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Perls e Jung
Uno, nessuno e centomila 191 Perls e Jung Riccardo Zerbetto, Siena Premessa Non è infrequente, ed anzi è sempre più frequente, assistere a forme di ibridazione tra lapproccio gestaltico e quello analitico-jungiano o archetipico. Tale fenomeno non apparirebbe legittimarsi sulla base di riferimenti esplicitamente indicati dai Padri dei due diversi indirizzi. Anzi. Nel caso di Perls è dato riscontrare una esplicita preclusione nei confronti di Jung quando nel suo primo libro LIo, la fame e laggressività1, in modo esplicito contesta leccessivo allargarsi su temi dubbi da parte di Jung e Rank nonché il vagare nelle regioni del misticismo a proposito di Jung con il suo speciale sviluppo della teoria della libido e la sua concezione sullInconscio collettivo. Daltra parte, seppure non siano rintracciabili in Jung riferimenti espliciti alla figura e allopera di Perls, è possibile tuttavia ritrovare alcuni spunti espliciti fatti da Hillman che del pensiero junghiano può indubbiamente considerarsi uno dei maggiori interpreti quando, citando espressamente la Gestalt (ma confondendo tuttavia psicologia con terapia) afferma come Lo sforzo per differenziare limmaginale in epoca moderna ha inizio nel 1916 con limmaginazione attiva, il metodo ideato da Jung per impegnare le persone della psiche in un dialogo diretto. Da allora, altri in psicoterapia hanno seguito questa strada: basta pensare alle tecniche messe a punto da Desoille, Leuner, Assagioli e Gerard, e allapproccio al sogno della psicologia 1 Perls, F., 1947, LIo la fame e laggressività, Franco Angeli, Milano, 1995. 192 Riccardo Zerbetto della Gestalt. Il merito di tali discipline sta nel fatto che esse incoraggiano lesplorazione del mondo interiore e riconoscono lesistenza delle nostre molte parti2. Lo spazio limitato non ci consente di esaurire il tema riguardante le similitudini e le differenze tra lapproccio gestaltico e quello junghiano-hillmaniano, ma cercheremo di evidenziare alcuni aspetti significativi di questo confronto, sia a livello di presupposti epistemologici che di prassi terapeutica. Il sogno La citata espressione di Hillman richiama da vicino la definizione di Perls a proposito del lavoro sul sogno: Tutti i differenti elementi del sogno sono dei frammenti della personalità. Essendo il fine di ciascuno di noi divenire una personalità sana, vale a dire unificata, si tratta quindi di mettere insieme i diversi elementi del sogno. Dobbiamo riappropriarci degli elementi proiettati, frammenti della nostra personalità e recuperare quindi il potenziale contenuto nel sogno. Descrizione che richiama in modo molto fedele il richiamo di Hillman: Nellapproccio della Gestalt si penetra empaticamente in ciascuna persona e scena dun sogno o duna fantasia e si arriva a riconoscere che sì anche questo è nostro3. La differenza, semmai è nella tecnica utilizzata e che, nel caso dellapproccio junghiano fa più spesso riferimento alla interpretazione e alla evocazione archetipica che trova rispecchiamento della situazione presentata dal paziente. Nellapproccio gestaltico, lapproccio verbale dialogico viene spesso abbandonato (in quanto giudicato da Perls come aboutism o intornistico nel senso di girare attorno al tema posto) a favore di una modalità di approccio che si propone un vissuto a livello più olistico della 2 3 Hillman, J., 1975, Re-visione della psicologia, Adelphi, Milano, 1983, p. 87. Ibidem, p. 87. Perls e Jung 193 persona, una Erlebnis e non solo un insight (che rimanda ad una acquisizione prevalentemente cognitiva e della situazione in oggetto), un accadimento che si cerca di far avvenire nel presente, nel qui-ed-ora della situazione data. La metodologia generalmente impiegata è quella della drammatizzazione che, nello stile gestaltico, privilegia il monodramma rispetto allo psicodramma che notoriamente prevede lassegnazione a più partecipanti del gruppo dei diversi ruoli in rappresentanza dei personaggi che compaiono nel sogno. Si chiede infatti al cliente di agire le parti del sé in gioco alternativamente (assumendo cioè le diverse parti in successione e attivando tra le stesse linterazione dialogica) con il vantaggio di trasformare, come direbbe ancora Hillman, una psicodinamica in una psicodrammatica. Chi ha esperienza di un buon lavoro gestaltico non può negare la notevole efficacia di un simile approccio che permette di attualizzare i vissuti del cliente in un presente (e non in una dimensione temporale altra) nel quale unicamente esistiamo interamente con i nostri pensieri, emozioni, corpo e fantasie. Il lavoro sulle polarità, che in genere emergono nella interazione dialogica tra le parti del sé trova supporto teorico nella concezione junghiana che va oltre linterpretazione freudiana sul significato del sogno come soddisfacimento allucinatorio di un desiderio insoddisfatto. Il sogno rettifica la situazione. Apporta ciò che manca per completare il quadro e così facendo migliora latteggiamento. È questo il motivo per cui abbiamo bisogno dellanalisi dei sogni nella nostra terapia. ( ) a mio modo di vedere tutti i sogni sono compensatori rispetto al contenuto della coscienza ( ) il sogno contribuisce allautogoverno psicologico4. Di qui il valore divinatorio che lumanità ha sempre riconosciuto al sogno e che ha trovato espres4 Jung, C. G., 1916-1948, Considerazioni generali sulla psicologia del sogno, in Opere, vol. VIII, Boringhieri, Torino, 1980, p. 268. 194 Riccardo Zerbetto sione in tradizioni millenarie come la incubazione e la oniromanzia. Non dimentichiamo che la pratica più diffusa di diagnosi e terapia nei templi-ospedali dellantichità greca, gli asclepei, si fondavano appunto nellinterpretazione del sogno come fonte di conoscenza sulla natura del male e quindi di indicazione su come curarlo.5 Anche in Gestalt, siamo invitati ad identificarci nelle diverse parti (personaggi o anche oggetti che, sempre per seguire Hillman vengono personificati) del sogno, ad entrare nella esperienza fisica ed emotiva delle parti. Così facendo, favoriamo un processo di graduale assimilazione ed integrazione delle parti scisse e che il sogno ci presenta come altro da sé, compensiamo con una riappropriazione (re-owning) ciò che dalla identità egoica e cosciente era alienato. Si tratta di uscire, dunque, dalla dittorialità mono espressiva di una parte (quella in cui si identifica lEgo) per accedere ad una nuova esperienza di bi-valenza o multi-valenza (coerentemente ad una dimensione che accoglie le diverse parti del sé) per consentire una pluralità democratica delle voci che ci abitano. In tal senso lapproccio non-interpretativo perseguito dalla Gestalt si salda con lottica junghiana nel senso che le immagini non vanno interpretate nel senso di riportarle ad una logica razionalista di stampo egoico. Dal punto di vista finalistico le immagini oniriche sono importanti di per sé, nel senso cioè che recano in se stesse il significato grazie al quale emergono nel sogno. ( ) il simbolo nel sogno non nasconde, ma insegna. Anche in Gestalt, lapproccio fenomenologico porta a vedere nel sogno quello che si evidenzia (il fenomeno, appunto) che non nasconde necessariamente (un noumeno inteso come il suo vero significato) ma si offre per quello che è. In questo senso lo stare con quello che cè implica una valenza emozionale non meno importante della componente cognitiva e consente di vivere questa esperienza ed esperirne linsegnamento. Chi 5 Ibidem, p. 285. Perls e Jung 195 meglio del significante può sapere quale è il significato che porta? Tornando ancora a Jung: Tutta la creazione onirica è sostanzialmente soggettiva, e il sogno è un teatro in cui chi sogna è scena, attore, suggeritore, regista, critico, autore e pubblico insieme. Questa semplice verità è la base della concezione del significato del sogno da me definita con il termine di interpretazione al livello del soggetto. Come dice il termine, questa interpretazione concepisce tutte le figure del sogno come tratti personificati della personalità di chi sogna.6 Quando lavoriamo un sogno in Gestalt partiamo da questo punto, ma la strada che percorriamo muove dallinterpretazione (che presuppone un soggetto-terapeuta che dà la sua lettura su un oggetto-cliente che è tenuto ad accoglierla) ad un coinvolgimento più diretto e responsabile del cliente che è chiamato ad essere quanto più possibile soggetto dei suoi vissuti, anche se problematici, identificandosi, ad esempio, con il persecutore e non solamente con la vittima in cui primariamente può identificarsi. Se il sognatore è scena, attore, suggeritore, regista, critico, autore e pubblico insieme, entriamo in questa consapevolezza e la viviamo. Invece di interpretare, ne facciamo oggetto di un percorso esperienziale. Il complesso e la gestalt Un aspetto di rilevante differenziazione e nel quale sono meno incline a identificarmi con le posizioni di Jung ed Hillman è il riconoscimento di una sorta di esistenza autonoma degli archetipi e che, in qualche modo, precedono lesperienza umana individuale. Dato che gli archetipi, come tutti i contenuti numinosi, sono relativamente autonomi, essi non possono essere sem6 Jung, C. G., 1934, Gli archetipi dellinconscio collettivo, in Opere IX/1, Boringhieri, Torino, 1980, p. 38. 196 Riccardo Zerbetto plicemente integrati in modo razionale, ma richiedono un procedimento dialettico, ossia un vero e proprio confronto, spesso condotto dal paziente in forma dialogica7. Personalmente ritengo che le realtà archetipe si situino nella cosiddetta terra di mezzo, tra dimensione soggettiva (individuale) ed oggettiva (del mondo oggettivo, reale). Esprimono, semmai, una dimensione di soggettività condivisa che, in quanto tale, supera la dimensione delle mera soggettività acquistando attributi di riconoscibilità e rispecchiamento intersoggettivo più o meno universalmente condiviso. La apparizione di immagini oniriche così ben definite e tali da apparire in tutto come persone (in tutto simile a lui nella forma e nel vestito come dice Omero delleìdolon di Patroclo che appare in sogno ad Achille) pone un quesito di non facile soluzione se non si vuole aderire alla ipotesi che le anime siano appunto entità dotate di una loro specifica individualità, seppure incorporea, e che come tali godano di vita propria pur svincolate dal quel supporto corporeo che ha permesso loro di evolversi sino a sviluppare quella forma nella quale le abbiamo conosciute. In ogni caso, ci ricorda Hillman, la psychè gode di questa peculiare prerogativa, appunto, di personificare, di dare forma di persona ad un insieme di elementi costitutivi fino a farne una creazione dotata di una sua coerenza interna a cui poter riconoscere lo statuto di persona. Un po come uno scrittore o un drammaturgo riescono a creare personaggi fortemente caratterizzati e che hanno talvolta una grande fortuna nella loro possibilità di rappresentare presenze che vivono potenzialmente nellimmaginario di molti (se non tutti) gli esseri umani ma a cui lartista riesce a dare un volto, unanima. Come già suggeriva Gorgia da Leontini, i personaggi del teatro (noi diremmo della fiction) possono essere più reali di quelli storicamente esistiti. 7 1991. Perls, F., 1969, Qui ed Ora. Psicoterapia autobiografica, Ed. Sovera, Roma, Perls e Jung 197 Merita, a questo punto, inserire un concetto che ritengo fondamentale e richiamato con grande autorevolezza da James Hillman. Nella sua Re-visione della Psicologia ci richiama al fatto che la psychè, se analizzata nellespressione che la definisce in modo più autentico e cioè nella poiesis onirica, non si esprime primariamente attraverso nessi logico-formali di tipo concettuale ed astratto, ma attraverso un linguaggio di immagini. Non solo: la psychè personalizza, drammatizza e patologizza. Se noi osserviamo un sogno, in effetti, osserviamo che lo stesso si esprime in eventi interattivi tra personaggi o elementi comunque animati. Questo processo di personalizzazione rappresenta unoperazione morfogenetica di natura squisitamente gestaltica a cui si dà generalmente la definizione di Gestaltung o morfogenesi. La psychè, in altri termini, mette insieme degli elementi riassumendoli in una configurazione di senso unificante (gestalt, appunto, che rappresenta quel più della somma delle parti che definisce i particolari rapporti reciproci tra le parti stesse) e cui spesso viene associato un termine identificativo ed una specie di intenzionalità intesa come capacità di agire motu proprio. Tale fenomeno è in parte adombrato, seppure in modo più intuitivo che descrittivo, da Perls che tuttavia stenta a dare una spiegazione convincente di cosa sia una gestalt, una forma-struttura cioè dotata di coerenza interna e, in qualche modo, autogenerantesi: Una Gestalt è un fenomeno irriducibile. È unessenza che cè e che sparisce se si frammenta il tutto nelle sue componenti. Alla domanda (chiara e confusa insieme, a mio parere, e tipica dello stile iperconcettoso, conglutinato e semanticamente discutibile di Perls) se non esiste dunque la possibilità di un orientamento ontico nel quale Dasein il fatto ed i mezzi della nostra esistenza manifesta se stesso, comprensibile senza spiegazioni io non esito a rispondersi con un cè sì! Per quanto possa sembrare sorprendente, viene da una direzione che non ha mai preteso lo status di filosofia. Viene da una scienza ben nascosta nelle nostre 198 Riccardo Zerbetto università; viene da un approccio che si chiama: psicologia della Gestalt. Gestalt è quindi, nella concezione di Perls, qualcosa che va al di là di un concetto inerente le leggi della percezione e della psicologia. È una filosofia e ancora di più: Gestalt! Come posso far capire che la Gestalt non è solo un altro concetto fabbricato dalluomo? Come posso dire che la Gestalt è, e non solo la psicologia, qualcosa che è inerente alla natura? Sembra qui di alludere alla Gestalt come a qualcosa che inerisce la struttura stessa della realtà, la natura delle cose.8 La personalità ombra e il dia-logo tra le sottopersonalità Lincontro con sé stessi significa anzitutto lincontro con la propria Ombra. LOmbra è in verità come una gola montana, una porta angusta la cui stretta non è risparmiata a chiunque discenda alla profonda sorgente. Se lanima è una successione di immagini, come suggerisce Jung, si tratterà di evocare queste immagini e riconoscere loro il significato nel contesto della nostra storia personale al confronto con la realtà con cui le nostre individualità sono entrate in contatto, in rapporto di collisione/collusione. Una delle prerogative del lavoro gestaltico sottolinea Fritz Perls sta infatti nellevocazione immaginale, un atteggiamento che rappresenta di più di una semplice tecnica e che si avvale di metodi specificamente mirati a dare voce, o meglio, immagine, ai contenuti di coscienza. Lidentificazione con il contenuto immaginale consente di lavorare sui processi primari in presa diretta, prima che vengano canalizzati attraverso filtri cognitivi9. Analizzare significa lavorare con le parti di Dioniso sottolinea Giorgio Antonelli. Le parti di Dioniso sono i 8 Perls, F., 1973, Lapproccio alla Gestalt Testimone oculare della terapia, Astrolabio, Roma, 1977. 9 Antonelli, G., Origini del fare analisi, Liguori, Napoli, 2003, p. 110. Perls e Jung 199 complessi, siamo noi, noi siamo parti di Dioniso. Nellottica di questo lavorare con Dioniso, che è lanalisi, si rende anche possibile considerare brevemente il cuore pulsante della tecnica analitica junghiana: limmaginazione attiva. Per più versi mi sembra di poter definire questa tecnica dionisiaca. Intanto per la sua complessità e, insieme, mistericità e, soprattutto, per il suo debordare dalla coscienza allo scopo di allargarla (di qui la già citata definizione data da Jung di psicosi anticipata). Nellimmaginazione attiva si tratta dun fare frammentazione, dun entrare in dialogo con le proprie immagini interiori, con le proprie parti, i propri complessi10. Alla dimensione dionisiaca va tuttavia associata una altrettanto importante componente apollinea. Il processo della analisi va infatti accompagnato ad un successivo procedimento di sintesi delle disperse membra (di Dioniso) affinché lorganismo originariamente scisso possa ritrovare anima in una nuova composizione del sé, in una nuova forma di vita più integrativa nelle quali le varie forze in gioco si compongano in una dimensione più sinergica e meno contrappositiva, in una dimensione olimpica cioè dove luniverso individuale non sia più in balia di forze titaniche e del caos ma di forze pur dissimili ma pure potenzialmente in relazione dinamica. Entità anche in conflitto, come possono esserlo gli dei della Grecia, ma non per questo in perpetua ed insanabile lacerazione. Questa composizione tra una dimensione dionisiaca con una apollinea, già invocata da Nietzsche nella Nascita della tragedia a proposito della intrinseca natura dellarte, può quindi estendersi alla psicoterapia: Contrariamente alla psicanalisi, la Gestalt non rivendica lo status di scienza, ma si onora di rimanere unarte.11 Va aggiunto che la dinamica della polarità trova nella 10 Ginger, S. Ginger, A., 1987, La Gestalt. Terapia del con-tatto emotivo, Ed. Mediterranee, Roma, 1990. 11 Jung, C. G., Aion: ricerche sul simbolismo del sé, vol. IX, Boringhieri, Torino, 1976. 200 Riccardo Zerbetto concezione della Gestalt la sua evoluzione più radicale che, in qualche modo, va oltre la stessa concezione junghiana sulla sintesi degli opposti. Se nella personalità ombra vengono infatti intravisti aspetti che vanno utilmente integrati nella personalità più consapevole per raggiungere una maggiore integrazione del Sé, è pur vero che Jung deduce come il Cristo rappresenta in concreto larchetipo del Sé aggiungendo tuttavia che se nella figura di Cristo riconosciamo un equivalente del fenomeno psichico del Sé, lAnticristo corrisponderà allOmbra del Sé, ovvero alla metà oscura della totalità umana, che non dobbiamo giudicare troppo ottimisticamente. Ne deriva che la figura dogmatica di Cristo è così sublime, così pura che ogni altra cosa risulta da essa offuscata. Di fatto essa è così unilateralmente perfetta da esigere formalmente, per restare in equilibrio, un complemento psichico e, in ultima analisi, una crocefissione dellIo, la sua tormentosa sospensione tra due inconciliabili opposti12. Stupisce una simile conclusione specie in un profondo conoscitore delle religioni filosofiche dellIndia e della Cina quando riconosce che tale incompatibilità manca clamorosamente in riferimento, in particolare, alla polarità non contrappositiva ed anzi paritaria tra il principio dello yang e dello yin nella concezione unificante del Tao. La concezione polare rappresenta al contrario un elemento costitutivo primario della concezione gestaltica che risente non solo degli influssi di derivazione orientale, ma di rilevanti corrispondenze nel pensiero di Friedländer che, per Claudio Naranjo, rappresentò anche un ponte tra Nietzsche e Perls. In tale prospettiva Apollo non poteva vivere senza Dioniso, sintetizza genialmente Nietzsche ne La nascita della tragedia13. Nietzsche, F., La nascita della tragedia, Adelphi, Milano, 1994. Zerbetto, R., 1994, Il sé come membrana: modello, metafora, epistème, in AA. VV. (a cura di Zerbetto, R.), Atti del IV Congresso Internazionale di Psicoterapia della Gestalt. Per una scienza dellesperienza, Ed. Centro Studi Psicosomatica, Roma. 12 13 Perls e Jung 201 Esula dalle competenze di questo contributo approfondire gli aspetti patologici che inevitabilmente caratterizzano lo sbilanciamento del Sé, allorché la citata conjunctio oppositorum non trova una sufficiente realizzazione ma è evidente come una personalità esasperatamente apollinea sarà contraddistinta da quelle caratteristiche di perfezionismo, di rigida e potenzialmente spietata idealità che porteranno ad atteggiamenti di intolleranza per ogni aspetto della vita, riscontrabile in sé come negli altri, che non si inscrivano in unimmagine di perfezionistica idealità. Sullopposto versante, il rifiuto del limite, di qualsivoglia norma sociale che si opponga allesperienza estatico-orgiastica dellappagamento tutto e subito del desiderio porterà, laddove non temperata dal principio polare, a forme auto-eterodistruttive. Laddove una soluzione negoziale non trova sbocco abbiamo la tragedia, la folle presunzione di una delle parti di poter eliminare la parte percepita come nemica e minacciosa. Nellestrema negazione dellaltro-da-sé, del diverso per antonomasia si apre la voragine della spaccatura e della malattia nella sua forma più disperata. Lo splitting della personalità conduce infatti a quella inconoscibilità tra le parti del Sé così acutamente colta dal neo-mito del dottor Jekyll e del mister Hyde e che, non casualmente, tanto successo ha avuto. Chi infatti non ha sperimentato in se stesso questa negazione di parti del sé come difesa da una tensione dolorosa, da unopposizione di parti in conflitto spinta talvolta al suo spasimo? Con sofferta consapevolezza si chiede Nietzsche quanto di debba soffrire per giungere a sacrificare nel tempio alle due divinità, riferendosi a Delfi che, appunto, era sacro ad entrambe. La Teoria del sé nella Gestalt e larchetipo del Sé in Jung Il sé come sappiamo viene definito da Perls come 202 Riccardo Zerbetto la funzione di adattamento creativo, il risultato di una complessa interazione tra un organismo ed un ambiente nel contatto reale che tra i due si stabilisce in un luogo ed in un tempo definiti. A questa interazione viene anche dato il termine di contatto. Come si può notare, al concetto di Sé possono darsi differenti connotazioni. Questa via ultima comune della psicologia moderna nonché delle discipline spirituali rischia di creare non poche confusioni se non si definisce il livello al quale intendiamo riferirci. Dai riferimenti riportati possiamo quindi prendere in considerazione più livelli del Sé: il sé organismo (che in questo caso scriviamo con la s minuscola, come Perls preferisce, riferendosi a livelli elementari di interazione);14 il Sé persona, come unica ed irripetibile modalità-diessere-nel-mondo di un certo individuo (per cui si preferisce la S maiuscola in quanto indicativa di una persona; il Sé transpersonale, come indicativo di una particolare forma di realizzazione della persona che ha raggiunto o si avvicina alla realizzazione del suo potenziale umano e si pone in relazione con lAltro (individuo, società, mondo); il Sé trascendente, come entità (per chi aderisce a tale concezione) che trascende la corporeità e definisce lelemento immateriale ed eterno (anima o psyché in senso platonico)15. È fin troppo evidente che gli strumenti teoricometodologici per studiare questi diversi livelli di realtà sono assai lontani. Se per i primi livelli è proporzionato e necessario il ricorso al metodo scientifico galileiano, lo stesso risulta inadeguato per i livelli più evoluti dellorganizzazione psichica, sociale e spirituale. Tale distinzione si presenta tuttavia problematica dal momento che il li14 15 Zerbetto, R., Gestalt. Terapia della consapevolezza, Ed. Xenia, Milano, 1999. Goldstein, A., 1939, The Organism, N.Y7 American Book Co. Perls e Jung 203 vello corporeo, psicologico e spirituale rientrano in un unico processo che ha a che fare con la crescita dellindividuo. La stessa consapevolezza ha di per sé una potenzialità transpersonale e, ben coltivata, porterà come in un piano inclinato per usare una espressione felice di Plotino verso livelli più ampi e comprensivi di esperienza e di partecipazione al tutto. Come è inevitabile, non vi è postulato psicologico che non sia collegato ad una concezione filosofica di fondo e che, ben prima della nascita di questa disciplina recente che chiamiamo psicologia, non sia stato oggetto di investigazioni nei millenni dacché luomo è in grado di interrogarsi su se stesso ed in particolare da quando ha sviluppato procedimenti autoriflessivi che chiamiamo filosofici. La stessa parola psicologia, letteralmente la scienza della psiche, rimanda inoltre al cuore stesso della speculazione sulla natura dellessenza del pensiero e dellidentità umana ponendo lantico quesito se debba intendersi come trascendente (posizione sposata, come è noto, da Platone) o implichi un elemento corporeo (nel nostro caso il sistema nervoso centrale) su cui sviluppare le sue funzioni (posizione sposata da Aristotele). Non entro nellaccezione data da Jung al concetto di Sé dandolo per scontato e tenendo conto dei limiti di spazio del presente contributo. La Teoria del campo e linconscio collettivo Il tema dellinterazione tra individuo e ambiente costituisce un altro dei fondamenti della psicologia della Gestalt, in particolare per come andò sviluppandosi attraverso il lavoro di A. Goldstein e di K. Lewin. Questultimo, in particolare, utilizzando le ricerche che sul versante della fisica delle forze elettromagnetiche andavano sviluppando Faraday, Hertz, Einstein e Maxwell, sviluppò quel modello interpretativo delle relazioni individuo/ambiente noto come Teoria del Campo. 204 Riccardo Zerbetto Secondo questa impostazione ogni oggetto non può intendersi che in relazione al contesto totale nel quale è incluso. La traslazione operata da Lewin dal campo delle forze fisiche di attrazione/repulsione ai comportamenti che è dato osservare nelle dinamiche allinterno dei piccoli gruppi intesi, a loro volta, come rientranti in sistemi di interazione più allargata, venne da Perls ripresa ed estesa anche a quanto avviene allinterno dellindividuo stesso. Lindividuo infatti, nellespressione della sua esistenza concreta, non fa che muoversi allinterno di un campo di forze originate da interazioni di attrazione o repulsione in rapporto ad elementi esterni come pure risultanti dagli equilibri di forza tra elementi costitutivi del suo mondo interiore. Linterpretazione del comportamento dellindividuo come imprescindibilmente collegato al campo di forze del contesto ambientale in cui si trova, sviluppata da Lewin, apriva quindi la possibilità di arricchire il tema della dinamica figura/sfondo di un ingrediente fondamentale: quello appunto dellelemento di forza teso a riportare il sistema ad uno stato di equilibrio omeostatico e di ridistribuzione ottimale delle valenze energetiche allinterno di un determinato campo. Limprescindibile necessità di accostarsi alluomo, ai suoi vissuti ed ai suoi comportamenti senza perdere di vista la dimensione sistemica, il campo delle forze allinterno del quale lo stesso si muove, rappresenta uno degli elementi che spinsero Perls a prendere le distanze dallimpostazione psicoanalitica tradizionale che poneva tutta la propria attenzione sugli avvenimenti interni dellanalizzato senza prendere in considerazione le interazioni in concreto con lambiente e privilegiando, nella stessa relazione transferale col terapeuta, gli elementi che lo legano al passato anziché quelli che hanno a che fare con la sua attuale modalità di rapportarsi con aspetti di realtà. A favorire lapertura su di una considerazione allargata degli accadimenti umani erano stati in vero anche due Perls e Jung 205 dei quattro analisti con cui Perls aveva lavorato individualmente. Sia la Horney, infatti, come più ancora Reich (e successivamente E. Fromm) rappresentano esponenti autorevoli della psicoanalisi che si dimostrano maggiormente interessati a considerare limportanza non solo degli elementi pulsionali, endogeni, secondo limpostazione originaria della teoria freudiana degli istinti, ma anche degli aspetti collegati al contesto socio-ambientale in cui lindividuo si muove. E questo non solo ad un livello di considerazioni metapsicologiche più generali, ma anche nel concreto del lavoro clinico sul soggetto. Ma quale estensione di significato attribuire al termine campo? a cerchi concentrici possiamo intendere lutero, lholding materno, il nucleo familiare, il contesto relazionale sempre più ampio con il quale lindividuo si trova progressivamente a interagire16 sino a comprendere la collettività in cui è inserito, la città e nazione di appartenenza, lambiente culturale fino ad allargarsi alle costellazioni valoriali entro cui si trova a muoversi cercando di dare forma alla propria individualità in rapporto con il mondo. Collegato a questo ampliamento dei confini della coscienza è la costellazione di presenze archetipe più o meno identificate come realtà divine. Il passaggio da una fase in cui si avvertono oscuramente delle forze nel campo al dare ad esse un nome e delle caratteristiche personologiche richiama il complesso processo di nominazione delle divinità. Non esiste tema che mi paia più intrigante, ma al quale non possiamo dare più che un accenno17. Vale solo osservare come, nella cosmologia dellOccidente precristiano, sarebbero stati Omero ed Esiodo, a detta di Erodoto, a dare un nome agli dei olimpi (12 per lesattezza, oltre a Dioniso che subentrerà tardivamente ad Estia). 16 Zerbetto, R., Il mondo è pieno di dei (Talete di Mileto), Presentata al Congresso della Federazione Italiana delle Scuole e Istituti di Gestalt-FISIG, Roma, 22-24 febbraio 2008. 17 Hillman, J., 1979, Il sogno e il mondo infero, Edizioni di Comunità, Milano, 1984. 206 Riccardo Zerbetto Sappiamo in realtà che esistono antecedenti sia in area nordica che nelle culture mediorientali allorigine degli dei greci, ma è indubbio che la numinosità (termine quanto mai evocativo e caro a Jung) più incerta delle formulazioni precedenti ha avuto nel pensiero greco una sua mirabile evoluzione in termini di definizione e caratterizzazione. Tanto che le stesse personificazioni restano tuttora presenti nella tradizione dellOroscopo la cui diffusione è davvero generalizzata. Tali immagini si ritrovano con caratteristiche spesso simili sia nellimmaginario collettivo che nel sogno: Le persone con le quali ho a che fare nei sogni sono immagini fatte dombra che ricoprono ruoli archetipici; sono personae, maschere, nella cui cavità è presente un numen.18 Persone e archetipi Se tali entità archetipiche sono dotate di carattere universale e metastorico è lecito interrogarci su quali siano quelle maggiormente fondanti lordine delluniverso (esteriore ed interiore) nonché le relazioni tra le stesse. Resta, in altri termini, da chiederci quali siano le archai (così denominate dai greci in quanto leggi fondamentali) che governano gli eventi del mondo. Per quanto riguarda le leggi-entità che governano i fenomeni della coscienza Jung ha introdotto il termine di archetipi (utilizzando un termine già in uso in ambito letterario) e psicologia archetipica viene conseguentemente definita la Hillman la concezione che si ispira a detta visione. In un primo tentativo operato da Jung per definire detti archetipi sono emersi: lOmbra, Animus ed Anima, la Coppia divina, il Puer, il Sé ma numerosissimi sono gli elementi dotati di una pregnanza di significato e che Jung ha variamente preso in esame. 18 Hillman, J., 1975, Re-visione della psicologia, cit. Perls e Jung 207 Il quesito, in altri termini, è chiederci se e quanto tali rappresentazioni immaginifiche così estesamente condivise possano ancora fornirci elementi utili ed in quale direzione assumendo che, come ancora ricorda Hillman, la mitologia è una psicologia dellantichità. La psicologia è una mitologia dellepoca moderna.19 Detto quesito, a parer mio, è tuttaltro che peregrino. Risponde infatti al tentativo di comprendere quali elementi fondamentali dover considerare nel Campo di forze entro cui si muove lessere umano. Lo stesso, come abbiamo accennato, non appare mosso unicamente da elementi radicati nel bios, ma si orienta in base a punti di riferimento di carattere significativo-simbolico. Lo stesso termine anthropos, sembra potersi collegare a una radice che riferisce la desinenza aner-uomo a quella di phosluce o stella. Luomo è infatti lanimale (forse lunico20) che guarda le stelle. Le stesse non hanno nulla di immediatamente fruibile per la sua sopravvivenza, ma rappresentano dei punti di riferimento che da tempo immemore luomo scruta ed interroga per sintonizzare il suo percorso terreno a delle traiettorie celesti a cui cerca di ispirarsi. Anche qui, una concezione di orientamento naturalistico può contrapporsi o coesistere con una visione simbolica aperta ad una rete di significati più ampia. A ben vedere, le due dimensioni non sono necessariamente opposte e inconciliabili in una logica di aut aut. La dimensione concreta, di fatto, coesiste con la rappresentazione astratta (tre pere e tre arance hanno di fatto in comune la categoria quantitativa del tre, per fare un esempio semplice). Tra segno e sintomo (evento dal connotato materico e spesso non dotato di significato) interviene lelemento sim-bolico che, etimologicamente, mette insieme due elementi di per sé eterogenei (come la res extensa e la res cogitans per Cartesio). Ed è appunto in 19 20 Zerbetto, R., Il mondo è pieno di dei (Talete di Mileto), cit. Hillman, J., Re-visione della psicologia, cit., p. 143. 208 Riccardo Zerbetto questa terra di mezzo che si situa lessere umano, figlio, come diceva la tradizione orfica, della Madre Terra (Gea) del Cielo Stellato (Urano). Crediamo di poterci congratulare con noi stessi per aver già raggiunto una tale vetta di chiarezza, convinti come siamo di esserci lasciati alle spalle tutte queste divinità fantasmatiche. Ma quelli che ci siamo lasciati alle spalle sono solo spettri verbali, e non i fatti psichici che furono responsabili della nascita degli dèi. Noi continuiamo a essere posseduti da contenuti psichici autonomi come se essi fossero davvero dèi dellOlimpo. Solo che oggi si chiamano fobie, ossessioni, e così via. Insomma, sintomi nevrotici. Gli dèi sono diventati malattie. Così Jung. La sfida, a questo punto, è stare in quella bi-valenza (unico modo, forse, per superare una inestricabile ambivalenza), in quel punto di equilibrio tra radicamento biologico e apertura simbolica in cui abita appunto la natura umana, tesa ineludibilmente tra fatticità e rappresentazione. In tale senso, il Campo si allarga da quello fisicamente tangibile delle cose e delle persone a quello delle rappresentazioni simboliche, dei miti a cui si ispira un ordinamento sociale, alla cultura in cui il soggetto è immerso e che fa parte intrinseca del suo modo-di-essere-nel-mondo. Ineludibile quindi, per conoscere la persona che abbiamo di fronte, intravedere le Presenze (introietti, ma anche costellazioni valoriali e archetipe) che abitano il suo universo interiore. Il processo di guarigione passerà, in questi termini, dal riconoscimento di quelle realtà archetipe che in qualche modo sono state rimosse o non riconosciute. Non onorare la seduzione di Afrodite, la forza dei vincoli di Era, la limpida intelligenza di Atena, la luminosa lungimiranza di Apollo o lestasi ebbra di Dioniso, come caratteristiche di altre divinità, non potrà che comportare squilibri nella vita della persona. Solo se sapremo riconoscere, quindi, il principio archetipo a cui si deve ispirare Perls e Jung 209 una vita ricca e aperta ad un politeismo di influssi seppure talvolta in conflitto tra loro come lo erano gli dei dellOlimpo sapremo armonizzare i diversi ingredienti del vivere in una sintesi compatibile con la complessità e la ricchezza a cui siamo stati chiamati e condannati. In tal senso, per riprendere Hillman, la partita terapeutica è lattuazione di un modello archetipico. Nel mondo antico si diceva che il Dio che costella una malattia è anche il solo che può toglierla. Il guaritore è la malattia e la malattia è il guaritore. È perciò di primaria importanza scoprire chi, quale persona archetipica opera in una data psicopatologia21. Una gestalt archetipica La gestalt che si enuclea in figura dal racconto di un cliente rispecchia quindi una gestalt archetipica nella quale le relazioni tra gli elementi in gioco si riflettono isomorficamente, per taluni aspetti, sia a livello individuale storicizzato che universale e metastorico. In tal senso, per tornare a Jung, il sogno utilizza figure collettive perché non sta esprimendo un problema della vita di quella persona ma un problema umano eterno che si ripete allinfinito22. Il rischio, in tale prospettiva, sarebbe sia quello di limitarsi ad osservare il fenomeno senza coglierne il riflesso archetipo, sia quello di cogliere luniversale perdendo di vista il particolare, la unicità irripetibile del vissuto della persona che mi sta di fronte. Il processo della guarigione, in questa prospettiva, non si configura unicamente come operazione che si gioca nella relazione tra paziente e terapeuta. Implica una funzione mediativa di questultimo nei confronti del sistema simbolico nel quale il paziente cerca di ri-configurarsi. 21 22 Jung, C. G., Luomo e i suoi simboli, Mondadori, Milano,1984. Jung, C. G., La psicologia del sogno, cit. 210 Riccardo Zerbetto Luomo che ha perduto lanima ha perduto il senso di appartenenza sociale e il senso di comunione con le potenze e con gli Dei. Questi non possono più raggiungerlo, perché egli non può pregare, né offrire sacrifici, né eseguire danze. Il suo mito personale e il nesso con il mito più vasto della sua gente, come raison dêtre, sono perduti. Eppure non ha nessuna malattia, né è uscito di senno: semplicemente ha perduto lanima e rischia addirittura di morirne.23 Riportando S. Ginger il sogno permetterà lintegrazione della memoria individuale alla nostra memoria collettiva assicurando così una funzione essenziale di sintesi dellinnato e dellacquisito.24 Processo di individuazione e principio di responsabilità Come abbiamo spesso bisogno di una levatrice per favorire il passaggio dalla condizione intra- a quella extra-uterina, così utilizzando la felice metafora socratica abbiamo bisogno di una maieusi anche in altri passaggi esistenziali nel corso del ciclo vitale. Il più importante, ai fini del tema che ci riguarda, è tuttavia quello che sancisce il passaggio alla condizione di una più compiuta maturità e che, a dire il vero, rappresentava, almeno in passato, una evenienza più eccezionale che normale se associata ad un principium individuationis cui potevano accedere, nei fatti, personaggi dotati di singolari prerogative rispetto ai comuni mortali, maggiormente identificati nella dinamica del gruppo sociale di appartenenza. Il paradigma della figura delleroe che si distacca da un si dice del coro, presentata dalla tragedia attica, sancisce emblematicamente la nascita delluomo moderno schiacciato dal conflitto tra senso di appartenenza ed urgenza di definirsi allinsegna di un destino unico che lo Ginger, Ginger, A., 1987, La Gestalt. Terapia del con-tatto emotivo, cit. Perls, F. Hefferline, R. F. Goodman P., 1951, La Terapia della Gestalt. Eccitamento e accrescimento nella personalità umana, Astrolabio, Roma, 1971, p. 229. 23 24 Perls e Jung 211 differenzia dal gruppo cui pure appartiene. Ma cosa spinge un individuo a divenire sempre più compiutamente tale nella sua unicità e nel suo disegno? Jung ipotizza una spinta autogena verso una realizzazione teleologica: Essere dotato di anima è essere vivo. Lanima è la parte vivente delluomo, ciò che vive di per sé e dà vita; se Dio ha immesso in Adamo un soffio di vita è perché potesse vivere. Con astuzia e con giocoso inganno, lanima attira verso la vita linerzia della materia che non vuole vivere. Un tema che risuona nella Gestalt è quello del principi di responsabilità, intesa come condizione adulta dellessere abile a rispondere. Non si sottolinea mai abbastanza limportanza di questa concezione: senza assumersi piena responsabilità, senza riconvertire i sintomi nevrotici nelle funzioni consapevoli dellIo non è possibile alcuna guarigione25. Tale riferimento si giustifica per le concrete implicazioni che una tale implicazione comporta nella pratica del lavoro psicoterapico. Il fatto che lo psicoanalista presuma di essere in possesso di un codice interpretativo che autorizzi a conoscere il significato più o meno recondito ed inaccessibile ai contenuti di coscienza che ci vengono forniti dal cliente implica la legittimazione di una pratica interpretativa che stabilisce espressamente un soggetto del conoscere (in questo caso lanalista) ed un oggetto del conoscere (lanalizzato). La renitenza da parte di questultimo ad accettare la chiave interpretativa espressa dallanalista viene generalmente considerata come una resistenza. Sostanzialmente dissimile da una tale impostazione è quella che deriva al contrario dallassunto che ognuno è comunque soggetto dei propri accadimenti (fantasie, comportamenti, sogni) come delle proprie scelte e del proprio destino (ad un livello che può essere di maggiore o minore consapevolezza) e che nulla può farci presumere 25 Perls, F., 1969, Qui & Ora Fritz Perls psicoterapia autobiografica, cit. 212 Riccardo Zerbetto di conoscere laltro e la via di una sua possibile migliore realizzazione che non sia lui stesso. Funzione di una persona che si propone in posizione di aiuto è quindi quella di favorire un processo di consapevolezza, di assunzione responsabile delle componenti che di fatto risultano operanti e di conoscenza di ciò che riguarda un possibile progetto di vita. La differenza essenziale tra la Gestalt e la maggior parte delle altre forme di terapia precisa Perls sta nel fatto che noi non analizziamo, ma semmai favoriamo lintegrazione. Vogliamo evitare lantico errore di confondere il comprendere con lo spiegare. Con lo spiegare interpretiamo, cosa che può trasformarsi in una forma di gioco intellettuale molto interessante, ma tuttavia una attività sostitutiva ed una attività sostitutiva può essere peggiore del non far nulla26. LInconscio in Jung ed il principio di soggettivizzazione nella Gestalt Nella prospettiva gestaltica si evidenzia una deenfatizzazione del concetto di inconscio come realtà psichica a se stante dotata di leggi e modalità organizzative interne. Inconscio è per Perls tutto ciò di cui di fatto in questo momento non sono consapevole ed a cui, grazie ad una operazione di appropriazione consapevole (eventualmente ma non necessariamente mediata dal terapeuta) posso accedere. Tale operazione, elementare e fluida per contenuti di coscienza non scissi ed alienati, può comportare lemergenza di sentimenti di angoscia di varia intensità allorché lindividuo si identifica con una parte dei propri contenuti di coscienza negando lesistenza di parti di sé per vari motivi inaccettabili. Anziché interpretare detti contenuti scissi che possono esprimersi attraverso il sogno, sintomi di conversione 26 Perls F. Hefferline, R. F. Goodman P., 1951, La Terapia della Gestalt. Eccitamento e accrescimento nella personalità umana, cit. Perls e Jung 213 somatica, incongruenze mimico-gestuali, comportamenti di cui il soggetto si sente agito o fenomeni dispercettivi di vario tipo, la Gestalt propone un percorso esperienziale di graduale ri-appropriazione teso alla integrazione delle parti scisse. Nellapproccio junghiano viene sottolineata la misteriosa quanto innegabile tendenza intrinseca degli esseri umani ad evolvere verso stati più evoluti di realizzazione e di coscienza. Una dimensione teleologica è pertanto immanente nellindividuo e lo conduce, potenzialmente, verso una progressiva realizzazione del Sé. Nella prospettiva gestaltica, che pure è meno connotata di impostazioni di carattere spiritualistico almeno nellaccezione di Fritz Perls, viene comunque dato valore ad un principio autoregolativo intrinseco nei viventi ed in particolare negli esseri evoluti e che tende verso il principio di autorealizzazione. Già nel 1927 una psicologa gestaltista, Bluma Zeigarnik, aveva sperimentalmente dimostrato come una situazione inconclusa polarizza una carica di energia destinata a completarla rendendo la stessa energia indisponibile per altri tipi di esperienza. Il mancato completamento della situazione precedente comporta un ripresentarsi ripetitivo della situazione stessa anche in luoghi e tempi successivi interferendo quindi con la possibilità dellindividuo di entrare efficacemente in contatto con i contesti in cui di volta in volta verrà a trovarsi. Lelemento innovativo introdotto da Perls fu quello di estrapolare questo principio dallambito delle leggi della percezione applicandolo ad una dimensione esistenziale ed evolutiva dellindividuo e quindi alla sua possibilità di utilizzazione in psicoterapia. Mentre il principio omeostatico deriva profondamente dal concetto di dominanza introdotto da Lewin, la tendenza fondamentale dei viventi alla crescita trova un antecedente nella funzione di autorealizzazione introdotta da Goldstein (Goldstein, 1939). A tale conclusione Goldstein (1878-1965) era giunto conducendo le sue ri- 214 Riccardo Zerbetto cerche, come neurochirurgo aderente alla Gestaltpsychologie, su reduci della prima guerra mondiale con lesioni cerebrali ed osservando come un danno del sistema nervoso non produce una menomazione localizzata ma comporta una modificazione complessa che coinvolge lintero organismo, la struttura della sua personalità e i suoi rapporti con lambiente. Una concezione di tipo atomistico cedeva il posto a una di tipo olistico in cui funzioni biologiche, psicologiche e di relazione non sono che aspetti di ununica dimensione composta di livelli interagenti e non separabili. È pertanto nella dinamica intrinseca dellindividuo colpito che avviene il processo di riorganizzazione delle proprie funzioni seppure a livelli inferiori a quelli posseduti anteriormente al trauma. Tale concezione suggerì a Goldstein una impostazione terapeutica, definita organismica, tesa a favorire lautoregolazione dellindividuo a partire dalla acquisizione delle risorse reali disponibili da armonizzare in una strategia che ne consenta la complessiva ottimizzazione. Tale concetto implica una continua negoziazione tra individuo e ambiente tendente alla attualizzazione delle risorse potenziali al raggiungimento di una situazione ottimale dal punto di vista del riequilibrio energetico attraverso le fasi della accumulazione, distribuzione e scarica della energia stessa. Lorganismo sano raccoglie tutte le proprie potenzialità per la gratificazione dei bisogni in primo piano. Immediatamente, appena un compito è terminato, recede sullo sfondo e permette a quello che nel frattempo è diventato il più importante di venire in primo piano. Questo è il principio dellautoregolazione organistica.27 Luomo in realtà è cronicamente insoddisfatto e tale condizione, riferendosi alla concezione del nostro autore, nasce appunto dalla sua incapacità di essere quello che è. 27 Ibidem. Perls e Jung 215 Molti degli esercizi presentati nella prima parte della libro di F. Perls, R. Hefferline, P. Goodman, Terapia della Gestalt, hanno lo scopo di produrre un sovvertimento di schemi di riferimento vissuti come imprescindibili e quindi rigidamente immutabili. Infinite ingiunzioni di tipo limitativo restringono in effetti la gamma delle nostre possibili esperienze di vita e ci costringono forzosamente entro schemi ripetitivi di pensiero e di comportamento in cui viene meno il fondamentale aspetto del fluire sempre nuovo del vivere e del conoscere. Lenfasi su questo punto giustifica la dizione di continuum della consapevolezza che generalmente viene attribuito a questa attitudine nel lavoro gestaltico. Mantenere il vostro senso della realtà: uno, la coscienza intatta che la vostra consapevolezza esiste qui e ora; cercate di rendervi conto del fatto che siete voi a vivere lesperienza: due siete voi che agite, osservate, reagite, resistete; che prestate attenzione a tutte le vostre esperienze, quelle interne come a quelle esterne, quelle astratte e quelle concrete, quelle che tendono verso il passato e quelle che tendono verso il futuro, quelle che desiderate, quelle che dovete, quelle che semplicemente sono, quelle che intraprendete deliberatamente, quelle che sembrano avvenire spontaneamente; nel corso di ogni esperienza, senza eccezione alcuna, ripetetevi: ora sono consapevole che.28 Abstract Riccardo Zerbetto Perls e Jung È sempre più frequente assistere a forme di ibridazione tra lapproccio gestaltico e quello analitico-jungiano o archetipico. Tale fenomeno non apparirebbe legittimarsi sulla base di riferimenti esplicitamente indicati dai Padri dei due 28 Ibidem. 216 Riccardo Zerbetto diversi indirizzi. Nel caso di Perls è dato riscontrare unesplicita preclusione nei confronti di Jung quando, nel suo LIo, la fame e laggressività (1947), contesta a Jung il suo vagare nelle regioni del misticismo con il suo speciale sviluppo della teoria della libido e la sua concezione sullInconscio collettivo. Daltra parte, seppure non siano rintracciabili, in Jung, riferimenti espliciti alla figura e allopera di Perls, è possibile ritrovare alcuni spunti espliciti fatti da Hillman, che del pensiero junghiano può indubbiamente considerarsi uno dei maggiori interpreti, quando, citando espressamente la Gestalt (ma confondendo tuttavia psicologia con terapia) afferma che, tra altri approcci, la psicologa della Gestalt, seguendo la strada inaugurata da Jung con il metodo dellimmaginazione attiva, ha incoraggiato lesplorazione del mondo interiore e riconosciuto lesistenza delle nostre molte parti. Nellarticolo in oggetto verranno approfonditi temi inerenti il lavoro sul sogno, linterazione tra polarità e molteplicità del sé, la dimensione temporale e la rilevanza del mondo immaginale. Parole chiave: archetipi gestalt lavoro sul sogno psicologia archetipica Riccardo Zerbetto Perls and Jung The encountering of forms of hybridization of Gestalt and analytical-Jungian or archetypal approaches has become increasingly frequent. That phenomenon apparently is not legitimized by explicit references by the founders of either school. As to Perls, there was an explicit preclusion as regards Jung when, in his Ego, Hunger and Aggression (1947), he contested Jungs wanderings in the regions of mysticism with his special development of the theory of the libido and his conception of the collective Unconscious. On the other hand, although there are no explicit references in Jung to the figure and the work of Perls, it is possible to find some explicit references of Hillman who of Jungian thought can undoubtedly claim to be one of the major interpreters , when citing Gestalt (albeit confusing psychology with therapy) when he states that, among other approaches, the psychology Perls e Jung 217 of Gestalt, following the way inaugurated by Jung with the method of active imagination, had encouraged the exploration of the interior world, recognizing the existence of our many parts. This article probes into themes inherent to work on dreams, the interaction between the polarity and multiplicity of the Self, the temporal dimension and the importance of the world of images. Keywords: archetypal psychology archetypes dreamwork Gestalt Riccardo Zerbetto, specialista in Neuropsichiatria infantile e per adulti dirige il Centro Studi di Terapia della Gestalt di Siena e Milano, istituto riconosciuto dal MIUR per lo svolgimento di corsi in psicoterapia. Ha lavorato per oltre 20 anni come psichiatra in servizi di salute mentale e per le tossicodipendenze, svolgendo incarichi di consulente del ministro della Sanità (1980), come fondatore e supervisore delle Comunità terapeutiche del Comune di Roma e svolgendo insegnamenti in Psicopatologia e Psichiatria dellAdolescente presso lUniversità di Siena. È stato presidente dellAssociazione di Psicologia umanistica e transpersonale (1989), della Federazione Italiana delle Scuole e Istituti di Gestalt-FISIG (1995-97), della European Association for Psychotherapy-EAP (1997) ed è presidente onorario della Federazione Italiana delle Associazioni di Psicoterapia-FIAP. È autore di numerose pubblicazioni inerenti la psichiatria, le tossicomanie giovanili e la Terapia della Gestalt. È cultore di poetica haiku e di ArteNatura. 218 Riccardo Zerbetto