni cosa tra le parti in conflitto. Coloro poi che al servizio della patria esercitano la loro professione nelle file dell'esercito, si considerino anch'essi come servitori della sicurezza e della libertà dei loro popoli; se rettamente adempiono il loro dovere, concorrono anch'essi veramente alla stabilità della pace” in “GAUDIUM ET SPES” n. 79. 2.4:La bandiera italiana. Il tricolore italiano nasce a Reggio Emilia il 7 gennaio 1797, quando il Parlamento della Repubblica Cispadana decreta che " si renda universale lo Stendardo o Bandiera Cispadana di Tre Colori Verde, Bianco e Rosso e che questi tre Colori si usino anche nella Coccarda Cispadana, la quale debba portarsi da tutti". La bandiera caratterizzata da tre fasce di uguali dimensioni, nell'Italia del 1796 era fortemente ispirata al modello francese del 1790. Anche i reparti militari "italiani", costituiti all'epoca per affiancare l'esercito di Bonaparte, avevano stendardi con il tricolore simile a quello francese. I vessilli reggimentali della Legione Lombarda presentavano i colori bianco, rosso e verde, poiché nel patrimonio collettivo di quella regione il bianco e il rosso comparivano nello stemma comunale di Milano (croce rossa su campo bianco), il verde invece era il colore delle uniformi della Guardia civica milanese. 1. La bandiera che i Lombardi arruolati da Napoleone adottavano nel 1796 Gli stessi colori diventarono ufficiali per gli stendardi della Legione Italiana, che raccoglieva i soldati delle terre dell'Emilia e della Romagna, e fu probabilmente questo il motivo che spinse la Repubblica Cispadana a confermarli nella propria bandiera. 2. Il Tricolore dal 1802 al 1805 Durante il periodo della Restaurazione, il tricolore fu dimenticato ma continuò comunque ad essere innalzato come emblema di libertà, nei moti del 1831, nelle rivolte mazziniane, nell’ impresa dei fratelli Bandiera, nelle sollevazioni negli Stati della Chiesa. Durante i moti del 1848 la bandiera divenne il simbolo di una riscossa nazionale, da Milano a Venezia e da Roma a Palermo. 3. Il tricolore dei moti del 1848 Prima della proclamazione del Regno d’Italia, varie città come Roma, Venezia, Napoli mantennero il tricolore nella propria bandiera che ne esprimesse l’identità del popolo, accomunato dalla conoscenza della madrelingua italiana. 4.Stato Pontificio (Marzo-Agosto 1848) 6. Repubblica Veneta (1848-1849) 5. Repubblica Romana (1849) 7. Granducato di Toscana (1849) 8. Governo provvisorio della Sicilia (1849) 9. Regno di Napoli (1848-1849) 10. Regno delle due Sicilie (1860) Il 17 marzo 1861 venne proclamato il Regno d'Italia ed il tricolore continuò ad essere quello della prima guerra d'indipendenza. Nel 1925 si definirono, per legge, i modelli della bandiera nazionale e della bandiera di Stato. Quest' ultima doveva essere usata nelle residenze dei sovrani, nelle sedi parlamentari, negli uffici e nelle rappresentanze diplomatiche e doveva presentare al centro lo stemma della corona reale. Dopo la nascita della Repubblica, il decreto legislativo presidenziale del 19 giugno 1946 stabilì la foggia provvisoria della nuova bandiera, la quale venne confermata dall'Assemblea Costituente nella seduta del 24 marzo 1947 ed inserita nell'articolo 12 della nostra Carta Costituzionale: "La bandiera della Repubblica è il tricolore italiano: verde, bianco e rosso, a bande verticali e di eguali dimensioni". Essa esprime il comune senso di appartenenza alla Patria e ne identifica il sentimento nazionale di ogni cittadino. 2.5:Il sentimento nazionale. I militari sentono la chiamata della Patria, rilevandola come un valore assoluto da amare e non certo da imporre agli altri. Ai militari di oggi fa riferimento il patriottismo e non il nazionalismo che li ha contraddistinti durante la II guerra mondiale. Storicamente, si ricorda che la prima vera crisi del sentimento nazionale è quello che corrisponde al periodo 25 Luglio 1943-25 Aprile 1945, arco di tempo in cui lo Stato italiano entrerà in crisi di fronte al binomio “Patria-Libertà” che alimentava il Risorgimento, in cui si era esaltata maggiormente l’idea della Patria penalizzando quella della Libertà. Proprio in quel periodo si organizzerà la Resistenza all’occupante Esercito Tedesco e alla Repubblica di Salò, con contraddizioni fortissime negli ordini emanati dall’Autorità Centrale, che genereranno grande disorientamento nei cittadini. La Resistenza vedrà formazioni politicizzate che perseguono scopi differenti che difettano nel far rivivere l’idea di Nazione. Tutte le formazioni in campo si accomuneranno solo perché animate da un sentimento antifascista. In ordine alle ideologie degli attori della Resistenza, bisogna sottolineare che i comunisti ed i socialisti appartenevano ad associazioni internazionali ed anche volendo rivitalizzare l’idea di Nazione, ne disattesero l’intendimento nella prassi.13 Dall’altra parte c’erano coloro che richiamati dal senso di appartenenza al fascismo e agli impegni assunti con l’alleato tedesco, lottavano contro i propri compatrioti che invece avevano capovolto la propria alleanza. I democristiani invece sentivano più forte il vincolo d’appartenenza alla cattolicità e molto meno al senso di nazionalità, ispirati con non poco risentimento ai fatti del 20 Settembre 1870.14 Mancava quindi un punto di riferimento che rivitalizzasse il senso della Patria. Dopo il secondo conflitto mondiale, il nostro Paese ha conosciuto il periodo del boom economico, ma questa volta i contrasti nel Paese si sono manifestati tra il Nord ed il Sud per il diverso processo di maturazione politica e per la differente disponibilità di risorse. _________________________ 13 Nell’Agosto 1945 il Vice Ministro degli Esteri italiano Celeste Negarville (comunista), rivolto all’ambasciatore sovietico gli confida che il suo partito ritiene inaccettabili «le pretese italiane su Trieste» (pretese sostenute dal Governo di cui egli faceva parte), (Galli della Loggia. “La morte della Patria”, Sagittari Laterza). 14 Il 20 settembre 1870 l’esercito italiano partì per Roma ed aprì una breccia nella cinta muraria cittadina. I bersaglieri entrarono in città a Porta Pia e il Papa Pio IX fu costretto alla fuga. Il 2 ottobre 1870, un plebiscito sanciva l’annessione di Roma al Regno d’Italia. Molto interessante è il dibattito tra Nazione e Democrazia, dopo la caduta del Muro di Berlino. Secondo alcuni studiosi infatti, la Nazione non offre più lo slancio a generare un’identità politica nazionale, perché con movimenti sovranazionali come l’europeismo ed il mercato globale, gli interessi di una sola Nazione sono protesi verso ordinamenti ben superiori a quello di un singolo Stato. Inoltre il sentimento di appartenenza alla singolarità italiana si è arricchito di nuovi elementi culturali provenienti da vari Paesi esteri attraverso il fenomeno dell’immigrazione extraeuropea. Quest’immigrazione ha spesso portato alla costituzione di piccole minoranze prive di diritti politici connessi alla cittadinanza. Al vaglio di studiosi, ricercatori, sociologi, oggi esiste la prospettiva di una nuova Nazione intesa come bisogno di identità collettiva che possa evitare i particolarismi in conflitto tra loro ed amalgamare i fattori di coesione che generino armonia nazionale. Proprio per tale “missione”, si propongono le Forze Armate aventi, oggi, tra le proprie fila membri di varia provenienza geografica. L’Esercito attuale presenta, infatti, l’intercultura come elemento principale di integrazione fra i suoi membri. Un’altra possibile soluzione consiste nella possibilità di intendere la Nazione come ethnos quale appartenenza di natura culturale e Nazione intesa come demos quale appartenenza alla polis cioè allo Stato, con tutto ciò che di conseguenza scaturisce in diritti, doveri e termini di lealtà alla costituzione democratica. Attualmente, il problema del sentimento nazionale è molto sentito nella coscienza dei cittadini, che spesso si ricordano di “essere italiani” solo se gioca la nazionale di calcio o se ci sono i funerali di Stato di qualche militare che ha perso la vita in missione all’estero. Attualmente in Italia il dibattito sul sentimento nazionale degli italiani è particolarmente sentito, perché in una visione tanto egoistica, riferita al presente ed irrispettosa delle tradizioni passate, la Lega Nord attualmente tenta di conseguire l’assoluta libertà nello sviluppo delle vocazioni economiche del Settentrione, alimentando sentimenti di secessione e contrastando con l’articolo 5 della Costituzione (La Repubblica, una e indivisibile [..]). Sicuramente con l’Europa Unita e con il Patto dell’alleanza del Nord-Atlantico, l’Italia non deve distrarsi nell’animo di ricercare il senso compiuto della nazionalità dei suoi cittadini, intendendo il sentimento d’appartenenza (per etnìa, lingua, tradizioni, cultura collettivamente condivisi) come un investimento di natura morale ed una difesa dell’identità contro eventuali vicissitudini meno fortunate che il futuro potrebbe serbare, soprattutto in tempi di instabilità politica ed economica. Tale scopo però non può essere conseguito dalla sola istituzione militare nel suo tener vivo il discorso sulla Patria e nell’ esporre la Bandiera nazionale in occasione di ricorrenze inerenti a “fatti d’armi”. Solo una sana gestione dello Stato può infondere sicurezza e fiducia nei suoi cittadini, rafforzandone lo spirito d’appartenenza alla Nazione, che a sua volta non potrà mai essere ostacolato nel tipo di organizzazione politica che i cittadini liberamente vorranno darsi. CAPITOLO 3 LA CULTURA MILITARE IN ITALIA 3.1:Il patrimonio di idee e valori ereditato dall’Esercito Italiano. La storia delle Forze Armate italiane include cenni storici che precedono l’unità d’Italia e ne attribuiscono l’identità sempre attuale, trasmessa di generazione in generazione. Allo stato attuale ed ufficiale dei fatti il nostro Esercito nazionale ha 150 anni di storia considerandolo a partire dal 1861. La cultura da esso ereditata include l’organizzazione economica, i rapporti sociali, gli affari militari, le indagini spirituali maturate dal nostro Paese in circa un secolo e mezzo. La cultura può essere quindi definita come quel patrimonio sociale di un gruppo umano, trasmissibile nel tempo, che comprende comportamenti, conoscenze, credenze, fantasie, ideologie, simboli, norme, valori e disposizioni all’azione che si attuano attraverso schemi e tecniche d’attività tipiche di ogni società. La civiltà è quindi l’insieme delle componenti culturali e di organizzazione politicosociale di un popolo. Essa comprende il patrimonio storico di quest’ultimo, arricchito di elementi folkloristici, artistici, tecnici, storico-militari, scientifici, religiosi, economici e politici. Ogni civiltà va sempre considerata come entità unica nonostante in essa possano coesistere una pluralità di elementi differenti, a volte in contraddizione tra loro. In una civiltà, ad esempio, se coesisteranno una cultura contadina ed una industriale, avremo una cultura d’ élite da un lato ed una popolare dall’altro. Raggiungeremo quindi il risultato di due fattori coesistenti nella stessa civiltà, ma con culture politiche differenti, usi, costumi, economie, e livelli di sviluppo differenti, ceti e professioni con una propria identità. In questo contesto il mondo militare non è escluso. Esso è infatti l’espressione dell’entità di un popolo ed ogni conflitto presente o passato, ha generato un bagaglio di conoscenze che accrescono il livello di cultura, formando così la cultura militare del popolo stesso. Esplorando l’universo militare, possiamo notare di avere di fronte un sistema di comunicazione complesso fatto di segni, simboli, forme, miti, linguaggi particolari con un preciso senso. Il mondo militare custodisce la storia ed i valori di un popolo, sottolineando quei particolari doveri a cui si sente chiamato per il bene della collettività. E’ proprio la somma di segnali e doveri a dare la dimensione caratteristica alla cultura e alla condizione militare. 3.2:Come la cultura militare influenza i comportamenti. In passato, la storia dei popoli è sempre coincisa con quella dei propri Eserciti. Esisteva infatti un’assoluta integrazione tra comunità civile ed organismi militari e la guerra era lo strumento permanente dell’azione politica. Dalla Polis Greca alla Civiltà Romana, dal feudalesimo alle grandi Monarchie Nazionali, la condizione della guerra assumeva una configurazione sia civile che militare nello stesso tempo. Sun Tzu tramanda: ‹‹La guerra è di vitale importanza per lo Stato. E’ materia di vita o di morte, è una scelta che può condurre alla salvezza o alla rovina. E’ pertanto un argomento di studio e di riflessione che in nessun caso può essere trascurato››.15 La cultura militare italiana ha influenzato la storia del nostro popolo, che ha assunto i connotati di una civiltà non violenta, con spirito ‹‹militare›› più che ‹‹guerriero››.16 Padre Giovanni Seteria (esponente del giovane pensiero cristiano) scriveva: ‹‹Il nostro popolo (italiano) non ama la guerra, che chiama flagello di Dio, ma la fa più eroicamente di altri che la esaltano ma non la fanno››. Un giovane Mussolini bersagliere scriveva nel proprio diario, parlando dei propri commilitoni: ‹‹Amano essi la guerra? No. La detestano? Nemmeno…… La accettano come un dovere che non si discute››. _________________________ 15 In ogni conflitto infatti, ogni forma di cultura si esprime in modo pieno e completo: lo sviluppo tecnico-scientifico plasma il livello tecnologico degli armamenti, la struttura economica garantisce la loro produzione e il loro mantenimento, il sistema educativo definisce la capacità degli uomini di manovrarle e ripararle, l’efficienza del sistema burocratico dà la misura alla qualità organizzativa e logistica delle unità combattenti, quella del sistema politico la certezza delle strategie e delle regole di impegno e del consenso della Nazione. (Rivista Militare n.2, 2009, pp. 110-115). 16 Guerrini (Storico militare) scrive: “Fabio il Temporeggiatore che, comandando gente romana, potè abilmente logorare Annibale, soprattutto perché i suoi soldati erano militari ben disciplinati piuttosto che focosi guerrieri; e fu fortuna per Roma che così fosse, perché un popolo di natura guerriera non avrebbe resistito a 16 anni di permanenza in casa propria di un nemico come Annibale”. Il Guerrini sostiene che nel temperamento degli italiani, le cui virtù militari sono derivate dagli antichi romani, non esiste uno ‹‹spirito guerriero››, ma uno ‹‹spirito militare››.17 La tenacia, la forza morale, la saldezza del soldato italiano sono virtù insite nella cultura militare presente nell’inconscio degli italiani. La simbologia, gli atteggiamenti, la disciplina derivano dal retaggio storico acquisito nel tempo, formando quella cultura militare rappresentativa della Nazione Italiana stessa. La cultura militare italiana nasce dall’antichità, stratificandosi nei secoli, diventando tradizione e determinando una predisposizione militare del nostro esercito che lo distingue dagli altri eserciti stranieri. La cultura militare italiana è anche la risposta dei diversi comportamenti del nostro Paese, durante la partecipazione in operazioni militari di pace e di guerra nello scenario conflittuale passato, presente e futuro. _________________________ 17 Guerrini scrive del temperamento degli italiani: “La gente italiana è militare, non guerriera. La gente guerriera, diciamolo subito, ha innato lo spirito di obbedienza ai Comandanti, mentre tale spirito ha bisogno di essere infuso, molte volte attraverso un’azione disciplinare, del resto non difficile, nella gente tendenzialmente militare. I popoli guerrieri sono più pronti e meglio inclinati ad intraprendere la guerra, ma i militari sono assai più tenaci nel continuarla”. 3.3:Il ruolo della cultura militare oggi. La trasformazione culturale, politica e sociale delle istituzioni ha offerto la possibilità all’Esercito di mutare la propria qualità attraverso la tecnicizzazione. Mentre in alcuni paesi del Mondo la figura di ‹‹homo politicus›› e ‹‹homo militaris›› coincidono, perché il potere viene amministrato dalla stessa Autorità militare Nazionale, in Italia invece le due figure sono nettamente separate. I militari infatti sono oggi chiamati a far fronte alla presenza di fenomeni quali armi nucleari, terrorismo, globalizzazione, conflitti asimmetrici, apparato dei media che spesso dominano le coscienze del pubblico manipolandone le emozioni. I livelli culturali dell’istituzione militare presi in considerazione negli studi sociologici sono due: quello tecnico-militare, che riguarda lo strumento bellico nella sua configurazione ordinativa ed operativa, riservato ai professionisti delle armi; quello strategico che concerne l’aspetto politico-militare ed è oggetto di analisi di numerosi ricercatori. Proprio sull’aspetto strategico, si è pensato che il nostro Esercito come le altre Forze Armate italiane e del Mondo fosse entrato in una crisi d’identità. Sembra infatti che la figura del militare sia passata da un modello tradizionale ad un modello manageriale con l’avvento della professionalizzazione. Sembra che infatti si siano costituite le figure di due profili: uno coordinatore di un’organizzazione complessa ed un altro tecnico-specialista. Inoltre l’era digitale ha offerto spunti tecnologici per migliorare i sistemi di difesa e di combattimento delle Forze Armate Italiane; quindi la tecnologia è diventata elemento essenziale della nuova cultura militare italiana, connotandola di una nuova identità. Il rapporto tra pensiero militare e sviluppo tecnologico, in continua interazione ed integrazione tra loro è destinato a consolidarsi nel tempo ed a migliorare gli obiettivi ed i principi del nuovo esercito che nasce attimo dopo attimo, ora dopo ora, giorno dopo giorno. 3.4:L’influenza della cultura militare sugli altri organismi e il ruolo dei militari. La scienza dell’organizzazione, la leadership, le tecnologie didattiche hanno reso il nostro Esercito più competitivo e determinato nelle scelte da fare in ambito operativo. Spesso però, prima di decidere bisogna essere bene informati e questo è il principio irrinunciabile dei Quadri dirigenti di qualsiasi organizzazione. Attualmente, è importante la relazione tra le istituzioni militari e quelle civili in termini di collaborazione, pensando alla rapidità dei flussi informativi gestiti nelle banche dati che consentono un’ottimizzazione nelle procedure decisionali. La cultura militare richiama quindi all’ Arte del Comando, dove chi svolge il delicato compito di guida per gli altri deve avere spiccate doti di sensibilità e di umanità. L’esempio offerto da quest’ “arte” si può anche applicare nelle organizzazioni della vita civile. Si parla spesso di Etica del Comando, di dignità, di prestigio, di autorità, di autorevolezza, di disciplina imposta e di disciplina consapevole nell’ambito militare. Tutte queste caratteristiche sono peculiarità e patrimonio culturale di ogni uomo o donna con le stellette. Sono esse virtù ereditate dal processo storico del nostro Paese ed offrono la possibilità di conoscere meglio l’identità del soldato italiano secondo una ricerca antropologica. 3.5:L’arte italiana di saper decidere. La disponibilità di sistemi d’arma e di risorse fa dell’istituzione militare un’organizzazione complessa in cui la formazione culturale porta i propri membri a fare affidamento sulla precisa volontà condivisa e sullo spirito di coesione. La volontà e la coesione trovano fondamento nella cultura militare ed assicurano l’unitarietà di intenti e la convergenza degli sforzi. L’organismo militare italiano, per essere vitale, ha sempre avuto bisogno di poggiarsi su una struttura che ne spiegasse la propria ragione d’essere e che ne indirizzasse l’operato. La cultura militare quindi, intesa come insieme di convinzioni ideali e di conoscenze specifiche, ha reso ciascun soldato capace di avere nella propria preparazione culturale il coraggio di mettersi sempre in gioco e di essere l’interprete più autentico dei valori della propria nazione che rappresenta. Un ruolo fondamentale lo gioca in questo contesto l’arte di saper decidere. La decisione è infatti un esercizio che contribuisce a dare una svolta alla professione militare ed alla propria vita. La decisione è un procedimento mentale ed esistono tecniche già collaudate che aiutano a decidere con naturalezza e disinvoltura, anche in situazioni estreme. La scienza aiuta a compensare la poca esperienza ed offre regole da applicare con un po’ di impegno su stessi ed ottenere così benefici concreti in vari ambiti. La professione militare è un po’ come quella del medico per quanto concerne la capacità di prendere decisioni in rapido tempo, coinvolgendo la vita fisica e psicologica delle persone intorno. In questo lavoro, esamineremo cos’è la decisione, cosa si intende per presa di decisione, ma soprattutto perché si decide.18 La decisione innanzitutto può dipendere da variabili che sono il rischio; le probabilità (di riuscita o meno); l’incertezza; l’utilità; le scelte individuali; gli errori di giudizio e la raccolta di informazioni; l’esperienza già vissuta; l’ambiente in cui si svolge l’azione; lo stato psichico del decisore. La presa di decisione implica quindi un procedimento guidato da una serie di scelte come: trovare la soluzione del problema da soli o no; individuare le strategie migliori per risolverlo; scegliere il corso d’azione più efficace; bloccare il processo o continuarlo. Di fronte ad un problema, ognuno di noi posto nella doverosa condizione di decidere si comporterà in maniera differente. Psicologi, matematici, statistici, filosofi, ricercatori hanno esaminato ed individuato i vari stadi che precedono la decisione, per far sì che l’atto finale di scelta risulti il più vicino possibile alla soluzione ottimale. Una decisione è certa quando sono noti tutti i fattori di previsione per gli sviluppi di una situazione futura. Nei militari è forte il senso della decisione da non prendere mai in stato di depressione o di euforia. Valenti storici, rileggendo con senso critico le decisioni adottate dal Presidente americano Franklin Delano Roosvelt a Yalta, sono giunti alla conclusione che alcune delle eccessive concessioni territoriali e politiche accordate a Stalin fossero nate dalla gravissima crisi depressiva in cui era sprofondato, nella consapevolezza che la sua malattia lo avrebbe fatto vivere ancora per poco tempo. _________________________ 18 “L’Arte di saper decidere”, Rivista Militare n.4, 2003, pp. 58-77. L’euforia invece può eccitare gli animi al punto di decidere senza prevedere le conseguenze di quanto si è scelto. Da tener presente anche il ruolo della “non decisione” a cui ci si appella quando abbiamo un’imprecisa ed incompleta raccolta dei dati in nostro possesso; un’ inesatta valutazione del problema; un’ errata scelta dell’obiettivo prefissato; un insufficiente numero di informazioni in possesso; il poco tempo che ci divide dalla decisione. Gli aiuti per prendere una decisione in ambito militare provengono dall’ analisi della decisione, dalla raccolta delle informazioni aggiuntive, dalle tecniche di focalizzazione e dai sistemi artificiali.19 3.5.1:Analisi della decisione. Questa tecnica consiste nel valutare il problema per analizzarne la decisione. Prima di decidere si valuteranno le conseguenze, le incertezze, le alternative e si analizzerà la sensibilità di coloro su cui sarà diretta la scelta da effettuare. 3.5.2:Raccolta delle informazioni aggiuntive. Con questa tecnica, si scompone il problema in piccoli gruppi che andranno esaminati singolarmente per poi ricomporli tutti. E’una tecnica utilizzata per processi decisionali complessi dove è molto alto il tasso di incertezza decisionale. Per facilitare il compito decisionale si scompongono le informazioni in nostro possesso, si semplificano, si codificano, si raggruppano e si ricombinano in uno schema semplificato che metta in risalto i parametri più significativi. _________________________ 19 “Organizzazione militare: l’importanza dell’approccio psico-sociale”, Rivista Militare n. 3, 1994, pp. 98-111. 3.5.3:Tecniche di focalizzazione. Il decisore è abile a produrre giudizi logici evidenziando le informazioni in suo possesso ed ottenere quindi la migliore decisione. Le informazioni vengono analizzate isolatamente e per ognuna di esse viene espressa una decisione. Si tenderà a prevedere sommariamente l’esito finale avendo a disposizione tutte le informazioni. 3.5.4:Sistemi artificiali. Questi sistemi vengono distinti in Sistemi Esperti e Sistemi di Supporto alle Decisioni. Entrambi appartengono all’intelligenza artificiale, che ormai offre il suo contributo accertato nella capacità di risoluzione di problemi. I Sistemi Esperti consistono in una base informativa concernente le conoscenze specifiche in quel settore, di un insieme dei dati ricevuti dall’esterno e di spiegazioni e conclusioni sul ragionamento effettuato per produrre le risposte. I Sistemi di Supporto alle Decisioni, invece, sono programmi che forniscono numerose serie di informazioni, permettendo di ricorrervi in specifici casi. Essi si compongono di una base dati, una base modello, un’interfaccia ed un utente. 3.6:Gli esiti negativi delle decisioni in condizioni estreme. I militari italiani sanno benissimo che prendere decisioni in maniera poco serena, precipitosa, impellente, prorompente, con a disposizione pochi dati, scarsa esperienza e con condizionamento psico-emotivo può portare a conseguenze disastrose per il buon esito di quanto ci si è prefissati di raggiungere. Spesso la storia ha insegnato che proprio alcune decisioni militari sono costate la vita a tanti giovani per strategie errate, per l’ambizione e per la malattia dei propri comandanti. Un esempio di strategia errata lo si è ottenuto molte volte quando comandanti hanno obbligato a marciare, per chilometri sfidando le intemperie del tempo, la sete e la fame, i propri uomini pretendendo da questi di sentirsi sempre forti e mai stanchi per battere il nemico.20 L’esito di quelle battaglie si è rivelato poi un vero e proprio disastro. Ma anche la vanagloria personale, l’impulso di primeggiare, l’ambizione di sentirsi superiori agli altri è un altro elemento negativo, che spesso ha condotto alla distruzione piccole unità in azione che fronteggiavano il nemico di numero quindici volte superiore.21 Un altro fattore negativo nel prendere decisioni è offerto dalla malattia. Ci sono state battaglie che hanno avuto comandanti malati, che spesso hanno adottato strategie suicide. Molti di questi comandanti diventavano arcigni, sprezzanti, arroganti per la malattia e pretendevano che il buon esito della battaglia sarebbe arrivato prima o poi. _________________________ 20 Si ricorda la battaglia del Generale britannico Buller in Sudafrica a Hussar Hill contro i Boeri, nel 1900. Dopo aver fatto marciare le proprie truppe, sotto il sole cocente di 45 gradi e con poca acqua a disposizione, per quaranta chilometri, pretese che questi avessero la vittoria in mano. Costrinse così il proprio Reggimento, stremato dal caldo, dalla marcia e dalla sete a prendere d’impeto la collina. In solo tre ore i Boeri massacrarono l’intero Reggimento di 1700 uomini. 21 Il generale Custer, nel giugno 1876, fu attirato dall’avvistamento di un accampamento indiano. All’ordine di non attaccarlo rispose che con una sola unità avrebbe combattuto. Divise così il proprio Reggimento in tre colonne, due delle quali si diressero a sud e ad ovest dell’accampamento. Con la propria unità fu attirato in trappola da Cavallo Pazzo, che lo costrinse a combattere tra un torrente allora sconosciuto, il Little Big Horn, e le colline. Il risultato finale fu l’uccisione dello stesso Custer e di 211 uomini del suo Reggimento. Ad aumentare il senso di presunzione di questi era anche il disagio offerto dalle dure condizioni di vita e di alimentazione.22 Dalle lezioni apprese dalla Storia, il nostro Esercito rimane ben saldo nelle sue convinzioni ed è riuscito a maturare maggiormente la propria identità con una propria psicologia emotiva. 3.7:Psicologia militare italiana. Fortemente ispirato dalla cultura cristiana del nostro Paese, il militare italiano conserva in sé le radici storiche dell’ Italia di ieri e di quella che va cambiando oggi. Il soldato italiano trova nella storia militare le energie che possono essere profuse dall’uomo a scopo bellico ed è conscio, con i tempi attuali, che l’Esercito è diventato uno dei principali strumenti di politica estera. Se un tempo gli Eserciti conducevano devastanti campagne belliche sui territori ove operavano, oggi le missioni di coalizione o sotto l’egida delle Nazioni Unite sono finalizzate al ripristino del tessuto sociale ed economico deteriorati ed ancora ad alto rischio. _________________________ 22 Si ricordi Napoleone, che affetto da ulcera duodenale, durante la battaglia di Borodino (Russia) perse il controllo della battaglia perché sfinito da una violenta prostatite che lo perseguitava da giorni. A Lipsia invece il suo “mal di stomaco” lo ridusse ad uno stato tale che, terminate le coliche, si assopì, non potendo così impartire gli ordini per organizzare un’efficiente e ordinata ritirata. Le conseguenze furono disastrose. Morirono più di 10.000 giovani della Grande Armata Francese. Nel 1815, durante la battaglia di Waterloo (Belgio), il declino mentale e fisico di Napoleone raggiunsero il massimo livello che Sir Arthur Wellesley, Duca di Wellington, aspettò che i malesseri dell’Imperatore si manifestassero in tutta la loro devastante presenza per poter poi attaccare le truppe francesi. Gli acciacchi durante quella battaglia gli impedirono di cavalcare e Napoleone perse la visione della battaglia, che affidata al generale Ney, finì tragicamente. I francesi capitolarono senza neanche combattere con l’ardore, la forza e la determinazione che li aveva portati a conquistare mezza Europa in 15 anni. La consapevolezza dell’ “essere militare” preposto all’agire per il bene della collettività, propone il militare italiano in una dimensione psicologica in cui lo stesso militare trae la forza, il coraggio, l’entusiasmo, l’orgoglio di appartenenza, la gioia di essere portatore di cittadinanza e diritto, la felicità di essere trasmettitore di una cultura di pace quale la cultura italiana. L’Esercito di oggi è quindi erede di tradizioni storiche che partono dal Risorgimento sabaudo e fatica un po’ per percepire come proprio il patrimonio derivante dalla storia militare degli antichi Stati italiani. Psicologicamente, i nostri militari si sentono motivati nel proprio spirito di servizio se bene conoscono la storia di quei fatti che hanno dato vita alla nostra Nazione. Uno dei valori militari consistente nella conoscenza della storia è insito nel motto “Sapere per prevedere, prevedere per potere” .23 Le Forze Armate Italiane di oggi adempiono la loro altissima missione per la sicurezza della Patria, con spirito di dedizione ed assoluta fedeltà. Ogni militare è consapevole di essere un ministro della libertà e della sicurezza ed assicura la libertà, la dignità e la pace del popolo italiano, nel nome di un giuramento24 sacro fatto dinanzi alla Bandiera. Sempre ed ovunque, il soldato italiano non ha mai smentito le sue prerogative di valore e di bontà.25 ___________________ 23 “Attualità della storia militare dell’età moderna”, Rivista Militare n.1, pp. 108-119. 24 Il tema della sacralità dell'atto Costituente non è un appannaggio della mentalità religiosa, ma appartiene anche a quell'ethos repubblicano, a quella religione della libertà e di devozione alla res publica che caratterizza le società dei liberi e degli uguali, soprattutto nel loro atto fondativo. Cfr. M. Viroli, “Il contenuto repubblicano della Costituzione”, in “Atti del Convegno. La Costituzione ieri e oggi” (Roma, 9 - 10 gennaio 2008), p. 28, in <http://positivamente.lincei.it/files/convegni/533_allegatouno.pdf.>. Disposizioni come quella dell’art. 52 (“La difesa della patria è sacro dovere del cittadino”), dell'art. 54 (“Tutti i cittadini hanno il dovere di essere fedeli alla Repubblica e di osservarne la Costituzione e le leggi. I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore, prestando giuramento nei casi stabiliti dalla legge”) e dell'articolo 98 (“I pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione”) trovano spiegazione nello spirito giacobino, nel repubblicanesimo mazziniano e nella sensibilità cattolica del nostro Paese. 25 Mons. Giuseppe Mani, Arcivescovo di Cagliari, già Ordinario Militare per l’Italia in “Tutti sono chiamati alla Santità….. militari compresi”, Vincenzo Pilato, ed. Effatà, 2007. Ogni militare conosce il significato della “pace” e della “guerra”, compreso le accezioni utilizzate per giustificare quest’ ultima come giusta, ingiusta, inevitabile, necessaria, indispensabile alla difesa ecc. Ogni uomo o donna che indossa un’ uniforme, dovrebbe indossarla serenamente con la pace interiore con sé stessi, con il Dio in cui si crede, con la natura, secondo una componente etica che abbia superato falsi morali, preconcetti, interessi unilaterali, presuntuose ignoranze. Le società umane possono raggiungere la pace aderendo agli ideali di equilibrio e di armonia e non da meno, di fondamentale importanza, è la pace tra le religioni. I militari italiani non si sono mai appellati al Creatore, come altri popoli, per giustificare uccisioni o “pulizia etnica”. Gli antichi romani cristiani distinguevano il “prestare servizio militare” dal “combattere” e questo concetto è stato bene ereditato dalla cultura militare italiana. Oggi però, l’Esercito che diventa sempre più multietnico, vede in sé elementi di tradizioni storiche, politiche, culturali e religiose differenti da chi invece si è arruolato fino a prima che l’Esercito si professionalizzasse. L’elemento dominante in grado di gestire le differenze tra i militari e di accomunarli nel “sentimento fraterno” dell’unica Patria cui essi appartengono è l’intercultura. Questa infatti consente di gestire le diversità e di accettarle durante il processo di socializzazione in caserma e durante tutte le attività cui un reparto è chiamato ad operare. I militari italiani di oggi sanno bene che il vero servizio militare deve essere sentito come una vocazione. Sanno bene che il servizio militare è un esercizio costante della carità e non solo quindi un accogliere profughi ed esuli, ma soprattutto far sì che non ci siano più profughi ed esuli. I militari italiani sanno che devono impedire anche con l’uso della forza ogni forma di sopraffazione o di disprezzo dei fondamentali valori degli uomini e dei popoli. Una cosa è pattugliare una città distrutta per la pace ed un’altra cosa è lanciare le bombe sulla città. Una cosa è difendere la Pace, un’altra è difendere gli interessi di terzi Stati. I soldati sanno benissimo che il proprio servizio è una funzione da esercitare per il bene degli altri, alla difesa della loro vita e dei loro diritti. Sentono come obbligo, nonché come dovere morale, il difendere la vita degli altri quando questa sta per essere offesa, violentata o soppressa da terzi. A questi principi ed a questa visione psicologica da cui scaturisce l’atteggiamento mentale di ogni uomo o donna in uniforme, aderiscono tutti i militari italiani a prescindere dalle proprie credenze religiose. L’Esercito Italiano forma i suoi membri come “operatori di pace” in primis, perché la pace senza la sicurezza sarebbe effimera ed illusoria. La vera pace non è un bene che possa mantenersi da sé. La pace va mantenuta, coniugando libertà e giustizia, con il saperla difendere e custodire, se la si vuole godere durevolmente. 3.8:L’ Homo Militaris Italicus. Il nostro rinnovato Esercito, nella composizione organica, nell’armamento e perfino nell’uniforme, non può mutare l’identità di quei valori, principi, abitudini, gesti, slogan in cui si sente pienamente identificato da 150 anni di storia del nostro Paese. Ogni militare sottolinea esteriormente la propria identità attraverso una serie di strumenti ed atteggiamenti che comprendono l’uniforme e i suoi accessori (copricapo, spalline, cintura, colletto, distintivi, decorazioni), le armi, l’uso della gerarchia dei gradi, la “marzialità” nel comportamento (parlare a voce alta, muoversi in modo rigido e scattante, tenere il busto eretto, tenere lo sguardo alto, la cura per la pulizia, l’aspetto della persona, il saluto militare, il “gergo di caserma”.26 _________________________ 26 Ferrari (1990). 3.8.1:La psicologia dell’uniforme. Spesso per “dominare” l’altro senza sferrare un colpo, si adottano elementi psicologici che concernono il linguaggio del corpo. I militari quindi (italiani e stranieri) tendono, per lo status che rivestono, ad esagerare, enfatizzare quegli elementi del corpo o del portamento che hanno un significato di netta superiorità. Secondo alcuni ricercatori, nell’antropologia militare è constatato che persone più alte incutano più timore, rispetto e soggezione a differenza di persone più basse. Anche le spalle larghe accompagnate da un girovita stretto che attribuisce al busto un profilo a “V”, una muscolatura ben sviluppata, una voce bassa e profonda, un portamento eretto con lo sguardo alto e la visibilità nel gruppo, sono fattori decisivi nel trasmettere dominanza.27 Per enfatizzare questi aspetti corporei esistono le uniformi, che all’inizio nacquero per distinguere gli amici ed i nemici e poi, in seguito, i militari dai civili. Enfatizzando sull’aspetto esteriore, vengono spesso adottati da alcuni reparti copricapi alti per aumentare la percezione dell’altezza. Questi possono essere di pelliccia, stoffa, metallo lucente come nel caso dei corazzieri o decorati con piume come nel caso dei bersaglieri e degli alpini. Per esaltare la larghezza delle spalle, vengono utilizzate giubbe con spalline più o meno decorative ed evidenti a seconda del grado. Per esaltare invece il profilo del busto esistono i bottoni lucenti che sono cuciti sulle giacche e sono spesso disposti in due file divergenti che vanno dalla vita alle spalle, rimarcandone il busto a “V” e la larghezza delle spalle stesse. I colori vivaci dell’uniforme ne aumenta la vistosità. _________________________ 27 Costa (2002). I distintivi e le decorazioni, invece, vengono utilizzati per la voglia di sentirsi autentici e diversi dagli altri, soprattutto per tenere viva negli altri la memoria di qualche evento a cui si è particolarmente legati (campagne militari, corsi, anzianità di servizio ect.). Spesso i veterani che hanno raggiunto il successo in combattimento, vengono a considerarsi parte di una èlite. Camminano con orgoglio e si aspettano la considerazione degli altri. Adottano distintivi, emblemi, insigne che a volte può far suscitare l’irritazione o l’invidia di commilitoni o superiori che non hanno raggiunto tale livello di prestigio. Non di rado, è accaduto che l’abbigliamento militare si sia sottoposto, nel tempo, a “ritualizzazione”, ossia a quel fenomeno comune per cui un oggetto o un comportamento tende a perdere la funzione pratica per cui si è evoluto per acquisirne una estetica ed ornamentale. La dominanza è anche trasmessa da un’elevata ornamentazione che include l’uso di mostrine e fregi, che identificano il corpo d’appartenenza, e l’uso di placche, pendagli, cordelline, dragoni ed armi bianche come la sciabola o lo spadino, nel caso di ufficiali e sottufficiali. L’utilizzo di grosse giubbe, cinturoni e copricapi pesanti contribuisce a rendere i movimenti più rigidi e per questo più “marziali”. Interessante, infine, sarà uno sguardo alle figure di animali feroci quale il leone, il lupo, l’aquila, il grifone che appaiono negli stemmi e nei nomi dei reparti per sottolinearne psicologicamente la fermezza, il coraggio e la dominanza della propria natura. 11. Granatieri in Alta Uniforme 3.8.2:L’esibizione delle armi. I militari portano le armi più di quanto non sia necessario per gli scopi bellici. L’esibizione delle armi assume il valore di “status symbol” ed esercita una funzione intimidatoria. Le armi, che sono di epoche passate vengono adoperate in forma ornamentale nelle cerimonie, acquisendo così un valore estetico (come la sciabola, lo spadino, la carabina). Il valore estetico e intimidatorio della loro esibizione deriva dal fatto che durante la cerimonia, esse vengono manipolate con dei gesti e movimenti rigidamente codificati. Un tempo, le manovre con le armi in maniera sincrona venivano effettuate per evitare di ostacolare i commilitoni o ferirli. Da quando poi, i combattimenti non si eseguono più secondo schemi geometrici, le manovre delle armi fisse e ritualizzate sono rimaste nel patrimonio della cultura militare, assumendo quindi un valore prettamente estetico e di potenza. 3.8.3:La gerarchia. Nell’organizzazione militare, i motivi per cui si mantiene una gerarchia strettamente piramidale sono due: 1) La velocità delle decisioni prese da una sola persona cui è destinato il comando stimola un reparto ad agire immediatamente in maniera organizzata, decisa e coesa. Nelle operazioni militari, spesso i comandanti sono chiamati a fare scelte vitali per i propri soldati , il tutto in tempi strettissimi ed in condizioni stressanti. La velocità è quindi condizione essenziale per decidere. Un ritardo nella decisione potrebbe offrire un vantaggio all’avversario o peggio costare la vita agli appartenenti ad un’ unità. Se il comando venisse affidato a due o tre persone, magari le scelte potranno essere più ponderate e democratiche, ma sarebbero di certo più lente. 2) Nella gerarchia piramidale, chi detiene il comando sa di detenere psicologicamente l’autorità e la responsabilità di tutte le unità ad egli subordinate. Ciò favorisce l’obbedienza dei militari, che hanno una precisa figura di riferimento. Quando però il comando è detenuto da più persone, maggiori sono i rischi che ciascuna di queste non si senta pienamente responsabile e quindi si tende a “scaricare” sugli altri la responsabilità di prendere decisioni. Inoltre se due comandanti avessero due punti di vista differenti ed entrassero in antagonismo tra loro, ciò genererebbe confusione tra i militari e mancanza di fiducia, con lo schieramento per l’uno o l’altro. Una chiara gerarchizzazione dei ruoli ed un clima favorevole, contribuirebbe ad abbassare la conflittualità e l’aggressività tra i dipendenti di un’unità militare. Quando ruoli ed aspettative del personale militare sono ben definiti e chiari non ci sono malintesi, a differenza della confusione di ruoli che genera “disorganizzazione” e malumore. A rendere manifesta la gerarchia militare ci sono i gradi, che vengono presentati in varie fogge sulle spalline, sull’uniforme, sul copricapo. I segni distintivi di chi occupa una posizione gerarchica elevata devono essere ben visibili da lontano, perché sia agevole individuarlo e seguirne i movimenti ed anche perché certi comportamenti di subordinazione come il “saluto” e la posizione di “attenti” siano eseguiti con adeguato anticipo. 3.8.4:La posizione dell’ “attenti”. In tutti gli Eserciti moderni, la posizione dell’ “attenti” viene eseguita con le stesse modalità: corpo dritto con gambe unite, mani distese sui fianchi delle cosce, braccia aderenti al corpo, busto eretto, capo leggermente sollevato, sguardo fiero in avanti. Essa può essere considerata come una posizione di sottomissione. La sagoma del corpo viene assottigliata, i mezzi di difesa/offesa come le braccia vengono neutralizzati, perché stretti e irrigiditi in estensione, le parti vulnerabili (viso, ventre, genitali) restano completamente indifese.28 3.8.5:Il saluto militare. Nella forma militare, il gesto più vistoso è sicuramente il saluto. Molto probabilmente, il gesto di portare la mano all’altezza delle sopracciglia deriverebbe dal gesto di togliere l’elmo o di alzare la celata quando due soldati o cavalieri dotati di armatura si incontravano. _________________________ 28 Ferrari (1990). Alzando la celata, i soldati mostravano il proprio viso all’altro interlocutore, mostrandosi inoffensivi, indifesi e benintenzionati. Il gesto è diffuso negli Eserciti di tutto il Mondo, ma con alcune varianti culturali. In Italia, ad esempio, il palmo della mano viene tenuto nascosto verso il viso, in Inghilterra invece viene girato verso l’esterno. Il messaggio che viene trasmesso con il saluto è una dichiarazione di non aggressività e/o di sottomissione. Basta pensare all’etimologia del termine italiano “ciao” che deriva dal veneziano “sc-iao” e significa “(sono vostro) schiavo”. 29 Il saluto militare è anche indicatore di gerarchia, in quanto il subordinato è tenuto a salutare per primo. Con il saluto si riduce l’imbarazzo all’incontro di un militare sconosciuto e diventa più semplice avviare con questi una comunicazione. La marzialità di questo gesto è sottolineata dalla scattosità del gesto: la mano viene portata all’altezza del sopracciglio e riportata al fianco con un gesto rapido. 3.8.6:Il “gergo” militare. Spesso i militari usano frasi e slogan ad effetto, che identificano il particolare spirito dell’istituzione a cui essi appartengono. I motti compaiono nei loro simboli e vengono scritti nelle caserme (di solito in lingua latina), vengono pronunciati durante le cerimonie ed hanno lo scopo psicologico di creare unità, identificazione tra i membri di un particolare corpo. Molti motti tendono ad esaltare le virtù e le doti che contraddistinguono i diversi corpi. _________________________ 29 AA.VV., (2007),“Manuale di Sociologia Militare con elementi di psicologia sociale”, Angeli, Milano. Ad esempio i paracadutisti utilizzano metafore che inneggiano alla folgore, i bersaglieri alla velocità, gli alpini alla sopportazione della fatica. Negli Istituti di formazione militare si ritrovano spesso per il loro carattere pedagogico. Nell’Accademia Militare di Modena, ogni anno il corso viene denominato, a rotazione: “Onore, Dignità, Fierezza, Fermezza, Lealtà, Esempio”. Sono gli stessi motti a suscitare la curiosità nei soldati per comprendere la propria identità nazionale. Sono gli stessi motti su cui ogni militare riflette agli inizi della propria carriera, quando trovandosi sradicato dall’ambiente familiare ed in una situazione psicologica di necessità, di aiuto e di collaborazione con gli altri commilitoni, alimenta la propria speranza e si fa coraggio da solo attraverso quegli slogan rimasti scolpiti nella sua memoria. Inoltre egli subirà anche la sostituzione delle proprie figure genitoriali con quelle dei superiori e dei militari anziani con maggiore esperienza. Non avendo amici, conoscenti, appoggi esterni alla caserma, il militare tende a sviluppare tutti i suoi legami sociali con gli altri suoi commilitoni. Simile al modello militare è quello offerto dall’educazione civile nei collegi anglosassoni, dove lo studente si separa dall’ambiente di crescita per entrare in un’istituzione caratterizzata da una divisa, tradizioni, gerarchia, disciplina ed in cui si sviluppa tutta la sua vita sociale. Saranno solo il tempo, l’esperienza e la maturità psicologica ad incoraggiare ogni militare nella sua scelta di “servire la Patria in armi”, offrendo uno spunto di riflessione su quello che è il ruolo delle emozioni. 3.8.7:L’ educazione alla coesione. Ogni militare sa bene che il proprio morale può incidere sulle proprie scelte ed influenzare quelle dei suoi commilitoni, che appartengono alla stessa unità (squadra, plotone, compagnia, battaglione, reggimento ecc.). La prima nozione che si trasmette ai soldati è quella dello spirito di collaborazione, unendo gli sforzi al fine di raggiungere una meta comune. La psicologia militare assegna una grande importanza all’entusiasmo e alla perseveranza con cui ogni militare s’impegna nelle attività del proprio gruppo, perché la collaborazione è questione di vita o di morte. L’affiatamento di gruppo è una priorità nonché una virtù dell’Esercito Italiano, grazie al quale si è determinato il suo successo e la sua affermazione sulla scena internazionale nelle operazioni di supporto e mantenimento della pace. Nella realtà di oggi si agisce in maniera tale che l’unità minima da spostarsi non sia mai il singolo militare, ma il gruppo così da non spezzare i legami interpersonali. La formazione di profondi legami assume un duplice aspetto: da un lato, sia in ambito addestrativo che operativo, i soldati vivono insieme giorno e notte e condividono il lavoro, i pasti, il riposo diurno e notturno, il tempo libero; dall’altro lato queste persone affrontano attività rischiose e situazioni altamente pericolose. Gli psicologi spiegano che se due persone vivono insieme un’esperienza particolarmente forte e coinvolgente, sia in senso positivo che negativo, fra di loro si forma un legame profondo. I militari, vivendo in condizioni di rischio notevoli, sentendo la responsabilità della vita di terze persone e muovendosi in situazioni stressanti, riescono a stabilire in pochissimo tempo legami fortissimi di lealtà, fiducia e collaborazione con i commilitoni. 3.8.8:Lo spirito di corpo. Lo “spirito di corpo” esprime il sentimento di fierezza nell’appartenere ad un’ unità prestigiosa, la cui storia appare ricca di gloria e di tradizioni onorevoli e di cui si diventa eredi diretti. Alpini, bersaglieri, paracadutisti percepiscono la gloria e l’onore del Corpo d’appartenenza e per questa ragione si sentono motivati a perpetuarla. Gli studenti di Oxford e Cambridge si sentono investiti di un onore particolare nel frequentare quelle prestigiose Università antiche. Alla pari, in ambito militare, più il corpo è d’èlite, più aumenta l’orgoglio di appartenervi. Lo spirito di corpo presenta caratteri distintivi come una particolare uniforme, particolari mostrine, il disporre di una insegna, l’avere un motto, un gergo, canti particolari. E’ inoltre alimentato dalla conoscenza della storia dell’unità d’appartenenza ed è anch’esso, come la coesione, direttamente proporzionale alla durezza dell’addestramento. Molti ricercatori hanno confermato che quanto maggiori sono le difficoltà (psicologiche e fisiche) che il militare deve superare per entrare in un determinato corpo, tanto maggiore è la sua autostima e la fierezza di appartenere ad un gruppo distinto, privilegiato, esclusivo. L’aspirazione a far parte di un gruppo del genere gioca un ruolo decisivo nel motivare un giovane ad arruolarsi e a superare i periodi d’addestramento, caratterizzati da fatica e difficoltà.30 _________________________ 30 “Psicologia militare. Il mestiere delle armi”in “Psicologia Contemporanea” di Marco Costa, ed. Franco Angeli, 2002. 3.8.9:Il rapporto con i media. Nell’era in cui c’è una decadenza di valori nella società, i militari italiani si sentono chiamati a mantenere ancora vivi i sani valori della propria Patria di appartenenza, provando emozioni forti con la gestione delle crisi e con l’esperienza del peace-keeping. Sanno trasmettere tante emozioni soprattutto attraverso i media, i quali però non sempre offrono un’immagine autentica e veritiera dell’operato di uomini e donne in divisa. I soldati italiani non amano la manipolazione della verità ed il proprio morale, la propria coesione e spirito di corpo li aiuta a portare sempre alla luce la verità in cui loro stessi sono diretti protagonisti e testimoni. Lo spirito di corpo italiano è tale da far passare l’emozione attraverso un bagno di sensazioni che abbracciano l’audience quando i media spettacolarizzano gli eventi che vedono la partecipazione delle nostre Forze Armate. I soldati italiani non amano sentirsi delle stars del cinema quando nelle operazioni in cui partecipano notano la presenza di una messinscena mediatica di grande spettacolo. Il loro spirito di corpo li fa sentire delle persone normali, semplici e con la voglia di fare del bene per gli altri. Non si sentono affatto dei supereroi come spesso vengono raccontati e descritti da TV, radio, giornali ect. Da uno studio condotto dall’ Osservatorio Internazionale sulle tendenze sociali, è emerso che i recenti mutamenti sociali hanno portato la nostra società a sentire maggiormente il bisogno di coltivare sogni, ideali, morali, eroi, simboli, riti. Inoltre è emerso che la nostra società ha necessità di accadimenti contraddittori e di psicodrammi che possano offrire empatia e momenti di fusione. I militari vengono spesso percepiti dall’opinione pubblica in maniere differenti e contrastanti e la sfida di tutti i militari è quella di difendere la propria identità: quella nuova (con gli elementi dell’intercultura) e quella vecchia (custode di antiche tradizioni del nostro Paese). Studiosi vari sostengono che quando si instaura un rapporto di fiducia tra Forze Armate e media si ottiene un’informazione operativa corretta che viene solitamente proposta in questo modo: sottolineando quegli eventi che maggiormente avvicinano la Forza Armata all’opinione pubblica, dosando le informazioni tecniche espresse da autorità con opinioni positive a conferma dell’efficacia del servizio svolto, miscelando il tutto con le emozioni suscitate dal racconto di episodi di particolare valore e che sono legati idealmente a valori ritenuti universali. Un esempio di successo di questo modello di informazione operativa è stato offerto dai corrispondenti di guerra nel corso della missione italiana in Kosovo, particolarmente apprezzata dall’opinione pubblica. I giornalisti che avevano vissuto fianco a fianco con i nostri militari e che avevano condiviso con questi ultimi fatiche, gioie e rischi, hanno offerto ai telespettatori una chiara trasmissione delle emozioni che essi stessi vivevano in prima persona con i militari.31 _________________________ 31 “Il ruolo delle emozioni”, Rivista Militare n.5, 2000, pp. 108-123. CAPITOLO 4 LA FAMIGLIA MILITARE 4.1:Famiglie e militari o famiglie militari? Il fenomeno sociale rappresentato da famiglia e militari porta con sé un insieme specifico di problematiche. La famiglia e i militari sono due istituzioni sociali fondamentali in stretta relazione tra loro. In una coerente visione di tipo funzionalista, il binomio “famiglia-militari” si esplica tra il luogo della socializzazione primaria, la famiglia appunto, e il luogo in cui vengono assolti i compiti preposti alla difesa degli interessi della comunità nazionale, la società. La famiglia, luogo della riproduzione sociale, fornisce le risorse umane adeguatamente socializzate che l’istituzione militare impiega a vantaggio della comunità. La storia umana insegna che molte società hanno visto l’integrazione tra famiglia e mondo militare, assegnando alle donne i ruoli di riproduzione e cura della prole e agli uomini i ruoli di sostentamento materiale e di difesa attraverso l’attività guerriera. Da una recente ricerca è emerso che nella tradizione culturale occidentale, Dio-Patria-Famiglia è diventata la triade di valori a cui la società fa riferimento. Inoltre la trasformazione sociale ha condotto la famiglia stessa e l’istituzione militare a processi di differenziazione e specializzazione progressiva. Secondo Charles Moskos (1977), la famiglia militare tradizionale si adatta alle Forze Armate definite come istituzionali, all’interno di uno schema in cui i coniugi non militari e le famiglie sono parte integrante della comunità stessa. In questo caso la vita privata del militare non è separata da quella professionale.32 Un modello evidente è offerto dalle basi americane che, sia in patria che all’estero, forniscono una rappresentazione dell’intento di realizzare l’integrazione tra famiglia e mondo militare. Secondo Moskos, le Forze Armate moderne tendono ad assumere connotati occupazionali sempre più rilevanti. Secondo Mady Segal, la famiglia e le Forze Armate sono due “greedy institutions” (1986) ossia due istituzioni voraci.33 Lewis Coser (1974) riteneva che l’istituzione vorace è quella che implica dedizione totale come nel caso di sacerdoti o membri appartenenti a sette. La famiglia e l’istituzione militare esercitano anch’esse una vocazione totalizzante sui propri membri, pretendendone una speciale e totale dedizione, che è funzionale a ciascuna perché fa sì che i membri si dedichino ad essa senza risparmio di energie. Un tempo, la voracità delle Forze Armate risultava dominante e superava anche quella della famiglia, perché il dovere verso la sfera militare era sentito e riconosciuto anche dolorosamente dalla famiglia come superiore ai doveri dei propri membri verso di essa. Attualmente con la progressiva occupazionalizzazione della professione militare, l’individuo che appartiene ad entrambe le istituzioni si sente “preso in mezzo” e tirato da entrambe le parti da una forza legittima ed uguale. Il militare si sente quindi in una sorta di lealtà duale, che facilmente produce conflitto tra il ruolo professionale e quello familiare. Proprio lo scegliere, prioritariamente tra le due alternative rappresentate dalle due istituzioni, porta spesso il militare ad una sorta di crisi psicologicamente gravosa. _________________________ 32 Charles C. Moskos jr., “From Institution to Occupation. Trends in Military Organization”, in “Armed Forces and Society”, 1977. 33 Mady W. Segal, “The Military and the Family as Greedy Institutions” in «Armed Forces and Society», 1986. D’altronde la natura primaria della famiglia implica che la condizione di uno dei membri sia largamente condivisa e sentita come propria da ciascun altro membro della famiglia stessa, per cui è più corretto parlare di famiglia militare piuttosto che di unità familiare in cui uno o più membri sono militari di professione. La sociologia introduce delle distinzioni nella famiglia in cui vi sia la presenza di almeno un membro che appartenga alle Forze Armate: la famiglia di origine in cui vi sono dei figli che svolgono il servizio militare e la famiglia coniugale34 in cui almeno uno o entrambi i coniugi sono militari di professione, Ufficiale, Sottufficiale o graduato di truppa che sia. E’ proprio su questi due modelli di famiglia, in particolare sul secondo, su cui si concentreranno i nostri studi. Lo stereotipo tipico di famiglia militare indica una famiglia composta da partner militare che è il marito e il capofamiglia, ma sappiamo bene che ci sono anche casi in cui il partner militare può essere la moglie o anche che entrambi i coniugi siano militari. La condizione coniugale formalmente sancita da un matrimonio implica il dovere di “dedizione totale”35 ai propri membri come il giuramento lo impone ai militari in termini di lealtà e fedeltà verso la Nazione. _________________________ 34 L’essere umano non nasce isolatamente, ma per il concorso di due persone di sesso diverso che si uniscono tra loro e generano una creatura. In tale comunione biologica e umana, la prole diventa quindi un “essere vivente” in comunità come ci ricorda Aristotele, il quale sostiene che la comunità (koinonìa) fondata secondo natura per i bisogni quotidiani è la famiglia. Inoltre il pensatore greco sostiene che la prima comunità risultante da più famiglie, per un vantaggio che supera quello quotidiano è il villaggio. Il villaggio è quindi di per sé una deviazione della famiglia (Aristotele, “POLITICA”, libro I). 35 Per Kant e Hegel il matrimonio è un vincolo che deve durare tutta la vita. Kant definisce il matrimonio come l’ “unione di due persone di sesso differente in ordine al possesso reciproco delle loro facoltà sessuali per la durata di tutta la vita”. Per Kant non bastava indicare nel matrimonio il solo fine della procreazione. Hegel sostiene che il matrimonio è indissolubile, anche se esso contenendo la componente umana volubile del sentimento, non può essere assolutamente sicuro ed è quindi passibile di solubilità. Hegel aggiunge però che è compito della legislazione positiva rendere estremamente difficile a non agevolare tale possibilità. La sociologia studia però anche l’altro tipo di famiglia, rilevante per l’Istituzione militare, che è la famiglia d’origine in cui giovani militari di professione che non hanno ancora formato una famiglia coniugale, rimangono legati in qualche modo al gruppo primario di origine, vengono percepiti come membri effettivi della famiglia formata dai loro genitori e da eventuali fratelli e sorelle presenti. La ricerca ha però scarsamente considerato questo tipo di famiglia concentrandosi maggiormente sul modello di famiglia coniugale. Nei Paesi Occidentali, ci sono alcuni ricercatori che sostengono che per la Forze Armate la famiglia d’origine rivesta un ruolo importante, poiché essa rappresenta quel luogo in cui la propensione all’arruolamento può essere facilitata o anche inibita. In quanto luogo di socializzazione primaria, la famiglia d’origine trasmette valori e norme generali ai suoi giovani membri; la piccola società familiare organizza quindi la propria esistenza impostando il presente ed il futuro dei propri membri ai quali pone richieste e propone obiettivi. La scelta della professione militare può fare o non fare parte di questi obiettivi e la famiglia può presentarsi favorevole o dissentire di fronte a tale scelta. Non rari sono i casi in cui i genitori agevolino o rendano impraticabile tale scelta per i propri figli, creando così delle situazioni conflittuali. Secondo alcuni studiosi americani, i genitori spesso ostacolano la scelta militare dei propri figli per proteggerli e tenerli lontani dalle tentazioni di carriere professionali che celano pericoli non più considerati accettabili né legittimi. Basti pensare al dolore dei familiari di tutti quei militari che negli ultimi tempi hanno perso la vita in Iraq ed Afghanistan. La ricerca sociale di questi studiosi sui “genitori dei militari” sta diventando rilevante negli Stati Uniti ed in Europa.36 Altre ricerche già in corso, in Belgio ed in Olanda, hanno segnalato che la percezione dei genitori di fronte alla condizione di militare di un proprio figlio o figlia è diversa da quella mostrata dai partner. Inoltre è dimostrato che esiste una differenza tra le reazioni dei padri e quella delle madri: queste ultime sono più apprensive e sono più inclini a reagire negativamente, attivandosi per ostacolare l’arruolamento dei propri figli più di quanto non facciano i padri, che al contrario si mostrano più sensibili di fronte all’orgoglio per l’attività dei figli e al senso dell’onore dettato dal servizio per il proprio Paese. Una curiosità rilevante sorge dal fatto che i genitori dei militari sono più attivi dei partners nella protesta pubblica e sui media e sono quindi in grado di influenzare la risposta sociale di fronte alle campagne di reclutamento. Uno studioso israeliano, Udi Lebel, evidenzia come nelle famiglie israeliane colpite dalla morte di un figlio militare si siano messi in moto meccanismi di politicizzazione inesistenti prima, volti a manifestare il rifiuto per la retorica del sacrificio e dell’onore derivante dall’essere genitori di eroi.37 Per Renè Moelker, studiare i comportamenti dei genitori di militari significa studiare il grado di legittimazione che una società riconosce alle missioni svolte dalle Forze Armate.38 Ciò che è certo è che tutte le famiglie di militari, quella d’origine o coniugale che sia, devono affrontare livelli elevati di stress molto più elevati di quelli di famiglie di non militari. ________________________ 36 L. Coser, “Greedy Institutions: Patterns of Undivided Commitments” in «The Free Pass», New York, 1974. 37 J.V. Bartone & P.T. Bartone, “Missions Alike and Unlike. Military Families in War and Peace” , «IX Convegno ERGOMAS», Parigi, 2004. 38 R. Moelker and I. Van der Kloet, “Military Families and the Armed Forces: a Two.sided Affair?”, 2003. Per queste famiglie, sarebbe opportuno considerare particolari misure di sostegno da costituire e fornire. In Italia si stanno studiando delle misure di sostegno dopo le recenti drammatiche vicende che hanno colpito molte famiglie di militari italiani caduti in missione all’estero. 4.2:Stress, impiego e forme di sostegno della famiglia militare. Tra lo stress da affrontare da parte di una famiglia militare ci sono le missioni all’estero che da alcuni anni sono diventate routine ed i trasferimenti, ai quali la giovane famiglia militare è soggetta con maggiore frequenza nei periodi iniziali della carriera. Quando ci sono figli piccoli o in età scolare, la perdita dei sostegni che circondano la famiglia deve venire ripetutamente colmata facendo ricorso a strutture esterne che non ovunque sono agevoli da reperire. Spesso, nella realtà, accade che le famiglie militari sono unità dove entrambi i partner lavorano, cosa che può costituire un’ulteriore difficoltà in vista di un trasferimento.39 Stress e difficoltà non dovrebbero essere considerati come un problema a senso unico, ovvero come un problema che riguarda le sole famiglie: anzi il problema è a doppio senso, perché anche l’Istituzione militare è implicata nelle situazioni solo apparentemente private del proprio personale. _________________________ 39 Paolo Coelho scrive: “Quando arriva l’ordine di trasferimento, il guerriero guarda a tutti i suoi amici che si è fatto lungo il suo cammino. Il suo cuore si rattrista, ma egli sa che la sua spada è sacra e che deve obbedire agli ordini di colui al quale ha offerto la sua lotta. Allora il guerriero della luce ringrazia i compagni di viaggio, tira un profondo respiro e va avanti, portando con sé i ricordi di un viaggio indimenticabile” (“Manuale del Guerriero della Luce”), Bompiani, 1997. L’esperienza ha offerto numerosi esempi di militari in missione, che in ansia per la propria situazione familiare a casa, sono meno affidabili e meno efficienti della prestazione professionale; mentre sarebbe altrettanto evidente che essi, e quindi l’Istituzione stessa, trarrebbero sicuro vantaggio dal sapere che le famiglie non sono abbandonate a se stesse. Si può ritenere che le famiglie adeguatamente sostenute sono in grado di risolvere i propri problemi senza gravare psicologicamente sul proprio caro lontano, riducendone la preoccupazione di quest’ultimo. De Soir propone il modello a “sette stadi”, dove l’esperienza di stress percepita dalle famiglie prima, durante e dopo la missione viene divisa in sette stadi: la protesta derivante dallo shock iniziale, il disimpegno alienato, la disorganizzazione emotiva, la ripresa e la stabilizzazione, l’anticipazione del ritorno, riunione e reintegrazione, nuova stabilizzazione. Di fronte alle varie problematiche da stress da affrontare si propongono quattro strategie di sostegno. La prima consiste nel basarsi su relazioni individuali ed indipendenti che i membri della famiglia possiedono e a cui fanno ricorso autonomamente (relazioni basate sullo scambio come il ricorso a prestazioni a pagamento di una baby sitter). La seconda si basa su un modello comunitario e dipendente dove l’Istituzione militare offre supporti interni come forme istituzionali di aiuto alle famiglie del proprio personale militare. La terza strategia è mista e combina un orientamento individualistico con la dimensione dell’indipendenza e vi si ricorre a seconda del tipo di problema (medici, psicologi, assistenti sociali, legali ect.). La quarta strategia vede invece la coesistenza di un orientamento indipendente e comunitario che da vita a reti sociali di sostegno che sono basate sul principio della reciprocità generalizzata e sono esterne all’Istituzione militare. Ciascuna di queste strategie ha una propria efficienza ed efficacia che variano a seconda dei problemi da affrontare da parte dei fruitori. Una ricerca condotta su un campione di consorti e partner di militari di due diversi reparti operativi dell’Esercito Italiano, il 3° Reggimento Alpini della “Brigata Taurinense” di Pinerolo e la Brigata Meccanizzata “Sassari”, ha dimostrato la validità delle differenti strategie sopra descritte con alcune specificità. Diversi, infatti, sono stati i modi di affrontare lo stress e le problematicità imputabili alla specificità dell’attività militare del partner. Molte differenze si sono ottenute a seconda della cultura generale in cui la famiglia si inserisce e a seconda di variabili individuali sociali come il capitale culturale, economico e sociale di una singola famiglia. Questa miscela di risorse ha permesso di affrontare diversamente, da parte di ciascuna famiglia studiata dai ricercatori, la criticità della professione militare. Secondo gli studiosi, la cultura di una società definisce i ruoli e le funzioni dell’istituzione familiare come delle altre Istituzioni, mettendo in risalto le molteplici modalità di relazione Forze Armate-Società. La cultura, inoltre, è stato studiato che influenza le modalità delle politiche pubbliche e costituisce una combinazione di pubblico e privato, di sostegno pubblico e istituzionale da un lato e di iniziativa individuale dall’altro. Ogni società ed ogni Forza Armata si comportano diversamente nei confronti della famiglia con membri militari, le quali a loro volta proporranno sempre problemi diversi da affrontare. Le politiche sociali possono a loro volta seguire due modelli di soluzione ai vari problemi: il primo modello è di tipo social-democratico, in cui lo Stato assicura dei servizi di elevata qualità ed è diffuso in tutta l’Europa Occidentale; il secondo modello è quello liberale basato sul mercato e sulla netta prevalenza dell’iniziativa privata. Quest’ultimo è molto diffuso negli Stati Uniti. Laddove prevale il secondo modello, sopra descritto, ci saranno singoli cittadini che saranno i diretti responsabili delle proprie esigenze di cura e previdenza, per cui questo modello evidenzia un orientamento individualistico. Laddove invece i cittadini sono orientati all’aspettativa dell’intervento pubblico prevarrà un orientamento universalistico. Nel caso degli Stati Uniti, la ricerca ha rilevato che nel modello privatistico, l’iniziativa privata promuove le organizzazioni di lavoro come le imprese e le Forze Armate sono spinte ad assicurare forme di “welfare privato” ai propri membri. Il caso delle Forze Armate statunitensi rappresenta quindi un buon sistema di sostegno istituzionale «interno» per i militari e le loro famiglie. Diversamente, dove c’è un sistema universalistico pubblico di “welfare”, prevale la concezione di concentrare nelle mani dello Stato il maggiore onere per la cura e l’assistenza sociale. In quest’ottica si ritiene che lo Stato non valuti accuratamente le specificità e le diversità delle condizioni esistenziali del proprio personale dipendente, scaricando sulle singole Istituzioni la pressione di farsene carico. Inoltre, un’altra dimensione da considerare per la ricerca sociale è il sistema di valori diffuso e riconosciuto in una collettività oltre a quello di considerare la famiglia con il proprio ruolo di Istituzione sociale. In questo ambito, sembra che la solidarietà familiare cambi a seconda della definizione dei ruoli rispetto al genere ed in virtù della forza dei legami familiari e delle reti parentali. In quei contesti socio-culturali in cui i legami parentali sono forti e le unità familiari sono estese, la solidarietà è attiva e può essere un vantaggio per la famiglia militare in quanto sa di trovare in elementi esterni alla famiglia una risorsa di sostegno in caso di bisogno. Nei contesti socio-culturali in cui i legami parentali sono meno forti a causa di orientamenti individualistici e i gruppi familiari sono ridotti, le reti parentali si presentano deboli ad offrire solidarietà e quindi la famiglia militare potrebbe rischiare di trovarsi in condizioni di isolamento e solitudine in caso di bisogno. Le modalità di sostegno sono quindi percepite diversamente a seconda del contesto socio-culturale e socio-istituzionale. Nel nostro Paese, sono ancora in corso indagini che possano evidenziare domande da porre all’Istituzione militare nella speranza di risposte certe, le quali possano soddisfare le esigenze di sostegno di tante famiglie, diverse tra loro, nelle problematicità offerte dalla condizione dello status di militare rivestito da un proprio membro. 4.3:Problematiche e richieste delle famiglie militari in Italia. Ogni famiglia militare ha una diversa composizione biografica-temporale ed una differente quantità-qualità di risorse sociali, culturali e finanziarie di cui può disporre. Agli studi della ricerca sociologica vengono sottoposti i periodi di invio in missione di un partner militare professionista e di eventuali sofferenze provocate alla piccola comunità familiare conseguentemente al distacco. In alcuni casi la privazione viene interpretata dalla famiglia militare che vive il distacco di un proprio membro impegnato in missione all’estero come un’incomprensione da parte della società circostante di fronte alle difficoltà di avere un marito, una moglie, un figlio o una figlia in Iraq, Afghanistan, Kosovo, Bosnia ect. Spesso la famiglia (d’origine o coniugale che sia) percepisce un’incomprensione esterna molto grande rispetto a chi non vive esperienze analoghe e quasi si sente offesa, quando gli altri tentano di incoraggiarla dicendo che partecipare a missioni comporti un guadagno elevato, senza rendersi conto del prezzo della vita in gioco. Spesso, secondo i sociologi, la professione militare è molto difficile da spiegare ai “civili” e ciò produce un senso di diversità anche nelle mogli o mariti di militari. Inoltre, le attività militari sono un discorso pubblico e le missioni e le loro ragioni sono commentate dai media. L’opinione pubblica si sente quindi chiamata in causa ad esprimere un parere favorevole o contrario alle missioni stesse. Molte mogli di militari (impegnati in missione) intervistate raccontano di sentirsi spesso lasciate sole dalla società, che ha idee spesso sbagliate sulle operazioni militari e sulle Forze Armate, sul lavoro dei militari e sulle ragioni delle missioni e ciò produce mancanza di solidarietà con chi è a casa ad aspettare. In altri casi, la privazione viene intesa come un’ insufficiente attenzione dell’Istituzione militare alle esigenze familiari del personale inviato in missione. Spesso, una famiglia non problematica ed adeguatamente assistita a casa costituisce un elemento di serenità e di maggiore efficienza per il personale in attività, proprio perché le componenti non militari della famiglia militare cercano di non gravare sulla condizione psicologica di chi comunque non può sottrarsi agli obblighi professionali. Mogli e compagne di Ufficiali, Sottufficiali e Graduati vari hanno condiviso con i ricercatori il problema dello shock iniziale del distacco, che va attenuandosi con il ripetersi delle esperienze, ma che può causare la progressiva insopportabilità per la sua reiterazione. La capacità di recupero di una routine in assenza di partner è segnata da sostegni su cui la famiglia può contare, perché l’inadeguatezza o l’assenza di questi difficilmente potrebbe essere compensata da particolari doti di resistenza ed adattamento che la piccola unità familiare mostra di possedere in alcuni casi. Poi, per tutti, il problema del distacco è collegato analogamente al problema del ritorno, alla ripresa di una routine differente che richiede continui sforzi di adattamento e riadattamento.40 Le ricerche dimostrano che l’aspettativa di ricevere soluzioni possibili, se non trovate dalla cerchia parentale, dall’Istituzione militare da parte delle famiglie è tantissima. Solo in pochi casi, le famiglie hanno saputo indicare di quali tipi di sostegno avrebbero bisogno e ciò mostra come il problema sia percepito ancora come un problema privato più che pubblico, difficilmente esprimibile concretamente al soggetto istituzionale definito. _________________________ 40 Hill R. , “Families under stress”, New York, Harper and Row, 1949. Alcuni ricercatori hanno proposto quattro differenti soluzioni per questo problema, presentando quattro sistemi di sostegno: 1) un’organizzazione istituzionale “interna” e gestita dal reparto d’appartenenza con assistenza medica, socio-psicologica, assistenziale, legale ect.; 2) un’associazione volontaria, “esterna” all’Istituzione e senza legami con l’Istituzione militare; 3) un’associazione volontaria riconosciuta dal reparto d’appartenenza presso cui opera, utilizzando mezzi e spazi “interni”; 4) una sorta di sportello informativo dedicato alle famiglie dei militari, collocato a livello Brigata o Reggimento, con personale militare specializzato nel fornire informazioni ed indicazioni. La prima soluzione è stata considerata troppo “invasiva” della vita privata, La seconda soluzione sembra essere valutata positivamente in astratto perché incapace di sostenersi senza l’impegno pubblico. La terza soluzione presenta gli stessi problemi di quella precedente. La quarta soluzione, invece, appare quella più gettonata, trovando in questa un sistema misto, semi-istituzionale e burocratico. CAPITOLO 5 DINAMICHE EMOZIONALI NELLO STUDIO E NEL MONITORAGGIO DI FENOMENI DI DISADATTAMENTO NEI MILITARI: NONNISMO, SUICIDIO, DISTURBO POST-TRAUMATICO DA STRESS, DISTURBO ACUTO DA STRESS, DISTURBI DELL’ADATTAMENTO 5.1:Nonnismo. Nell’oleografia tradizionale dello stereotipo militare, il nonnismo risulta essere un motivo abbastanza frequente. Questo termine identifica atteggiamenti, tendenze ed abiti comportamentali di stampo normalmente collettivo. Con esso si vogliono epigrafare comportamenti vessatori al limite e spesso anche oltre le norme del codice. Secondo alcuni studiosi, il nonnismo evoca l’immagine affettiva e paternalistica del nonno che è sempre sentenzioso e ripetitivo in alcune manifestazioni. Per questi studiosi, il nonnismo può assumere connotati fisiologici o patologici. Dal punto di vita fisiologico, è dimostrato che in qualsiasi ambiente oltre alla Forza Armata come Università, collegio, seminario, scoutismo, vita di gruppo, c’è sempre il più anziano o più esperto che esercita un’azione di svezzamento, più o meno energica, nei confronti del novizio. Anche nella famiglia è naturale la tendenza del più anziano ad effettuare la propria autorità o preminenza, giungendo a volte a vere e proprie sopraffazioni. Siamo quindi nel campo degli istinti naturali, che seppur corretti dall’educazione, attuano la dinamica dell’evoluzione. In questo caso, non si vuole nobilitare il nonnismo ma lo si afferma come pura manifestazione di filogenesi. E’ esso un fenomeno che rientra nella fisiologia di quest’ultima. Le sue degenerazioni però danno vita alla patologie come ad esempio le frustrazioni del singolo militare, le sue insicurezze (spesso provenienti da protettivo mammismo), protervietà caratteriali, impulsi negativi che, se non opportunamente corretti in famiglia o a scuola, esplodono non appena si creano le condizioni ambientali più favorevoli. Una di queste situazioni ambientali è proprio quella imposta da una convivenza con altri individui in un rapporto di disuguaglianza prodotta da gerarchia precostituita o da preminenza accettata o imposta per diritto codificato da norma o consuetudine. Questo fenomeno degenerativo, visto in chiave patologica, era molto presente fino al periodo della leva in Italia. Spesso però era anche mitizzato dai media di allora che offrivano ai cittadini italiani un’immagine distorta, che si sviluppava in un ambiente in cui predominavano lassismo e demotivazione: la caserma. Bisogna anche puntualizzare che spesso molti incidenti mortali, accaduti in quegli anni, sono avvenuti fuori servizio e venivano raccontati come incidenti avvenuti in servizio, contribuendo ad alimentare l’idea di un mostro quale potesse apparire allora il servizio militare. Chiaramente il tutto non contribuiva ad alimentare l’idea di sicurezza del Paese, ragione nobile per cui è istituito l’Esercito, né aiutava i genitori dei giovani militari in servizio di leva a dormire sonni tranquilli. Oggi, con il nuovo Esercito, questo fenomeno non si manifesta e soprattutto esso non è affatto patrimonio privato appartenente al mondo in uniforme. Durante la leva, il nonnismo si manifestava in forma patologica tra quei giovani che, vivevano la propria prima esperienza lontani da casa incontrando un ambiente, comportamenti e abiti formali drasticamente diversi da quelli cui erano consueti. A maggior ragione, questo fenomeno si sviluppava patologicamente soprattutto in quegli ambienti in cui, senza motivazione, si svolgeva un servizio per il bene della comunità. Spesso i militari erano dislocati presso località distanti dal proprio luogo di provenienza e movimenti di pacifisti di quell’epoca contestavano il servizio militare in quanto generatore di violenza, tollerata però dalla classe politica di quel tempo purché non creasse troppo disturbo. Insomma, fino a quindici anni fa circa, il servizio militare non veniva svolto in un clima di serenità e di letizia, da chi era chiamato, obbligatoriamente, a servire la Patria in armi. In quegli anni, erano proprio i mass media, la scuola, la famiglia a creare maggiore demotivazione in chi era chiamato a compiere il “sacro dovere” del servizio militare, invitando al disimpegno o almeno a farsi furbi. Il nonnismo si manifestava soprattutto in ambienti includenti graduati vocianti, un linguaggio poco elegante, il fastidio di dover vivere a stretto contatto di gomito e traspirazione, spesso in infrastrutture vetuste che nella parsimonia dei loro servizi igienici attestavano la loro sfasatura rispetto allo standard medio di vita, che tanto differenziava le generazioni di quegli anni da quelle per cui le stesse infrastrutture erano state costruite. Nell’etica dei valori dell’Esercito Italiano, ogni atto di vessazione compiuta da qualunque militare nei confronti di alti commilitoni o subordinati è punito secondo il regolamento di disciplina militare, che si propone strumento efficiente per il diritto al rispetto e alla salvaguardia della dignità di ogni militare. In ogni caso, degenerazioni patologiche di questo fenomeno potrebbero sempre essere possibili in qualsiasi momento. Tutto dipende da quanto ci si sente militari nel rispetto e nella pienezza dei reali concetti di militarità e professionalità. A tal proposito, l’Esercito attuale promuove i valori tra i militari, disciplinandoli nel comprendere il senso della difesa dell’essere umano e del territorio, secondo il principio di un dovere sacro e nobile e secondo il principio dell’ingerenza umanitaria; ritenendo a sua volta il nonnismo come un fenomeno ormai superato ed appartenente alla subcultura militare del passato. 5.2:Suicidio. Il progresso e le modificazioni economiche, sociali e ambientali degli ultimi anni hanno esteso il raggio d’azione del nostro Esercito ad ampi settori della vita pubblica. L’Esercito è andato sempre più configurandosi come nuova forza di utilità sociale. Il nuovo militare di oggi si è quindi disciplinato a nuove finalità di propositi. Potrebbe capitare però che, come è già accaduto in passato, il militare viva in maniera negativa la propria “condizione”, giungendo ad una reazione psicologica negativa di fronte a varie situazioni personali da affrontare. Tale reazione negativa potrebbe tramutarsi nell’insano gesto del suicidio.41 L'esercito italiano è sempre stato un problema sociale e politico e i sociologi lo hanno spesso studiato nel trascurabile particolare consistente nel dare e subire violenza, offrire la sistematica risocializzazione e fagocitazione del soldato nell’ottica dell'universo «concentrazionario» della caserma. Per i medici militari è sempre esistita la tendenza a «coprire» i tentativi di suicidio, che per un soldato possono avere conseguenze gravi. D'altra parte bisogna tener conto anche di un altro fattore: la vita stessa di caserma lascia pochissimo tempo e spazio privati all'individuo e diminuisce probabilmente i casi di morte per suicidio mentre gonfia la percentuale dei tentati suicidi: in caserma è molto più difficile riuscire ad uccidersi che nella vita civile. Ben più che per i suicidi e tentati suicidi civili, i suicidi dei militari rappresentano solo la parte visibile di un fenomeno molto più ampio che la mancanza di dati non permette di definire meglio. Secondo l'analisi di Durkheim e quella di derivazione freudiana il controllo sociale che indica la forza del “sistema di relazioni”, di cui l'individuo è parte, condiziona la direzione che prenderà l'aggressività dovuta alle frustrazioni. _________________________ 41 Nell’antica Roma, Seneca esaltava il suicidio come mezzo per non condividere l’ingiustizia pubblica e privata, Cicerone esaltava il suicidio per onore, Lucrezio, Virgilio e Ovidio esaltavano i suicidi per amore con gli stessi consensi con cui si esaltava il suicidio patriottico. Presso i Romani, il suicidio era però condannato solo quando esponeva la famiglia dell’autore a gravi disagi sociali ed economici. Il suicido di militari e schiavi era quindi considerato abominevole perché la loro vita apparteneva allo Stato e se infatti, dopo il fallito tentativo di suicidio questi scampavano alla morte, venivano condannati a pene pecuniarie e detentive severissime. Per queste categorie sociali, il suicidio era messo solo in caso di malattie gravi ed invalidanti. Con l’avvento del Cristianesimo in seguito, il suicidio sarà ritenuto omicidio di se stessi e quindi sarà ritenuto un assassinio. Chi si percepisce eterodiretto, e perciò «controllato» da forze esterne sulle quali non può influire, tenderà a vedere in fattori esterni la responsabilità di ciò che gli accade; il controllo sociale esterno tende dunque a legittimare la direzione dell'aggressività appunto verso quegli ostacoli esterni che sembrano impedire la gratificazione; al contrario chi sente di avere il potere di influire sulla gratificazione dei propri desideri si giudicherà responsabile delle frustrazioni che subisce (controllo interno), legittimando così l'introiezione dell'aggressività. Durante il servizio di leva in Italia, l'esercito non aveva una sua specifica identità sociale: tutte le sue caratteristiche più macroscopiche (autoritarismo, tradizionalismo, rigidissima stratificazione, ect.) coincidevano con quelle delle altre e organizzazioni. Lo status transitorio del soldato di leva da un lato e la non-specificità del sistema sociale militare dall'altro impediva di cogliere l'esistenza eventuale di relazioni significative tra suicidi e società militare paragonando l'andamento del fenomeno ad analoghi processi di gruppi omogenei della società civile. Secondo le statistiche dei suicidi tra la popolazione maschia civile italiana durante il periodo delle due guerre si ottiene che l'indice del suicidio maschile scende in corrispondenza degli eventi bellici, mentre quello del suicidio militare sale. Il suicidio maschile civile subisce in quel tempo l'influenza della maggiore integrazione sociale e dello sfogo legittimato di aggressività tipici dei periodi di guerra, mentre il suicidio militare aumenta per il maggior numero di uomini alle armi. Il maggior numero dei suicidi militari è sempre avvenuto in caserma, vista come istituzione totale. In “Le Suicide”, Durkheim aveva notato il fondamentale fenomeno della localizzazione geografica del suicidio, fenomeno particolarmente evidente in Italia, dove in linea di massima i tassi regionali sono notevoli al Nord e quasi irrilevanti al Sud. Secondo una ricerca su dati ufficiali del Regio Esercito nel periodo 1921-1934, si ottiene che regioni tendenzialmente suicidogene (Lombardia, Friuli, Piemonte, Emilia Romagna, Toscana) presentano un tasso di suicidio maschile civile superiore al tasso di suicidio militare. L’effetto opposto si presenta in alcune regioni del Sud (Campania, Calabria, Puglia). Le regioni di solito con pochi suicidi civili hanno proporzionalmente, e talvolta in assoluto, un numero altissimo di suicidi di militari. Secondo le stime statistiche del sopraccitato periodo, il maschio del Sud si uccide pochissimo da civile e più da militare, mentre in molte regioni del Nord e del Centro la società militare abbassa notevolmente il forte tasso di suicidi maschili. L’inversione della tendenza, di quel periodo, verrebbe spiegata, da alcuni studiosi, per mancanza di adattamento dei giovani militari settentrionali ai costumi delle Regioni meridionali d’Italia, mentre i ragazzi del Sud trasferiti al Nord si dimostravano più forti ad adattarsi, anche se con tante difficoltà, alla vita del Settentrione. Questa tendenza di facilità di adattamento ai costumi delle regioni del Nord è una nota che si ritrova nel processo di “meridionalizzazione” dell’Esercito. Durkheim, studiando il suicidio militare nel nostro Paese, osserva che i soldati dispiegati in Abruzzo o in Puglia hanno forti tassi di suicidio (37 e 40 per 100.000 militari), mentre le stesse regioni hanno pochissimi suicidi civili. Ma ciò non dimostra nulla: la Puglia e l'Abruzzo hanno piccoli contingenti di soldati di stanza, circa 6.000 nel periodo 1921-25, e bastano due suicidi per portare il tasso alle stelle. Non si può basare nulla su un numero così esiguo di casi e di militari. Del resto, per verifica, abbiamo tentato di correlare i suicidi maschili civili con i suicidi militari per regione di stanza; naturalmente non ne è emerso nulla di significativo. L'ipotesi dell'emigrazione che provoca il disgregamento sociale delle zone-serbatoio, renderebbe particolarmente sensibili al suicidio i maschi non nati in quella regione e che vestono l’uniforme. Durante le due guerre mondiali, i giovani del Veneto (comprovata regione di emigranti) appaiono insensibili alla società militare per quanta riguarda il suicido, mentre per regioni almeno ufficialmente poco toccate dal fenomeno migratorio l'indice del suicidio militare impazzisce (Sicilia e Sardegna). Secondo altri studiosi, chi risulta nato in una regione può benissimo essere vissuto in realtà in un'altra più suicidogena, e magari nelle tipiche strutture sociali disgregate che accolgono l'emigrante. Non per nulla le regioni con il maggior divario a favore del suicidio militare sono anche regioni di forte emigrazione interna. Insomma lo sconcertante tasso di suicidio militare nell'Italia meridionale e insulare di quegli anni sarebbe in buona parte dovuto alle prime o seconde generazioni di emigranti, i cui maschi, spesso socialmente e psicologicamente anomizzati, erano spesso portati alla crisi dai meccanismi assimilatori e di controllo dell'esercito. Durkheim spiegherà come nel suicidio altruistico (antitesi del suicidio egoistico) si configuri anche il suicidio militare. Egli riterrà che il principio della condotta del soldato è al di fuori di lui perché “egli è completamente inserito in una struttura sociale primitiva che inquadra con forza l'individuo e gli impedisce di muoversi in modo autonomo”. II suicidio altruista del soldato è il risultato di questo eccessivo annullamento nel gruppo, di questa eccessiva spersonalizzazione. Durkheim riterrà il suicidio egoistico dovuto ad una individualizzazione eccessiva, mentre il suicidio altruistico si ha come causa di una individualizzazione troppo approssimativa, impostata su eccessivo altruismo.42 Uno deriva dal fatto che la società, parzialmente o totalmente disgregata, permette che l'individuo le sfugga; l'altro, dal fatto che essa lo tiene troppo rigorosamente sotto la propria dipendenza. Secondo altri ricercatori, i fattori suicidogeni nella vita civile si trasformerebbero in anti-suicidogeni nella vita militare, e viceversa. L'aggressività scatenata dalle frustrazioni viene spesso introiettata e diretta contro l'io e se qualcosa viene ad interferire in un processo di difesa dell'io, impedendo ai legami primari di controbilanciarne la crisi, la situazione diventa suicidogena; basta un nonnulla, e l'instabile equilibrio tra la forza del sistema di relazioni (cioè dell'integrazione sociale) e la violenza dell'aggressività introiettata viene compromesso, da portare il militare al suicidio.43 In ogni caso, il soldato con un io immaturo si uccide perché è più esposto di altri al processo di introiezione dell'aggressività e agli effetti di una non totale integrazione nel gruppo. _________________________ 42 Il suicidio altruistico comporta eccessivo altruismo con un esasperato senso dell’onore, del dovere e dei legami affettivi. In questa categoria ci sono: donne che per fedeltà per il marito defunto si autosopprimono; anziani che non vogliono essere di peso alla famiglia e alla società, gregari per la morte dei loro capi, coloro che si suicidano per motivi religiosi (kamikaze). Il suicidio egoistico nasce dal disaccordo del soggetto con le regole della comunità. Tra questi suicidi vanno considerati quelli che lo compiono per uno screzio psicopatologico cronico o per l’esplosione di un disturbo psicogeno acuto in occasione di un grave evento. Esiste poi anche il suicidio anomico dovuto al declino delle idee-guida socio-morali, all’eclissi delle fedi religiose, al rilassamento dei codici professionali, all’aumento dei bisogni individuali e all’incapacità della società di soddisfarli. 43 «Il soldato si uccide alla minima contrarietà, per le ragioni più futili, per un permesso rifiutato, per un rimprovero, per una punizione ingiusta, per un arresto nella carriera, per una questione di punto d'onore, per una temporanea crisi di gelosia o anche, semplicemente, perché ha visto o è venuto a sapere di altri suicidi». “Le suicide”, Durkheim Emile. In tempi attuali, il suicidio potrebbe toccare la fragilità di qualche individuo che sentendosi sradicato e isolato, si sente privato di tutti quegli appigli psicologici e punti di riferimento sociali che lo aiutavano nella società civile a conservare il senso della propria identità e ad agire. In altri termini, l'istituzione militare organizzerebbe l'anomia per questi fragili soggetti, metterebbe in crisi il “sistema di relazioni”, procurando la situazione propizia al suicidio. Il suicidio tra i militari potrebbe quindi manifestarsi o durante il periodo di socializzazione, per problemi inerenti alla carriera professionale o anche durante i conflitti bellici. Maggior attenzione merita quest’ultimo caso dove le privazioni e disagi di ogni tipo, la continua presenza della morte, l'impotenza di fronte alle forze che controllano il destino di ciascuno; il combattimento (e, più debolmente, la guerra) riporta veramente la maggior parte dei soldati in una drammatica situazione di insicurezza e impotenza, di frustrazioni e di intollerabile angoscia e tensione. Curiosa è anche l’interpretazione alla statistica del suicidio presente in maniera differente tra Ufficiali, Sottufficiali e Graduati dell’Esercito. Sicuramente, a prescindere dal grado e dai problemi personali di ognuno, il suicidio matura spesso in condizioni di frustrazione ed in una struttura sociale rigidamente gerarchica, in cui bisogna fare i conti con l'esigente ideale dell'io che propone l'ideologia militare e con l’espressione dell’ aggressività contro se stessi. Il suicidio è quindi l’atto conclusivo di un complesso di disposizioni personali, ambientali e socioculturali oltre che della convergenza di eventi frustranti, di sensi di colpa, di spinte espiatorie e di reazioni emotive vissute ipocritamente con interpretazione catastrofica del vissuto. Secondo Sigmund Freud, il suicidio è causato dalla scarsezza della dimensione del profondo che si verifica quando i valori dell’esistenza umana diventano vuoti di contenuti trascendenti. Quando l’individuo nei suoi momenti difficili ne prende coscienza, esamina se stesso proiettato nel mondo, perdendo l’autostima positiva e la fiducia nelle persone ed in tutto il proprio vissuto. Nell’Esercito, ci sono stati casi di giovani soggetti, apparentemente normali, il cui suicidio è stato spiegato dagli studiosi del caso come dovuti a disturbi schizofrenici subdoli che venivano apparentemente compensati da meccanismi protettivi familiari e dall’ entourage ambientale. Sarebbe quindi un dovere importantissimo di statisti e sociologi quello di prevenire miratamente ad eliminare i fattori generali negativi come tensioni, isolamento sociale, malessere per perdita di valori trascendenti di riferimento e distorsione dei significati etici. Sarebbe un dovere di medici e psicologi quello di capire e sdrammatizzare i fattori di rischio individuali. Inoltre è anche importante tener presente che, spesso, l’amplificazione enfatica di certe notizie sui suicidi e la conseguente “eroicizzazione” negativa dei protagonisti potrebbe suscitare l’emulazione da parte di altri soggetti fragili con pulsioni depressive. Sarebbe bene quindi tenere in considerazione che nella società attuale impostata su criteri del dare-avere e non sull’essere, dove tutto è posto a servizio della materialità e dell’assottigliamento del reale spessore di autentici significati umani, sono proprio le personalità a debole strutturazione dell’Io che quando sono poste di fronte ad eventi nocivi, sperimentano severe esperienze depressive con la perdita di ogni speranza di essere davvero delle persone felici. 5.3:Altri disturbi :disturbo post-traumatico da stress, disturbo acuto da stress e disturbi dell’adattamento. Le crescenti capacità costruttive dell’essere umane sono state accompagnate dalla crescita del suo potere di distruzione negli ultimi tempi. A ciò si aggiunge anche il concetto di “guerra totale”, che significa combattere con tutte le risorse e con ogni genere di arma senza limitazioni umanitarie o di opportunità. Il pericolo incombente della guerra sull’essere umano ha sempre portato delle incidenze sociali, a cui mai nessun soldato è sfuggito. A tal proposito, il nostro lavoro vuole porre la propria attenzione su ciò che accade nella mente del militare durante il conflitto bellico. Vuole concentrarsi, in particolar modo, sul modo in cui l’umana catastrofe possa modificare o influenzare le relazioni e le rappresentazioni del mondo degli stessi militari. Alcuni studiosi hanno preso in considerazione il Disturbo Post-traumatico da Stress (PTSD) di alcuni militari italiani rientrati dalle missioni in Afghanistan ed Iraq ed hanno rilevato che il PTSD (Post-Traumatic Stress Disorder) sofferto da questi era caratterizzato dalla compresenza, per almeno un mese, di sintomi intrusivi, di evitamento e/o di ottundimento e di aumentato arousal (attivazione psicofisiologica) in seguito all' esposizione ad eventi traumatici di particolare gravità. Alcuni militari hanno riportato traumi derivanti da un'esperienza caratterizzata da entrambi gli elementi seguenti: - un evento o più eventi che hanno implicato morte, o minaccia di morte, o gravi lesioni, o una minaccia all'integrità fisica propria o di altri; - la risposta della persona è stata la presenza di paura intensa, sentimenti di impotenza o orrore. I sintomi intrusivi più frequenti nei militari osservati sono stati i seguenti: sogni o ricordi spiacevoli ricorrenti e intrusivi dell'evento, immagini, pensieri o percezioni, agire o sentire come se l'evento traumatico si stesse ripresentando. Inoltre si sono manifestati disagio psicologico intenso e reattività fisiologica intensa all'esposizione a fattori scatenanti interni o esterni che simbolizzavano o assomigliavano a qualche aspetto dell'evento traumatico. Spesso si sono manifestati quei sintomi di evitamento e/o di ottundimento come gli sforzi per evitare pensieri, sensazioni o conversazioni associate con il trauma, gli sforzi per evitare attività, luoghi o persone che evocassero ricordi del trauma, l’incapacità di ricordare qualche aspetto importante del trauma, la riduzione marcata dell'interesse o della partecipazione ad attività significative, i sentimenti di distacco o di estraneità verso gli altri, l’affettività ridotta, i sentimenti di diminuzione delle prospettive future. I sintomi di iperattivazione maggiormente frequenti sono stati i seguenti: difficoltà ad addormentarsi o a mantenere il sonno, irritabilità o scoppi di collera, difficoltà a concentrarsi, ipervigilanza, esagerate risposte di allarme. Il PTSD studiato è stato frequentemente preceduto dal Disturbo Acuto da Stress (ASD). Esso è, infatti, un disturbo essenzialmente simile al PTSD, eccetto per il tempo di esistenza che lo caratterizza (deve manifestarsi entro quattro settimane dall'evento e durare da un minimo di due giorni ad un massimo di quattro settimane) e per il fatto che deve presentare molti più sintomi dissociativi. In particolare, i sintomi dell'ASD (Acute Stress Disorder) più altamente correlati con il successivo sviluppo di PTSD sembrano essere l'ottundimento emotivo, l'agitazione motoria, la depersonalizzazione e la sensazione di rivivere l'esperienza traumatica. Fra i più comuni disturbi dissociativi dell'ASD si segnalano: sensazione soggettiva di insensibilità, distacco o assenza di reattività emozionale, riduzione della consapevolezza dell'ambiente circostante (es.: rimanere storditi), derealizzazione, depersonalizzazione, amnesia dissociativa. Il PTSD e l'ASD sono tipicamente associati ad esperienze particolarmente traumatiche, anche croniche, nel personale di intervento in situazioni di soccorso e di emergenza. Oltre al PTDS e all’ASD, ricercatori e scienziati hanno riscontrato che nei militari si manifestano spesso quelli che sono definiti Disturbi dell'Adattamento, i quali appaiono essere come maggiormente frequenti. Sebbene questi siano meno gravi sul piano sintomatologico, in realtà sono molto insidiosi perché possono essere più facilmente nascosti e camuffati. Inoltre non possono essere nemmeno pienamente compresi da coloro che ne soffrono, portandoli quindi a trascurare il disagio e ad aggravare i problemi in essere. La caratteristica fondamentale dei Disturbi dell'Adattamento è lo sviluppo di sintomi emotivi o comportamentali successivi all'esposizione ad uno o più eventi stressanti (anche traumatici) chiaramente identificabili. Tali sintomi devono svilupparsi entro tre mesi dall'esposizione all'evento o agli eventi stressanti e devono risolversi entro sei mesi dalla cessazione del fattore stressante o delle sue conseguenze. I sintomi principali possono essere problemi di ansia, depressione, impulsività, ritiro sociale, lamentele fisiche e, in generale, tutti i sintomi del PTSD e dell'ASD ma non tali per intensità, durata o numero da soddisfare una diagnosi di PTSD o ASD. Alcuni psicologi preferiscono definire i Disturbi dell'Adattamento come forme di PTSD sottosoglia o di ASD solo parzialmente superato, ma magari cronicizzato. Tra questi disturbi, si rilevano frequentemente: livelli di iperattivazione costante, irritabilità, aggressività, difficoltà a rilassarsi, tensioni con familiari ed amici, insonnia o sonno poco riposante, disturbi gastrointestinali; stanchezza cronica o apatia; sensi di colpa ingiustificati; calo di appetito o iperfagia; calo della libido e disturbi sessuali; cinismo e senso di inutilità del proprio lavoro o della propria vita; abuso di sostanze (farmaci, alcol, stupefacenti);44 sentimenti di estraneità dalla vita "normale" e sensazione che l'unica dimensione all'interno della quale ci si sente adeguati sia quella dell'emergenza, eventualmente unita alla volontà di eroismo a tutti i costi.45 _________________________ 44 Si ricorda la “malattia del soldato” per la somministrazione di morfina e altre droghe presso gli eserciti in guerra, al fine di alleviare i disagi psicologici dei militari, migliorandone morale, efficienza e resistenza alla fatica e alla fame. 45 Marshall (1947) determinò che ciò che spinge al combattimento un soldato in situazioni estreme di pericolo, più che ragioni ideologiche, come l'aspirazione alla giustizia o il patriottismo, è la presenza, o la presunta vicinanza, di un commilitone. Alla domanda: «Che cos'è che spinge un soldato ad atti d'eroismo e a comportarsi coraggiosamente?», la maggior parte dei militari rispose che l'amicizia, la consapevolezza di essere depositari della fiducia e della confidenza dei propri compagni d'armi e la lealtà erano le motivazioni principali. Alla stessa conclusione giunsero altre ricerche che analizzarono le cause che avevano portato una parte dei militari a sviluppare dei forti disturbi psicologici. La ragione principale di una nevrosi da stress da combattimento risultò l'isolamento del soggetto in situazioni di pericolo, ovvero l'interruzione delle sue relazioni interpersonali. CAPITOLO 6 L’ESERCITO DELLA GENTE E NELLA GENTE 6.1:Il soldato italiano espressione della propria Patria. Il nostro Esercito ha conosciuto due momenti significativi della sua storia in relazione con la società: il Primo Risorgimento con le origini delle nostre tradizioni militari e il Secondo Risorgimento con la sua rinascita dolorosa nel corso della seconda guerra mondiale. Nel Primo Risorgimento era ben definito il concetto di “esercito di popolo”.46 All’inizio si vollero adottare le tecniche di reclutamento regionale, con la ferma breve e dell’obbligo generalizzato al servizio militare. Nel 1870 ci si incamminò verso l’ordinamento militare della “Nazione armata” con le riforme Ricotti. Si affermò quindi l’esigenza di disporre di un piccolo esercito permanente, da ingrandire in caso di mobilitazione. Nel 1871 fu istituita la milizia provinciale e nel 1875 la milizia territoriale. Nel 1883, il nostro Esercito era composto da un esercito permanente di 750.765 uomini; una milizia mobile (nome attribuito alla milizia provinciale nel 1873) di 341.150 uomini, comprendente varie specialità ed armi presenti nell’esercito permanente e doveva concorrere con questo alla difesa attiva; una milizia territoriale di 1.021.954 uomini da utilizzare per la difesa del territorio. La differenza tra questi livelli di forza rimase fino alla prima guerra mondiale per poi scomparire definitivamente. _________________________ 46 In origine era stata la Rivoluzione francese ad affermare la necessaria partecipazione dei cittadini alla difesa dello Stato e a coinvolgere il popolo nelle operazioni militari. Garibaldi, forse ispirato da quest’esperienza, intuì che non dovevano combattersi “guerre di eserciti” ma “guerre di popolo”. L’esercito piemontese conosceva bene il reclutamento regionale, o meglio ancora quello provinciale e non vi è dubbio che questo reclutamento presentasse enormi vantaggi perché consentiva di completare in pochi giorni la mobilitazione. Inoltre questo tipo di reclutamento favoriva legami d’amicizia tra i soldati della stessa provincia che si conoscevano l’un l’altro e legami tra questi e la popolazione di cui facevano parte. I superiori conoscevano bene i propri subordinati e tutti erano inquadrati nell'ambiente sociale e naturale. I problemi di ogni genere venivano risolti con la vicinanza delle proprie famiglie; i reparti possedevano un alto grado di coesione e spirito di corpo ed una elevatissima efficienza. L'Italia però, rinunciò nel tempo al reclutamento regionale per motivi politici. Infatti ciò fu evitato per mantenere l'ordine sul territorio del regno e quindi il reclutamento fu organizzato su base rigidamente nazionale. I meridionali vennero inviati al Nord ed i settentrionali al Sud, con motivazioni che fecero leva sulla diffusione del sentimento nazionale e sulla necessità di amalgama tra gli stessi italiani. Si diedero inoltre altre spiegazioni a tale scelta, sostenendo che un esercito modellato sul tipo francese come il nostro, cioè soldati professionisti a lunga ferma, non doveva cercare sostegno nella popolazione, ma chiudersi in se stesso e trovare la coesione e lo spirito di corpo non attraverso i contatti esterni, ma nella quotidiana vita di reparto. Il soldato avrebbe dovuto immedesimarsi totalmente nella propria professione e rimanere del tutto estraneo ai problemi politici e sociali della realtà in cui viveva. Doveva ubbidire, essere efficiente ed estraniarsi dal mondo che lo circondava. Un altro aspetto del Primo Risorgimento da ricordare è l'integrazione tra le formazioni di combattenti regolari e quelle irregolari. Garibaldi infatti cercò sempre di trasformare le formazioni irregolari in bande regolari, diffondendo il concetto di "guerra per bande". Le sue unità erano piccole e leggere e capaci di sviluppare una prontezza operativa eccezionale e di combattere in qualsiasi circostanza. Nell'Italia umbertina e giolittiana, la guerra per bande venne disprezzata nei circoli militari ufficiali e le conseguenze di questo atteggiamento si fecero sentire durante le guerre coloniali con le sconfitte a Dogali, Amba Alagi, Macallè, Adua e più tardi la guerra di movimento contro i guerriglieri arabi di Libia. Infatti il nostro esercito si trovò impreparato a fronteggiare quel tipo di guerra contro bande di guerriglieri. Il terzo aspetto del Primo Risorgimento vede la creazione di un combattente tipicamente italiano. I volontari del Risorgimento erano soldati "per amore" e non "per forza". Non bastava la leva obbligatoria, bastava un appello di Garibaldi a suscitare l'entusiasmo e far accorrere migliaia di volontari. In quel tempo i volontari si presentavano audaci e pieni di spirito di sacrificio. Era il fascino del condottiero a trasformarli da giovani senza addestramento in veri soldati. Essi esprimevano compiutamente il carattere, il temperamento, le passioni del nostro popolo. Questi combattenti si distinguevano dal militare regolare che invece mancava di spirito critico, di iniziativa, di forza creativa, aveva bisogno di un'autorità nazionale o straniera a cui obbedire per identificarsi completamente con la propria professione militare. Il combattente garibaldino invece era motivato dall'ideale di insorgere contro l'oppressore ed accettava il rischio della lotta, sopportando eccezionali fatiche e compiendo atti di eroismo. Nell'era umbertina e giolittiana, il militare era espressione di un esercito rinchiuso in se stesso in un'era in cui gli era vietata l'autonomia di pensiero e lo spirito d'iniziativa. Il militare quindi era chiamato solo ad assolvere quei compiti di polizia che il potere politico riteneva indispensabili. Il Secondo Risorgimento vedrà la compresenza di militari, partigiani e popolo che combattono un comune nemico nella stessa trincea. Il primo elemento che caratterizzerà il Secondo Risorgimento sarà proprio la guerra partigiana. Il secondo elemento da ricordare è la nascita del 1° Raggruppamento Motorizzato, composto da giovani volontari dell'esercito, i quali esprimevano lo spirito nazionale elaborato dalla coscienza di nuovi compiti, dall'istinto, dalla generosità e dalla passione in un momento di generale sbandamento. La fiducia che seppe conquistarsi questo reparto fu tantissima e fu così che quel nuovo Esercito italiano nasceva con spirito risorgimentale, grazie alla generosità dei volontari provenienti dall'Esercito ed al successivo fervido impegno dei reparti. Questo momento storico fu importantissimo per la nostra storia militare perchè confermava, e riconferma ancora oggi, la continuità nel tempo delle due tradizionali "anime" nazionali: quella conservatrice, vero zoccolo duro della tradizione, e quella innovatrice, sempre tesa a valorizzare le forze spirituali e gli orientamenti nazionali, come dimostrano gli eventi della Resistenza e gli scenari internazionali che attualmente tengono impegnati il nostro Esercito. Dopo la seconda guerra mondiale, il rapporto tra la società e le Forze Armate non è stato proprio idilliaco. Nel tessuto nazionale, si era radicato un atteggiamento negativo nei confronti del servizio militare, che veniva allentato solo in particolari situazioni attraverso impulsi provenienti dal campo politico, economico e sociale nazionale. Anche la stampa si mostrava spesso aggressiva verso l'adesione del cittadino-soldato alle Istituzioni ed ai valori cui era chiamato a difendere con il servizio di leva. Maggiormente, l'opinione pubblica si mostrava contro l'Istituzione dell'Esercito quando apprendeva notizie di fenomeni di nonnismo nelle caserme o di qualche scandalo in missioni all'estero che coinvolgeva militari di leva in servizio.47 Negli anni Novanta, è però cominciato a cambiare qualcosa. L’Esercito della leva, da demotivato e rinchiuso nel proprio mondo, è cominciato ad uscire allo scoperto, moltiplicando le occasioni di incontri con la popolazione, pubblicizzando i propri valori ed invitando giovani motivati ad arruolarsi in nome della “difesa della Pace”. Con la professionalizzazione delle Forze Armate e con il tempo, l’Esercito Italiano è riuscito a trarre dalla pubblica opinione la consapevolezza di essere utilissimo ed apprezzatissimo dai cittadini. _________________________ 47 Si ricordano le violenze e gli abusi sessuali sulla popolazione somala da parte dei nostri militari, durante la missione in Somalia nel 1993. I militari italiani di oggi sanno benissimo che la forza morale e le proprie radici non vanno cercate soltanto nel senso del dovere, nello spirito di sacrificio e nelle tradizioni dei reparti, ma soprattutto nel continuo contatto con gli altri, nel rapporto aperto e sincero e nel consenso della popolazione. Successivamente, l’ingresso della donna nelle Forze Armate e l’era del peace-keeping hanno costituito un Esercito Nuovo, impostato su quella nuova identità che lo rende sempre più forte alla pari di un sentimento nazionale che ogni soldato sente forte dentro di sé, a prescindere dalle motivazioni che lo hanno portato ad arruolarsi. La nostra Costituzione cita che l’Italia è una e indivisibile (art. 5) ed i nostri soldati non si lasciano certamente influenzare da quei politici che a volte inneggiano alla secessione del nostro Paese. Inoltre la curiosità da tenere presente nell’Esercito di oggi, è che esso risulta composto all’ 80% circa da meridionali. Una domanda pertinente potrebbe essere: ”Ma forse i meridionali, si sentono più italiani dei settentrionali?”. Molti studiosi hanno risposto a questo interrogativo sostenendo che, al di là delle convinzioni politiche di ogni cittadino italiano, le regioni d’Italia crescono in una situazione di benessere economico differente. Le regioni del Mezzogiorno sono socialmente ed economicamente meno avanzate e spesso l’alto tasso di disoccupazione spinge molti giovani ad arruolarsi, illudendosi però di trovare un’occasione di lavoro come le altre, la quale se non viene particolarmente sentita nel nome dei valori che l’uniforme dell’Esercito rappresenta, rischia di generare profonda frustrazione nell’animo di chi ha effettuato questa scelta. La sociologia non avanza valutazioni psicologiche o giuridiche di fronte a chi compie la scelta di arruolarsi, ma è suo compito invece analizzare il senso che gli attori danno alla propria azione e le conseguenze sociali che tali azioni comportano. Un dato certo è che comunque il processo di meridionalizzazione è molto marcato nell’Esercito del nostro Paese ed è molto pronunciato tra i graduati di truppa piuttosto che tra gli ufficiali e i sottufficiali. In ogni caso, nonostante tutti questi dati del passato e del presente, l’Esercito di oggi e quello del futuro appare bisognoso di essere vissuto da persone motivate, generose e desiderose di rappresentare il popolo italiano e la Nazione intera nel nome di quelle tradizioni storiche, di quei valori e di quella cultura di cui l’Esercito stesso insieme alle altre Forze Armate e alle Forze dell’Ordine è erede legittimo. 6.2:L’ingresso della donna nelle Forze Armate. Fino ad un decennio fa circa, la presenza della donna nell’Esercito era vista con scetticismo, soprattutto per le esigenze di maternità e cura della prole che erano inconciliabili con un servizio continuativo e ripetitivo in tempo di pace. Più tardi, con i nuovi professionisti dell’Esercito e con il prevalere del buon senso sui preconcetti, dell’intelligenza sul pessimismo, del coraggio sul disimpegno e del progresso sulla paura si è pensato che, essendo la guerra una particolare, grave e sciagurata emergenza, i peculiari condizionamenti dell’elemento femminile (i sentimenti, il senso della famiglia, le attitudini specifiche e soprattutto la maternità) potevano venire sacrificati proprio a causa del clima dell’emergenza, a sua volta limitata nel tempo. Proprio in virtù di questa temporanea rinuncia, la donna ha dimostrato di non essere differente dall’uomo e nulla le può impedire, in ambito delle Forze Armate, di assolvere la quasi totalità degli incarichi, ad eccezione di quelli in cui prevalgano nettamente non i requisiti intellettuali, ma la prestanza fisica e la forza bruta. Con l’ingresso della donna nell’Esercito è cambiato il “modus operandi” ed essendo le stesse Forze Armate soggette a nuove tecnologie che adottano sempre mezzi più sofisticati, si richiedono ai Comandanti di tutti i livelli (donne incluse), il possesso di capacità manageriali sempre più raffinate. Secondo un’autentica e tipica cultura “italica”, lo stereotipo di donna eterna portatrice di buoni sentimenti, sposa e madre non è incompatibile con l’arruolamento nelle Forze Armate, in cui poter trovare la giusta collocazione in incarichi che non postulano il possesso di qualità fisiche accentuate né di determinazione senza riserve che potrebbero risultare non congeniali alla stessa donna. Mentre, così, alcuni anni fa il servizio femminile era una novità e c’era forte preoccupazione per ciò che sarebbe potuto accadere in seguito, oggi che sono passati alcuni anni, possiamo dire che esso è una bella realtà, nel senso che le pari opportunità si sono effettivamente concretizzate e le nostre signore si sono perfettamente integrate nel contesto della Forza Armata. Interessante è comprendere la “donna soldato” dal punto di vista degli uomini. La sociologia delle organizzazioni, infatti, ha sempre ritenuto tema rilevante l’essere uomo e l’essere donna nell’ambito delle Forze Armate. All’essere uomo e all’essere donna sono associati generalmente, diversi livelli di motivazione e diversi livelli di performance professionale. La differenza biologica dell’essere maschio o dell’essere femmina si distingue dalla mascolinità e dalla femminilità, in quanto questi ultimi sono frutto dei processi di costruzione sociale, frutto di rinegoziazioni relazionali fra i due stessi generi, mai definitivamente date per scontate ma mutevoli nel tempo e nello spazio.48 __________________________ 48 “Nuove professionalità femminili al servizio della collettività” in Convegno “DONNE IN UNIFORME”, Firenze, 21 Febbraio 2007, p. 16. Le Forze Armate, sono state per lungo tempo un’organizzazione intesa come, sacrario della mascolinità stessa. A tal proposito, il contributo che la sociologia applicata alle organizzazione può dare è dimostrare che, l’ingresso delle donne nelle Forze Armate non ha cambiato solo l’organizzazione ma, anche, la definizione di genere maschile e di genere femminile. Il “problema”, quindi, non è la donna nelle Forze Armate, ma la relazione fra i due generi all’interno di questa organizzazione. L’ingresso delle donne nel mondo militare non solo ha comportato (e comporterà) cambiamenti all’interno dell’organizzazione, ma contribuirà a cambiare la nozione di mascolinità e femminilità anche all’esterno dell’ organizzazione militare. In passato, le donne si sono spesso “autoprecluse” l’ingresso in determinate organizzazioni perché ritenute poco consone alle abilità o alla sensibilità femminile e si sono “autorecluse” all’interno di organizzazioni che ritenevano più consone alle caratteristiche e alle inclinazioni della propria identità femminile (si pensi alla partecipazione femminile alle organizzazioni dedite alla cura, più rispondenti e quindi più rassicuranti rispetto alla identità femminile). L’ingresso delle donne in organizzazioni o in ruoli professionali poco consueti ha costituito l’elemento di novità che ha cambiato l’ordine delle cose. Le organizzazioni sono diventate un campo di incontro e scontro fra maschio e femmina che, su questo stesso terreno ridefiniscono segmenti della propria identità in virtù delle pari opportunità. Quello militare, si sa, non è un mestiere come gli altri. Quella militare è una realtà organizzativa estrema e particolare perché estrema è la sua missione: quella cioè di difendere in armi la società correndo il rischio e mostrando la disponibilità, in ultima istanza, di compiere i due gesti più estremi che può compiere l’essere umano: perdere la propria vita e toglierla agli altri. Questo dato di fatto è imprescindibile se si vuole comprendere pienamente la specificità della missione militare. Esso è un elemento fondamentale che è estensibile a tutto il mondo della sicurezza, il quale in modalità diverse deve gestire quello che Weber chiama “l’uso legittimo della forza”. I militari, dunque, svolgono una professione diversa dagli altri, congiuntamente a quella di chi veste l’uniforme delle forze dell’ordine. La complessità di questa professione porta a considerare quale veramente possa essere il contributo che la donna può dare in questo ambito professionale. Le resistenze consce ed inconsce verso l’elemento femminile non sono soltanto individuali ma possono essere anche istituzionali. Ogni militare, uomo o donna che sia, deve sapere che potrebbe anche mettere a repentaglio la propria vita e quella degli altri. Già dai tempi dell’antica Roma, il cittadino era chiamato alle armi per tutelare la propria famiglia. La figura materna, quella delle moglie e quella della figlia sono di personaggi che restano a casa e con i quali si stabilisce un rapporto idealizzato di protezione. Passare da questa profonda introiezione di ruoli all’idea che la stessa donna possa essere un proprio commilitone, un proprio compagno d’armi, è stato un grosso sforzo che si è chiesto agli uomini. Tutto ciò ha condotto ad una rivoluzione mentale nell’uomo per fargli accettare l’elemento femminile. La donna militare, oggi, non è quindi né equivalente alla donna magistrato degli anni Sessanta né alla donna medico del primo Novecento, è la donna inserita in una realtà sociale molto specifica. Alcuni studiosi, classificano tre diverse tipologie di “homo militaris”: il misogino, il maschilista e poi c’è il cavaliere, che di tutti è il più insidioso. Il cavaliere è il militare, solitamente di grado elevato, che davanti alla porta cede il passo alla donna soldato, che si preoccupa dei suoi pretesi limiti e che da suggerimenti sulle compatibilità della sua vita. Tutto questo potrebbe sembrare un’esagerazione ma, in realtà, non lo è. Chi conosce l’ambiente militare lo sa benissimo: è una tentazione sempre possibile. Ciò non avviene per una discriminazione volontaria nei riguardi del genere femminile, ma semplicemente per quel senso di protezione naturale del genere maschile verso il genere opposto ed il cui fattore culturale italiano ereditato dovrebbe essere superato. Il punto di vista maschile nei riguardi della donna soldato, non può escludere il tema scottante della molestia sessuale, al quale nelle forze armate americane viene dedicata tanta attenzione. La molestia non può essere interpretata solo come lo sprigionamento degli istinti sessuali del maschio, incapace di trattenersi di fronte ad una figura femminile. La molestia è in realtà, una manifestazione di ostilità. È l’affermazione del maschio che dice alla donna: “Questa è casa mia, e tu sei un’ intrusa”. La molestia sessuale è solo la manifestazione estrema, ma sono molteplici le modalità con cui si può far sentire la donna un’estranea e su questo le Istituzioni non possono e non devono abbassare la guardia. Per comprendere la “donna soldato” dal punto di vista delle donne, sarebbe opportuno rilevare ogni singola fattispecie dei rapporti femminili con eventi o istituzioni di carattere militare. Si ricorda che, in epoche passate, le doti delle donne erano la modestia, la dolcezza e la sottomissione. Oggi alle sopraccitate doti si aggiungono qualità come il coraggio, l’orgoglio, la determinatezza, che in precedenza non erano affatto apprezzate dalla mentalità fallocrate. La donna forte era apprezzata solo se applicava le quattro virtù cardinali all’interno dello spazio domestico. Eppure esistono molte tracce di una tradizione guerresca al femminile.49 In ogni caso, il successo della presenza delle donne nelle Forze Armate, oggi, è dovuta alla concezione del servizio militare femminile quale realizzazione del principio di pari opportunità, il cui merito è quello di aver favorito il processo di integrazione fra i due generi. _________________________ 49 Nella mitologia greca, un posto da protagoniste era occupato da Athena, nata dal cervello di Giove con lo scudo, la spada e l’elmo, dea della guerra, ma anche della saggezza; e da Diana, cacciatrice armata di arco e frecce. Entrambe erano vergini ed erano percepite come diverse dalle donne comuni. Accanto a loro c’erano le Amazzoni, donne guerriere, che nei secoli hanno rappresentato il contraltare della donna debole e inerme, un mito che è servito alla legittimazione storica delle virtù guerriere femminili. Mitologia e miti importanti, sono stati pensati, celebrati e tramandati nel corso delle generazioni. Analogamente non si è persa la memoria di regine guerriere come Semiramide, regina degli Assiri (810-787 circa) o Zenobia, regina di Palmira (III sec. a.C.). Si ricorda che fra le popolazioni barbare (galli, germani, traci, teutoni) le donne combattevano insieme agli uomini. Più tardi, nel medioevo, troviamo donne staffette, donne combattenti negli assedi ai castelli, donne combattenti nelle crociate. Il tramonto del feudalesimo segnerà la fine della partecipazione diretta delle donne alle spedizioni armate. 6.3:L’era del Peace-Keeping. L’Italia di oggi è impegnata, in campo internazionale, in iniziative volte al mantenimento della stabilità ed al ripristino della legalità in diverse aree di crisi. In particolare, tale impegno si inquadra nell’ambito di organizzazioni quali l’ONU, la NATO, l’UE ovvero nell’ambito di iniziative multilaterali. Il contributo offerto dal nostro Paese alle Nazioni Unite è stato rilevante soprattutto perché l’impegno delle risorse militari è sempre coinciso con quello politico dell’Italia in ambito ONU. Le missioni all’estero, per il mantenimento ed il supporto della pace e compiti assegnatigli per la Difesa in Patria, hanno consentito al nostro Esercito di rafforzare il proprio prestigio ed il proprio legame con il Paese. L’Esercito Italiano è stato impegnato, negli ultimi anni, anche in importanti compiti di soccorso a favore delle popolazioni colpite da calamità naturali; è stato impiegato per il mantenimento dell’ordine pubblico; è stato inviato a svolgere attività di pubblica utilità come la bonifica di ordigni inesplosi e, non ultimo, in situazioni di particolare emergenza come quella dei rifiuti in Campania. Proprio il suo operare “nella gente” lo ha reso ancora di più Esercito “della gente” per la propria organizzazione “aperta”, fatta di cittadini, uomini e donne, che hanno liberamente scelto di vestire l’uniforme dell’Esercito, la cui cultura è impostata sul valore della Pace. Oggi, la cultura militare italiana è intesa come un insieme di convinzioni, di ideali e di conoscenze specifiche che rende ciascun soldato capace di avere, nella propria preparazione culturale, il coraggio di mettersi sempre in gioco e di essere l’interprete più autentico dei valori della propria Nazione rappresentata. Negli ideali del soldato italiano moderno non rientra affatto, come è subcultura di altri eserciti, il sollecitare l’umiliazione e la nudità forzata, la violenza, la tortura e l’abuso sessuale. Il patrimonio culturale dell’Esercito è alimentato dal concetto chiave della Pace, perché la stessa pace è cultura non solo dei militari ma di tutto il popolo italiano (art. 11 Costituzione). Un tempo, il nostro esercito era criticato dai sostenitori dell’obiezione di coscienza e da cattolici osservanti, perché ritenevano che il servizio militare fosse di livello morale inferiore e che l’uso della Forza Armata fosse da proscrivere. Solo più tardi, il Papa Giovanni Paolo II definirà il servizio militare non soltanto un mestiere o un dovere, ma anche come un comando interiore della coscienza, un comando del cuore.50 La cultura militare italiana riconosce il concetto di “guerra giusta” inteso come “giusta difesa”, in quanto le tradizioni cristiane ereditate portano costituzionalmente a rifiutare la guerra poiché non esiste nessun diritto di fare la guerra. L’unico concetto di guerra riconosciuto è quello di “guerra di pura difesa in presenza di un’aggressione in atto”. Per “aggressione in atto” viene intesa la minaccia attuale di un male grave imminente. L’uso della forza è quindi ammesso se decisi da un organismo internazionale promotore di pace come l’ONU; per la difesa interna di un sistema democratico; per abbattere un regime oppressivo che attenti gravemente ai diritti fondamentali della persona e nuoccia in modo pericoloso al bene comune del Paese.51 _________________________ 50 51 Discorso di Giovanni Paolo II ai militari polacchi, in “Bonus Miles Christi”, 3/1991, p.173. Paolo VI , “Populorum Progressio” n. 31. E’ ammesso l’uso della forza nei principi della legittima difesa e dell’ingerenza umanitaria, per salvare la vita di terze persone. In questo caso si pone l’accento sulla differenza tra l’essere “operatori di pace” e l’essere “pacifisti”. Per “pacifismo” viene intesa la “non resistenza al male”, secondo un’ interpretazione letterale del Vangelo o di una lettura tolstojana del Discorso della Montagna. Oggi nessuna delle grandi fedi religiose professa la posizione pacifica nella propria teologia morale. Il 17 Febbraio 1991, durante la guerra del Golfo, Giovanni Paolo II affermò: “non siamo pacifisti, non vogliamo la pace ad ogni costo, vogliamo una giusta pace”,52 negando quindi il pacifismo passivo ed assoluto. L’essere militari italiani comporta il sentirsi “operatori di pace” con l’impegno, il sacrificio, l’abnegazione e la volontà di prevalere, nonostante le avversità, i giudizi negativi e i pareri contrari spesso formulati da chi “non conosce” . Questa identità della militarità italiana porta i nostri uomini e le nostre donne ad operare sempre più in maniera convinta e soddisfacente per il bene della comunità internazionale e per la pace nel mondo. La struttura dell’Esercito Italiano di oggi, in questa era di peace-keeping , è efficiente, tempestiva, funzionale e rapidissima. Chi si arruola oggi deve avere la consapevolezza di sentirsi pronto a contribuire, nei piccoli particolari e nelle grandi decisioni, al continuo miglioramento della stessa Forza Armata per adeguarla al futuro sempre più ricco di nuove sfide. _________________________ 52 “Bonus Miles Christi”, 5/1991. Spesso i nostri militari hanno dimostrato, di fronte alle varie minacce all’incolumità dell’individuo; dinanzi al problema del terrorismo internazionale; con l’esposizione ad elevati rischi per la salute come il problema dell’ uranio impoverito; pagando a volte anche con il sacrificio della propria vita; il valore e lo spessore umano di chi sa vivere la Forza Armata. I soldati italiani di oggi hanno una “nuova identità”, che altro non è che una fede di valori umani che infonde coraggio e volontà di prevalere per la pace. CONCLUSIONI Da un Esercito antico in cui si esaltava la virilità di chi militava tra le sue fila, si è giunti, con il tempo, ad un esercito impiegato sul territorio nazionale in concorso alle forze dell’ordine ed in seguito ad una serie di tragici eventi in Sicilia53, che avrebbe di lì a poco spazzato via i timori di chi dubitava sull’efficacia dell’impiego dei soldati nelle operazioni di appoggio al mantenimento dell'ordine pubblico, peculiare compito delle Forze di Polizia. Già in precedenza, vi era stato l'invio in Sardegna di circa 4.000 soldati per l'esercitazione "Forza Paris", avvenuta nelle fasi conclusive (Luglio 1992) del sequestro del piccolo Farouk Kassam. In quel caso si era però trattato di un'attività addestrativa "allargata" (pattugliamenti e rastrellamenti) che, guarda caso, era stata condotta nei possibili luoghi di rifugio dei banditi. C'è da rilevare che l'operazione "Forza Paris" aveva avuto una larga eco nelle sedi politiche e sulla stampa nazionale per le polemiche sulla possibile e temuta “militarizzazione” dell’Isola sarda. A togliere i dubbi furono proprio le stragi mafiose in cui persero la vita il magistrato Giovanni Falcone ed il giudice Paolo Borsellino a proporre come essenziale la presenza dell'Esercito in operazioni militari sul nostro territorio, a garanzia della giustizia e della pace, soprattutto in alcune regioni a rischio del Mezzogiorno.54 __________________________ 53 Si ricordano le stragi di Capaci (23 Maggio 1992) e di Via D’Amelio (19 Luglio 1992), in cui persero la vita, dopo due attentati di stampo mafioso, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. 54 Tra le operazioni militari, a garanzia della giustizia e della pace, condotte in alcune regioni del Sud Italia in quegli anni si ricordano: “Vespri Siciliani”: Sicilia, dal 25 luglio 1992 al 8 luglio 1998; “Riace”: Calabria, 2 febbraio 1994 - 15 dicembre 1995; “Partenope”: Napoli, 18 febbraio 1994 - 15 dicembre 1995, ripresa il 14 luglio 1997 fino al 30 giugno 1998; “Salento”: Costa pugliese, 10 maggio 1995 - 3 novembre 1995. Solo con il tempo, il successo di tali interventi ha convinto sempre di più i nostri politici a credere nelle capacità operative e nelle risorse di valori umani presenti nelle nostre Forze Armate. La fine del sistema bipolare, il mutamento del ruolo delle alleanze, la crescita dell’Unione Europea nell’ottica di soggetto politico internazionale, lo stato di perenne instabilità di alcune aree del pianeta ed un corso economico improvvisamente incerto hanno condotto ad un cambiamento celere il nostro Esercito. Tutte le certezze che prima si fondavano su di esso, si sono proiettate in una realtà instabile di cui l’Esercito stesso ne è parte integrante. L’uso delle tecnologie più moderne ha anche diffuso la convinzione di poter annullare praticamente i danni collaterali, arrivando in pochissimo tempo al cosiddetto “conflitto a costo zero”. Nella “nuova identità” appartenente all’Esercito, vi è la presenza di quel fattore determinante che considera le Forze Armate Italiane come strumenti concreti ed efficaci per la risoluzione delle crisi, non considerandole più quindi come ultimo disperato baluardo a cui ricorrere in caso di necessità. Il ricorso all’uso degli strumenti militari in operazioni all’estero, negli ultimi anni, lo si è visto per sedare il conflitto interno in Somalia, per fermare i genocidi del Congo e della ex Jugoslavia, per favorire i processi di pacificazione già avviati come in Mozambico. Inoltre, nell’ultimo ventennio, l’Esercito ha riscoperto la sua “nuova identità” grazie anche alla copertura mediatica degli ultimi conflitti. L’Esercito stesso, è stato rivisto per l’impiego dei propri fini operativi, nella sua struttura ordinativa, nelle competenze, nella dottrina, nelle procedure, nell’addestramento, nei mezzi, nell’equipaggiamento e nel reclutamento. Inoltre ha anche riscoperto il nuovo atteggiamento mentale di “Esercito completo” con l’ingresso della componente femminile nel 1999. Il Nuovo Modello di Difesa e la situazione futura della Forza Armata Italiana sembra orientato all’uso delle più moderne tecnologie disponibili. L’uso delle tecnologie appare il mezzo più sicuro per la risoluzione di ogni crisi, in maniera rapida e senza dover pagare alcun costo (o quasi) in termini di vite umane. L’orientamento dell’Esercito vuole sempre restare saldo nei propri principi e fedele all’orientamento delle tradizioni ereditate dalla cultura del nostro Paese. Nella nostra Costituzione, la guerra è ripudiata (art. 11) come lo è nell’opinione pubblica ed in tutte le civiltà più avanzate. Le notizie di massacri e le immagini cruente che i mass media ci offrono quotidianamente, ci impongono di intervenire per non restare come spettatori impassibili dinanzi al delitto che si consuma sotto i nostri occhi. La “nuova identità” dei nostri uomini e delle nostre donne con le stellette è impostata su interrogativi morali e di coscienza su chi deve decidere l’intervento militare, su chi deve combattere e su quali sono le azioni militari migliori da rivolgere alla miglior causa. I militari italiani sanno benissimo che nessun conflitto può garantire che ci siano “zero morti” tra le proprie fila o parte avversa, ma sanno benissimo che non ci si può nemmeno arrendere di fronte all’inevitabilità della guerra. Sono coscienti, quindi, del fatto che utilizzando tutti gli strumenti della mediazione politica e diplomatica per scongiurare il conflitto armato (folle ricompensa per chi riesce a raggiungere la stupidità delle bestie), qualora ciò non fosse possibile sanno di dover intervenire per ridurre il più possibile la sua portata. E’ questa la “guerra difensiva” (termine moderno per indicare non solo la difesa del proprio territorio, ma anche la difesa dei diritti civili delle popolazioni oppresse nel Mondo). Fu proprio Giovanni Paolo II ad utilizzare il termine “ingerenza umanitaria”, ritenendo che fosse legittimo e persino doveroso impegnarsi con iniziative concrete per disarmare l’aggressore.55 E’ questa quindi la linea italiana di fronte al proprio intervento armato in operazioni militari per il supporto della pace. Questa linea prescinde però da quegli elementi religiosi che possano aver influenzato la cultura del nostro Paese, perché la natura pacifica del nostro Esercito è oggi un valore interculturale. Con i vari flussi di immigrazione raccolti dal nostro Paese negli anni precedenti, l’Italia si trova oggi ad avere nelle proprie Forze Armate individui provenienti da culture straniere, ma che per cittadinanza acquisita per nascita sono italiani. L’Italia multietnica di oggi presenta un Esercito vario ed infuso di tanti elementi culturali ed il cui valore principale, nonché obiettivo fondamentale da conseguire è la Pace. Proprio la stessa pace, l’armonia, la concordia favorita tra gli stessi membri dell’Esercito, tramite l’intercultura, costituisce la virtù ed il cardine fondamentale su cui fondare l’etica e la “nuova identità” del soldato italiano. Solo chi è in pace con se stesso può essere in pace con gli altri; e la pace che si è favorita nel mondo negli ultimi anni, in quei territori martoriati dall’umana catastrofe, è stata anche merito di persone italiane in uniforme che hanno saputo dare il buon esempio con la propria cultura militare della pace. _________________________ 55 Giovanni Paolo II, “Messaggio per la Pace”, 1-1-2000. L’Italia è un Paese che non può assistere ai massacri contro popolazioni inermi, facendo finta che lo stato di guerra non sia già in atto. A tal proposito, l’Italia si impegna a rispettare quelle regole di ingaggio che siano fedeli al rispetto delle norme del Diritto Internazionale e della propria Costituzione. Le possibilità offerte dalle nuove tecnologie hanno migliorato le capacità di sorveglianza, di controllo e di identificazione dei bersagli. Hanno inoltre migliorato la selettività, la precisione e la portata delle armi, tali da rendere l’intervento armato quanto più preparato e predisposto ad essere il più indolore possibile. Non possiamo di certo illuderci che una “guerra giusta” con fini umanitari possa non avere delle vittime. L’obiettivo principale è quello di evitarle: alto compito a cui l’Esercito Italiano è chiamato ad assolvere come “dovere morale”, perché rientrante nella sua etica. Purtroppo però, i soldati italiani sanno benissimo che ogni sorta di guerra comporta un costo molto caro, innanzitutto immorale e sanno benissimo che come sosteneva Giovanni Paolo II che “con la guerra è l’umanità a perdere”. In guerra, infatti, non ci sono né vincitori né vinti perché, fondamentalmente, ognuno dei partecipanti vi perde qualche cosa. Ma nella società attuale che vede una varietà di conflitti ancora in corso, è necessario promuovere una cultura della solidarietà dove la pace, per poter essere garantita, necessita di strutture politiche sopranazionali davvero efficaci nell’arginare possibili sopraffazioni. L’Esercito Italiano, ben consapevole delle proprie tradizioni e della propria cultura, si propone con la sua “nuova identità” che supera ogni forma di nazionalismo per aprirsi ad una convivenza più solidale ed accogliente, distinguendo tra sentimenti nazionali positivi (patriottismo) e negativi (nazionalismo). Ogni soldato italiano si sente quindi impegnato secondo le proprie responsabilità ad operare per la pace, offrendo il proprio servizio alla Patria e all’Umanità intera come un servizio alla Pace, dove il dovere e il diritto d’ingerenza per disarmare chi vuole uccidere non è incoraggiare la guerra, ma impedirla. La tecnologia, a sua volta, giocherà un ruolo fondamentale per contribuire al mantenimento della pace che va costruita giorno per giorno, ora per ora, attimo per attimo. Investire quindi in tecnologia non è un lusso, ma una necessità dell’Esercito. Nella “nuova identità” del militare del futuro c’è una piattaforma tecnologica digitalizzata che consentirà di impiegare l’essere umano in uniforme come un sistema d’arma integrato e completo, con sistemi di comunicazione e localizzazione a livello individuale, capacità di direzione e gestione del fuoco proveniente da diverse sorgenti, sistemi di protezione balistici ed NBC efficaci, uniformi ed equipaggiamento confortevoli e adatti ad ogni tipo d’ambiente. Il nuovo Esercito di oggi non è più quello di un tempo che veniva tollerato dalla società. Oggi l’Esercito offre un forte impulso alle attività di reclutamento, sia in termini quantitativi che qualitativi. Offre persone preparate al dovere professionale anche in campo sportivo, con attività di reclutamento che hanno permesso di arruolare atleti di primo piano, che hanno portato i nostri “colori” ad essere difesi nelle più importanti competizioni nazionali ed internazionali, rafforzando, così, ulteriormente l’osmosi dell’Istituzione militare con la Società. Il nuovo Esercito di oggi è fatto per uomini e donne che hanno spirito di servizio e sentimento nazionale. Siamo tutti militari, inclusi coloro che non vestono l’uniforme ma che amano la Patria alla stregua dei militari stessi. Il nuovo Esercito di oggi è destinato ad essere sempre più amato, proprio perché maturato rispetto alle difficoltà e alle diversità dell’Esercito di ieri, fatto per gente che aveva voglia di servire la Patria e per gente che non ne aveva voglia. Solo abbattendo, oggi, il muro del “parassitismo statale” e fondando la propria dottrina sui valori morali condivisi dalla Forza Armata; adeguando il fattore umano alla realtà in continua evoluzione, si vedrà il soldato del futuro chiamato a vincere le difficili sfide che lo attendono, presentandosi quest’ultimo sempre più motivato e preparato ed in possesso di solidi valori etici e morali. Attualmente, la cultura militare italiana si propone come l’insieme di regole, tradizioni, comportamenti, avvenimenti storici del popolo italiano che sono la diretta espressione della civiltà di quest’ultimo. In virtù di tutto ciò scaturisce quella “nuova identità” tanto discussa che vede i militari italiani, da sempre, protagonisti nella custodia dei valori del proprio Paese. BIBLIOGRAFIA AA.VV., Basaglia F. e Basaglia Ongaro F. 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