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Dalle memorie di Bruno Bernini, Co Chiesa" Città: una colonna per

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Dalle memorie di Bruno Bernini, Co Chiesa" Città: una colonna per
Dalle memorie di Bruno Bernini, Comandante del 10° Distaccamento "Oberdan
Chiesa"
«Il
Il 19 luglio del '44, la liberazione di Livorno,
non fu solo un giorno di vittoria e di festa, ma
anche di dure perdite per il 10°
Distaccamento
"Oberdan
C
Chiesa".
Dopo la liberazione del Gabbro, di Nibbiaia e
di Quercianella, ricordo, avevamo concordato
con il Comando Alleato la suddivisione del
Distaccamento in tre colonne, per procedere
con le Forze Alleate alla Liberazione della
Città: una colonna per la via del Romito; una - attraverso il Gabbro - per la via di Popogna;
ed una per la via del Castellaccio, della quale anch'io feci parte.
Partendo da Quercianella - dopo aver salutato i partigiani della altre colonne con un
"arrivederci a Livorno" - mentre procedevamo verso
verso il Castellaccio, ci raggiunse la
drammatica notizia della morte di Ero Gelli, colpito nello scontro con i tedeschi a Castel
Sonnino: dopo Silvano Pizzi, caduto per la Liberazione di Nibbiaia, perdevamo un altro
compagno di lotta, tra i partigiani il più giovane, che più volte avevo richiamato per suo
coraggio imprudente e che sempre, con decisione, mi aveva risposto che "si era unito al
Distaccamento, non per conoscere i partigiani, ma per combattere contro i nazisti e i
fascisti e per liberare il Paese". Ricordando il coraggio suo e di Pizzi con i partigiani che
erano con me, determinati continuammo a procedere a fianco degli americani; ma quando
giungemmo in prossimità del Santuario un'altra sconvolgente notizia ci raggiunse: della
pattuglia di partigiani,i, che ci precedeva con le avanguardie alleate, nello scontro con le
retroguardie tedeschee fasciste, Mario Piccini - un altro giovane partigiano - e Felix
Bikonacki - polacco prigioniero dei tedeschi che, fuggendo, si era unito al distaccamento erano caduti
duti in combattimento.
Era la dura legge della guerra, che ci aveva nuovamente colpito, e ricordai come Piccini e
Bikonacki avevano partecipato alla liberazione del Gabbro e, in quell'occasione, con
Bikonacki vi erano stati duri contrasti. Infatti, il Giusti
Giusti ci aveva informato che nella Caserma
dei Carabinieri, alla periferia del paese, doveva aver luogo una cena dei gerarchi fascisti
con alcuni ufficiali delle S.S. tedesche, per "decidere le misure da assumere per
contrastare l'avanzare delle Forze Alleate":
Alleate": ed era "una buona occasione per colpirli e far
fallire ogni loro criminoso disegno", ci disse il Giusti. Decidemmo, perciò di spostarci in
forze verso il paese e giunti in prossimità della Caserma, che trovammo illuminata e con
grande animazione al suo interno, mentre ci stavamo organizzando per chiedere la resa e
predisporci all'attacco, Felix Bikonacki - improvvisamente - gridando e sparando, cominciò
a correre verso la porta dell'edificio. All'interno successe il finimondo: si gridò "i partigiani",
"spegnete
pegnete le luci"; le luci si spensero, dalle finestre si iniziò a sparare e - con il chiaro di
luna - divenimmo un facile bersaglio.
Per ripararci, ci spostammo rapidamente dietro alcune siepi vicine, per poi da lì predisporci
nuovamente all'attacco. Nel frattempo,
frattempo, nella Caserma si era fatto silenzio, quando
chiedemmo la resa, nessuno rispose e continuando il silenzio - sparando alle finestre per
coprirci - ci dirigemmo di corsa verso la porta: la trovammo aperta, all'interno due fascisti ci
vennero incontro
o con le mani alzate, mentre tutti gli altri erano fuggiti dalla porta sul dietro
della Caserma, della cui esistenza non eravamo affatto informati. Ricordo, sconcertati
pensammo di aver fallito l'impresa, "la responsabilità è di Bikonacki", ripeteva Piccini
Piccin e con
lui altri partigiani; e amareggiati, con i due prigionieri, riprendemmo la via del ritorno,
preoccupati per le possibili rappresaglie tedesche e fasciste sulla popolazione. Ma, arrivati
a Quarrata, mentre stavamo discutendo sul da farsi, ci raggiunse nuovamente il Giusti
che, gridando "abbiamo vinto", c'informò che "i tedeschi, dopo l'attacco della notte,
avevano abbandonato il paese e tutti i gerarchi fascisti li avevano seguiti con armi e
bagagli".
Per Bikonacki fu una liberazione, annuendo, mi guardò commosso e volle con Piccini e
con noi tornare in paese, ove al nostro arrivo la gente ci accolse festante: i tedeschi e i
fascisti erano stati costretti a fuggire, il Gabbro era libero!
Ricordai quel dissenso e poi - con l'annuncio del Giusti - quella commozione di Bikonacki e
il suo riappacificarsi con Piccini: e ricordando soprattutto il loro sacrificio, con
determinazione continuammo ad avanzare a fianco delle Forze Alleate e, scendendo per
la via delle antiche Grotte, arrivammo sulla Piazza del Santuario e poi, tra la folla che ci
applaudiva e salutava gli americani, raggiungendo Piazza delle Carrozze.
La Città era ormai vicina, tra i partigiani cresceva la tensione e l'entusiasmo, ma "si
doveva avanzare con prudenza", ci dissero gli americani, "ritirandosi, i tedeschi lasciavano
sul terreno oggetti esplosivi, che bisognava eliminare, per impedire altre morti". Inoltre,
fummo informati che i tedeschi "avevano minato il ponte di Ardenza, per farlo saltare al
passaggio delle Forze Alleate". Intanto, anche dei partigiani si davano da fare per aiutare i
soldati americani nella ricerca degli oggetti esplosivi. Poi, giunse la notizia che una
Squadra d'Azione Patriottica - guidata da Ettore Borghi - aveva proceduto allo sminamento
del ponte: la strada era ormai sicura e riprendemmo ad avanzare verso la Città. Quando
arrivammo all'Ardenza, trovammo le prime macerie della guerra, che aveva distrutto il
Centro cittadino, e tanta gente che ci accoglieva festante. Intanto, applauditi, stavano
arrivando anche dei partigiani delle altre colonne, dal Romito e da Popogna e da questi,
raccontandogli dei nostri caduti, apprendemmo che anche Lanciotto Gherardi Commissario politico del nostro Distaccamento - era morto: colpito da una scarica di mitra,
mentre stava soccorrendo il partigiano Lotti, ferito nello scontro con le ultime retroguardie
tedesche e fasciste.
Per questo, il 19 luglio del '44, partecipai alla festa della gente che, obbligata dai
bombardamenti a sfollare, tornava nella Città liberata, ma con il ricordo vivo di Pizzi caduto per la liberazione di Nibbiaia - e di Gherardi, Bikonacki, Piccini e Gelli che,
partigiani del 10° Distaccamento, quel giorno - combattendo a fianco delle Forze Alleate erano caduti per liberare Livorno».
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