Vietato obbedire: un libro sul `68 a Trento - Riviste
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Vietato obbedire: un libro sul `68 a Trento - Riviste
memoria Il giornalista Concetto Vecchio. F Fino al 1968 nelle università italiane Marx era largamente ignorato. E con lui i classici della sociologia, giganti del pensiero moderno come Comte, Spencer, Pareto. Fino al 1968 per una donna tradire il marito in Italia è ancora un reato; il marito invece può avere una relazione, purché l’”altra” non viva sotto il tetto coniugale. L’aborto è vietato ma è largamente praticato per vie clandestine: un milione di volte all’anno secondo una statistica dell’epoca, tre milioni secondo un’altra; ne muoiono annualmente circa 100 donne. È questo, o almeno, è anche questo, il contesto nel quale si svilup48 Vietato obbedire: un libro sul ’68 a Trento pa, nel capoluogo trentino, la stagione “epica” della prima Facoltà di Sociologia d’Italia, come descritto da un giornalista trentino di origini catanesi, Concetto Vecchio, nel libro Vietato obbedire (Bur, pp. 252, euro 8,60): un volume godibilissimo, che ha conosciuto un immediato successo. Sociologia a Trento attirerà docenti da ogni parte d’Italia, da Francesco Alberoni a Romano Prodi, da Norberto Bobbio a Pietro Scoppola; produrrà conflitti, a volte durissimi, ma anche grandi aperture. Siamo in un’Italia che sta cambiando – sul piano economico, sociale, culturale – ma che al tempo stesso è ancora chiusa, immobile, inchio- data a riti superati, a leggi e morali che non reggono più. E siamo, ovviamente, sulla soglia degli anni di piombo, che però a Trento non verrà ancora superata. Ai suoi esordi, nel novembre del 1962, Sociologia conta 224 studenti iscritti; nel 1971 (il libro di Vecchio arriva fin qui) ne conta oltre 4.000, tanto che non ci sono più soldi nelle casse della Provincia per pagare i presalari, e in città esplodono bombe, sfiorando la strage. Di questo e altro abbiamo parlato con l’autore. Vecchio, innanzitutto non è strano che un libro così non fosse anil Trentino Il giornalista Concetto Vecchio ripercorre la storia della nascita della Facoltà di Sociologia e della contestazione studentesca di Marco Pontoni, immagini di Giorgio Salomon cora stato scritto? In fondo gli anni di Sociologia sono “l’altra cosa” per cui Trento è famosa, assieme al Concilio. Erano già stati pubblicati altri testi, ma in genere di carattere più celebrativo, non libri come questo, destinati al vasto mercato. Qualcuno, come Paolo Sorbi, che oggi vive a Milano, ha cercato addirittura di dissuadermi, dicendo che non avrebbe interessato nessuno. Invece sono stato incoraggiato dal mio giornale, il “Trentino”, per il quale avevo iniziato ad occuparmi del ’68 per la realizzazione di uno speciale, e dal periodico “Diario”. Quale è stata la reazione dei protagonisti del ’68 di fronte al progetto? In generale all’inizio di diffidenza, verso qualcuno che non apparteneva alla loro generazione – ho 34 anni – ma è stata una diffidenza sana, che mi ha indotto ad essere ancora più rigoroso nel ricostruire i fatti nel loro esatto ordine. Perché poi la fatica maggiore è stata questa: senza l’archivio tenuto da Sergio Mozzi su tutti gli articoli di giornale usciti per vent’anni su Sociologia, ad esempio, credo non ce l’avrei mai fatta. il Trentino Il libro contiene dei ritratti molto vividi dei protagonisti della contestazione. Cominciamo da Mauro Rostagno, che ne emerge come una sorta di incrocio fra Jim Morrison e Che Guevara: grande carisma, e grande carica seduttiva. Rostagno era una persona molto complessa e profonda. Il leader naturale del ’68 trentino. È uno dei pochi che dopo la stagione della contestazione non ha “fatto carriera”, e forse anche questo per certi ver- Corteo in via Suffragio (in seconda fila con gli occhiali e barba Mauro Rostagno). Nella pagina accanto, una manifestazione davanti a Sociologia. In alto, tensioni durante il "controquaresimale". si è un suo merito. Dopo Trento ha avuto molte vite: Lotta Continua, la comune di Macondo, l’India degli Arancioni. Infine, si impegnò nella lotta alla droga in quel contesto terribilmente difficile che è Trapani, e nel 1988 com’è noto venne ucciso, 49 secondo me dalla mafia, non mi pare che la pista interna alla comunità Saman abbia dato grandi frutti. Per Rostagno la stagione di Trento ha rappresentato il momento più fecondo, anche sul piano dell’elaborazione intellettuale. Renato Curcio sembra un po’ il contrario. Serio, persino intimidito dall’ambiente universitario. Molto innamorato di Margherita Cagol. Scrivi che una volta ad un convegno si rifiutò di prendere la parola perché non si sentiva preparato, venendo poi bonariamente canzonato da Rostagno. Difficile vedere in lui il futuro fondatore delle Brigate Rosse. Curcio veniva da una storia familiare diversa. Rostagno era di estrazione borghese, anche se a lungo cercò di spacciarsi per un figlio di operai (il padre era un quadro alla Fiat, benché comunista); Curcio è figlio di una ragazza madre, una cameriera di religione valdese, da piccolo venne sbattuto di qua e di là, conobbe il padre, un ex-ufficiale dell’esercito, poi impiegato nell’industria cinematografica, solo a 11 anni, fece vita bohemienne a Genova e arrivò a Trento senza un soldo, finendo a lavorare come cameriere a Sardagna e poi a fare il segretario particolare dell’allora vicesindaco socialista Iginio Lorenzi. Senza la Facoltà di Sociologia di Trento, che accoglieva tutti, previo esame d’ammissione, lui, un perito chimico, probabilmente non avrebbe neanche mai fatto l’università, perché fino al 1969 in Italia c’erano delle barriere per chi non proveniva dai licei. Curcio rimane un mistero anche per molti suoi compagni. Oggi non parla volentieri di quegli anni. Credo che anche per lui il cambiamento importante sia avvenuto dopo avere lasciato Trento, a Milano. Lo spartiacque fu la strage di Piazza Fontana, assieme all’inasprirsi del clima nelle fabbriche. È nel 1969-70 che avviene questo cambiamento radicale, e 50 In alto, manifestanti bloccano la macchina di Saragat, a Trento per il cinquantennale della Grande guerra. Il "controquaresimale" nella chiesa di San francesco Saverio con la contestazione dell'omelia del prete. Nella pagina accanto, cittadini di Trento aderiscono alla prima protesta degli studenti di Sociologia per il riconoscimento del titolo di laurea. che alcuni, come Curcio, cominciano a pensare che bisogna rispondere con le armi allo “Stato parallelo”, quello che compie le stragi. Anche Margherita Cagol è un mistero. Fa impressione il candore della lettera che scrive alla madre nel 1969, che si chiude con quel “ciao mamma, tanti bacioni dalla tua rivoluzionaria!”. Lei era molto giovane, con Curcio si era anche sposata presto. Penso che se non fosse stata uccisa nel ’75 nel conflitto a fuoco con i carabinieri oggi sarebbe una persona completamente diversa. Secondo me avrebbe lasciato le Br, oggi lavorerebbe nel sociale. Ci sono poi altri protagonisti femminili. Chiara Saraceno, Marianella Pirzio Biroli… In quegli anni Trento diventò la capitale italiana del femminismo. La prima “comune delle donne” è nata in un appartamento di via Belenzani. Ci sono passati personaggi importanti. Chiara Saraceno, che oggi insegna a Torino (suo marito, Gian Enrico Rusconi, è anche il direttore dell’Itc-isig, ndr) aveva 27 anni, era un po’ più vecchia delle sue studentesse. Così era un po’ mamma, un po’ docente, il Trentino Il sogno di Kessler un po’ “compagna”. È stata la prima in Italia a tenere un corso su Marx, su impulso di Alberoni, all’epoca direttore dell’Università, con i pieni poteri ottenuti da Kessler. Marianella, anch’essa oggi docente, al Politecnico di Milano, è meno conosciuta: una ragazza di estrazione borghese, cosmopolita, che era stata in America e aveva scelto l’iscrizione a Sociologia in piena consapevolezza. È stata un’altra figura importante del ’68 trentino; e fu protagonista di una storia d’amore tormentata con Rostagno. Un leader studentesco è stato Marco Boato. Anche lui, come molti studenti universitari, proveniva da una famiglia economicamente modesta. Non era una cosa impensabile, fino a qualche anno prima? Sì, basti pensare che nel 1968 l’83 per cento degli studenti iscritti a Socioloil Trentino gia provengono dagli istituiti tecnici, e appena il 17 per cento dai licei, che prima erano il viatico obbligato all’università. Molti di loro, se non ci fosse stata Sociologia, che anticipò i tempi della “liberalizzazione”, non avrebbero neanche mai raggiunto la laurea. In quegli anni si affaccia sulla scena accademica un ceto sociale completamente nuovo. Boato veniva da una famiglia umile - il padre era capomastro – ma di una certa cultura, abbonata al “Mondo” di Pannunzio e al “Ponte” di Calamandrei. Lui è sempre stato il primo della classe, ha vinto premi, concorsi. Boato è un’altra figura complessa: ha scontentato tutti, sia prima che dopo il ’68, ma è rimasto a galla, e probabilmente per una ragione molto semplice: perché è più bravo degli altri, perché legge di più, studia di più, fa di più. Oggi racconta quegli anni, dei quali fu prota- Fu un politico democristiano di origini solandre, Bruno Kessler, a volere la Facoltà di Sociologia a Trento, come i trentini sanno benissimo. Concetto Vecchio scrive che l’idea nacque nel 1961, ad un convegno sugli squilibri territoriali nell’Italia del nord, a Saint-Vincent. “Kessler ha 36 anni. Fianchi largheggianti. Mani tozze. Una robusta facondia. Un uomo curioso, astuto, inquieto. Imbattibile a morra. Gran cacciatore. Nottambulo, si è laureato in Giurisprudenza a Padova senza mai frequentare una lezione. Figlio della stagione del centrosinistra, coltiva visioni da riformatore moderno. È un democristiano della corrente morotea. Un Kennedy alpino, il cui atto d’esordio da presidente della Provincia è stato quello di reclutare architetti di sinistra per redigere il primo piano urbanistico in Italia. È presidente della Provincia autonoma di Trento dal novembre 1960. È nato il 17 febbraio 1924 a Cogolo di Pejo, in alta Valle di Sole, poco sotto il Tonale, a 80 chilometri da Trento, da famiglia poverissima. Il padre, Giovanni, figlio di bottai di origine austriaca, ha svolto vari lavori precari, fra cui guida alpina a Vermiglio, il suo paese, prima di trovare impiego come magazziniere al cantiere della diga di Pejo. Dalla Grande Guerra, combattuta per l’Austria sul fronte orientale, è tornato malato di polmonite. Bruno è il secondo di quattro figli. I suoi primi ricordi sono del papà affossato in una poltrona che riesce a stento a respirare”.Il Trentino di Kessler all’epoca è la provincia più depressa del Nord Italia, “il Sud del Nord”, come qualcuno la definisce. Ma è anche la zona del paese con il minor numero di analfabeti, l’un per cento, contro il 12 per cento della media nazionale. Il Trentino ha già l’Autonomia (il primo Statuto) ma è “piccolo e solo”, ammonisce Kessler. O trova una sua specificità o muore. Nei primi anni ’60 Trento ha 70 mila abitanti. Quando Kessler comincia a pensare di insediarvi la Facoltà di Sociologia, l’Università Cattolica di Milano ha intenzione di aprire in città una propria Facoltà di Scienze Forestali. Chiunque avrebbe pensato che era quella la scelta da fare, in un territorio coperto in gran parte da boschi. Chiunque ma non Kessler: che ha capito come in Trentino ci sia bisogno di una robusta iniezione di modernità. La sua scelta spiazza tutti, anche i colleghi di Giunta, che un po’ temono la rottura con la Cattolica, un po’ non capiscono a cosa serva la sociologia. Anni dopo, agli albori della rivoluzione informatica, e di internet, in molti si chiederanno a che cosa serva l’intelligenza artificiale, altra disciplina pionieristica, che Kessler porta a Trento con l’Irst. Destino di un uomo che guardava avanti. 51 Un momento dell'inaugurazione dell'Università: il secondo da sinistra seduto è Kessler. gonista – anche con un clamoroso arresto, che scatenò la rabbia degli studenti – con ammirevole distacco. Non ha afflati nostalgici. Ad un certo punto, quando la contestazione tocca il suo acme, c’è chi pensa che l’esperimento dell’Università trentina sia destinato a fallire. Persino il presidente della Provincia Bruno Kessler, che volle fortemente Sociologia, sembra disamorato. E poi i numeri erano cresciuti, per alcuni erano troppo grossi per una piccola città. Invece oggi l’università di Trento è una realtà di successo nel panorama accademico italiano, sempre ai primi posti nelle classifiche nazionali. Oggi l’università di Trento è il cuore della città. Senza l’università, Trento sarebbe infinitamente meno interessante. Sarebbe una città magari ricca, ma di identità più sbiadita. E questo dà forza ad una delle tesi sottese a questo libro: per raggiungere qualsiasi cosa, c’è un prezzo da pagare, un pegno. Anche Trento ha pagato questo pegno. E non mi riferisco al terrorismo, perché io scrivo chiaramente che Trento non è stata la patria delle Br. Però, certo, ci furono traumi, ci furono lacerazioni forti nel corpo sociale del Trentino con l’arrivo di Sociologia. Ma l’università, questa idea geniale scaturita dalla mente di un politico illuminato, che ha sempre difeso la sua creatura, è sopravvissuta a quegli anni. Quindi, tutto sommato, se guardiamo ai risultati odier52 ni, il prezzo pagato da Trento non è stato alto. Oggi le novità maggiori sembrano venire fuori dai contesti tecnico-scientifici piuttosto che da quelli umanistici. Ma perché oggi sono queste le frontiere. Allora invece era Sociologia, una scienza nuova, che non si era mai insegnata prima in Italia. Quando si aprì il primo anno accademico, nel 1962, gli studenti nemmeno sapevano se il loro titolo di studio un domani sarebbe servito a qualcosa. L’università italiana all’epoca era un’università ingessata, crociana, non al passo con i tempi. A Trento si cominciarono a studiare i “classici”, ma si introdussero – non senza dolore – anche altre novità, che modificarono equilibri consolidati dentro agli atenei. Il rapporto fra l’Università e la città negli anni è molto migliorato. Attenzione: all’inizio Trento accolse bene gli studenti, ne era orgogliosa, non è vero che si chiuse o li respinse. Nel ’66, quando ci fu la prima occupazione, che peraltro aveva obiettivi più corporativi, il riconoscimento legale della laurea in Sociologia, appunto, la città condivise le ragioni degli studenti. Cittadini portarono agli occupanti viveri, coperte… E anche dopo, nel gennaio del ’68, quando gli studenti aprono una raccolta di fondi per i terremotati del Belice, la gente dà loro fiducia. Il vero spartiac- que fu il cosiddetto controquaresimale, la contestazione portata in Duomo. Poi ci fu la “sollevazione” degli alpini che picchiarono gli studenti per le proteste organizzate in occasione della venuta di Saragat per il cinquantennale della Grande guerra, e più tardi, nell’aprile del ’70, al termine di un periodo di forti tensioni, gli incidenti che seguono l’arresto di Boato e di altri leader studenteschi. In quella occasione persino don Cristelli si schierò con “L’Adige”, all’epoca quotidiano nettamente contrario al movimento studentesco. La Dc portò in piazza 15.000 persone contro l’Università. Sembrò la sconfessione del sogno kessleriano. Uno degli ultimi episodi raccontati dal libro è la “gogna” a cui vennero sottoposti due dirigenti locali del Msi, Andrea Mitolo, che aveva un passato nella Repubblica di Salò, come ricordato da Giorgio Bocca in un suo articolo molto duro di quel periodo, e Gastone Del Piccolo. Qual è il tuo giudizio su quell’episodio? Dal libro mi pare traspaia che è completamente negativo. Era il 30 luglio del 1970, tutto iniziò con degli incidenti alla Ignis di Gardolo. Due operai vennero anche accoltellati dai fascisti, si diffuse la voce che ci fosse scappato il morto. Ma Mitolo e Del Piccolo non c’entravano, arrivarono alla Ignis proprio per capire cos’era successo. Qui vennero sequestrati e fatti sfilare, fra botte e sputi, fino a Trento, lungo la statale del Brennero, e poi il centro storico, con tazebao appesi al collo. Incredibilmente – ma poi non tanto, visto il clima di quegli anni – nessuno intervenne. Lo considero uno degli episodi più bui di quella stagione, perché fa capire che in tanti era ormai radicata la convinzione che bisognasse farsi giustizia da sé. il Trentino