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Il tuo volto io cerco Venite e vedrete!

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Il tuo volto io cerco Venite e vedrete!
Il tuo volto io cerco
Venite e vedrete!
Incontrare gesu’, diventare dei suoi! 2.3
1
Realizzato
dalla commissione 17-19enni - CPG
Editing
Meme
Pro Manoscritto
2
L’intera opera:
1.1
1.1.1
1.1.2
1.1.3
1.2
1.2.1
1.2.2
1.2.3
2.1
2.1.1
2.1.2
2.1.3
2.1.4
2.2
2.2.1
2.2.2
2.2.3
2.3
2.3.1
2.3.2
2.3.3
2.3.4
2.3.5
2.3.6
LA CASA SULLA ROCCIA
Cerco fatti di Vangelo
Schede per incontrare una Chiesa che crede e per sporcarsi le mani insieme
Li amò sino alla fine, nella vita quotidiana
Si cinse un’asciugatoio, nel mondo della solidarietà
Fatelo anche voi, nella vita parrocchiale
LA CASA SULLA ROCCIA
Vangelo da Vivere
(2007)
Ne costituì dodici, proposte per esperienze di vita comunitaria
Stare con Lui, proposte di momenti di preghiera e di educazione alla preghiera
Per mandarli, proposte di formazione alla testimonianza e al servizio di animazione
IL TUO VOLTO IO CERCO
Che cercate? Credere? E in cosa?
Almeno credo! In chi e in cosa credono i giovani oggi
C’e’ qualcosa che conta veramente? L’influenza del relativismo culturale oggi
Un posto nel mondo. L’identità personale e trascendenza oggi
Quale uomo? L’immagine di Dio e dell’uomo nelle religioni
IL TUO VOLTO IO CERCO
Maestro dove abiti? Da una fede ricevuta…alla fede in Gesù
Credere oggi: in questa età, in questo tempo
Io ti battezzo: Dalla fede ricevuta alla fede scelta
Il caso Gesù : la storia e le interpretazioni
IL TUO VOLTO IO CERCO
Venite e vedrete! Incontrare Gesù, diventare dei suoi!
Un tipo così: l’umanità di Gesù
Con un suo segreto: Gesù e il Padre
Con le sue idee: il senso della Vita
Con un suo stile: …in concreto
Mi ha cambiato la vita: incontri con Gesù
Dicono sia vivo! Incontrare il Risorto
3.1
VIVERE DA FIGLI
Figli del Padre, riscopriamo la vita, riscoprendo il Padre Nostro
(2007)
3.2
VIVERE DA FIGLI
Uno Spirito da figli, mossi dentro dallo Spirito
(2007)
4.1
IL SALE DELLA TERRA,
Sussidio personale per seguire Gesù con il Vangelo secondo Marco
4.2
COMPAGNI DI VIAGGIO, sussidio personale per un cammino spirituale
3
4
Venite e vedrete!
Incontrare Gesu’,
diventare dei suoi!
2.3
L’ incontro con Gesù non chiede di mettere da parte i nostri desideri, anzi li provoca: «Che
cercate?».
Gesù annuncia un mondo nuovo, il suo regno: egli annuncia, oggi, che il regno di Dio è
presente, inaugura un nuovo rapporto tra Dio e gli uomini, manifesta da parte di Dio
un'inaudita volontà dì perdono e dì riconciliazione, propone un'alleanza dì amicizia e dì vita
con lu. L’invito è ora a conoscere più a fondo la proposta di Gesù, a conoscere più da vicino
lui stesso come persona. Scopriremo così che sì può cambiare questo mondo e che vivere
come Gesù non solo è possibile, ma riempie di senso.
Il suo messaggio e la sua vita sono qualcosa che possono ancora interessarci? Ha detto
parole per gente d'altri tempi, ha fatto miracoli per qualche fortunato, è stato osannato e poi
ripudiato.
In che misura tutto ciò ci riguarda?
«Venite e vedrete», ha detto Gesù ai due discepoli e ripete oggi a noi.
Fare esperienza di lui significa poter scoprire che i nostri desideri non sono pretese, ma
possibilità, alle quali è già promessa, in lui, realizzazione.
(Catechismo dei giovani 2, p. 45)
Gesù. Ok, ma cosa significa essere cristiani? Cosa comporta?
Questo sussidio vuole aiutarti a entrare nell’intimità di Gesù e nelle scelte di coloro che, da
2000 anni a questa parte, hanno deciso di essere dei suoi.
Un’avventura affascinante, di grande portata. Di certo un incontro di quelli che non può
lasciarti indifferenti!
Dopo essere entrati in maniera diretta, nel sussidio precedente, dentro la vicenda di Gesù e
dentro le fonti della fede cristiana, in questo sussidio prediligeremo l’approccio esistenziale
all’incontro con Cristo. Cercheremo di mettere in luce gli aspetti originali dell’insegnamento e
della prassi di Gesù, così come i testimoni della sua vita hanno potuto sperimentare.
5
Venite: ci avvicineremo a Gesù, alla sua intimità e profondità interiore
Vedrete: come l’incontro con Lui è capace di cambiare la vita.
Un approccio che non pretende di essere esaustivo e totalizzante, ma che permetta di
cogliere la rilevanza della scelta cristiana nella vita di tutti i giorni.
1. Ogni scheda sarà introdotta da un “ouverture”:
una pennellata che permetta di intuire il lineamento del volto di Gesù che
sarà tratteggiato nella scheda
2. Ci sarà poi una sorta di
“introduzione metodologica”,
che aiuta a capire come è stato scelto e come
poter usare i passi del vangelo che sono proposti.
La sequenza pedagogica scelta nelle attività proposte e parte delle riflessioni bibliche, sono
direttamente ispirate alla fortunata collana di sussidi diocesani per la catechesi degli adulti
(per il permesso dell’utilizzazione dei quali ringraziamo l’ufficio catechistico diocesano),
opportunamente adattate alle esigenze dei ragazzi.
L’evangelista Giovanni annota che i due discepoli “andarono dunque e videro dove abitava e
si fermarono presso di lui”. Tre verbi che vorremmo diventassero i “tre momenti” di ogni
scheda che sarà proposta:
3. Andarono, proiezione “fase proiettiva”:
la dimensione esperienziale ed evocativa. In base al tema indicato dalla
scheda stessa, i ragazzi sono invitati, attraverso proposte di vario tipo,
ad esprimere il loro pensare, sentire, vivere. Scopo di questa fase è
far emergere gli “impliciti”, ovvero gli schemi mentali ed esistenziali
che normalmente funzionano nella vita dei ragazzi.
4. Videro, “analisi”: la dimensione contemplativa dell’entrare nella
Parola. È l’approfondimento di un brano evangelico che mette a fuoco
l’originalità di Gesù, della sua prassi e del suo insegnamento.
L’essenziale è porre i ragazzi in contatto con l’unicità e originalità degli
schemi di Gesù, lasciarsi illuminare dal Vangelo, per intuire le esigenze
e le possibilità diverse di vita, che comunque il Vangelo è capace di suscitare.
5. Si fermarono, “riappropriazione”: la novità di vita che nasce
dallo stare con il Signore. È una proposta che permette di far diventare
vita vissuta le fasi precedenti, volta a far cogliere la novità cristiana
possibile a partire da essa. È la fase più delicata ed entusiasmante:
cercare, mostrare e trovare le novità concrete che il Signore risorto
rende possibili nella vita di ciascuno.
6
Cercasi Gesù
Quali “segreti” di Gesù proveremo a penetrare?
La vita stessa di Gesù diventa lo “schema” di riferimento del sussidio, che propone sei
sottolineature, e per ciascuna di esse diversi temi e brani evangelici di riferimento:
2.3.1 Un tipo così: l’umanità di Gesù
La notizia sconvolgente della fede cristiana è l’Incarnazione: “Con l'incarnazione il
Figlio di Dio si è unito, in certo modo, ad ogni uomo. Ha lavorato con mani d'uomo, ha
pensato con intelligenza d'uomo, ha agito con volontà d'uomo, ha amato con cuore
d'uomo. Nascendo da Maria vergine, egli si è fatto veramente uno di noi, in tutto
simile a noi fuorché il peccato” (Gaudium et Spes 22); guarderemo, quindi, alcuni
aspetti tipici dell’essere uomo, così come Gesù li ha vissuti.
2.3.2 Con un suo segreto: Gesù e il Padre
’originalità della predicazione di Gesù era basata sulla sua stessa esperienza
personale: il sentirsi profondamente figlio di un Dio che è Padre; un Padre tenero,
misericordioso, paziente, longanime, che guarda agli uomini non come servi che
devono obbedire, ma come figli amati.
2.3.3 Con le sue idee: il senso della vita
Gesù ha insegnato, con discorsi e soprattutto con parabole: ha cercato di mostrare il
vero senso della vita davanti a una generazione che l’aveva smarrita; ha predicato, ha
ammonito, soprattutto ha interrogato e aiutato a trovare le risposte nel cuore di un Dio
che è amore.
2.3.4 con un suo stile: …in concreto
Ha chiamato dei discepoli a sé e li ha invitati a seguirlo, indicando loro, chiaramente,
le esigenze radicali e nuove implicazioni di grande importanza. Si è fatto maestro per
indicare i valori e l’etica nuova che nascono dall’accoglienza del Regno di Dio.
2.3.5 Mi ha cambiato la vita: incontri con Gesù
Ha incontrato persone, accogliendole per quello che erano, mostrando loro l’amore di
Dio, rendendo possibili svolte di quelle…”che ti rovesciano come un calzino”
2.3.6 Dicono sia vivo! Incontrare il Risorto
Il Padre lo ha risuscitato: la sconfitta della morte è stata sconfitta. Gesù è ancora vivo,
posso incontrarlo ancora, tutto ciò che Gesù ha detto e fatto è vero, le sue parole e i
suoi gesti sono ancora efficaci.
Al termine del sussidio troverete una traccia di celebrazione.
7
*>
Un tipo così:
L’umanità di Gesù
2.3.1
Ouverture
“Con l'incarnazione il Figlio di Dio si è unito, in certo modo, ad ogni uomo. Ha lavorato con
mani d'uomo, ha pensato con intelligenza d'uomo, ha agito con volontà d'uomo, ha amato con
cuore d'uomo. Nascendo da Maria vergine, egli si è fatto veramente uno di noi, in tutto simile
a noi fuorché il peccato” (Gaudium et Spes 22).
Dal Vangelo secondo Giovanni
In principio era il Verbo,
il Verbo era presso Dio
e il Verbo era Dio.
Egli era in principio presso Dio:
tutto è stato fatto per mezzo di lui,
e senza di lui niente è stato fatto di tutto ciò che esiste.
In lui era la vita
e la vita era la luce degli uomini;
la luce splende nelle tenebre,
ma le tenebre non l'hanno accolta….
E il Verbo si fece carne
e venne ad abitare in mezzo a noi;
e noi vedemmo la sua gloria,
gloria come di unigenito dal Padre,
pieno di grazia e di verità.
L’errore oggi più diffuso è affermare l'umanità di Gesù e negarne invece la divinità, ma anche
l'errore contrario non è meno grave. La divinità di Gesù si è manifestata a noi proprio
attraverso la sua umanità. «Chi ha visto me ha visto il Padre», dice Gesù a Filippo (Gv 14,9).
Filippo vede un uomo in carne ed ossa che parla in aramaico, con l'accento della Galilea: ma
è quell'uomo che egli deve scorgere la presenza del Padre.
Non si può rispondere alla domanda su chi è Gesù, se non si incontra anzitutto il suo modo
concreto di essere uomo. A rivelarlo come inviato da Dio potevano bastare i miracoli, ma per
rivelare la novità inaspettata del suo essere Figlio di Dio occorreva la precisa vicenda umana
che egli ha vissuto, senza dire che conoscere Gesù nella sua umanità, significa conoscere un
progetto di umanità: come l'uomo deve essere per corrispondere al piano di Dio, come deve
vivere per essere in mezzo ai propri fratelli la trasparenza di Dio. Gesù è la verità di Dio e
dell'uomo. (Catechismo dei Giovani 2, pag 109)
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Dal Catechismo della Chiesa Cattolica
457 Il Verbo si è fatto carne per salvarci riconciliandoci con Dio: è Dio « che ha amato noi e
ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati » (1 Gv 4,10). « Il
Padre ha mandato il suo Figlio come salvatore del mondo » (1 Gv 4,14). « Egli è apparso per
togliere i peccati » (1 Gv 3,5):
458 Il Verbo si è fatto carne perché noi così conoscessimo l'amore di Dio: « In questo si è
manifestato l'amore di Dio per noi: Dio ha mandato il suo unigenito Figlio nel mondo perché
noi avessimo la vita per lui » (1 Gv 4,9). « Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo
Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna » (Gv 3,16).
459 Il Verbo si è fatto carne per essere nostro modello di santità: « Prendete il mio giogo su di
voi e imparate da me... » (Mt 11,29). « Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al
Padre se non per mezzo di me » (Gv 14,6). E il Padre, sul monte della trasfigurazione,
comanda: «Ascoltatelo » (Mc 9,7). In realtà, egli è il modello delle beatitudini e la norma della
Legge nuova: « Amatevi gli uni gli altri come io vi ho amati» (Gv 15,12). Questo amore implica
l'effettiva offerta di se stessi alla sua sequela.
460 Il Verbo si è fatto carne perché diventassimo « partecipi della natura divina » (2 Pt 1,4): «
Infatti, questo è il motivo per cui il Verbo si è fatto uomo, e il Figlio di Dio, Figlio dell'uomo:
perché l'uomo, entrando in comunione con il Verbo e ricevendo così la filiazione divina,
diventasse figlio di Dio ». « Infatti il Figlio di Dio si è fatto uomo per farci Dio ». L'unigenito [...]
Figlio di Dio, volendo che noi fossimo partecipi della sua divinità, assunse la nostra natura,
affinché, fatto uomo, facesse gli uomini dei ».
Introduzione metodologica
Questa serie di incontri ha come obbiettivo quello di dare una panoramica
di Gesù, dei suoi tratti più umani. Nel vedere come Dio ha voluto farsi uomo,
scorgere nella sua vita sentimenti, emozioni, situazioni che ogni persona si trova a vivere.
Il filo conduttore che lega questi incontri è la creazione di un album fotografico, in cui vengono
messi a confronto alcuni tratti umani di Gesù e gli stessi tratti vissuti dai ragazzi.
La scelta dell’album risponde all’esigenza di creare qualcosa di concreto su cui i ragazzi
possono lavorare; due sono le chiavi di lettura che questa metodologia mette in luce:
o Il fatto che Gesù è unico, ma dice a ciascuno di noi qualcosa di personale e soggettivo (di
fianco alla pagina dell’album che parla di Gesù, i ragazzi attaccheranno foto e scriveranno
commenti personali)
o I tratti umani che si è scelto di mettere in luce sono: NASCITA ED INFANZIA –
TENTAZIONI – SENTIMENTI – VOCAZIONE. Come si può notare questi tratti partono da
un fatto storico e oggettivo vissuto da ciascuno (la propria nascita) fino ad arrivare alla
presa di coscienza che è necessario interrogarsi sulla propria vocazione, passando
attraverso l’analisi dei sentimenti che ognuno vive.
Il compito dell’animatore sarà quello di procurare un album fotografico vuoto e di preparare
per ogni incontro la facciata di sinistra (quella che riguarda Gesù) con il titolo dell’incontro,
un’immagine e tratti dei brani di Vangelo di riferimento. La facciata di destra sarà invece
completata al gruppo, secondo le istruzioni riportate per ogni incontro.
9
Fase proiettiva
I giardini dell’eden
Di Alessandro d’Alatri – Medusa, 1998
Apre l’intera tappa la visione del film “I giardini dell’Eden”,
che aiuterà ad entrare nell’argomento, dando una visione
generale della vita di Gesù e della sua umanità.
Soggetto:
In Galilea, il piccolo Jeousha si prepara ad affrontare il momento più importante nella vita di
un adolescente, ossia il Bar Mitzwah, il rito di ingresso nel mondo degli adulti. Si reca così a
Gerusalemme, accompagnato da altre famiglie del suo villaggio e dal cugino e coetaneo
Johannan. Nel tempio, Jeousha impressiona i saggi per la sua sensibilità ed intelligenza e poi,
a contatto con la vita convulsa della città, ha modo di fare esperienze e conoscere meglio le
persone e i loro problemi. Crescendo, lavora con i fratelli nella bottega da carpentiere del
padre Joseph, ma il lavoro non riesce a coinvolgerlo completamente. Morto il padre, decide di
abbandonare il villaggio e di mettersi di nuovo in viaggio alla volta di Gerusalemme e di altri
luoghi, dove ha modo di verificare di persona le situazioni di scontentezza della popolazione
nei confronti dei soldati romani. Lo avvicinano alcuni zeloti, che stanno organizzando azioni di
ribellione, ma rifiuta l'uso che essi fanno della violenza e di nuovo parte, mettendosi a seguito
dei carovanieri che battono le piste dei mercati nelle province più lontane. Nel corso di questi
viaggi si mescola a costumi, religioni e filosofie diverse, a fronte delle quali sente giunto il
momento di trasmettere agli altri il bagaglio di conoscenze e di esperienze finora acquisito.
Chiama a seguirlo alcuni uomini e con loro si mette in movimento per portare a tutte le genti
un messaggio di rispetto e di amore reciproco tra tutti gli esseri umani.
Valutazione Pastorale:
Il regista D'Alatri racconta come Gesù, accanto a suo padre Giuseppe e a Maria, sua madre,
abbia potuto imparare a pregare, abbia appreso la storia del suo popolo e sia cresciuto "in
sapienza, età e grazia". Portando sullo schermo un periodo non raccontato dai Vangeli,
D'Alatri cerca di capire che cosa potrebbe essere successo negli anni della formazione di
Gesù, quelli nei quali anche lui ha vissuto il tempo della crescita. Avviandosi verso l'età
adulta, Gesù affronta la vita come un impegnativo cammino che lo preparerà alla missione
della predicazione alle genti. Il regista é rimasto affascinato dal delicato e complesso
problema della coscienza umana di Gesù. Va ricordato a riguardo che il regista non ha inteso
affrontare il problema propriamente cristologico del rapporto tra natura umana e natura divina
nella persona di Gesù; ciò comporta qualche motivo di non chiarezza, in quanto la figura
umana di Gesù possiede, sì grande dignità morale, ma non quella assoluta originalità e
singolarità che lascia trasparire, come nei Vangeli, il mistero della sua Persona. Il film non si
ispira ad alcun testo biblico, é una sceneggiatura originale che D'Alatri ha scritto con la
collaborazione dello scrittore ebreo Miro Silvera e che parte dalla sua comprensione
personale del mistero di Dio incarnato, all'interno di un pregevole lavoro di ricostruzione del
contesto storico-culturale. L'autore dimostra una voglia sincera di ricostruire un'immagine di
Gesù non diversa o stravolta, in grado di parlare all'uomo distratto e spesso confuso di fine
Millennio. Il film, a causa della complessità della tematica cristologica toccata, risulta di taglio
problematico e tuttavia é da valutare come raccomandabile per la nobiltà del soggetto e la
sensibilità con cui esso viene trattato. Si presta per dibattiti, tenendo peraltro ben presente il
limite cristologico (e concretamente anche storico) sopra ricordato.
10
Facendo attenzione a…
Questa storia non-ufficiale di Gesù Cristo ha un andamento da “romanzo di formazione”, che
evoca fortissime analogie con la storia del principe Siddharta. Gesù passa dalla visione delle
sofferenze umane (donne lapidate, violenze dei legionari romani, bambine vendute, stragi di
predoni) per giungere a predicare la pace e l'amore; apprezza oltremodo la saggezza e
concepisce i giardini dell'Eden in cui gli umani devono rendersi degni di entrare. L’ottica New
Age, pesantemente sottolineata dalla colonna musicale, con cui Jeoshua viene osservato,
correndo, a tratti, il rischio di appiattirne la figura storica in quella di un serafico pacifistaecologista mosso da una fede ultraterrena, è evidente e, certamente, fa di questo film un
tradimento rispetto al progetto comunicativo proprio dei testi evangelici.
L’idea comunque di cogliere come Gesù percepiva la sua identità personale, resta una
necessità irrinunciabile per la fede cristiana e per questo il film merita attenzione. D’altro canto
anche il magistero della chiesa ha ribadito la rilevanza del tema, in una nota del 1986 della
Commissione Teologica Internazionale in cui si sottolinea come Gesù ebbe sempre una
coscienza di sé unica, anche se è da pensare che l'avesse nello sviluppo di un processo
psicologico umano normale; parimenti la sua missione di salvezza, si veniva concretamente
realizzando secondo la volontà del Padre che gli si rivelava nei fatti umani quotidiani e alla
quale si sentiva sempre “ obbediente”.
Per la discussione in gruppo
Questo film presenta un Gesù molto umano: bambino con le sue domande, adolescente con i
suoi sogni, giovane con le sue ricerche. Ti ha sorpreso? Lo pensavi così? Alcune frasi di
Gesù: "Il viaggio più lungo è quello dentro noi stessi"; "Dammi la forza di capire"; "Vieni con
me per cambiare il mondo" potrebbero essere frasi di qualche personaggio storico famoso
(filosofo, pensatore o scrittore?) o di qualche cantante di oggi. Cosa, secondo te, rende
queste affermazioni "cristiane", cioè proprie di Cristo?
11
A. Nascita ed infanzia: (Lc 2, 1-20 / Lc 2, 39-40)
ANALISI
Aspetti del Vangelo da sottolineare durante la discussione
o
o
o
o
o
o
o
Luca è l’evangelista che più estesamente racconta la nascita di Gesù.
L’intera narrazione è racchiusa in tre movimenti, il fatto (2,1-7), l’annuncio (2,8-14),
l’accoglienza (2,15-20). È una sequenza aperta: i pastori, che hanno ricevuto e accolto
l’annuncio, a loro volta raccontano. Così l’evento cristiano cammina nella storia,
contemporaneo a ogni generazione.
La nascita di Gesù avviene in un preciso contesto storico e geografico, in condizioni
particolari di fragilità, precarietà e povertà.
Fin dalla nascita, Gesù e la sua famiglia sperimentano l’amarezza del rifiuto.
Le prime persone ad accogliere Gesù sono semplici ed umili pastori spinti dalla fede in un
segno.
Il racconto dello smarrimento e del ritrovamento di Gesù è inquadrato da due brevi
descrizioni della vita della famiglia di Nazareth (2,40.50); potrebbe dunque sembrare un
semplice episodio di vita familiare, invece il suo significato va ben oltre. Finora altri hanno
rivelato chi è Gesù (l’angelo, i pastori, Elisabetta, Simeone), ma adesso è Gesù che rivela
se stesso.
Gesù crescendo in sapienza, età e grazia, scopre se stesso, apre il suo cuore e accoglie
il progetto di Dio sulla sua vita.
Aspetti di vita quotidiana, che devono emergere dal confronto della vita
dei ragazzi con il Vangelo
o
o
o
Ogni nascita è una grande storia: un desiderio, una scoperta, un annuncio che pian piano
si estende ad altre persone, un’attesa fatta di sogni, progetti e preoccupazioni. Fino ad
arrivare alla nascita, gustare il calore di una famiglia e l’amore dei genitori. Ogni singola
vita avrebbe il diritto di percorrere questa meravigliosa strada; purtroppo difficoltà, paure e
ingiustizie impediscono alla Vita di essere amata e accettata per quello che è.
Assisto anch’io nella mia società ad un atteggiamento di poco rispetto per il valore della
vita?
Nel mio piccolo so gustarmi la “nascita” di un progetto? So portare a fine un impegno per
avere dei risultati?
Come la nascita di Gesù si colloca in un particolare contesto storico e geografico, anch’io
sono chiamato a vivere la mia esistenza tra la mia gente, in famiglia, negli ambienti che
frequento. Proprio in questi luoghi, a volte, si vivono situazioni di povertà e fragilità
materiale, ma anche e soprattutto spirituale.
Come mi pongo d’innanzi a tali realtà? Spesso si sogna di fare cose grandi, ma nel mio
piccolo, nella mia famiglia, tra i miei amici, potrei sanare qualche povertà?
Capita a volte che d’innanzi ad una proposta, ad un piccolo o grande cambiamento di vita,
rispondiamo con un rifiuto, perché risulta più comodo e facile percorrere le strade
conosciute e non accettare alternative più impegnative…ed io di fronte ad una proposta
12
o
o
come rispondo? Ponderato e convinto, oppure subito, sull’onda dell’entusiasmo, oppure
rimango conforme alla mia compagnia…Ho il coraggio di fare scelte che vanno anche
contro corrente?
Accogliere l’altro per quello che è ci richiede la fatica di uscire da noi stessi e donare un
po’ del nostro tempo; quest’accogliere riguarda anche un accettare noi stessi con la
stessa umiltà dei pastori.
Mi regalo del tempo per me, per stare in silenzio con me stesso e pensare a quello che ho
e non solo a quello che mi manca? So valorizzare i miei pregi ed accettare i miei limiti?
Crescere implica un rispettare tempi e tappe ben definite per raggiungere un equilibrio
fisico, psichico e spirituale.
Quali sono le restrizioni che più mi danno fastidio?da parte di chi le ricevo? Sono in grado
di rispettare me stesso, i cambiamenti del mio corpo?
RIAPPROPRIAZIONE
Foto e immagini
I ragazzi sono invitati a pensare ad un momento particolarmente significativo in cui si è
scoperto il valore della vita, un evento che ci ha cambiati dentro, che può essere: un campo
scuola, un incontro, un’esperienza di gruppo, un invito, una scelta coraggiosa, un gran litigata
con i genitori su permessi e limiti,...
Gli animatori portano al gruppo alcune riviste; su queste i ragazzi cercheranno un’immagine,
una foto che rappresenta tale momento, un momento di rinascita.
Una volta scelta ed attaccata l’immagine ognuno scrive due righe per motivarla e spiegarla.
13
B. Tentazioni: Lc 4, 1-12
ANALISI
Aspetti del Vangelo da sottolineare durante la discussione
o
o
o
o
Gesù ha vissuto un momento di prova nel deserto, isolato dagli altri e messo a duro
confronto con le tentazioni nel corpo e nello spirito.
Per due volte il diavolo si rivolge a Gesù dicendogli «se sei figlio di Dio». Gesù esprime il
suo essere figlio nell’obbedienza e nella dedizione, Satana nel poter usufruire della potenza di Dio a piacimento e per la propria gloria. «Se sei Figlio di Dio, dimostralo», questa è
la sfida di Satana e Gesù lo dimostra attraverso il suo modo di essere figlio.
Nel brano c’è la sua sorprendente conclusione: «Il diavolo si allontanò da Lui per ritornare
nel tempo fissato»; dunque la prova non è un episodio chiuso, ma aperto: fino all’ultima
tentazione nel Getzemani, Gesù supera le prove nella preghiera e nel più completo e
fiducioso abbandono nelle mani del Padre, rifiutando ciò che il tentatore gli aveva
proposto sin dall’inizio.
Satana mette alla prova Gesù con tre tentazioni: piacere, possedere e potere.
Aspetti di vita quotidiana, che devono emergere dal confronto della vita
dei ragazzi con il Vangelo
o
o
In tutte le nostre vite incontriamo piccole e grandi prove e, a volte, ci si sentiamo come in
un deserto, soli, provati nel corpo e nello spirito; tutto acquista un’altra prospettiva, se
questi momenti non vengono visti come ostacolo o impedimento, ma come occasioni per
crescere, maturare e conoscere meglio sé stessi.
Ognuno di noi ha un suo personale modo di reagire a prove e difficoltà. So confrontarmi
con qualcuno per vedere se il mio modo è quello più appropriato? Ho il coraggio di
chiedere aiuto quando serve?
o
Spesso l’essere cristiani, frequentare il gruppo e l’ambiente parrocchiale ci porta a sentirci
“a posto”, immuni da tentazioni e dal rischio di seguire il male; la nostra appartenenza a
Gesù si dimostra, invece, nell’essere consapevoli dell’esistenza del male e nel rispondere
alle tentazioni con scelte coraggiose.
Il famoso, e ormai vecchio, esame di coscienza ci dona un valido aiuto: quello di non
lasciar correre, di essere giustamente esigenti verso noi stessi per crescere, valorizzando
la nostra persona e non perdere per strada preziosi talenti. Che atteggiamento ho verso
questa forma di preghiera?
o
Nel superare una difficoltà se ne esce sicuramente diversi, trasformati. La prova, nel bene
e nel male, fa maturare e crescere, basta avere il coraggio di affrontarla.
So leggere gli errori e le difficoltà come opportunità di crescita, oppure per me sono pesi a
volte tanto pesanti da portare?
o
L’essere figli di Dio ci porta ad affrontare le fatiche con un’ottica diversa: quella di non
essere soli e di non dover portare tutto sulle nostre spalle, ma affidarci al Signore con la
preghiera, che non è solo un S.O.S., ma un dialogo intimo e continuo; aprirsi a chi ci sta
accanto e condividere le nostre fatiche o, comunque, portarle insieme, può dare un po’ di
pace e serenità.
14
È difficile avere confidenza con una persona se non si coltiva un rapporto personale e
costante…così è anche con Gesù. Che tempi do alla mia preghiera? È per me un
appuntamento importante, oppure, un’ancora di salvataggio nei momenti critici?
o
Piacere, possedere e potere sono tentazioni molto attuali anche nei nostri giorni. Il
piacere, una via facile e breve per raggiungere una felicità, che dura poco; il possedere,
non essere mai sazi delle cose materiali e vivere con gli altri rapporti che non rispettano il
valore delle altre persone, la loro dignità e libertà; il potere, la volontà di gestire e
programmare la propria vita, senza considerare un progetto più grande.
Riassumendo, il PIACERE tenta la sfera dei sentimenti, il POSSEDERE quella delle cose
materiali e delle relazioni, il POTERE quella del programmare la propria vita.
Ho la forza, l’intelligenza e il coraggio di parlare e confrontarmi con una guida spirituale,
una persona adulta e matura anche su momenti di debolezza e forti tentazioni? Quali
sono le mie tentazioni e miei punti deboli? So chiamarli per nome ed ho il coraggio di
affrontarli?
RIAPPROPRIAZIONE
Testimonianza
Gli animatori cercano di contattare una persona disponibile a raccontare momenti personali di
crisi e difficoltà, dalle quali il protagonista ha tratto preziosi insegnamenti.
La persona che racconta la propria esperienza porterà un’immagine da inserire nell’album,
che rappresenti il momento cruciale della su crisi; ogni ragazzo scrive sull’album riflessioni
relative alla testimonianza ascoltata: in cosa si rivedono, cosa li ha colpiti, che insegnamenti
traggono.
15
C. I sentimenti (Gv 2, 1-12; Gv 11,1-44)
ANALISI
Aspetti del Vangelo da sottolineare durante la discussione
o
o
o
o
o
Gesù è una persona che ama stare in compagnia; viene infatti invitato alle nozze assieme
ai suoi amici e a sua madre.
È un invitato attento alle necessità degli altri e cerca di fare in modo che non manchi
nulla, perché quest’incontro sia vera festa.
Gesù è una persona che ha legami personali, il Vangelo infatti ci riporta che voleva molto
bene a Marta, Maria e Lazzaro.
La notizia della malattia di Lazzaro non lo lascia indifferente, anzi gli fa sospendere ciò
che sta facendo ed affrontare il pericolo di un viaggio per andare da lui.
Gesù arriva ad esprimere i suoi sentimenti con il pianto, in modo pienamente umano.
Aspetti di vita quotidiana, che devono emergere dal confronto della vita
dei ragazzi con il Vangelo
o
o
o
o
Tutti noi amiamo la compagnia degli altri, dei nostri amici; non tutte le compagnie ci
portano a rapporti veri e sinceri, alcune sono infatti basate solo sui propri interessi, sul
puro divertimento e non ci fanno crescere.
I veri legami, quelli profondi, richiedono un personale investimento: sono sempre fatti da
un dare e un ricevere reciproco. Una prospettiva egocentrica ci impedisce di vedere i
bisogni dell’altro, mentre non pensare sempre a noi stessi ci rende più attenti e solidali.
A volte la vera amicizia richiede anche scelte e rinunce, per compiere le quali è
necessario uscire da se stessi per andare verso l’altro.
Per quanto gli altri siano attenti e premurosi, ci sono cose che spesso teniamo solo per
noi e ci fanno male: i sentimenti sono parte di noi e ci rappresentano. Per questo è
importante imparare ad esprimerli, sia quelli positivi, che quelli negativi e magari trovare le
persone più adatte con cui parlarne e confrontarsi. Quando si parla di sentimenti ci vuole
però il massimo rispetto e riservatezza, perché anche una parola detta superficialmente
può ferire l’altro.
Dove sto investendo i miei sentimenti? In veri rapporti costruttivi, o facili e futili emozioni?
Voler bene significa volere il bene dell’altro: vivo i miei legami con egoismo o con
l’attenzione rivolta all’altro?
Creo unione tra le persone che vivono con me, portando allegria e spunti positivi, oppure
alimento contrasti e legami non sinceri?
16
RIAPPROPRIAZIONE
Una serata in compagnia
La metodologia scelta per quest’aspetto è quella di organizzare una serata tra amici: ognuno
si impegna ad invitare un amico, non necessariamente del gruppo parrocchiale, ma qualcuno
che si frequenta a scuola, nell’ambito sportivo o al bar.
L’album momentaneamente resta vuoto, perché l’animatore si impegna a fare una foto di
gruppo durante la serata e ad attaccarla sull’album all’inizio dell’incontro successivo;
brevemente i ragazzi scrivono e raccontano i sentimenti sperimentati nelle loro amicizie.
17
D. La vocazione (Lc 2, 41-50; Mt 3, 13-17)
ANALISI
Aspetti del Vangelo da sottolineare durante la discussione
o
o
o
o
Gesù a 12 anni sente l’esigenza di cercare la propria strada; si stacca dai genitori e
rimane da solo nel Tempio, seduto in mezzo ai dottori.
Questa sua scelta suscita nei genitori preoccupazione e incomprensione.
Davanti all’angoscia dei genitori, Gesù intuisce che c’è qualcosa di più profondo; il
disegno non è ancora per lui chiaro, ma sente che c’è un progetto che va oltre
l’essere figlio di Giuseppe e Maria, una vocazione a cui deve rispondere in prima
persona.
Nonostante questo Gesù fa maturare il disegno, che Dio ha per lui, nel suo cuore,
vivendo con la propria famiglia, nel rispetto della stessa.
Gesù procede nella sua strada di uomo e incontra lungo il cammino segni e persone
che lo aiutano a capire la sua vera identità: si mette in fila per farsi battezzare e riceve
la prima approvazione del Padre sulla sua identità e sul suo modo di essere messia;
Gesù, infatti, non pretende di essere superiore, ma vive accanto e insieme agli
uomini.
Aspetti di vita quotidiana, che devono emergere dal confronto della vita
dei ragazzi con il Vangelo
o
Ogni persona ad un certo punto sente il bisogno di capire e trovare la propria strada;
questi momenti di ricerca possono portare a vivere contrasti con la famiglia, i genitori che
vedono ancora i propri figli come indifesi e piccoli. È importante trovare il giusto equilibrio
tra la ricerca personale e l’ascolto fiducioso dei consigli di chi ci ama e che, per
esperienza, riesce a vedere un po’ più in là.
È facile e comodo affermare di non essere capiti, ma io sono veramente disposto e aperto
al dialogo? C’è qualcuno di cui mi fido e con il quale parlo liberamente?
o
Il progetto che Dio ha su di noi deve trovare tempi e spazi di maturazione, momenti ed
esperienze di silenzio e di ascolto anche di un’altra volontà, che non sia solo la nostra.
Oltre alla messa domenicale, quali altri appuntamenti personali e di comunità ho con il
Signore?
Il silenzio mi fa paura, crea in me disagio? Se sì come mai?
o
Lungo il cammino di ognuno ci sono segni e persone che possono rivelarsi importanti per
il nostro discernimento vocazionale.
Mi metto in gioco? Di fronte a questi segni mi metto in discussione, o vado avanti
indifferente per la mia strada?
18
RIAPPROPRIAZIONE
Per le strade della città
Per fare nostro questo incontro sarebbe importante organizzare un’uscita in cui i ragazzi
sperimentano la ricerca di una via. I ragazzi sono divisi a gruppetti e lasciati in punti diversi
della città; con l’aiuto di una cartina devono raggiungere ad un’ora stabilita un punto segnato
sulla mappa che li raggruppa e dove l’animatore li attende.
Una volta giunti, ogni gruppo racconta la propria avventura e incolla sull’album la propria
cartina, scrivendo gioie e dolori dell’esperienza. (esempio: chiedere informazioni, sbagliare
strada, incontrare persone strade, non sapere dove andare...)
19
*?
Con un suo segreto:
Gesù e il Padre
2.3.2
Ouverture
Gesù è il Figlio di Dio. Straordinario, difficile da immaginare per la nostra piccola realtà.
Eppure è così. Il bello è, però, che lui stesso ce lo rivela, ce lo spiega, lo manifesta e così
facendo apre le nostre menti e i nostri cuori a questa realtà ineffabile. A poco a poco,
seguendo i suoi gesti e le sue parole su questa terra, comprendiamo, facciamo nostra questa
sua realtà e capiamo che proprio di questo abbiamo bisogno: della vicinanza di Dio, di un Dio
che è Padre e che ci tratta da figli.
Gesù è l’Unigenito, ma in lui riceviamo l’adozione a figli: diventiamo tutti figli di Dio, non più
semplici creature e nemmeno semplici servi. Figli, creature desiderate e amate; come primo
di molti fratelli, Gesù ci racconta del Padre, desidera farcelo conoscere, con la sua
identificazione piena, fino alle ultime conseguenze; con la volontà del Padre, Gesù stesso è
manifestazione del suo amore: “chi vede me vede il Padre” (Gv 14, 9), dice ai discepoli
durante l’Ultima Cena. San Giovanni, nel prologo al suo vangelo, lo spiega così: “Dio nessuno
lo ha mai visto: proprio il Figlio unigenito, che è nel seno del Padre, lui lo ha rivelato” (Gv 1,
18).
Il rapporto tra il Padre e il Figlio è così stretto che talvolta è il Padre stesso a rivelarsi in
maniera misteriosa e straordinaria, come nel Battesimo sulle rive del Giordano o sul monte
Tabor, ma questo accade poche volte. Più spesso Gesù ci parla del Padre, rivelandoci il Suo
volto invisibile e dandoci notizie sul rapporto d’amore eterno che li lega e che vogliono
estendere anche a noi. Non è lo straordinario che interessa loro, non vogliono stupirci, ma
entrare in confidenza con noi, accoglierci nella vita divina, per questo il desiderio di Gesù, di
farci conoscere il Padre, è troppo grande per essere taciuto e così lui stesso si fa narratore
della giustizia e dell’amore di Dio, utilizzando le parabole per facilitarci la comprensione.
Attraverso racconti semplici e concreti ce lo presenta, ci fa entrare in confidenza con Dio,
descrive il suo grande desiderio di amare l’uomo.
Se vogliamo conoscere Dio, dobbiamo affidarci a Gesù, perché lui lo conosce meglio di
chiunque altro: “nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non
il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare” (Mt 11, 27).
Matteo 11, 25-27
In quel tempo Gesù disse: «Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai
tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o
Padre, perché così è piaciuto a te. Tutto mi è stato dato dal Padre mio; nessuno conosce il
Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo
voglia rivelare.
20
Sotto questa densa e significativa parola di Gesù si può cogliere tutta l'intimità esistente tra lui
e Dio, suo Padre; questi ha trasmesso a Gesù la rivelazione di se stesso, cosicché egli lo
conosce nel modo unico con cui un figlio conosce pienamente il proprio padre. In forza di
questa relazione profonda di conoscenza e di amore Gesù può rivelare Dio agli uomini.
(Catechismo dei giovani 2, p. 123)
Introduzione metodologica
Le Parabole: Cosa e perché
Gesù inizia a parlare in parabole per tentare di spiegare in modo nuovo, attraverso immagini
e racconti coinvolgenti il suo messaggio, così da far superare le resistenze che incontra negli
uditori. La parabola, infatti, porta l'uditore non più all'impatto diretto con la realtà annunciata
— questo sembra scatenare più reazioni che consensi — ma lo conduce a ripercorrere
l'esperienza lì evocata, attraverso le immagini e i racconti. Chi ascolta, non sentendosi
investito direttamente dal messaggio di Gesù, si lascia coinvolgere in una realtà
apparentemente «altra» rispetto a quella della propria situazione e, una volta coinvolto dentro
il racconto parabolico, sarà portato a considerare i differenti punti di vista in esso espressi, a
trasporre quella situazione immaginaria nella situazione attuale del confronto con il
messaggio di Gesù.
Possiamo indicare così le funzioni di questi racconti.
La prima funzione è di far percepire agli uditori che il regno di Dio è una storia: in essa si
narra il rapporto tra l'iniziativa di Dio e la risposta dell'uomo. Il regno di Dio non è un
insieme di concetti, di idee, ma è storia di relazioni, di incontro: si decide e si realizza in
una successione di possibilità, tentativi, cadute, rilanci.
o La seconda funzione è di argomentare e convincere. L'annuncio diretto pone di fronte a
una scelta obbligata: o ti converti, o non ti converti; la parabola arricchisce la situazione e
l'appello, sviluppandoli attraverso esperienze di vita, immagini che argomentano e
tengono presente il punto di vista di chi è in difficoltà. Nell'argomentare proprio delle
parabole vanno tenuti presenti due focali: il punto di vista degli uditori e il punto di vista di
Gesù. La dinamica del racconto si sviluppa sempre nell'incontro dialettico tra queste due
posizioni.
o La terza funzione è di portare l'uditore ad attingere all'esperienza concreta. La parabola
parte dall'osservazione attenta che Gesù fa della vita del suo tempo; in essa egli è
capace di cogliere i significati più profondi che alludono alla realtà del Regno. Talora
Gesù propone esperienze di vita che escono dalla normalità constatabile e nelle quali ci si
ritrova con fatica: queste riflettono l'esperienza unica, esclusiva di Gesù e del suo
rapporto con il Padre (il Padre nella parabola del figlio prodigo; il padrone nella parabola
degli operai della vigna che da a tutti gratuitamente la stessa paga: non sono figure
facilmente rinvenibili nell'esperienza comune). Questa singolarità che si incontra nelle
figure delle parabole è eco della singolarità propria dell'esperienza di Gesù: stile, scelte,
azioni concrete nelle quali lascia trasparire la singolare comprensione che egli ha di Dio
come Padre suo.
(Parabole di Vita, p. 10-12)
o
21
Tre parabole
Vengono proposte tre parabole significative, attraverso le quali Gesù presenta alcuni tratti del
volto del Padre;
o
o
o
Il padre misericordioso: il volto di un Dio che fa festa quando ritrovi te stesso
Il padrone della vigna: il volto di un Dio che dona tutto a tutti indistintamente
La semente e la zizzania: il volto di un Dio che ha fiducia e che quindi sa attendere
22
A. Un Padre che…ti vuole te stesso
Fase proiettiva
Proposta 1
La parabola del figlio prodigo o del padre misericordioso, tutti la conoscono... L’attività
proposta è quella di far coniare ai ragazzi, senza leggere il testo della parabola, solo facendo
ricorso a quanto ricordano, un nuovo titolo della parabola stessa, un titolo che evidenzi il loro
punto di vista. Ad esempio: ”parabola del padre tonto“ o “parabola del fratello invidioso” ecc..,
la scelta del titolo darà luogo ad una discussione tra i ragazzi che li agevolerà verso la fase
successiva di “approfondimento della parola”.
Proposta 2
Dividere i ragazzi in gruppi di due, all’interno della coppia ciascuno descriverà al compagno, il
rapporto padre-figlio ideale, che ha sempre sognato. In gruppo ciascuno riporta quanto
raccontato dal proprio compagno; i modelli che ne usciranno saranno uno spunto interessante
che avvierà al fase successiva di “approfondimento della parola”.
Proposta 3
L’animatore presenta al gruppo il seguente caso:
“Andrea ha 18 anni e frequenta il quarto anno della scuola superiore; ha abbandonato gli studi
e se ne è andato di casa prendendo con sé, oltre ai suoi risparmi, anche qualche centinaio di
euro trovati in casa; qualche tempo dopo si ripresenta a casa, mentre il resto della famiglia è
seduto a tavola per la cena”.
L’animatore invita poi i ragazzi a mettere in bocca ai personaggi una frase giusta e una
sbagliata.
Nome
Frase Giusta
Frase Sbagliata
Andrea
Mamma
Papà
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Proposta 4
Visione di un film:
o “Nel nome del Padre”
o “Pinocchio”.
Nel nome del Padre
Di Jim Sheridan – Universal – 1993
Soggetto:
In Irlanda, il giovane Gerry Conlon, coinvolto in una guerriglia urbana con gli inglesi e con
l'IRA, si trasferisce in Inghilterra con l'amico Paul Hill che, arrestato per un attentato ad un
pub, sottoposto a violente pressioni, suo malgrado lo denuncia. Gerry, maltrattato per sette
giorni dalla polizia, che minaccia di uccidergli il padre Giuseppe, firma una falsa dichiarazione
che coinvolge anche due hippie della comune, nella quale si era rifugiato con Hill, Paddy
Armstrong e Carole Richardson. La polizia arresta poi la zia Annie ed il padre per
favoreggiamento. Dopo un processo iniquo, orchestrato dall'ispettore Robert Dixon, che ha
coordinato arresti e interrogatori preliminari, tutti vengono condannati. Dopo 15 anni Gerry e il
padre, che dividono la cella, scoprono il vero attentatore, Joseph McAndrew. La polizia non
ha voluto riaprire il processo, e Giuseppe, tramite l'avvocatessa Gareth Pierce, cerca di
dimostrare la verità, ma la cagionevole salute lo stronca ed il figlio, che in carcere ha imparato
ad apprezzarne le qualità umane e morali, raccoglie l'eredità del padre. Per un fortuito
equivoco l’avvocatessa, che sta consultando col controllo di Dixon il fascicolo di Giuseppe,
riesce a prendere visione di quello di Gerry, e trova le prove occultate da Dixon al processo,
ossìa la cruciale testimonianza di un barbone irlandese, Charlie Burke, che ha incontrato
Gerry e Paul in un parco londinese la notte dell'attentato, la cui esistenza è stata sempre
negata dagli inquirenti, e che avrebbe scagionato tutti gli imputati ed i loro presunti complici.
Nel processo che segue, ottenuto anche grazie al vasto movimento d'opinione pubblica, sorto
attorno al clamoroso caso, emerge la verità e tutti vengono liberati.
Valutazione Pastorale:
Film documento, film d'azione, film politico, film di sentimenti e di passioni violente dove odio
e sdegno, ira e frustrazione per i diritti calpestati, ansia di verità, dignità dell'uomo, miseria e
grandezza morale vengono scolpiti con segno denso e serrato da Jim Sheridan, qui al meglio
delle sue grandi qualità di regista. Si pensi alla straordinaria sequenza iniziale della fuga dei
tre ladruncoli per le viuzze di Belfast, nel mezzo degli scontri tra civili e polizia, o ai giornali in
fiamme che i detenuti lasciano cadere nel cortile per celebrare la morte del compagno
Giuseppe; o ai dialoghi, straordinari per tensione interpretativa e densità psicologica e morale
tra padre e figlio in carcere. Non si riesce a trovare una sequenza, un fotogramma che in
questo film non sia funzionale alla vicenda narrata: qui lo spettatore viene coinvolto dallo
straordinario ritmo narrativo, che la memorabile interpretazione di Day-Lewis e Postlethwaite
evidenzia egregiamente, per immedesimarsi nella vicenda dall'inizio alla fine, senza soluzioni
di continuità. Altro punto a favore del film è la cura meticolosa dei dettagli, sia nella
sceneggiatura che nelle figure di contorno: zia Annie, la comune hippie, le scene del carcere,
l'agente che nutre un gabbiano nel cortile mentre Giuseppe lo osserva dalla sua cella, lo
scambio di sguardi tra Gerry e Dixon al processo d'appello. Film verità su un problema, quello
della giustizia, che costituisce una delle più dibattute questioni di questi anni di piombo.
24
PINOCCHIO
Di Roberto Benigni – Buena Vista, 2002
Soggetto:
Dopo aver messo a soqquadro le piccole strade del paese, un tronco si ferma davanti ad un
portone. È la modesta casa del falegname Geppetto che, superata la sorpresa, prende il
tronco, comincia a lavorarlo e ne ricava un burattino cui dà il nome di Pinocchio. Appena
comincia a muoversi, Pinocchio si dimostra sfrenato, vivacissimo, intrattabile. Il babbo vende
la propria giacca per comprargli l'Abbecedario per mandarlo a scuola, ma Pinocchio lo cede in
cambio di un biglietto per entrare nel teatro dei burattini. Mostrando all'aria aperta ben 5
zecchini, viene preso di mira dal Gatto e dalla Volpe, che lo raggirano con la promessa di
portarlo nel Paese dei Barbagianni dove i soldi crescono dalla terra. Catturato dalle guardie e
condannato a cinque anni, in carcere incontra Lucignolo, con il quale fa amicizia. Uscito in
seguito ad una amnistia, fa il proposito di diventare buono, riprova ad andare a scuola ma qui
si accende una rissa e il ragazzo Eugenio muore colpito da una pietra. Tornato in galera,
Pinocchio scappa, vorrebbe ubbidire ai moniti della Fata Turchina, ma vede di nuovo
Lucignolo e si fa convincere ad andare con lui nel Paese dei Balocchi. Qui, finito il momento
dei divertimenti, la mattina dopo i due si svegliano e si accorgono che stanno per trasformarsi
in somari. Sfuggito dal circo, il ciuchino Pinocchio cade in acqua ed é mangiato dalla balena.
Nel ventre del cetaceo ritrova il babbo Geppetto e gli promette che in futuro farà il bravo
bambino; allora si mette a lavorare, aiuta il padre a tornare in salute, infine riesce a diventare
un ragazzo come gli altri con abiti adatti alla sua età. Eccolo di nuovo dirigersi verso la scuola.
Il ragazzo entra, ma l'ombra di Pinocchio resta fuori, guarda e poi torna indietro.
Valutazione Pastorale:
È probabile che un po' di Pinocchio abbia sempre abitato nella finzione narrativa (nei film,
negli spettacoli televisivi, in quelli teatrali) ideata e vissuta fino ad oggi da Roberto Benigni,
ma sottolineare che si tratta di un incontro annunciato rischia di togliere smalto alla novità
della realizzazione: Pinocchio è uscito dalla penna di Carlo Collodi nel 1883, oltre cento anni
prima di questa ulteriore versione in immagini, quando ormai il rapporto cinema/letteratura ha
creato imprevedibili e spesso velleitari stravolgimenti della pagina scritta. Benigni evita di
percorrere questa strada. La fiaba resta il punto centrale, il motore della vicenda, il suo
polmone carico di ansie e di timori. La fiaba si rivolge ai più piccoli e deve sentirli vicini per
mostrare loro tutti i pericoli che li aspettano nella vita. Pinocchio vuole dire al babbo che gli
vuole tanto bene, ma capita qualcosa che lo attira di più, e allora sbaglia, viene ripreso, dice
bugie, piange, promette di non cascarci più, combina un altro guaio, ricomincia. È un viaggio
di formazione, quello del burattino, attraverso le intemperie dell'esistenza e fino all'età più
grande. Una favola senza tempo, che Benigni non cambia, ma nemmeno piega a banali
riferimenti contemporanei, anzi mantiene con decisione sul livello del sogno. La realizzazione
ha momenti di alta forza visiva, il lavoro del compianto scenografo Danilo Donati crea uno
scoppiettante caleidoscopio di colori, suoni, intrecci tra persone e oggetti. Il ritmo affabulante
diventa la cronaca timida e commossa delle peripezie di un indifeso burattino pallido, ingenuo,
stralunato. Il Pinocchio di Benigni non ha paura di mettere in primo piano i propri difetti più
che i pregi, non si propone come un rifugio nella memoria di un tempo migliore, ma come la
voglia di recuperare il coraggio della fantasia. Sorretto dalle presenze di robusti attori di
contorno, Benigni aderisce a Pinocchio e ne tira fuori la piccola verità che da lui proviene: la
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ricerca di affetti, la voglia di riscatto, il senso di una rinnovata armonia. Quello che arriva in
chiusura non è il lieto fine col bene che vince sul male ma, di più, è la voglia di credere che
possa essere davvero così. Dal punto di vista pastorale, il film è da valutare come positivo,
accettabile e poetico per il prevalere delle ragioni del cuore su quelle della mente.
Analisi
Commento a Luca (15, 11-32)
Il capitolo 15 del Vangelo di Luca individua i destinatari delle parabole di Gesù: ”Si
avvicinavano a lui tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi
mormoravano: costui riceve i peccatori e mangia con loro.” È proprio dalla disponibilità e
dall’accoglienza mostrata dalle persone di cattiva reputazione nei confronti di Gesù e dalla
reazione negativa che i suoi gesti suscitano negli scribi e nei farisei fedeli alla parola di Dio e
alla legge che scaturiscono le tre parabole della misericordia: la pecora perduta e ritrovata (Lc
15, 4-7), la dramma perduta e ritrovata (Lc 15, 8-10) e il racconto del padre e dei due figli (Lc
15, 11-32). Questi tre racconti presentano la gioia che deriva dal ritrovare ciò che era stato
perduto, ma hanno un andamento progressivo, sia per quanto riguarda l’oggetto del
rinvenimento (la pecora, la dramma, il figlio), sia per l’espressione (perduto/ritrovato,
morto/ritornato in vita).
La parabola del Padre misericordioso è divisibile in due parti riguardanti il figlio minore e il
figlio maggiore, collegate dal ritornello: “Questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era
perduto ed è stato ritrovato”. È chiaro d’altra parte che il vero protagonista è il padre: è attorno
a lui che si snodano i due percorsi diversi dei figli.
Il percorso del figlio minore inizia con la decisione di allontanarsi dalla sua casa con i beni che
gli sarebbero spettati in eredità, ma solo dopo la morte del padre, secondo gli statuti giuridici
del tempo: il padre poteva infatti dividere l’eredità tra i figli finché era ancora in vita
conservandone l’usufrutto, ma i beni restavano non alienabili fino alla sua morte; Anche per
questo risulta strana la reazione del padre che subisce silenziosamente questa “sconfitta”.
Il racconto prosegue con il degrado progressivo del figlio: conduce una vita immorale,
sperpera le ricchezze e si riduce a lavorare da un pagano, divenendo così impuro per la
mentalità giudaica del tempo, tanto da non poter più partecipare alla comunità religiosa.
Trovandosi a pascolare i porci, considerati animali impuri, e raggiunto il culmine del degrado
sia economico, sia morale e religioso, che culturale e fisico, il giovane “rientra in se stesso” ed
inizia una conversione interiore ed esteriore; questo “rientrato in se stesso” non è un vero atto
di conversione: egli decide di tornare solo per un calcolo dettato dal bisogno (“Quanti
mercenari in casa di mio padre hanno pane in abbondanza, e io qui muoio di fame”); inoltre
egli riconosce di non poter più essere accettato come figlio e decide così di presentarsi come
servo, per avere almeno qualcosa da mangiare.
Ora ritorna improvvisa la figura del padre, che vede il figlio quando era ancora lontano,
evidenziando così che egli, con la sua fiducia e con al sua speranza, era sempre presente
anche nell’assenza del figlio. La sua reazione e la corsa verso il figlio, sicuramente, ha
suscitato sconcerto negli ascoltatori perché per un ebreo il correre è un gesto poco dignitoso
soprattutto per una persona di una certa età (“Un uomo si conosce nella dignità del suo
procedere” Proverbi), Così , come all’inizio del racconto il padre aveva ignorato ogni buon
senso, ora ignora tutte le convenzioni sociali.
La simbologia del racconto è importante: la veste migliore, in oriente, si concede alla persona
più importante della casa, l’anello è lo strumento con cui sigillavano i contratti (il padre
reintegra il figlio tra i suoi beni), e i calzari erano il segno degli uomini liberi (il padre ridona al
figlio la piena libertà).
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La festa finale e l’accostamento dei termini “morte – vita”, esprimono infine tutta la gioia del
padre. Questo atteggiamento imprevisto del padre può scatenare un cambiamento nel figlio
minore, anche se non è detto che questo avvenga (Padre misericordioso).
Inizia ora il percorso del figlio maggiore, che era rimasto fedele e adesso decide di stare fuori
casa per esprimere il suo dissenso e la sua rabbia, la sua risposta al padre che con pazienza
lo esorta ad entrare; la frase: “Io ti servo da tanti anni e non ho mai trasgredito un tuo
comando” ci rivela che egli pensava alla sua relazione col padre come quella di un servo con
il padrone; la risposta del padre, però, rivela pienamente la relazione che vuole instaurare con
entrambi i figli: ”Figlio tu sei sempre con me”, definisce così un rapporto di amore inserito
nella libertà, che comporta la comunione totale dei beni “Tutte le cose mie sono anche tue”.
La parabola resta incompiuta non rivelando la reazione del figlio minore e del figlio maggiore,
perché essa vuole essere un appello all’ascoltatore affinché si apra all’accoglienza e decida
quale atteggiamento seguire.
Il messaggio di Gesù
Gesù sa che gli scribi e i farisei consideravano i pubblicani e i peccatori pubblici senza dignità
umana, degradati a tutti i livelli e gli stessi peccatori si sentono irrimediabilmente impuri e
lontani da Dio: per questo egli vuole mostrare agli ascoltatori che Dio considera sempre suo
figlio ogni uomo, anche se peccatore, proprio come succede nella parabola.
Gesù presenta innanzitutto ai farisei e agli scribi un’immagine singolare di Dio:
o è un Dio che ama nella libertà e che accetta di essere amato solo in un rapporto libero;
o è un Dio presente e fedele anche nell’assenza più ostinata dell’uomo e che accoglie
sempre le persone pronte a cambiare;
o è un Dio che perdona senza condizioni, nella massima gratuità.
Gesù invita quindi i farisei a non giudicare e stigmatizzare le persone e li invita, non a una
conversione morale, ma a una nuova visione di Dio: essi devono comprendere che valgono
non per quello che fanno, ma per il fatto che sono amati da Dio; anche i pubblicani sono
invitati, non a una immediata conversione morale, ma a comprendere l’amore gratuito di Dio,
che deve servire come molla per decidersi ad una vita moralmente corretta, non come servi
ma per riconoscenza, cioè come figli.
I significati per la nostra vita
Un’interpretazione moralistica di questo testo “non bisogna fare come il figlio minore e
neppure come il figlio maggiore, ma come il padre” toglie alla parabola il suo significato
profondo perché riporta l’accento sul nostro fare, mentre Dio ci ama per ciò che siamo per lui,
cioè suoi figli.
La consapevolezza che Dio ci ama per quello che siamo deve essere per noi stimolo ad
andare incontro con fiducia anche a chi ha sbagliato e a chi a perso il gusto della vita. Inoltre
questa consapevolezza deve manifestarsi nella gioia nella fiducia e nella speranza con cui
affrontiamo ogni situazione, perché sappiamo che Dio ci ama incondizionatamente e perdona
gratuitamente: solo vivendo con questo entusiasmo e ottimismo saremo veri testimoni.
27
Proposta 1
Lettura della parabola dal Vangelo di Luca. 15,11-32
Dopo la lettura della parabola, l’animatore dovrà guidare una discussione di gruppo facendo
attenzione che la discussione non vada troppo fuori tema, ma tenendo ben presente che
l’obiettivo è quello di analizzare i tipi di rapporti che intercorrono tra i personaggi e che la
figura di Dio che Gesù ci descrive è:
o
o
o
un Dio che ama nella libertà e che accetta di essere amato solo in un rapporto libero;
un Dio presente e fedele, anche nell’assenza più ostinata dell’uomo e che accoglie
sempre le persone pronte a cambiare;
un Dio che perdona senza condizioni nella massima gratuità.
Proposta 2
Lettura della parabola dal Vangelo di Luca. 15,11-32
Ogni componente del gruppo dovrà esprimere con un disegno su un cartellone, la figura del
padre della parabola e spiegare quanto rappresentato. Ad esempio:”ho disegnato un cuore
grande che rappresenta la grande misericordia del padre”, oppure “ho disegnato una bilancia
che pende da una parte, perché secondo me è stato ingiusto” ecc.
Alla fine l’animatore esporrà la figura del padre vista dai ragazzi, dopo la lettura della
parabola, riassumendo quanto riportato sul cartellone con le relative motivazioni; qualora non
fossero emersi durante l’attività, esporrà ai ragazzi i tre principali messaggi che Gesù ci
trasmette con questa parabola:
o
o
o
è un Dio che ama nella libertà e che accetta di essere amato solo in un rapporto libero;
è un Dio presente e fedele anche nell’assenza più ostinata dell’uomo e che accoglie
sempre le persone pronte a cambiare;
è un Dio che perdona senza condizioni nella massima gratuità.
Proposta 3
Lettura della parabola dal Vangelo di Luca. 15,11-32 con il metodo del dialogo muto: è come
un dialogo “normale” solo che, anziché parlare, ogni cosa che un componente del gruppo
deve dire la scrive, animatore compreso.
L’animatore invita i ragazzi a riportare su un cartellone i loro commenti e le loro riflessioni
sulla parabola; è opportuno che venga posta particolare attenzione alla figura del padre,
anche se non necessariamente fin dall’inizio dell’attività. Ovviamente i ragazzi hanno “carta
bianca”, ma l’animatore deve avere ben chiaro l’obiettivo, cioè far emergere, anche nella
discussione che seguirà l’attività, una figura di padre con le seguenti caratteristiche:
o
o
o
è un Dio che ama nella libertà e che accetta di essere amato solo in un rapporto libero;
è un Dio presente e fedele anche nell’assenza più ostinata dell’uomo e che accoglie
sempre le persone pronte a cambiare;
è un Dio che perdona senza condizioni nella massima gratuità.
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Proposta 4
PROCESSO ALLA PARABOLA: si divide il gruppo in tre sottogruppi, ciascuno dei quali
impersona i protagonisti della Parabola (il padre, il figlio maggiore e il figlio minore)
esponendo agli altri le ragioni del proprio comportamento e accusandoli per gli errori
commessi; eventualmente si possono individuare all’interno dei gruppi dei testimoni (i porcari,
il padrone dei porci, i servi del padre...) e farli deporre a favore o sfavore di uno o dell’altro
personaggio.
L’animatore, o se possibile un sacerdote, rappresenterà la corte e trarrà le conclusioni: il
messaggio che deve emergere e che l’intento di Gesù, non è tanto quello di entrare nella
dinamica familiare, ma piuttosto di fare festa per un figlio che si converte e, pertanto, il
processo non sussiste, è finto e si smonta da solo.
Riappropriazione
Finalità di questa fase è aiutare i ragazzi a riscoprire il volto paterno di Dio e di rivalutare la
relazione filiale che va vissuta nella libertà.
Si è visto che la parabola è un invito a cambiare l’immagine che abbiamo di noi stessi, figli di
un padre misericordioso e non servi del padrone che ci dà da mangiare. Nel vivere la nostra
fede ci poniamo in atteggiamento “servile” o “filiale”, ovvero essa è per noi un peso da portare
per tradizione, o un contratto (servire fedelmente per avere un capretto), o è piuttosto
riconoscenza per una festa continuamente ricevuta (“tu sei sempre con me e tutto quello che
è mio è tuo”).
L’animatore può invitare i ragazzi a simulare il seguente gioco di ruolo nelle rispettive parti:
immaginiamo di essere stati invitati alla festa per il figlio minore; il padre, non essendo riuscito
a far entrare in casa il maggiore, ci chiede di uscire per convincerlo: che discorso faremmo al
figlio maggiore arrabbiato?
In alternativa si possono incontrare persone significative, possibilmente della comunità, che
hanno vissuto momenti difficili o di forte tensione, specie nell’ambito familiare, che poi si sono
trasformati in festa allo stesso modo con cui il Padre fa festa per il figlio che ritorna (ad
esempio un figlio che prende la strada della droga o dell’alcol e che poi si riesce a
recuperare).
29
B. Un Padre che da tutto…a tutti
FASE PROIETTIVA
Proposta 1
Commentare in gruppo il brano riportato di seguito, lasciare che i
ragazzi completino l’ultima frase e cercare insieme altre situazioni
analoghe da commentare che si possono verificare durante la vita quotidiana.
La rappresentativa calcistica del liceo “A. Manzoni” è arrivata al primo posto nel torneo che si
svolge annualmente tra istituti superiori. Tutta la squadra viene invitata per la premiazione
sull’enorme podio allestito appositamente per l’occasione e addobbato con i colori della
scuola. Il preside del liceo si congratula personalmente con ciascun giocatore man mano che
“Miss liceo” consegna loro fiori, medaglia e bacini sulle guance, tra l’entusiasmo generale
degli altri compagni e l’amarezza di coloro che non hanno vinto. Concluse le formalità della
premiazione tutta la squadra festeggia con cori e danze; ad un certo punto Mirko, il bomber
della squadra, si rivolge a Pietro, Franco e Aldo, panchinari che stanno saltando e cantando
con tutti gli altri compagni di squadra: “Voi tre avete poco da cantare e sfoggiare medaglie:
messi insieme non avrete giocato neanche 15 minuti!!” Giacomo, il portiere, ha sentito tutto e
si rivolge a Mirko dicendo:
Proposta 2
Si può introdurre l’argomento attraverso l’ascolto e il commento del testo della canzone “Una
vita da mediano” di Luciano Ligabue, nella quale il mediano è come l’ “operaio della prima
ora” che non vede riconosciuti (dai tifosi, dalla stampa…) i propri sforzi (“una vita da
mediano…passata recuperar palloni, ché il pallone devi darlo a chi finalizza il gioco), mentre
la punta è come l’ “operaio della sera” che magari non fa niente per 90 minuti, ma riceve sul
piede il pallone del gol decisivo, con conseguente ovazione dei tifosi ed elogi della stampa…);
anche il mediano, però, alla fine vince i mondiali insieme a tutta la squadra e, quindi, ha
anche lui la più grande delle ricompense.
UNA VITA DA MEDIANO
L. Ligabue
Una vita da mediano a recuperar palloni
Nato senza i piedi buoni, lavorare sui polmoni.
Una vita da mediano, con dei compiti precisi
A coprire certe zone, a giocare generosi
Lì, sempre lì, lì nel mezzo finché cen’hai stai lì
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Una vita da mediano, da chi segna sempre poco
Che il pallone devi darlo a chi finalizza il gioco.
Una vita da mediano, che natura non ti ha dato
Ma lo spunto della punta, vede il 10 che peccato
Lì, sempre lì, lì nel mezzo, finché cen’hai stai lì
Stai lì, sempre lì, lì nel mezzo
Finché cen’hai, finché cen’hai, stai lì
Una vita da mediano, da uno che si brucia presto
Perché quando hai dato troppo
Devi andare e fare posto.
Una vita da mediano, lavorando come Oriali,
anni di fatica e botte e vinci casomai i mondiali.
analisi
Commento alla parabola “Gli operai della Vigna” (Mt 20, 1-16)
In questo racconto Gesù ci parla della giustizia di Dio. Si tratta di una domanda che non
interessa solo il nostro rapporto personale con il Dio, ma anche tutte le nostre relazioni con gli
altri, se è vero che vogliamo vivere appieno la nostra filiazione divina assomigliando il più
possibile al Padre.
All’epoca di Gesù, e nella regione in cui viveva, era abituale per il padrone di una vigna
prendere a giornata degli operai durante il periodo della vendemmia, cercandoli sulla piazza
del villaggio, dove essi attendevano di essere chiamati al lavoro. Il padrone assumeva il
numero di persone di cui aveva bisogno e concordava subito la paga giornaliera, in base ad
una giornata lavorativa suddivisa in dodici ore, dall’alba al tramonto, quindi circa dalle sei del
mattino alle sei di sera. La ricerca degli operai avveniva una sola volta al giorno, di regola al
mattino, perciò la parabola raccontata da Gesù, che parla invece di numerose chiamate fatte
in orari diversi, si discosta in parte dalle consuetudini, senza comunque divenire inverosimile,
dato che possiamo ipotizzare il verificarsi di condizioni straordinarie che possono giustificare
la necessità di un’ulteriore ricerca di manodopera in un momento successivo.
È opportuno precisare che la paga stabilita con gli operai assunti alla prima ora corrisponde a
quella in uso al tempo: un denaro corrisponde al sostentamento di una famiglia per un giorno.
La paga veniva distribuita subito, la sera stessa, esattamente come racconta Gesù.
La parabola raccontata da Gesù si può dividere in due parti: la chiamata (a partire dal v. 1) e il
rendiconto della sera (a partire dal v. 8). La prima parte è costituita dalle diverse chiamate al
lavoro e dalla contrattazione del salario. Non essendo specificato un motivo speciale che
giustifichi le numerose chiamate, come ad esempio un temporale improvviso e quindi la fretta
di raccogliere i frutti prima che il maltempo li distrugga, non possiamo attribuire questo fatto
anomalo ad una particolare necessità del padrone, ma esclusivamente alla sua volontà.
Questo è molto importante per comprendere la parabola, perché nel caso di un improvviso ed
estremo bisogno di manodopera sarebbe giustificato il fatto che alla fine il padrone dia a tutti
la stessa paga: infatti quando si ha una grande necessità si è disposti a pagare anche più del
dovuto, ma il comportamento del padrone non è motivato da un bisogno impellente, perciò la
domanda sul perché di queste chiamate ad ore diverse rimane aperta e genera stupore,
amplificato dall’accento posto sul grande divario esistente tra gli operai della prima ora e quelli
31
dell’ultima ora. La stessa cifra pattuita, specificata chiaramente al primo appello, viene
successivamente sostituita da espressioni allusive e generiche come «quello che è giusto».
L’ascoltatore dà per scontato che la somma venga via via modificata in base al numero delle
ore lavorate.
La seconda parte della parabola inizia con il padrone che incarica il suo amministratore di
distribuire il salario partendo da coloro che sono stati chiamati per ultimi. In questo modo, i
primi assistono a tutta la scena e hanno il tempo di fare il confronto tra le loro prestazioni e
quelle degli altri operai. Il loro disappunto è grande e trova espressione nel dialogo finale, nel
quale emergono due punti di vista diversi. Si tratta del punto focale del racconto, il momento
in cui Gesù mette a confronto la sua visione della giustizia divina con quella di chi lo ascolta. Il
punto di vista di Gesù coincide con quello del padrone della vigna, il quale dapprima chiarisce
che non c’è ingiustizia nel suo comportamento, perché ha dato quanto pattuito e in seguito
rende manifesto che la misura dell’agire del padrone non sta nella corrispondenza alle
prestazioni degli operai, ma nella libertà con cui lui stesso dispone di sé e delle proprie
ricchezze nei loro confronti: «Non posso fare delle mie cose quello che voglio?». Non si tratta
però di un padrone tiranno e capriccioso, ma di uno che agisce con liberalità secondo la
ricchezza della sua condizione, che gli permette di dare con sovrabbondanza, senza calcolo.
Il messaggio di Gesù
Questa parabola ci presenta di nuovo l’atteggiamento di incondizionata accoglienza del Dio di
cui Gesù ci mostra il volto. La sua disponibilità nei confronti degli uomini è caratterizzata da
gratuità, generosità e sovrabbondanza di amore, e non è mai vincolata dalle prestazioni che
essi gli rendono. Dio Padre non conosce contabilità, né limiti, né riserve o condizioni. Il suo
amore è assoluto, abbraccia l’intera umanità e si posa con atteggiamento di predilezione su
ciascuno. Per l’ottica farisaica questo comportamento rappresenta uno sconvolgimento
dell’ordine costituito della giustizia. La causa di questo scandalo non è però altro che la bontà
del padrone, qualità infinita che non può essere disapprovata. La giustizia divina non prende
le mosse dai meriti degli uomini, ma dall’infinita bontà di Dio che, in assoluta gratuità, dà
all’uomo ciò di cui ha bisogno, esortandolo al contempo a fare altrettanto, a vivere a sua volta
relazioni di gratuità. È questa la caratteristica del regno di Dio, che si compie nei termini di un
dono d’amore smisurato e gratuito, che fa saltare qualsiasi ottica di retribuzione, di legalismo
e moralismo.
Cercare di piacere a Dio contando esclusivamente sui propri sforzi, sulle proprie idee, sui
propri metodi si rivela quindi un procedere limitato, condizionato dall’idea di doversi
guadagnare l’amore di un Dio, che invece ama per primo, spontaneamente e in modo
gratuito. È da questo amore originale e spontaneo che traiamo la forza e il modello del vero
agire morale, che solo edifica davvero il regno di Dio tra gli uomini, liberando le relazioni
umane da rapporti di concorrenza, di confronto e di invidia. Tutto ciò è espresso dalla
domanda del padrone della vigna «Oppure tu sei invidioso perché io sono buono?»: gli operai
della prima ora non sanno gioire della bontà del padrone, di cui loro stessi sono oggetto e di
cui hanno vitale bisogno, e per il dono ricevuto dai loro compagni dell’ultima ora, che sono
destinatari di un dono ricco in generosità. La cattiveria dei primi nasce dal fatto che la loro
attenzione è orientata con invidia al confronto con i fratelli, anziché rivolgersi al padrone e alla
sua bontà. Dio si dona totalmente, incondizionatamente e non richiesto: all’animo buono
questo dona gioia, mentre provoca reazioni di risentimento in chi non sa gioire della
generosità di Dio.
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I significati per la nostra vita
Un peso, una misura. È la sintesi della nostra idea di giustizia. Se io faccio di più, merito di
più; normale, è giusto. Chi fa tanto merita tanto, chi fa poco merita poco. Ognuno, in fondo,
raccoglie quel che semina. È questione di responsabilità personale. Ed è giusto che si veda la
differenza. Che ne penso io? Cosa capita a me?
Il padrone della vigna, immagine di Dio Padre, si rivela subito come uno che sa incontrare gli
uomini. Ancora di più: lui non si stanca di andare a cercarli e non va in luoghi dove già stanno
lavorando: si reca là dove sa che gli uomini non stanno combinando nulla, dove sono soli,
dove nessuno ancora li ha cercati. A chi si è fatto attendere più a lungo, consegna la paga per
primo. Forse perché “c’è più gioia in cielo per un peccatore convertito che per novantanove
giusti che non hanno bisogno di conversione” (Lc 15,7). Questo Dio è un Padre che ama e
che non dimentica mai i suoi figli, nemmeno quando sono lontani.
Il Padre rivelato da Gesù ama incondizionatamente tutti e ciascuno. È dall’amore che ha
origine la sua giustizia. Ciò che gli importa è entrare in comunione con l’uomo, che i suoi figli
gli si avvicinino e conoscano il suo amore, che compiano dei passi verso di lui.
Nel chiedere giustizia, ci dimentichiamo spesso che essa ha senso solo se è accompagnata
dall’amore, dalla comprensione, dal perdono. Al contrario del padrone della vigna, ci
dimentichiamo della dimensione relazionale della società: non è una gara in cui ognuno
gareggia solo per se stesso per essere il migliore. Piuttosto si tratta di realizzare quella che
Giovanni Paolo II chiamava “la famiglia umana”.
Questa parabola ci esorta ad esaminare la nostra idea della giustizia di Dio. Ce ne facciamo
un’idea osservando come guardiamo ai nostri fratelli: sappiamo gioire del bene che Dio
concede a chi ci sta vicino? Desideriamo addirittura cooperare a questo bene degli altri
anziché misurarlo con il metro? Sappiamo trovare consolazione nel rapporto personale con
lui, in ciò che lui promette a noi, o facciamo confronti e ci lamentiamo? Crediamo davvero che
la vicinanza con Dio è il bene più grande per noi e per gli altri? Ci impegniamo per
guadagnarla per noi e per chi ci sta vicino, sapendo che non si tratta di una ricompensa per
gli sforzi umani, ma innanzitutto di un dono gratuito e spontaneo?
Uscire da un’interpretazione legalistica e moralistica della giustizia divina, che non fa altro che
creare rapporti concorrenziali tra noi e gli altri, è possibile guardando a Dio e alla sua
giustizia, conoscendolo di più attraverso la vita di Gesù. Inoltre è importante scoprire l’azione
ispiratrice dello Spirito Santo, che guida la vita della Chiesa e di ciascun cristiano in ogni
tempo e che rappresenta il dono gratuito che Dio fa di se stesso. La vita della Chiesa ha da
sempre al suo centro i sacramenti: ricevere con frequenza e con gratitudine soprattutto il
sacramento della riconciliazione e l’Eucaristia ci aiuta a fare esperienza ogni giorno di un Dio
che si dona generosamente e totalmente, a prescindere dal punto in cui si trova il nostro
cammino di santità. Partire dall’amore gratuito di Dio, dal dono che riceviamo, è il primo passo
per lasciarci permeare da esso, per averlo sempre presente nelle nostre relazioni con gli altri
e per diventare quindi dei testimoni autentici dell’amore che abbiamo ricevuto e che siamo
chiamati a diffondere intorno a noi. È opportuno anche “imparare le persone”: conoscere le
esperienze di santità che hanno manifestato nella storia la possibilità dell’unione del cuore
dell’uomo con il cuore di Dio. Metterci alla scuola di queste figure e di tutte quelle che rendono
attuale anche oggi questa imitazione della gratuità divina ci aiuta ad intraprendere un
cammino personale fatto di piccoli passi: riconoscere la grandezza altrui; saper dare e
ricevere un perdono incondizionato; accogliere gli imprevisti e le sconfitte come occasioni per
vivere all’altezza dell’amore di Dio, senza perdere la fiducia in Lui, in noi stessi e negli altri;
rimanere fedeli agli impegni presi anche se non riceviamo una gratificazione immediata;
perseverare nella vita interiore anche nei momenti di aridità.
33
Proposta 1
Dopo la lettura della parabola, l’animatore dovrà guidare una discussione di gruppo facendo
attenzione che la discussione non vada troppo fuori tema, ma tenendo ben presente che
l’obiettivo è quello di porre l’attenzione soprattutto sul fatto che Dio Padre non conosce
contabilità, né limiti, né riserve o condizioni. Il suo amore è assoluto, abbraccia l’intera
umanità e si posa con atteggiamento di predilezione su ciascuno.
Proposta 2
Dopo la lettura della parabola, sottoporre ai ragazzi le domande di seguito riportate,
commentare insieme le risposte, arrivando a porre l’attenzione sul messaggio principale di
questa parabola: Dio Padre non conosce contabilità, né limiti, né riserve o condizioni. Il suo
amore è assoluto, abbraccia l’intera umanità e si posa con atteggiamento di predilezione su
ciascuno.
o
o
o
o
Come si sono sentiti, secondo te, gli operai della prima ora?
Come si sono sentiti, secondo te, gli operai della sera?
Qual è la mentalità degli operai della prima ora, come vedono la vita? Come considerano
il mondo?
Qual è la mentalità del padrone della vigna? Qual è il senso profondo del rimprovero
finale?
Proposta 3
Dopo la lettura della parabola, l’animatore inviterà i ragazzi, usando l’immaginazione, a
continuare la parabola rispondendo alle domande sotto riportate.
Alla fine dell’incontro l’animatore riassumerà in breve quanto emerso durante l’attività di
approfondimento e porterà l’attenzione sul messaggio principale di questa parabola: Dio
Padre non conosce contabilità, né limiti, né riserve o condizioni. Il suo amore è assoluto,
abbraccia l’intera umanità e si posa con atteggiamento di predilezione su ciascuno.
o
o
o
o
o
o
o
o
Cosa avranno raccontato gli “operai della sera” alle proprie famiglie?
A che ora si saranno presentati gli “operai della sera”, il giorno seguente?
Cosa avranno raccontato alle proprie famiglie gli “operai del mattino”?
Cosa si sentiranno rispondere dalle proprie famiglie gli “operai del mattino”?
A che ora si presenteranno il giorno seguente gli “operai del mattino”?
Come avrà commentato presso la propria famiglia, i fatti accaduti, il padrone della vigna?
Che criterio di reclutamento utilizzerà il padrone della vigna il giorno seguente?
Che criterio di paga adotterà il padrone della vigna il giorno seguente?
34
RIAPPROPRIAZIONE
Quello della gratuità è l’atteggiamento costante che Dio ha nei nostri confronti.
Finalità di questa fase è aiutare i ragazzi a sperimentare l’inaspettata gratuità di Dio, che ogni
giorno ci dona pienamente se stesso, e trasformarla in quotidiana gratuità nella nostra vita.
L’animatore può invitare i ragazzi a riflettere sulle emozioni provate in qualche particolare
momento della loro vita (a scuola, in famiglia, tra amici…), dove per un gesto, un favore
disinteressato, sono stati ricompensati spropositatamente (non necessariamente in termini
economici).
Si porrà particolare attenzione su come ogni gesto di gratuità che compiamo ci offra una
profonda possibilità di realizzazione, liberi dall’ansia del risultato e della ricompensa; tale tipo
di atteggiamento inoltre favorisce uno stile di relazione con gli altri che permette di
sperimentare possibilità di cambiamento.
Si possono invitare i ragazzi all’incontro con persone (preferibilmente della loro comunità,
meglio se conosciute e stimate) che coltivano attivamente, impegnati in gruppi, associazioni
ecc… l’aspetto della gratuità.
35
C. Un Padre che ha sempre fiducia
FASE PROIETTIVA
Proposta 1
DEAD MAN WALKING
Di Tim Robbins – RCS, 1995
Soggetto:
Il giovane Matthew Poncelet, condannato a morte in Louisiana, scrive alla suora Helen
Prejean per avere colloqui ed assistenza in carcere. Con l'amico Carl Vitello, ora all'ergastolo,
il giovane ha ucciso una notte due fidanzati che si erano appartati in un bosco. Vitello, avendo
tanto denaro, ha potuto scampare con validi avvocati alla pena capitale, mentre Matthew è
stato condannato a morte; con l'approvazione dei suoi superiori, suor Helen (che svolge i
propri compiti in un centro di servizi sociali) si appresta all’insolita missione. Matthew è un tipo
fra il bullesco e lo sprezzante, ma in realtà è disperato, e dopo qualche contatto la suora entra
in crisi. Tuttavia, visita la madre del detenuto, Lucille Poncelet (con altri figli minorenni a carico
cui provvedere), per raccogliere notizie ed elementi sull'infanzia del giovane, che ora ha
contro l'opinione pubblica, la stampa e la televisione, oltre che i comitati favorevoli alla pena di
morte. La minoranza invece, contraria alla barbarie delle esecuzioni in carcere, lotta invano.
Nel frattempo viene ingaggiato un solerte difensore, vengono attivati gli ultimi strumenti
giuridici utilizzabili, tra i quali la domanda di grazia al Governatore dello Stato, che la negherà.
Suor Helen contatta i familiari delle due vittime: Earl Delacroix per il ragazzo Walter, Clyde e
Mary Beth Percy per la figlia Hope, violentata e straziata prima dell'assassinio. Costoro non
comprendono come la suora "difenda" un criminale, e loro non accettano l'idea del perdono.
Malgrado lo scarsissimo tempo residuo, Matthew ha qualche cedimento: le parole della sua
assistente spirituale e la Bibbia che essa gli ha dato cominciano ad avere effetto, mentre le
visite e l'evidente stato di angoscia e di crisi della suora aprono spiragli nel suo cuore. Suor
Helen ottiene di poter assistere all'esecuzione, perché lui la vuole vicina: alla vigilia, fra le
prime lacrime, le confessa che lei soltanto ha dimostrato di volergli bene. Già legato al
lettuccio per essere sottoposto all’iniezione letale, secondo le norme in vigore per
l'esecuzione, le ultime parole di Matthew sono una richiesta di perdono ai parenti presenti, la
confessione della propria delittuosa complicità e la dichiarazione di affetto a quella suora, che
tende fino alla morte la mano verso di lui.
Valutazione Pastorale:
Il film propone il problema della liceità della pena capitale; il duplice strazio dei parenti delle
vittime, l'impegno tenace, ma anche la crisi di suor Helen; la personalità spavalda, ma anche
fragile, fino al pentimento ed alle lacrime del condannato prima della morte. La pietà di suor
Helen fa da valido e disperato contrappeso all’inevitabile impietosità dei particolari operativi.
Tratto dal libro di Helen Prejean, e da una personale esperienza di tale religiosa, il film è una
"vigilia di morte", che l'omicida e la sua assistente spirituale vivono insieme, tra mille ostacoli
(l'approccio è insolito: le reazioni altrui per altri orrendamente morti; l'impatto del massacro e
del successivo adempimento di giustizia e le regole dettate da leggi e procedure). È
altrettanto doveroso rilevare la prestazione e l'affiatamento dei due interpreti: Susan Sarandon
impegnata in un ruolo arduo, con sensibilità e smarrimenti, ma altresì con coraggio e bagliori
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di speranza; Sean Penn, da prima terrorizzato, poi passato attraverso il pentimento a quella
Verità evangelica che lo farà libero. La lunga scena dell'esecuzione è, tuttavia, nella sua
scansione realistica, assai gelida.
Proposta 2
L’animatore presenta al gruppo il seguente caso (opportunamente adattato): «Dopo un
cammino di due anni in preparazione alla cresima, il gruppo di catechisti, radunato dal
parroco, discute animatamente sul caso di due ragazzi che hanno partecipato agli incontri di
catechismo solo in modo molto discontinuo. Il papà del primo, che non si è mai fatto vedere in
due anni, esige che il figlio riceva la cresima come tutti e la stessa cosa chiede la madre del
secondo, che vive separata dal marito. La discussione tra i catechisti è molto animata e si
formano sostanzialmente due gruppi: quello formato da coloro che non ritengono opportuno
che i due ragazzi ricevano la cresima in quanto impreparati, e quello formato da coloro che
vogliono che i ragazzi siano comunque ammessi al sacramento, considerate le situazioni
familiari e il fatto che l’anno seguente ci si ritroverebbe ancora allo stesso punto; anche il
parroco è indeciso sulla decisione da prendere».
L’animatore formula le seguenti domande: che soluzione daremmo a questo caso così
frequente? Ci vengono in mente situazioni analoghe?
Proposta 3
Commentare insieme ai ragazzi un fatto grave di cronaca, dal quale nasca spontanea la
domanda:”ma perché Dio permette questo?”
analisi
Commento alla parabola della semente e della zizzania (Mt. 13,24-30)
Non sono poche le volte in cui desidereremmo che Dio facesse giustizia una volta per tutte,
che ripagasse ciascuno con la sua stessa moneta: ai buoni onore e felicità, a chi non è degno
del suo regno punizione e allontanamento. Abbiamo bisogno di conferme alle nostre buone
opere, di una chiara distinzione tra bene e male.
Gesù ci mostra invece un Dio che, instancabilmente, si fa incontro ad ogni uomo, un Dio
paziente che perdona, che offre a ciascuno nuove occasioni per cambiare e maturare. È un
Dio che ogni volta “fa nuove tutte le cose”: guarda e ama ciascuno senza tenere conto degli
errori passati.
L’immagine della semina viene usata più volte da Gesù. In questo particolare racconto, nel
campo del padrone crescono due tipi di piante. La possibilità che il raccolto fosse minacciato
da erbacce nocive corrisponde ad una realtà familiare alla seminagione nella Palestina del
tempo di Gesù. La pianta di cui si parla qui è probabilmente il loglio, un’erba molto simile al
frumento, dal quale si può distinguere solo al momento della crescita della spiga. I contadini
erano soliti strapparla appena diventava riconoscibile: si tratta di un’operazione che
compivano in fretta e a più riprese, in modo da evitare che il loglio compromettesse la crescita
del grano o proliferasse sull’intera superficie coltivata.
Stranamente, il padrone del campo di cui parla la parabola non permette che i contadini
intervengano per strappare la zizzania, benché essa sia già chiaramente riconoscibile. Al
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contrario, egli ordina loro di lasciare che le due piante crescano insieme fino all’ora della
mietitura.
Come abbiamo visto, alla buona semina del padrone se ne sovrappone un’altra, fatta ad
opera del nemico che sparge di notte il suo seme nocivo. Appena i contadini riconoscono la
zizzania, si rivolgono al padrone del campo, chiedendogli conto della bontà del seme da lui
sparso: «Non hai seminato un buon seme? Da dove dunque viene la zizzania?». Il padrone
spiega che il responsabile della presenza dell’erbaccia è un nemico; allora i contadini
propongono di intervenire con la prassi abituale: strappare la zizzania. Per loro è chiaro che la
zizzania non può stare insieme al buon grano. L’anomalia del racconto emerge dalla risposta
che ricevono dal padrone: «No, perché non succeda che, cogliendo la zizzania, con essa
sradichiate anche il grano. Lasciate che l’una e l’altro crescano insieme fino alla mietitura». La
tensione della parabola, e insieme il nucleo del messaggio che Gesù vuole comunicare, sta
tutta in queste due prospettive contrapposte, quella dei contadini e quella del padrone.
Il messaggio di Gesù
Per coloro che ascoltavano il racconto di Gesù, la mietitura ricordava l’immagine biblica che
rappresentava il momento del giudizio finale di Dio sul mondo. Questa immagine poneva il
problema della convivenza del bene e del male.
La risposta del padrone indica una nuova posizione nei confronti di questo problema: non è
opportuno cercare di eliminare il male dal mondo prima del giudizio divino, perché l’uomo non
è in grado di valutare fino in fondo le situazioni e il cuore delle persone e non sa discernere
correttamente i confini del bene e del male. Una distinzione e un intervento radicali
potrebbero compromettere anche il bene esistente. La separazione e il giudizio tra bene e
male spettano solo a Dio, che è il sommo bene e conosce il cuore degli uomini.
Dio stesso ha stabilito un momento opportuno per il giudizio: l’uomo non può anticiparlo, ma
può godere del tempo dell’attesa per crescere, maturare e progredire nel cammino della
propria vita. L’attesa è il tempo propizio per la conversione da zizzania in buon grano.
L’attesa messianica dell’epoca di Gesù era caratterizzata dal desiderio di un liberatore
terreno, che portasse una giustizia solo umana. La comunità vagheggiata dai diversi
movimenti religiosi, come gli esseni, seguiva ideali rigidi di purezza dalla quale chiunque non
facesse parte del gruppo era escluso; anche i farisei, sebbene a partire da diverse
prospettive, conservavano l'idea di costituire una comunità di puri, gli unici che conoscevano e
osservavano scrupolosamente la Legge di Mosè, perciò si mantenevano a distanza dagli altri,
ritenuti a vario titolo peccatori.
La situazione in cui si trova ad insegnare Gesù, quindi, è ricca i tensioni sociali che tendono a
distinguere tra osservanti e trasgressori, buoni e cattivi. Ed è proprio in questa situazione che
Gesù annuncia l'avvento del regno di Dio nella sua stessa persona, un regno e una persona
che aprono le porte ai peccatori, offrendo sempre nuove occasioni di riconciliazione (Gesù è
venuto per i peccatori, come il medico si occupa dei malati).
I contadini ricevono scandalo dalla zizzania, arrivano quasi a dubitare del padrone stesso.
Volonterosi più che mai, si offrono di sradicarla subito: sarà un lavoro duro, ma va fatto –
pensano. Il padrone invece garantisce la bontà del suo seme e spiega che la zizzania è opera
del nemico; inaspettatamente, inoltre, si affretta ad impedire ai servi di sradicarla. È un
padrone che non perde tempo a lamentarsi del male, ma tiene sempre l’attenzione fissa sul
bene. Per amore del buon grano tollera la zizzania; e sa attendere: verrà il momento della
mietitura e allora tutto sarà chiarito, il buon grano raccolto, la zizzania bruciata.
Gesù lascia capire che non è ancora giunto il momento del giudizio: quello attuale è il tempo
dell'attesa e della pazienza di Dio, che offre a tutti gli uomini, anche ai più lontani da lui,
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continue occasioni di conversione. In questo si vede che la pazienza di Dio non è passiva,
non abbandona l'uomo alle sue scelte, ma gli si fa incontro continuamente, va in cerca di lui,
lo chiama e lo attira a sé, incontrandolo nelle situazioni della sua vita.
I significati per la nostra vita
Il bene e il male coesistono e spesso, troppo spesso, si confondono. È già difficile distinguere
il bene dal male, ma capire perché Dio non fermi subito la mano dei malfattori è quasi
impossibile. Quante volte abbiamo desiderato un segno, un riconoscimento delle nostre
buone azioni che ci distingua da chi attorno a noi imbroglia, mente, boicotta, rovina? Scegliere
il bene già di per sé non è facile, spesso è scomodo… e il più delle volte sembra pagare
meno delle cattive azioni.
Proviamo a pensare se questo ci è capitato nella nostra vita: a scuola, nel gruppo di amici,
addirittura in famiglia. Allarghiamo gli orizzonti e pensiamo alla società intera. Vale la pena
perseverare nel bene? Perché scegliere il bene anziché il male? Se Dio ci insegna a fare il
bene, perché non ferma chi fa il male? Ci sarà mai una ricompensa?
Gesù non dice che non dobbiamo accorgerci del male, ma che dobbiamo concedere a noi
stessi e agli altri sempre nuove possibilità di cambiamento. Il tempo in cui viviamo ci è stato
donato proprio come occasione per trasformare la zizzania in buon grano; è nelle nostre
scelte di oggi che stiamo dicendo chi vogliamo essere di fronte a Dio: persone aperte o chiuse
all'amore di Dio, alla comunione con lui e, di conseguenza, con gli altri. Questo non è il tempo
del giudizio, né per noi, né per gli altri, ma è tempo di salvezza, in cui possiamo accogliere gli
appelli che la nostra vita e la società in cui viviamo ci rivolgono.
Il buon grano non può trasformare la zizzania in altro grano, ma Gesù spiega ai discepoli che
“seme buono sono i figli del regno”; e le persone possono cambiare: gli uomini possono
convertire altri uomini, svelare loro il mistero di un Dio che è amore. Sappiamo avere nella
nostra vita la speranza del padrone del campo? Sappiamo attendere? Come semente buona,
sappiamo stare in mezzo alla vastità del campo del mondo senza perderci o corromperci?
Sappiamo testimoniare la bontà del seme dal quale siamo stati creati?
Se Dio è paziente con il peccatore, noi, creati a sua immagine e somiglianza, dobbiamo
assomigliargli anche in questo: nell'essere pazienti con noi stessi e con gli altri, senza
smettere di offrire possibilità di cominciare una nuova vita. La pazienza di Dio, che impariamo
a conoscere nel rapporto personale con Lui, diventa fonte e modello della nostra pazienza.
Nella prima omelia del suo pontificato, Benedetto XVI osservava che “noi soffriamo per la
pazienza di Dio e nondimeno abbiamo tutti bisogno della sua pazienza”. Ricordiamo di essere
i primi ad aver bisogno della pazienza di Dio? Siamo sicuri che il nostro buon seme non si sia
corrotto, siamo ancora grano buono? Oppure cominciamo ad assomigliare alla zizzania? La
speranza del padrone del campo è per tutti, per noi e per gli altri. È necessario non disperare
mai, saper confidare nella pazienza e nella speranza di Dio, che ci aspetta sempre, come il
più amorevole dei padri. E naturalmente metterci d’impegno perché il buon seme non vada
sprecato e perché il padrone del campo, alla mietitura, sia contento di noi e della nostra vita
feconda.
Questa pazienza, fatta ad immagine di quella divina, si concretizza nell'avere il coraggio di
non fuggire davanti ai nostri difetti, ma anche nel non scoraggiarci di fronte alle sconfitte. La
comprensione delle diverse situazioni è il primo passo da fare, insieme alla fiducia nell'aiuto di
Dio e nelle possibilità, nostre e degli altri, di cambiamento. Inoltre dobbiamo mantenere vivo in
noi e in chi ci sta accanto un amore appassionato per la vita, per tutti gli uomini e per le realtà
buone del nostro mondo. Tutto questo ci aiuterà ad avere il coraggio e la forza di cominciare e
ricominciare sempre, anche dopo la caduta più dolorosa.
39
Proposta 1
Dopo la lettura della parabola, l’animatore dovrà guidare una discussione di gruppo facendo
attenzione che la discussione non vada troppo fuori tema ma tenendo ben presente che
l’obiettivo è quello di porre l’attenzione in modo particolare sulla pazienza di Dio (nella
parabola, il padrone) che è diversa da quella degli uomini (nella parabola, i servi): Dio semina
sempre il buon seme e la presenza dell’erbaccia è dovuta alla responsabilità di un nemico;
Inoltre l’uomo non è in grado di valutare fino in fondo le situazioni e il cuore delle persone e
non sa distinguere compiutamente dove sta il bene e dove sta il male: il pericolo di una
cernita radicale potrebbe essere quello di rovinare il bene esistente, mentre la separazione tra
bene e male è una prerogativa che spetta solo a Dio.
Proposta 2
Dividere i ragazzi in tre gruppi: gruppo 1 rappresenta i servi della parabola, il gruppo 2 il
padrone, il gruppo 3 la gente che ascolta Gesù.
I gruppi 1 e 2 si riuniscono per cercare argomentazioni valide che difendano la loro posizione,
mentre il gruppo 3 pensa a delle domande da sottoporre ai gruppi 1 e 2.
L’animatore da la parola in modo alternato ai gruppi 1 e 2, mentre il gruppo 3 interviene con le
domande destinate a destabilizzare le argomentazioni dei due gruppi.
L’animatore infine riassume gli interrogativi emersi e invita ad approfondire la parabola con
l’obiettivo di evidenziare la specifica pazienza di Dio e che solo Dio può giudicare il bene ed il
male.
Proposta 3
Suddividere il gruppo di ragazzi in sottogruppi di 3-4 persone. Ciascun sottogruppo dovrà
inventarsi una storia verosimile sulla falsa riga della parabola, ambientandola ai nostri giorni,
ma con lo stesso messaggio di fondo. Alla fine dell’attività, verranno lette e commentate le
storie dei ragazzi; l’animatore avrà il compito di individuare quelle che hanno mantenuto
invariato il messaggio di Gesù: la pazienza di Dio (nella parabola, il padrone) che è diversa da
quella degli uomini (nella parabola, i servi); Dio semina sempre il buon seme e la presenza
dell’erbaccia è dovuta alla responsabilità di un nemico; inoltre l’uomo non è in grado di
valutare fino in fondo le situazioni e il cuore delle persone e non sa distinguere
compiutamente dove sta il bene e dove sta il male: il pericolo di una cernita radicale potrebbe
essere quello di rovinare il bene esistente, mentre la separazione tra bene e male è una
prerogativa che spetta solo a Dio.
RIAPPROPRIAZIONE
Finalità di questa fase è aiutare i ragazzi a sperimentare la presenza di un Dio che
accompagna e attende la maturazione delle persone e degli eventi con paterna pazienza e ad
esercitare la pazienza attiva di Dio (perché offre continuamente agli uomini delle
provocazioni/occasioni affinché si convertano) nei confronti di sè e degli altri.
L’animatore può invitare i ragazzi a riflettere sulla pazienza che loro hanno nei confronti degli
altri, ma anche nei confronti di se stessi: come ci poniamo di fronte ai nostri limiti e ai nostri
sbagli (anche ripetuti). L’animatore può qui porre l’attenzione sulla pazienza dei genitori, che
sono comunque uomini, per fare immaginare la più grande pazienza di Dio Padre.
Si possono invitare i ragazzi a condividere delle esperienze positive (a scuola, in famiglia, tra
amici) in cui il saper attendere l’evolversi degli eventi e delle coscienze ha portato buoni frutti.
40
*@
Con le sue idee:
il senso della vita
2.3.3
OUVERTURE
Luca 9,24-25
Chi vorrà salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per me, la salverà.
Che giova all'uomo guadagnare il mondo intero, se poi si perde o rovina se stesso?
Certamente la vita di Gesù, come la conosciamo a partire dai Vangeli, è stata una vita buona,
bella e beata, ma va confessato che nella tradizione cristiana se ne è colta soprattutto la
“bontà”, mentre non si è quasi mai meditato sulla bellezza e sulla felicità di questa esistenza.
L’esito della croce, di fatto, ha assorbito quasi tutta l’attenzione e ha fatto ritenere inconciliabili
con una visione di bellezza e felicità l’impegno radicale, le prove, la fatica, le sofferenze, il
supplizio della croce.
Sì, una vita buona perché segnata dalla logica dell’amore, e quindi capace di mostrare Gesù
mite e umile di cuore, misericordioso verso tutti, pronto a incontrare nell’amore il prossimo, gli
altri, gli ultimi.
La vita di Gesù non è stata solo buona, è stata anche “bella”: una vita umanamente bella; è
stata la vita di un uomo povero, certo, ma sempre una vita dignitosa, mai toccata dalla
miseria; vita di un uomo abitato dal desiderio costante di testimoniare Dio come Padre, ma
mai scaduta a livello di militanza febbrile; una vita impegnata, sì, in cui c’era la possibilità di
cogliere la bellezza della natura, degli uomini, degli eventi quotidiani. Gesù non ha vissuto
isolato, ha sempre cercato e attuato una profonda comunione: conduceva una vita in comune
con fratelli e sorelle che lo seguivano, e l’esperienza affettiva che viveva con loro era così
intensa da giungere a chiamarli “amici”; con alcuni di loro il rapporto era ancora più profondo,
come testimonia quello personalissimo con il discepolo amato. Gesù aveva amici veri, cari al
suo cuore, come Marta, Maria e Lazzaro, persone amate presso cui sostare, riposarsi e
ristorarsi, vivendo l’avventura di chi conosce lo scambio dell’amore fraterno. Gesù aveva il
tempo di fermarsi per pensare, per contemplare la natura, il ritmo delle stagioni, i mestieri del
suo tempo. Nelle sue parole si discerne una sapienza umana profonda e convincente,
sapienza assunta anche dalla molteplice e variegata saggezza.
Gesù ebbe anche una vita beata, felice, anche se certo non di una felicità mondana, perché la
vita di Gesù è stata una vita ricolma di “senso”, anzi, di senso del senso: infatti, solo chi
conosce una ragione per cui vale la pena dare la vita, conosce anche una ragione per cui vale
la pena vivere; Gesù questa ragione l’aveva. Più volte ha affermato di voler dare la vita per i
fratelli, gli amici, gli altri: questo dava senso alla sua vita, rendendola una missione in piena
obbedienza amorosa al Padre; così, nella pienezza di senso che viene dall’amore, anche la
croce poteva essere accolta con serenità. Non Pilato è stato un uomo felice, pur con tutto il
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suo potere; non Erode è stato un uomo felice, con tutta la sua voracità... Gesù invece, pur
salendo in croce, pur patendo una morte ignominiosa, lo ha fatto nella libertà e per amore. Sì,
davvero esistenza beata, quella di Gesù: vita impregnata della felicità di chi conosce il senso
della vita e degli eventi, di chi trasale di gioia per l’esperienza quotidiana della presenza
amorosa di Dio e dell’amore che è possibile vivere con gli altri uomini...
Vita buona, bella e beata, dunque vita esemplare per noi cristiani, perché vita umanissima,
liberamente e amorosamente assunta da colui che, essendo Dio, si è fatto uomo in
un’esistenza reale e quotidiana come la nostra. Ancora oggi molti cristiani si negano la
comprensione di questa verità leggendo la vita di Gesù a partire dalla croce: ma non è la
croce che ha reso grande Gesù, è Gesù che ha dato significato alla croce!
(Enzo Bianchi)
INTRODUZIONE METODOLOGICA
Cerchiamo di seguire in questa scheda un metodo
“parabolico”, nel senso che prediligiamo
o nella fase proiettiva con proposte particolarmente evocative,
come film e canzoni (che permettono di parlare di sé, parlando di loro)
o nella riappropriazione con domande dirette, che introducano a riprendere in maniera
esistenziale i significati della Parola, e testimonianze, che altro non sono che
conseguenze vive della parola ascoltata
Brani di Vangelo proposti.
Vengono proposte due parabole e un incontro:
o la parabola dei talenti: la vita è un credito che ti è stato fatto, il suo senso è
“sdebitarsi”, “restituendo” le ricchezze ricevute
o la parabola del ricco stolto e l’invito all’abbandono alla Provvidenza: il senso della vita
è avere alcune certezza cui affidarsi; davanti all’incertezza, il rischio di investire sulla
previdenza senza fondarsi sulla Provvidenza
o l’incontro di Gesù con Marta e Maria: il senso della vita è trovare l’essenziale senza
perdersi nell’accessorio
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A. Gratis, ma senza sconti
Premessa
L’obiettivo per qui viene analizzata la parabola dei talenti è far capire ai ragazzi i seguenti
punti chiave:
1. L’uomo non è padrone della propria vita e dei propri “talenti”, si è solo amministratori;
2. Dio fa credito a tutti, nel senso che si fida di tutti (a tutti vengono consegnati i talenti);
3. Ciascuno è chiamato a restituire i talenti, dovremmo spiegare come abbiamo usato la
nostra vita (il primo talento in assoluto).
Fase proiettiva
La Linea d'Ombra
Lorenzo Cherubini
La linea d'ombra la nebbia che io vedo a me davanti
per la prima volta nella vita mia mi trovo
a saper quello che lascio e a non saper immaginar quello che trovo
mi offrono un incarico di responsabilità portare questa nave
verso una rotta che nessuno sa è la mia età a mezz'aria
in questa condizione di stabilità precaria
ipnotizzato dalle pale di un ventilatore sul soffitto
mi giro e mi rigiro sul mio letto mi muovo col passo pesante
in questa stanza umida di un porto che non ricordo il nome
il fondo del caffè confonde il dove e il come
e per la prima volta so cos'è la nostalgia la commozione
nel mio bagaglio panni sporchi di navigazione
per ogni strappo un porto per ogni porto in testa una canzone
è dolce stare in mare quando son gli altri a far la direzione
senza preoccupazione soltanto fare ciò che c'è da fare
e cullati dall'onda notturna sognare la mamma... il mare.
Mi offrono un incarico di responsabilità
mi hanno detto che una nave c'ha bisogno di un comandante
mi hanno detto che la paga è interessante
che il carico è segreto ed importante
il pensiero della responsabilità si è fatto grosso
è come dover saltare al di là di un fosso
che mi divide dai tempi spensierati di un passato
che è passato saltare verso il tempo indefinito dell'essere adulto
di fronte a me la nebbia mi nasconde la risposta alla mia paura
cosa sarò dove mi condurrà la mia natura?
La faccia di mio padre prende forma sullo specchio lui giovane io vecchio
le sue parole che rimbombano dentro al mio orecchio
"la vita non è facile ci vuole sacrificio
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un giorno te ne accorgerai e mi dirai se ho ragione"
arriva il giorno in cui bisogna prendere una decisione
e adesso è questo giorno di monsone col vento che non ha una direzione
guardando il cielo un senso di oppressione
ma è la mia età dove si sa come si era e non si sa dove si va, cosa ci sarà
che responsabilità si hanno nei confronti degli esseri umani
che ti vivono accanto e attraverso questo vetro vedo il mondo
come una scacchiera dove ogni mossa che io faccio
può cambiare la partita intera ed ho paura di essere mangiato
ed ho paura pure di mangiare mi perdo nelle letture,
i libri dello zen ed il vangelo l'astrologia che mi racconta il cielo
galleggio alla ricerca di un me stesso con il quale poter dialogare
ma questa linea d'ombra non me la fa incontrare.
Mi offrono un incarico di responsabilità non so cos'è il coraggio
se prendere e mollare tutto se scegliere la fuga
od affrontare questa realtà difficile da interpretare
ma bella da esplorare provare a immaginare
cosa sarò quando avrò attraversato il mare
portato questo carico importante a destinazione
dove sarò al riparo dal prossimo monsone
mi offrono un incarico di responsabilità
domani andrò giù al porto e gli dirò che sono pronto a partire
getterò i bagagli in mare studierò le carte e aspetterò di sapere
per dove si parte quando si parte e quando passerà il monsone
dirò levate l'ancora diritta avanti tutta questa
è la rotta questa è la direzione questa è la decisione.
Se possibile, far ascoltare al gruppo la canzone di Jovannotti e dare a ciascuno una copia del
testo. Successivamente i ragazzi devono evidenziare nel testo le frasi che ritengono
importanti per ricostruire il percorso e definire qual è la più significativa.
Capire che figura è il comandante e ipotizzare quali dovrebbero essere le caratteristiche di un
buon comandante. Cercare di far partire una discussione sul fatto se qualche volta nella loro
vita si sono sentiti capitani di una nave, in che occasione e perché!
Come ultima tappa, ogni ragazzo deve mettersi nei panni della persona a qui viene chiesto
l’incarico di portare la nave dall’altra parte del mare, come ci si relazione in tale situazione?
Per l’animatore
L’obiettivo dell’incontro è far capire che a ciascuno nella vita viene consegnata una nave
(talenti) è che il nostro compito è quello di farla approdare dall’altra parte della riva (Paradiso),
in questo tragitto noi dobbiamo mettere tutto noi stessi (talenti).
oppure
44
I diari della motocicletta
di Walter Salles – 20th Century Fox - 2004
Soggetto:
Il 4 gennaio 1949 due giovani amici (il 29enne biologo Alberto Granado e il 22enne Ernesto
Guevara studente in medicina) partono da Buenos Aires su una vecchia moto del 1939. Il loro
obiettivo é compiere un viaggio di circa 8000 chilometri in 4 mesi, attraverso il continente
sudamericano. Dopo una sosta nella residenza di Chicina, ragazza innamorata di Ernesto, i
due si addentrano verso il nord. Più volte la moto, chiamata 'la poderosa', incappa in incidenti
e subisce danni. Entrati in Cile, passati in una zona sommersa dalla neve e dal freddo, arrivati
a quasi 3000 chilometri, la moto si ferma definitivamente, e i due devono proseguire con
l'autostop. Passata Valparaiso, attraversano il deserto del Cile, incontrano e parlano con
alcuni indios derubati della terra e costretti ad accettare lavori pesanti. Arrivano in Perù,
visitano Cuzco, l'antica capitale, sono di fronte al Machu Pichu: hanno percorso circa 7000
chilometri. Da Lima, grazie all'intervento del dott.Pesce, si trasferiscono in traghetto all'isola di
S.Pablo, dove c'è un ospedale per lebbrosi e altri malati gravi gestito da suore. Qui rimangono
a lavorare, riscuotendo la fiducia e la stima dei pazienti. Alla fine del periodo Ernesto, durante
il suo compleanno, fa un discorso sulla necessità di un'America unita dal Messico in giù.
Arrivati in Colombia i due amici si dividono. Alberto accetta un offerta di lavoro a Caracas.
Ernesto torna a Buenos Aires per laurearsi. Si impegnano a rivedersi presto. Siamo a luglio
del 1952.
Valutazione Pastorale:
Le didascalie conclusive si incaricano di ricordarci che Ernesto e Alberto si rividero quando il
primo, diventato il "Che", chiamò il secondo a lavorare a Cuba. Ernesto Guevara, come è
noto, fu ucciso in un agguato in Colombia nel 1967, mentre Alberto vive ancora oggi a
L'Avana. Se queste informazioni ci mettono di fronte a discorsi di tipo più decisamente
ideologico-politico, in ordine ai forti sommovimenti sociali che hanno caratterizzato in quegli
anni tutta l'immensa area sudamericana, le due ore della vicenda hanno invece il pregio di
lasciarsi andare (e di coinvolgerci) in un viaggio che da geografico diventa di conoscenza, di
ricerca di identità, di formazione: un viaggio che mette insieme la scoperta degli altri e quella
di sé stessi. Nella parte iniziale (fino alla permanenza da Chichina) e in quella finale (con il
saluto all'aeroporto e il montaggio sui volti scavati degli abitanti), Salles infonde nelle immagini
il brivido dell'incoscienza in un percorso ignoto e la tenerezza della condivisione di dolori e
gioie con gli altri esseri umani, la voglia di restituire dignità a chi se l'è vista togliere con la
forza. Gli ideali, l'amicizia, l'utopia: il diario scandisce la percezione di queste sensazioni che
vibrano nella mente e nel cuore. Quello che é successo dopo lo racconteranno altri. Qui si
parla di un termometro delle emozioni che la regia fa battere con una convenzionalità
narrativa, decisa e provocatoria. Dal punto di vista pastorale, il film è da valutare come
accettabile, realistico e adatto a dibattiti.
Utilizzo del film:
Questo film si presta all’argomento, non per l’esemplarità cristiana dei personaggi o perché
sottolinei una radice evangelica delle motivazioni, quanto perché sottolinea la maturazione
umana dei due giovani protagonisti nella voglia di spendere la vita secondo ideali importanti.
Interessante poi, per come metta in evidenza il significato “iniziatico” del viaggio che
compiono i protagonisti, segno della necessità di dedicarsi seriamente a un percorso di
conoscenza di sé e della realtà.
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analisi
Analisi della Parabola dei talenti (Mt. 25, 14-30)
Accanto al messaggio essenziale della vigilanza per tenersi pronti alla venuta del Signore, in
questa parabola, emerge un motivo complementare, quello dell'impegno per far fruttare i doni
ricevuti da Dio, un tema che sta particolarmente a cuore al primo evangelista (cf. 7,21-27;
21,41.43). Gesù raccomanda la vigilanza, ma non passiva. Il discepolo deve impegnarsi in
modo operoso per accrescere il capitale affidatogli da Dio; forse, rispetto alla parabola del
servo fedele e infedele (24,45ss.), qui si accentua la dimensione creativa e personale
dell'impegno cristiano, per portare frutti più abbondanti, con particolare riferimento a quanti
hanno delle responsabilità nella chiesa; per Matteo è il Cristo risorto che ha affidato il tesoro
del regno ai discepoli: ad essi ne domanderà conto nel ritorno finale, quale giudice degli ultimi
tempi. Per estensione la parabola è stata applicata ad ogni cristiano, che durante il tempo
della chiesa deve corrispondere con fedeltà attiva alla chiamata divina.
La parabola diventa metafora del senso della vita secondo la visione di Gesù, secondo la
quale:
o Dio è il “padrone della vita” e affida all’uomo di amministrare questo capitale, ricordandosi
sempre che sarà chiamato a renderne conto
o Emerge l’immagine di un Dio che ha fiducia dell’uomo, e l’immagine della vita umana
come impresa affascinante di esercizio della responsabilità
o Gli anni della vita che uno si trova tra le mani e che percepisce di dover gestire, sono un
credito che gli è stato fatto
o La vita è fatta per “restituire il credito”, diventiamo noi stessi persone capaci di sdebitarsi
facendo a nostra volta credito agli altri, ovvero dando fiducia
o Il fine della vita è vivere orientati alla sua fine: il fine è rispondere alla fiducia che ci è stata
data, valorizzando i nostri doni a servizio della crescita del Regno
L’analisi delle risposte: che risposta dare alla vita?
Un talento, pari a 34 chili di oro, valeva 6.000 denari, corrispondenti ad altrettante giornate
lavorative: le somme affidate sono quindi di un valore notevolissimo; il bene della vita, il dono
del regno di Dio, sono beni inestimabili, per i quali è coinvolta la responsabilità umana in una
maniera tale che appare sconvolgente la fiducia di Dio nei confronti dell’uomo.
Quali tipi di risposta sono allora possibili al credito che ci è stato fatto? Il Vangelo evidenzia
fondamentalmente due risposte:
o
o
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la riposta di chi ha paura di rischiare un bene così grande e sotterra il bene, senza
nulla perdere, ma senza nulla ottenere: la “resa dei conti” comunque arriverà…
la risposta di chi butta tutto se stesso in questo grande rischio
Riappropriazione
Discussione del tema iniziale alla luce del vangelo
Introduzione dell’attività da parte di una persona invitata a portare la propria esperienza di
vita; da questo incontro dovrà risultare come la persona invitata pensa di dover restituire i
talenti ricevuti; in secondo luogo, altrettanto importante, come ha fatto a capire, vivendo la vita
di tutti i giorni, che tutto quello che ha è frutto di un qualcosa che ha ricevuto in gestione.
La persona invitata non deve rispondere a delle caratteristiche precise: chiunque dovrebbe
essere in grado di capire quali sono i talenti che ha a disposizione; di particolare interesse,
potrebbe essere l’invito rivolto ad una persona anziana, in quanto il bagaglio di esperienze
che ha fatto nella vita può aver dato chiarezza dei talenti che ha dovuto amministrare e, forse,
il concetto della restituzione lo vive più da vicino. La stessa cosa potrebbe funzionare
invitando a parlare della propria vita un animatore, oppure un ragazzo conosciuto in
parrocchia; anche loro dovrebbero aver interiorizzato bene il concetto della gratuità della vita
ricevuta.
Al termine della testimonianza si può introdurre un dialogo con i ragazzi, ponendo loro alcune
delle seguenti domande
Domande da porre ai ragazzi
o
o
o
o
o
o
Anche a te il “Padrone” ha lasciato dei talenti da amministrare: cosa ne fai delle tue
capacità? Dove impegni le tue energie migliori?
L’impegno nasce dalla consapevolezza che il “Padrone” si fida di te e ti affida un mondo
da costruire e trasformare, una barca da traghettare sull’altra sponda, davanti al quale
non puoi rimanere indifferente. Qual è il tuo rapporto con il mondo in cui vivi? Impegno o
disimpegno? Responsabilità o leggerezza? Senti che Dio si fida di te?
Dio dona i suoi talenti a tutti e non chiede nulla di più di quello che puoi dare. Sei
consapevole dei doni che ti ha dato? Lo sai che poi, anche tu, dovrai restituirli? Cosa
significa per te il dover restituire i doni?
Nelle tue scelte di vita (lavoro, università) hai pensato che quello che farai dovrai
restituirlo perché non tuo. Non è facile pensare in questi termini, ha senso per te? …o è
privo di significato? Perché?
Uno dei doni che il “Padrone” di ha dato è quello della fede. Sei consapevole di avere il
grande compito di mostrare il volto di Dio ai tuoi compagni?
Se non ti impegnerai il mondo continuerà ad andare sempre per la sua strada e ti lascerà
indietro. Hai valutato mai cos’hai da perdere e da guadagnare?
Nel caso ci fossero dei problemi ad invitare un testimone l’attività, ovviamente, potrà essere
sviluppata unicamente con l’utilizzo delle domande.
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B. Cercare l’essenziale
Fase proiettiva
Maghi e Viaggiatori
Khyentse Norbu – Mondo home entertainment, 2004
Soggetto:
Insofferente ai ritmi di vita del luogo monastico, Dondup, giovane funzionario del Buthan,
chiede ed ottiene un permesso di andare in città per la festa religiosa annuale. Il suo obiettivo,
in realtà, è quello di imbarcarsi per gli Stati Uniti, luogo di tutti i sogni di vita. Qualcosa però
non funziona: persa la corriera, Dondop si trova a cercare passaggi di fortuna in compagnia,
prima di un contadino, poi di un monaco e di un padre con la giovane figlia. Il gruppetto
procede a fatica, facendo lunghi tratti a piedi, fermandosi per mangiare e per dormire. In
questi frangenti il monaco comincia ad intrattenere gli altri con uno strano racconto: due
fratelli, uno grande costretto a seguire lezioni di magia che non lo interessano, un’adolescente
attratto dagli studi e impossibilitato a seguirli. Il fratello più grande un giorno crede di vedere
un bel cavallo, vi sale sopra, si fa trascinare verso la foresta, presso l’abitazione isolata di un
monaco e della sua donna. Ospitato, il giovane vorrebbe andare via ma la donna lo attrae, lo
lusinga e i due diventano amanti al punto da progettare l'eliminazione del vecchio. Qui il
ragazzo si sveglia, si ritrova con il fratello piccolo e con lui torna a casa. Il racconto ha
risvegliato l'attenzione di Dondup. Ora il funzionario non è più così sicuro di volere andare
negli Stati Uniti anzi, salendo su un camion con il monaco, saluta con calore la ragazza da
poco conosciuta, consapevole che prima di allontanarsi è giusto conoscere meglio ciò che ci
circonda.
Valutazione Pastorale:
Lascia sempre piacevolmente sorpresi la capacità del cinema orientale di affrontare grandi
temi attraverso racconti di estrema semplicità e immagini piane e mai superflue. Le due storie
ad incastro che costruiscono il copione si fondono a dettare i tempi di un 'road movie', insieme
poetico e denso di notazioni importanti. Il viaggio che Dondup non fa è sostituito da un altro
che non era previsto e che diventa un percorso di recupero di un’identità. Viaggio e sogno,
dunque, affiancati nel realismo di una cornice ambientale in cui la maestosità del paesaggio
diventa a sua volta protagonista e insieme nella favola di un racconto immaginato, ma visto
come possibile.
Fama di riconosciuta importanza e già regista del fortunato "La coppa", Norbu costruisce una
storia di palpitante resa visiva, scandita dall'assenza di tempi e dall’indicazione di tenersi il più
possibile lontani dalle passioni. Metafora della ricerca di una felicità che é magari
momentanea, ma diventa pienezza di armonia tra Terra e Cielo. Dal punto di vista pastorale, il
film è da valutare come raccomandabile, senz'altro problematico e adatto per dibattiti.
Utilizzo del film: aiutare i ragazzi a mettere a fuoco l’importanza delle vere priorità, in una
società come la nostra che rischia sempre di proiettarci fuori di noi
oppure
Proponiamo il gioco “Avventura nello spazio”, per aiutare i ragazzi a riflettere sull’importanza
di scegliere e di avere delle motivazioni che spingono a dare un ordine di importanza alle
cose.
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Consegna
Consideratevi membro dell'equipaggio di un'astronave. II programma originale di volo
prevedeva un appuntamento tra la vostra astronave e l’astronave madre, in un punto
prestabilito della superficie illuminata della luna.
Purtroppo, a causa di un improvviso guasto, il vostro veicolo ha dovuto compiere un
atterraggio d'emergenza e siete scesi a 50 km dalla località in cui si trova la seconda
astronave.
Nella manovra l'astronave ha subito danni irreparabili, buona parte del materiale di bordo è
andata distrutta ed alcuni membri dell'equipaggio sono rimasti feriti.
Di seguito troverete l'elenco delle 15 apparecchiature che sono rimaste intatte, e parte di
questo materiale deve essere scelta per affrontare i 50 km di percorso che vi separano
dall'astronave madre.
Dovete quindi stabilire un ordine d'importanza per ciascuna voce, ponendo accanto ad
ognuna un numero da 1 a 15 secondo l'importanza che le attribuite. Indicherete pertanto con
il numero 1 l'apparecchiatura che considerate assolutamente indispensabile, e con il numero
15 quella che ritenete la meno importante di tutte.
Nel fare le vostre scelte considerate ogni volta attentamente le conoscenze che avete
dell’ambiente lunare. Buon viaggio e buona fortuna.
OGGETTI
ORDINE
Individuale
Di gruppo
NASA
Scatola di fiammiferi
Alimento concentrato
Seta per paracadute
2 pistole calibro 45
Cassa di latte in polvere (disidratato)
2 bombole di ossigeno da 100 litri
Elemento riscaldante portatile
50 metri di fune di nylon
Mappa stellare della costellazione
lunare
Canotto (autogonfiabile)
Bussola magnetica
50 litri di acqua
Razzi chimici di segnalazione
Cassetta di pronto soccorso con
farmaci
Apparecchio radio ricetrasmittente
TOTALE
49
Soluzione
OGGETTI
Scatola di fiammiferi
ORDINE
SPIEGAZIONI
15 Non c’è ossigeno
Alimento concentrato
4 Si può vivere un certo tempo senza cibo
Seta per paracadute
8 Trasporto
2 pistole calibro 45
10 Uso per propulsione
Cassa di latte in polvere
(disidratato)
12 L’acqua è necessaria per bere
2 bombole di ossigeno da 100
litri
Elemento riscaldante portatile
1 Non c’è ossigeno sulla luna
13 Il lato illuminato della luna è caldo
50 metri di fune di nylon
6 Per viaggiare su terreno accidentato
Mappa stellare della
costellazione lunare
3 Necessaria per la navigazione
Canotto (autogonfiabile)
9 Ha un certo valore per il riparo e il
trasporto
Bussola magnetica
50 litri di acqua
Razzi chimici di segnalazione
14 Il campo magnetico lunare è diverso da
quello terrestre
2 Non si può vivere a lungo senza acqua
11 Non c’è ossigeno
Cassetta di pronto soccorso con
farmaci
7 Potrebbe essere necessaria
Apparecchio radio
ricetrasmittente
5 Comunicazione
50
analisi
Pre-analisi
Marta e Maria (Lc 10, 38-42)
A) Lettura del brano.
B) L'animatore invita i partecipanti a rispondere personalmente alle seguenti domande:
o guardando le due protagoniste del brano, con chi ti sembra più naturale immedesimarti?
Perché?
o Nella vita quotidiana, come cristiano, quanto è importante il servizio e la carità rispetto il
silenzio e l'ascolto?
Dopo questo momento personale, i partecipanti sono invitati a confrontarsi con le loro
risposte a coppie. Si esprime il contenuto del dialogo a due e si riassume il lavoro fatto.
C) L'animatore consegna un foglio con il parallelo degli atteggiamenti di Marta e di Maria e
invita a compilare la griglia. Negli atteggiamenti delle due protagoniste rileviamo ciò che
potrebbe essere positivo e ciò che potrebbe essere negativo.
+
-
Marta era
occupata nei
servizi
Maria, sedutasi
ai piedi del
Signore,
ascoltava la sua
Parola
La parola di Gesù: “di una sola cosa c'è bisogno” verso quali atteggiamenti ci orienta?
Approfondimento sul testo (Lc. 10, 38-42)
Marta e Maria ci sono presentate nei Vangeli solo da Luca e Giovanni e ce le fanno
conoscere come sorelle... Giovanni addirittura le ricorda sorelle anche di Lazzaro e fa di
questa famiglia uno dei punti di riferimento (e di accoglienza) di Gesù e dei suoi discepoli a
Betania, non lontano da Gerusalemme.
Anche se Giovanni non é molto coerente nel riportare gli episodi che riguardano queste
sorelle, per noi é importante il fatto che l'Evangelista le cita sempre insieme.
Marta e Maria, dunque, non si dividono... né si debbono contrapporre: sono due figure che
‘viaggiano in coppia’ ed insieme costituiscono addirittura un ‘punto di riferimento’ per lo stesso
Gesù.
51
Il brano di Luca che ci fa conoscere queste sorelle é ben costruito e ci permette di
immaginare bene la scena: Marta che corre a sistemare la casa (Gesù non viaggiava da solo!
Il gruppo dei discepoli e delle donne era di almeno 30 elementi...) e Maria che fa gli `onori di
casa' intrattenendosi con l'Ospite... dando, anzi, importanza all'Ospite!
Il piccolo diverbio tanto famoso é determinato dal fatto che, forse, essendo presente anche
Lazzaro (il terzo fratello) sarebbe stato conveniente che fosse lui ad intrattenere Gesù: da
uomo ad uomo... il posto delle donne in Israele era ben diverso.
Caratterizziamo bene le due sorelle:
Marta é una donna di senso pratico, conosciuta da tutti in paese e tale che figura lei, in un
qualche modo, la capo-famiglia: é Marta che accoglie Gesù nella "sua casa"! E continua ad
essere Marta che si dà da fare per organizzare al meglio l'ospitalità del Maestro.
Sarebbe tuttavia riduttivo ed ingiusto pensare a Marta come ad una donna superficiale,
preoccupata solo alle cose materiali; é Marta infatti che corre incontro a Gesù (Gv 11,20) e lo
riconosce come il Figlio di Dio (Gv 11, 27) professando la sua fede in Lui e nella risurrezione
dei morti.
Maria appare caratterizzata nei Vangeli da un atteggiamento più riflessivo e molto più
emotivo; sembra più incline all'ascolto che alla parola, ma non manca neppure d'iniziativa:
vedi l'unzione dei piedi di Gesù (Gv 12, 3).
La sua figura é caratteristica e “coerente” nei due Vangeli che la nominano: ha un
atteggiamento di assoluta ammirazione e devozione per Gesù verso il quale non usa alcuna
“misura”... suscitando scandalo, prima nella sorella e poi nei discepoli (Gv 12).
Il suo stare accovacciata ai piedi di Gesù per ascoltarlo ne fa una figura emblematica dei
Vangeli: un vero “simbolo”.
Il messaggio di Gesù
Il brano evangelico ci trasmette chiaramente l’insegnamento di Gesù. Egli non vuole
contrapporre le due sorelle (immagini della vita attiva e di quella contemplativa), quanto
piuttosto aiutare gli ascoltatori a capire che nella logica del regno di Dio esiste una gerarchia:
“cercate prima il regno di Dio…”. L’ascolto di Gesù, della sua parola, l’essere suo discepoli
viene prima di tutto.
Gesù non rimprovera marta perché si dà da fare; la mette in guardia dall’affanno; l’ansia per
le cose da fare, per il voler fare sempre tutto, bene, perfettamente, è un pericolo: perché
rischia di far pensare che siano più importanti i preparativi che l’ospite!
L’atteggiamento del credente è allora quello di chi, mettendo al primo posto l’ascolto di Gesù,
l’essere suo discepolo, sa mettere tutte le altre cose in ordine pur di preservare tale priorità.
Discepolo di Gesù è non tanto colui che vuol difendersi dall’ansia e starsene tranquillo; è colui
che non antepone nulla all’ascolto della Parola, al punto anche di non fare certe cose che
pure sono importante.
Discepolo diventa allora chi vive con la fiducia che l’efficacia e il senso della vita dipende dalla
sequela del Signore, non dal proprio darsi da fare.
Ma se messo al giusto posto, anche lo spendersi generoso assume il grandissimo valore che
gli affida il Vangelo stesso nella parabole el Buon samaritano che precede immediatamente
l’episodio di Marta e Maria
52
riappropriazione
Come può essere assicurata la priorità dell'ascolto dentro una vita che ha le sue esigenze e
che lascia poco spazio per la calma e il silenzio?
Proponiamo di prendere in mano il sussidio sul vangelo di Marco e di proporre una sorta di
“ascolto personale di gruppo”: per un tempo che gli animatori decideranno (per es. tutti i giorni
di una settimana) prendersi l’impegno ognuno per conto proprio di meditare il vangelo.
Confrontarsi poi nell’incontro successivo per vedere come l’ascolto della Parola cercato a ogni
costo, ha influito sul modo di vivere le proprie giornate.
53
C. Fidarsi di chi?
Premessa
L’obiettivo per cui viene analizzata la parabola del ricco stolto e l’abbandono alla Provvidenza
secondo il capitolo 12 del Vangelo di Luca, è far capire ai ragazzi quali sono le vere sicurezze
della vita, quali sono i giusti percorsi da intraprendere per riuscire a raggiungerle, e per
arrivare a definire, al termine del percorso, che solo vivendo in Dio si più raggiungere la sola
vera sicurezza.
Fase proiettiva
Samarcanda
Roberto Vecchioni
C'era una grande festa nella capitale, perché la guerra era finita.
I soldati erano tornati tutti a casa e avevano gettato le divise.
Per la strada si ballava e si beveva vino, i musicanti suonavano senza interruzione.
Era primavera e le donne potevano, dopo tanti anni, riabbracciare i loro uomini.
All'alba furono spenti i falò e fu proprio allora che tra la folla, per un momento,
a un soldato parve di vedere una donna vestita di nero che lo guardava con occhi cattivi.
Ridere ridere ridere ancora
ora la guerra paura non fa,
brucian le divise dentro il fuoco la sera,
brucia nella gola vino a sazietà
musica di tamburelli fino all'aurora
il soldato che tutta la notte ballò
vide tra la folla quella nera Signora
vide che cercava lui e si spaventò.
Fiumi poi campi poi l'alba era viola,
bianche le torri che infine toccò,
ma c'era tra la folla quella nera Signora
e stanco di fuggire la sua testa chinò
"Eri tra la gente nella capitale
so che mi guardavi con malignità
son scappato in mezzo ai grilli e alle cicale
son scappato via ma ti ritrovo qua!"
"Salvami, salvami grande sovrano
fammi fuggire, fuggire di qua
alla parata lei mi stava vicino
e mi guardava con malignità"
"Dategli, dategli un animale,
figlio del lampo, degno di un re
presto, più presto perché possa scappare
dategli la bestia più veloce che c'è".
"Sbagli, ti inganni, ti sbagli soldato
io non ti guardavo con malignità,
era solamente uno sguardo stupito,
cosa ci facevi l'altro ieri là?
T'aspettavo qui per oggi a Samarcanda
eri lontanissimo due giorni fa,
ho temuto che per aspettar la banda
non facessi in tempo ad arrivare qua".
"Corri cavallo, corri ti prego
fino a Samarcanda io ti guiderò
non ti fermare, vola ti prego
corri come il vento che mi salverò...
oh oh cavallo, oh oh cavallo,
oh oh cavallo, oh oh cavallo,
oh oh".
Non è poi così lontano Samarcanda,
corri cavallo, corri di là...
ho cantato insieme a te tutta la notte
corri come il vento che ci arriverà.
"Oh oh cavallo, oh oh cavallo, oh oh
cavallo, oh oh cavallo,
oh oh".
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Se possibile, far ascoltare al gruppo la canzone e dare a ciascuno una copia del testo.
Proseguire l’attività chiedendo ai ragazzi di analizzare il testo della canzone nella sua
interezza ed esprimerne un parere. Fatto questo, soffermarsi sui personaggi protagonisti del
testo e capire il loro ruolo nella vicenda, in ordine: soldato, nera signora, grande sovrano,
cavallo;
Alla fine dell’analisi bisogna far percepire al gruppo (se non c’è già arrivato da solo) che:
o il soldato rappresenta tutti noi nel percorrere la strada della vita, far capire che davanti al
pericolo della morte lui ha cercato rifugio in qualcosa che non poteva dare piena
sicurezza, infatti pur scappando è andato incontro al proprio destino, la nera signora;
o la nera signora rappresenta la morte, la morte terrena, non perché è la morte si deve
scappare ed avere paura, se si vive nella sicurezza non si deve scappare ma affrontarla
con serenità. In senso più lato può rappresentare anche il peccato, le tentazioni, come si
fa fuggire dal peccato?
o il Grande sovrano rappresenta il potere temporale, il potere che noi cerchiamo per
raggiungere le nostre sicurezze, quelle sicurezze che però non sono in grado di dare
serenità, non sono in grado di dare quella serenità sufficiente per affrontare la nera
signora;
o il cavallo rappresentano i vari mezzi che utilizziamo per cercare la nostra sicurezza
terrena, primo tra tutti il denaro, ma non solo quello. Anche tutto il denaro del mondo, che
può essere paragonato alla bestia più veloce che c’è, non può sottrarci dal destino
definitivo della morte, o fuggire dal peccato; serve dell’altro.
Durante tutta l’attività è auspicabile rifarsi sempre ai pareri iniziali dei ragazzi per arrivare
all’analisi ultima con dei passaggi logici e non perché raccontata dall’animatore.
Come conclusione dell’attività a possibile, non obbligatorio, leggere come preghiera finale la
parabola del ricco stolto Luca (12, 13-21), per creare il legame e introdurre l’attività all’incontro
successivo.
oppure
E SE DOMANI
Di Giovanni La Parola – Medusa, 2006
Soggetto:
Un mattina a Bologna Mimì entra in banca e, armato di pistola, comincia a tenere sotto
minaccia dipendenti e clienti. L'avvocato Matteo, suo grande amico, arriva sul posto e, mentre
lo invita a calmarsi, racconta la sua vita precedente. Innamoratissimo di Ketti, Mimì le è
rimasto accanto anche quando il marito di lei, Giovanni, é improvvisamente deceduto. Anzi
l'ha aiutata ad aprire una boutique e per questo si è indebitato fino al collo. Il disperato assalto
alla banca per avere i soldi finisce male. Mimì finisce in carcere per evasione fiscale. Otto
mesi dopo, Matteo lo va a trovare e i due parlano di felicità. Poi si abbracciano.
Valutazione pastorale:
I titoli di coda informano su quello che é successo dopo le immagini conclusive. Il soggetto é
infatti tratto da un racconto, a sua volta però ispirato da una storia vera, quella del caso
Gargano. Su queste premesse, lo sceneggiatore Francesco Piccolo costruisce un copione
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che la coppia da Iene Paolo e Luca si incarica di animare e rendere vivace, grazie alla
perfetta alchimia interpretativa raggiunta in anni di televisione. Gli ingredienti funzionano quasi
tutti e il risultato é una commedia da vecchio stile italiano: ossia brillante e comica ma anche
amara e pensosa. Il finale affidato all'ottimismo resta digeribile per misura e sensibilità. La
canzone di Mina più volte ripetuta é una scelta di pregio, e l'insieme ha quell'aria trasognata di
un certo realismo 'rosa' che scava nel quotidiani, elenca il bello e il brutto e non pretende di
risolvere ogni problema. Un film gradevole che, dal punto di vista pastorale, é da valutare
come accettabile, e nell'insieme semplice.
oppure
Attività
Bendare i ragazzi e raccontare un’uscita di gruppo con il motorino o con l’automobile. Ad un
certo punto l’incidente stradale, le sirene, l’ambulanza, la corsa in ospedale, la sala
operatoria, un uomo col camice bianco che ti parla…non è il chirurgo, ma è san Pietro.
Appena capisci cosa è successo e dove ti trovi, ti getti in ginocchio davanti a lui e lo supplichi:
“Sono troppo giovane per morire, ho ancora troppe cose da fare. Devo ancora…”.
Ok, adesso convinci san Pietro a darti una seconda possibilità e a farti tornare sulla Terra.
Scrivi con sincerità cosa ti resta ancora da fare, perché e per chi vorresti vivere ancora, cosa
vorresti realizzare, chi devi ancora perdonare…
analisi
Analisi del vangelo secondo luca (12, 13-34)
Previdenza o provvidenza? Ma è proprio un dilemma?
Un uomo della folla chiede a Gesù di pronunciarsi su una questione di eredità: “Maestro, dì a
mio fratello di dividere con me l'eredità» (12,13), ma Gesù si rifiuta di rispondere: «Chi mi ha
costituito mediatore sopra di voi?» (12,14). Non è l'unico caso in cui Gesù si comporta a
questo modo, direi anzi che è il caso più frequente. Non risponde alla domanda che gli viene
posta, ma mette in questione la domanda stessa. Gli uomini vorrebbero trascinare il vangelo
nelle loro questioni e non si accorgono che esso invece va alla radice e le sconvolge tutte
come, appunto, nel nostro passo. Due fratelli litigano per la divisione di un'eredità: chi dei due
ha ragione? Chi ha torto? Sta di fatto che ambedue sono vittime della stessa illusione, ed è
questa la radice cattiva che deve essere messa a nudo e strappata: «Guardatevi e tenetevi
lontano da ogni avidità, perché se anche uno è nell'abbondanza, la sua vita non dipende da
ciò che possiede» (12,15). Ecco la stortura di fondo che guida la vita di ambedue i fratelli e li
spinge a litigare. Gesù non parla semplicemente di possesso, ma di desiderio smodato
(pleonexia). Non è la ricerca del necessario che è sbagliata, ma l'egoistico e sciocco
desiderio di possedere sempre di più e l'illusione di trovare in questo possesso la propria
sicurezza; si noti, poi, che in gioco è la «vita» senza altre determinazioni, la vita
semplicemente, la vita in tutta la sua ampiezza. L'insegnamento di Gesù non riguarda
soltanto la vita del mondo futuro, ma anche la vita nel tempo presente.
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L'insegnamento di Gesù è già chiaro da queste parole. Tuttavia egli vi insiste, illustrandolo
con una parabola, nella quale si parla di un uomo «ricco» e «stolto». Perché stolto? Il
vocabolo adoperato (afrori) indica un uomo senza testa, imprudente e non avveduto. Ciò che
è avvedutezza secondo il mondo, può essere stupidità per il vangelo. La parabola riprende,
illustrandolo, un detto sapienziale (Sir 11,18-19): «C'è chi arricchisce a forza di cure e di
avarizia, ed ecco la sua ricompensa; quando dirà: “finalmente ho trovato riposo, ora godrò in
pace i miei beni”, non sa quanto gli rimane: dovrà lasciare tutto ad altri e morire. Sembra
proprio che Gesù abbia trasformato in parabola questa intuizione che viene da tutta la
tradizione sapienziale. La battuta finale («Quello che hai preparato di chi sarà?») è una tipica
domanda sapienziale, ironica e amara al tempo stesso. Sottolinea ancora la stupidità di chi
pensa di mettere al sicuro la vita accumulando. È una battuta che si legge anche nel libro di
Qohelet (1,2), un libro disincantato che cerca di liberare l'uomo dalle sue troppe illusioni.
La parabola di Gesù non si limita a constatare la vanità delle cose e non intende
semplicemente disincantare l'uomo, liberandolo dal fascino del possesso, ma indica più
profondamente la via vera della liberazione: «Così è di chi accumula tesori per sé e non
arricchisce per Dio». Dunque è il per sé che è errato e deve essere sostituito da un altro
orientamento (per Dio), ma che significa in concreto arricchire «per Dio»? Nel greco
l'espressione è un moto a luogo «verso Dio» ed indica perciò una direzione; dunque non si
tratta di arricchire a vantaggio di Dio, ma di usare i beni secondo una logica da Lui voluta.
L'evangelista si è preoccupato di rendere concreta la conclusione della parabola, e per questo
ha situato qui alcuni insegnamenti del Signore (12,22) allo scopo, appunto, di esemplificare il
significato di quel «per Dio». I suggerimenti sono almeno tre:
o Il primo è di sottrarsi alla tentazione dell'affanno, dell'ansia, come se tutto dipendesse da
noi. Si tratta di una vera mancanza di fede, nella quale anche il discepolo - già indicato
con l'espressione «gente di poca fede» (12,28) - può facilmente incorrere. Nella ricerca
della «sicurezza», il discepolo deve essere consapevole di «avere un Padre che conosce
i suoi bisogni» (12,30). L'atteggiamento ansioso appartiene ai pagani, non ai discepoli.
o Il secondo suggerimento è di cercare anzitutto il Regno di Dio (12,31); se si pone al primo
posto il Regno, resta spazio anche per le altre cose; se, invece, si mettono al primo posto
le altre cose, queste soffocano lo spazio del Regno. La fiducia nel Padre apre la
possibilità per una vita serena, che permette di godere dei beni che Egli ha profuso nel
mondo. Una vita affannata accumula le cose, ma non le gode.
o Il terzo suggerimento lo si trova qualche riga più avanti (12,33): «Vendete le cose che
possedete e usate il ricavato per soccorrere i poveri». Il retto uso dei beni deve fare
spazio alla solidarietà. E così il «per Dio» trova la sua concretezza nel «per gli altri».
(Bruno Maggioni)
Riappropriazione
Introduzione dell’attività da parte di una persona invitata a portare la propria esperienza di
vita; da questo incontro dovrà risultare cos’è la ricchezza per un cristiano. La persona invitata
non deve rispondere a delle caratteristiche precise. Chiunque dovrebbe essere in grado di
testimoniare nella sua vita cos’è la vera ricchezza. Forse, di particolare interesse, potrebbe
essere l’invito rivolto ad un imprenditore in quanto nello stereotipo generale lui è ricco anche
“di cose di questo mondo”. Anche l’invito di una persona che ha fatto voto di povertà può
testimoniare in cosa trova la “vera ricchezza”.
Potrebbero essere individuate nelle parrocchie delle famiglie che visibilmente affidano la loro
vita alla provvidenza divina; al termine della testimonianza si può introdurre un dialogo con i
ragazzi ponendogli alcune delle seguenti domande.
57
Domande da porre ai ragazzi
o
o
o
o
o
Il vocabolario della lingua italiana, definisce l’aggettivo “ricco” in questo modo: “Ricco:
detto di persona che possiede denaro e beni materiali in misura superiore al necessario,
che abbonda, che è ben fornito, abbiente, danaroso, facoltoso”. La definizione è in linea
con ciò che intende la parabola del ricco stolto?
Dato per scontato che le risorse materiali indiscutibilmente servono, in che cosa consiste,
per il cristiano, l’essere ricchi, la ricchezza autentica? Esistono beni e ricchezze stabili,
sulle quali si possa veramente contare che, accumulate, non ci saranno più tolte e che
veramente fruttino?
Che cos’è che può rendere veramente ricca la creatura umana?
La persona ricca che abbiamo analizzato è proprio lontana dal nostro modo di pensare
normale? Controlliamo il suo comportamento e verifichiamolo con il nostro. Probabilmente
nessuno può dire che non sia legittimo pretendere il dovuto, ma è altrettanto sbagliato
pretenderne di più; inoltre, cosa molto più importante, il ricco stolto non aveva scrupolo
alcuno nello sfruttare la religione, ovvero lo stesso Gesù, per ottenere quel che voleva.
Forse vedendo la situazione in quest’ultima ottica anche noi potremmo rispecchiarci.
Quante volte abbiamo preteso qualcosa da Gesù?
È da sottolineare che Gesù accoglie comunque la provocazione della persona e trasforma
la situazione in occasione per offrigli una possibilità di riscossa: vuole fargli prendere
coscienza del vero problema che ha, ovvero, mentre l’uomo crede di servire i propri
interessi, in realtà si comporta da persona miope e stupida, perché sta trascurando un
interesse prioritario: il rapporto con Dio, il vivere secondo la sua volontà. Che priorità stai
dando alla tua vita? Sei sicuro che il rapporto con Dio è assolutamente prioritario? Se sì,
bene. Nel caso non lo fosse, vivi la situazione come un problema o ci passi sopra
tranquillamente?
In conclusione, essere ricchi davanti a Dio vuol dire essere ricchi di “buone opere”, “essere
generosi nel donare”, “pronti a dare” come conseguenza dell’aver accolto nella vita la Grazie
di Dio in Gesù Cristo.
oppure
Proporre la lettura della storia qui proposta, come verifica e rilancio del tema affrontato
Il castello nel Cielo
In uno stesso villaggio nel Nord della Francia, molto tempo fa, vivevano un povero e un ricco.
Il ricco se la spassava e non pensava alla morte; il povero, invece, sperava a volte che
nell'aldilà potesse andargli meglio, dato che sulla terra conduceva una vita dura.
La morte non fa alcuna differenza fra ricchi e poveri, sicché avvenne che i due morirono nel
medesimo giorno.
Si incontrarono sulla via del Cielo e procedettero in silenzio, fianco a fianco.
Il ricco era grasso e faceva una gran fatica a salire: per tutta la sua vita non aveva mai dovuto
percorrere a piedi sentieri così ripidi, sapeva soltanto incitare il cavallo. Così avanzava, piano
piano, ed era tutto un bagno di sudore; il povero, invece, era magro, agile e saliva
rapidamente, perché era abituato a camminare in salita, perciò giunse per primo alla porta del
Cielo. Non osò tuttavia bussare e si sedette a lato del portone pensando fra se e se:
«Aspetterò il ricco, il quale avrà certamente il coraggio di bussare».
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Passò molto tempo prima che il ricco arrivasse alla porta del Cielo. Bussò ma, poiché
nessuno venne ad aprire, andò in collera, imprecò ed urlò. Sferrò pugni contro la porta e la
colpì addirittura con una pedata. A sentire quel frastuono san Pietro si affrettò ad aprire;
Vedendo che fuori c'erano il povero e il ricco, puntò il dito verso il secondo e disse: «Ah, ti
conosco bene! Sei quello che poc'anzi ha fatto un pandemonio e non sa nemmeno attendere
che gli si apra!».
A quelle parole, il ricco arrossì violentemente e stette per riprendere ad urlare, quando lo
sguardo severo di san Pietro lo raggelò e si pentì della propria impudenza.
San Pietro disse, rivolto ad entrambi: «Passate in sala d'aspetto, poi si vedrà». I due
entrarono in un atrio spazioso con molte porte e con panche addossate alle pareti. San Pietro
parlò di nuovo: «Riposatevi un po' dopo la lunga camminata, ma approfittate del tempo, prima
che io ritorni, per pensare a come intendete sistemarvi quassù. Ditemi come desiderate che
sia questa vita, ma ricordate: tutto sarà come vorrete voi; dunque, riflettete bene prima di
parlare, poiché dopo, se avete dimenticato qualcosa, sarà troppo tardi».
Tenuto il discorso, san Pietro se ne andò. Ricomparve dopo parecchio tempo e chiese:
«Avete riflettuto bene? Ditemi i vostri desideri!».
Per primo, naturalmente, si fece avanti ricco e con aria prepotente, esclamò: «Datemi un
sontuoso castello d'oro zecchino, quale nemmeno l'imperatore possiede! Poi portatemi ogni
giorno i miei cibi preferiti: carbonara, arrosto di cinghiale, insalata fresca e infine torta al
cioccolato; da bere, vino Barolo e non scordate il caffè! Mi serve anche un trono d'oro rivestito
di seta, sul quale mi possa sedere tutti i giorni; poi voglio leggere il giornale ogni mattina,
perché non posso non sapere che cosa succede sulla terra». San Pietro guardò il ricco con
aria di commiserazione e disse: «Non desidera nient'altro?».
«Oh, sì», proruppe il ricco. «Per poco mi dimenticavo della cosa più importante: ho bisogno
naturalmente di denaro, di molto denaro, casse e forzieri pieni. E lingotti d'oro... perché non
so come sono i cambi quassù!».
«Avrai tutto», disse san Pietro. «Seguimi!».
Ciò detto, aprì una delle tante porte dell'atrio e introdusse il ricco in un castello splendido,
dove ogni cosa era proprio come lui aveva desiderato, anzi, anche meglio…E così il ricco si
sedette sul trono, assaggiò le vivande più prelibate, lesse il giornale, contò i soldi, provò i
gioielli e si sentì felice e soddisfatto, sennonché san Pietro tirò il pesante catenaccio di ferro
della porta del castello e se ne andò.
Trascorsero tre anni, poi ne trascorsero sette e infine dodici…e ne passarono altri venti, altri
cinquanta, finché furono cento.
Dopo tutto questo tempo, il ricco si era ormai annoiato del castello e dei cibi, del trono e del
denaro; era molto che non leggeva più il giornale, poiché quel che succedeva sulla terra non
lo interessava più: non poteva farvi ritorno e tutti coloro che aveva conosciuto erano morti da
un pezzo; anche dei mucchi di soldi non sapeva che farsene, non avendo nulla da comperare,
i cibi non lo soddisfacevano più e neanche il castello gli procurava qualche gioia: se ne stava
seduto triste sul trono e si lagnava, ma nessuno udiva i suoi lamenti.
Alla fine, trascorsi mille anni, il catenaccio del portone del castello si aprì e san Pietro entrò:
«Come ti trovi qui?», chiese. Gli occhi del ricco, scintillanti di rabbia, dardeggiarono il santo:
«E hai il coraggio di chiedermi come mi trovo in questo miserabile castello? Com'è possibile
resistere mille anni chiusi qui dentro? Non viene mai nessuno a darti un'occhiata. Sono tutte
fandonie quelle che raccontate sul vostro Paradiso e sulla beatitudine eterna! Sono fandonie
bell'e buone!».
All'udire il suo sfogo, san Pietro lo guardò stupito e disse: «Credevi forse di essere in Cielo?
Oh, no, tu sei all'inferno! Sei tu stesso che hai desiderato di finire qui».
«Impossibile, questo non è l'inferno! Dove sono, dimmi, i diavoli con le forche? Dove sono le
tenaglie arroventate? E il fuoco, dov'è?».
59
San Pietro rispose: «Accadeva ai vecchi tempi; allora i peccatori venivano arsi vivi o bolliti
nelle caldaie dei diavoli. Sono pratiche cadute in disuso, ma, credimi, tu ti trovi davvero
all'inferno!».
Allora il ricco scoppiò a piangere e singhiozzò rumorosamente, ma san Pietro tirò un'altra
volta il catenaccio e si allontanò. Trascorsero cent'anni e altri cento e cento ancora... Il tempo
non passava mai per il ricco, trascorreva con una esasperante lentezza che sulla terra
nessuno riesce a immaginare. Quando fu completato un nuovo millennio, san Pietro aprì il
catenaccio di ferro ed entrò.
«Ah, san Pietro, quanto ti ho aspettato! Devo rimanere qui per tutta l'eternità? Ma quanto dura
l'eternità?».
«L'eternità ha inizio quando sono trascorsi diecimila anni».
Il ricco pianse amaramente; San Pietro contò le lacrime e, visto il suo cuore tenero, si
impietosì e gli disse: «Su in soffitta c'è una stanzetta. Il tetto ha un buco e da lì, se ti appoggi
sulle punte dei piedi, puoi vedere un pezzetto di cielo».
San Pietro lo condusse in quella cameretta e il ricco, sollevandosi sulla punta dei piedi, vide le
stelle in tutto il loro splendore, vide gli angeli e i santi, vide la gloria di Dio. «Dimmi », proruppe
ad un tratto, «chi è quello che siede vicino a Dio? Oh, come mi piacerebbe essere al suo
posto!».
San Pietro rispose: «È il povero che è venuto qui insieme a te; quando gli chiesi che cosa
desiderasse, mi disse che voleva soltanto stare il più possibile vicino a Dio e il suo desiderio
venne esaudito come lo fu il tuo».
Dette quelle parole, san Pietro se ne andò, ma il ricco non se ne accorse neppure.
Passarono altri mille anni e poi altri mille.
Il ricco è sempre là nella cameretta a guardare il cielo attraverso il foro del tetto, sollevandosi
sulle punte dei piedi.
60
*A
Con un suo stile:
…in concreto
2.3.4
OUVERTURE
Matteo 5, 13-16
Voi siete il sale della terra; ma se il sale perdesse il sapore, con che cosa lo si potrà render
salato? A null'altro serve che ad essere gettato via e calpestato dagli uomini.
Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città collocata sopra un monte, né
si accende una lucerna per metterla sotto il moggio, ma sopra il lucerniere, perché faccia luce
a tutti quelli che sono nella casa. Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché
vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli.
Nel contesto attuale di secolarizzazione, in cui molti dei nostri contemporanei pensano e
vivono come se Dio non esistesse o sono attratti da forme di religiosità irrazionali, è
necessario che proprio voi, cari giovani, riaffermiate che la fede è una decisione personale
che impegna tutta l'esistenza. Il Vangelo sia il grande criterio che guida le scelte e gli
orientamenti della vostra vita! Diventerete così missionari con i gesti e le parole e, dovunque
lavoriate e viviate, sarete segni dell'amore di Dio, testimoni credibili della presenza amorosa di
Cristo. Non dimenticate: "Non si accende una lucerna per metterla sotto il moggio" (Mt 5,15)!
Come il sale dà sapore al cibo e la luce illumina le tenebre, così la santità dà senso pieno alla
vita, rendendola riflesso della gloria di Dio. Quanti santi, anche tra i giovani, annovera la storia
della Chiesa! Nel loro amore per Dio hanno fatto risplendere le proprie virtù eroiche al
cospetto del mondo, diventando modelli di vita che la Chiesa ha additato all'imitazione di tutti.
(Dal messaggio di Giovanni Paolo II per la XVII GMG)
61
INTRODUZIONE METODOLOGICA
Gesù maestro, il suo stile di vita nel vangelo di Matteo
Analizziamo il messaggio di Gesù e cerchiamo di analizzare il suo stile attraverso la lettura
del Vangelo di Matteo. Nella storia del cristianesimo, il Vangelo di Matteo, è stato senz’altro il
vangelo più popolare, più letto e commentato e, anche se quello di Marco è considerato il
primo in origine cronologico, l’opera di Matteo rimane una presenza capitale all’interno della
Chiesa, che la propone spesso nella liturgia e nella catechesi. Nella composizione dei singoli
vangeli, ogni evangelista ha una sua prospettiva, segue un suo progetto, disegna un suo
ritratto della figura di Cristo, risponde alle esigenze della comunità cui indirizza il suo
racconto. Per Matteo si pensa a destinatari di origine ebraica convertiti al cristianesimo, legati
alle loro radici, ma spesso in tensione con gli ambienti da cui provenivano. Si spiega, così, la
ricchezza delle citazioni, delle allusioni e dei rimandi all’Antico Testamento nel vangelo di
Matteo.
La tradizione unanime della Chiesa antica attribuisce il primo vangelo a Matteo, chiamato
anche Levi, l’apostolo che Gesù chiamò al suo seguito, distogliendolo dalla professione di
pubblicano, cioè di esattore delle imposte (9, 9-13).
Matteo è molto interessato alla dottrina di Gesù. I discorsi sono più numerosi e più ampi degli
altri Vangeli. La stessa disposizione della materia sembra seguire un ordine didattico, che fa
perno a cinque grandi discorsi: quello della montagna, quello missionario, il discorso in
parabole, quello ecclesiale e quello escatologico. Nonostante questo innegabile interesse per
la dottrina di Gesù, Matteo non vuole assolutamente ridurre il Vangelo a una dottrina. Egli è
ben consapevole che il Vangelo è innanzitutto una persona e una storia; ecco perché, dietro
la struttura letteraria che fa perno sui cinque discorsi, è visibile la storia di Gesù, identica al
racconto di Marco: dalla Galilea alla Giudea, dal battesimo nel Giordano alla
passione/risurrezione. Matteo unisce sapientemente racconto e catechesi, storia e dottrina: la
dottrina nasce dalla storia di Gesù, la illustra e la commenta. Dire che la catechesi di Matteo
spiega una storia, significa affermare che il suo Vangelo è in primo luogo cristologico. L’unico
protagonista è Gesù, e il primo intento dell’evangelista è di mostrarci il significato salvifico
della sua persona e della sua parola. Gesù è il Maestro, il nuovo Mosè superiore all’antico, il
profeta portatore della parola di Dio ultima e definitiva. In tal modo il giudaesimo è invitato a
superarsi perché la parola ultima non è quella di Mosè, né la tradizione dei padri, ma la parola
di Gesù. Il Vangelo di Matteo è anche sensibile alla Chiesa e Matteo è l’unico evangelista che
mette in bocca a Gesù la parola “ecclesia” (16,18 e 18,17), ma, soprattutto, è ecclesiale
perché i temi che tratta sono scelti in base alle esigenze della comunità.
Le antitesi
Gesù maestro, insegna il suo stile di vita, quello per i discepoli di ieri e di oggi attraverso le
antitesi. Nelle antitesi del discorso della montagna, le ultime tre, viene contrapposta
l’interpretazione delle Legge, propria degli scribi, alla proclamazione che Gesù fa del nuovo
spirito evangelico. Di fornte alle esigenze profonde che Gesù pone rispetto all’interpretazioni
di scribi e farisei, Gesù non vuole aggiungere altre condizioni alla Legge, ma offre un nuovo
principio d’agire morale che renda possibile vivere ciò che il senso morale della legge indica.
La condizione nuova è detta nella conclusione al v. 5,48 delle antitesi “Siate voi dunque
perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste”.
62
A. …Senza tanti giri di parole!
FASE PROIETTIVA
Le parole di Gesù invitano i discepoli a stabilire relazioni vere, basate sulla fiducia e l’amore,
come risposta ad un Dio che per primo si è fiduciosamente rivolto a noi. Ogni parola deve
essere la più completa possibile, deve parlare di loro. L’invito di Gesù è:
PAROLE
Veracità
Sobrietà
Non chiacchiere
Le parole modificano la realtà possono essere schiaffi o
carezze
Attività
I ragazzi devono riscoprire il senso delle parole, facendo proprio l’invito di Gesù ad una parola
vera, profonda e trasparente.
Scrivere il proprio nome su un foglio e ad ogni lettera far corrispondere un aggettivo, in modo
da tracciare un profilo con poche e significative parole. Per ognuna di queste raccontare al
gruppo come vengono vissute nella mia vita. Spesso si è abituati a chiacchierare e a
descriversi in maniera esagerata! Qui si recupera il valore di ogni definizione; sarebbe
opportuno fornire ai ragazzi un dizionario di lingua italiana e un dizionario di sinonimi e
contrari. Ecco un esempio: FRANCESCA (nome del ragazzo/a).
F: fiduciosa
R: ragione
A: aspettative
N: negligenza
C: curiosità
E: esperienze
S: sicurezza
C: celebrità
A: ansia
Questo semplice gioco permette ai ragazzi di recuperare il valore delle parole, di fare una
discussione magari più ridotta del solito ma più vera e genuina in cui non si spreca nulla.
63
analisi
Testo (IV° antitesi) (Mt 5, 33-37)
Il testo si presenta difficile da comprendere, i termini e i confronti di cui parla il brano non
fanno parte della nostra vita, parlare di giuramenti oggi non ha particolare valore. Matteo ci
pone di fronte a una serie di antitesi (5, 21-48), che toccano diversi punti della legge, scelti
evidentemente tra i molti possibili. Non è una scelta fatta a caso: tre riguardano il
comportamento verso il prossimo (e tutti e tre mettono in luce la carità); due il comportamento
sessuale e il matrimonio; uno il giuramento.
Matteo non vuole indicarci delle leggi precise da mutare, quanto piuttosto un modo diverso di
leggere la Scrittura e di scoprirne la volontà di Dio: diciamo un modo diverso di elaborare la
morale. Qui sta un punto fondamentale dell’etica evangelica: non può mai essere fondata in
modo legalistico, perché nessuna legge promulgata può regolare l’impegno di tutta una vita.
Fondamento nuovo dell’agire cristiano non è la legge, ma lo stesso agire di Dio, che
accogliamo e facciamo nostro per farlo diventare mentalità che orienta il nostro agire.
Occorre una corretta visione di Dio e del suo disegno di salvezza, un modo corretto di leggere
le Scritture; sta qui la contrapposizione fra Gesù e gli scribi. Come i profeti che l’hanno
preceduto, anche Gesù si è sforzato di recuperare il centro della volontà di Dio, cioè il primato
della carità. Tutto deve essere letto alla luce di questo centro, e tutto deve essere valutato in
base ad esso. In questo senso l’affermazione più importante la troviamo al v. 48: “Siate
perfetti come il Padre vostro celeste”. Inoltrandoci in questa antitesi scopriamo che Gesù fa
riferimento all’indicazione di non dire falsa testimonianza e di adempiere di fronte a Dio il
proprio giuramento; Gesù contrappone il divieto assoluto di non giurare affatto: la novità è
proprio questa proibizione. Esso si comprende sullo sfondo religioso proprio della cultura
giudaica in cui il ricorso al giuramento era un’abitudine. La proibizione del giuramento va
inquadrato nel contesto dell’annuncio di Gesù sulla definitiva salvezza di Dio: chi si apre a tale
prospettiva vive una condizione nuova in cui gli è possibile essere veritiero senza bisogno di
giurare la propria parola su una autorità superiore; il maestro presenta poi una casistica delle
forme di giuramento sottoponendo anche queste al suo divieto. Tra i rabbini era abitudine
presentare giuramenti camuffati, nei quali, non chiamavano in causa direttamente Dio e si
sentivano svincolati. Dopo aver ricordato queste limitazioni, Gesù arriva alla parola
propositiva “sì, sì”; “no, no”; il di più viene dal maligno. L’essere chiamati alla veracità (che
risponde al vero; non falso, non ingannevole) delle parole dice l’esigenza profonda dell’amore,
perché la veracità delle parole esprime la prima e fondamentale condizione del fidarsi e
dell’entrare in relazione autenticamente umana con l’altro, come rapporto di amore; da qui il
significato di essere uomini di parole trasparenti, veraci, per fondare un rapporto unico con
Dio e con gli altri uomini. Gesù indica lo stile di vita dell’amore anche nella comunicazione
moderna, dove la trasparenza diventa l’elemento chiave; chi si dispone fiduciosamente
davanti a Dio-Padre non può che disporsi alla piena sincerità e veracità della propria vita.
Attività
Gli animatori devono organizzare una scenetta in cui il brano del vangelo viene solo letto alla
fine. I genitori simuleranno due scene: nella prima una tavola pronta per la cena in cui marito
e moglie litigano aspramente, usando termini forti ma non volgari “Non sei la moglie che mi
aspettavo” “Sei un marito spregevole” “I figli da te non li vorrei” “Meglio soli che male
accompagnati”.
64
Silenzio a seguire per leggere il vangelo.
Seconda scena: gli animatori propongono una situazione di amicizia tra compagni di classe,
due ragazzi si aiutano nello studio e evidenziano con le parole il loro affetto “Aiutarti è un
piacere, insieme ci divertiamo”; “Dopo lo studio potremmo fare un giro insieme”.
Silenzio a seguire per leggere il vangelo.
I testi non sono di facile comprensione ed è meglio che siano letti con calma e più volte,
affinché i ragazzi possano meglio interiorizzarli. Ora i ragazzi provano ad esprimersi sul
vangelo anche alla luce delle scenette proposte; alcune provocazioni.
Che senso avevano le immagini? E le parole? Parole che ferivano o che guarivano? Come
uso le parole nella mia vita? E nelle mie relazioni uso le parole o i gesti? Cosa vuol dire Gesù
con la frase il vostro parlare sia sì, si; no, no? Proviamo a raccontarci con quali persone
riesco ad instaurare relazioni genuine?
RIAPPROPIAZIONE
Ora i ragazzi hanno scoperto una nuova pagina del vangelo e una nuova indicazione per la
loro vita, prima di andare a casa devono trasformare in gruppo la prima scena della famiglia.
Da un litigio che ferisce ad una discussione che costruisce soluzioni serie e concrete. Questo
lavoro deve essere svolto con cura, perché ripropone concretamente ciò che sarà il loro
impegno per il futuro; misurare, non solo i gesti, ma anche le parole che usano nella giornata.
Gli animatori a fine incontro, come stimolo per il futuro, consegneranno loro un cartoncino
colorato con la frase “La vostra parola sia: sì, sì; no, no”. Le dimensioni possono essere
quelle di un segnalibro o di un piccolo ricordino da mettere nel portafoglio che tenga viva in
loro l’esperienza appresa dal brano di Matteo.
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B. La forza della non-violenza
FASE PROIETTIVA
Per entrare nel vangelo mettiamo a disposizione del gruppo una serie di
foto che parlino di violenza ( macchine bruciate, zone di guerra, bambini
sofferenti), purtroppo sui giornali ne trovate di ogni genere. Accanto alle
foto ritagli di giornale con i titoli da dove avete ricavato le foto. Gli articoli i ragazzi non li
devono leggere perché l’attività per loro è proprio questa: ricostruire un articolo/ storia
attraverso foto e titolo, non devono però raccontare ciò che sanno di quell’argomento bensì
essere loro stessi costruttori di pace. Attraverso le loro parole devono creare soluzioni
possibili a quei conflitti, alle situazioni di violenza e disagio. Possono farlo in gruppetti così
avranno modo di confrontarsi insieme al termine. Il vangelo lo riceveranno solo alla fine dei
lavori per confrontarlo con in testi.
ANaLISI
Testo (V° antitesi) (Mt. 5, 38-42)
Gesù abolisce l'antica, ferrea legge del taglione ( cfr. Es 21, 23-25. cfr. Lv 24, 19-20. cfr. Dt
19, 18-21), sostituendola con la legge evangelica della generosità, che non tradisce, ma
supera la giustizia. Ci troviamo di fronte ad un codice giuridico molto arcaico, che aveva lo
scopo etico-giuridico di regolare il dilagare della violenza, eliminando il costume del farsi
giustizia da soli. Ciò è possibile se alla violenza si oppone non tanto la moderazione, ma
piuttosto un atteggiamento di segno contrario, come presentarsi disarmati di fronte
all’aggressore. Non opporsi al malvagio e avere con esso un atteggiamento non violento
costringe l’aggressore a rinunciare alla sua mentalità, così da introdurlo in un’ottica di
riconciliazione. La non-violenza non si limita alla non-reazione, ma punta ben oltre: cambiare
la mentalità del violento fino ad avviarlo ad una prassi di riconciliazione, facendogli
sperimentare la forza dell’amore e del perdono.
La prima esemplificazione trova esempio in una situazione di rissa dove può accadere che
uno colpisca un altro, un manrovescio è un’offesa grave, sia per la carica, sia per il suo
significato infamante. Il secondo esempio è ambientato in tribunale, dove qualcuno minaccia
di ricorrere al giudice per pretendere il risarcimento di un danno o la restituzione di un pegno.
SI chiede ad un povero di cedere il mantello, sua unica protezione contro le intemperie, e
Gesù invita a cedere anche quest’ultimo elemento. Il Terzo si riferisce alla condizione della
Palestina durante l’occupazione romana; il caso rappresenta la situazione in cui i soldati
romani, non conoscendo la zona in cui devono muoversi, costringono qualcuno del paese a
far loro da guardia e lo obbligano a mettersi a disposizione: una pretesa violenta e infamante
che costringe a collaborare con l’invasore.
La novità assoluta proposta da Gesù è l’etica del rispondere con una sovrabbondanza di bene
al male subito, nelle diverse forme che può assumere, da quella dell’aggressione fisica a
quella di un aiuto non dovuto. È un invito alla non violenza che non è remissività, ma
nonviolenza attiva. Un’etica dell’amore che giunge ad amare il nemico, nella convinzione
profonda che presentarsi di fronte all’altro disarmati, indifesi e nudi, è la risorsa più alta per
cambiare mentalità e vincere la violenza nella sua stessa radice, nel cuore dell’aggressore.
L’impegno non è dunque la teorizzazione di una possibile prassi non violenta, ma è piuttosto
la formazione di uomini nuovi e non solo utopici sognatori, ma veri costruttori di pace.
66
riappropriazione
Attività
Un animatore aiuterà nella lettura e nell’amalgamare i contenuti di ragazzi e vangelo. Su un
cartellone si scrivono tutte le eventuali soluzioni tratte dai ragazzi e accanto la sintesi
dell’insegnamento di Gesù; siamo completamente immersi nel vangelo e Gesù indica la
strada della nonviolenza.
Ora ci mettiamo sparsi nella sala, distanti uno dall’altro, nel silenzio più assoluto, magari in
chiesa con gli occhi chiusi. I ragazzi si tolgono gli orologi e mettono il loro corpo nella
posizione più comoda, in modo da distendere la mente. L’animatore nel silenzio più assoluto
farà partire un cd con due musiche: la prima con rumori che ricordino la guerra, il dolore, la
sofferenza, la violenza, la seconda che ricordi, invece, la pace, la serenità, la gioia, l’armonia.
Brani di sola musica, magari poco conosciuti e senza parole. Per i primi cinque minuti
nessuno dovrebbe parlare; al segnale dell’animatore i ragazzi, uno alla volta, parleranno di
una loro esperienza che li ha segnati negativamente, in cui si sono sentiti vittime della
violenza, ma che sono riusciti a superare grazie alla nonviolenza, grazie alla forza dell’amore.
Un momento di vera intimità nel gruppo che ritrova la forza prorompente dell’amore contro le
difficoltà della vita.
Da dove vuoi iniziare a disarmare il tuo cuore e le tue mani? I ragazzi hanno parlato di loro e
hanno parlato del vangelo. Ora potrebbero farsi portatori nel mondo della pace, dell’amore e
degli atteggiamenti propositivi.
o Realizzare insieme, con il dash o con la pasta pane, degli oggetti che ricordino la pace, la
colomba, due mani che si stringono, la bandiera della pace, un cuore, la croce per poi
donarli ad una persona cara. L’attività serve per costruire materialmente un pensiero per
una persona cara e per farsi costruttori, anche concreti, di pace.
o Penso a una situazione conflittuale della mia vita e a quale gesto non violento potrei porre
in atto
o Incontrare testimoni di perdono e di scelte di non violenza
o Il seguente articolo tratto da Avvenire del 27 novembre 2005, relativo a un fatto di cronaca
successo a Valeggio
«Perdono chi mi ha ucciso il figlio»
L’anziano padre: non cortei di protesta, ma aiuti per i bambini poveri dell’Africa
Scende copiosa la neve su Castellaro Lagusello, poche decine di case nella campagna
mantovana. E i fiocchi sembrano voler coprire il dramma che questo tranquillo borgo sta
vivendo da qualche giorno: un giovane padre di famiglia ucciso a coltellate da un uomo che
non conosceva, forse vittima di un attacco di gelosia. Ma nella tragedia che, improvvisa e
atroce, si è abbattuta su una tranquilla famiglia, un uomo allarga il suo cuore a parole di pace
e di perdono. Schermendosi con fare discreto: «Non ingigantisca le cose, la prego: ce ne
sono centinaia di persone che fanno come me, migliaia».
Chissà. È vero però che mercoledì scorso Giancarlo Malfer ha perso il figlio Stefano sotto i
colpi - ritengono le forze dell'ordine - di un immigrato marocchino, geloso che il giovane Malfer
(barista in una località a pochi chilometri da casa) avesse instaurato una sana amicizia con la
sua ex convivente, dipendente del locale gestito dal 37enne mantovano.
67
E sul dramma è calata, immediata, l'ombra della coloritura politica: la Lega Nord ha indetto
per domani sera una fiaccolata di protesta contro la violenza dell'immigrazione clandestina:
«Dobbiamo prenderlo e deve pagarla cara», hanno tuonato i leghisti, riferendosi al presunto
assassino.
Ma dalla sua casa, circondato dall'affetto dei suoi cari, papà Malfer parla un altro linguaggio.
Usa parole che sembrano suonare paradossalmente fuori luogo, il 70enne pensionato cui un
destino crudele ha strappato l'amato figliolo. Parla di fede cristiana, di Dio e di perdono, di
poveri e di preghiera. E gli si spalanca il cuore, generoso, raccontando della sua Africa, il
continente disperato che al signor Giancarlo ha insegnato a non odiare e il cui ricordo lo sta
aiutando a vincere la rabbia che, inevitabile, gli sale da dentro.
Già, perché l'ex artigiano - un'azienda in proprio per la rifinitura della gomma - un grande
amore lo ha per l'Africa, dove l'amicizia con dei cugini della moglie, là missionari, lo conduce
da quindici anni: «Dovevo andarci a breve», si scalda. «Il 5 dicembre avevo il vaccino per la
febbre gialla. Loro non volevano - dice indicando i cognati -: dicevano che era troppo
pericoloso, visto quanto mi era successo». Perché tre anni fa Giancarlo era stato lì lì per
passare dall'altra parte: «Una brutta polmonite, poi la malaria; insomma, sono grato al
Padreterno che mi ha lasciato arrivare fino a qui. E poi mi ha messo alla prova», dice mentre
la voce gli si strozza e gli occhi si alzano alla ricerca di un crocifisso.
Ricorda l'Africa, il papà senza più figliolo, e da là trae la forza di non cedere alla disperazione:
«Come fai a odiare quando hai visto la povertà, bimbi che la sera ci sono e la mattina dopo
sono morti?», chiede candido. «Solo la fede mi dà la forza per affrontare quanto mi è
successo. Chiedo a Dio di non farmi perdere la fede, se no cosa mi resta?». Altrimenti dove è
possibile trovare la forza di non cedere a minacciose rivendicazioni settarie, e invece credere
che solo il perdono è la risposta saggia al dramma subito? «Il cervello mi dice che non devo
odiare. Perché dal cuore ti sale una rabbia, una rabbia che …», allarga le braccia il
pensionato credente. Che si rifà a un celebre passaggio di Giovanni Paolo II per attraversare
il deserto in cui si è trovato: la cognata prende un foglietto, sopra c'è scritto quanto il defunto
Papa scrisse nel messaggio per la giornata mondiale della pace del 2002: «Non c'è pace
senza giustizia, non c'è giustizia senza perdono». «Glielo dico al Signore: scusa se mi viene
rabbia», prosegue lui. «E prendo questo foglietto; gli chiedo la forza di andare avanti, per i
miei due nipotini che ora sono soli. Hanno 9 anni e mezzo». E un genitore che non c'è più:
«Era lui che mi insegnava tutto questo, che quando mi irritavo mi diceva: dai, papà, ragiona
un po', stai calmo. Io glielo continuo a dire: Signore, mantienimi la fede. Se la perdo, come
farò ad andare avanti, a sopportare tutto questo? Me lo dica lei…".
Nel silenzio il filo della memoria del padre distrutto torna alla sua Africa, ai «più poveri dei
poveri»: «Mio papà e mia mamma mi hanno sempre educato a fare qualcosa per quelli che
sono nel bisogno; e così tutta la mia famiglia. In ditta abbiamo assunto extracomunitari, se
avevano necessità di trovare lavoro. Poi mi piaceva andare giù, in Centrafrica, a insegnare un
mestiere,
a
costruire
con
loro
ospedali,
scavare
pozzi».
E sullo stesso foglietto una frase lascia intuire la fede granitica di quest'uomo: «L'odio non è
vinto che dall'amore. Le tenebre non possono essere fugate che dalla luce». Continua ad
imbiancarsi, Castellaro, mentre un padre senza la sua creatura accende di speranza il buio
che lo attanaglia.
(Lorenzo Fazzini)
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C. L’isola dei “Vergognosi”
Ovvero, dove si fa di tutto per non essere visti
FASE PROIETTIVA
1) Il testo è un invito per i discepoli ad operare il bene in assoluta gratuità,
con l’unica esigenza di essere fedeli a Dio, che conosce il cuore dell’uomo.
I ragazzi, attraverso questa pagina, dovranno scoprire l’importanza di un
agire gratuito, che non spetti ricompense dagli uomini.
In questa prima fase i ragazzi, senza aver letto il brano del vangelo, in cerchio parleranno
delle “opere di bene” che nella loro vita compiono.
Si potranno confrontare e avere come guida queste domande: cosa faccio nella mia vita
per aiutare gli altri? Sono vicino ai comandamenti del Signore? Vivo la mia giornata con
atteggiamenti positivi? Mi attendo per ogni mia azione una ricompensa?
Su un cartellone verranno tracciate due colonne: nella prima le azioni che i giovani fanno,
nella seconda la ricompensa che si aspettano.
2) Proporre una escursione o gita di gruppo, possibilmente in montagna, o comunque in un
posto dove sia possibile chiacchierare camminando, e dove magari ci siano alcuni
ostacoli e difficoltà da superare. A ciascun ragazzo verrà consegnato segretamente su un
biglietto il nome di un altro ragazzo, di cui dovrà diventare segretamente l’angelo custode.
Ciò significa che dovrà avere delle cure o attenzioni particolari, ma con spontaneità e
assolutamente senza farlo vedere. Al termine della giornata, ciascuno dovrà cercare di
dire chi è stato secondo lui il suo angelo custode. Scopo del gioco è far cogliere il
significato, la bellezza e l’importanza del fare le cose nel segreto.
3) Sempre con la stessa tecnica del biglietto segreto, consegnare a ognuno una persona per
la quale procurare un regalo: poco importa il valore, ma chi deve procurarlo, dovrà
ingegnarsi per trovare qualcosa di originale e di gradito alla persona indicata; rimanendo
anonima, la sua scelta non potrà essere giudicata da nessuno. Il gioco allora metterà in
evidenza se:
Fai le cose bene per essere apprezzato
Visto che nessuno può giudicarti, te ne infischi
Analisi
Matteo 6, 1-6
Si legge insieme il brano del Vangelo e l’animatore chiede ai ragazzi di indicare la frase che
più li ha colpiti poi spiega il brano, puntando e sfruttando anche le riflessioni che nella fase
proiettiva sono emersa dai ragazzi. Sempre sullo stesso cartellone, i ragazzi scriveranno gli
atteggiamenti dei farisei e la ricompensa, quella cioè di essere riconosciuti solo dagli uomini,
mentre seguiranno gli atteggiamenti proposti da Gesù.
I ragazzi non dovranno solo ascoltare l’approfondimento, ma integrarlo con le proprie
intuizioni e idee.
Agire nella gratuità, ecco cosa indica Gesù ai suoi discepoli attraverso questo brano del
Vangelo. È significativo che Cristo non tanto chiama all’elemosina, alla preghiera e al digiuno,
69
quanto indica come bisogna compiere queste opere di pietà: “Guardatevi dal praticare le
vostre buone opere davanti agli uomini per essere da loro ammirati, altrimenti non avrete
ricompensa presso il Padre vostro che è nei cieli” (Mt 6, 1). Vi è in queste parole un
incoraggiamento all’elemosina, alla preghiera e al digiuno, ma prima di tutto vi è un appello a
compiere tali opere “nel segreto“, dinanzi al Padre. “E il Padre tuo, che vede nel segreto, ti
ricompenserà” (Mt 6, 4).
Nel Vangelo il termine giustizia, non è riferito ai rapporti sociali che si vivono tra gli uomini,
quanto piuttosto alla piena attuazione della volontà di Dio nella propria vita. La giustizia è
così, l’essere e il porsi in un atteggiamento di accoglienza e non di sottomissione, che è
l’origine fedele a Dio. Gesù orienta con queste parole al compimento di opere che non sono
strettamente regolate da comandi, piuttosto da una vita che vuole essere gradita a Dio;
questo attraverso le tre azioni che al tempo di Gesù costituivano l’ideale della pietà e della
religiosità: l’elemosina, la preghiera e il digiuno. Ciascuno dei tre esempi sottende la
contrapposizione tra due diversi modi di vivere la stessa esigenza. La prima modalità – che
viene considerata non buona dal Vangelo – è bene espressa con immagini vivaci, fare
l’elemosina suonando la tromba o assumere durante il digiuno un’aria malinconica. Il
riferimento è perfetto, perché coincide con le consuetudini di quel tempo tra i farisei, che
pregavano in modo tale che venissero sentiti, tanto che arrivavano al punto di pregare negli
angoli delle strade dove potevano essere osservati da tutti.
La modalità di praticare le “buone opere” viene qui marcata di ipocrisia, perché tanta
ostentazione e vanagloria per essere visibili non corrisponde alla profondità del cuore, tanto
che Matteo sottolinea che, coloro che osservano tali atteggiamenti “hanno già ricevuto la loro
ricompensa”, anche se dagli uomini e non da Dio. Accanto a questo modello, quello proposto
dal Signore: “tu invece cerca di usare altre modalità se vuoi essere ricompensato da Dio”,
viene messo in luce attraverso degli esempi concreti: “non sappia la sinistra cosa fa la tua
destra”; lo stesso vale per la preghiera “raccogliti nella stanza interna della casa”.
Questo nuovo modo di praticare le opere si può sintetizzare nella segretezza, nella non
ostentazione, perché solo il Padre lo possa vedere, ciò che preoccupa il credente non devono
essere i giudizi, o i pareri degli uomini, bensì quelli di Dio che conosce il cuore dell’uomo.
Nel Vangelo di Matteo bisogna inoltre sottolineare che la ricompensa, per Dio, è sempre
libera e gratuita e che Dio stesso la offre come dono. Tale gratuità stabilisce tra gli uomini una
condizione totalmente nuova che supera il criterio di una giustizia solo retributiva, per la quale
ricevo quanto io ho prodotto.
In questa pagina del Vangelo, infine, il dono di Dio trova accoglienza nell’impegno del
discepolo ad accettare il dono e a porsi fiducioso tra le mani del Padre; il Signore non
ricompenserà i suoi discepoli sulla base della quantità delle opere, perché il dono di “entrare
nel regno dei cieli” è un dono non equiparabile a prestazioni umane.
Il brano apre le porte a due significati: il primo, a livello personale, è un invito ad interrogarsi
sulla propria fede e la propria moralità: “trovo nell’amore di Dio la profonda motivazione per la
mia vita”; il secondo, interrogativo, è per tutta la comunità cristiana che non deve agire per
ottenere o sperare in una ricompensa, ma per diventare strumento per la parola di Dio.
Sobrietà, austerità, astinenza dai cibi sembrano anacronistici in questa società, che fa del
benessere e della sazietà il proprio vanto, ma è proprio questa sazietà che rischia di renderci
insensibili agli appelli di Dio e alle necessità dei fratelli. Per il cristiano il digiuno non è
prodezza ascetica, ma è segno della disponibilità al Signore e alla sua Parola, è l’alternativa
ad essere sempre “riempiti” di nuovi bisogni e nuove insoddisfazioni. Prendere le distanze
dalle cose futili significa ricercare l’essenziale: affidarsi umilmente al Signore, creare spazi di
risonanza alla voce dello Spirito.
70
RIAPPROPIAZIONE
I ragazzi dovrebbero aver intuito la grande novità del Vangelo, la scelta di compiere un’azione
senza aspettarsi una ricompensa e soprattutto scegliere di affidarsi al Padre; per questo
sarebbe importante che il gruppo dedicasse alcune ore per un servizio, magari proprio
all’interno della propria parrocchia o in qualche associazione del vicinato. Spesso si capisce
meglio un concetto vivendolo e sperimentandolo, quale gioia può unire un gruppo nel fare una
scelta di servizio insieme. Sarebbe indispensabile fare una breve riflessione anche dopo
questa attività, per vedere quali insegnamenti hanno realmente acquisito. La finalità di questa
proposta è di condurre l’adulto a passare da una morale strettamente legata ai precetti e alla
legge ad una esigenza etica, lasciandosi coinvolgere dall’amore di Dio.
Quel che più conta non è quanto diamo, né se il nostro nome comparirà in cima all’elenco dei
benefattori, così tutti sapranno quanto siamo stati bravi; è il nostro cuore che deve iniziare a
cambiare, a vedere le necessità di chi ci sta attorno, di coloro che spesso non hanno niente a
che vedere con i soldi, (e così crollano le eventuali obiezioni “ma io sono studente, non lavoro
ancora, non ho soldi miei...”) ma hanno bisogno di un po’ del nostro tempo, della nostra
attenzione, delle nostre capacità.
71
*B
Mi ha cambiato la vita: incontri con Gesù
2.3.5
OUVERTURE
Dalla lettera di san Paolo ai Filippesi (3, 7-14)
7 Ma quello che poteva essere per me un guadagno, l'ho considerato una perdita a motivo di
Cristo. 8 Anzi, tutto ormai io reputo una perdita di fronte alla sublimità della conoscenza di
Cristo Gesù, mio Signore, per il quale ho lasciato perdere tutte queste cose e le considero
come spazzatura, al fine di guadagnare Cristo 9 e di essere trovato in lui, non con una mia
giustizia derivante dalla legge, ma con quella che deriva dalla fede in Cristo, cioè con la
giustizia che deriva da Dio, basata sulla fede. 10 E questo perché io possa conoscere lui, la
potenza della sua risurrezione, la partecipazione alle sue sofferenze, diventandogli conforme
nella morte, 11 con la speranza di giungere alla risurrezione dai morti. 12 Non però che io
abbia già conquistato il premio o sia ormai arrivato alla perfezione; solo mi sforzo di correre
per conquistarlo, perché anch'io sono stato conquistato da Gesù Cristo. 13 Fratelli, io non
ritengo ancora di esservi giunto, questo soltanto so: dimentico del passato e proteso verso il
futuro, 14 corro verso la mèta per arrivare al premio che Dio ci chiama a ricevere lassù, in
Cristo Gesù.
L’incontro con Gesù cambia la vita, la rende nuova. Può accadere che una persona,
incontrando Gesù, non abbia il coraggio di fidarsi totalmente di Lui e se ne vada via triste (Le
18,18-23), oppure riconosca in lui quella novità che da un significato profondo alla vita (Lc
19,1-10).
II Nuovo Testamento è unanime nel sottolineare che un tratto fondamentale dell'uomo
convertito, animato dallo Spirito, è l'esperienza della novità. La comunione con Cristo e
l'accoglienza dello Spirito conducono ad una vita nuova. Scrive san Paolo ai cristiani di
Corinto: «Se uno è in Cristo è una creatura nuova; le cose vecchie sono passate, ecco, ne
sono nate di nuove» (2 Cor 5,17) E ai cristiani di Colossi: «Vi siete spogliati dell'uomo vecchio
con le sue azioni e avete rivestito il nuovo; ci si rinnova, per una piena conoscenza, ad
immagine del suo Creatore» (Col 3,9-10). La novità dello Spirito raggiunge il nucleo più
profondo della persona, ristrutturandolo e rinnovandolo dall'interno (Rm 6,4).
I primi cristiani sentivano la novità di questo nuovo orientamento in modo così vivace da
esprimerlo con le immagini della risurrezione, della creazione, della rinascita, del risveglio.
Queste immagini sottolineano una sorta di passaggio dalla morte alla vita, dalla schiavitù alla
libertà, dal chiuso dell'egoismo e dell'indifferenza agli spazi aperti della carità.
(Catechismo dei giovani 2, p. 202)
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INTRODUZIONE METODOLOGICA
Abbiamo incontrato Gesù — dal sussidio CAT
Un incontro può trasformare una vita. I Vangeli sono globalmente la testimonianza di persone
che nell'incontro con il Signore Gesù hanno visto la loro esistenza rigenerata, ri-orientata e
salvata.
Alcune narrazioni in particolare sembrano mettere a fuoco con più precisione la storia di questi
incontri con Gesù. Talora sono storie di personaggi minori che appaiono e scompaiono come
meteore nella trama evangelica. Di loro non sappiamo nulla di quanto era prima e di ciò che
avvenne successivamente al loro incontro con Gesù. Abbiamo solo poche righe che ci
testimoniano con vivacità il loro incontro con il Signore e la svolta decisiva che esso ha
impresso alla loro vita. Poche righe condensano però percorsi che sono capaci di illuminare
continuamente esperienze, che si sono realizzate in noi o che stanno davanti a noi come
possibilità aperte; per questo questi incontri diventano una sorta di paradigma di ciò che
ancora oggi l’incontro con il Signore è capace di mettere in movimento.
L’invito, allora, è ad accostare questi brani evangelici, facendo immedesimare i ragazzi con
i personaggi stessi, perché possano sperimentare lo stesso fascino e la stessa forza di
trasformazione che l’incontro con Gesù dona. Anche oggi!
o
Bartimeo, che da cieco, mendicante e fermo sulla strada, passa a vedere e a seguire
Gesù
o
Zaccheo, che da ladro, uomo “di piccola statura”, diventa grande nella generosità di
o
La peccatrice perdonata, che da “venditrice” d’amore, diventa sovrabbondante
cuore
nella gratuità
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A. Bartimeo: Vedere la luce
Quante volte Gesù durante il suo peregrinare ha incontrato delle persone che gli chiedevano
di vedere…non si è trattato solamente di ciechi, ma anche di persone che volevano
illuminare, vedere la propria vita sotto un altro punto di vista.
Il racconto di Bartimeo diventa anche una controfigura positiva rispetto ad altre figure
incontrate nel Vangelo.
Come non ricordare il “giovane ricco” al quale viene fatto l’invito “va, vendi i tuoi beni e poi
vieni e seguimi”; questi se ne era andato triste. Bartimeo è proprio il contrappunto di questa
risposta negativa: egli che non è ricco ma mendicante, in condizione di estrema indigenza, è
disponibile a lasciare anche l’ultima cosa che ha, il suo mantello, per poter seguire Gesù.
Obiettivo:
Cercare di passare da una fede statica ad una in cammino con la figura di Cristo, risultato di
uno sguardo nuovo sulla vita offerto dall’incontro con Lui.
FASE PROIETTIVA
Cerchiamo di far entrare i ragazzi nel contesto del brano
scegliendo tra le proposte qui descritte:
Proposta 1
Dall’oculista : prima di far leggere il vangelo proponiamo questa dinamica
Viene scelto un ragazzo con gli occhiali e viene simulata una visita oculistica.
Nel caso tutti i ragazzi avessero una vista da falco, trovate qualche stratagemma per
“annebbiare la vista”- allontanate il cartellone con le lettere da leggere, coprite un occhio,
usate lenti colorate, abbassate la luce, scrivete lettere minuscole…
Viene perciò eseguito il classico controllo della vista attraverso la lettura delle lettere
alfabetiche su un cartellone che avrete preparato precedentemente. Il cartellone ovviamente
dovrà essere difficile da leggere, perché scritto in piccolissimo,oppure sbavato o rovinato.
Torturate a piacere il “paziente” chiedendogli di leggere tutto il cartellone, ma ogni tanto
dategli la possibilità di chiedere un aiutino con la frase “cosa vuoi che ti faccia?” (frase usata
da Gesù nel brano del vangelo che leggerete in seguito). Il ragazzo chiederà di riavere gli
occhiali, di togliere la benda, di accendere la luce o di avvicinare il cartellone.
Una volta che il tabellone verrà “letto” a sufficienza riunite tutto il gruppo. Ora chiedete il
perché non riusciva a leggere il tabellone.
L’obiettivo è quello di far notare che senza le “richieste di aiuto” la lettura del cartellone
sarebbe stata impossibile.
Ma alla fine potete creare un piccolo colpo di scena! Infatti mostrando di nuovo il cartellone
utilizzato in precedenza farete notare che all’interno dello stesso era presente una frase
nascosta (una frase del vangelo-“rabbunì, che io riabbia la vista”,oppure “e subito riacquistò la
vista…”) che nessuno ha notato perché spesso non si guarda nel profondo delle cose. La
frase deve essere nascosta ad hoc, magari scrivendola al contrario, in senso antiorario o che
si possa leggere solo in maniera concentrica o ad spirale. Magari si potrebbe far vedere la
frase nascosta dopo la spiegazione del vangelo, sarebbe più ad effetto.
Si procede ora alla lettura del brano del vangelo e all’analisi del testo.
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Proposta 2
Poniamo ai ragazzi una domanda diretta; è il metodo più classico
In questo caso risulta necessario leggere il brano prima di attuare questa metodologia.
L’animatore invita i ragazzi a rispondere personalmente alla seguente domanda:
“Che cosa vuoi che ti faccia? Nella situazione che stiamo vivendo, che risposta daremmo oggi
a questa domanda di Gesù?”
Dopo un momento personale, i ragazzi sono invitati a confrontarsi con i vicini o con l’intero
gruppo. Viene riassunto ciò che è emerso e viene perciò ora proposta l’analisi del vangelo per
capire veramente che cosa ha chiesto Bartimeo a Gesù.
ANALISI
Pre-analisi
L’animatore, dopo la lettura del vangelo, consegna la scheda in allegato e invita a
compilare la griglia.
Il lavoro viene fatto in gruppetti; dopo di ciò viene fatta una condivisione del lavoro dei gruppi.
Si può preparare uno o più cartelloni con un riassunto del lavoro fatto. Un animatore fa la
sintesi e sottolinea i significati emersi e gli interrogati che il testo ha generato.
Alla fine, un animatore esperto (che ha letto la spiegazione precedente) spiega il brano,
tenendo presenti gli interrogativi del gruppo e il risultato delle loro pre-analisi.
È bene far seguire alla spiegazione un breve dibattito.
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ATTEGGIAMENTI IL MIO ATTEGGIAMENTO
DI BARTIMEO
È modello di fede
coraggiosa, sa resistere
di fronte alle difficoltà,
egli continua a credere e
ad invocare, anche
quando gli altri tentano
di metterlo a tacere
Si lascia donare una
vista nuova, nel suo
consegnarsi a Gesù.
Chiede una fede più
matura, più adulta.
La sua è una risposta
immediata, che non
esita a liberarsi da tutto
ciò che impedisce
l’incontro con Gesù
È l’uomo che, acquistato
lo sguardo della fede,
decide di seguire Gesù
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Analisi del testo
Il testo risulta strutturato per tappe successive, che evidenziano lo sviluppo del racconto,
evidenziando il cambiamento tra la situazione iniziale e quella finale.
o All’inizio c’è una distanza fisica tra Gesù e Bartimeo. Il primo è in movimento, esce da
Gerico, mentre il secondo se ne sta in disparte, seduto a lato sulla strada. Sembra
impossibile un contatto tra i due.
o Nel secondo momento si sottolinea lo sforzo del cieco per entrare in contatto con Lui:
”Figlio di Davide Abbi pietà di me!”; ripetuto nonostante il muro di persone (le difficoltà)
che lo volevano zittire.
o Il terzo momento: l’incontro con Gesù; ciò è dovuto, sia per la volontà del Cristo (si
ferma), sia per le invocazioni del cieco.
o Nel quarto momento si instaura un dialogo personale significativo: la domanda di Gesù, la
risposta di Bartimeo e la frase che illumina e dona significato a tutto il brano:”Va la tua
fede ti ha salvato!”.
o Adesso il cieco cambia radicalmente la sua situazione, da posizione statica si ritrova a
seguire Gesù.
o Dalla struttura si evidenzia il cambiamento più radicale:
SITUAZIONE INIZIALE
SITUAZIONE FINALE
Sedeva a lato della strada
Segue il Cristo,è sulla strada
Cieco
Vede
La fede ha ridonato al cieco la vista, ha risolto il suo stato di immobilità, lo ha strappato dalla
sua situazione di emarginazione ed esclusione e lo ha coinvolto nel cammino di Gesù.
“E vennero a Gerico. E mentre egli usciva da Gerico”:
Gesù continua a camminare verso Gerusalemme:il cammino di Gesù quindi sta arrivando
verso la sua meta.
“Il figlio di Timeo, Bartimeo”:
Un cieco,immobile, seduto, incapace di muoversi per la sua cecità, collocato a lato della
strada, fuori percorso. La situazione di cecità veniva vista non solo come condizione di
povertà, ma anche come il risultato di una condizione di peccato: segno di una maledizione
divina.
“E avendo udito che è Gesù il nazareno”:
Il cieco cerca un incontro con Gesù, intuisce che c’è qualcosa che va al di là dell’essenza
umana. A questo punto la sua ricerca si esplicita in una preghiera che è confessione di fede e
richiesta di salvezza.
“Figlio di Davide Gesù, abbi pietà di me”:
Per due volte egli grida. In questo grido sentiamo con quanta forza e fede cerchi di superare
le persone accanto a lui che cercano di farlo tacere. Chiamare Gesù “il figlio di Davide”
significa riconoscere il Messia . Bartimeo mostra così di credere che Gesù è il Messia.
“E fermatosi Gesù disse”:
Di fronte alla fede-invocazione di questo cieco, Gesù interrompe il cammino per ascoltare la
supplica.
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“Chiamatelo!”:
Gesù si rivolge a coloro che lo circondavano e che erano stati un ostacolo tra Lui e il cieco,
perché si facciano intermediari (partecipi) alla chiamata.
“E chiamano il cieco dicendogli: confida, svegliati, chiama te”:
La risposta di Gesù è: fermarsi, chiamare e coinvolgere in questa azione di chiamata anche
quelli che prima si erano opposti alla preghiera di supplica del cieco. Ora sembra Gesù, colui
che cerca il contatto.
“E quegli gettato il mantello, balzato su, venne da Gesù”:
Questa è la risposta alla chiamata. Ci sono due cose importanti da notare.
o La prima:
“Balzato su”:
Il cieco prende forza per vincere la propria i immobilità e balzare in piedi. Il verbo esprime
l’immediatezza della risposta ( come quel “subito lo seguirono” che contraddistingue la
risposte dei primi discepoli).
o La seconda:
“Getta via il suo mantello”:
Il cieco si libera così da tutto ciò che ha e che sembra essere necessario per la sua vita. Il
mantello nell’Antico Testamento rappresenta l’unica ricchezza per difendere la propria vita
(ovvero dal freddo).
“E rispondendogli Gesù disse: che cosa vuoi che ti faccia?”:
Gesù vuole controllare nel profondo dell’animo le motivazioni vere di tale richiesta. La
richiesta parrebbe inutile, ma Lui sa che c’è un altro tipo di desiderio all’interno del cieco: oltre
a riavere la vista desidera essere “illuminato”.
“Rabbonì,che io riabbia la vista”:
Nel vangelo di Marco la fede è delineata proprio come un vedere. Infatti, quando Gesù
rimprovera coloro che non credono dice “avete gli occhi e non vedete”. Questo cieco non
chiede solo la vista fisica ma anche una maturazione, un’apertura profonda alla vista della
fede.
“Va, la tua fede ti ha salvato”:
Gesù ne è convinto, il suo desiderio è profondo. Non solo lo guarisce, ma ne cambia
l’orizzonte della vita.
“E subito vide e lo seguiva”:
Il cieco non se ne va, ma lo segue. Seguire è il verbo che indica tipicamente il discepolato.
“Sulla strada”:
Non è una strada qualsiasi, ma la strada che lo porta a Gerusalemme, ovvero la resurrezione.
RIAPPROPRIAZIONE
Viene consegnata ora la scheda in allegato, che dovrà essere compilata personalmente. Al
termine di questo momento ci potrà essere una condivisione nel gruppo se non è numeroso,
oppure in gruppetti
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Alla ricerca del cammino di fede di Bartimeo
Scrivete in parallelo sulle due colonne le azioni di Bartimeo (espresse dai verbi) e le tappe del
suo cammino di fede. Dite cosa vi colpisce e cercate di indicare quali significati cominciano ad
apparire
Le azioni di Bartimeo
Il suo cammino di fede
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
Per concludere fate seguire una breve discussione sull’ultima domanda. Rimarcare il fatto che
la vera difficoltà non è quella di “acquistare” una nuova vista sulla nostra vita, ma molto
spesso ciò che fa paura è il pensiero di dover dare una svolta alla propria vita.
Alla luce della discussione si può proporre ai ragazzi alcuni atteggiamenti di apertura alla
luce.
1. Proporre di leggere il vangelo a casa, oppure ritagliare 5 minuti durante l’orario del gruppo
per leggerlo assieme.
2. Dare il compito durante la settimana di guardare nel profondo le cose, avere più
attenzione delle richieste degli altri, dei famigliari, dei compagni di scuola e lavoro, per
poterlo poi di nuovo raccontare durante l’incontro successivo.
3. Chiedere loro di poter spogliarsi delle cose inutili (il mantello) per poter seguire Gesù da
uomini liberi: liberarsi dalla schiavitù del cellulare, della moda e delle aspettative che gli
altri hanno su di noi.
4. Sarebbe molto bello proporre anche una celebrazione sulla luce. L’idea è quella di
paragonare il passaggio tra la cecità interiore, alla nuova vista donata da cristo, con il
passaggio dalle tenebre (la chiesa senza luce, appena rischiarata) ad una situazione di
luce piena (candele, un faretto che illumina l’Eucaristia o il vangelo)
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B. Zaccheo: la fede che si apre alla solidarietà
Molte volte ci sentiamo inadatti nell’accogliere il Signore. Ci sentiamo peccatori, troppo piccoli
e miseri per incontrarlo.
A Gesù non importa la nostra condizione, la nostra piccolezza. Ciò che gli importa è il nostro
desiderio di cercarlo, vederlo, di poterlo ospitare dentro casa nostra.
Zaccheo, un ricco pubblicano, desidera talmente tanto vedere il Cristo che sale su un
sicomoro, trasformando il suo desiderio in una decisione: cambiare la sua vita, donarsi al
prossimo.
Obiettivo:
1. Far capire che la fede è una ricerca di Dio, un desiderio di Lui, che si può aprire ad una
scelta di solidarietà (atteggiamento di Zaccheo)
2. Educare ad uno sguardo sugli altri, che passi dal pregiudizio alla fiducia, per una
relazione che arricchisce tutti (atteggiamento presente anche in Gesù)
In entrambi gli atteggiamenti c’è una apertura alla solidarietà.
o
o
Zaccheo, dopo l’incontro con Gesù, sceglie di cambiare il proprio stile di vita, si pone dal
punto di vista dei poveri e di chi subisce ingiustizia; per tal motivo impegna i suoi beni e le
sue energie nella solidarietà.
Gesù supera i pregiudizi delle persone che mormorano per quel suo incontro con un
peccatore, offre la sua fiducia e chiede ospitalità: vuole entrare nella casa, nel suo modo
di vivere. Si offre come risposta alla ricerca di Zaccheo.
FASE PROIETTIVA
Facciamo entrare i ragazzi nel contesto del brano
scegliendo tra le proposte seguenti:
Proposta 1
Alla festa: prima di far leggere il vangelo proponiamo questa dinamica.
L’idea è quella di creare l’atmosfera di una piccola festicciola (la classica festa dei 18 anni). Si
divide il gruppo in coppie formate da una ragazza ed un ragazzo e si chiederà loro di
inscenare (tipicamente al ragazzo) una tattica di “abbordaggio”, ovvero dovrà cercare di
conoscere la ragazza. Le situazioni che si verranno a creare saranno molteplici; una buona
idea potrebbe essere anche quella di far recitare ai restanti ragazzi che osservano la scena,
la parte della compagnia che giudica la situazione.
Lo scopo è quello di notare come le persone desiderino in maniera diversa conoscere la
persona dell’altro sesso. Alcuni saranno molto appassionati nel farlo, altri nient’affatto, in
alcuni casi la ragazza non avrà nessuna intenzione di conoscere il “pretendente” e non è
detto che gli rivolga addirittura la parola; affinché ci sia un incontro ci vuole, da una parte, il
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desiderio e la volontà di conoscere la persona (di salire sul sicomoro), mentre dall’altra ci
vuole un atteggiamento di accoglienza, che non si cura magari delle dicerie che le altre
persone dicono attorno.
Dopo un po’ di scenette, fate elencare loro le varie situazioni, facendo notare i pregiudizi ed i
commenti che si erano sentiti, e la maniera con cui ci si è relazionato.
Proposta 2
Vu cumprà!?! Prima di far leggere il vangelo proponiamo questa dinamica.
Si può dividere il gruppo in piccoli gruppetti e chiedere loro di scrivere in cartelloni gli
atteggiamenti e i pensieri che hanno nei confronti di queste situazioni.
o Il marocchino che suona alla porta per vendere biancheria.
o Un ragazzo di colore che occupa il sedile di un autobus
o Lo sfigato della classe che ti chiede di studiare assieme
o La ragazza che non ha dei jeans alla moda, e non ha il fisico da miss,
o ecc…
Dopo 10-15 minuti si raccolgono i cartelloni e si evidenziano i luoghi comuni e i pregiudizi che
abbiamo nei confronti del prossimo, che ci impediscono un rapporto di fiducia e solidarietà.
Si procede ora alla lettura del brano del vangelo e all’analisi del testo.
Proposta 3
Domanda diretta: leggere il brano prima di attuare questa metodologia.
L’animatore invita i ragazzi, divisi in gruppi, a rispondere alle seguenti domande:
o “Che significato può avere nella nostra esperienza il fatto di auto-invitarsi a casa di un
altro?”
o “Che cosa può aver motivato Zaccheo a scendere in fretta e ad ospitare con gioia Gesù?”
Su queste due domande si stabilisce un dialogo nel gruppo e l’animatore riassume quanto
emerge. Alla fine, se sono emersi degli interrogativi sul brano, l’animatore li richiama.
analisi
Pre-analisi
Metodo 1
La pre-analisi del testo viene fatta in gruppo, se di piccole dimensioni, o in più gruppi di 8-10
persone, nel caso il gruppo fosse numeroso.
L’animatore, dopo la lettura del vangelo, consegna la scheda con le due colonne delle attese
di Zaccheo e delle risposte di Gesù, e invita ognuno a compilarlo personalmente.
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Per il lavoro di gruppo
1. Personalmente: ognuno compila il foglio rileggendo attentamente il brano
2. In gruppo: confrontate i risultati ed arrivate a uno schema comune
3. “Che cosa ci fa pensare questo parallelo”. L’animatore pone questa domanda per far
emergere alcuni significati del brano
Attese di Zaccheo
•
•
•
•
•
•
Risposte di Gesù
•
•
•
•
•
•
In un secondo tempo i partecipanti confrontano i risultati e arrivano ad una griglia comune;
infine l’animatore invita il gruppo a rispondere alla domanda:
“Cosa ci fa pensare questo parallelo?” L’animatore aiuta in questo modo a far emergere
alcuni significati del brano, fa la sintesi e sottolinea i significati emersi e gli interrogativi che il
testo ha generato.
Alla fine di ciò, un animatore esperto (che ha letto la spiegazione precedente) spiega il brano
(fa l’analisi vera e propria), tenendo presenti gli interrogativi del gruppo e il risultato delle loro
pre-analisi. È bene far seguire alla spiegazione un breve dibattito.
Metodo 2
L’animatore, dopo aver fatto leggere il vangelo, lo divide in due parti, in modo tale che si
evidenzino da una parte le azioni compiute da Zaccheo, dall’altra quelle di Gesù. Verranno
perciò formati due gruppi che analizzeranno le azioni, i comportamenti, le difficoltà dei due
personaggi nell’instaurare una relazione.
Si può seguire un percorso di analisi di questo tipo
o
o
o
o
o
Situazione iniziale
Difficoltà dell’incontro
Momento (azione) decisivo
Cambiamento avvenuto
Situazione finale
I due gruppi presenteranno l’analisi fatta all’altro gruppo ed un animatore fa la sintesi e
sottolinea i significati emersi e gli interrogativi che il testo ha generato.
Alla fine di ciò, un animatore esperto (che ha letto la spiegazione) spiega il brano (fa l’analisi
vera e propria), tenendo presenti gli interrogativi del gruppo e il risultato delle loro pre-analisi.
È bene far seguire alla spiegazione un breve dibattito.
82
Analisi del Testo
Il testo presenta una struttura a due tempi: il desiderio dell’incontro e l’incontro.
o La prima parte vede come unico protagonista Zaccheo: abbiamo la sua presentazione
con alcune informazioni (il nome, è capo dei pubblicani, è ricco), gli ostacoli rappresentati
dalla folla e dalla sua bassa statura; infine si nota il suo profondo desiderio di vedere
Gesù.
o La seconda parte presenta l’incontro tra Gesù e Zaccheo. Nel testo si notano due
significati del verbo “venire”. Il primo per indicare l’avvicinamento di Gesù a Zaccheo, il
secondo nella frase finale del vangelo “il Figlio dell'uomo infatti è venuto a cercare e a
salvare ciò che era perduto”. Si svela così la vera missione di Gesù.
o Segue a queste due fasi l’iniziativa di Zaccheo, il cambiamento della vita dopo l’incontro
con Gesù, l’apertura alla solidarietà attraversa le promesse di ridare i beni ai poveri e di
ristabilire la giustizia.
“Entrato in Gerico, attraversava la città”:
Siamo ormai alla fine di un viaggio, che ha lo scopo di presentare le istruzioni della vita
cristiana e le conseguenze sulla vita del discepolo. L’incontro sembrerebbe casuale, ma si
tratta invece di un Kairos (occasione favorevole offerta da Dio). Questo verrà sottolineato
nella seconda parte: questa non è una casualità, ma un disegno di Dio.
“Ed ecco un uomo…”:
Emerge in questa occasione “speciale” un uomo, di cui sappiamo il nome, ma che viene
definito come un ricco pubblicano. I pubblicani erano considerati dei peccatori, nonché dei
traditori, essendo essi al servizio dei Romani per la riscossione delle tasse. Zaccheo ne è
perfino il capo; in più la sua ricchezza viene vista come un impedimento per la sua salvezza,
la ricchezza chiude in se stessi .
“Cercava di vedere quale fosse Gesù”:
Zaccheo ha centrato l’obiettivo: vuole vedere Gesù. Anche in questo caso il verbo vedere ha
un significato più profondo. Vuole capire chi è, vuole capire il mistero della sua persona
“Ma non gli riusciva a causa della folla”:
A questo desiderio di conoscenza si oppone la folla. Un impedimento esterno. Deve cercare
di uscire dal senso comune, le opinioni e il “si dice”, per una ricerca del tutto personale.
“Poiché era piccolo di statura” :
Il secondo impedimento viene dall’interno, un limite personale.
“Allora corse in avanti e, per poterlo vedere, salì su un sicomoro”:
Nonostante tutte le difficoltà, Zaccheo vuole vedere Gesù. Questa volontà di superare gli
ostacoli accentua la finalità del suo desiderio, che ha come oggetto la persona di Gesù.
Zaccheo brama di vedere Gesù.
“Quando giunse sul luogo, Gesù..”:
L’attenzione si sposta ora su Gesù: ora è Gesù che si muove; ciò vuol dire che ciascuno di
noi può desiderare, cercare Gesù e superare tutti gli ostacoli che si frappongono tra noi e Lui,
ma alla fine è Gesù che ci incontra e ci rivolge lo sguardo.
“Zaccheo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua”:
Gesù formula un imperativo e ne da la motivazione. La parola “oggi” ha un significato non
temporale, ma sottolinea che la sua salvezza avviene con la presenza del Cristo, che è lì,
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ora, vicino a lui; anche la parola “devo” ha un significato particolare, indica l’obbedienza al
progetto del padre, al volere di Dio. Perciò Gesù chiede a Zaccheo l’obbedienza al Padre.
“In fretta scese e lo accolse pieno di gioia”:
Zaccheo è pronto all’invito, e lo accoglie con gioia, la gioia comunicata all’uomo dalla
presenza del Salvatore. Questo avvenimento viene però commentato dalla folla in modo
negativo, essendo considerato un peccatore. Gesù deve vincere anche questo pregiudizio
della gente.
“Ma Zaccheo, alzatosi, disse al Signore”:
Adesso Zaccheo parla a Gesù in maniera diversa, è avvenuta una trasformazione: riconosce
in Lui il risorto; si è sentito accolto ed ha accettato l’invito di Gesù con gioia, accogliendo in tal
modo la presenza del salvatore.
“Ecco, io o la metà dei miei beni ai poveri…”:
La conversione di Zaccheo riguarda anche la sua condizione economica: all’inizio la ricchezza
era vista come un impedimento alla salvezza; ora la conversione passa anche per la
concretezza di aprirsi alla solidarietà ed alla giustizia.
La conversione ha comportato tre passaggi:
1. L’incontro vero, profondo. Un accogliersi a vicenda tra Gesù e Zaccheo.
2. Il cambiamento di mentalità, di sguardo sulla realtà. Zaccheo passa dal guardare la
vita da parte degli oppressori e dei ricchi, a guardarla dalla parte di chi è povero e
sfruttato.
3. La concretezza della decisione: impiegare i propri beni ed energie.
“Oggi la salvezza è entrata in questa casa”:
Gesù sottolinea l’avvenuta conversione, attraverso di Lui.
“Perché anch’egli è il figlio di Abramo”:
Zaccheo per una libera scelta decide di essere figlio di Abramo, di entrare nel popolo di Dio,
di sperimentare la realizzazione delle promesse di Dio. Passa dalla qualifica di “capo dei
pubblicani ricco” a quella di “figlio di Abramo”.
“Il Figlio dell’uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto”:
Gesù si rende conto della sua missione, ne diventa sempre più consapevole, prende
coscienza di se stesso.
riappropriazione
Si divide il gruppo in piccoli gruppetti di 2-3 persone.
Ciascuno di questi gruppi si deve immaginare come la storia di Zaccheo o Gesù sarebbe
cambiata se non fossero accadute certe situazioni. Nella scheda vengono proposti vari
scenari, si può scegliere di farli fare tutti a ciascun gruppetto, o dividerli in base alle esigenze.
Cosa sarebbe successo se…
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Gesù non fosse passato per Gerico
Zaccheo non avesse desiderato vedere Gesù
Zaccheo non fosse salito sul Sicomoro
Gesù non gli avesse rivolto lo sguardo
Zaccheo non avesse avuto voglia di scendere dall’albero
Gesù avesse avuto paura dei pregiudizi della folla
Gesù non si fosse autoinvitato
Zaccheo avesse accolto malvolentieri Gesù a casa propria
Zaccheo non avesse restituito il maltolto
Gesù non obbedisse ad un progetto divino
Altro……
Una volta compilata la scheda viene esposta all’assemblea, cercando anche di motivare le
scelte fatte.
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Si possono poi riassumere i vari cambiamenti di scenario in un cartellone. Un animatore
potrebbe poi fare notare che tali situazioni possono capitare nella vita di un ragazzo.
o
o
o
o
o
o
Si potrebbe sottolineare che ciascuno di noi in certi momenti non desidera così tanto
di vedere Gesù.
Spesso ci piangiamo addosso per le nostre piccolezze e non saliamo sul “sicomoro”
sentendoci inadatti.
I pregiudizi che noi abbiamo e che ci circondano ci impediscono di essere liberi di
aprirci.
Certe volte capiamo l’importanza di dover cambiare stile di vita, ma questo rimane a
livello teorico.
Non riusciamo a fare il primo passo per aprirci agli altri
Ecc…
Da qui potrebbe seguire una piccola discussione sul cammino che si dovrebbe fare per poter
lasciarsi cambiare la vita da Cristo.
Per aiutare la discussione si può utilizzare la tabella sottostante.
Zaccheo e noi
Il cammino di Zaccheo
Il nostro cammino
Zaccheo è in una situazione di ricerca…
Come possiamo metterci in ricerca oggi?
Che cosa desideriamo veramente?
Quali sono gli ostacoli che noi giovani
abbiamo che ci impediscono un incontro con
Gesù? (fattori esterni ed interni)
Per essere fedele alla sua ricerca deve
superare degli ostacoli..
La situazione di ricerca giunge a una
scoperta insperata, perché Gesù stesso
interviene (lo sguardo, si invita a casa
sua…)
Frutto dell’incontro è una duplice
conversione:
di sguardo:
1.
Egli abbandona il suo punto di vista
e si pone dal punto di vista dei poveri e di chi
subisce l’ingiustizia.
2.
Di decisione: si impegna con le sue
energie e i suoi mezzi per solidarietà.
86
In che maniera Gesù si può far vedere ad un
Giovane?
Come fa a invitarsi a casa tua?
In che modo possiamo cambiare il nostro
punto di vista su di noi e sui pregiudizi?
In che cosa e come noi giovani ci possiamo
“spendere” per il prossimo?
C. La peccatrice perdonata: Ti amo come sei
Fase proiettiva
Proposta 1
Vizi e virtù
Proponiamo la lettura di questo articolo di giornale, per affrontare coi ragazzi la discussione
sul teme delle aspettative degli altri:
La tavola scatena più sensi di colpa del letto.
Almeno a guardare i risultati di un'indagine della rivista Rizla psicosomatica secondo la quale
mettere le corna al partner procura meno rimorsi di una grande abbuffata.
Spendere troppi soldi, esagerare a tavola, non prendersi cura del proprio aspetto: sono questi
i peccati che oggi fanno maggiormente sentire in colpa gli italiani.
Più ancora che tradire il marito o la moglie o non interessarsi agli altri.
Insomma, la geografia dei sette peccati capitali sembra un po' diversa da quella dei tempi di
Dante Alighieri anche se 8 italiani su 10 - secondo la ricerca condotta su un migliaio di italiani
tra i 25 e i 55 anni - soffrono, in maniera più o meno grave, di senso di colpa. Un "disturbo"
che colpisce decisamente più gli uomini (44%) che le donne (33%). Tra i fattori che inducono
a provare rimorso per gli sbagli o le cattive azioni commesse, i precetti religiosi sono un
elemento non decisivo (7%).
Più importante il giudizio delle persone care (32%), la disapprovazione sociale in genere
(24%), o il rendersi conto da sé di non essere stati all'altezza della situazione (18%). Sentirsi
in colpa oggi significa sicuramente provare rimorso (29%), o vergogna (22%); accorgersi di
essere deboli (17%), non sapersi accettare (9%) o ancora sentirsi inadeguati (6%). Ad avere
sensi di colpa in ambito amoroso sono, a sorpresa più gli uomini (uno su tre, 32%) che le
donne (19%, meno di una su cinque) che, al contrario, sembrano soffrire di più per peccati
legati alla vita sociale in genere (34%) o alla famiglia in senso lato (23%).
Ma ecco la lista dei sette peccati capitali del 2006: innanzitutto eccedere col cibo, argomento
molto sentito soprattutto dopo i periodi festivi; poi, spendere senza freni; al terzo posto in
classifica c'é l'aver trascurato figli e famiglia. Ne sono vittima, in particolar modo quei
quarantenni che, oberati dal troppo lavoro o eterni adolescenti, dimenticano i loro doveri di
partner o genitore.
Altri sensi di colpa frequenti sono, nell'ordine, quello di deludere o tradire le aspettative degli
amici, di non essersi impegnati abbastanza o addirittura di aver fallito in ambito lavorativo, o di
non curarsi abbastanza del proprio aspetto fisico.
In fondo alla lista, solo al settimo posto, il tradimento del partner.
Ma come affrontano i sensi di colpa gli italiani?
Uno su tre (32%) preferisce non pensarci e dimenticare in fretta, mentre gli altri si dividono fra
coloro che cercano in qualche maniera di rimediare (23%), coloro che cercano di mettersi a
posto la coscienza facendo qualcosa per gli altri (15%), quei pochi (11%) che cercano di farsi
perdonare e, infine, quelli che cercano di essere un po' più indulgenti verso se stessi (6%) e,
perché no, ricominciare da capo.
87
Domande per la discussione:
1. ti capita di sentirti in colpa?
2. In base a cosa ti senti in colpa?
3. Ti è capitato di fare delle cose per ottenere qualcosa in cambio? O solo perché altri se le
aspettavano da te?
Proposta 2
Il giudizio finale
A causa di un incidente del pullman su cui i ragazzi stavano andando in gita sulla neve, …si
ritrovano tutti al cospetto di san Pietro. Sono in sala di “attesa di giudizio”, e ognuno cerca di
preparare la propria presentazione e arringa difensiva. Per facilitare questa presentazione,
forniamo due semplici elenchi possibili cui attingere motivi di difesa e di giustificazione, tratti
dalla tradizione cristiana: le opere di misericordia da una parte e i vizi capitali dall’altra.
Le sette opere di misericordia corporale
1.
2.
3.
4.
5.
6.
7.
Dar da mangiare agli affamati
Dar da bere agli assetati
Vestire gli ignudi
Alloggiare i pellegrini
Visitare gli infermi
Visitare i carcerati
Seppellire i morti
Le sette opere di misericordia spirituale
1.
2.
3.
4.
5.
6.
7.
Consigliare i dubbiosi
Insegnare agli ignoranti
Ammonire i peccatori
Consolare gli afflitti
Perdonare le offese
Sopportare pazientemente le persone moleste
Pregare Dio per i vivi e per i morti.
I sette peccati capitali
1.
2.
3.
4.
5.
6.
7.
88
Ira
Ingordigia
Avarizia
Invidia
Lussuria
Accidia
Superbia
Proposta 3
Così ti vorrei
Partendo dalla lettura della pagina proposta, tratta dal romanzo di Fabio Volo “Un posto nel
mondo”, riflettere sul peso che hanno nella vita le aspettative degli altri.
Troppo bravi!
Cinzia, per esempio, è l'immagine perfetta della donna isterica. L'altro giorno l'ho incontrata,
era insieme con suo marito Fabrizio. Dopo tanto tempo che provavano ad avere un figlio
finalmente c'erano riusciti. Matteo.
«Matteo saluta... Matteo fai vedere quanti anni hai... Matteo fai sentire bene come ti chiami...
mat-te-o! Fai vedere come fai l'indiano, augh, augh, augh... Come fa il cane, Matteo? E il
gatto, Matteo? Matteo fai vedere come balli... Matteo vieni qua... Matteo vai là...»
Dopo un quarto d'ora ho cercato di dare di nascosto dei soldi a Matteo per comprarsi del
crack.
Era questo che intendeva Federico quando aveva detto a Francesca che la famiglia non può
essere un sogno, ma qualcuno con cui condividerlo.
Cinzia e Fabrizio non hanno nient'altro. Quando Matteo sarà un po' più grande, probabilmente
faranno un altro figlio. È il cibo con cui si nutrono, è la cosa che gli da l'illusione di non aver
fallito. Soprattutto Cinzia come persona non esiste, non è mai esistita. Prima attaccata alla
mamma, poi al papa, poi a Fabrizio, e adesso "Matteo, Matteo, Matteo"; e alla fine, da
vecchia, ai suoi acciacchi.
Prima brava figlia, poi brava moglie e adesso brava mamma.
Sono quelli che ti vedono come il loro bambino anche quando hai quarant'anni. Non lo hanno
lasciato in pace un attimo 'sto povero Matteo. E chissà che sofferenza se poi non sarà come
loro lo vogliono. Sono quelli che tentano di far fare ai figli quello che volevano fare loro senza
però riuscirci. Io non so che padre sarò ma, Alice, ti prometto che cercherò di darti un padre
felice, e che se tu sarai felice oppure no dipenderà molto da te, ma io farò tutto il possibile per
crearti intorno un mondo gentile, delicato, divertente affinché tu senta sempre il desiderio e la
voglia di partecipare, di essere coinvolta e tranquilla.
Analisi
Luca 7, 36-50
o
o
o
Il problema della vita è quello di riconoscerla come un dono d’amore e non come un
debito da estinguere.
Simone il fariseo si ritiene giusto, perché crede di non dover nulla a Dio: ciò che Dio gli ha
dato, lui lo ha meritato con una condotta irreprensibile e ora presume di non avere alcun
debito.
Nella sua casa – immagine di come anche la chiesa può diventare –, alla sua tavola,
trasformata per la presenza di Gesù in mensa eucaristica, dove Dio dona se stesso
89
o
o
o
o
o
o
gratuitamente, la venuta della meretrice che vende per denaro il suo amore, mostra al
giusto il suo peccato profondo: quello di non saper lasciarsi amare gratuitamente.
La parabola dei due debitori mette in gioco Simone e noi tutti con la prostituta
capovolgendo i ruoli. La presunzione di poter restituire ciò che Dio ha dato, sotto forma di
prestazioni di vario tipo, in modo da pareggiare il conto con Lui, è la prostituzione
religiosa.
Ogni uomo, è debitore a Dio di tutto: della vita stessa!
Il "giusto" è incapace di accogliere il dono come dono: istintivamente lo
considera un debito da pagare con le buone azioni.
Non accettare la condizione di debitori, necessariamente tali, perché incapaci
di rendere quanto ci è dato, è il vero peccato che ci conduce ad una vita fuori
dalla gioia e dell'amore, tutti tesi a ripagare e meritare.
A Dio, al quale tutto dobbiamo, e che tutto si dà per dono, è possibile solo corrispondere
con un amore gratuito.
Il cristiano altri non è che colui che accoglie l’amore gratuito che Dio ha nei
suoi confronti
È colui che non accampa meriti per giustificarsi, perché sa che è giusto
davanti a Dio non per la sua perfezione (che non c’è), ma per l’amore gratuito
che Dio ha per lui
La prostituta che ha molto peccato, e alla quale molto è stato perdonato, di
fronte all'immenso debito ha la consapevolezza di poter offrire solo la povertà
del suo amore.
Quest'amore per Gesù, proprio del peccatore perdonato, è il cristianesimo, la
fede cristiana che diventa vita.
Simone esprime disprezzo nei confronti della donna.
È una prostituta: dà il suo amore non gratuitamente; per averlo bisogna
pagarlo
Lui stesso poi, tratta Dio da prostituta:
pensa che Dio non ami gratuitamente; pensa che il suo amore vada meritato
e cerca di comprarlo con la sua perfezione religiosa
In sintesi il brano mette in luce i due atteggiamenti che si contrappongono alla
logica gratuita dell’amore di Dio:
la donna, la prostituta: l’amore venduto
Simone, “il cliente di Dio”: l’amore comprato
Su tutti Gesù, l’amore donato gratuitamente: il perdono!
Riappropriazione
Proponiamo una riappropriazione personale, nella quale ogni ragazzo faccia un’analisi di
verifica dei propri atteggiamenti nei confronti degli altri; sarà invitato cioè a mettere a fuoco
quando, nella sua vita:
Compra: faccio le cose, vivo le relazioni per essere apprezzato, stimato, approvato dagli altri?
Vende: faccio le cose in base al guadagno che ne ricavo?
Dopo “l’esame di coscienza”, proponiamo di leggere la riflessione “Amami come sei”.
Provare a scrivere
90
o
o
il proprio personale “Amami come sei” scritto da Gesù per te, dove vieni descritto amato
nella concretezza del tuo modo di essere
il proprio “Ti amo come sei”, scritto da te e rivolto alle persone che ti sono care
Amami così come sei
Conosco la tua miseria, le lotte e le tribolazioni della tua anima, le deficienze e le infermità
del tuo corpo; so la tua viltà, i tuoi peccati, e ti dico lo stesso: Dammi il tuo cuore, amami
come sei... Se aspetti di essere un angelo per abbandonarti all'amore, non amerai mai.
Anche se sei vile nella pratica della virtù e del dovere, se ricadi spesso in quelle colpe che
vorresti non commettere più, non ti permetto di non amarmi. Amami come sei.
In ogni istante e in qualunque situazione tu sia, nel fervore o nell'aridità, nella fedeltà o
nell'infedeltà, amami... come sei... voglio l'amore del tuo povero cuore; se aspetti di essere
perfetto, non mi amerai mai.
Non potrei forse fare di ogni granello di sabbia un serafino radioso di purezza, di nobiltà e di
amore? Non sono io l'Onnipotente? E se mi piace lasciare nel nulla quegli esseri meravigliosi
e preferire il povero amore del tuo cuore, non sono io padrone del mio amore?
Figlio mio, lascia che ti ami, voglio il tuo cuore. Certo voglio col tempo trasformarti, ma per
ora ti amo come sei... e desidero che tu faccia lo stesso; io voglio vedere dai bassifondi della
miseria salire l'amore. Amo in te anche la tua debolezza, amo l'amore dei poveri e dei
miserabili; voglio che dai cenci salga continuamente un gran grido: Gesù ti amo.
Voglio unicamente il canto del tuo cuore, non ho bisogno né della tua scienza, né del tuo
talento. Una cosa sola mi importa, di vederti lavorare con amore.
Non sono le tue virtù che desidero; se te ne dessi, sei così debole che alimenterebbero il tuo
amor proprio; non ti preoccupare di questo. Avrei potuto destinarti a grandi cose; no, sarai il
servo inutile; ti prenderò persino il poco che hai... perché ti ho creato soltanto per l'amore.
Oggi sto alla porta del tuo cuore come un mendicante, io il Re dei Re! Busso e aspetto;
affrettati ad aprirmi. Non allargare la tua miseria; se tu conoscessi perfettamente la tua
indigenza, moriresti di dolore. Ciò che mi ferirebbe il cuore sarebbe di vederti dubitare di me
e mancare di fiducia.
Voglio che tu pensi a me ogni ora del giorno e della notte; voglio che tu faccia anche l'azione
più insignificante soltanto per amore. Conto su di te per darmi gioia...
Non ti preoccupare di non possedere virtù; ti darò le mie. Quando dovrai soffrire, ti darò la
forza. Mi hai dato l'amore, ti darò di poter amare al di là di quanto puoi sognare...
Ma ricordati... Amami come sei... Ti ho dato mia Madre: fa passare, fa passare tutto dal suo
Cuore così puro. Qualunque cosa accade, non aspettare di essere santo per abbandonarti
all'amore, non mi ameresti mai... Va...
(Mons. Lebrun)
91
*C
Dicono sia vivo! Incontrare il Risorto
2.3.6
OUVERTURE
Prima lettera ai Corinzi (15, 1-22)
1 Vi rendo noto, fratelli, il vangelo che vi ho annunziato e che voi avete ricevuto, nel quale
restate saldi, 2 e dal quale anche ricevete la salvezza, se lo mantenete in quella forma in cui
ve l'ho annunziato. Altrimenti, avreste creduto invano!
3 Vi ho trasmesso dunque, anzitutto, quello che anch'io ho ricevuto: che cioè Cristo morì per i
nostri peccati secondo le Scritture, 4 fu sepolto ed è risuscitato il terzo giorno secondo le
Scritture, 5 e che apparve a Cefa e quindi ai Dodici. 6 In seguito apparve a più di cinquecento
fratelli in una sola volta: la maggior parte di essi vive ancora, mentre alcuni sono morti. 7
Inoltre apparve a Giacomo, e quindi a tutti gli apostoli. 8 Ultimo fra tutti apparve anche a me
come a un aborto. 9 Io infatti sono l'infimo degli apostoli, e non sono degno neppure di essere
chiamato apostolo, perché ho perseguitato la Chiesa di Dio. 10 Per grazia di Dio però sono
quello che sono, e la sua grazia in me non è stata vana; anzi ho faticato più di tutti loro, non io
però, ma la grazia di Dio che è con me. 11 Pertanto, sia io che loro, così predichiamo e così
avete creduto.
12 Ora, se si predica che Cristo è risuscitato dai morti, come possono dire alcuni tra voi che
non esiste risurrezione dei morti? 13 Se non esiste risurrezione dai morti, neanche Cristo è
risuscitato! 14 Ma se Cristo non è risuscitato, allora è vana la nostra predicazione ed è vana
anche la vostra fede. 15 Noi, poi, risultiamo falsi testimoni di Dio, perché contro Dio abbiamo
testimoniato che egli ha risuscitato Cristo, mentre non lo ha risuscitato, se è vero che i morti
non risorgono. 16 Se infatti i morti non risorgono, neanche Cristo è risorto; 17 ma se Cristo
non è risorto, è vana la vostra fede e voi siete ancora nei vostri peccati. 18 E anche quelli che
sono morti in Cristo sono perduti. 19 Se poi noi abbiamo avuto speranza in Cristo soltanto in
questa vita, siamo da compiangere più di tutti gli uomini.
20 Ora, invece, Cristo è risuscitato dai morti, primizia di coloro che sono morti. 21 Poiché se a
causa di un uomo venne la morte, a causa di un uomo verrà anche la risurrezione dei morti;
22 e come tutti muoiono in Adamo, così tutti riceveranno la vita in Cristo.
Si può smarrire per diversi motivi il senso di vivere o la speranza, perché spesso la vita
promette e non mantiene, delude e in ogni caso è segnata dalla morte, oppure se ne constata
che lo sforzo di liberazione è costantemente contraddetto dal peccato. Si direbbe che il male
riesca ad annullare lo stesso disegno di Dio e vanifichi ogni sforzo di liberazione dell'uomo; in
più, veniamo a contatto con una storia dominata da falsi valori e da idolatrie.
Comprendere il significato pasquale della croce vuol dire leggere con occhi nuovi e pieni di
speranza tutte le esperienze umane che costituiscono, lo si voi glia o no, la trama della nostra
vita. Gesù risorto apre l'intera umanità ad una vita nuova, che è vittoria sul peccato e
partecipazione alla vita di lui, il Figlio unigenito. Cristo risuscitato è principio e sorgente della
nostra risurrezione futura. (Catechismo dei Giovani 2, p. 172)
92
INRODUZIONE METODOLOGICA
Non è una scheda vera e propria come le altre.
È la proposta di una verifica, ma di una verifica non teorica.
È una verifica di come questo percorso abbia fatto nascere la voglia di una vita diversa!
Dopo la lettura del testo degli Atti degli apostoli, proponiamo la lettura dell’articolo di Messori
e poi una “verifica” esistenziale del percorso alla luce delle domande proposte “Se vuoi…”
Epilogo: se tu vuoi…non restare a guardare il cielo
L’avventura continua
Atti degli apostoli (1, 1-11)
1 Nel mio primo libro ho già trattato, o Teòfilo, di tutto quello che Gesù fece e insegnò dal
principio 2 fino al giorno in cui, dopo aver dato istruzioni agli apostoli che si era scelti nello
Spirito Santo, egli fu assunto in cielo.
3 Egli si mostrò ad essi vivo, dopo la sua passione, con molte prove, apparendo loro per
quaranta giorni e parlando del regno di Dio. 4 Mentre si trovava a tavola con essi, ordinò loro
di non allontanarsi da Gerusalemme, ma di attendere che si adempisse la promessa del
Padre «quella, disse, che voi avete udito da me: 5 Giovanni ha battezzato con acqua, voi
invece sarete battezzati in Spirito Santo, fra non molti giorni».
6 Così venutisi a trovare insieme gli domandarono: «Signore, è questo il tempo in cui
ricostituirai il regno di Israele?». 7 Ma egli rispose: «Non spetta a voi conoscere i tempi e i
momenti che il Padre ha riservato alla sua scelta, 8 ma avrete forza dallo Spirito Santo che
scenderà su di voi e mi sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e
fino agli estremi confini della terra».
9 Detto questo, fu elevato in alto sotto i loro occhi e una nube lo sottrasse al loro sguardo. 10
E poiché essi stavano fissando il cielo mentre egli se n'andava, ecco due uomini in bianche
vesti si presentarono a loro e dissero: 11 «Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo?
Questo Gesù, che è stato di tra voi assunto fino al cielo, tornerà un giorno allo stesso modo in
cui l'avete visto andare in cielo».
E se fosse vero che quel giorno è risorto?
Vittorio Messori - Corriere della Sera 31/03/2002
Se Cristo non è risorto, è vana la vostra fede e anche quelli che sono morti in Cristo sono
perduti. Se abbiamo avuto speranza in Lui soltanto in questa vita, noi siamo da compiangere
più di tutti gli uomini».
Così il celebre memento di Paolo alla comunità di Corinto. Non a caso la Pasqua è al centro
del calendario cristiano: tutta la fede è in bilico sul sepolcro di Gerusalemme. L'intero edificio
cristiano si affloscerebbe come le torri di Manhattan, se venissero meno le fondamenta, cioè
93
la convinzione che da quella tomba, il terzo giorno, il crocifisso è uscito, trasfigurato dalla luce
della risurrezione.
Il cristianesimo non è uno schema ideologico, indipendente dai fatti concreti. E', invece,
l'annuncio di un preciso evento storico: «Quel Gesù finito sulla croce vergognosa degli
schiavi, sepolto in una tomba prestatagli per carità, da lì è uscito, avendo vinto la morte e
mostrando così di essere il Messia annunciato dai profeti di Israele». Non a caso vangelo
significa «notizia», la «notizia buona» per eccellenza: informa, in effetti, che è avvenuto
qualcosa che ci riguarda direttamente, perché quel Risorto ci ha aperto la strada alla vita
immortale.
Da qui la forza, ma anche la vulnerabilità, del cristianesimo: dubitare della verità storica di
quel fatto significa congedarsi dalla fede. Se davvero gli storici potessero convincerci che
l'evento di Pasqua è soltanto un mito, una leggenda, un'illusione, sarebbe la fine per le
Chiese cristiane, checché ne dicano certi teologi attuali, che vorrebbero svincolare la fede dai
dati della storia. E checché ne dicano certe «sapienze» new age , interessate al cosmico e
allergiche alla cronaca.
Questa è la semplice (e, in fondo, drammatica) realtà: se il sepolcro di Giuseppe di Arimatea
è restato sigillato o si è vuotato solo perché il cadavere è stato asportato dai discepoli, il
vangelo è declassato da Parola di Dio a curiosa testimonianza della letteratura popolare
giudeo-ellenistica.
Poiché la fede non è una proposta intellettuale da esaminare con asettica oggettività, ma è
una realtà che interpella ciascuno nel profondo, occorre parlare, qui, in prima persona. Per
quanto costi, qui dire «io» è necessario. Dirò allora che, per me, sarebbe particolarmente
ipocrita fingere compassata neutralità. E' da più di trent'anni che - riflettendo sulle ragioni della
fede - altro non faccio che investigare proprio sulla verità dell'evento pasquale. Ad esso ho
dedicato alcuni grossi libri, ma ogni altra cosa che ho scritto si interrogava, in fondo, sulla
possibilità di accettare quel fondamento della fede. Oggi, nella domenica che è la madre di
ogni altra domenica, è con emozione particolare che, nel Credo , reciterò con chi mi è accanto
il versetto su cui tutto si basa: «... morì e fu sepolto e il terzo giorno è risuscitato, secondo le
Scritture».
Naturalmente non sono pochi coloro che mi chiedono come possa prendere sul serio
un'affermazione del genere un uomo che ha fatto qualche studio, che non ha dato segni
visibili di squilibrio mentale, che ha mostrato persino di non essere privo di un normale senso
critico. Non mi sorprendo. Anzi, comprendo bene una perplessità che è stata anche la mia.
Ancora adesso, non c'è messa in cui, giunti al Credo , non mi interroghi: insomma, ci credo
davvero? Ma sì, lo dico chiaro, con l'umiltà di chi sa bene di non averne alcun merito; con il
timore di chi sa di «portare tesori in vasi di creta»; con la consapevolezza dolorosa di chi
misura la distanza tra la sua fede e la sua vita. Ma sì, oserò dirlo: alla pari di chiunque si dica
cristiano, sono convinto che ciò che i vangeli riferiscono coincide con ciò che è avvenuto, che
Gesù era davvero morto e che davvero è uscito vivo dal sepolcro, passando poi quaranta
giorni con i discepoli prima di ascendere al Cielo. Sono anch'io tra gli stravaganti che
condividono una certezza che sembra ormai minoritaria: la Pasqua non commemora un mito,
ma ricorda un fatto.
Per tentare di motivare una simile convinzione, esistono, lo sanno tutti, enormi biblioteche. Ma
come rispondere a chi, brutalmente, volesse costringere a una sintesi estrema? Messo con le
spalle al muro, ciascun credente avrebbe le sue risposte. Quanto a me, azzarderei
innanzitutto la «prova della vita». All'inizio del vangelo di Giovanni, a chi gli chiede chi sia,
Gesù non annuncia un «manifesto» ideologico ma replica, pragmatico: «Venite e vedrete».
94
Come può confermare chiunque abbia accettato l'invito, andargli dietro può significare la
scoperta di una luce che riverbera significato su ogni circostanza dell'esistenza. Per questo
non c'è quotidianità di credente che non sia attraversata, almeno a lampi, dalla gioia di chi
intuisce il senso di ciò che altrimenti resta dolorosamente inesplicabile; e dalla gioia di chi
scopre di essere amato, perdonato, atteso in un'eternità che - solo che lo si voglia - può
essere infinitamente felice.
Come il moto si prova, semplicemente, camminando, la verità del vangelo la si constata,
altrettanto semplicemente, vivendolo: la profondità insondabile di un insegnamento espresso
con parole tanto elementari non ha verifica migliore di quella della vita. E' a questa «prova»
esistenziale che faceva riferimento Paolo constatando: «Io so in Chi ho creduto».
Sempre su questo piano di concretezza, non ho dimenticato quanto mi disse una volta il
cardinal Ratzinger: «Non c'è argomento apologetico più efficace della santità e dell'arte: la
bellezza delle anime e la bellezza delle cose che la fede ha plasmato, senza interruzioni, da
ormai venti secoli. Sta lì, mi creda, la forza misteriosa del Risorto».
Ma a queste che, pascalianamente, chiamerei «ragioni del cuore», aggiungerei, com'è ovvio,
quelle «ragioni della ragione» sulle quali ho appuntato soprattutto la ricerca. Come ridurre
all'osso le infinite argomentazioni che, pagina dopo pagina, ho cercato di accumulare? Potrei
ricordare che la storicità sostanziale dei testi del Nuovo Testamento sta riemergendo alla
grande, anche grazie a nuove scoperte archeologiche, dopo due secoli di critica distruttiva.
Anacronistico, oggi, è un Alfred Loisy, per il quale nulla nel vangelo era «vero» tranne le sue
note, più che un Giuseppe Ricciotti, l'abate biblista che scrisse una «vita di Gesù» per
dimostrare come quei testi reggano al martello dell'incredulità.
Potrei, come in un poliziesco anglosassone, passare in rassegna tutte le possibili risposte alla
domanda: «Se escludiamo l'ipotesi dei credenti, che cos'altro può essere successo, a
Gerusalemme, quel 9 di aprile del 793 dalla fondazione di Roma, l'anno 30 secondo il
calendario cristiano?». Potrei farlo, arrivando alla conclusione imprevista che, alla fine, la
cosa più ragionevole potrebbe essere l'accettazione di un mistero che travalica la ragione, pur
senza contraddirla.
Potrei ricordare che, a differenza di ogni altro fondatore di religione, «Gesù, dall'inizio della
storia, è annunciato o adorato»: l'anomalia del cristianesimo è, infatti, l'essere l'accettazione di
un Messia fondata sul preannuncio di quello stesso Messia. L'albero cristiano non poggia sul
vuoto, ma ha le sue profonde radici nell'antico Israele. Potrei mostrare come le stesse
traversie che marchiano la storia della Chiesa possano, paradossalmente, mostrare in
filigrana la presenza e l'assistenza dello spirito del Risorto. Potrei spingermi persino a vagliare
la straordinaria riserva di miracoloso che da sempre accompagna la marcia della fede nella
storia e che solo il pregiudizio può rifiutare a priori.
Questo potrei fare. E questo, del resto, da sempre ho cercato di fare. Senza, peraltro,
illudermi di convincere tutti. Quale che sia la quantità e la qualità delle ragioni messe in
campo, sempre il credente cozzerà contro l'incredulità. Un motivo per dubitare della forza
delle argomentazioni della fede? Al contrario, un motivo di conferma: tutti, a Gerusalemme,
hanno visto il Crocifisso, ma solo i discepoli hanno visto il Risorto.
La tutela della libertà dell'uomo è affidata al chiaroscuro in cui Gesù ha avvolto la sua
Pasqua, concedendo (per dirla con il solito Pascal) «abbastanza luce per credere», ma
lasciando «abbastanza ombra per potere dubitare». Il bagliore di oggi può illuminare la strada,
ma soltanto per chi sia disponibile a farsene guidare. Cuore del vangelo non è un autoritario
«tu devi». Bensì, un affettuoso «se tu vuoi»
95
Se tu vuoi:
o
o
o
96
Da duemila anni una speranza , quella di Gesù, abita la storia: quale speranza nuova
abita la tua vita alla luce del percorso vissuto quest’anno?
La proposta cristiana: senti che fa per te?
Cosa ha fatto maturare il cammino “Il tuo volto io cerco”?
Celebrazione
Il tuo volto, Signore, io cerco
«Non è forse Cristo il segreto della vera libertà e della gioia profonda del cuore? Non è Cristo
l’amico supremo e insieme l’educatore di ogni autentica amicizia?
Se ai giovani Cristo è presentato col suo vero volto, essi lo sentono come una risposta
convincente e sono capaci di accoglierne il messaggio, anche se esigente e segnato dalla
Croce». (Giovanni Paolo II)
P = presidente;
1G-2G-3G = guide
1L-2L-3L = lettori
T = tutti
1G. Per essere maggiormente consapevoli di stare alla presenza del Signore, ci raccogliamo,
allontanando dalla mente ciò che ci distrae, chiudiamo gli occhi, restiamo in silenzio,
regoliamo il nostro respiro…
Nel nome del Padre…
P.
Invochiamo ora lo Spirito Santo, affinché ci conceda di aprirci e abbandonarci alla
profondità del mistero di Cristo, alla contemplazione del suo Volto Santo e Glorioso: «saremo
simili a Lui perché lo vedremo così come Egli è » (1Gv 3, 2).
Canto:
Spirito di Dio
Durante il canto di invocazione dello Spirito Santo viene accesa una lampada e posto accanto
un Vangelo e un foglio con la scritta: «Lampada ai miei passi è la tua Parola».
Preghiamo
P. Insegnaci, Signore, a cercarti e mostrati quando ti cerchiamo. Non possiamo cercarti se tu
non ce lo insegni, né trovarti se non ti mostri. Che ognuno di noi ti cerchi desiderandoti e ti
desideri cercandoti; che ti trovi amandoti e ti ami trovandoti.
97
Primo momento
Il volto cercato
Dal Libro dell’Esodo (33, 18-23)
P. Mosè disse al Signore Dio: «Mostrami la tua Gloria!». Rispose: «Farò passare davanti a te
tutto il mio splendore e proclamerò il mio nome: Signore, davanti a te. Farò grazia a chi vorrò
far grazia e avrò misericordia di chi vorrò aver misericordia». Soggiunse: «Ma tu non potrai
vedere il mio volto, perché nessun uomo può vedermi e restare vivo». Aggiunse il Signore:
«Ecco un luogo vicino a me. Tu starai sopra la rupe: quando passerà la mia Gloria, io ti porrò
nella cavità della rupe e ti coprirò con la mano finché sarò passato. Poi toglierò la mano e
vedrai le mie spalle, ma il mio volto non lo si può vedere».
Dal Salmo 27
1L. Il Signore è mia luce e mia salvezza, di chi avrò paura? * Il Signore è difesa della mia
vita, di chi avrò timore?
2L. Quando mi assalgono i malvagi per straziarmi la carne, * sono essi, avversari e nemici, a
inciampare e cadere.
1L. Se contro di me si accampa un esercito, il mio cuore non teme; * se contro di me divampa
la battaglia, anche allora ho fiducia.
2L. Una cosa ho chiesto al Signore, questa sola io cerco: * abitare nella casa del Signore tutti
i giorni della mia vita, * per gustare la dolcezza del Signore ed ammirare il suo santuario.
1L. Egli mi offre un luogo di rifugio nel giorno della sventura. * Mi nasconde nel segreto della
sua dimora, mi solleva sulla rupe.
2L. E ora rialzo la testa sui nemici che mi circondano; * immolerò nella sua casa sacrifici
d’esultanza, inni di gioia canterò al Signore.
1L. Ascolta, Signore, la mia voce. * Io grido: abbi pietà di me! Rispondimi.
Di te ha detto il mio cuore: «Cercate il suo volto»; * il tuo volto, Signore, io cerco.
2L. Non nascondermi il tuo volto, non respingere con ira il tuo servo. * Sei tu il mio aiuto, non
lasciarmi, non abbandonarmi, Dio della mia salvezza.
1L. Mio padre e mia madre mi hanno abbandonato, * ma il Signore mi ha raccolto.
Mostrami, Signore, la tua via, * guidami sul retto cammino, a causa dei miei nemici.
2L. Non espormi alla brama dei miei avversari; * contro di me sono insorti falsi testimoni che
spirano violenza.
1L. Sono certo di contemplare la bontà del Signore * nella terra dei viventi.
Spera nel Signore, sii forte, * si rinfranchi il tuo cuore e spera nel Signore.
98
Un giovane scopre il dipinto di Gesù
1G
Cristo apre gli occhi e cerca il tuo volto per fissarti, amarti…
Momento di preghiera silenziosa
Ti cerco Signore tutte quelle volte che...
Preghiera responsoriale
1G
Preghiamo assieme e diciamo:
Ti preghiamo, o Signore.
– Volgi lo sguardo al nostro cuore poiché nelle tue mani è la nostra vita.
– Alimenta in noi il desiderio di cercare la tua presenza divina e salvifica.
– Dacci occhi di fede, un cuore ricco di speranza che trovi in te rifugio e attinga da te la forza.
– Aiutaci a comprendere la nuova aurora che sorge dalla luce del tuo Volto Santo e Glorioso.
99
Secondo momento
Il volto trovato
Canto
Dal Cantico dei cantici (5, 2-6, 3)
2G
Io dormo, ma il mio cuore veglia.
Un rumore! È il mio diletto che bussa: «Aprimi, sorella mia, mia amica, mia colomba, perfetta
mia; perché il mio capo è bagnato di rugiada, i miei riccioli di gocce notturne».
«Mi sono tolta la veste; come indossarla ancora? Mi sono lavata i piedi; come ancora
sporcarli?».
Il mio diletto ha messo la mano nello spiraglio e un fremito mi ha sconvolta.
Mi sono alzata per aprire al mio diletto e le mie mani stillavano mirra, fluiva mirra dalle mie
dita sulla maniglia del chiavistello.
Ho aperto allora al mio diletto, ma il mio diletto già se n’era andato, era scomparso.
Io venni meno, per la sua scomparsa. L’ho cercato, ma non l’ho trovato, l’ho chiamato, ma
non m’ha risposto.
Mi han trovato le guardie che perlustrano la città; mi han percosso, mi hanno ferito, mi han
tolto il mantello le guardie delle mura.
Io vi scongiuro, figlie di Gerusalemme, se trovate il mio diletto, che cosa gli racconterete? Che
sono malata d’amore!
T
Che ha il tuo diletto di diverso da un altro, o tu, la più bella fra le donne? Che ha il tuo
diletto di diverso da un altro, perché così ci scongiuri?
2G
Il mio diletto è bianco e vermiglio, riconoscibile fra mille e mille.
Il suo capo è oro, oro puro, i suoi riccioli grappoli di palma, neri come il corvo. I suoi occhi,
come colombe su ruscelli di acqua; i suoi denti bagnati nel latte, posti in un castone. Le sue
guance, come aiuole di balsamo, aiuole di erbe profumate; le sue labbra sono gigli, che
stillano fluida mirra. Le sue mani sono anelli d’oro, incastonati di gemme di Tarsis. Il suo petto
è tutto d’avorio, tempestato di zaffiri. Le sue gambe, colonne di alabastro, posate su basi
d’oro puro. Il suo aspetto è quello del Libano, magnifico come i cedri. Dolcezza è il suo palato;
egli è tutto delizie!
Questo è il mio diletto, questo è il mio amico, o figlie di Gerusalemme.
T Dov’è andato il tuo diletto, o bella fra le donne? Dove si è recato il tuo diletto, perché noi lo
possiamo cercare con te?
2G
Il mio diletto era sceso nel suo giardino fra le aiuole del balsamo a pascolare il gregge nei
giardini e a cogliere gigli.
Io sono per il mio diletto e il mio diletto è per me.
Un giovane porta una pianta di fiori ai piedi dell’immagine di Gesù.
100
Dal Vangelo di Giovanni (1, 35-39)
P
Il giorno dopo Giovanni stava ancora là con due dei suoi discepoli e, fissando lo sguardo
su Gesù che passava, disse: «Ecco l’agnello di Dio!». E i due discepoli, sentendolo parlare
così, seguirono Gesù. Gesù allora si voltò e, vedendo che lo seguivano, disse: «Che
cercate?». Gli risposero: «Rabbì (che significa maestro), dove abiti?». Disse loro: «Venite e
vedrete». Andarono dunque e videro dove abitava e quel giorno si fermarono presso di lui;
erano circa le quattro del pomeriggio.
1G
L’incontro: Gesù ci invita a stare presso di Lui.
Breve riflessione seguita da un momento di preghiera silenziosa
Canto:
Jesus Christ you are my life
Preghiera responsoriale
1G
Preghiamo assieme e diciamo:
Ti ringraziamo, o Signore.
– Per tutte le volte che con il tuo sguardo misericordioso spezzi i nostri peccati e ci rendi nuovi
in Te e liberi all’amore.
– Per quando, come Francesco, ci inondi della dolce tua presenza e ti degni di visitare la
nostra anima ricolmandola del tuo amore divino.
– Perché ci hai rivelato il mistero del tuo essere vero Dio e vero Uomo e ci riveli il Volto del
Padre.
– Perché ogni uomo, nonostante il peccato, può rivelarci il tuo volto.
101
Terzo momento
Il volto umano
Canto
Dalla Lettera agli Ebrei (4, 14-16)
3G
14 Poiché dunque abbiamo un grande sommo sacerdote, che ha attraversato i cieli,
Gesù, Figlio di Dio, manteniamo ferma la professione della nostra fede. 15 Infatti non
abbiamo un sommo sacerdote che non sappia compatire le nostre infermità, essendo stato
lui stesso provato in ogni cosa, a somiglianza di noi, escluso il peccato.
Vengono lette alcune frasi tratte dai brani di Vangelo che hanno accompagnato gli incontri
sull’umanità di Gesù; ogni frase è accompagnata da un breve commento e da un segno
posto sull’altare.
“Troverete un bambino avvolto in fasce e deposto in una mangiatoia”
OGGETTO: un fiocco azzurro
COMMENTO: Il fiocco azzurro è segno di una vita che nasce, un’attesa carica di
aspettative e grandi progetti.
“e veniva portato dallo Spirito nel deserto
e tentato per quaranta giorni dal diavolo”
OGGETTO: un vaso di terra secca
COMMENTO: la terra secca rappresenta i nostri deserti, momenti in cui a causa di
errori o scelte sbagliate ci troviamo soli e assetati; quindi più vulnerabili.
“Fu invitato alle nozze anche Gesù con i suoi discepoli”
OGGETTO: un regalo, una bottiglia di vino
COMMENTO: il vino e un dono sono segni di amicizia e di festa.
“Gesù scoppiò in pianto”
OGGETTO: foto
COMMENTO: la foto rappresenta il ricordo di un dolore, di una perdita difficile da
accettare e da capire.
“Perché mi cercavate?
Non sapevate che è necessario che io sia nelle cose di mio Padre”
OGGETTO: atlante stradale
COMMENTO: l’atlante è segno della volontà di ciascuno di cercare e seguire la
propria strada.
Breve riflessione seguita da un momento di preghiera silenziosa
102
Momento personale
Viene consegnato ad ogni ragazzo il cartoncino dove, nella parte bianca, vengono annotati
alcuni aspetti del proprio essere in cui si riscopre un po’ dell’umanità di Gesù. Anche lui come
noi è stato atteso, ha gioito, sofferto e ha cercato la propria strada.
Alcuni spunti per la riflessione personale:
o
o
o
Ripensando agli ultimi incontri di gruppo, quali sono le caratteristiche di Gesù che ritrovo
anche nel mio vissuto?
Questo Gesù mi risulta così estraneo come spesso si tende a pensare o alla fine posso
considerarlo come una persona che magari in tempi e modi diversi ha vissuto le mie
stesse emozioni, difficoltà, esperienze, ecc?
Guardandomi allo specchio forse qualcosa di me non mi piace molto…posso trovare in
Gesù un esempio ed uno spunto per migliorarmi e crescere?
I ragazzi, terminato questo momento personale, consegnano all’animatore il proprio
cartoncino dove sono state scritte le proprie riflessioni; l’animatore unirà i cartoncini dal lato
opposto (precedentemente numerati!!), in modo tale da far emergere l’immagine del volto di
Gesù. Con questo segno deve emergere come nelle nostre umanità ritroviamo un po’ di
Gesù (anche materialmente si può notare questo passaggio: ogni cartoncino è solo una parte
dell’immagine di Gesù!). Solo facendo comunità, facendo chiesa è possibile scoprirne la
totalità.
Preghiera da recitare insieme terminato il puzzle:
Sei tu l’immagine di Dio, opera originale, unica, irripetibile!
Creato diverso dagli altri.
Pezzo unico, firmato, col Suo marchio impresso sul tuo volto.
Immagine d'arte, vivente, pronto a ricevere e donare amore.
Lo specchio sei tu, il Volto che si intravede è il Suo,
se noi non lo offuschiamo.
Il suo amore ci ha posti nel mondo,
per mostrare a tutti il Suo volto accogliente.
Ricevere e donare, accogliere e mostrare agli altri
la Sua immagine: questo il nostro compito.
Il tuo volto, la tua storia, volto che racconta di te:
gli anni trascorsi, l’amore ricevuto…
i volti cari, delle persone che sempre ti accompagnano,
volti che esprimono vita e dono.
103
Quarto momento
Il volto di Gesu, nel volto di ogni uomo
Dal Vangelo di Matteo (25, 31-40)
P
Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria con tutti i suoi angeli, si siederà sul trono
della sua gloria. E saranno riunite davanti a lui tutte le genti, ed egli separerà gli uni dagli altri,
come il pastore separa le pecore dai capri, e porrà le pecore alla sua destra e i capri alla
sinistra.
Allora il re dirà a quelli che stanno alla sua destra: Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in
eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo. Perché io ho avuto fame e
mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete
ospitato, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a
trovarmi.
Allora i giusti gli risponderanno: Signore, quando mai ti abbiamo veduto affamato e ti abbiamo
dato da mangiare, assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando ti abbiamo visto forestiero e ti
abbiamo ospitato, o nudo e ti abbiamo vestito? E quando ti abbiamo visto ammalato o in
carcere e siamo venuti a visitarti?
Rispondendo, il re dirà loro: In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo
di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me.
Un giovane porta un grembiule ai piedi di Gesù.
Dagli scritti di Santa Chiara
3L E poiché questa visione di lui è splendore dell’eterna gloria, chiarore della luce perenne e
specchio senza macchia, ogni giorno porta l’anima tua, o regina, sposa di Gesù Cristo, in
questo specchio e scruta in esso continuamente il tuo volto, perché tu possa così adornarti
tutta all’interno e all’esterno, vestita e circondata di varietà, e sii parimenti adorna con i fiori e
sposa carissima del sommo Re.
In questo specchio, poi rifulgono la beata povertà, la santa umiltà e l’ineffabile carità; e questo
tu potrai contemplare, con la grazia di Dio, diffuso su tutta la superficie dello specchio. Mira, in
alto, la povertà di Colui che fu deposto nel presepe e avvolto in poveri pannicelli. O mirabile
umiltà e povertà che dà stupore! II Re degli angeli, il Signore del cielo e della terra, è adagiato
in una mangiatoia!
Vedi poi, al centro dello specchio, la santa umiltà, e insieme ancora la beata povertà, le
fatiche e pene senza numero ch’Egli sostenne per la redenzione del genere umano.
E, in basso, contempla l’ineffabile carità per la quale volle patire sul legno della croce e su di
essa morire della morte più infamante. Perciò è lo stesso specchio che, dall’alto del legno
della croce, rivolge ai passanti la sua voce perché si fermino a meditare: o voi tutti, che sulla
strada passate, fermatevi a vedere se esiste un dolore simile al mio; e rispondiamo, dico a Lui
che chiama e geme, ad una voce e con un solo cuore: non mi abbandonerà mai il ricordo di te
e si struggerà in me l’anima mia.
104
1G
Dio può tutto ma sceglie di servirsi delle tue mani per lavorare nel mondo. Cristo
cammina sulle strade di oggi a fianco dei suoi discepoli e si manifesta attraverso di loro agli
uomini.
Breve riflessione seguita da un momento di preghiera silenziosa
Preghiera responsoriale
1G
Preghiamo assieme e diciamo:
Perdonaci, o Signore.
– Per avere tante volte considerato l’uomo, fatto a tua immagine e somiglianza, solo nel suo
aspetto di utilità, di bellezza, di capacità.
– Per non esserci chinati verso chi giace in necessità fisiche e spirituali, per non aver
riconosciuto il tuo volto nei nostri fratelli sofferenti ed emarginati.
– Donaci il coraggio di andare tra i “lebbrosi” del nostro tempo e di usare con essi misericordia
affinché ogni uomo possa avere la gioia di sentirsi amato.
Conclusione
Viene consegnato ad ogni ragazzo uno specchietto, con dietro attaccata una preghiera
Suggeriamo questa:
Dove sei?
Dove sei? Non vedo il Tuo volto.
Eppure ci sei.
I Tuoi raggi rimbalzano in mille direzioni.
Sei la Presenza nascosta.
Tu mi penetri, mi avvolgi, mi ami.
Fa' di me una viva trasparenza
del Tuo essere e del Tuo amore.
(Ignacio Larranaga)
105
Il parroco o chi guida la veglia augura a ciascuno di saper trovare sempre tempo per
guardarsi dentro e alla luce della parola di Dio saper ritrovare o scoprire in noi un po’
dell’umanità di Gesù.
Padre nostro
Preghiamo
O santissimo Padre nostro, si faccia luminosa in noi la conoscenza di te, affinché possiamo
conoscere l’ampiezza dei tuoi benefici, l’estensione delle tue promesse, la sublimità della tua
maestà e la profondità dei tuoi giudizi, perché tu regni in noi per mezzo della grazia e ci faccia
giungere nel tuo regno, ove la visione di te è senza veli, l’amore di te è perfetto, la comunione
di te è beata, il godimento di te senza fine. Per Cristo nostro Signore.
Benedizione
106
INDICE
Il tuo volto io cerco
venite e vedrete! Incontrare gesu’,
diventare dei suoi! 2.3
Pag.
o
Introduzione
05
Scheda 1: Un tipo così 2.3.1
A. Nascita e infanzia
B. Tentazioni
C. I sentimenti
D. La vocazione
08
12
14
16
18
Scheda 2: Con un suo segreto 2.3.2
A. Un padre che ti vuole…te stesso!
B. Un padre che da tutto…a tutti!
C. Un padre che ha sempre fiducia
20
23
30
36
Scheda 3: Con le sue idee: il senso della vita 2.3.3
A. Gratis, ma senza sconti
B. Cercare l’essenziale
C. Fidarsi di chi?
41
43
48
54
Scheda 4: Con un suo stile: in concreto 2.3.4
A. Senza tanti giri di parole
B. La forza della non-violenza
C. L’isola dei “vergognosi”
61
63
66
69
Scheda 5: Mi ha cambiato la vita: incontri con Gesù 2.3.5
A. Bartimeo: vedere la luce
B. Zaccheo: La fede che si apre alla solidarietà
C. La peccatrice perdonata: ti amo come sei
72
74
80
87
Scheda 6: Dicono sia vivo! Incontrare il risorto 2.3.6
o Epilogo: non restare a guardare il cielo
92
93
Celebrazione
97
I film indicati li potrete trovare, con la forma del prestito gratuito, presso il Centro di Pastorale
Giovanile a Settimo di Pescantina (Vr) o presso la Domus Pacis a Legnago (Vr)
107
Appunti:
108
109
110
111
112
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