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La responsabilità del consulente nella disciplina di diritto tributario

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La responsabilità del consulente nella disciplina di diritto tributario
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Diritto tributario italiano
La responsabilità del consulente nella disciplina
di diritto tributario italiano
Fabio D’Aula
Avvocato, Studio Monti in Milano
La giurisprudenza prevalente nella commissione di illeciti amministrativi e penali da parte del consulente
fiscale
1.
La responsabilità amministrativa del consulente
tributario
Nel rapporto tributario tra Fisco e contribuente italiano ha assunto, negli anni, una centralità via via maggiore il ruolo del
consulente che può essere coinvolto in responsabilità, tanto di
tipo amministrativo (in presenza di violazioni di norme tributarie), quanto di tipo penale (in presenza di illeciti penalmente
rilevanti, derivanti dalla violazione di norme penali-tributarie).
Quanto alla responsabilità amministrativa tributaria, le linee
guida, com’è noto, sono contenute nel Decreto Legislativo (di
seguito D.Lgs.) n. 472/1997 che mutua dal diritto penale alcuni principi cardine, tra i quali quelli di legalità, di imputabilità
e di colpevolezza. Ai sensi del richiamato D.Lgs. n. 472/1997
– ed, in particolare, degli articoli 2 comma 2[1] , 5 comma 1
(colpevolezza)[2] e 9 (concorso di persone)[3] – il consulente
tributario, inteso in senso lato (commercialista, consulente del
lavoro, eccetera), è direttamente responsabile delle violazioni
amministrative tributarie che ha posto in essere nell’ambito
della sua prestazione professionale, in ragione di una partecipazione dolosa o colposa al fatto.
Conseguenza della responsabilità del consulente è il suo coinvolgimento nell’irrogazione delle sanzioni amministrative, delle quali può essere chiamato a rispondere in concorso con il
contribuente o, finanche, in via esclusiva, al suo posto.
La disciplina della responsabilità amministrativa viene, peraltro,
completata dall’articolo 7 del Decreto Legge (di seguito D.L.) n.
269/2003[4] che introduce un vero e proprio “doppio binario” nel
regime sanzionatorio, dal momento che, con riferimento ai soggetti dotati di personalità giuridica, delinea una responsabilità
autonoma ed esclusiva in capo alla persona giuridica, per tutte
le violazioni amministrative tributarie, mentre viene esclusa, attraverso un’espressa eccezione, la responsabilità di coloro i quali
abbiano agito per conto dell’ente-persona giuridica.
Angela Monti
Avvocato tributarista in Milano e in Lugano
Presidente della Camera tributaria degli avvocati
tributaristi di Milano
Membro del Consiglio per il diritto dell’impresa
presso Assolombarda
Per effetto di tale disposizione, dunque, la responsabilità per
le sanzioni non si dovrebbe estendere alla persona fisica che
l’ha causata. Sul punto, in realtà, si discute se sia preferibile
un’interpretazione restrittiva della norma, seguita da qualche Ufficio dell’Agenzia delle Entrate e da qualche Commissione Tributaria: secondo tale interpretazione, si ritiene
doversi distinguere tra il dipendente della persona giuridica,
che non può essere responsabile ai sensi dell’anzidetta disposizione, ed il consulente che, invece, può essere chiamato
a risponderne.
Tra le poche sentenze che si riscontrano nella materia, vi è la
Commissione Tributaria Provinciale di Reggio Emilia, n. 136
del 2012, chiamata a pronunciarsi su un caso in cui l’Agenzia
delle Entrate aveva ritenuto responsabile delle sanzioni amministrative, in concorso con una società di capitali, il consulente della stessa, assumendo che questi ne fosse stato il
“suggeritore”. La Commissione Tributaria Provinciale ha ritenuto rilevante che il predetto non ne fosse stato, in realtà, il vero
ideatore, ma si fosse limitato a suggerire un modello di operazione finanziaria (e, nel caso di specie, un’operazione di stock
lending) ideato da altri. Con tale motivazione, i giudici hanno
ritenuto di escludere in capo al consulente l’elemento soggettivo del dolo o della colpa grave. In realtà, in ogni caso, i giudici
hanno ritenuto che la ratio dell’articolo 7 D.L. n. 269/2003 sia
quella di escludere la responsabilità della persona fisica, ove
questa non abbia tratto benefici economici diretti dalla violazione; conseguentemente, non avendo riscontrato, nel caso di
specie, per il professionista, un vantaggio economico strettamente collegato all’imposta evasa, hanno ritenuto che questi
non potesse essere chiamato in concorso nella violazione.
Sempre sull’applicazione dell’articolo 7 e sulla sua ratio, si registrano le recenti sentenze (n. 4, 5, 6 e 7) della Commissione Tributaria Regionale di Bologna, sezione 9, depositate il 23
gennaio 2013 che ritornano sul tema dell’applicabilità della
disposizione, a proposito di violazioni commesse da società
di capitali. La vicenda da cui sono scaturite le sentenze della Commissione Tributaria Regionale di Bologna riguarda un
caso in cui sono state irrogate sanzioni ad alcuni consulenti e
rappresentanti legali di società che, secondo la tesi dell’Agenzia delle Entrate, avevano indotto altre imprese ad acquistare
Novità fiscali / n.6 / giugno 2014
pacchetti finanziari per finalità meramente elusive: i relativi
costi venivano, quindi, successivamente disconosciuti dall’Amministrazione finanziaria e ripresi a tassazione.
Nel caso de quo, secondo la tesi dell’Agenzia delle Entrate – che
ad avviso di chi scrive appare preferibile – la norma del 2003
non si estendeva alle persone fisiche esterne (e, cioè, nel caso
di specie, ai professionisti) degli enti con personalità giuridica,
ma solo a quelle interne (ad esempio manager e dipendenti),
sulla base del principio del concorso. Di diverso avviso, invece,
la Commissione Tributaria Regionale secondo la quale l’istituto
del concorso, previsto dal D.Lgs. n. 472/1997, nel caso di specie trova un limite preciso nel disposto dell’articolo 7, in base
al quale le sanzioni amministrative relative al rapporto fiscale
proprio di società con personalità giuridica sono esclusivamente a carico della persona giuridica. Da qui l’esclusione di tutte le
persone fisiche (compresi i professionisti), soprattutto allorché
non sia dimostrato che abbiano tratto specifici benefici dalla
violazione commessa dalla società.
Ad avviso di chi scrive, la tesi della responsabilità del consulente della società con personalità giuridica – forse non ancora
pienamente scandagliato dalla giurisprudenza – a prescindere
dall’articolo 7 D.L. n. 269/2003, non sfugge al principio di responsabilità di cui all’articolo 5, comma 1 D.Lgs. n. 472/1997[5]
e, cioè, alla responsabilità personale del consulente che, nello svolgimento della propria attività di consulenza tributaria comportante la soluzione di problematiche di particolare
complessità, abbia tenuto una condotta connotata da dolo o
colpa grave. Invece, è sufficiente la colpa al fine di fondare un
giudizio di responsabilità in riferimento all’esecuzione di “obblighi materiali”.
2.
La responsabilità penale del consulente tributario:
il concorso nella sottrazione fraudolenta al pagamento
delle imposte
Giungendo al tema delle sanzioni penali-tributarie e della relativa responsabilità del contribuente e del concorrente (ed, in primis,
dei consulenti) si osserva che questa è ben più frequente rispetto alla responsabilità amministrativa, tanto nella giurisprudenza
dei Giudici di merito, quanto in quella della Suprema Corte.
La disciplina dei reati penali-tributari è contenuta nel D.Lgs.
n. 74/2000. Le fattispecie di reato disciplinate dall’anzidetto
D.Lgs. devono essere assistite da dolo specifico. Ne consegue
che il concorso nel reato si verifica solo in presenza del medesimo status psicologico da parte del concorrente e che non
è possibile ipotizzare un concorso colposo nei reati tributari.
Fra le varie ipotesi di reato contenute nel D.Lgs. n. 74/2000,
appare interessante soffermarsi sulla fattispecie di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte di cui all’articolo
11 che risulta particolarmente insidiosa per i terzi concorrenti
ed, in particolare, per il consulente. La norma – che è andata
a sostituire l’abrogato articolo 97 del Decreto del Presidente
della Repubblica (di seguito D.P.R.) n. 602/1973, tradizionalmente conosciuto con la denominazione di “frode nell’esecuzione esattoriale” – mira ad evitare la sottrazione al pagamento di
imposte sui redditi o sul valore aggiunto – e relativi interessi e
sanzioni – mediante alienazione simulata o altri atti fraudolenti sui propri o su altrui beni, allorché tali atti siano idonei a
rendere in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione coattiva. Si tratta di una fattispecie di reato commissivo la
cui condotta può consistere in atti di simulazione soggettiva
– tra i quali, tipicamente, l’interposizione fittizia – o in altri atti
fraudolenti. Con elencazione meramente esemplificativa, si ritiene che questi ultimi possano essere rappresentati da simulazioni oggettive, concretizzati in contratti di affitto di azienda
o di cessione di crediti o di trasformazione, fusioni, scissioni o
scioglimento della società, atti di riconoscimento di passività
inesistenti, intestazione fiduciaria di beni con potere di amministrarli ed obbligo di restituirli dopo il conseguimento dello
scopo, donazioni, ma anche dalla costituzione di un fondo patrimoniale[6] o – come potrà interessare anche il consulente
svizzero – dalla istituzione di un trust[7].
2.1.
Gli “atti fraudolenti”
Una certa complessità sussiste nell’identificare gli “atti fraudolenti” richiesti dalla norma per integrare il reato. Si è opportunamente osservato che l’atto fraudolento non trova una vera
e propria definizione nel nostro ordinamento. Appare tale,
quindi, ogni atto assistito dal “consilium fraudis” del soggetto
agente, intendendosi per tale non già una specifica intenzione
di nuocere alle ragioni creditorie, bensì una situazione di semplice conoscenza (ovvero addirittura di conoscibilità, secondo
il parametro della media diligenza) del pregiudizio che l’atto è
in grado di produrre alla garanzia del credito[8].
È utile, in tal senso, considerare che l’articolo 1344 del Codice
civile (di seguito CC) utilizza la categoria del “contratto in frode alla legge” per sanzionare di illiceità la causa del contratto,
quando costituisca il mezzo per eludere l’applicazione di una
norma imperativa e che il “consilium fraudis” è presupposto dagli articoli 2901 e seguenti CC in tema di azione revocatoria
a garanzia della tutela del credito contro atti posti in essere
allo scopo di pregiudicare le ragioni creditorie di terzi e, principalmente, a tutela della conservazione della generica garanzia
patrimoniale sui beni del debitore.
In definitiva, “con gli atti fraudolenti, diversamente dagli atti simulati, le parti intendono effettivamente conseguire gli effetti prodotti dall’atto stesso e, questi effetti, sono voluti per eludere precetti
imperativi ovvero per ledere diritti o aspettative o, più in generale,
posizioni soggettive di terzi soggetti”[9].
2.2.
Il regime sanzionatorio
Venendo al regime sanzionatorio dell’articolo 11 D.Lgs. n.
74/2000, la norma prevede che l’autore della condotta sia
soggetto alla pena della reclusione da sei mesi a quattro
anni[10]. La soglia perché la condotta integri il reato è stabilita in un ammontare superiore a 50’000 euro, come previsto
dalla modifica apportata dall’articolo 28, comma 4 del D.L. n.
78/2010 che ha abbassato la soglia di punibilità, prima fissata
in 51’645.69 euro. Tale intervento di riforma ha altresì inasprito la fattispecie prevedendo un aumento della pena qualora
la somma che il contribuente intenda sottrarre sia superiore
a 200’000 euro ed introducendo un’ulteriore fattispecie in-
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criminatrice, relativa alla sottrazione fraudolenta di materia
imponibile nel corso di una transazione fiscale[11]. Sempre a
seguito delle modifiche intervenute nel 2010, è stato eliminato l’inciso iniziale della disposizione “salvo che il fatto costituisca
più grave reato”. Conseguentemente, si ritiene che oggi il reato
di sottrazione fraudolenta possa concorrere con la più grave
fattispecie di bancarotta fraudolenta patrimoniale, prevista
dall’articolo 216, comma 1, n. 1[12].
2.3.
La struttura del reato e il momento consumativo
Con riferimento alla struttura del reato, è comunemente riconosciuto che l’articolo 11 D.Lgs. n. 74/2000 è un reato di pericolo. Prevede, cioè, una tutela penale anticipata, giustificata
dalla particolare insidiosità a fini penali del comportamento del
contribuente che, per evitare di pagare i propri debiti tributari,
ricorre a strumenti fraudolenti, volti a realizzare una situazione di apparente insolvibilità. Proprio nella natura di reato “di
pericolo” e non “di danno” consiste la particolare insidiosità della
fattispecie che – a differenza del richiamato articolo 97, comma 6 D.P.R. n. 602/1973, che perseguiva il contribuente che
poneva in essere atti fraudolenti in grado di rendere inefficace
l’esecuzione esattoriale, a seguito del compimento da parte
dell’Amministrazione finanziaria di atti ispettivi di controllo
(accessi, ispezioni, verifiche), di atti endoprocedimentali (inviti)
o di provvedimenti terminali di procedimenti amministrativi
(avvisi di accertamento o iscrizioni a ruolo) – non richiede che
sia stata avviata l’esecuzione esattoriale[13]. Questa, infatti,
non costituisce un presupposto della condotta tipica, ma solo
un’evenienza futura che la condotta tende a vanificare, in tutto o in parte.
Il momento consumativo del reato è conseguentemente quello
di compimento degli atti fraudolenti o simulati e l’idoneità di
tali azioni va quindi valutata, secondo i canoni interpretativi del
cosiddetto “giudizio di prognosi postuma”, riportandosi al momento in cui la condotta è stata realizzata e tenendo conto di tutte
le circostanze che in quel determinato momento, in concreto,
erano conosciute o conoscibili dall’autore della violazione.
Tutti gli elementi sopra delineati portano a ritenere che la norma abbia una portata particolarmente ampia, interessando potenzialmente – come si vedrà nell’esame della giurisprudenza
consolidatasi in proposito – un rilevante numero di condotte.
Ciò nonostante, nel corso dell’anno 2012, in tutta la Lombardia, si è verificata una sola denuncia per il reato di sottrazione fraudolenta. Così, all’inizio del 2013, la Direzione Regionale
dell’Agenzia delle Entrate della Lombardia ha richiesto, con
una nota indirizzata alle Direzioni provinciali, una maggiore
attenzione al verificarsi di tali ipotesi delittuose e, in particolare, a quelle poste in essere per il tramite di negozi simulati.
Conseguentemente, sebbene la fattispecie di cui all’articolo 11
D.Lgs. n. 74/2000 sia un reato “proprio” ascrivibile al “soggetto contribuente”, particolare attenzione dovrà essere posta dai
consulenti ove si consideri che colui il quale partecipa all’ideazione o offre un contributo causale alla commissione del reato
sarà punibile secondo le norme sul concorso nel reato, formale
o materiale, purché fosse a conoscenza della finalità fraudolenta perseguita dall’autore del reato.
2.4.
Alcune ipotesi particolari di “sottrazione fraudolenta”:
dalle cessioni o ristrutturazioni aziendali, al fondo patrimoniale, al trust
Prima di esaminare le diverse condotte che, in sede giurisprudenziale, sono state ritenute tali da integrare il reato, vale la pena
evidenziare che la surrichiamata nota della Direzione Regionale
dell’Agenzia delle Entrate della Lombardia ha precisato che il delitto può essere integrato anche attraverso l’abuso di strumenti
assolutamente leciti, come le cessioni aziendali, le scissioni societarie simulate o le ristrutturazioni aziendali – ed a tal proposito cita la sentenza della Corte di Cassazione n. 19595/2011[14]
– oppure, come indicato dalla Circolare n. 21/E/2011, attraverso
il fittizio trasferimento della sede all’estero.
Anche la costituzione di un fondo patrimoniale è stata, in diversi casi, ritenuta un’ipotesi di sottrazione fraudolenta[15] ,
tant’è che il problema di non incorrere nel reato a titolo di concorso è stato argomento di approfondimento anche nell'ambito del Notariato[16].
Analogamente al fondo patrimoniale, come già accennato, si ritiene comunemente che l’istituzione di un trust possa costituire
un atto simulato o fraudolento idoneo ad integrare i presupposti
dell’articolo 11 D.Lgs. n. 74/2000[17]. Il che non può che indurre a suggerire una particolare cautela ed attenzione anche nei
confronti del consulente estero che suggerisce tale strumento,
per finalità che possano in qualche modo apparire fraudolente
nelle ragioni dell’Amministrazione finanziaria italiana.
In ogni caso – come è stato opportunamente evidenziato
– “bisogna rilevare che, trattandosi di reato a dolo specifico, ai fini
dell’integrazione dell’ipotesi delittuosa, sarebbe comunque necessario
dimostrare, oltre ogni ragionevole dubbio, che il trust sia stato costituito al solo fine di eludere la pretesa erariale e non sia sorretto, dunque, da ulteriori e prevalenti interessi legittimi, anche se vi è il fondato
rischio che, nella prassi applicativa, com’è accaduto nel tema assai
simile della costituzione di un fondo patrimoniale, venga legittimata
un’inversione dell’onere probatorio a carico del contribuente, chiamato
a fornire una lecita e valida giustificazione del negozio giuridico”[18].
2.5.
La giurisprudenza della Suprema Corte a proposito
dell’articolo 11 D.Lgs. n. 74/2000
La copiosa giurisprudenza relativa all’articolo 11 D.Lgs. n.
74/2000 presenta interessanti spunti circa la condotta materiale idonea ad integrare il reato e gli altri presupposti.
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Già nelle prime pronunce la Suprema Corte (Cassazione Penale del 18 aprile 2001, n. 15864) si è espressa nel senso di
escludere che, al fine dell’integrazione del reato di cui all’articolo 11, la sussistenza di una procedura di riscossione in atto
sia un presupposto necessario. A tale iniziale orientamento, ha
fatto seguito, con la sentenza del 9 marzo 2005, n. 9251, Sez.
VI Penale della Cassazione – poi seguita dalla Cassazione, Sez.
II Penale, n. 7600 del 9 febbraio 2006 – una posizione molto
meno rigorosa. In occasione di tali pronunce la Suprema Corte
ha, infatti, ritenuto che il reato sia configurabile qualora siano
in corso specifiche procedure di riscossione di imposte sui redditi o sul valore aggiunto.
Tale orientamento – frutto di un’interpretazione particolarmente restrittiva dell’articolo 11 D.Lgs. n. 74/2000 – è da
ritenersi minoritario e superato, sia in dottrina che nella giurisprudenza prevalente. La dottrina, infatti, sottolinea che le
argomentazioni relative alla necessarietà di un procedura di
riscossione in fieri confliggono con la stessa lettura della norma, ma anche con la citata Relazione illustrativa al D.Lgs. n.
74/2000[19].
Anche la giurisprudenza che si è successivamente consolidata
sull’articolo 11 D.Lgs. n. 74/2000 ha fatto proprie tali valutazioni. In particolare, la sentenza n. 17071 del 2006, ha ritenuto
che, al fine del perfezionamento del reato di cui all’articolo 11
D.Lgs. n. 74/2000, è richiesto soltanto che l’atto simulato di
alienazione, o gli altri atti fraudolenti sui beni, siano idonei ad
impedire il soddisfacimento totale o parziale del fisco, atteso
che la disposizione vigente non contiene alcun riferimento alla
avvenuta effettuazione di accessi, ispezioni o verifiche, o la preventiva notificazione, all’autore della condotta fraudolenta, di
inviti, richieste o atti di accertamento, come, invece, prevedeva
in precedenza l’articolo 97, comma 6, D.P.R. n. 602/1973[20].
Analoghe considerazioni vengono svolte nella sentenza della
Cassazione Penale n. 7916 del 26 febbraio 2007, per la quale
ai fini dell’integrazione del reato di cui all’articolo 11 D.Lgs. n.
74/2000 è richiesto soltanto che l’atto simulato di alienazione
o gli altri atti fraudolenti sui beni siano idonei ad impedire il
soddisfacimento totale o parziale del Fisco, senza che vi sia
alcuna procedura di riscossione in corso, neppure allo stadio
embrionale.
Chiarissima è altresì sul punto la sentenza della Cassazione Penale, Sez. III, n. 5824/2007 che così statuisce: “si palesa evidente la
natura di reato di pericolo della fattispecie […] essendo anticipato il momento sanzionatorio alla commissione di qualsiasi atto che possa porre
in concreto pericolo l’adempimento di un’obbligazione tributaria, indipendentemente dall’attualità della stessa […] l’esecuzione esattoriale,
quindi, non configura un presupposto della condotta illecita, ma è prevista solo come evenienza futura che la condotta tende a neutralizzare”.
In senso analogo, tra le tante, anche le successive sentenze
della Cassazione Penale n. 14720 del 9 aprile 2008, n. 25147
del 22 aprile 2009 e n. 36290 del 6 ottobre 2011.
La prima – a proposito di un caso di cessione simulata di beni
aziendali mediante stipula di un apparente contratto di “sale
and lease back” – si è inoltre soffermata sulla condotta ai fini
della configurabilità del delitto, precisando che è idonea a configurare gli “atti fraudolenti” richiesti dalla norma non solo la
simulazione contrattuale/oggettiva, sotto forma della veridicità e congruità del prezzo pattuito, ma anche la simulazione
soggettiva intesa quale interposizione fittizia di persona.
Con riferimento al concorso fra il reato di cui all’articolo 11
D.Lgs. n. 74/2000 ed il reato di bancarotta, si segnala la Cassazione Penale, Sez. V, n. 42156 del 29 settembre 2011 che
– in applicazione dell’articolo 11 ante riforma D.L. n. 78/2010
– evidenziava che se la strategia distrattiva sia finalizzata
al fallimento o posta in essere in vista di esso, la distrazione
operata in danno del Fisco è (era) riconducibile al paradigma
punitivo dell’articolo 216 l. fallimentare (reato di bancarotta
fraudolenta) e non a quello di cui all’articolo 11 in applicazione
del principio di specialità di cui all’articolo 15 del Codice penale.
In senso contrario ed in applicazione del nuovo articolo 11
D.Lgs. n. 74/2000 – post modifica del 2010 – si riscontra, invece, la Cassazione Penale, Sez. V, n. 1843 del 10 novembre
2011 secondo la quale è configurabile il concorso tra il delitto
di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte e quello di bancarotta fraudolenta per distrazione.
Merita di essere menzionata pure la sentenza della Cassazione Penale n. 46833 del 4 dicembre 2012, relativa ad un caso
di operazioni fraudolente finalizzate a sottrarsi al pagamento di imposte occultando ingenti somme di danaro percepite
a titolo di corrispettivo nell'ambito di appalti pubblici, relativi
alla raccolta e gestione dei rifiuti solidi urbani. In particolare,
la Guardia di Finanza accertava la sistematica commissione da
parte degli indagati, con il contributo di soggetti pubblici, di
una maxi frode fiscale perpetrata per il tramite di alcune società, tutte facenti capo alle medesime persone. Con riferimento
al momento di consumazione del reato, la Corte ha ritenuto
che esso “ben può prolungarsi sino a quando, in ipotesi di più atti
tutti idonei a porre in essere una fraudolenta sottrazione, l’offesa abbia a permanere”, sicché il delitto in questione può consumarsi
“sia con un singolo atto fraudolento […], sia attraverso il compimento
di una pluralità di atti che, pur restando singolarmente inidonei ad
integrare il reato, raggiungano complessivamente quel grado di offensività necessario e sufficiente all’applicazione della norma. […] Qualora il delitto (pure avendo esso natura di reato pericolo) sia realizzato
mediante una pluralità di atti, il momento consumativo non può che
coincidere con il termine dell’azione in cui si sostanzia la condotta […]”.
Interessante è, inoltre, la circostanza che, nel caso di specie, è
stato ritenuto concorrente nel reato di sottrazione fraudolenta
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il funzionario pubblico che, omettendo intenzionalmente dei
controlli, agevola la commissione del reato. La Corte ha, invece,
escluso che potesse ricorrere nel caso di specie l’ipotesi del favoreggiamento reale (articolo 379 del Codice penale) che presuppone il profitto già conseguito del reato ed è fattispecie di
carattere residuale perché si configura fuori dei casi di concorso
nel reato, e quindi quando la condotta dell’autore non abbia
fornito un contributo causale alla commissione dell’illecito (nel
senso cioè che senza il suo contributo il reato o non sarebbe
stato commesso o sarebbe stato commesso in termini diversi).
La severità della giurisprudenza in materia è confermata anche dalle più recenti sentenze fra le quali la n. 39079 del 23
settembre 2013 della terza Sezione Penale della Cassazione.
In tale sentenza i giudici hanno ribadito che il reato di sottrazione fraudolenta è un reato di pericolo: “basta unicamente che
la condotta risulti idonea a rendere in tutto o in parte inefficace una
procedura di riscossione coattiva da parte dello Stato, «idoneità da
apprezzare, in base ai principi, con giudizio ex ante – e non anche
(per) l’effettiva verificazione di tale evento»”. Sulla scorta di tale
valutazione altra giurisprudenza ha ritenuto integrato il reato
in argomento anche nel caso in cui il contribuente sia riuscito
a far annullare dal giudice le cartelle di pagamento emesse a
suo carico (cfr. Cassazione n. 36290/2011).
[1] L’articolo 2, comma 2 D.Lgs. n. 472/1997 così
recita: “La sanzione è riferibile alla persona fisica che ha
commesso o concorso a commettere la violazione”.
[2] L’articolo 5, comma 1 D.Lgs. n. 472/1997 così
recita: “Nelle violazioni punite con sanzioni amministrative ciascuno risponde della propria azione od omissione, cosciente e volontaria, sia essa dolosa o colposa. Le
violazioni commesse nell’esercizio dell’attività di consulenza tributaria e comportanti la soluzione di problemi
di speciale difficoltà sono punibili solo in caso di dolo o
colpa grave”.
[3] L’articolo 9 D.Lgs. n. 472/1997 così recita:
“Quando più persone concorrono in una violazione, ciascuna di esse soggiace alla sanzione per questa disposta.
Tuttavia, quando la violazione consiste nell’omissione di
un comportamento cui sono obbligati in solido più soggetti, è irrogata una sola sanzione e il pagamento eseguito da uno dei responsabili libera tutti gli altri, salvo il
diritto di regresso”.
[4] L’articolo 7 D.L. n. 269/2003 (Riferibilità esclusiva alla persona giuridica delle sanzioni amministrative tributarie) recita così: “1. Le sanzioni amministrative relative al rapporto fiscale proprio di società
o enti con personalità giuridica sono esclusivamente a
carico della persona giuridica. 2. Le disposizioni del comma 1 si applicano alle violazioni non ancora contestate
o per le quali la sanzione non sia stata irrogata alla data
di entrata in vigore del presente decreto. 3. Nei casi di
cui al presente articolo le disposizioni del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472, si applicano in quanto
compatibili”.
[5] Si veda la nota 2.
[6] Consiglio Nazionale del Notariato, Atti simulati
o fraudolenti finalizzati alla sottrazione di beni alla
riscossione di imposte, Studio n. 149-2012/C, Approvato dalla Commissione Studi Civilistici del 15
marzo 2012.
[7] Troyer Luca/Ingrassia Alex, Il nuovo delitto di
sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte alla prova del trust, in: Riv. dott. commercialisti,
2009, 2, pagine 370 e seguenti.
La medesima sentenza del 2013 si sofferma sul profilo psicologico, ritenendo che il dolo specifico (ovvero il fine di sottrarsi
al pagamento del proprio debito tributario) può persino essere in re ipsa laddove il consulente sia un esperto nella materia tributaria. Ed, infatti, questi, in considerazione della sua
veste e professionalità è “ben consapevole del significato dell’obbligazione tributaria, dei suoi presupposti e dell’eventualità del suo
accertamento successivo con la conseguente attività riscossiva da
parte dell’Erario e dei suoi agenti”.
In conclusione, sembra potersi ritenere che – alla luce della giurisprudenza che si è formata – la fattispecie del reato di sottrazione fraudolenta possa essere integrata da una
pluralità di condotte molto vasta, purché idonee in astratto
a vanificare la pretesa fiscale del Fisco, inoltre, per come è
strutturata, molto spesso può comportare il coinvolgimento
a titolo di concorso di soggetti terzi che, consapevolmente,
favoriscano il compimento degli atti simulati o fraudolenti, finalizzati a sottrarre materia imponibile.
Elenco delle fonti fotografiche:
http://www.affaripropri.com/wp-content/uploads/2011/02/commercialista1.jpg [25.06.2014]
http://www.europa-web.de/wp-content/uploads/2012/02/Euro.jpg
[25.06.2014]
[8] Si veda in tal senso Corte Cassazione civile, sezione II, n. 14274/99.
[9] Consiglio Nazionale del Notariato, op. cit.
[10] L’articolo 11, comma 1 D.Lgs. n. 74/2000 così
recita: “È punito con la reclusione da sei mesi a quattro
anni chiunque, al fine di sottrarsi al pagamento di imposte sui redditi o sul valore aggiunto ovvero di interessi o
sanzioni amministrative relativi a dette imposte di ammontare complessivo superiore ad euro cinquantamila,
aliena simulatamente o compie altri atti fraudolenti sui
propri o su alcuni beni idonei a rendere in tutto o in parte
inefficace la procedura di riscossione coattiva. Se l'ammontare delle imposte, sanzioni ed interessi è superiore
ad euro duecentomila si applica la reclusione da un anno
a sei anni".
[11] L’articolo 11, comma 2 D.Lgs. n. 74/2000 così
recita: “È punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni chiunque, al fine di ottenere per sè o per altri un
pagamento parziale dei tributi e relativi accessori, indica
nella documentazione presentata ai fini della procedura
di transazione fiscale elementi attivi per un ammontare
inferiore a quello effettivo od elementi passivi fittizi per
un ammontare complessivo superiore ad euro cinquantamila. Se l'ammontare di cui al periodo precedente è
superiore ad euro duecentomila si applica la reclusione
da un anno a sei anni”.
[12] Gennai Sara/Traversi Alessandro, I delitti tributari, profili sostanziali e processuali, Milano
2010, pagina 172.
[13] La stessa Relazione Ministeriale di accompagnamento al D.Lgs. n. 74/2000 spiega, al punto
3.2.3., che, rispetto alla precedente previsione, “si
evidenzia, in particolare, la soppressione del presupposto rappresentato dall’avvenuta effettuazione di accessi, ispezioni o verifiche, o della preventiva notificazione
all’autore della manovra di inviti, richieste, atti di accertamento o iscrizioni a ruolo: presupposto che aveva contribuito a limitare fortemente la capacità di presa dell’incriminazione. Inoltre la linea della tutela penale è stata
opportunamente avanzata, richiedendo, ai fini della perfezione del delitto, la semplice idoneità della condotta a
rendere inefficace la procedura di riscossione – idoneità
da apprezzare, in base ai principi, con giudizio ex ante – e
non anche l’effettiva verificazione di tale evento”.
[14] Così, in tale sentenza, si esprimono i Giudici
della Suprema Corte: “risultano pertanto sussistenti
gli elementi per configurare, a livello di gravità indiziaria necessario alla fase cautelare il reato di cui si tratta:
la sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte,
inteso come stratagemma artificioso del contribuente,
tendente a sottrarre, in tutto o in parte, le garanzie patrimoniali alla riscossione coattiva del debito tributario,
stratagemma che può assumere le più diversificate forme, potendo estrinsecarsi attraverso l’abuso di strumenti giuridici rientranti solo in apparenza nella fisiologia
della vita aziendale o societaria. La giurisprudenza ne
ha già analizzate alcune, quali la simulazione contrattuale oggettiva (simulazione di alienazione, vendita per
un prezzo inferiore al reale) ed anche quella soggettiva
(c.d. interposizione fittizia di persona ed il contratto di
sale and lease back), come pure l’istituzione di un fondo
patrimoniale (Sez. 3, n. 5824 del 6/2/2008, Soldera).
Nel caso di specie si tratterebbe di cessioni aziendali e di
scissioni societarie simulate, operazioni multiple poste in
essere, in apparenza, allo scopo di effettuare una ristrutturazione aziendale”.
[15] Corte di Cassazione, sentenza del 4 aprile 2012, n. 40561; sentenza del 7 luglio 2009, n.
15862; sentenza del 15 marzo 2006, n. 5684.
[16] Consiglio Nazionale del Notariato, op. cit.
[17] Troyer Luca/Ingrassia Alex, op. cit.
[18] Ibidem.
[19] Si veda la nota 13.
[20] Per la Suprema Corte: “l’art. 11 non contenendo
più alcun riferimento alle suesposte condizioni, supera, dunque, l’impostazione in base alla quale il reato era
configurabile solo se il contribuente era stato in qualche
modo posto in condizione di aspettarsi un’azione esecutiva da parte degli uffici tributari. Per il perfezionamento
del reato, infatti, si richiede ora solo che l’atto simulato di
alienazione o gli altri atti fraudolenti sui beni siano idonei
ad impedire il soddisfacimento totale o parziale del Fisco”.
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