Le funzioni del consulente del lavoro dopo la riforma dei servizi
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Le funzioni del consulente del lavoro dopo la riforma dei servizi
INDICE CAPITOLO I EVOLUZIONE STORICA DEI SERVIZI ISPETTIVI 1. Introduzione ................................................................................................ 1 2. Il concetto di “ispezione” in azienda. Il D.P.R. n. 520/1955 ed i successivi interventi normativi in materia......................................................................... 2 3. Il progetto di riforma ................................................................................... 7 3.1 La legge delega n. 30 del 2003 ............................................................... 7 3.2 Il decreto attuativo, in particolare l’art. 8 d. lgs. n. 124/2004 ................ 9 3.3. Il diritto di interpello ............................................................................11 CAPITOLO II STRUMENTI VECCHI E NUOVI PER L’ESERCIZIO DELLA FUNZIONE ISPETTIVA 1. Premessa ....................................................................................................15 2. La conciliazione monocratica......................................................................16 2.1. La conciliazione preventiva..................................................................17 2.2. La conciliazione contestuale ................................................................22 2.2.1. La procedura.....................................................................................23 2.3. Conclusioni ed osservazioni .................................................................24 3. La diffida accertativa per i crediti patrimoniali............................................25 3.1. Procedura.............................................................................................26 3.2. Osservazioni e dubbi sull’applicazione della diffida accertativa ...........29 4. Il potere di diffida obbligatoria ...................................................................34 4.1. L’evoluzione storica del potere di diffida .............................................34 4.2. La nuova diffida secondo l’art. 13, d. lgs n. 124/2004 ..........................38 5. La prescrizione obbligatoria........................................................................44 5.1. La prescrizione obbligatoria nel d. lgs n. 758/1994...............................44 5.2 Dubbi e problemi interpretativi .............................................................46 5.3. La prescrizione obbligatoria alla luce dell’introduzione del d. lgs. n. 124/2004 ....................................................................................................50 6. Le disposizioni esecutive ............................................................................53 CAPITOLO III RILEVANZA DELLA FUNZIONE CONSULENZIALE NEL D. LGS. N. 124/2004 1. La consulenza alle aziende. Introduzione alla figura professionale del consulente. .....................................................................................................61 2. Il consulente del lavoro. Attività svolte e regolamentazione. .......................62 2.1. L’assistenza e la rappresentanza del consulente del lavoro ...................66 3. La funzione consulenziale nel nuovo decreto di riforma dei servizi Ispettivi .......................................................................................................................66 III CAPITOLO IV RIFORMA DEI SERVIZI ISPETTIVI E RUOLO DEL CONSULENTE DEL LAVORO 1. Premessa ....................................................................................................73 2. Soggetti legittimati .....................................................................................74 3. L’attività preventiva svolta dal consulente del lavoro: il diritto di interpello74 3.1 L’interpello nel diritto del lavoro ed il ruolo del consulente..................75 4. I nuovi istituti nel riordino dei servizi ispettivi, l’assistenza del consulente del lavoro. ............................................................................................................80 4.1 Definizione della procedura conciliativa: alcuni richiami alla conciliazione monocratica ed alla conciliazione obbligatoria. .....................81 4.2 La funzione del consulente in sede conciliativa .....................................83 4.3 La diffida accertativa: il nuovo strumento per il recupero dei crediti patrimoniali. ...............................................................................................89 4.4 Tutela amministrativa e tutela giurisdizionale .......................................92 4.5 Verso una nuova figura di conciliatore? ................................................93 5. Il nuovo codice di comportamento degli ispettori del lavoro. Alcuni cenni introduttivi......................................................................................................96 5.1 L’assistenza all’ispezione.....................................................................97 5.2. L’esame della documentazione, luogo di tenuta dei documenti obbligatori ed attività ispettiva al di fuori dei luoghi di lavoro...................101 5.2.1 Documenti di assunzione e tenuta dei libri obbligatori..............101 5.2.2 Violazioni nella tenuta dei libri obbligatori...............................107 5.3 Assunzione di dichiarazioni. La problematica dell’assistenza del professionista............................................................................................109 5.3.1 Il rilascio della copia della dichiarazione ..................................111 6. Rito del lavoro: ruolo del consulente nella presentazione dei ricorsi amministrativi. Premessa. .............................................................................114 6.1. I ricorsi amministrativi ex art. 16/17 d. lgs. n.124/2004 .....................114 6.1.1 Il ricorso al Comitato regionale per i rapporti da lavoro....................118 6.2. L’opposizione al giudice ordinario .....................................................121 7. Conclusioni ..............................................................................................124 IV CAPITOLO I EVOLUZIONE STORICA DEI SERVIZI ISPETTIVI 1. Introduzione Il decreto legislativo n. 124 del 23 aprile 2004 ha apportato rilevanti modifiche in materia di ispezione del lavoro attuando una generale revisione dei servizi ispettivi e delle attività di vigilanza, intervenendo sia sull’organizzazione dei medesimi, sia sui poteri del personale impegnato. L’intervento normativo nasce in conseguenza alla necessità di dare attuazione della legge delega n. 30 del 14 febbraio 2004, che ha portato forti innovazioni in tutti i campi del diritto del lavoro. La quasi totalità delle previsioni della delega sono state sviluppate successivamente dal decreto legislativo n. 276/2003 (cosiddetta Legge Biagi), che ha profondamente ridisegnato il mercato del lavoro, introducendo nuovi modelli contrattuali, con lo scopo di cercare un equilibrio tra la volontà di aumentare l’occupazione e la necessità di tenere conto delle esigenze delle imprese (soprattutto in relazione alla tanto declamata esigenza di “flessibilità”). A fronte di un intervento particolarmente incisivo sul mercato del lavoro quale quello realizzato con l’adozione della “legge Biagi”, sarebbe stato quindi impensabile non affrontare il tema dell’ispezione del lavoro in quanto, l’introduzione di nuovi e più ampi spazi di flessibilità della prestazione lavorativa, impongono inevitabilmente sia un approccio diverso degli organi di vigilanza anche in chiave orientativa e consulenziale, sia una metodologia di azione omogenea ed integrata volta a ridurre il più possibile le difformità interpretative e applicative in sede di ispezione. A tal fine l’art. 8 della L. n. 30/20041 è stato recepito in un separato decreto, che cerca appunto di riorganizzare il sistema delle ispezioni aziendali per renderlo coerente con i nuovi sistemi contrattuali introdotti. Bisognava in sostanza garantire il rispetto dei diritti dei lavoratori in seguito alle nuove disposizioni introdotte in materia di lavoro, e il decreto n.124/2004 ha proprio lo scopo di introdurre delle misure volte a garantire tale rispetto. 1 La delega per la riorganizzazione dei servizi ispettivi. 1 La portata dell’intervento legislativo viene qui analizzata perché si rileva essere estremamente interessante ed innovativa, rappresenta un punto di rottura con il passato sotto diversi profili, tra i quali spicca quello del nuovo ruolo che gli ispettori sono chiamati a ricoprire. Una delle principali novità introdotte fa infatti riferimento alla mutata concezione del concetto di ispezione, che, come rileva in principio la delega stessa, deve essere improntato anche su attività di promozione, informazione, prevenzione e consulenza. Per capire quale sia realmente il senso del nuovo dettato normativo è necessario mettere in evidenza quale sia stato il significato attribuito dal legislatore alla funzione ispettiva nei precedenti interventi normativi. Senza volere esaminare troppo in dettaglio tutta la normativa introdotta a partire dalla fine dell’8002, si vuole evidenziare nei paragrafi successivi soprattutto il cambiamento culturale introdotto dal nuovo decreto rispetto ai precedenti interventi legislativi. 2. Il concetto di “ispezione” in azienda. Il D.P.R. n. 520/1955 ed i successivi interventi normativi in materia. Come anticipato, una delle novità principali del decreto n. 124/2004 è il nuovo ruolo che gli ispettori assumono nello svolgere la loro professione, e, più in generale, le nuovi funzioni del servizio ispettivo che da organo meramente repressivo diventa organo con finalità preventive e promozionali del rispetto della normativa giuslavoristica. Al fine di rendere comprensibile il cambiamento di indirizzo assunto è utile vedere più in dettaglio come il ruolo ed il concetto di ispezione si è sviluppato nella storia recente del mondo del lavoro. La previsione della funzione di vigilanza nel mondo del lavoro compare alla fine del 1800, quando, essendo state istituite le prime norme a favore dei lavoratori non derogabili dai privati, si è reso necessario istituire una forma di controllo per il rispetto delle medesime3. Un vero e proprio apparato di ispettori del lavoro preposti alla vigilanza si sviluppa solamente con l’istituzione del Corpo degli 2 Non è compito del presente lavoro, ne volontà di chi lo scrive, effettuare una dettagliata disamina della storia dei servizi ispettivi. Interessa soprattutto evidenziare come il nuovo decreto dia nuovo significato all’organo ispettivo, introducendo quella che è stata definita addirittura una “svolta epocale” 3 Controllo che non veniva peraltro esercitato da pubblici ufficiali ma dal personale tecnico delle associazioni per la prevenzione e i sindacati di assicurazione mutua (così come da art 5 legge n.80 1898) 2 Ispettori dell’Industria e del Lavoro, nell’ambito del relativo ministero (legge n.1361 del 1912). Successivamente durante il periodo fascista i poteri degli appartenenti al corpo vennero modificati ed ampliati tramite una serie di regi decreti, senza subire comunque rilevanti modifiche4 fino a giungere al primo 5 importante riferimento normativo ai servizi ispettivi postbellico. E’ il D.P.R. 19 marzo 1955. n.520, successivamente modificato dalla legge 22 luglio 1961, n.628, che rappresenta “l’ossatura” della disciplina della materia. Tralasciando infatti tutti gli interventi successivi, relativi alla istituzione delle Regioni, delle U.S.L., al riassetto organizzativo dell’apparato con l’abolizione dell’ispettorato, è infatti in questi interventi normativi che si coglie quale ruolo il legislatore abbia affidato agli organi di vigilanza. Esaminando le disposizioni emanate nel 1955, e successivamente modificate nel 1961 (L. n. 628/1961), è possibile, dunque, ricavare analiticamente quelli che erano i compiti e le funzioni del sistema ispettivo in origine, volendo con ciò evidenziare solamente gli scopi basilari che muovevano gli organi senza addentrarci nella disamina dei singoli istituti giuridici. Appare chiaro sin dall’inizio della norma in questione che il ruolo affidato all’ispettorato del lavoro dal legislatore dell’epoca è chiaramente un ruolo con fine repressivo-sanzionatorio. Il compito affidato infatti è in primis quello di <<vigilare sull’esecuzione di tutte le leggi in materia di lavoro e di previdenza sociale nelle aziende industriali…/omissis/...ovunque è prestato un lavoro…/omissis>>6. Il fatto che nell’elencare i diversi compiti dell’ispettorato il legislatore ponga in primo piano l’attività di vigilanza sull’esecuzione delle leggi ben rappresenta quello che è lo scopo che si vuole dare all’organo. L’articolo prosegue poi con l’individuazione precisa di una serie di compiti tra i quali, a conferma di quanto appena detto, spiccano7: 4 Modifiche non ritenute rilevanti in relazione alla tematica in esame in questo paragrafo. Per un compiuto excursus storico delle riforme dei servizi ispettivi vedi Margotta S., “Ispezioni in materia di lavoro”, 2006, pg 21-28 5 Volutamente la disamina si concentra sul secondo dopoguerra. Ho solamente citato gli interventi normativi degli inizi del novecento e del periodo fascista che di fatto introducono l’organo ispettivo in Italia. Non è infatti intenzione del presente lavoro fare un preciso excursus storico sugli organi ispettivi 6 Legge 22 luglio 1961, n.628, art. 4 a) 7 Vedi art 4 lettera b), d), e) della legge 22 luglio 1961, n.628 3 vigilanza sull’esecuzione dei contratti collettivi di lavoro; vigilanza sul funzionamento delle attività previdenziali, assistenziali ed igenico-sanitarie a favore dei prestatori d’opera compiute dalle associazioni professionali…/omissis/…..per il personale da essi dipendente; funzioni di tutela e vigilanza sugli enti e dipendenti dal ministero del lavoro e della previdenza sociale. Il focus della disposizione è quindi rilevabile nell’uso del termine “vigilanza”. Così some afferma Vergari8, “vigilanza” è una parola sostanzialmente neutra, che non da conto né dei specifici poteri degli organi ispettivi né degli effetti conseguenti ad un possibile accertamento, che potrebbero essere, a ben vedere, sia repressivi che conciliativi/consultivi (possibile concessione di un termine per la regolarizzazione). In linea teorica era dunque possibile assegnare alla norma del 1961 un insieme di significati ed interpretazioni diversi, a seconda delle situazioni che nel concreto si presentavano. Di fatto però è innegabile che tale possibilità non era concessa, e non ci si allontana troppo dalla realtà sostenendo che in nessun caso la volontà interpretativa ha spinto gli organi preposti a propendere per una visione consulenziale delle norme elencate nell’art.4 legge 628 del 1961. Il problema di fondo stava soprattutto nel rapporto esistente tra ufficio di riferimento e singolo ispettore. Se da un lato infatti l’ufficio ispettivo era considerato un organo di polizia ispettiva9, ed in quanto tale aveva la possibilità di orientare le proprie attività non solamente su fini repressivi, ma anche eventualmente su fini consultivi (così come ricavabile dall’interpretazione del generico termine “vigilanza”); dall’altro lato sorgeva la problematica relativa alla posizione giuridica del singolo ispettore. Egli non è infatti solamente funzionario amministrativo gerarchicamente dipendente dal relativo ufficio, è, secondo la stessa legge, anche ufficiale di polizia giudiziaria, e, come tale, subordinato all’autorità giudiziaria. Questo significava che, secondo quanto previsto dall’art. 347 del c.p.p., nel momento in cui l’ispettore rilevava un illecito non si poteva esimere dal comunicarlo 8 Vergari S. <<Tra conciliazione e repressione: la funzione ispettiva in materia di lavoro nella c.d. riforma Biagi>> 9 Corte Costituzionale 29 ottobre 1971, n.10 4 all’autorità giudiziaria, sebbene le direttive impartite dal suo ufficio propendessero per un approccio di tipo consulenziale. In questo caso egli poteva sicuramente fornire utili indicazioni all’impresa per evitare di cadere in recidiva, ma era comunque obbligato a fare intervenire l’autorità giudiziaria. E’ chiaro a questo punto che l’idea iniziale di lasciare aperte diverse vie interpretative10 mal si conciliava con l’impostazione assunta dall’ordinamento in materia di lavoro. Nella disciplina pre-riforma era presente una contrapposizione insanabile tra prevenzione e repressione11 Il problema si ripresenta anche osservando la questione da un altro punto di vista; cercando di determinare il livello dei poteri degli organi di vigilanza circa la possibilità di scegliere gli obiettivi dell’attività ispettiva, ci si accorge che tale facoltà non è espressamente prevista ma deriva dalla discrezionalità della pubblica amministrazione. È la pubblica amministrazione che eventualmente dovrebbe decidere se concentrarsi su attività repressive o favorire quelle preventive, ricordando comunque che sono sempre presenti i poteri di singoli ispettori in quanto Ufficiali di Polizia Giudiziaria (poteri che come detto limitano per forza di cose eventuali spinte prevenzionistiche dell’ufficio amministrativo). Ritornando alla sopra citata questione relativa alla qualifica di Ufficiale di Polizia Giudiziaria degli ispettori del lavoro, pare convincente sostenere che la volontà di conferire ai soggetti preposti al controllo della normativa lavoristica tale carica sia già di per se indicativo della finalità con cui era pensata l’attività di controllo. E’ chiaro che se si vuole avere un qualche effetto deterrente al comportamento elusivo dei datori di lavoro è opportuno avere a disposizione dei mezzi idonei a realizzare tale effetto. L’attribuzione all’ispettore della qualifica di ufficiale di polizia giudiziaria ha delle conseguenze notevoli sui compiti che egli è chiamato a svolgere. Deve infatti (anche su propria iniziativa) prendere notizia dei reati, ricercarne gli autori, compiere gli atti necessari per assicurare le fonti di prova e raccogliere quanto possa servire per l’applicazione della legge penale (art. 55 del codice di procedura penale). Ovviamente la legge pone anche delle limitazione all’operato di questi soggetti. In definitiva, senza volere eccedere nell’analisi della complessa problematica relativa ai compiti attribuiti a questi ufficiali, preme 10 Riferimento chiaramente è alla possibilità di individuare una funzione conciliativa e consulenziale nell’originale legge 628 del 1961. 11 Vergari S., opera citata. 5 solamente sottolineare come l’intento repressivo dell’apparato di vigilanza emerga con forza semplicemente dalla tipologia di qualificazione giuridica concessa ai soggetti che vi appartengono. Di conseguenza è vero che dalla norma emergeva la possibilità di una interpretazione conciliativa/consulenziale, ma la contraddizione e la negazione di tale possibilità era già contenuta nella norma stessa nel momento in cui si qualificano gli ispettori come U.P.G. Ritornando alla disamina delle previsioni dell’art. 4 è necessario fare una importante specificazione. I paragrafi successivi sono spesi per cercare di mettere in luce il mutato indirizzo culturale che il legislatore ha inteso seguire nella riforma: riorganizzare il sistema ispettivo per fare in modo che assumano rilevanza delle nuove funzioni: promozione, prevenzione, informazione e consulenza. A rigor di logica si può tuttavia sostenere che la funzione preventiva (o di consulenza) non è del tutto nuova in questo ambito del nostro ordinamento giuridico. Bisogna infatti ricordare che l’art. 4 lettera c) del D.P.R. n. 520/1955 affidava all’ispettorato il compito di: <<fornire tutti i chiarimenti che vengano richiesti intorno alle leggi sulla cui applicazione esso deve vigilare>>, attraverso la creazione di un nucleo competente all’interno dell’ispettorato stesso; e una competenza di carattere generale agli ispettori volta a fornire sempre dei chiarimenti sull’applicazione della legislazione sociale. Volendo fare un bilancio di quanto nel concreto questa norma ha trovato applicazione nel concreto si può sicuramente dire che non ha affatto avuto un adeguato sviluppo. Il grosso problema da superare è sempre stato quello della diffidenza delle aziende ad aprirsi in qualsiasi modo all’organo preposto a controllarle, è sempre parso molto difficile convincere il datore di lavoro ad entrare in contatto in modo collaborativi con l’ispettorato ed esporre problematiche che fossero in qualsiasi modo legate al concreto vivere aziendale. Il rischio di esporsi troppo nei confronti dell’ispettore era un deterrente troppo forte perché qualcuno scegliesse di affidare la risoluzione di alcune problematiche all’Ispettorato. E’ per questo motivo che nel proseguo dell’analisi si farà riferimento alle funzioni e agli istituti introdotti dal decreto n.124/2004 come delle novità, anche se a rigor di logica delle novità non sono. 6 3. Il progetto di riforma 3.1 La legge delega n. 30 del 2003 Con l’entrata in vigore del decreto legislativo n. 124 del 2004 possiamo invece sostenere che, almeno nelle intenzioni12, c’è stato un cambiamento nell’assegnamento delle funzioni all’organo ispettivo. La legge delega 14 febbraio 2003, n. 30, prevedeva infatti un riassetto dei servizi ispettivi che prevedesse di <<improntare il sistema delle ispezioni alla prevenzione e promozione dell’osservanza della disciplina degli obblighi previdenziali, del rapporto di lavoro, del trattamento economico e normativo minimo e dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale, anche valorizzando l’attività di consulenza degli ispettori nei confronti dei destinatari della citata disciplina>>13. Emerge sin da subito la volontà di affidare agli ispettori del lavoro dei compiti che non siano meramente di controllo, vigilanza, accertamento e sanzionatori ma che sfocino anche in attività di prevenzione e promozione da attuarsi secondo le modalità sviluppate dal decreto in esame. L’impostazione seguita mira quindi ad aggiornare i poteri ispettivi privilegiando la logica della prevenzione e del <<ravvedimento operoso> delle aziende14; si sposta l’obiettivo dell’attività di vigilanza dalla repressione delle condotte illecite e difformi al precetto normativo verso la regolarizzazione dei rapporti di lavoro. Il cambiamento di indirizzo può essere considerato sicuramente epocale; l’ampliamento della sfera di competenza degli ispettori consente alle istituzioni di cercare di creare un rapporto più partecipativo con i destinatari della vigilanza. In questo modo si restringe il comportamento repressivo, o quantomeno si cerca di posticiparne l’utilizzo; cercando in un primo momento di portare a conoscenza delle aziende gli obblighi di legge in modo puntuale e preciso. In sede di commento alla legge delega15 n. 30/2003 non si è mancato di sottolineare come il nuovo indirizzo delineasse un sistema che si rivolgeva 12 Si tratterà più avanti delle difficoltà applicative delle modifiche apportate dal nuovo decreto 13 Lettera a), art.8 della legge delega 14 Nogler L., Zoli C. “Razionalizzazione delle funzioni ispettive in materia di previdenza sociale e di lavoro, a norma dell’art. 8 della L.14 febbraio 2003, n.30”; in Le nuove leggi civili commentate, 2005 15 Vergari, op. citata 7 soprattutto alla singola impresa ispezionata piuttosto che al mondo del lavoro; con strumenti protettivi per l’impresa piuttosto che con istituti volti a celare il vasto mondo del sommerso. Da un lato i dubbi paventati hanno un sicuro fondamento; la questione, vista dalla parte di chi le ispezioni deve effettuarle, è rilevante in quanto esaminando le previsioni della delega poteva esserci il rischio che l’attività ispettiva venisse eccessivamente svuotata dall’intento repressivo16. Dall’altro lato è altrettanto vero che, a posteriori17, i dubbi di cui sopra possono dirsi dipanati. L’introduzione delle nuove previsioni non sembra avere influito in modo grave sull’originario scopo repressivo, resta solo da capire se davvero il ruolo consulenziale e promozionale affidato agli ispettori avrà un uso fruttuoso nel concreto. D’altra parte la premessa da cui bisogna necessariamente partire per analizzare da un giusto punto di vista la riforma è che attualmente il Ministero può contare su un corpo ispettori di circa 5000 unità, a fronte di circa cinque milioni di aziende iscritte alle camere di commercio. Osservando il rapporto è chiaro che la soluzione, in sede di riforma, andava ricercata su strade alternative, diverse dalla mera riproposizione dei soliti istituti. Bisognava cercare degli strumenti adatti a velocizzare gli (allora) attuali processi che non erano più soddisfacenti, ed introdurne altri di innovativi non più basati solamente sulla contrapposizione “leggi da rispettare”- “organo controllore”. Il rimedio è cercare di prevenire il contenzioso, lasciare l’attività ispettiva solamente ai casi più significativi ed adottare per tutti gli altri un’altra strategia. Al dato sopra proposto va aggiunta la considerazione che il servizio ispettivo deve anche rispondere alle richieste che pervengono presso i loro uffici; rispondere alle richieste di intervento dell’utenza occupa la maggior parte dell’attività svolta dagli ispettori che non riescono quindi a concentrarsi su obiettivi repressivi mirati. Ecco la necessità di rompere con il passato e rivolgersi a nuovi mezzi più idonei a modificare una situazione ormai critica (la provincia di Roma accumula 15.000 richieste di intervento inevase ogni anno, questo significa 16 Intento repressivo che a mio parere deve essere comunque parte fondamentale della vigilanza in materia lavoristica, visto la tipologia di diritti presi in considerazione. 17 Il commento di Vergari è antecedente all’approvazione del decreto attuativo. 8 che se non riesce a rispondere alle richieste tanto meno riesce a svolgere attività ispettiva su propria iniziativa).18 3.2 Il decreto attuativo, in particolare l’art. 8 d. lgs. n. 124/2004 Entrando maggiormente nello specifico, l’art. 8 del decreto n. 124 assegna alle direzioni regionali e provinciali del lavoro i compiti di <<organizzare attività di prevenzione e promozione,su questioni di ordine generale, presso i datori di lavoro, finalizzata al rispetto della normativa in materia lavoristica e previdenziale, con riferimento alle questioni di maggiore rilevanza sociale>>. Al terzo comma invece si attribuisce <<alla direzioni generale e agli uffici periferici, anche d’intesa con gli enti previdenziali, la facoltà di promuovere e di stipulare, mediante apposite convenzioni, contratti con aziende, enti ed associazioni, aventi ad oggetto attività di informazione e aggiornamento da svolgersi presso gli stessi soggetti interessati>>. Completando la lettura dell’articolo, nel secondo comma emerge un ulteriore previsione secondo cui se gli ispettori, nel corso dell’attività ispettiva, rilevano profili di inosservanza o di non corretta applicazione della normativa, da cui non consegue l’adozioni di sanzioni penali o amministrative, questi possono fornire le indicazioni operative necessarie alla corretta applicazione della normativa stessa. Per quel che riguarda i contenuti dell’attività di promozione è da chiarire che durante l’espletamento di tale attività le tematiche trattate non possono riguardare singoli casi concreti, ma debbono fare riferimento solamente a questioni di ordine generale. In questo modo si vogliono mantenere distinte le competenze del personale ispettivo da quelle degli operatori professionali, quali sono, per esempio, i consulenti del lavoro. Rispetto invece all’attività prevista dal comma 219 dell’art. 8 d. lgs. n. 124/2004 il Ministero si è preoccupato di sottolineare che i chiarimenti forniti devono fondarsi esclusivamente su posizioni ufficiali del ministero stesso, non devono essere quindi fonte di personali interpretazioni della norma. 18 I dati numerici proposti circa gli ispettori, il numero delle aziende e le richieste inevase derivano dal Dott. Pennesi P, in sede di convegno del 27 novembre 2006 “La riforma dei servizi ispettivi” organizzato dall’ordine dei consulenti del lavoro di Vicenza ,al quale ho presenziato. 19 L’attività informativa, promozionale e preventiva prestata durante l’ispezione nel caso ci siano violazioni in assenza di rilievi sanzionatori penali o amministrativo. 9 Da ultimo la facoltà di proporre attività di aggiornamento e informazione a favore di enti, datori di lavoro ed associazioni sembra improntata alla volontà di guardare al mondo del lavoro nel suo complesso. Si vuole cercare di diffondere corrette informazioni sulle tematiche legislative della materia in questione, dove l’organo di vigilanza ricopre un ruolo neutro di “istruttore”. Anche qui è necessario che ci sia una separazione tra i casi concreti riferibili alle imprese e i temi generali dei convegni, così come lo è per le altre situazioni appena viste. Necessaria è poi una piccola riflessione che evidenzi quale tipo di rapporto esista tra le nuove attività dell’art. 8 e le consuete attività repressive. Innanzi tutto è bene chiarire che la nuova funzione promozionale non pare essere in contrasto con la classica funzione repressiva; il legislatore si è infatti preoccupato di evidenziare in modo chiaro che l’ufficiale che svolge il controllo e l’accertamento resta (come prima) un ufficiale di polizia giudiziaria, l’ispettore in veste di consulente è invece alleggerito da tale qualifica. In questo modo le diverse fasi dell’attività vengono distinte e separate. Bisogna dire che non pare esserci soluzione alternativa a questa; per fare in modo che l’impresa sfrutti la possibilità fornita dal nuovo decreto è chiaro che deve essere garantita l’imparzialità dell’ispettore-consulente, il quale deve presentarsi in azienda per essere d’aiuto e non per “inquisire”. Addirittura pare condivisibile l’idea prospettata da alcuni20 di creare un corpo di ispettori separato a cui vengano assegnate solamente funzioni di prevenzione, promozione e consulenza, esentandoli quindi dal dovere compiere poi ispezioni a carattere repressivo-sanzionatorio. In una configurazione di questo tipo è ragionevole pensare che i datori di lavoro sarebbero più disposti ad aprire le porte agli ispettori consulenti, dall’altro lato gli ispettori sarebbero meno prevenuti verso il datore stesso e tecnicamente più preparati nel dare un concreto aiuto. Se non che la cronica scarsità di risorse a disposizione del ministero e l’ulteriore previsione dell’art. 20 del decreto21 rendono impossibile l’assunzione di nuovo personale a cui assegnare le nuove funzioni. Non è poi pensabile diminuire il numero degli addetti alle ispezioni per assegnarli in pianta stabile a svolgere funzioni di consulenza, per cui in fine resta l’unica soluzione di lasciare che 20 Rivara A., “Servizi ispettivi: le implicazioni della riforma”, DPL, n.42/2004. 21 <<Dall’attuazione del presente decreto non devono derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica>> 10 entrambe le tipologie di compiti siano assegnate a tutti gli ispettori indistintamente. Tuttavia bisogna ricordare che in ogni caso il soggetto ispettore mantiene comunque la qualifica di pubblico ufficiale, con il conseguente obbligo, stabilito dalla legge, di comunicare al P.M. un’eventuale crimine di cui sia venuto a conoscenza. Conseguentemente resta aperto il dibattito circa la reale portata “rivoluzionaria” dell’articolo in questione posto che, allo stato delle cose, non sembra possibile superare le tradizionali resistenze delle aziende verso gli organi di controllo. Visto brevemente cosa concretamente prevede la legge a proposito della nuova funzione preventivo-promozionale, è interessante fare alcune riflessioni sui problemi sollevati dalle nuove norme. Una delle prime cose che balza agli occhi è il conflitto di interessi presente in capo alla nuova figura dell’ispettore, chiamato ad essere all’occorrenza consulente e controllore dello stesso soggetto. Volendo applicare una “interpretazione positiva” si può dire che il sistema funziona correttamente nel momento in cui le indicazioni fornite dall’ispettoreconsulente non sono contraddette dall’ispettore-accertatore. In questo caso infatti si può pensare che in effetti si incentivi il rapporto con le aziende, le quali sono a conoscenza che allineandosi alle indicazioni ricevuti si premuniscono da eventuali successivi accertamenti. Tuttavia non si può fare a meno di rilevare la possibilità di comportamenti scorretti e devianti, in cui ci sia un tacito accordo tra l’ispettore in fase di consulenza e quello in fase di controllo, che, è bene ricordare, può essere la stessa persona. Anche evitando di ricercare possibili soluzioni maliziose è comunque possibile che l’impreparazione del singolo soggetto porti a fornire indicazioni sbagliate, alle quali il ministero non può essere vincolato. Resta da chiarire la posizione del datore che si sia eventualmente uniformato a tale indicazioni. 22 22 Bisogna capire se il datore che si è uniformato ad una errata indicazione è comunque responsabile. Pare una soluzione non condivisibile, tuttavia resta il rilevante problema di riuscire a proporre la prova che il comportamento errato deriva proprio dall’avere seguito l’indicazione avuta. 11 3.3. Il diritto di interpello Accanto alle novità introdotte dall’art. 8, d. lgs. n. 124/2004, è fondamentale sottolineare come anche l’introduzione del diritto di interpello, ad opera del successivo articolo, sia riconducibile al nuovo intento di migliorare il rapporto fra amministrazione e cittadino, fornendo dei servizi (sempre in ambito lavoristico) volti a superare la contrapposizione consueta tra datore di lavoro ed ispettorato. Così come accade nell’ambito tributario, il diritto di interpello consente di avere dei chiarimenti sulla modalità di applicazione della normativa, prima che questa venga applicata in modo scorretto; l’amministrazione, rispondendo ad un determinato quesito, prende una precisa posizione su di un argomento chiarendo eventuali dubbi, il datore dal canto suo evita possibili incomprensioni uniformandosi alla risposta ricevuta. E’ ancora una volta evidente come anche questo istituto sia volto a completare il passaggio da una concezione repressiva dei servizi ispettivi ad una concezione di tipo preventivo, conciliativo, informativo. Da un punto di vista applicativo l’istituto è diverso da quello utilizzato in ambito tributario. Sottolineo qui che innanzi tutto i soggetti legittimati a porre i quesiti non sono i singoli datori di lavoro o i singoli consulenti23, ma le associazioni di categoria, gli ordini professionali24 e gli enti pubblici. I quesiti inoltre possono essere solamente di carattere generale, non è possibile quindi utilizzare l’interpello come una consulenza specifica e puntuale su di un determinato argomento; serve che la problematica sia di interesse comune ed in quanto tale meritevole di chiarificazione. L’argomento dell’interpello infine può riguardare tutta la normativa la cui applicazione è di competenza del ministero del lavoro e delle politiche sociali, sono escluse quindi le limitazioni presenti nell’interpello tributario. Di conseguenza non c’è uno specifico riferimento al fatto che debba esserci “oggettiva oscurità della disciplina”, né al fatto che la richiesta è esperibile solamente per atti aventi forza di legge (erano esclusi quindi i regolamenti). 23 Vedremo nella seconda parte del lavoro il ruolo del consulente nei diversi istituti del nuovo decreto 24 Anche se su segnalazione dei propri iscritti 12 Il punto di maggiore debolezza dell’articolo sta nella mancata previsione di un termine entro il quale fornire la risposta25 e nella mancata individuazione dei precisi effetti (per l’amministrazione e per il datore) derivanti dalla risposta stessa. Dalla modalità di risoluzione di questi problemi dipenderà il livello di utilizzo effettivo del nuovo istituto. Le modifiche legislative impongono quindi al personale ispettivo l’esercizio di compiti nuovi ed un cambiamento degli obiettivi da perseguire. Tutto ciò presuppone una adeguata ed approfondita preparazione del personale, che dovrà sapere affrontare nuovi ruoli completamente diversi da quelli di mero accertamento della violazione legislativa. Bisogna quindi cercare di formare in modo corretto i nuovi ispettori, attuando, per quel che è possibile, quanto previsto dall’art.18 del presente decreto che prevede di attuare specifiche misure di adeguamento professionale. Sarà interessante vedere come si riuscirà a riqualificare il personale, lo stanziamento di fondi26 è solo il primo passo (peraltro necessario) da fare, successivamente bisognerà organizzare corsi di formazione appositi, che oltre un continuo aggiornamento tecnico spingano i frequentanti ad un cambiamento culturale. Dopo pochi mesi dall’entrata in vigore del decreto è stato avviato un progetto con lo scopo di “mappare” le professionalità degli ispettori impiegati tramite l’analisi del curriculum vitae da essi inviato. Attraverso tale piano si intende, in futuro, collocare il personale in modo mirato, a seconda delle propensioni dei dipendenti interrogati. 25 Degan L., Scagliarini S., La riforma dei servizi ispettivi in materia di lavoro e previdenza sociale, 2004 26 Anche se l’art 20 del decreto non prevede ulteriori fondi per dare attuazione alla riforma, alcuni interventi legislativi, soprattutto in sede di legge finanziaria, hanno previsto l’allocazione di risorse per poter procedere al riassetto, e quindi anche per l’organizzazione dei corsi di formazione permanente previsti dall’art. 18. 13 14 CAPITOLO II STRUMENTI VECCHI E NUOVI PER L’ESERCIZIO DELLA FUNZIONE ISPETTIVA 1. Premessa La riforma oltre ad avere influenzato il concetto generale di ispezione ed avere introdotto le nuove funzioni di cui sopra, ha anche ampliamente riformato i singoli poteri degli ispettori ed ha introdotto nuovi ed interessanti istituti volti ancora a perseguire il fine di evitare, o posticipare per quanto possibile, l’intervento repressivo. La legge delega ha ben chiarito l’intento richiedendo la <<definizione di un quadro regolatorio finalizzato alla prevenzione delle controversie individuali di lavoro in sede conciliativa, ispirato a criteri di equità ed efficienza>>. Nello specifico poi alcune disposizione erano chiaramente dettate con lo scopo di spingere il legislatore a proporre nuovi istituti, caratterizzati dalla possibilità di avviare una fase conciliativa preliminare all’accertamento repressivo. A tal proposito il secondo comma dell’art. 8 L. n. 30 del 2003, alle lettere b) ed e) forniva come criteri e principi guida: la definizione di un raccordo efficace tra la funzione di ispezione del lavoro e quella di conciliazione delle controversie individuali; semplificazione della procedura di riscossione dei crediti di lavoro correlata alla promozione di soluzioni conciliative in sede pubblica. Da ultimo si prevedeva poi la <<ridefinizione dell’istituto della prescrizione e della diffida propri della direzione provinciale del lavoro>>. Senza avere espressamente fatto riferimento ai nuovi principi preventivi e conciliativi, si chiede dunque che due tra i più comuni poteri degli ispettori vengano modificati e riformati. I punti in questione sono estremamente rilevanti. Se nella prima parte ho evidenziato, come aspetto predominante, il proponimento di un “cambiamento culturale” nella funzione degli ispettori27, i criteri della legge delega appena citati sono idonei a fornire agli ispettori nuovi poteri giuridici, adatti ad incidere 27 Le nuove funzioni portano anche all’allargamento dei poteri e dei compiti come visto, lo scopo era però quello di evidenziare il cambiamento nel concetto di ispezione. 15 direttamente sulle controversie tra datore e lavoratore, nel senso di cercare in primis una soluzione conciliativa28. Inoltre si vuole offrire la possibilità al lavoratore di vedere soddisfatte le sue pretese retributive con un nuovo, e più “agile”, procedimento, che dovrebbe consentire una semplificazione nella riscossione del credito vantato. Anche in questo caso comunque si tratta di fornire agli ispettori delle nuove competenze, tradizionalmente svolte da altri organi29, che non saranno di facile implementazione, almeno in un primo momento. Si tratta di nuove modalità di tutela dei diritti dei lavoratori; il legislatore richiama l’intervento degli ispettori in tutti i casi in cui si manifesti una qualsiasi necessità di difendere gli interessi dei lavoratori, e non solamente laddove siano previste delle sanzioni a carico dei datori. Ad ogni modo l’aspetto è sicuramente molto innovativo, in quanto, per definizione, non è mai sembrato ravvisabile un possibile accordo tra funzione ispettiva (intesa nel senso repressiva) e funzione conciliativa. Si direbbe anzi che i due termini siano antitetici. Attraverso gli istituti creati con il decreto n. 124/2004 si è cercato di superare questa contrapposizione, e <<l’incontro, a lungo e su più fronti auspicato, fra le due funzioni storicamente agli antipodi sembra avere la forza di annunciare una nuova era nelle controversie di lavoro, che transita proprio per l’ispezione del lavoro>>30. Si tratta ora di analizzare gli istituti in modo più approfondito, cogliendone i tratti essenziali ed innovativi, per porli a confronto con gli strumenti ispettivi utilizzati prima della riforma e capire quali miglioramenti sono stati apportati e quali difficoltà si prospettano per il futuro. 28 La stessa diffida accertativa per i crediti patrimoniali ha lo scopo di consentire al datore di sanare la posizione senza avviare ulteriori accertamenti. 29 Nogler L., “Razionalizzazione delle funzioni ispettive in materia di previdenza sociale e di lavoro”, in Le nuove Leggi civili commentate,2005. La diffida accertativa per i crediti patrimoniali è una tutela di un diritto del lavoratore, tale tipologia di diritti veniva storicamente difesa dai sindacati, per esempio. Ecco le nuove competenze a cui ci si riferisce. 30 Rausei P, Riordino dei servizi ispettivi, Diritto & Pratica del lavoro, n. 6/2004. 16 2. La conciliazione monocratica Una delle novità rilevanti introdotte dal decreto legislativo 23 Aprile 2004, n. 124 è rappresentata dall’art. 11, attraverso il quale viene introdotto nel nostro sistema l’istituto della conciliazione monocratica. Con questa previsione si è data attuazione alla delega contenuta nell’art. 8 della legge delega n. 30/2003, in particolar modo alla lettera b) del secondo comma, dove si parlava di <<raccordo efficace tra la funzione di ispezione del lavoro e quella della conciliazione delle controversie individuali>>. Una richiesta di questo tipo trova la sua giustificazione nell’esigenza, emersa in sede di controlli generalizzati in tutto il paese, di velocizzare l’evasione delle richieste di intervento che pervengono alle direzioni provinciali del lavoro. I ritardi accumulati, per diverse cause31, hanno imposto al legislatore una soluzione alternativa ai consueti metodi accertativi, che in molti casi non si riuscivano ad attuare (per carenza personale, vedi nota 5) o, quando ci si riusciva, risultavano inutili perché troppo tardivi (è il caso di interventi nel settore edilizio a cantiere finito, dove le prove di eventuali omissioni sono oramai perse). La conciliazione monocratica è consentita sostanzialmente in due situazioni distinte, come fase preliminare o come fase contestuale all’attività di vigilanza e repressiva. C’è in sostanza una doppia modalità di accesso all’istituto a seconda che la conciliazione abbia luogo a fronte di una richiesta di intervento ispettivo oppure nel corso dell’intervento stesso. Il primo comma dell’articolo in esame tratta della prima delle due modalità esperibili, dicendo che <<Nelle ipotesi di richiesta di intervento ispettivo alla Direzione provinciale del lavoro dalle quali emergano elementi per una soluzione conciliativa della controversia, la Direzione provinciale territorialmente competente può, mediante un proprio funzionario, anche con qualifica ispettiva, avviare il tentativo di conciliazioni sulle questioni segnalate>>. 2.1. La conciliazione preventiva Il primo tipo, se così possiamo dire, di conciliazione, fa riferimento, come detto, alla possibilità di ricorrere all’istituto nel caso in cui sia presentata una richiesta di 31 Rausei cita per esempio l’alto numero di richieste, la necessità di privilegiare le visite d’iniziativa in settori particolarmente a rischio, carenze di organico diffuse e consistenti soprattutto al nord dove l’espansa realtà industriale richiederebbe un maggio numero di addetti alla vigilanza. 17 intervento ispettivo alla Direzione provinciale competente (competenza sulla base del luogo in cui ha esecuzione il rapporto di lavoro). Sebbene ad una prima lettura l’istituto sembra essere di facile comprensione, ci sono alcuni aspetti rilevanti da chiarire. Innanzi tutto i soggetti che possono effettuare la richiesta di intervento ai servizi ispettivi non sono solamente i lavoratori interessati; non vi è infatti ragione di escludere il caso che siano dei terzi a farla, sempre che, una volta esaminato il caso concreto, emerga la possibilità di raggiungere la conciliazione (condizione sine qua non per potere procedere). Nel caso eventuale in cui ci siano delle richieste plurime, da parte di più lavoratori contemporaneamente, queste vanno trattate separatamente; l’eventuale conciliazione raggiunta deve essere soddisfacente per ogni singolo lavoratore interessato in quanto dispone dei diritti di ogni singolo soggetto, non può quindi essere sommariamente riassunta in un singolo accordo32. Un dubbio emerso in sede di commento al decreto riguardava la possibilità che anche i lavoratori autonomi potessero ricorrere all’istituto della conciliazione. Si è data risposta affermativa sostenendo che nella norma non è prevista una precisa esclusione, di conseguenza anche i titolari di rapporto di lavoro autonomo come i contratti a progetto, a collaborazione coordinata e continuativa hanno facoltà di ricorre all’art. 11.33 Un punto che merita invece una più particolare attenzione è il tipo di denunce che devono essere raccolte dai funzionari della direzione provinciale ed il tipo di diritti oggetto dell’accordo. Si precisa infatti (anche nella circolare confindustria n. 18107/2004) che oltre a quelle tradizionali, riferite ai mancati versamenti contributivi e agli obblighi connessi all’assunzione e allo svolgimento del rapporto di lavoro (mancata consegna busta paga), gli operatori di turno devono raccogliere anche le denunce di trattamenti economici non corrisposti34 (differenze paga, lavoro straordinario non retribuito, ferie non godute). In sostanza da ciò emerge come la conciliazione monocratica, riguardando possibili 32 Massi E., “La conciliazione monocratica” in “La riforma dei servizi ispettivi in materia di lavoro e previdenza sociale”, a cura di Monticelli C.L. e Tiraboschi M. 33 Nogler R., Razionalizzazione delle funzioni ispettive in materia di previdenza sociale e di lavoro. Le nuove Leggi civili commentate, 2005. 34 Purchè ne possano derivare degli effetti sul piano previdenziale ed assistenziale. 18 controversie che possono nascere in merito a diritti patrimoniali di origine contrattuale o legale, che non hanno però rilevanza sanzionatoria o penale, consenta l’espletamento di un tentativo conciliatorio che eviti la nascita di contenziosi giurisdizionali. I funzionari, proprio per questo, devono essere pronti a raccogliere le richieste di intervento dalle quali emerge la possibilità di evitare quel tipo di contenzioso. Deve essere chiaro che si tratta in ogni caso di diritti disponibili35 del lavoratore, e che in riferimento ai fatti denunciati nella richiesta di intervento non deve esserci stato alcun accertamento di violazioni compiute dal datore, nel qual caso non si può ravvisare il presupposto per un accordo conciliativo. Fino a qui quanto emerge dalla lettura sistematica del dispositivo; in chiave pratica emerge però il problema di stabilire se una volta avviata la conciliazione questa possa vertere anche su questioni diverse da quelle oggetto della richiesta di intervento. Naturalmente per il datore di lavoro sicuramente sarebbe una occasione favorevole, soprattutto se riuscisse in qualche modo a condizionare le scelte del lavoratore, e proprio per questo in linea di massima il Ministero da parere contrario. Tuttavia, da altro autorevole parere36, sembra potersi dare risposta affermativa al problema, con la necessaria precisazione che è indispensabile la piena consapevolezza da parte del lavoratore, piena consapevolezza raggiungibile con il consenso assistito da parte dell’organo ispettivo. Continuando con la disamina dell’articolo 11 d. lgs. n. 124/2004, si rileva come il legislatore abbia inteso dare un ruolo discrezionale al dirigente periferico della direzione provinciale. La disposizione normativa non parla di obbligatorietà nell’uso della conciliazione, quanto piuttosto di una “possibilità” (viene usato il dispositivo <<può proporre>>), lasciando all’ispettore la valutazione circa la sussistenza dei requisiti per stipulare l’accordo. Questo significa che nella 35 Sono disponibili i diritti esclusi dal campo di applicazione dell’art. 2113 del c.c. e possono essere oggetto di rinuncia o transazione. Sono riconducibili a: a) risoluzione consensuale del rapporto di lavoro; b) recesso del datore con il licenziamento; c) recesso del lavoratore con dimissioni; d) crediti derivanti da sentenza passata in giudicato; e) diritti derivanti dal contratto individuale se migliorativi rispetto a quello collettivo; f) risarcimento danni derivanti dal rapporto di lavoro. Mangione C., “Le ispezioni in matria di lavoro, previdenza e fisco”, 2006, pg. 29. 36 Così sostiene Pennesi Paolo, Vice Direttore generale D.G. per l’attività ispettiva, nel convegno organizzato dai consulenti del lavoro di Vicenza “La disciplina delle ispezioni sul lavoro” 27 novembre 2006. 19 decisione possono influire diversi fattori, che vanno al di là della mera valutazione di fattibilità e che possono coinvolgere anche eventi passati (il riferimento è a dei precedenti in capo al datore che rendono sconveniente tentare una conciliazione). La Direzione provinciale (nella persona del funzionario investito della procedura) deve quindi valutare gli elementi a sua disposizione, capire se ci sono le condizioni soggettive (possibilità di fare accordare il datore ed il lavoratore coinvolti) ed oggettive per giungere ad una soluzione positiva. È un tipo di considerazione che in alcuni casi può risultare tutt’altro che agevole, per questo la circolare ministeriale n. 24/2004 ha inteso fugare alcuni dubbi, richiedendo almeno una serie di presupposti oggettivi da cui non si può prescindere per avviare il tentativo di conciliazione37 (il riferimento è alla necessaria assenza di profili di rilevanza penale e amministrativa e alla tipologia di diritti oggetto della conciliazione, elementi già citati sopra). A questo va aggiunto l’ultima importante indicazione fornita dalla stessa circolare in relazione all’esclusione della possibilità di ricorrere all’art. 11 per quanto riguarda le richieste di intervento che hanno ad oggetto i contratti certificati secondo la procedura degli art. 75 e ss d. lgs. n. 276/0338. Chi vuole fare ricorso contro la certificazione deve esperire la procedura prevista dall’art. 410 c.p.c. In realtà confindustria ha espresso diverso parere, sostenendo che le cause di impugnazione davanti all’autorità giudiziaria sono tassativamente previste dall’art. 80 del d.lgs 276/03. Tra di esse non ce n’è nessuna che <<attenga al distinto problema dell’eventuale inadempimento delle obbligazioni di natura patrimoniale derivanti dal contratto, che ben potrebbe formare oggetto di conciliazione monocratica anche nel caso di rapporto certificato>>39. Detto questo il Ministero è invece di parere opposto visto che (cit. circolare Min. lav. n. 37 È chiaro che per quel che riguarda la valutazione degli elementi pratici e concreti del singolo caso nulla può la legge, sarà compito del Ministero attivare programmi di formazione per gli ispettori atti a far raggiungere agli stessi un livello di professionalità adeguato a svolgere questo, e non solo questo, nuovo compito. 38 Al fine di ridurre il contenzioso in materia di qualificazione dei contratti di lavoro intermittente, ripartito, a tempo parziale e a progetto di cui al presente decreto, nonché dei contratti di associazione in partecipazione di cui agli articoli 2549-2554 del codice civile, le parti possono ottenere la certificazione del contratto secondo la procedura volontaria stabilita nel presente Titolo. 39 Circolare Confindustria n. 18107 del 2004. 20 24/2004) <<nel caso….non è possibile procedere mediante conciliazione monocratica, in quanto…..chi intende presentare ricorso giurisdizionale contro la certificazione deve preventivamente rivolgersi obbligatoriamente alla commissione di certificazione per espletare un tentativo di conciliazione ai sensi dell’art. 410 c.p.c.40>> Dopodichè da ultimo va chiarito che, in seguito ad una serie di discussioni sorte in merito, le questioni qualificatorie del contratto di lavoro sono escluse dall’ambito di applicazione della conciliazione; non è compito, e non ne ha legittimazione, dell’ispettore risolvere problemi in via conciliativa attinenti alla classificazione del tipo di rapporto di lavoro, in questi casi è sempre necessario l’intervento giurisdizionale (a prescindere dal fatto che comunque l’ente previdenziale potrebbe raggiungere un risultato almeno soddisfacente anche se fosse l’ispettore a qualificare il rapporto di lavoro per via della velocità del procedimento conciliativo, che consentirebbe un più veloce recupero contributivo). In riferimento al soggetto che ai sensi del primo comma è chiamato ad operare il tentativo di conciliazione va sottolineato che il funzionario, che può avere anche qualifica ispettiva, non opera, durante l’espletamento di tale tentativo, quale ufficiale di polizia giudiziaria; tale qualifica è infatti ricoperta solamente durante l’espletamento dell’attività di vigilanza, e non potrebbe essere altrimenti, essendo l’istituto volto proprio a ricercare soluzioni alternative alla mera repressione ispettiva. Non è pensabile un successo della conciliazione monocratica se non in seguito al superamento della naturale diffidenza dei datori avverso gli ispettori, diffidenza superabile attribuendo a questi ultimi la sola qualifica di funzionario amministrativo con il compito di mediare la controversia in atto e non già quella di ufficiale di polizia giudiziaria che, approfittando delle informazioni di cui viene a conoscenza durante l’accordo, sia pronto a rilevare infrazioni di altro tipo. Il funzionario incaricato sarà verosimilmente scelto dal dirigente della direzione provinciale, tenuto conto che servono particolari attitudini per riuscire a proporre 40 Per la tutela dei propri diritti e prima di adire l’Autorità giudiziaria, il lavoratore è tenuto obbligatoriamente ad attivare il tentativo di conciliazione; è quanto impone l’art. 410 c.p.c., il tutto tramite l’associazione sindacale cui si aderisce aper tutti coloro che intendano promuovere in giudizio una domanda relativa ai rapporti di lavoro previsti dall’art. 409 (rapporti di lavoro subordinato privato soprattutto) e che non ritengano di avvalersi delle procedure di conciliazione previste dai contratti e accordi collettivi. 21 un valido accordo tra due parti storicamente agli antipodi come il datore ed il lavoratore41. Accordo che probabilmente dovrà contenere delle reciproche concessioni, serve quindi che l’ispettore abbandoni, in determinati casi, l’ottica protezionistica verso il lavoratore e magari spinga affinché questo rinunci a qualcosa per la buona riuscita dell’accordo. Con questo non si vuole assolutamente sostenere che il funzionario debba convincere il lavoratore ad accettare delle violazioni dei propri diritti, ma solamente che serve una duttilità professionale significativa per affrontare questo nuovo compito. 2.2. La conciliazione contestuale L’ultimo comma dell’art. 11 d. lgs. n. 124/2004 prevede la possibilità di una conciliazione cosiddetta contestuale, nel senso che il tentativo può essere esperito in sede di visita ispettiva, sempre se la conciliazione viene ritenuta possibile. Il concetto di base è lo stesso della conciliazione preventiva, così come restano validi i chiarimenti fatti sopra. Un possibile dubbio poteva sorgere considerando il caso in cui in seguito ad una richiesta fatta alla direzione provinciale, non si fosse ravvisata la possibilità di una conciliazione preventiva (per mancanza delle condizioni di cui sopra) e si fosse quindi proceduto con regolare ispezione. Ebbene ci si può chiedere se in questo caso la conciliazione contestuale sia ancora utilizzabile, da che l’ispezione consegue ad un mancato accordo preventivo. La circolare ministeriale n. 24/2004 ha chiarito la questione dando risposta negativa al quesito; sebbene ad una prima analisi pare che non possa essere altrimenti, ad una più approfondita disamina si può contestare l’impostazione sostenendo che non si vede motivo per cui in sede di ispezione42 non possano emergere successivi elementi tali da far mutare le condizioni iniziali e rendere fattibile una conciliazione, che sarebbe a questo punto di tipo “contestuale”43. Tuttavia il ministero ha esplicitamente provveduto a fornire l’indicazione di come operare in casi simili, ed a tali indicazioni ci si deve attenere. Nel momento in cui il funzionario individua i presupposti per avviare un tentativo di conciliazione, lo comunica alla direzione che si preoccuperà di individuare un soggetto che espleterà tale tentativo. Il soggetto potrebbe essere l’ispettore stesso, 41 Da qui la necessità di ricordare ancora una volta il bisogno di formare adeguatamente il personale ispettivo. 42 Anche se successiva ad una valutazione che non ha evidenziato possibilità conciliative. 43 Massi E., “Le conciliazioni presso le direzioni provinciali del lavoro”, www.dplmo.it, 2005. 22 nel qual caso le probabilità di riuscita saranno sicuramente buone; restano valide le perplessità mosse circa il conflitto di interesse che potrebbe nascere44. Il fatto che nell’ultimo comma si richieda <<il consenso delle parti>> fa presupporre che il datore sia a conoscenza di quale sia la controparte la cui fattispecie conciliativa si riferisce giacché non è pensabile ottenere il consenso senza sapere quale sia l’interlocutore. Infine l’ultimo chiarimento sottende ad evidenziare come nella conciliazione contestuale manchi l’elemento discrezionale in mano alla Direzione provinciale, ravvisabile invece nella conciliazione preventiva, e d’altra parte una volta che l’ispettore ha rilevato la possibilità di accordo ed ha ottenuto il consenso delle parti nessun tipo di discrezionalità sarà più prospettabile. 2.2.1. La procedura Non è stata prevista alcuna procedura particolare per svolgere il tentativo di conciliazione, ma al Co. 2, art. 11, d. lgs. n. 124/2004, si consente alle parti convocate <<di farsi assistere anche da associazioni o organizzazioni sindacali ovvero da professionisti cui abbiano conferito specifico mandato>>. Questa è l’unica precisazione riconducibile al momento in cui la conciliazione deve essere concretamente avviata. È ancora lasciato alla discrezionalità del funzionario stabilire come operativamente si svolgerà il tentativo, sul quale non grava il peso di dover cercare l’accordo entro un termine preciso45. Si prevede solamente che il funzionario incaricato convochi i soggetti coinvolti, datore di lavoro e lavoratore, per una data ed ora fissata per svolgere il tentativo conciliativo. In caso di eventuale accordo questo è immediatamente valido ed inoppugnabile, produce tra le parti gli stessi effetti ed ha la stessa efficacia degli accordi sottoscritti ai sensi degli art. 185, 410, 411 c.p.c. (conciliazione con il lavoratore assistito). Contro l’accordo non è quindi più possibile proporre ricorso ed è per questo che molto si è dibattuto circa la natura dei diritti cui si poteva fare riferimento nel verbale finale. Il datore, per evitare l’avvio (o la continuazione) del procedimento ispettivo, è tenuto ad adempiere all’accordo nei tempi e nei 44 Vedi parte introduttiva. 45 Sono sospesi per tutta la durata del tentativo conciliativo i termini di cui all’art. 14 legge 689/81 relativi alla contestazione e alla notificazione delle violazioni. 23 modi previsti, pagando le somme dovute e versando i contributi previdenziali46 ed i premi assicurativi dovuti, il riferimento è naturalmente <<alle somme concordate in sede conciliativa, in relazione al periodo riconosciuto dalle parti>>. È ammessa la possibilità di rateizzare i pagamenti, opzione che sarà probabilmente molto utilizzata visto che, per come è stata scritta la norma, alcune soluzioni potranno essere molto onerose47. Come detto ad accordo raggiunto il procedimento ispettivo si estingue, tuttavia tale effetto è condizionato dal verificarsi di tre condizioni: il pagamento delle somme conciliative al lavoratore, il versamento dei contributi e la verifica dell’avvenuto pagamento dei contributi. Se invece l’accordo non si raggiunge (o non lo si rispetta) l’ispezione riprende vigore, fermo restando l’obbligo da parte del lavoratore di ripetere il tentativo conciliativo, ai sensi dell’art. 410 c.p.c., affinché possa poi procedere in giudizio. 2.3. Conclusioni ed osservazioni Al di là di una descrizione dettagliata di tutti gli aspetti giuridici e dottrinali che circondano un nuovo istituto, interessa qui mettere in evidenza il ruolo ed il significato che questo assume all’interno del dettato normativo riformato. Interessante da questo punto di vista è la “rivitalizzazione” della funzione conciliativa rispetto ai dettati precedenti che facevano riferimento (per quel che riguarda sempre un possibile aspetto conciliativo nella normativa ispettiva) alla commissione conciliativa ex art. 410 c.p.c. Sono note infatti le grosse difficoltà operative di queste commissioni, oberate di lavoro soprattutto dopo l’introduzione del tentativo obbligatorio di conciliazione. Il nuovo istituto sembra avere le carte in regola per incidere sulle dinamiche della lotta alle violazioni in materia di lavoro, riducendo il carico di lavoro giudiziario e dirottando gli agenti coinvolti su possibili accordi conciliativi, con una più rapida soluzione delle controversie e più 46 La questione relativa ai contributi previdenziali è più complessa e meriterebbe di essere approfondita, si ricordi qui solamente che la circolare n. 24/2004 fa riferimento al rispetto dei minimali contributivi fissati dalla legge nel caso la somma oggetto di conciliazione sia inferiore a detti minimali. 47 Zoli C., in commento all’articolo, sostiene come il riferimento <<alle norme in vigore>> presente nell’articolo impone il rispetto dei minimali contributivi imposti dalla legge 389/89 art. 1, Co 1 qualora l’importo della conciliazione sia inferiore. Questo appunto rischia di rendere molto onerose alcune soluzioni. 24 risorse da dirottare in altri campi. La rottura con il passato sta anche nella scelta della “monocraticità” dell’organo che interviene; il sistema previsto dalla legge n. 533/1973 dove le controversie individuali di lavoro avvenivano davanti ad una commissione provinciale di conciliazione è stato superato. Questo grazie anche all’intervento della Corte di cassazione che in recenti pronunce48 ritiene <<sufficiente l’intervento del singolo funzionario dell’amministrazione per sottrarre il lavoratore dalla condizione di soggezione rispetto al datore, che rende sospette di prevaricazione le eventuali rinunce e transazioni intervenute nel corso del rapporto, con conseguente impugnabilità della conciliazione ai sensi dell’art. 2113 c.c.>>. L’idea di fondo presuppone comunque una analisi della situazione dalla quale emerga la reale possibilità di ricomposizione del conflitto, tuttavia si può pensare che l’autorevolezza del soggetto che svolge la conciliazione, il modus operandi poco formalizzato e la prospettiva di non dover ricorrere a controversie giudiziali possa essere un grosso incentivo all’utilizzo di questo nuovo strumento. La chiusura sull’argomento riguarda un ultimo spunto di riflessione emerso durante un convegno tra consulenti del lavoro sul tema, nel quale, a detta di un funzionario del ministero, si prospettava il ricorso alla conciliazione anche da parte del datore. La questione è chiaramente delicata, nel caso sarà interessante delineare (in linea teorica visto ad oggi non si sono riscontrati casi concreti) il ruolo del consulente del lavoro in appoggio ad un datore intenzionato ad utilizzare questo istituto. 3. La diffida accertativa per i crediti patrimoniali Qualora nell’ambito dell’attività di vigilanza emergano inosservanze alla disciplina contrattuale da cui scaturiscono crediti patrimoniali in favore dei prestatori di lavoro, il personale ispettivo delle Direzioni del lavoro diffida il datore di lavoro a corrispondere gli importi risultanti dagli accertamenti (Co 1, art. 12, d. lgs. n. 124/2004). È questa sostanzialmente la descrizione di questo altro nuovo istituto, disciplinato poi, in alcuni suoi aspetti operativi, negli altri commi dell’articolo 12. 48 Corte Cassazione Sez. lav. Sentenza n. 17785 del 12 settembre 2002. 25 È un altro dei tasselli che si inseriscono nella strategia complessiva della riforma, volta in questo caso alla semplificazione della procedura per la soddisfazione dei crediti di lavoro, fornendo gli ispettori di nuovi poteri, con i quali intervenire direttamente in difesa dei diritti dei lavoratori. Uno strumento amministrativo, in mano all’organo ispettivo, diretto a soddisfare i loro diritti patrimoniali49, evitando l’avvio di un giudizio di cognizione (che porta, come noto, un notevole allungamento dei tempi). 3.1. Procedura Anche qui la novità è importante perché stravolge quelli che erano i tradizionali compiti/poteri degli ispettori accertatori; prima della riforma, in riferimento ad eventuali somme dovute dal datore al lavoratore, il personale ispettivo doveva limitarsi a rilevare l’infrazione/violazione sia amministrativa che, eventualmente, penale, e procedere successivamente a recuperare i contributi previdenziali persi. Non interveniva in nessun modo, perché non ne aveva potere, a difesa del lavoratore che si vedeva leso il proprio diritto a ricevere il credito. Ora invece tale potere è a disposizione dell’ispettore che può diffidare il datore a corrispondere il credito dovuto, con un provvedimento autoritativo, che può addirittura diventare titolo esecutivo in seguito a validazione della direzione provinciale. Proprio questo ultimo aspetto comporta la necessità di muoversi con cautela in questo ambito, capendo bene dove circoscriverne l’utilizzo50. Un primo punto è stato chiarito dal ministero stesso, che con la più volte citata circolare n. 24/2004 ha “imposto” un interpretazione per cui lo strumento di diffida non è obbligatorio. Così come visto per la conciliazione monocratica, l’ispettore deve anche in questo caso farsi carico di una valutazione discrezionale di tutte le circostanze, sulla base dei risultati dell’indagine e degli elementi 49 Sorgono dubbi circa la reale volontà del legislatore di usare questo termine, in realtà pare più appropriato interpretarlo come “crediti pecuniari” come sostiene Bolego G., in Razionalizzazione delle funzioni ispettive in materia di previdenza sociale e di lavoro. Le nuove Leggi civili commentate,2005. 50 Bolego G., Razionalizzazione delle funzioni ispettive in materia di previdenza sociale e di lavoro. Le nuove Leggi civili commentate, 2005. 26 emersi51 durante la fase ispettiva. Discrezionalità che è prevalentemente tecnica, nello stabilire se il materiale raccolto è idoneo a determinare il valore dei crediti patrimoniali dovuti in modo preciso; si vuole escludere il caso in cui sia il funzionario, una volta raccolti tutti gli elementi e stabilito che questi sarebbero idonei a proporre la diffida, a decidere se procedere effettivamente a diffidare il datore. L’applicazione dell’istituto è rivolta alla categoria dei prestatori di lavoro, non restringendo la tipologia contrattuale che lega il lavoratore al datore, è congruo ritenere che sia rivolto tanto ai subordinati quanto agli autonomi (il riferimento è per esempio alla collaborazione coordinata e continuativa a progetto, o lavoro occasionale). Nella più ampia concezione è da intendersi anche l’individuazione della parte passiva, il termine usato è qui quello generico di <<datore di lavoro>>. La condizione per poter procedere è individuata nell’inosservanza della disciplina contrattuale, locuzione che, in seguito ad un altro intervento interpretativo del ministero, qualifica come oggetto di diffida sia i crediti che derivano da contrattazione collettiva (ad ogni livello) che quelli che derivano da contrattazione individuale52. Nello specifico i crediti a cui si fa riferimento sono tutti quelli che derivano da una mancata applicazione di un qualsiasi istituto economico pattuito contrattualmente, che abbiano caratteristiche di liquidità, determinatezza, esigibilità e certezza53. Qualsiasi somma che spetti al lavoratore in virtù di un impegno preso dal datore può rientrare nell’istituto, quindi in via esemplificativa si citano la retribuzione nel suo complesso (minimi contrattuali, scatti di anzianità, 51 La questione non è di facile soluzione come sembra. La facoltatività può essere riferita alla acquisizione o meno dei dati utili a determinare la spettanza, per cui l’ispettore può decidere o meno se procedere a diffidare in mancanza di alcuni elementi; oppure può essere intesa nel senso che l’ispettore in possesso di tutti gli elementi per determinare il credito può decidere o meno se diffidare. Si ritiene che la prima interpretazione sia più consona alla finalità della normativa. 52 Non si è seguita l’interpretazione data in seguito all’art. 7 circa i poteri degli ispettori, quando si fa riferimento al potere di vigilare sull’applicazione dei contratti collettivi. In quel caso si ritiene che lo scopo è di salvaguardare interessi generici, qui invece gli interessi sono particolari per cui è ammessa la diffida per clausole singolarmente contrattate. 53 Liquido nel senso che il credito deve essere espresso in denaro, determinato e quindi definito in modo chiaro ed inequivocabile. Esigibile e non condizionato dal verificarsi di un qualche evento ed infine certo nel senso di essere idoneo a giustificare la diffida. 27 indennità, TFR ecc..), tutte le erogazioni pattuite come i premi per risultati o anzianità, o ancora dei benefits non considerati nella retribuzione. L’ispettore per poter diffidare il datore deve avere accertato l’inosservanza/e ed avere rilevato gli elementi che gli consentano di ricostruire in modo preciso l’ammontare da corrispondere, curandosi di fare attenzione che i requisiti appena elencati siano soddisfatti54. È stato osservato da più parti che il termine “patrimoniale” usato nell’art. 12 sia probabilmente una scelta lessicale infelice, laddove il legislatore intendesse in realtà fare riferimento a crediti “pecuniari”. Attenzione che la necessaria premessa a tutto il ragionamento fatto attorno alla corretta individuazione dei crediti è che nel rapporto di lavoro oggetto di verifica ci sia la presenza di un contratto; la questione è tutt’altro che banale in quanto sono di conseguenza escluse tutte le situazioni di lavoro “nero”.55 Il risultato dell’applicazione della procedura è un provvedimento amministrativo, contenente una statuizione che incide sui diritti sia del datore che del lavoratore. Ha il carattere della esecutività e, in seguito ad un procedimento di <<validazione>> effettuato dalla Direzione provinciale, della esecutorietà, consente cioè al beneficiario del provvedimento di far rispettare quanto in esso contenuto, superando l’opposizione posta dal soggetto colpito. La particolarità sta nel fatto che questo provvedimento acquisisce tale caratteristica senza una pronuncia giurisdizionale, ma perché è la legge a stabilirlo (e questo è sintomo dell’allargamento e del cambiamento dei poteri affidati ai singoli ispettori, in quanto è vero che è la Direzione che valida il provvedimento, ma sono pur sempre i singoli ispettori che hanno effettuato gli accertamenti tecnici da cui derivano le statuizioni. E comunque la direzione non è in ogni caso organo giurisdizionale competente a rendere esecutorio un titolo)56. La diffida accertativa (prima della validazione) viene notificata al datore cha ha, ai sensi del secondo comma, la possibilità di promuovere, entro 30 gg, un tentativo 54 Casotti A., Gheido M.R., “Le strategie difensive del datore di lavoro”, Giuffrè editore, 2006. 55 Quindi tutte le situazioni in cui non c’è alcuna risultanza scritta dell’esistenza di un rapporto di lavoro. 56 Vallebona A., relazione sull’ “L’accertamento amministrativo dei crediti di lavoro”, www.csdn.it/csdn/relazioni_doc/vallebona_costa_classica_2005.doc 28 di conciliazione (monocratica)57 davanti alla Direzione provinciale cui appartiene il funzionario. Obiettivo del datore è quello di ottenere l’inefficacia della diffida, che in sede conciliativa non funge da parametro valutativo in quanto frutto di un accertamento tecnico che ha bisogno, per raggiungere l’esecutorietà, di una ulteriore validazione. Quindi non sono i dati contenuti nella diffida il termine di paragone per raggiungere un eventuale accordo. Le caratteristiche di questa conciliazione sono comunque diverse dalla precedente, in particolare il procedimento non incide sul proseguo dell’attività ispettiva come accade per la conciliazione ex art. 11, d. lgs. n. 124/2004. Resta tuttavia valida la non impugnabilità delle rinunce come effetto del verbale di conciliazione. In questa sede il datore ha la facoltà di discutere solamente del quantum e non sulla natura o meno del titolo del credito, questo comporta che, in risposta ad alcuni quesiti posti al Ministero del lavoro, non è possibile una compensazione con altri tipi di credito che il datore vanti nei confronti del lavoratore.58 Se il datore non sfrutta la possibilità conciliativa, per scelta o per decorso del termine di 30 gg, oppure se il tentativo fallisce, la diffida acquisisce valore di accertamento tecnico, con efficacia di titolo esecutivo, in seguito all’emanazione di un provvedimento della Direzione provinciale, come più volte ricordato. È un atto di controllo sia sulla legittimità che sul merito, cioè va controllato che siano state rispettate le procedure e la correttezza formale dell’atto, e che ci siano i presupposti sostanziali per l’adozione dell’atto di diffida. A questo punto la diffida validata va notificata non solo al datore ma anche al lavoratore, soggetto beneficiario del provvedimento; tale data è infatti punto di partenza per ulteriori fasi del procedimento. Il datore può infatti esperire ricorso al Comitato regionale per i rapporti di lavoro59, il lavoratore invece è in possesso di un titolo esecutivo che gli consente di procedere, se necessario, alla riscossione coattiva del credito. 57 La conciliazione monocratica ex art. 12 è molto diversa da quella dell’art. 11. Su tutto si ricorda che l’azione è qui di un privato e non c’è iniziativa d’ufficio, mentre dal punto di vista degli effetti non è previsto un effetto istintivo del procedimento di ispezione come prevede invece la conciliazione ex art. 11. 58 In sede di convegno “La disciplina delle ispezioni sul lavoro” del 27/11/2006 è stato posto il quesito circa la possibilità di compensare i crediti vantati dal lavoratore con dei debiti, dovuti magari a prestiti o quant’altro, in sede di conciliazione. 59 Il Comitato, ai sensi dell’art 17 del presente decreto, è costituito presso la Direzione regionale 29 Senza addentrarci nella descrizione tecnica del procedimento, si ricorda solamente che con la proposizione di tale ricorso (che verrà deciso nel termine di 90 gg) viene sospesa l’esecutività del titolo, il lavoratore non potrà spedire il titolo in forma esecutiva, cioè ne procedere a esecuzione forzata ne notificare il precetto, qualora il precetto sia già notificato devono ritenersi sospesi i termini per l’esecuzione forzata e per l’opposizione. 3.2. Osservazioni e dubbi sull’applicazione della diffida accertativa L’obiettivo del legislatore, in primis quello delegante, era quello di semplificare la procedura di riscossione dei crediti da lavoro, senza per questo sovraccaricare il sistema giudiziario che già di per se fatica ad evadere le numerose richieste (è noto l’annoso problema dei ritardi della giustizia italiana). Per fare questo la scelta operata è stata di affidare all’organo ispettivo, nelle veci del singolo funzionario, il potere di emanare un atto amministrativo qualificabile come esecutivo, “saltando” il passaggio giurisdizionale solitamente necessario per qualificare tali atti. A tal proposito è stato rilevato come la tutela a favore dei lavoratori sia, per certi aspetti, troppo sbilanciata nei loro confronti60, proprio in virtù di questa nuova tipologia di atto, che, sotto diversi profili, attenua in modo consistente il diritto di difesa del datore di lavoro61. Questo perché egli per difendersi e portare l’atto di diffida, resa esecutiva dalla validazione, in giudizio deve proporre “l’opposizione all’esecuzione”62 (tutto questo sulla premessa tesi che il ricorso amministrativo non sospenda ne l’esecutività del titolo ne i termini per proporre l’opposizione63). 60 In tal senso Bolego G., Razionalizzazione delle funzioni ispettive in materia di previdenza sociale e di lavoro. Le nuove Leggi civili commentate,2005. Commentario sistematico al decreto n. 124, pg 970. 61 Bolego g. op. citata. In particolare si ricorda il riferimento all’impugnazione consentita davanti ad un organo amministrativo dove vale peraltro la regola del silenzio assenso; e l’opposizione all’esecuzione in cui il diritto di difesa è fortemente attenuato. 62 Il riferimento è ad una difesa giurisdizionale e non amministrativa che è invece garantita dal ricorso al Comitato regionale. 63 Ci si è chiesto se la presentazione del ricorso amministrativo in seguito alla già avvenuta notifica del precetto sospenda i termini per procedere all’esecuzione, Rausei ha dato una soluzione positiva, in realtà molto dubbia giacché come ricorda Bolego G., “la proposizione del ricorso gerarchico sospende l’esecutorietà del titolo esecutivo, non già dei termini per le opposizioni o per procedere all’esecuzione”. 30 Di per sé l’opposizione non è però idonea a sospendere l’esecutività della diffida, per cui il soggetto beneficiario ha facoltà di procedere comunque ad esecuzione forzata. Secondo giurisprudenza infatti, la sospensione della procedura esecutiva è possibile solo in seguito al pignoramento, o, prima del pignoramento, in seguito alla proposizione di una domanda cautelare, in cui bisogna dimostrare l’esistenza di <<gravi motivi>> e del <<pericolo di danni gravi ed irreparabili>> (art. 700 c.p.c.). Essendo assolutamente non agevole una dimostrazione di questo tipo, in molti casi sul datore di lavoro penderà un atto esecutivo emanato da un’autorità amministrativa difficilmente sospendibile. Oltre a questo bisogna considerare che l’accertamento compiuto dall’ispettore in sede ispettiva è di tipo tecnico, il giudice chiamato a decidere sull’eventuale opposizione, potrebbe decidere di non procedere all’accertamento tecnico d’ufficio per quantificare il credito, essendo di fatto questo già eseguito dall’ispettore stesso64. Da qui si è profilato un problema di costituzionalità, ritenendo che si violasse da una lato il diritto di difesa del datore e dall’altro il principio di giustiziabilità degli atti amministrativi. A prescindere dal fatto che la norma non è incostituzionale (non per mia conclusione ma perché la Suprema Corte non l’ha dichiarata tale), le osservazioni sollevate hanno causato notevoli perplessità tra gli addetti ai lavori (su tutto la circolare n. 18107/2004 Confindustria).65 Tuttavia ci sono invece, a mio parere, diversi argomenti a sostegno di una critica positiva del nuovo istituto. Innanzi tutto la necessità di semplificazione invocata ha reso obbligatorio evitare il transito “giurisdizionale” dell’atto di diffida, transito che avrebbe complicato l’azione ed allungato i tempi di soddisfazione dei crediti, proprio l’aspetto che si voleva eliminare. A questo punto affidare l’incarico accertativo all’organo ispettivo è probabilmente la scelta migliore, avendo questo le competenze più idonee per farlo. Rendere poi esecutivo l’atto di diffida, che deriva dall’accertamento tecnico dell’ispettore, in seguito al controllo 64 Il giudice per decide sull’opposizione potrebbe usare lo stesso accertamento, inteso qui nel senso di valore del credito accertato, oggetto dell’opposizione stessa. Si ritiene che comunque il datore abbia facoltà di richiedere un diverso accertamento, per non (secondo Confindustria) eliminare completamente il già compresso diritto di difesa del datore. 65 Margiotta S. rileva inoltre come il trattamento sbilanciato sia giustificabile eventualmente in caso di tutela di un interesse pubblico, ma in questo caso il rapporto contrattuale è di diritto privato e dovrebbe porre entrambi i soggetti sullo stesso piano. 31 della Direzione è una precisa scelta del legislatore, che, come ricorda Rausei66, è assolutamente legittima visto che è il c.p.c. che demanda alla fonte normativa la facoltà di individuare quale siano gli atti dotati di tale efficacia. È l’art. 474 c.p.c. che stabilisce quali siano i titoli da considerarsi esecutivi, ed essendo previsto al 2° comma, n. 2 che sono titoli esecutivi <<….gli altri titoli di credito e gli atti ai quali la legge attribuisce espressamente la stessa efficacia>>, la diffida di cui all’art 12 decreto n. 124/2004 rientra tra questi titoli a formazione cosiddetta stragiudiziale67 D’altra parte se l’esecuzione forzata non può avere luogo che in virtù di un titolo esecutivo per un diritto certo, liquido ed esigibile68, si può ritenere che il legislatore, dando all’amministrazione la possibilità di emanare un atto di questo tipo, presupponga che i crediti “coinvolti” siano quelli che prima dell’intervento ispettivo siano liquidi ed esigibili, e che sia compito dell’ispettore constatarne la certezza. Questo a sostegno ancora dell’ipotesi che i crediti diffidabili non sono quelli soggetti a valutazioni complesse. Pensiamo per esempio alla riqualificazione del rapporto di lavoro da autonomo a subordinato, o crediti derivanti da licenziamento illegittimo o ad altri di simili caratteristiche; non è immaginabile che crediti di questo tipo siano diffidabili in quanto l’accertamento su cui si fonda la diffida potrebbe essere modificato in seguito ad un ricorso esperibile contro i generici accertamenti fatti dall’organo di vigilanza. Quindi, seguendo anche l’interpretazione del ministero (circolare n. 24/04) l’ispettore procederà alla diffida solo nel caso in cui sia in possesso di elementi certi, obiettivi ed idonei che consentano facilmente di pervenire alla determinazione delle spettanze patrimoniali dovute al lavoratore. Altrimenti, ottenuto il consenso delle parti, procederà a conciliazione monocratica, ex art. 11. Un’ultima questione di possibile incostituzionalità sollevata si riferisce al momento conciliativo concesso al datore. Il datore ed il lavoratore hanno la possibilità di raggiungere un accordo, vincolante, sull’ammontare del credito dovuto, che sarà, con molte probabilità, diverso da quello per cui l’ispettore ha 66 Rausei P.,”La riforma dei servizi ispettivi”, DPL n. 30/2004; “La nuova ispezione in azienda”, DPL serie Oro, n. 4 del 2004. 67 Mondelli M., “La diffida accertativa: una lettura costituzionalmente orientata”, www.dplmodena.it/diffida_accertativa.pdf. 68 Art. 474, comma 1, c.p.c. 32 diffidato il datore (altrimenti non ci sarebbe motivo di ricorrere all’alternativa della conciliazione). Questo significa che i soggetti privati, possono far perdere efficacia all’atto emesso dall’amministrazione, incidendo sull’ammontare delle somme dovute al lavoratore e, conseguentemente, sull’ammontare dei contributi non versati. Tuttavia, essendo legislativamente prevista l’indisponibilità dei contributi, è necessario interpretare la norma69 nel senso che sotto il profilo contributivo e assicurativo i versamenti non possono essere inferiori all’importo retributivo previsto per legge (L. n. 389/1989). Si evita in questo modo che datore e lavoratore sfruttino la possibilità conciliative previste dal secondo comma con l’intento di incidere sull’ammontare contributivo da versare70. In virtù delle considerazioni fatte ritengo infine che si sia sicuramente scelto di sacrificare la posizione del datore a favore di una procedura che realmente garantisse la rapida soddisfazione dei crediti dei lavoratori, con buona pace del datore che ha in altri istituti del decreto condizioni più favorevoli rispetto al passato71. Sia chiaro che non si vuole sostenere che il legislatore con l’introduzione del nuovo istituto intendesse bilanciare gli interventi a favore dell’una e dell’altra parte per appagare tutti, solamente sostengo che in relazione agli obiettivi della legge delega (di tutta la legge delega e non solamente della parte interessata da questo articolo) la soluzione adottata pare adatta, anche se sfavorevole ad una fazione. D’altra parte l’intervento del Ministero stesso, volto a circoscrivere i contorni della diffida accertativa attraverso circolari interpretative, pare proprio pilotato dalla consapevolezza delle perplessità sollevate all’indomani dell’emanazione del decreto lgs. n. 124/2004, e pare rispondere a dette perplessità cercando di imporre una certa cautela nell’utilizzo dello strumento. La conseguenza innegabile è che comunque l’interpretazione restrittiva che ne deriva attenua e sopisce, almeno in parte, le critiche mosse, anche da confindustria. Probabilmente il metodo non è inappuntabile72, tuttavia l’effetto, a mio avviso, 69 Così come ha provveduto a fare il Ministero bella circolare n. 24/2004. 70 Bolego G., op citata; Rausei “ La riforma dei servizi ispettivi”, Diritto e pratica lavoro, n. 30/2004. 71 Mi riferisco a tutte le attività di prevenzione e promozione e ai possibili tentativi di conciliazione che consentono al datore di lavoro di evitare un intervento repressivo o di posticiparlo. 72 Si auspica sempre una maggiore chiarezza e precisione in sede legislativa piuttosto che dover ricorrere a successive interpretazioni riparatore. 33 ottenuto è che il paventato pericolo di una soggezione del datore di lavoro rispetto all’istituto della diffida pare quindi essere eccessivo, constatato ancora una volta che in ogni caso la posizione del datore ne esce in questo caso sicuramente indebolita. 4. Il potere di diffida obbligatoria La diffida a regolarizzare gli inadempimenti degli obblighi in materia di lavoro e legislazione sociale è uno dei poteri degli ispettori del lavoro ed in quanto tale è fisicamente collocato nel decreto al capo III del decreto, rubricato proprio “Poteri del personale ispettivo delle direzioni del lavoro”. Sia la diffida che la prescrizione, che esaminerò dopo, possono essere considerati indifferentemente come degli istituti oppure come dei poteri in mano agli ispettori, in giurisprudenza ed in dottrina vengono infatti utilizzati entrambi i termini identificativi. Indipendentemente da questo siamo qui di fronte a due strumenti già presenti nell’ordinamento italiano, esenti dal carattere di assoluta novità che ha caratterizzato invece quanto esaminato finora. Il legislatore delegante aveva però espressamente richiesto che i due istituiti venissero riscritti73, e così è stato fatto, almeno per la diffida obbligatoria, nell’articolo 13 del decreto lgs. n. 124 del 2004. Al fine di individuarne meglio le peculiarità, è interessante però partire con l’analisi dalla normativa in vigore dal 1955 per capire quali fossero gli strumenti ispettivi in mano agli ispettori prima della riforma, e verificare cosa è cambiato (negativamente o positivamente) dal 2004. 4.1. L’evoluzione storica del potere di diffida La diffida non rappresenta una novità nel sistema legislativo lavoristico italiano, è uno strumento presente sin dal 1913 (data del primo regio decreto che la introduce, n. 431) e disciplinato poi in modo compiuto con il D.P.R. n. 522 del 1955, che nel disciplinare in modo organico i servizi ispettivi lo annoverava tra i possibili poteri del personale stesso. All’art. 9 del D.P.R. n. 522/1955 infatti si diceva che <<in caso di constatata inosservanza delle norme di legge, la cui applicazione è affidata alla vigilanza dell’Ispettorato, questo ha la facoltà, ove lo ritenga opportuno e valutate le 73 Art. 8, c), legge n. 30 del 2003. 34 circostanze del caso, di diffidare con apposita prescrizione il datore di lavoro fissando un termine per la regolarizzazione>>. Gli spunti di riflessione su questa disposizione non sono mancati, così come non sono mancati interventi della corte di cassazione a chiarimento di alcuni punti controversi e dibattuti. Per comprendere meglio la portata della problematica sono però necessarie alcune precisazioni preliminari. Il codice di procedura penale all’articolo n. 39 stabilisce che la distinzione all’interno del campo dei reati avviene sulla base della diversa specie di pene previste per la violazione, ed in particolare la distinzione riguarda i delitti dalle contravvenzioni. Quindi secondo quanto previsto dal codice (e da altre leggi specifiche e speciali) si classificano come delitti i reati puniti con la pena dell’ergastolo, della reclusione e della multa; sono invece contravvenzioni i reati puniti con l’arresto e con l’ammenda74. Nel mondo del lavoro la maggior parte dei reati sono considerati contravvenzioni, ed hanno come pena una ammenda; ci sono tuttavia dei casi di particolare gravità per i quali è prevista una pena alternativa tra arresto ed ammenda, oppure congiunta. Resta chiaro che le ipotesi di reato più gravi sono invece punite con multe e reclusioni e pertanto qualificabili come delitti. Le ipotesi di reato sono però, nel nostro sistema, dei casi che si possono considerare residuali; in virtù dell’applicazione della legge n. 689/1981 si è proceduto alla cosiddetta depenalizzazione dei reati minori, che ha trasformato buona parte dei reati punibili con ammenda (reati-contravvenzione quindi) in illeciti amministrativi. Ecco che a completare il sistema degli illeciti rilevabili in materia di lavoro, agli illeciti penali si affiancano gli illeciti amministrativi. La distinzione e la premessa appena esposte sono utili a capire il problema di fondo che caratterizzava la diffida nella legislazione del 1955, con riguardo, nello specifico, all’eccezione del principio costituzionale dell’obbligatorietà dell’azione penale. Con l’entrata in vigore della Costituzione (l’art. 112 in questo caso è quello che interessa) e la successiva approvazione del D.P.R. n. 520/1955 sono state avanzate alcune tesi in ordine agli effetti e all’utilizzo della diffida ex art. 9. Sulla premessa che in molti ritenevano la diffida in grado di operare solamente in ambito penale, si sosteneva che la disposizione costituzionale dell’ufficialità e 74 Margotta S.,”Ispezioni in materia di lavoro”, IPSOA, 2005. 35 obbligatorietà dell’azione penale75 potesse essere derogata solamente in casi previsti espressamente dalla legge; ciò escludeva che la diffida potesse incidere sull’esercizio dell’azione penale, esperibile comunque, ed escludeva la possibilità di accordare al datore una sorta di deroga a delle disposizioni di legge penalmente rilevanti. Diretta conseguenza di questa impostazione è che l’ispettore avrebbe dovuto comunicare la notizia del rato al P.M., a prescindere dal fatto che avesse ritenuto di diffidare il datore in seguito alle valutazioni sulle circostanze del caso. Non era insomma considerato ammissibile che ci fosse estinzione del reato in seguito a diffida. La tesi contrapposta invece prevedeva che la procedibilità dell’azione penale fosse in qualche modo condizionata dall’inottemperanza alla diffida76. Seguendo la prima impostazione infatti, l’istituto sarebbe stato di scarso aiuto, diventando solamente elemento di valutazione positiva nei confronti del trasgressore in sede di quantificazione della pena77. In questa seconda tesi quindi non si sarebbe dovuto procedere a comunicare il reato all’autorità giudiziaria fintantoché il datore non avesse lasciato spirare il termine per ottemperare, né era esperibile l’azione penale. L’organo ispettivo, nelle veci del funzionario di turno, utilizzava di fatto la diffida come strumento alternativo alla comunicazione all’organo giudiziario del reato. Un primo (rilevante) tentativo di sanare il contrasto è rinvenibile nella sentenza della Corte Costituzionale n. 105/1967, che ha sostanzialmente validato l’art. 9, rigettando la questione di illegittimità costituzionale dell’interpretazione della diffida secondo cui il suo esercizio escludeva l’obbligo di inoltrare rapporto all’autorità giudiziaria.78 Tuttavia il contrasto non era ancora sanato in virtù dei 75 Costituzione della Repubblica italiana, art. 112, <<Il pubblico ministero ha l’obbligo di esercitare l’azione penale>>, c.p.p art 50. 76 Margotta S., “Ispezioni in materia di lavoro”, IPSOA, 2005. 77 Margiotta S., Ispezioni in materia di lavoro, 2005. L’art. 113 del codice penale stabilisce che la pena deve essere quantificata tenendo conto anche del comportamento del reo, di conseguenza questa seconda tesi esposta sostiene che, di fatto, diffidare il datore e procedere comunque penalmente (come paventato dai sostenitori della prima tesi) fosse utile solamente a valutare il comportamento del datore stesso, che in caso di ottemperanza potrebbe avere goduto di una maggiore clemenze dal parte del giudice. 78 Nel 1967 si sostenne che <<l’ispettore è ufficiale di polizia giudiziaria ma è in primo luogo organo di vigilanza sulla legislazione sociale, quindi la facoltà riconosciutagli di ordinare al datore che non ottempera ad obblighi di legge di procedere, entro un certo termine, alla 36 dubbi che comunque restavano da fugare, nel frattempo a modificare le cose intervenne la depenalizzazione citata prima che limitò il problema diminuendo il numero dei reati penali in materia di lavoro. Significativa è invece la sentenza delle Sezioni Unite Penali della Corte di Cassazione n. 1228 del 1993 che mise fine alla querelle. Si è affermato in questa pronuncia che << l’esercizio dell’azione penale può essere sospeso o interrotto soltanto nei casi previsti dalla legge, e nel caso citato del potere di diffida questa previsione manca>>, non può essere quindi sospesa l’azione penale in virtù dell’emanazione di un atto di diffida.79 Per concludere il discorso si sottolinea innanzi tutto che, parimenti alla tesi che accorda ai soli illeciti penali l’ambito di applicazione della diffida, anche per gli illeciti amministrativi nessun dubbio è sollevabile circa l’applicabilità dell’istituto, visto il silenzio della norma in merito ed al parere del Consiglio di Stato che già nel 1983 ha rilevato che <<non vi sono elementi per sostenere che il legislatore ha inteso riferirsi solo alle norme di leggi contenenti sanzioni penali; al contrario, volendo interpretare restrittivamente la disposizione, parrebbe apparire più sostenibile (in base al principio dell’obbligatorietà dell’azione penale) la tesi che l’art. 9 riguarda solo le violazioni punite con sanzione diversa da quella penale. Ma un’interpretazione del genere contrasta con una prassi ormai pluridecennale e fondamentalmente non contestata sotto il profilo della corfomità della norma….;sicché non può più essere revocata in dubbio o, quanto meno, non è questo il problema che pone il ministero che da per scontata l’applicabilità dell’art. 9 alle violazioni sanzionate penalmente>>80 . Nel corso degli anni l’attenzione è stata rivolta soprattutto all’aspetto penale perché per le violazioni di quel tipo era chiaro che lo scopo non fosse quello di punire, ma di fare in modo che le violazioni, dannose per i lavoratori (basti pensare alla materia degli infortuni sul lavoro), cessassero e si riconducesse in sicurezza e a legalità il regolarizzazione, non viola il principio secondo art. 112 costituzione perché i due obblighi si muovono in campi diversi>>. 79 La sentenza stabiliva che <<la diffida consiste in un formale avvertimento a rimuovere le situazioni pregiudizievoli riscontrate, che esaurisce i suoi effetti sul piano amministrativo e che non influisce sulla procedibilità o sulla punibilità del reato già commesso, mancando una previsione espressa…….>>. 80 Con tale parere il Consiglio di stato ha voluto ribadire l’applicabilità della diffida per illeciti puramente amministrativi. 37 rapporto di lavoro. In ogni caso, a scanso di equivoci, il potere di diffida è sempre stato applicabile agli illeciti amministrativi, e comunque la riformulazione secondo art. 13 del decreto lgs. n. 124 del 2004 lo prevede ora espressamente. A seguito dell’orientamento assunto nel corso degli anni, l’operatività della diffida è andata attenuandosi fino a venire quasi meno, sia perché l’istituto avrebbe avuto significatività se utilizzabile in alternativa al provvedimento sanzionatorio (che resta applicato restando valido l’obbligo di comunicazione all’autorità giudiziaria), sia perché in seguito al processo di depenalizzazione gli illeciti penali sono considerevolmente diminuiti. L’utilizzo restava quindi confinato all’ambito amministrativo. A seguito della pronuncia della Suprema Corte di Cassazione il Ministero del lavoro con una circolare (n. 73 del 27.07.1993) affermò che <<la sentenza, nel sancire il principio della non alternatività della diffida all’obbligo della comunicazione al P.M. della notizia di reato ai sensi degli artt. 331 e 347 c.p.p., ha di fatto svuotato di significato il testo dell’art. 9, D.P.R. n. 520/1955, almeno secondo l’interpretazione che aveva finora caratterizzato i comportamenti ispettivi…..omissis…>>. Invero bisogna ricordare ancora una volta che la diffida ha comunque avuto il suo peso visto che la sentenza che ne ha “svuotato il significato”, come sottolinea il Ministero, è arrivata nel 1993, quando la cosiddetta stagione delle depenalizzazioni aveva, per così dire, risolto il problema alla fonte, eliminando molte infrazioni dal novero dei reati. Per chi sosteneva che la diffida operava solo in questo campo di fatto il problema non sussisteva quasi più dalla legge n. 689/1981. Di contro per chi invece ne ribadiva l’applicabilità anche in campo amministrativo la questione si poneva in modo solamente marginale. 4.2. La nuova diffida secondo l’art. 13, d. lgs n. 124/2004 Ricollegandomi a quanto detto finora, il punto centrale, e di rottura con il passato, della nuova diffida è rappresentato sicuramente dall’abbandono esplicito dell’ambito di applicazione degli illeciti penali. Evitando di far rivivere la passate diatribe, la riforma ha espressamente previsto l’utilizzo della diffida solamente nel caso in cui, in sede di ispezione, l’ispettore venga a constatare l’inosservanza di norme in materia di lavoro e legislazione sociale per cui la legge ricollega sanzioni amministrative. In questo caso si provvede <<a diffidare il datore di lavoro alla regolarizzazione delle inosservanze comunque sanabili, fissando il 38 relativo termine>>. Dal primo comma dell’articolo appena riportato, emerge inequivocabilmente che le due condizioni base affinché si possa ricorrere all’utilizzo dell’istituto della diffida sono che l’illecito sia amministrativo e che la inadempienza sia sanabile. Naturalmente gli obblighi a cui si fa riferimento sono degli obblighi preesistenti, a cui il destinatario non ha provveduto ad adempiere. Se il datore provvede ad ottemperare alla diffida, si apre per lui un regime agevolato nel quale si prevede l’estinzione del procedimento sanzionatorio tramite pagamento di una sanzione “vantaggiosa”, pari al minimo fissato dalla legge oppure ad un quarto dell’importo stabilito dalla legge stessa81. L’altro aspetto posto a vantaggio del datore è che fino a scadenza del termine stabilito per ottemperare, sono sospesi i termini di cui all’art. 14 della legge n. 689/1981, per la comunicazione dell’illecito all’autorità competente. Per cui il soggetto che riceve la diffida può scegliere se ottemperare e pagare la cifra stabilita dal secondo comma, oppure ignorare l’atto ed in questo caso il procedimento ispettivo continuerà a fare il suo corso. Dalla descrizione di quanto contenuto nella norma si capisce come la riforma ha inteso dare un carattere di stabilità alla diffida, nel senso di evitare che ci potesse essere troppa discrezionalità in mano agli ispettori. Qui l’organo di vigilanza deve limitarsi a constatare l’inadempienza, valutare se è possibile sanarla con un comportamento tardivo in un termine accettabile, e procedere a diffidare il datore di lavoro82. Visto le problematiche sollevate dalla formulazione del 1955 (e seguenti interventi giurisprudenziali), sembra che questa, per entrambe le parti coinvolte nell’attività ispettiva, fosse l’unica soluzione percorribile.83 Al fine di evitare errate interpretazioni e chiarire alcuni dubbi sollevati in seguito all’approvazione del decreto, il Ministero del lavoro ha da poco emanato una 81 Il pagamento del minimo verrà effettuato nel caso in cui la legge preveda una sanzione il cui importo è compreso tra un massimo ed un minimo, mentre il pagamento di ¼ della somma avverrà nel caso di sanzioni stabilite in misura fissa. 82 Mangione M., Mangione N., Michienzi P., “Le ispezioni in materia di lavoro, previdenza e fisco”, Esperta edizioni, 2006; Bussino T., “I poteri del personale ispettivo: un quadro d’insieme” in op. citata a cura di Monticelli C.L. e Tiraboschi M. 83 Il riferimento è ai diversi commenti all’art. 13 dai quali emerge come, sia da parte di funzionari del welfare (Dott. Pennesi su tutti) sia da parte datoriale, tutti sia concordi nel ritenere la nuova formulazione come l’unica possibile per evitare di ritornare alle vecchie problematiche interpretative. 39 circolare84 nella quale si specifica il carattere di obbligatorietà che caratterizza l’istituto della diffida. Questo significa che la stessa costituisce condizione di procedibilità per una successiva azione sanzionatoria relativamente agli illeciti amministrativi rilevati; i provvedimenti riferibili a questo tipo di illeciti emanati senza preventiva diffida sono viziati dal punto di vista procedimentale, con conseguenze sulla legittimità del provvedimento stesso. Per lo stesso motivo è impugnabile il rifiuto di impartire la diffida da parte del personale ispettivo. Se questa è una sommaria descrizione dell’istituto, ci sono però alcune punti che vanno meglio specificati per indagare in modo più approfondito le peculiarità dello strumento di diffida al fine, anche, di chiarire alcuni dubbi. a) La sanabilità degli illeciti amministrativi Il ministero del lavoro si è preoccupato sin da subito di adottare una precisa posizione in merito alla questione di quali possano essere considerate delle violazioni sanabili, stabilendo dei parametri di riferimento per la valutazione. Innanzi tutto rientrano nella categoria le violazioni di tipo omissivo istantaneo, ad effetto permanente. Con questa locuzione il Welfare identifica le ipotesi di illecito amministrativo che riguardano inadempimenti (totali o parziali) che possono essere ancora realizzati. Sono cioè delle inosservanze che si “consumano” in modo istantaneo, con effetti che perdurano nel tempo, proprio per tutto il tempo per cui il datore non procede a regolarizzare la sua posizione. Vengono considerate sanabili, in seguito sempre a specifica disposizione del Ministero, anche quelle violazioni per cui la legge stabiliva un termine entro cui adempiere, volendo così porre in primo piano la necessità che la posizione del trasgressore venga risanata piuttosto che la volontà di punire pecuniariamente il datore85 (rientrano in queste situazioni le mancate registrazioni, a diverso titolo, che dovrebbero essere fatte sul libro paga). 84 Circolare Ministero del lavoro n. 9 del 23/03/2006, “Chiarimenti ed indicazioni operative” sull’art. 13 del decreto legislativo n. 124 del 2004. 85 Seguendo lo “spirito” di fondo del Libro Bianco sul lavoro, si preferisce porre rimedio all’illecito per garantire la posizione del lavoratore piuttosto che cercare di ricavare il più possibile dalle sanzioni (la sanzione se si ottempera è come detto notevolmente agevolata rispetto a quella prevista dalla legge). 40 Sono invece escluse dalla diffida le violazioni che derivano da comportamento cosiddetto “commissivo”, cioè violazioni che derivano da un comportamento del datore di lavoro che trasgredisce ad un divieto legalmente costituito, agendo quindi in modo antigiuridico (compilazione infedele dei modelli Cud). In generale non sono ritenute sanabili tutte le violazioni, anche se di natura omissiva, che tutelano un interesse sostanziale del lavoratore, che non è in nessun modo recuperabile con un comportamento successivo alla violazione; o perché il danno causato dall’omissione è compiuto definitivamente, o perché sono tutelati, per esempio, aspetti quali l’integrità psico-fisica del lavoratore (violazione del limite del monte ore settimanale). È chiaro che la definizione di questa particolare condizione gioca un ruolo fondamentale nell’applicazione dell’istituto, in quanto influenzerà sia il campo di applicazione (più o meno vasto), ma soprattutto determinerà l’effetto di adesione all’istituto da parte dei datori trasgressori86 La circolare ministeriale n. 24/2004 sottolinea che è possibile emanare una diffida anche nei casi in cui il datore abbia autonomamente provveduto a sanare la violazione; attuando la cosiddetta diffida ora per allora, nel senso che il contravventore che abbia ottemperato al precetto normativo prima dell’emanazione della diffida può essere comunque ammesso al pagamento della sanzione ridotta. b) I soggetti passivi La norma in questione, da un punto di vista letterale, fa riferimento al datore di lavoro. Occorre però chiarire se il soggetto diffidabile sia solamente il datore di lavoro in ogni caso, oppure possa essere il trasgressore materiale della norma; i due soggetti potrebbero (ed i molti casi è così) non coincidere. È opportuno ritenere che nella formulazione dell’art. 13 d. lgs. n. 124/2004 il legislatore abbia inteso individuare nel “datore di lavoro” quale soggetto destinatario della diffida, un soggetto individuabile in modo esteso e non circoscrivibile al preciso responsabile della trasgressione. Si può ritenere accettabile questa impostazione perché l’ispettore chiamato a diffidare non deve, in questa sede, badare ad individuare chi ha compiuto l’illecito al fine di determinarne eventuale dolo, colpa o altro; ma si deve preoccupare di indicare in modo generico un datore (anche la società stessa quindi) 86 in modo che, chi di dovere, ponga rimedio Margiotta S., op. citata; Casotti A. Gheido M.R., op. citata. 41 all’inadempienza. Coerentemente con questo si ritiene che non siano applicabili gli articoli della legge 689/1981 che fanno riferimento alla solidarietà del pagamento della sanzione, alla trasmissione agli eredi e al concorso di persone. Solamente in caso di mancata ottemperanza si procederà alla individuazione del soggetto colpevole e torneranno a “vivere” le consuete previsioni legislative relative agli illeciti amministrativi. c) I termini per l’ottemperanza Alla scadenza del termine assegnato dall’ispettore, si procede a verificare che il datore abbia provveduto ad ottemperare alla diffida, ripristinando la situazione di legalità. A verifica compiuta si potrà ammettere il trasgressore al pagamento della sanzione agevolata prima descritta, da effettuarsi anche questo entro un termine stabilito dall’ispettore, termine che fa riferimento al momento in cui si dimostra di avere effettuato il pagamento. È opinione comune ritenere che, in virtù del regime agevolato di cui gode il datore diffidato (in termini di ammontare della sanzione), il termine debba essere a breve scadenza (10 o 15 gg); si crea sostanzialmente un rapporto di favore per cui il datore è meritorio di usufruire dell’agevolazione in quanto provvede celermente a risanare la situazione illegittima. d) Finalità della diffida ad adempiere Lo scopo della diffida è sicuramente diverso da quello della sanzione altrimenti combinata per l’inadempienza rilevata. In questo ultimo caso infatti, la “punizione” a carico del datore, non mira a recuperare la situazione compromessa rispetto all’originale previsione normativa; il fatto che una somma di denaro venga versata a titolo sanzionatorio non garantisce che gli effetti previsti dalla norma per salvaguardare gli interessi del lavoratore siano raggiunti, anzi, il più delle volte ciò non accadrà. L’ottica della diffida è invece proprio quella di ristabilire la situazione giuridica corretta che è stata violata, punta a modificare il comportamento posto in essere per ritornare entro i binari stabiliti originariamente dalla legge al fine primo di tutelare l’interesse del destinatario della normativa stessa. Non si può ritenere che la diffida sia quindi un atto preparatorio alla sanzione perché le finalità sono diverse, c’è la volontà qui di fare in modo che un comportamento venga posto in essere (anche in ritardo rispetto ai termini 42 originali) per tutelare la posizione del prestatore di lavoro87. Da un punto di vista più pratico si può anche scorgere la volontà di una soluzione compositiva del conflitto che eviti l’attivazione del meccanismo della L. n. 689/1981, troppo burocratico e poco celere. Tutto questo è ancora una volta in linea con l’ampia riflessione fatta all’inizio circa il leit motiv della riforma, finalizzata non solamente reprimere ma a cercare un punto di contatto e di collaborazione tra ispettore e datore di lavoro; la diffida si prefigura proprio come un atto che dovrebbe spingere il destinatario alla collaborazione ed evitare la successiva fase repressiva. In ultima analisi restano da analizzare ancora due questioni. Visto quanto detto finora ci si è più volte chiesti se fosse possibile proporre ricorso al Comitato regionale per i rapporti di lavoro ex art. 17 del decreto in esame avverso la diffida emanata dall’ispettore. Il Ministero ha chiarito88 che la diffida obbligatoria non rientra tra gli atti contro cui è possibile proporre ricorso al Comitato ex art. 17, in quanto la diffida è “un atto avente una finalità compositiva dell'ordine giuridico violato, che non è rivolto peraltro necessariamente al trasgressore bensì al "datore di lavoro" (anche persona giuridica), e che non è immediatamente lesivo in quanto all'inottemperanza della diffida consegue comunque la contestazione della violazione al trasgressore, questa sì oggetto di ricorso ex art. 17”. L’atto di diffida non è quindi considerato lesivo della sfera giuridica del soggetto che la riceve, tanto che l’ottemperanza non viene considerata come un’ammissione di colpa, di conseguenza il ricorso non è presentabile.89 L’altro punto riguarda la necessaria citazione del quarto comma dell’articolo 13, il quale fa specifico e preciso riferimento alla possibilità di utilizzo dell’istituto della diffida anche da parte degli enti previdenziali. La condizione di procedibilità è che 87 Caputo L, “Diffida obbligatoria ed illeciti amministrativi in materia di sicurezza del lavoro” , Porreca G, “La diffida obbligatoria degli organi ispettivi per gli illeciti amministrativi in materia di sicurezza sul lavoro”; www.porreca.it. 88 Circolare Ministero del lavoro n. 10 del 2006, “Ricorsi al Comitato regionale per i rapporti di lavoro di cui al Part.17 del Decreto Leg.vo n. 124 del 23 aprile 2004. Chiarimenti e indicazioni operative”. 89 In realtà anche in seguito al chiarimento m ministeriale ci sono ancora dei dubbi su questo passaggio. Nella seconda parte del lavoro, trattando del ruolo del consulente del lavoro, esporrò alcune tesi secondo cui in realtà si potrebbe proporre il ricorso al Comitato regionale (e dovrebbe essere il consulente a farlo). Margotta S., pg 93 su tutti. 43 il potere è esercitatile limitatamente alla materia della previdenza sociale e dell’assistenza sociale, per le inadempienze rilevate dagli ispettori di quegli enti. Volendo fare un commento approfondito è possibile sollevare una serie di questioni riguardanti soprattutto la natura dell’atto di diffida nel diritto vigente (provvedimentale o meno) ed ai possibili effetti che esso produce (novativi o di mera riproposizione dell’obbligo originario). Essendo lo scopo del presente lavoro evidenziare quali poteri sono a disposizione dell’organo ispettivo per lo svolgimento della relativa attività, si preferisce evidenziare i tratti rilevanti dell’istituto e rimandare a più approfondita letteratura la trattazione dottrinale e giurisdizionale dei temi più spinosi90. 5. La prescrizione obbligatoria La prescrizione obbligatoria rappresenta la continuazione logica nella descrizione degli strumenti in mano agli ispettori dopo la diffida. È, anche questo, un potere già presente nel nostro ordinamento, disciplinato compiutamente dal d. lgs. n. 758 del 1994 che l’art. 15 del decreto n. 124/2004 lascia intatto, preoccupandosi solamente di estenderne l’ambito di applicazione a fattispecie diverse. Per comprenderne appieno le caratteristiche e le finalità è proprio dal d. lgs del 1994 che bisogna partire. 5.1. La prescrizione obbligatoria nel d. lgs n. 758/1994 L’articolo 15 del decreto legislativo n. 124/2004 richiama esplicitamente, come già ricordato, la disciplina del 1994 che rimane pertanto intatta e pienamente in vigore. Gli articoli che delineano la procedura di prescrizione sono quelli dal 20 al 25 del d. lgs. 758/94, che delineano il procedimento per l’estinzione delle contravvenzioni in materia di sicurezza e di igiene del lavoro punite con l’ammenda o con la pena alternativa dell’arresto o dell’ammenda, a seguito di apposita prescrizione dell’organo di vigilanza nelle funzioni di polizia giudiziaria91. Per l’individuazione dell’organo di vigilanza il riferimento è all’art. 21, comma 3 , della legge n. 833/1978 dove si stabilisce che è il prefetto (su proposta del presidente della regione) a stabilire quali addetti di ciascuna unità 90 Su tutti il commento di Bombardelli M. , Le nuove leggi civili commentate, opera citata. 91 Casotti A., Gheido M. R., op. citata. 44 sanitaria locale assumano ai sensi di legge la qualifica di ufficiale di polizia giudiziaria, in relazione alle funzioni ispettive da essi esercitate92. È proprio tale organo che, a norma dell’art. 21, <<allo scopo di eliminare la contravvenzione, nell’esercizio delle funzioni di Polizia Giudiziaria, impartisce al contravventore un’apposita prescrizione, fissando per la regolarizzazione un termine non eccedente il periodo di tempo tecnicamente necessario, non superiore a sei mesi eventualmente prorogabili>>. Resta comunque valido l’obbligo di riferire la notizia di reato al Pubblico Ministero. Il contenuto della prescrizione si identifica nella riproposizione del precetto violato, e quindi in un <<mero richiamo all’osservanza di un preciso obbligo disposto dal legislatore, senza modificare in alcun modo la sfera giuridica individuale del soggetto destinatario del provvedimento>>.93 Entro 60 gg dalla scadenza del termine fissato dalla prescrizione si procede a verificare che la violazione sia stata rimossa secondo le modalità indicate. Se ciò è avvenuto il soggetto <<contravventore viene ammesso al pagamento in sede amministrativa di una somma pari ad ¼ del massimo dell’ammenda stabilita per la contravvenzione commessa entro 30 giorni>>, ed <<entro 120 giorni (sempre dalla scadenza del termine fissato per la prescrizione) l’organo di vigilanza comunica l’adempimento e l’eventuale pagamento della somma>> (art. 21, secondo comma). Nel caso in cui non ci sia stato l’adempimento l’organo di vigilanza ne dà comunicazione al P.M. e al contravventore entro 90 gg dal termine fissato in prescrizione, ed il procedimento penale riprende il suo corso. La procedura descritta dagli art. 20-25 del d. lgs. n. 758/94 è utilizzabile anche qualora sia il pubblico ministero a venire a conoscenza del reato nei diversi modi possibili, in questo caso sarà questo ultimo a provvedere ad informare l’organo di vigilanza affinché proceda con la prescrizione. Una caratteristica fondamentale della prescrizione descritta è la sospensione del procedimento penale dal momento in cui la notizia di reato è iscritta (secondo le norme dell’art. 335 c.p.c.) nel registro degli indagati, fino al ricevimento della 92 Nel d. lgs. n. 758/94 si dice che l’organo di vigilanza è da intendersi come il personale ispettivo di cui all’art. 21, Co 3, della legge n. 833 del1978, fatte salve le competenze previste da altre norme. 93 Definizione di Lorusso, “La riforma dell’apparato sanzionatorio in materia di lavoro: dalla legge n. 689 del 1981 al decreto legislativo n. 758 del 1994” in Mass. Giur. Lav. 1995, pp 517 . 45 comunicazione di adempimento o meno della prescrizione da parte del Pubblico Ministero. Tale sospensione tuttavia non preclude la richiesta di archiviazione, ne impedisce l’assunzione delle prove, gli atti urgenti di indagine preliminare ed il sequestro preventivo.94 A questo punto se il soggetto passivo adempie alla prescrizione nel termine stabilito, e paga l’ammenda “ridotta”, la contravvenzione si estingue ed il pubblico ministero richiede l’archiviazione. Il decreto in esame va interpretato, coerentemente con il dettato della legge delega che lo ha ispirato (L. n. 499/1993), nel senso che il reato si intende estinto solamente dopo il pagamento della somma dovuta in sede amministrativa, e non già in seguito alla rimozione della condizione antigiuridica95. Se invece l’adempimento avviene in un tempo superiore a quello stabilito, o con modalità diverse, ma comunque la dannosità della violazione viene rimossa, si effettua una valutazione ai fini dell’applicazione dell’articolo 162 bis del codice penale, che prevede la concessione dell’oblazione cosiddetta speciale96. Questo significa che un giudice penale può dare rilevanza ad un adempimento congruo ma diverso, valutando se sussistono i presupposti dell’ art. 20, e cioè la rimozione della contravvenzione accertata. Tutto ciò non deve sorprendere eccessivamente se si pensa che comunque l’organo di vigilanza opera, nell’impartire la prescrizione, come ufficiale di polizia giudiziaria ed di conseguenza i suoi atti sono passibili di controllo da parte della stessa autorità giudiziaria. 94 95 Artt. 321 e seguenti del codice di procedura penale. Anche questo aspetto è stato sede di discussione, si è giustamente scelta l’interpretazione conforme al dettato normativo della legge delega. 96 Nelle contravvenzioni per le quali la legge stabilisce la pena alternativa dell'arresto o dell'ammenda, il contravventore può essere ammesso a pagare…una somma corrispondente alla metà del massimo dell'ammenda stabilita dalla legge per la contravvenzione commessa... Con la domanda di oblazione il contravventore deve depositare la somma corrispondente alla metà del massimo dell'ammenda. L'oblazione non è ammessa quando….. ne quando permangono conseguenze dannose o pericolose del reato eliminabili da parte del contravventore. In ogni altro caso il giudice può respingere con ordinanza la domanda di oblazione, avuto riguardo alla gravità del fatto…. Il pagamento delle somme indicate nella prima parte del presente articolo estingue il reato. 46 5.2 Dubbi e problemi interpretativi Per quel che riguarda il campo di applicazione della prescrizione sono sorti alcuni problemi interpretativi, così come è stato per la diffida. Il Ministero con apposita circolare ha chiarito nel 1996 che le violazioni per cui è possibile impartire la prescrizione sono quelle costituenti reato di pericolo commesso mediante omissione e che hanno natura di reato permanente (protrarsi nel tempo e cosciente volontà di seguire la condotta antigiuridica). Tuttavia per alcune situazioni specifiche è intervenuta la Suprema Corte a specificare in modo preciso in quali situazioni sia applicabile la prescrizione ed in quali no. La conseguenza dell’intervento della Corte è stata di limitare l’uso della prescrizione, e quindi della possibilità di estinguere un reato tramite pagamento di una somma di denaro. In definitiva le contravvenzioni passibili di prescrizione sono, come da art. 20, quelle contenute nell’allegato al decreto legislativo; tuttavia va chiarito che al contravventore si chiede di incidere sul comportamento giuridico posto in essere, e non solamente astenersi dal reiterare il reato; per cui si deve rimuovere il pregiudizio arrecato all’interesse tutelato97. Questo implica che la prescrizione non è applicabile a reati istantanei, per quali è chiaro che non è più possibile porre rimedio al comportamento antigiuridico e quindi procedere a regolarizzazione secondo quanto prevede l’art. 20. La rilevanza di questo punto è notevole; pensando ai possibili reati in materia di sicurezza sul lavoro sicuramente molti derivano da omissioni (mancata installazione di dispositivi di sicurezza per esempio) che di natura sono permanenti; tuttavia, molti riguardano anche comportamenti istantanei, nel senso che si riferiscono allo svolgimento di singole operazioni, già concluse al momento dell’ispezione, secondo modalità non conforme alla legge. È da notare che nell’allegato I al decreto, che raggruppa le contravvenzioni passibili di prescrizione, ce ne sono comunque presenti alcune definibili come istantanei; come a dire che da un lato il legislatore, utilizzando il termine “regolarizzare” nel definire la prescrizione all’art. 2098, intenderebbe 97 Art. 12 disposizioni preliminari codice civile, è la definizione data al termine “regolarizzare” che viene usato per spiegare la prescrizione. 98 Proprio perché il termine regolarizzare riconduce ad un tipo di comportamento che consta nella eliminazione di un comportamento antigiuridico, evidente è che questo non collima con la tipologia di reato istantaneo dove il comportamento antigiuridico cessa immediatamente e non c’è più nulla da “regolarizzare” appunto. 47 escluderli e, dall’altro lato, ritiene necessario includere alcune fattispecie di reato istantaneo nell’ambito di applicazione della prescrizione. L’inconciliabilità che sembra emergere è stata superata, come vedremo in seguito, con l’introduzione del decreto n. 124/2004 che ha chiarito a quali fattispecie sia applicabile l’art. 15. L’altro punto su cui si è dibattuto fa riferimento invece alla difficoltà nel dettare la prescrizione per le norme cosiddette “elastiche”, che non hanno cioè delle specifiche regole al loro interno e non individuano una condotta precisa da seguire. Oppure per quelle norme che, pur individuando specifici adempimenti, impongono di applicare anche tutti gli ulteriori accorgimenti necessari a garantire l’effettiva sicurezza. In queste situazioni è consentito l’utilizzo della prescrizione, tuttavia si deve concordare che l’organo ispettivo dovrà usare una certa discrezionalità per individuare delle misure concrete, e che tali misure si sostituiranno agli obblighi generici della normativa violata. Non è più discutibile neanche la teoria se la prescrizione sia atto emanato dall’ispettore nell’esercizio di potestà amministrative o nell’esercizio delle funzioni di polizia giudiziaria, dovendo propendere decisamente per la seconda ipotesi. Le argomentazioni a favore di questa impostazione sono numerose99 e dimostrano come l’ufficiale vigilante che impartisce una prescrizione, non svolge tanto il compito di prevenzione di un reato – che, per definizione, deve essersi già consumato per potere avere una prescrizione – ma evita che questo venga portato a conseguenze ulteriori. Il quadro di riferimento diventa dunque quello del diritto della procedura penale. Una delle conseguenze rilevanti è che l’organo che emette la prescrizione non 99 Si ricorda in questa sede (Interpretazione di Margotta S., “Ispezioni in materia di lavoro”, 2005, pg 161). a) L’art. 12 delle disp. Prel. Cod. civ. secondo cui quando il testo di una norma è chiaro, il suo significato no può essere sostituito da altro invocando ulteriori elementi interpretativi. E nel nostro caso è chiaramente scritto che la prescrizione non è impartita nell’esercizio di funzioni amministrative. b) I lavori preparatori del decreto lgs n. 758/94 che stabiliscono che la <<prescrizione è stata demandata ai soli ufficiali di polizia giudiziaria>>. c) Sentenza Corte Costituzionale n. 10 del 1971 dove si chiarisce ancora che le funzioni amministrative hanno natura preventiva e che le funzioni di polizia amministrativa e giudiziaria non si cumulano ma si esercitano alternativamente. d) L’art. 25 del d. lgs n. 758/94 dove si dice che alle fattispecie in esame non si applicano le norme sulle disposizioni e sulla diffida. 48 agisce in ambito discrezionale, ma solamente in seguito all’esistenza dei presupposti di legge individuati dal decreto descritto100. Il fatto che non ci sia possibilità di scelta da parte dell’ispettore contrasta tuttavia con la situazione in cui, per via della presenza di normative definite “elastiche”, l’ispettore stesso ha la necessità di impartire delle direttive concrete e precise che non sono espressamente presenti nella norma di legge, utilizzando quella che la giurisprudenza amministrativa tendeva a considerare come esercizio della potestà amministrativa discrezionale. Si tratta quindi di conciliare queste due previsioni contrastanti. L’unica soluzione sembra essere quella di considerare, così come fatto dalla Corte Costituzionale101, che la discrezionalità esercitata in queste situazioni è di tipo interpretativo, e che non può essere soppressa in situazioni in cui l’obiettivo è il rispetto <<di norme che impongono il raggiungimento di un risultato>> (la sicurezza dei lavoratori). La questione posta sotto questo punto di vista viene quindi risolta ammettendo che anche l’ufficiale di polizia giudiziaria operi delle valutazioni discrezionali, se queste sono riferibili solamente alla necessità di dare interpretazione concreta ad una norma che si ponga il raggiungimento di un obiettivo, senza individuare in tutto e per tutto gli adempimenti necessari. Da ultimo è necessario citare un ulteriore importante motivo di discussione che ha posto negli anni delicati e complessi problemi interpretativi. Il caso è quello in cui si accerti che nel passato c’è stata una violazione di cui all’art. 19 d. lgs. n. 758/94, che però è stata spontaneamente regolarizzata dallo stesso datore di lavoro. Parlo di fattispecie riconducibili soprattutto alla mancata adozione di dispositivi di sicurezza in particolari macchinari, successivamente acquistati ed installati, ma in cui l’ispettore è riuscito a rilevare comunque l’infrazione, ancorché commessa in passato. Da un lato l’ispettore non dovrebbe procedere a prescrizione, in quanto nel concreto non c’è nulla da prescrivere essendo stata sanata la situazione illegittima, dall’altro il datore non potrebbe quindi godere dei benefici che da essa derivano, e sarebbe costretto, ricorrendo all’oblazione prima citata, al pagamento di una somma pari alla metà anziché ad ¼ del massimo previsto per l’ammenda. Il paradosso evidente è che ne risulterebbe favorito il trasgressore colto in flagrante che decide (probabilmente solamente in virtù del 100 Nella diffida invece si usava la locuzione <<Valutate le circostanze del caso>>. 101 Sentenza n. 312 del 1996. 49 fatto che è stato scoperto) di ottemperare alla diffida, rispetto ad un datore che autonomamente ha deciso di eliminare la contravvenzione. Ora, è chiaro che si può discutere sui reali motivi che hanno spinto il datore a rimettersi in regola, che a ben vedere potrebbero essere molto simili a quelli che spingono il datore colto in flagrante102, è comunque innegabile che una discriminazione di questo tipo potrebbe, oltre che essere ingiustificabile, essere anche controproducente nel favorire la continuazione di comportamenti illegittimi attendendo i benefici derivanti dalla prescrizione rispetto a quelli di una autonoma regolarizzazione. Assieme a tutto questo deve essere tenuto presente che rilevare una contravvenzione passata, seppur possibile, non è agevole, per cui nel concreto i casi materialmente coinvolti sono pochi; tuttavia una soluzione deve essere prospettata. Un possibile modo per sanare la discriminazione può essere quello di applicare, per analogia, la normativa dell’art. 19 anche alla situazione di regolarizzazione spontanea. In questo caso sarà compito dell’ispettore comunicare al P.M. la notizia di reato e, contestualmente, la regolarizzazione del medesimo, ammettendo il datore al pagamento della sanzione agevolata in via amministrativa, al pagamento della quale si potrà procedere all’archiviazione del caso. Questa è stata anche la tesi sostenuta dalla Corte Costituzionale che con sentenza n. 19 del 1998 ha ritenuto congruo la soluzione appena fornita, facendo giurisprudenza in merito. Il nuovo decreto, intervenendo specificamente sul punto, risolve il problema dalla base, come vedremo nel successivo paragrafo. 5.3. La prescrizione obbligatoria alla luce dell’introduzione del d. lgs. n. 124/2004 In seguito alla riforma del 2004 e all’introduzione dell’art. 15 del più volte citato decreto n. 124, alcune modifiche sono state portate all’istituto della prescrizione, 102 Faccio riferimento a possibili situazioni in cui il motivo per cui il datore di lavoro decide di adempiere alla norma di legge spontaneamente derivi dal fatto che si sente “minacciato” dalla presenza di visite ispettive nel suo settore industriale, o nella zona in cui opera o quant’altro. In questo caso, magari perché avvisato da conoscenti del fatto che è in atto una operazione ispettiva ad ampio raggio, decide di prevenire l’accertamento ispettivo, regolarizzando. È chiaro che si prospetta qui una situazione non dissimile da quella di un datore beccato in violazione di norme di legge, che non ha fatto in tempo a sistemare e che quindi subisce l’accertamento ispettivo. 50 senza tuttavia che la struttura originaria ne venga intaccata (così some sottolineato dal Ministero nella circolare n. 24 del 2004). Quello che emerge dalla lettura dell’articolo è l’ampliamento dell’ambito di applicazione, che passa dai reati in materia di sicurezza ed igiene del lavoro (secondo la definizione dell’art. 19 d. lgs. n. 758 del 1994) alle <<leggi in materia di lavoro e legislazione sociale la cui applicazione è affidata alla vigilanza delle direzioni provinciali del lavoro>>. Già da qui potrebbe prospettarsi un problema di duplicazione dell’istituto della prescrizione; alcuni ritengono infatti che dal tenore letterale dei due testi normativi emergano due distinte tipologia di prescrizioni, con ambiti applicativi e soggetti legittimati all’emanazione diversi. Altri invece propendono per una visione più unitaria, che vede la prescrizione del decreto del 1994 come punto di partenza per un ampliamento dell’ambito di riferimento a reati normati da leggi sociali come recita l’art 15.103 Entrambe le posizioni sono condivisibili, avendo a supporto argomenti forti e convincenti, pare di poter sostenere maggiormente la prima tesi; essendo comunque specificato sia i soggetti legittimati a proporre la prescrizione sia la tipologia di norme di riferimento (sicurezza ed igiene da un alto, leggi in materia di lavoro e legislazione dall’altro) probabilmente il legislatore ha ritenuto mantenere una certa distinzione tra le due prescrizioni, per mantenendo uno stesso percorso procedurale, richiamando espressamente gli art. 20-25 del d. lgs. n. 758/94. In ogni caso si tratta più che altro di discussioni teleologiche, non molto rilevanti ai fini di questa trattazione, è più utile concentrarsi invece sui sostanziali cambiamenti intervenuti. Ebbene, a ben vedere di cambiamenti sostanziali non ce ne sono stati, possiamo più che altro rilevare in quali direzioni è andata l’estensione del campo di applicazione a cui accennavo ad inizio paragrafo. Innanzi tutto il comma 3° prevede che la prescrizione sia utilizzabile anche nei casi definiti a fattispecie esaurita, ponendo fine ai dibattiti dottrinali e giurisprudenziali che hanno riguardato i reati istantanei. Il legislatore ha quindi definitivamente abbracciato le tesi sopraesposte e l’orientamento della Corte Costituzionale104 chiarendo in modo definitivo che anche per reati a condotta 103 Il riferimento è alle conclusioni tratte da due autori che hanno commentato il decreto, Rausei P. “ La riforma dei servizi ispettivi”, Dir. Prat. Lav., n. 30/04, inserto, pp XXXIX; e Bovini S. “Le nuove leggi civili commentate”,2005, commento all’art. 15, decreto n. 124/04. 104 Riferimento al paragrafo precedente ed alla sentenza Corte Costituzionale n. 205 del 1999. 51 esaurita, che quindi cessano immediatamente dopo il loro compimento, senza avere carattere di permanenza. Verificato che non è ravvisabile una incompatibilità insanabile tra le due cose, si è ritenuto opportuno (il legislatore naturalmente ha fatto questa valutazione) allargare il raggio di operatività della prescrizione nell’ottica di includerne nella sfera applicativa più fattispecie possibili, considerata l’efficacia dell’istituto. Per lo stesso motivo è pensabile che il legislatore abbia deciso di rendere applicabile il meccanismo prescrittivi-estintivo per le contravvenzioni sanzionate non solo con la pena alternativa dell’arresto o dell’ammenda, ma anche quelle sanzionate con la sola pena dell’ammenda. Sempre nel terzo comma infine, l’allargamento riguarda l’altra dibattuta situazione circa al d lgs n. 758/94, e concerne <<le ipotesi in cui il trasgressore abbia autonomamente provveduto all’adempimento degli obblighi di legge sanzionati precedentemente all’emanazione della prescrizione>>. In questo modo si è messa la parola fine al dibattito dottrinale occorso per alcuni anni, accogliendo il punto di vista della Corte Costituzionale si parla quindi di una prescrizione <<ora per allora>>, proprio a sottolineare il carattere di retroattività del provvedimento emanato. Da un punto di vista tecnico non c’è altro da dire, il procedimento, come già ricordato, è lo stesso del d. lgs. n. 758, in quanto espressamente richiamato dall’art. 15 del d. lgs. n .124; si è trattato più che altro di intervenire sull’ambito di operatività, chiarendo i dubbi e le questioni interpretative sollevate durante gli anni di utilizzo dell’istituto. C’è da dire che la prescrizione ha ottenuto un largo successo dopo la sua entrata in vigore nel 1994, e sicuramente gli interventi avvenuti a distanza di un decennio probabilmente ne faranno aumentare la frequenza d’uso, anche in considerazione del fatto che l’istituto è sicuramente valido, e risponde perfettamente ad importanti esigenze. Innanzi tutto il principale vantaggio è quello di ripristinare la situazione di legalità che era stata violata, si riafferma il primato della legge per mettere in rilievo la necessità di tutelare in primo luogo gli interessi del lavoratore. In secondo luogo alcuni hanno ravvisato una sorta di <<incentivazione premiale>>105 nella prescrizione, per cui al fine di far maturare una cultura della sicurezza nel nostro 105 Insolera, “L’estinzione delle contravvenzioni in materia di sicurezza ed igiene sul lavoro”, pg 311. 52 paese, è più utile un procedimento definito appunto premiale, in quanto il medesimo termina con un’oblazione amministrativa, rispetto all’applicazione della sanzione prevista per l’infrazione. Questo sempre che non maturino pericolose contro-culture volte a considerare la prescrizioni come un’opportunità di “monetizzare” il diritto protetto dalla legge, e che si valuti l’istituto dal lato dei costi-benefici da sopportare per operare periodicamente al di fuori della legalità. Da ultimo si citi per inciso che uno degli obiettivi iniziali della riforma era quello di ridurre il carico processuale e l’applicazione dell’istituto nel decennio antecedente la riforma ha portato un considerevole contributo in tal senso, ecco quindi la scelta di un recupero totale della vecchia disciplina, con un allargamento anche ad altre fattispecie. 6. Le disposizioni esecutive Nella rubrica “poteri degli ispettori” troviamo infine la disposizione, disciplinata all’art. 14 del nuovo decreto n. 124/04, che ha voluto riscrivere l’istituto (senza peraltro modificarlo eccessivamente) già presente nel nostro ordinamento, così come per la diffida e la prescrizione. Al fine della trattazione, il riferimento originario al potere dispositivo risale al D.P.R. n. 520/1955 che disciplina106, all’art. 10, il potere dispositivo stabilendo che <<Le disposizioni impartite dagli ispettori del lavoro in materia di prevenzione infortuni sono esecutive>> e che <<sono parimenti esecutive, quando siano approvate dal capo dell’Ispettorato provinciale competente le disposizioni impartite dagli ispettori per l’applicazione di norme obbligatorie per cui sia attribuito all’Ispettorato dalle singole leggi un apprezzamento discrezionale>>. Volendo cercare di dare una definizione si potrebbe dire che con la disposizione l’ispettore <<precisa le misure da adottare in concreto, allorché la norma……..indica le misure stesse in modo generico, dando adito a valutazioni 106 Come ricordato anche all’inizio della trattazione, la disamina storica inizia dal secondo dopoguerra, in realtà già nel periodo fascista il regio decreto n. 2183 del 1929 introduceva l’obbligatorietà delle disposizioni di quello che era diventato l’ispettorato corporativo. 53 soggettive…o impone, nei casi stabiliti dalla legge e nei limiti da questa previsti, nuovi obblighi o divieti che si aggiungono a quelli sanciti dal legislatore..>>107. L’ispettore, nel corso del procedimento ispettivo, può adottare questo atto a seguito del riscontro di una inesattezza, o di una omissione, da parte del datore di lavoro nell’adempimento di un obbligo previsto dalla legge in modo generico, che lascia al soggetto adempiente un certo margine di discrezionalità nella applicazione. Serve quindi che ci sia il carattere dell’incertezza, sul quale l’ispettore interviene e fa i propri apprezzamenti. Da questa descrizione emerge abbastanza chiaramente come la disposizione incida in modo rilevante sulla posizione giuridica del destinatario; è un atto amministrativo a tutti gli effetti (ed infatti è impugnabile secondo le regole del contenzioso amministrativo) che assume i tratti del provvedimento amministrativo proprio perché interviene in via unilaterale ed univoca nei confronti del datore e produce, verso di esso, immediatamente i suoi effetti. Da quanto detto la disposizione differisce quindi dalla diffida in quanto non viene adottata in seguito all’inosservanza di una prescrizione legislativa chiara e precisa, ma nel caso in cui si riscontri un’inesattezza, una inosservanza, relativa sempre ad una previsione legislativa, che però è posta in modo generico. Come già ricordato è questo l’assunto principale da cui partire per determinare quando la disposizione va adottata, perché se non abbiamo la presenza di una norma che lascia un margine di discrezionalità al datore che la applica, non possiamo avere disposizione. Avremo bensì l’utilizzo degli istituti già esaminati; quindi l’applicazione della sanzione amministrativa, eventualmente con possibile utilizzo della diffida ex art. 13, ovvero l’applicazione del decreto legislativo n. 758/94 se l’infrazione costituisce reato, sempre con la possibilità, nei casi previsti, di ricorrere alla prescrizione. Quale scopo allora è individuabile nell’adottare l’atto amministrativo di disposizione? Sostanzialmente lo scopo è di restringere il margine discrezionale lasciato all’interpretazione del datore di lavoro, la forbice di incertezza viene ridotta, sostituendo la modalità di applicazione della norma tenuta dal datore (in seguito ad una propria interpretazione che la legge stessa gli consentiva di fare) con una interpretazione dell’amministrazione che definisce in modo preciso il 107 Lorusso, “Norme rigide e norme elastiche in materia di sicurezza del lavoro e correlati poteri degli organi ispettivi”, in Mass. Giur. Lav., 1985, pg 488. 54 “nuovo” comportamento da tenere. Non si tratta di una mera riproposizione di un obbligo esistente, ma della definizione di uno nuovo che trova il fondamento nell’originaria norma discrezionale, e che ha il carattere dell’immediata esecutività. È un provvedimento assolutamente discrezionale, l’ispettore valuta l’opportunità di adottarla in tutti i suoi aspetti. Decide cioè se il comportamento del datore è corretto o meno valutando se è il caso di adottare la disposizione oppure no, definisce egli stesso quale è la condotta corretta da seguire dettando il contenuto del nuovo obbligo ed infine decide anche sul “quando” il nuovo comportamento va adottato. La diretta esecutività del provvedimento rende l’atto particolarmente incidente, come già sottolineato, sulla sfera giuridica del destinatario, per cui si ritiene che debba in ogni caso essere dato adeguato spazio al datore per spiegare il proprio punto di vista sul comportamento da lui adottato e oggetto di esame da parte dell’ispettore. Scendendo nel concreto possiamo avere delle disposizioni impartite per norme la cui violazione non è sanzionata, oppure per norme sanzionate, ma di contenuto generico. Nel primo caso siamo di fronte alla situazione in cui la disposizione crea un precetto nuovo che prima dell’emanazione dell’atto non esisteva, in quanto la norma violata (applicata in modo non conforme) comportava la reazione dei pubblici poteri (responsabilità civile per danno per esempio) e non sanzioni ne amministrative ne penali. Allora la disposizione in questo caso (nella materia di sicurezza per esempio) spiega l’effetto di rendere sanzionabili obblighi già esistenti108, ma la cui violazione porterebbe solamente ad una responsabilità civile per inadempimento/danno. L’altro caso riguarda invece norme correlate a sanzioni in caso di violazione, che essendo però di contenuto generico comportano l’apprezzamento discrezionale per essere applicate. Qui il problema che si pone è diverso, cioè si deve coniugare la disposizione con le previsioni degli altri istituiti in mano agli ispettori del lavoro. In tal senso si ricorda che resta valido il d. lgs n. 758/94 dove all’art. 25 si statuisce che la prescrizione sostituisce la diffida e la 108 Il riferimento è agli artt. 10 e 11 del D.P.R. n. 520/55 come modificato dall’art . 11 del d. lgs. n. 758/94 per cui le inosservanza alle disposizioni è punita con sanzione amministrativa da 103 € a 516 € quando per le inosservanze non sono previste sanzioni diverse da altre leggi, oppure con l’arresto per 1 mese o l’ammenda fino a 413 € se l’inosservanza è di una disposizione impartita dagli ispettori in materia di igiene e sicurezza sul lavoro. 55 disposizione, per cui c’è una “supremazia” della prescrizione nelle situazioni ascrivibili anche all’ambito di applicazione della disposizione. A queste generali considerazioni sul potere di disposizione, l’art. 14 in esame modifica, così come per la prescrizione, l’ambito di applicazione, estendendolo a tutta la materia del lavoro e della legislazione sociale, <<Le disposizioni impartite dal personale ispettivo in materia di lavoro e di legislazione sociale, nell’ambito dell’applicazione delle norme per cui sia attribuito dalle singole disposizioni di legge un apprezzamento discrezionale, sono esecutive>>109. È da chiarire che in virtù di questa formulazione siamo di fronte a due tipologie diverse di disposizione, e non solamente alla nuova disposizione ex art. 14 d. lgs. n. 124/04, in quanto la circolare ministeriale n. 24/2004 ribadisce la permanenza in vigore dello stesso art. 10 D.P.R. n. 520/55 riferito alla materia prevenzione infortuni e sicurezza sul lavoro. Proprio per la permanenza in vigore di entrambi gli istituti è possibile rilevare quali siano le differenze e le peculiarità della nuova disposizione rispetto alla precedente. Ma prima, per correttezza espositiva, va anche segnalato che le opinioni sull’argomento sono state, e sono, diverse e difformi; c’è chi sosteneva infatti che alla luce del dettato normativo introdotto dal decreto n. 124/2004, l’art. 10 D.P.R. n. 520/55 andasse abrogato per questioni di sistematicità nella lettura dell’istituto della disposizione110, richiamando l’art. 19 del decreto n. 124/04 sulle abrogazioni (<<alla data di entrata in vigore del presente decreto sono abrogate le norme incompatibili con le disposizioni in esso contenute>>) a sostegno di tale soluzione. Si sosteneva che la disposizione doveva rimanere una soltanto in quanto nella locuzione “in materia di lavoro e legislazione sociale” prevista dalla nuova legge rientrerebbe anche la materia “prevenzione infortuni” indicata invece nel vecchio dettato normativo. Nonostante sia ravvisabile una giustificazione convincente alla tesi sostenuta, la circolare emanata dal Ministero del lavoro non lascia spazio a dubbi111 indicando espressamente che restano in vigore gli art. 10 e 11 del D.P.R. n. 520/55. 109 110 Comma 1 dell’art. 14, d. lgs. n. 124/04. Confrontare Parisi M. “La riforma dei servizi ispettivi in materia di lavoro e previdenza sociale, commentario al d. lgs. n. 124/04 “ di Tiraboschi e Monticelli, pg. 285, e Lodato G. stessa opera, pg. 343. 111 Ovviamente si può discutere quanto si vuole sulla validità della presa di posizione del Ministero, resta il fatto che è necessario adeguarsi. 56 In definitiva quindi, per fare chiarezza, i citati articoli 10 ed 11 disciplinano le disposizioni relativamente alla materia “prevenzione infortuni, igiene e sicurezza sui luoghi di lavoro”, mentre il nuovo art. 14 d. lgs. n. 124/04 riguarda tutte le altre leggi in “materia di lavoro e legislazione sociale112”; è in questo senso che ci troviamo di fronte a due tipologie di disposizioni. Tornando all’esame dei cambiamenti introdotti rispetto al passato, una prima novità sta nel fatto che per poter impartire una disposizione non è più necessario che la normativa demandi all’Ispettorato in modo esplicito la specificazione degli obblighi precisi, ma è sufficiente che l’ispettore si trovi davanti ad una situazione in cui la norma lascia intendere una certa discrezionalità d’applicazione a cui il datore non ha dato corretta interpretazione. Se prima cioè le disposizioni riguardavano <<norme obbligatorie per cui sia attribuito all’Ispettorato dalle singole leggi un apprezzamento discrezionale>>, ora questo riferimento viene meno e si attribuisce esecutività alle disposizioni impartite <<nell’ambito dell’applicazione delle norme per cui sia attribuito dalle singole disposizioni di legge un apprezzamento discrezionale>>. Il passaggio è significativo, non deve essere la norma che attribuisce esplicitamente all’Ispettorato la possibilità di fornire una interpretazione discrezionale, è la norma in se stessa che può o non può lasciare margini discrezionali di applicazione, e se li lascia l’ispettore ha facoltà di impartire la disposizione che indichi il giusto comportamento da seguire. L’altra novità è la previsione che la disposizione sia immediatamente esecutiva, senza che ci sia l’approvazione del capo dell’Ispettorato provinciale come avveniva nella legislazione previgente. La differenziazione per materia che emerge dalla lettura congiunta dei due testi normativi comporta una differenziazione anche tra i soggetti legittimati all’emanazione dell’atto, per cui se in materia di lavoro il riferimento è al personale ex art. 6 decreto n. 124/04, per la sicurezza sul lavoro ci si affida al personale ispettivo della Direzione provinciale – Servizio ispezione del lavoro e ai funzionari di vigilanza delle aziende sanitarie113. Per lo stesso motivo anche la 112 Rausei P., “La riforma dei servizi ispettivi”, DPL, n.30/2004. 113 Ai sensi della legge 23 dicembre 1978, n. 833 che ha trasferito alle aziende U.S.L. i compiti già svolti dall’ispettorato del lavoro in materia di prevenzione e controllo della sicurezza e salute sul lavoro. Non è stato espressamente previsto la possibilità di esercizio del potere di impartire 57 tipologia di ricorso esperibile resta differenziata. A norma dell’art. 14 secondo comma, contro la disposizione esecutiva in materia di lavoro si può ricorrere entro 15 gg alla Direzione provinciale del lavoro competente (di appartenenza del funzionario che ha emesso l’atto), ed il direttore è chiamato a decidere entro altri 15 giorni. Per effetto invece del D.P.R. n. 520/55, secondo l’art. 10, è ammesso ricorso contro le disposizioni in materia di igiene e sicurezza sul lavoro, entro 30 giorni, al Ministero del lavoro e delle politiche sociali. Infine per le disposizioni impartite dai funzionari Ausl c’è uno specifico ricorso al Presidente della Giunta regionale, entro 30 giorni, il quale è chiamato a decidere sentiti i sindacati. 114 Va ricordato che <<il ricorso non sospende l’esecutività della disposizione>> (art. 14 d. lgs. n. 124/2004, ultimo comma). Il quadro che emerge sembra essere di un istituto che volendo assolvere alle richieste della legge delega di cooperazione tra amministrazione e cittadino, di prevenzione ed alleggerimento del carico giudiziario, ha finito per complicare la situazione generale. L’allargamento delle materie coinvolte certamente favorisce la diminuzione del carico giudiziario, ed è improntata a diminuire la funzione repressiva dei servizi ispettivi, tuttavia la permanenza della legislazione previgente rende poco chiaro l’istituto in esame, duplicandolo anziché renderlo unico per tutta la materia lavoristica. A ciò va comunque aggiunto che nel momento in cui il legislatore propone testi normativi dettagliati e precisi, sottrae dalla sfera dispositiva tali norme, che non necessitano di valutazioni tecnico-discrezionali, ma solamente di un accertamento relativamente alla loro applicazione o meno. Ritornando quindi al discorso fatto in precedenza circa le due tipologie possibili di disposizioni, è importante ricordare che nel concreto l’introduzione del decreto legislativo n. 758/1994 sottrae alla disposizione molte norme, in quanto, soprattutto nella materia di igiene e sicurezza, quasi tutte le contravvenzioni possibili rientrano nell’allegato I al decreto, e di conseguenza sono assoggettate a prescrizione (che come ho detto prevarica la disposizione). Restano coinvolte invece le cosiddette norme di chiusura, norme cioè che non dettano precise indicazioni operative, ma disposizioni da parte del personale U.S.L. (nel senso che nella norma non se ne parla) tuttavia la tesi predominante è sempre stata a favore dell’attribuzione di tale potere anche a quel personale. 114 Artt. 402, D.P.R. n. 547/1955, 66, D.P.R. n. 303/1956 e 21, comma 5, legge n. 833/1978. 58 obbligano115 comunque il soggetto destinatario a degli adempimenti, che ben si prestano ad essere discrezionali; su tutti l’esempio dell’obbligo di <<attuare le misure necessarie per garantire l’incolumità fisica e l’integrità morale dei lavoratori>> (artt. 2087 c.c, 4 del decreto lgs. n. 277/1991, 3 del decreto lgs. n. 626/94). 115 Pe runa trattazione completa sul cambiamento del quadro giuridico che ha portato a considerare anche le norme ad ampio e amplissimo contenuto ad essere fonte diretta di obblighi, vedi Margotta S., “Ispezioni in materia di lavoro”, 2005, pg 83. 59 60 CAPITOLO III RILEVANZA DELLA FUNZIONE CONSULENZIALE NEL D. LGS. N. 124/2004 1. La consulenza alle aziende. Introduzione alla figura professionale del consulente. La figura del consulente, da un punto di vista giuridico, è da inquadrarsi come un prestatore d’opera in cui, citando l’art. 2229 che disciplina la materia, la prestazione ha carattere intellettuale, personale ed infungibile, e comporta l’impiego di intelligenza e cultura in misura prevalente rispetto all’uso di eventuale lavoro manuale; è eseguita con discrezionalità ed ha ad oggetto il mero compimento di un’attività, indipendentemente dal risultato ottenuto. Il consulente, di qualsiasi tipo esso sia, nello svolgere la propria attività si impegna quindi a svolgere un servizio in relazione alla richiesta avuta dal cliente, utilizzando le proprie risorse intellettuali e le proprie capacità intellettive. Da un punto di vista più pratico e meno giuridico dare una definizione completa di consulente non è facile, è comunque una figura incentrata su un rapporto che si instaura tra un’azienda-cliente ed il soggetto fornitore del servizio, che si esplica in attività tendenti a risolvere dei problemi concreti e precisi (fornire soluzioni) e altre attività attraverso cui il consulente segue il cliente nelle operazioni day by day116. Dato il grado di specializzazione richiesto ai soggetti operanti in qualsiasi settore del mercato al giorno d’oggi, la figura del consulente sta diventando di notevole importanza, e ciò si palesa chiaramente nella continua nascita di nuove figure e nuove professioni di consulente, sempre più concentrate in una nicchia di mercato ristretta. Nei settori invece in cui tradizionalmente operavano i consulenti (lavoro, settore giuridico, manageriale ecc…) questi stanno acquisendo professionalità e conoscenze sempre maggiori e sempre più dettagliate per poter far fronte alle continue richieste di assistenza dei clienti, che devono nei diversi campi adempiere ad una normativa che si fa via via sempre più tecnica e particolareggiata. Nell’ambito giuslavoristico che interessa questa trattazione, la 116 Loscialpo R., “I piccoli passi di un grande consulente. Nuove strategie di azione”, Francoangeli 2003. 61 figura di rilievo è quella del consulente del lavoro, quale fondamentale soggetto di raccordo tra impresa-lavoratori ed istituzioni pubbliche. 2. Il consulente del lavoro. Attività svolte e regolamentazione. La crescente complessità della gestione dei rapporti di lavoro sta alla base della necessità delle aziende, di qualsiasi dimensione esse siano, di affidarsi a professionisti idonei a gestire la materia, che siano in grado di orientare le scelte del datore di lavoro, di informare e aiutare l’azienda a gestire i numerosi adempimenti richiesti dalla legge sia in materia di lavoro, quanto di previdenza sociale che assicurativa117. La figura professionale indicata per un’assistenza di questo tipo è il consulente del lavoro, il quale deve avere, per svolgere in modo proficuo il proprio lavoro, una conoscenza giuridica, economica, amministrativa e ragionieristica. Il consulente del lavoro svolge infatti tutti gli adempimenti previsti per la gestione del personale aziendale in quanto delegato e, talvolta, rappresentante del cliente, più in particolare tra le principali attività rilevabili nella professione si ricorda: - adempimenti ex lege per la gestione del personale dipendente; - consulenza ed informazione alle aziende sugli adempimenti stessi in materia di lavoro, assistenza sociale ed assicurativa; - tenuta dei libri paga e matricola e dei prospetti paga; - denuncia dei lavoratori occupati all’I.N.P.S., I.N.A.I.L. e uffici del Ministero del lavoro; - elaborazione stipendi e salari; - effettuazione degli adempimenti verso gli istituti previdenziali e tributari; - assiste e rappresenta l’azienda nelle vertenze extragiudiziali (conciliazioni soprattutto ed arbitrati); - assiste e rappresenta l’azienda in contenziosi con istituti previdenziali, assicurativi e ispettivi del lavoro. Come si evince dall’elenco, che non ha nessuna pretesa di essere esaustivo, il consulente rappresenta un fondamentale raccordo tra il mondo delle imprese, i lavoratori in esse occupati e le istituzioni a diverso titolo coinvolte nella gestione dei rapporti di lavoro; è coinvolto in tutti i necessari passaggi relativi all’assunzione di un lavoratore, al calcolo delle spettanze retributive, alle 117 www.consulentidellavoro.it; www.fondazionestudi.it; 62 spettanze contributive verso gli istituti previdenziali, alla determinazione dei costi del personale per un’azienda, all’assistenza in caso di accessi ispettivi. L’ambito di operatività tipico, nella realtà del nostro paese, è quello della consulenza a piccole-medie imprese, dove, stante le contenute dimensioni dei soggetti economici, il proprietario, quasi sempre anche lavoratore, preferisce rivolgersi ad un professionista esterno per la gestione del personale. Importante è poi ricordare che le capacità del consulente gli consentono anche di svolgere un’attività che non sia solamente collegata alla gestione di tutti gli aspetti del rapporto di lavoro (contabili, economici, giuridici, assicurativi e previdenziali come visto), ma relativa anche: alla selezione del personale; all’erogazione di consulenze tecniche d’ufficio (in qualità di soggetto terzo e superpartes) e di parte; alla gestione dell’igiene e prevenzione nei luoghi di lavoro; all’applicazione delle tecniche di analisi dei costi per la definizione del prezzo dei prodotti, interessandosi quindi della gestione aziendale sotto il profilo dell’attività produttiva. Si può sostenere pacificamente che il consulente del lavoro abbia ad oggi la possibilità e le capacità per essere qualificato, in via informale, come una sorta di dirigente esterno dell’azienda, sviluppando competenze professionali in diverse materie fondamentali per la gestione aziendale. L’anno di riconoscimento dell’ordine professionale è il 1979, con la legge n. 12 del 11/01/1979 alla quale si rimanda per la precisa definizione dell’attività; nella legge, in particolare si individuano l’oggetto della professione, i requisiti per l’accesso, la regolamentazione dell’albo, i casi di radiazione ecc…Una fondamentale modifica, che interessa tutto l’ordine dei consulenti del lavoro, è stata recentemente introdotta con la conversione del Decreto legge 10/2007 ad opera della legge di conversione 6 aprile 2007, n. 46, laddove nel modificare l’art. 3 della L. n. 12/1979 si prevede che possano essere ammessi all’esame di stato le persone che “abbiano conseguito la laurea triennale o quinquennale riconducibile agli insegnamenti della facoltà di giurisprudenza, economia, scienze politiche, ovvero il diploma universitario o la laurea triennale in consulenza del lavoro, o la laurea quadriennale in giurisprudenza, in scienze economiche e commerciali o in scienze politiche”. Si rende quindi necessaria la laurea per accedere alla professione di consulente del lavoro, fornendo alla professione stessa il riconoscimento che si merita vista la delicatezza e l’importanza che riveste nell’area economico-aziendale. A titolo di completezza, 63 essendo stato elevato il livello di titolo di studio necessario per accedere alla professione, si ricorda l’introduzione dell’art. 8bis, secondo cui “coloro che abbiano conseguito l’abilitazione all’esercizio della professione di consulente del lavoro con il diploma di scuola secondaria superiore (prima era sufficiente questo) possono iscriversi al relativo albo entro tre anni dalla entrata in vigore della presente disposizione. I soggetti non in possesso dei titoli di laurea di cui all’art. 3, secondo comma, lettera d), che, alla data di entrata in vigore della presente disposizione, abbiano ottenuto il certificato di compiuta pratica, o siano iscritti al registro dei praticanti, o abbiano presentato domanda di iscrizione al predetto registro dei praticanti, possono sostenere l’esame di abilitazione entro e non oltre il 31 dicembre 2013”. Trattando della figura del consulente in generale abbiamo visto come egli di fatto svolga un’attività indipendentemente dal risultato conseguito, tuttavia questo non significa che non possa comunque incorrere in qualche azione di responsabilità. Sotto questo profilo la posizione del consulente è assimilabile a quella dell’avvocato, per il quale l’orientamento costante sostiene che il professionista si fa carico dell’obbligo di esercitare diligentemente la professione e non di ottenere un risultato. Posto infatti che al giorno d’oggi l’attività del consulente è molto più ampia di quella esplicitamente prevista dall’art. 2 della l. n. 12/1979, comprendendo interventi in tutti i settori elencati nel precedente paragrafo, è chiaro che si manifesta un’attività consistente in una obbligazione di mezzi, che difficilmente può invece configurarsi come obbligo a pervenire ad un risultato pattuito. Senza addentrarci troppo nel tema, si può ritenere allora che per le attività tipiche del consulente del lavoro (quelle previste dalla legge di istituzione dell’albo professionale) ci sia un’obbligazione di mezzi, e che la relativa responsabilità sia regolata dall’art. 2236 c.c. per il quale la prestazione professionale implica la soluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà e il prestatore risponde dei danni solo in caso di dolo o colpa grave118. Per le attività 118 Il dolo è la volontà di provocare l’evento dannoso, al colpa è la mancanza di diligenza, prudenza, perizia, che diventa grave quando si distacca notevolmente dallo standard normale richiesto dal tipo di prestazione svolta. Fonte Galgano F., Istituzione di diritto privato, Cedam 2002. 64 non individuate dalla legge n. 12/79 ma comunque affidabili al consulente119 l’articolo che regola la responsabilità è il 1176 c.c., dove la diligenza richiesta al professionista nello svolgimento dell’attività ha un carattere maggiormente qualificato. Al secondo comma infatti non si fa più solo riferimento alla diligenza del “buon padre di famiglia”, che è la diligenza secondo cui si è tenuti ad adempiere in un rapporto debitorio, ma alla diligenza di un professionista medio, fornendo quindi un carattere di qualifica alla diligenza stessa. In sostanza un professionista che svolge le attività previste dalla legge che regola l’ordine professionale incapperà più difficilmente in azioni di responsabilità posto che è responsabile di quanto svolto nel caso di dolo o colpa grave, mentre per un consulente che si cimenti anche in altri ambiti relativi sempre alla gestione aziendale ma che esulano dall’elenco dell’art. 12 legge n.12/1979 c’è il rischio che per sua incapacità sia chiamato a rispondere di quanto svolto visto che il metro di giudizio per valutare l’attività è quella di una diligenza di un professionista medio 120. Oltre alla modifica dell’art. 3 in relazione al titolo di studio necessario per poter accedere alla professione di consulente del lavoro si ricorda brevemente che: l’art. 1 della Legge n. 12/1979 definisce altre categorie di soggetti a cui è consentito praticare la professione, come per iscritti al albo degli avvocati, dottori commercialisti e periti commerciali; e che l’art. 3, 2° co, lettera e) prevede la necessità di un biennio di praticantato presso uno studio di un consulente del lavoro iscritto nell'albo o di uno dei professionisti di cui al primo comma dell'art. 1, al quale fa seguito un esame di stato per l’abilitazione allo svolgimento dell’attività professionale. A monte del singolo professionista è poi prevista una struttura di organi a livello provinciale e nazionale e di organi previdenziali responsabili del trattamento previdenziale ed assistenziale degli iscritti121 119 Per esempio l’attività di tenuta della contabilità ed in genere altre attività fra quelle citate sopra che è possibile siano svolte dal consulente. 120 Tutte le considerazioni relative alla responsabilità del professionista sono tratte da Cafaro R., “Il contratto di consulenza”, Cedam 2003; Galgano F., Istituzioni di diritto privato, Cedam 2002. 121 Per una completa esposizione del tema si rimanda a: “Il controllo e la previdenza nella professione di consulente” , Cafaro R. ne “ Il contratto di consulenza”, Cedam 2003. 65 2.1. L’assistenza e la rappresentanza del consulente del lavoro Tra le possibili attività svolte dal consulente del lavoro rileva ai fini di questa trattazione la prestazione di assistenza del cliente nel corso di una visita ispettiva volta ad accertare illeciti; in virtù del rapporto fiduciario con il cliente il consulente può svolgere infatti un ruolo determinante riuscendo a sua volta a vigilare sull’operato degli ispettori in difesa dei diritti del suo assistito. Egli a norma dell’art. 12 della legge n.12/1979 <<su delega e in rappresentanza del cliente>> ha potere di intervento <<in ordine allo svolgimento di ogni altra funzione che sia affine, connessa e conseguente all’amministrazione del personale dipendente>>, e di conseguenza ha il pieno diritto a presenziare alle visite ispettive posto che è il responsabile della correttezza degli adempimenti e della gestione del personale in genere. Il potere di rappresentanza a cui si fa riferimento consente al consulente di sostituirsi al datore di lavoro ed interagire direttamente con gli ispettori intervenuti in azienda, fornendo chiarimenti tecnici, esibendo documenti, assecondando insomma le richieste degli ispettori purché legittime. Come evidenziato nel successivo capitolo sono gli stessi organi ispettivi ad auspicare la presenza del consulente in certe situazione, soprattutto dove dal diretto dialogo con il professionista sia possibile ottenere in breve tempo informazioni chiare e precise che consentano di evitare fraintendimenti che possono portare ad una scorretta classificazione della situazione. Rimando naturalmente al capitolo successivo per una più completa analisi dei rapporti tra professionista e organo ispettivo in caso di visita, trattando invece qui di seguito la problematicità del rapporto tra il consulente del lavoro e l’attività consulenziale svolta dall’organo ispettivo, così come disciplinata dal d. lgs. n. 124/2004. 3. La funzione consulenziale nel nuovo decreto di riforma dei servizi Ispettivi Parlando di funzione del consulente del lavoro nel riordino dei servizi ispettivi avvenuto nel 2004 con il decreto legislativo n. 124 si può fare riferimento a due fattispecie diverse; la questione può infatti riferirsi ad una analisi dei diversi ambiti in cui il consulente del lavoro interviene in relazione agli istituti disciplinati dal decreto in esame, oppure si può fare riferimento all’art. 8 del citato decreto, nel quale emerge l’obiettivo di valorizzare l’attività di consulenza al fine della prevenzione degli illeciti e promozione dell’effettività della disciplina in 66 vigore. Lasciando lo sviluppo del primo punto al capitolo successivo, nel quale mi addentrerò nell’analisi del ruolo del consulente durante la fase ispettiva (per esempio in eventuali ambiti conciliatori o in fase di presentazione dei ricorsi), mi interessa in questa sede indagare il caratteristico aspetto della valorizzazione della funzione consulenziale promossa dal d. lgs. n. 124/2004, funzione che, essendo svolta dal personale ispettivo, dovrà confrontarsi con la tradizionale consulenza svolta dai professionisti. In sostanza l’art. 8 assegna alle D.r.l. e alle D.p.l. due compiti di particolare rilevanza: promuovere presso i datori di lavoro l’osservanza della normativa in materia lavoristica e previdenziale e prevenire le eventuali violazioni della stessa; promuovere e stipulare, mediante apposite convenzioni, contratti con aziende, enti ed associazioni, aventi ad oggetto attività di informazione e aggiornamento da svolgersi presso le aziende stesse122. Per quel che concerne le attività di prevenzione il ministero ha escluso che si effettuino su singoli casi concreti, sono quindi volte ad una generale informazione del datore sulla normativa da applicare, probabilmente soprattutto per norme di recente approvazione. In questo caso si può ipotizzare che il “conflitto” con il consulente sia abbastanza limitato; come detto il consulente del lavoro è portato ad assistere l’azienda in tutti gli aspetti della gestione del personale, e quindi è soprattutto una operatività che necessariamente si rifà ai singoli casi concreti ed ai singoli lavoratori impiegati in azienda. Anzi è addirittura possibile che il consulente stesso possa sfruttare l’attività preventiva posta in essere dal Ministero del lavoro; il professionista è infatti il primo soggetto che svolge attività interpretativa sulla normativa di nuova approvazione al fine di consentire al datore-cliente di essere in regola con gli adempimenti. È chiaro che una chiave interpretativa proposta direttamente dal Ministero tramite gli organi preposti all’attività di cui all’art. 8 renda inequivocabile la lettura della normativa, evitando possibili errori interpretativi da parte del professionista con successive necessarie rettifiche nell’applicazione della legge presso l’azienda assistita. Nel concreto tuttavia ci sono alcuni problemi che sembrano essere comunque rilevanti. Posto che il Ministero ha espressamente voluto garantire la distinzione tra organo ispettivo e professionista nello svolgere attività che genericamente è indicabile come “di consulenza” (prevenzione, promozione, informazione), non è 122 Per un commento sulla nuove funzioni preventive e promozionali rimando al CAP I. 67 chiaro quali siano i limiti dell’uno e dell’altro soggetto visto il silenzio della norma in proposito (c’è solo un intervento con Circolare ministeriale che chiarisce parzialmente). Probabilmente solamente un utilizzo nel tempo di questa previsione potrà creare una prassi consolidata nel definire quali siano gli ambiti in cui può intervenire l’attività preventiva e quali debbano essere lasciati alla consulenza del professionista. Interessante e, al tempo stesso, problematica è anche la previsione del secondo comma, in cui sostanzialmente si ammette l’attività di consulenza dell’ispettore durante l’accesso ispettivo, nel caso ci sia violazione che non generi sanzione penale o amministrativa. Risulta essere interessante perché a ben vedere in una situazione di questo tipo l’ispettore diventa a tutti gli effetti un consulente, nel senso che rilevata l’infrazione fornisce al datore la soluzione per porsi in regolarità . Essendo il presupposto di partenza l’avere riscontrato che la violazione non comporta sanzione amministrativa né penale, l’intervento non rileva da un punto di vista economico per il datore di lavoro ispezionato ma rileva in modo significativo se si pone come obiettivo principale il ripristino della situazione di legalità. Tuttavia è osservabile come realmente possano esserci delle compenetrazioni di compiti tra consulente del lavoro ed ispettore, questo perché a norma di legge si permette a quest’ultimo di fornire delle concrete indicazione per risolvere l’illecito, indicazioni che originariamente dovrebbero essere già state fornite dal professionista che segue il datore di lavoro. Ricordando che le possibili applicazioni di questo comma sono tutt’altro che remote, vista anche alcuni interventi legislativi volti alla depenalizzazione di alcune infrazioni123, si pongono qui due ordini di problemi. Innanzi tutto è stato paventato124 il rischio di un conflitto di interessi tra l’attività dell’ispettore come consulente e l’attività repressiva che comunque è necessariamente tenuto a svolgere, difficilmente infatti un ispettore contraddirà se stesso o un collega125. Dopodichè sarà interessante 123 Il riferimento è alla legge n. 338/2000 , art. 116, che ha abolito tutte le sanzioni amministrative per gli illeciti di cui all’art. 35, comma 2° e 3° legge n. 689/81. 124 Bellumat S., commento all’art. 8 d. lgs. n. 124/2004 “Razionalizzazione delle funzioni ispettive in materia di previdenza sociale e di lavoro”, in Le nuove leggi civili commentate, 2005. 125 Inoltre va ricordato che il codice degli ispettori, nell’ultima sezione prevede delle norme deontologiche da seguire tra le quali una sancisce <<l’incompatibilità dell’ispettore a compiere l’ispezione qualora sussistano interessi personali in relazione all’attività dell’azienda ispezionata, parentela, affinità ovvero connivenza e di commensalità abituale con il datore>>. Ci si è chiesto se 68 vedere come si gestirà la situazione nel caso in cui ci siano delle divergenze interpretative tra il professionista e l’ispettore. Cioè potrebbe accadere che il consulente, venuto a conoscenza dell’irregolarità del suo assistito e venuto a conoscenza delle indicazioni ottenute dall’ispettore per porvi rimedio, non sia d’accordo sulla modalità di regolarizzazione o su quanto consigliato dall’ispettore stesso. In una situazione di questo tipo potrebbe essere interessante vedere in che modo reagirà l’Amministrazione, se ammetterà soluzioni diverse da quelle proposte dal proprio funzionario o se il parere resterà comunque vincolato da quanto egli ha proposto in prima istanza. Ciò detto va rilevato che il Consiglio Nazionale dell’Ordine dei consulenti del lavoro ha manifestato alcune perplessità circa l’attuazione dell’art. 8 del d. lgs. n. 124/2004, sottolineando alcune possibili conseguenze126 della sua applicazione. Per prima cosa si rileva una disparità di trattamento tra le aziende, in quanto solamente le più dotate economicamente avrebbero la possibilità di “acquistare” i corsi di aggiornamento di cui al primo comma dell’articolo in commento (art. 8 d. lgs. n. 124/2004). Di conseguenza i grandi operatori sarebbero in grado di stipulare, e pagare, le attività informative organizzate mediante convenzioni, fruendo quindi delle indicazioni del ministero del lavoro fornite tramite i suoi funzionari; i piccoli imprenditori ne resterebbero invece esclusi vista l’oggettiva difficoltà di dirottare risorse economiche per scopi di questo tipo. Questo è senz’altro vero e per risolvere il problema si potrebbero immaginare delle soluzioni che ammettano dei contributi ai datori di lavoro volti a consentire a tutti l’iscrizione ai corsi, magari con dei finanziamenti provenienti almeno in parte dalle associazioni sindacali dei datori stessi. L’Ordine, in secondo luogo, rileva il rischio di una “destabilizzazione del privato, datore di lavoro e lavoratore”, il quale vede nello stesso organo due diverse figure: l’Ufficiale di Polizia Giudiziaria che controlla ed accerta le violazioni eventualmente presenti in azienda, e allo stesso tempo, il “formatore” o consulente personale che sulla stessa tale norma è valida ad escludere che l’ispettore che ha svolto la consulenza sia compatibile ad effettuare poi il controllo ispettivi. 126 Fondazione Studi. Consulenti del lavoro, Consiglio Nazionale dell’Ordine. Commissione Osservatorio dell’attività amministrativa (porposte per una razionale e moderna gestione dei rapporti di lavoro nell’ambito dei rapporti con la pubblica amministrazione) : “Razionalizzazione delle funzioni ispettive sul lavoro, in materia previdenziale e di lavoro”. Roma, 04/07/2005. 69 normativa su cui vigila svolge anche corsi di aggiornamento. È in sostanza lo stesso ragionamento, evidenziato nella prima parte del lavoro, emerso in sede di commento del decreto lgs. n. 124/2004, in cui si profilava la difficoltà del mondo imprenditoriale nel vincere l’ostruzionismo avverso gli organi ispettivi ancorché questi siano, nello svolgimento dell’attività informativa, spogliati della veste di “controllori” e di U.P.G. Da ultimo nel prospetto elaborato dall’Ordine Nazionale si sottolinea quale importante conseguenza la <<lesione della libertà d’iniziativa economica, distorsioni del mercato, abuso di posizione dominante e conseguente pregiudizio per tutti quei soggetti formatori, esperti in materia lavoristica e previdenziale, tra i quali i consulenti del lavoro>>. Cercando di rispondere per quanto possibile alle diverse obiezioni proposte da più parti sia in commento al decreto sia da parte dell’Ordine dei consulenti stesso si può dire che: innanzi tutto è intervenuto il Ministero con la Circolare Ministeriale n. 24/2004 chiarendo che l’attività preventiva e promozionale a norma del comma 1 art. 8 d. lgs. n. 124/2004 sia solo di carattere generale, riconfermando in capo ai consulenti del lavoro l’attività di consulenza sui casi concreti o problemi particolari di interesse aziendale127, così come da legge n. 12/1979. Si ribadisce che eventuali corsi di promozione di normative giuslavoristiche avranno come scopo solamente quello di portare a conoscenza dei datori dette normative e di favorirne la corretta applicazione, senza considerare le singole situazione concrete dei partecipanti all’attività informativa. In generale è senz’altro apprezzabile l’intento del legislatore di sviluppare un sistema che organizzi dei corsi informativi per le aziende in modo da favorire la legalità nella gestione del personale; rimane da verificare quanti soggetti sapranno e vorranno cogliere l’opportunità, e in quale quantità il Ministero dirotterà del personale ispettivo allo svolgimento di tali corsi, considerando l’annoso problema della carenza di personale, e considerando soprattutto la necessità di formare questo personale che non è, al momento, assolutamente preparato a porsi ai suoi interlocutori come informatore-consulente od insegnante. Nonostante questi chiarimenti Ministeriali le perplessità rimangono considerando quella parte di consulenza da svolgersi durante la visita ispettiva; in questi casi, ricordando che viene ammessa solamente se la violazione non comporta sanzioni 127 Vedi anche CAP. I , 3.2. Il decreto attuativo, art. 8 d. lgs. 124/2004. 70 amministrative e penali, l’attività ispettiva si trasformerebbe, sempre secondo l’interpretazione dell’Ordine Nazionale dei consulenti, in vera e propria attività consulenziale. Considerato che la linea di confine tra questioni di ordine generale e quelle di carattere pratico è molto labile (soprattutto nel momento in cui l’ispettore è in azienda e si confronta con il caso pratico), e considerato che in sede interpretativa da più parti128 si è ammesso che tale attività consulenziale, per avere una qualche utilità concreta nel porre rimedio all’irregolarità, dovrà entrare nello specifico, ecco che il problema relativo alla possibile sovrapposizione di compiti tra professionista e ispettore rimane in parte irrisolto. Si profilerebbe in particolare la violazione della legge n. 12/1979 che affida agli iscritti all’albo dei consulenti del lavoro lo svolgimento dell’attività di consulenza sulle materie di lavoro e sugli adempimenti per l’amministrazione del personale dipendente in generale. In merito c’è da dire che questa ultima preoccupazione manifestata dall’Ordine è condivisibile; è comprensibile che il professionista si senta depauperato di una parte delle competenze che storicamente gli appartengono per legge e che ciò avvenga per una previsione normativa che consentirebbe all’amministrazione di sostituirsi in parte ad esso. In effetti è palese che i soggetti che subiscono un pregiudizio, anche economico visto che una diminuzione dell’attività comporta una diminuzione degli introiti, sono gli operatori nel mercato degli esperti in materia lavoristica; i quali vengono per così dire “scavalcati” nel rapporto fiduciario e lavorativo con i loro clienti, che possono così venire istruiti dall’organo ispettivo. È possibile però che l’attività del consulente-ispettore in azienda risulti anche utile a colmare alcune lacune derivanti da “disattenzioni” del professionista che non ha correttamente istruito il datore, o da negligenza di questo ultimo che le ha ignorate. Dopodichè va anche ricordato che la parte più rilevante delle ispezioni effettuate dall’amministrazione è volta all’emersione del sommerso dove ci sono spesso profili di rilevanza penale o quantomeno amministrativa (con relative sanzioni) che non consentono l’espletamento della funzione consulenziale per sanare l’irregolarità. Questo in virtù dell’art. 8 d. lgs. n. 124/04, che al 2° comma, prevede esplicitamente che non sia esercitatile l’attività consulenziale nel caso in 128 Bellumat S., Bellumat S., commento all’art. 8 d. lgs. n. 124/2004 “Razionalizzazione delle funzioni ispettive in materia di previdenza sociale e di lavoro”, in Le nuove leggi civili commentate, 2005. 71 cui la violazione rilevata dall’ispettore comporti delle sanzioni penali o amministrative. Infine non va in ogni caso dimenticato che già l’art. 4 della legge 22 marzo 1961, n. 628 prevedeva al comma 1, lettera c), il compito per gli ispettori <<di fornire tutti i chiarimenti che vengano richiesti intorno alle leggi sulla cui applicazione esso deve vigilare…>>, previsione a cui non è pero stata data applicazione concreta rilevante. In conclusione pare di poter condividere le preoccupazioni dei professionisti, soprattutto in relazione a questo secondo comma dell’art. 8, senza però sostenere una tesi totalmente avversa alla funzione informativa-consulenziale degli ispettori. Dato per assodato che a mio parere dovrebbe essere il professionista che, essendo a conoscenza l’intera situazione aziendale in tutti i suoi aspetti, dovrebbe fornire al cliente-datore di lavoro le corrette indicazioni operative per la gestione dei dipendenti e aggiornarlo in modo tale da valutare le diverse politiche gestionali da adottare; è innegabile che l’art. 8 abbia introdotto alcuni aspetti innovativi e, quello che più conta, efficaci. È infatti auspicabile che le previsioni contenute in questo articolo129 portino più che ad una diatriba tra ispettori e consulenti su quali siano i limiti dell’una e dell’altra attività, ad una occasione di confronto tra i due organi e ad uno scambio di opinioni, con l’obiettivo comune di perseguire la corretta applicazione delle norme tramite la soluzione di profili di criticità130. In questo senso il ruolo del consulente del lavoro deve essere valorizzato quale soggetto in grado di confrontarsi con l’amministrazione in sede di interpretazione della normativa, proprio durante le attività di promozione proposte dagli organi ispettivi In definitiva resta da valutare nel concreto quanto l’art. 8 inciderà nell’attività professionale del consulente osservando da un lato il numero di corsi promozionale (o attività promozionale di altro genere) effettivamente attivati in questo biennio, e dall’altra quante visite ispettive si sono risolte nel concreto con una consulenza dell’ispettore del lavoro che abbia rilevato un’irregolarità non sanzionabile in via amministrativa né penale. Probabilmente al giorno d’oggi non è ancora valutabile un’influenza di questo tipo, come è tanto meno valutabile l’auspicato effetto collaborativo e di confronto tra le parti in causa. 129 Ed anche nell’art. 9 riferito all’interpello di cui si dirà nel capitolo successivo 130 Bizzarro G., “La riforma dei servizi ispettivi ed il ruolo del consulente del lavoro”, in La riforma dei servizi ispettivi in materia di lavoro e previdenza sociale, commentario al d. lgs. n. 124/04 di Tiraboschi e Monticelli. 72 CAPITOLO IV RIFORMA DEI SERVIZI ISPETTIVI E RUOLO DEL CONSULENTE DEL LAVORO 1. Premessa In seguito all’introduzione dapprima della Legge 14 febbraio 2003, n. 30 e poi dei decreti legislativi n. 124/2004 e n. 276/2003 che hanno dato attuazione agli articoli della suddetta legge, c’è stata una profonda riforma del mercato del lavoro. È evidente la rilevanza di questi provvedimenti per tutti i soggetti che sono coinvolti nel mercato del lavoro così come è evidente che è stato necessario per i consulenti del lavoro, soggetti che all’interno di questo mondo coprono un ruolo privilegiato nel rapporto azienda-lavoratore, avviare un processo di aggiornamento ed analisi della nuova normativa, senza contare che l’importanza delle innovazioni era tale da costringere i professionisti ad una immediata applicazione dei nuovi istituti, coniugando, come è tipico nello svolgimento della professione, indagine interpretativa e applicazione pratica131. Peraltro a tal proposito è opportuno sottolineare come la professione di consulente del lavoro possa contribuire al processo di riforma avviato, attraverso una corretta analisi della disciplina, considerando anche l’ampia prospettiva attraverso cui tale professionista vede le diverse problematiche relative al mondo del lavoro. Non va dimenticato, come già sottolineato nel capitolo precedente, che il consulente si colloca in una posizione di raccordo tra i diversi settori che incidono sulla gestione dei rapporti di lavoro. La diversa tipologia di attività che la legge affida loro consente di creare un rapporto stabile con le aziende clienti che gli permette di mediare tra le diverse istanze in modo tale da consigliare soluzioni operative volte soprattutto ad evitare contenziosi. Questi aspetti emergono chiaramente in riferimento ad una attività di tipo preventivo ed in riferimento all’assistenza al cliente nella corretta applicazione della legge; ma sono aspetti fondamentali anche in caso di visita ispettiva, sia nel caso in cui il contenzioso non sia evitabile, sia 131 Bizzarro G., “La riforma dei servizi ispettivi e il ruolo del consulente del lavoro”, in La riforma dei servizi ispettivi in materia di lavoro e previdenza sociale a cura di Tiraboschi M. e Monticelli L. 73 nella valutazione di eventuali possibilità conciliative. Il consulente del lavoro è quindi chiamato a svolgere una serie di ruoli in relazione alla tradizionale attività che la legge gli affida, ed in virtù della recente riforma, che per certi aspetti ne arricchisce i compiti e per certi altri li diminuisce. Scopo dei prossimi paragrafi sarà quello di mettere in luce gli istituti che vedono maggiormente coinvolto il consulente del lavoro tra quelli introdotti dal d. lgs. n. 124/2004, senza dimenticare di fare alcune necessarie considerazioni in relazione al codice di comportamento degli ispettori, con lo scopo di analizzare la tipologia di rapporto che si crea tra consulente ed ispettore durante un accesso ispettivo e di capire fino a dove si può spingere il diritto di difesa e di assistenza del professionista. 2. Soggetti legittimati Prima di procedere oltre è necessario effettuare un breve richiamo alla disciplina della legge n. 12/1979 che regola la professione del consulente del lavoro. Molto spesso da questo punto in poi nella descrizione e nella spiegazione degli interventi svolti dal professionista si farà riferimento a termini quali “consulente del lavoro” e più generalmente ancora “professionista”. A titolo di chiarimento ricordo che i soggetti a cui si fa riferimento sono i soggetti legittimati all’esercizio della professione di consulente del lavoro secondo la legge n. 12/1979 (e successive modifiche), così come esposto nel Cap. III del presente lavoro, al quale si rimanda per una trattazione più completa dell’argomento132. 3. L’attività preventiva svolta dal consulente del lavoro: il diritto di interpello L’attività preventiva attribuita agli organi di vigilanza del nuovo decreto lgs. n. 124/2004 può essere scomposta e divisa in due “sezioni”, una promozionale e consulenziale desumibile dall’art. 8 del citato decreto legislativo, ed una diretta ad ottenere chiarimenti sulla normativa : il diritto di interpello che completa per l’appunto il quadro dei nuovi poteri promozionali e preventivi attribuiti all’organo ispettivo133. In ambito giuridico questo non rappresenta una assoluta novità 132 Cap III, “2. Il consulente del lavoro. Attività svolte e regolamentazione.”, pg 60. 133 Degan L., Scagliarini S., “Prevenzione, promozione e diritto d’interpello” in “La riforma dei servizi ispettivi in materia di lavoro e previdenza sociale” a cura di Tiraboschi M. e Monticelli L. 74 essendo stato introdotto nel diritto tributario dall’art. 21 della legge n. 413/1991, in un periodo peraltro in cui era forte la volontà di costruire un sistema di rapporti collaborativi tra Amministrazione e cittadini134. Successivamente con lo statuto del contribuente135 l’interpello è stato ulteriormente generalizzato arrivando ad una formulazione che prevede quanto segue: nel caso in cui sussistano obiettive condizioni di incertezza dovute alla equivoca formulazione di leggi o regolamenti sia sostanziali che procedurali, il contribuente (o il sostituto d’imposta), prima di porre in essere un comportamento rilevante ai fini tributari, può prospettare, mediante un’istanza in carta libera da consegnare a mano od inviare con raccomandata con ricevuta di ritorno senza busta, il caso singolo e concreto all’amministrazione tributaria. Non possono esercitare tale diritto gli ordini professionale e le associazioni di categoria e i portatori di interessi diffusi se non per i personali obblighi tributari, e non i loro associati. Entro 120 giorni l’Amministrazione risponderà, assumendo una posizione vincolante per lei ma non per il contribuente, e la risposta comunque sarà valida solamente verso il singolo soggetto che ha posto il quesito. Questi sono in sintesi i generici tratti dell’interpello tributario, qui riportati per consentirmi poi di fare alcuni importanti raffronti con l’interpello recentemente introdotto nel diritto del lavoro. 3.1 L’interpello nel diritto del lavoro ed il ruolo del consulente Il punto più importante che mi preme sottolineare sta all’inizio dell’art. 9, d. lgs. n. 124/2004136 che disciplina l’interpello in materia di lavoro dove si prevede che “Gli organismi associativi a rilevanza nazionale degli enti territoriali e gli enti pubblici nazionali, nonche', di propria iniziativa o su segnalazione dei propri iscritti, le organizzazioni sindacali e dei datori di lavoro maggiormente rappresentative sul piano nazionale e i consigli nazionali degli ordini 134 Comelli A., “La disciplina dell’interpello: dall’art. 21 della L. n. 413/1991 allo statuto dei diritti del contribuente”, in Dir. Pratica Trib., 2001, 605 ss. Nello stesso periodo viene infatti emanata la legge n. 241/1990 sul procedimento amministrativo, considerata un primo passo nell’affermare principi di trasparenza e collaborazione nei rapporti tra Amministrazione e cittadino. L’introduzione dell’interpello rappresenta, secondo l’autore, un ulteriore tappa di questo processo. 135 Legge n. 212/2000. 136 SI ricorda che l’art. 9 del decreto legislativo n. 124 del 2004 è stato recentemente riscritto dal decreto legge n. 262/2006 recante disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria. 75 professionali, possono inoltrare alla Direzione generale, esclusivamente tramite posta elettronica, quesiti di ordine generale sull'applicazione delle normative di competenza del Ministero del lavoro e della previdenza sociale” . La successiva circolare ministeriale n. 49/2004137 precisa poi che “L'elemento che differenzia l'interpello rispetto all'attività informativa svolta a livello territoriale è dato dall'attualità delle problematiche rappresentate, sulle quali, cioè, non sia ancora intervenuto alcun chiarimento o presa di posizione ufficiale dell'Amministrazione, né in sede di circolare né in sede di risposta ad un precedente interpello”. Tra i soggetti a cui è rivolto questo istituto emerge chiaramente l’importanza nell’elaborazione e nell’invio del quesito dei professionisti di settore, il consulente di lavoro su tutti. Anche se la norma prevede la legittimazione da parte del professionista inteso come <<consiglio nazionale dell’ordine professionale>>, sarà poi il singolo consulente che nella quotidiana operatività rileverà alcune problematiche interpretative da sottoporre alla Direzione generale. Il fatto che poi l’invio del quesito avvenga a livello di Consiglio Nazionale può essere utile per diversi motivi; innanzi tutto si evita l’invio multiplo di uno stesso quesito, se ogni consulente avesse legittimazione ad interpellare il Ministero è altamente probabile che lo stesso problema venga posto da più persone, in questo modo invece si effettua una prima scrematura, raggruppando le domande comuni. Dopodichè il Consiglio potrà anche valutare se l’interpello rientri tra le tipologie previste dalla norma, ossia sia di carattere generico e non riguardi argomenti su cui sia già presente una posizione dell’Amministrazione, serve insomma da sbarramento per interpelli eventualmente viziati da qualche errore o non in possesso dai requisiti richiesti dalla d. lgs. n. 124/2004. Da ultimo raccogliere in un unico insieme tutte le richieste di interpello aiuta a raggruppare tutte le peculiarità di un problema, essendo stato visto questo da più punti di vista (dei diversi consulenti che lo hanno analizzato e richiedono chiarimenti); in questo modo è lecito attendersi l’elaborazione di un quesito più completo e corretto che tocchi tutti i lati oscuri della generica norma su cui si richiede un intervento. Dalla lettura dell’articolo 9 emerge come il legislatore abbia fatto una precisa scelta, diversa da quella operata in ambito tributario, escludendo i singoli datori di 137 Sono considerazioni ancora valide anche dopo la modifica dell’art. 9 in quanto riguardano aspetti che non sono stati toccati dal decreto legge 262/2006. 76 lavoro dalla legittimazione ad utilizzare l’interpello. Le possibili interpretazioni di questa impostazione possono essere diverse; si può ravvisare la necessità di limitare l’uso dell’istituto evitando un eccessivo afflusso di richieste138 e di evitare di trasformare l’Amministrazione in un consulente personale del datore139, oppure ritenere che questo sia un modo per selezionare i quesiti alla fonte potendo così fornire risposte ad un numero limitato di quesiti, ma in modo esaustivo e ponderato140. D’altra parte nella regolazione dell’interpello manca la specificazione di una condizione di accesso allo stesso, presente invece nel testo normativo dell’interpello tributario; in quest’ultimo infatti affinché i quesiti siano accettati è necessario che ci sia “oggettiva oscurità della norma” di cui si richiede il chiarimento mentre nel il legislatore del d. lgs. n. 124 del 2004 nulla dice in merito. È possibile quindi che l’intenzione del legislatore sia quella di selezionare i quesiti non tramite una condizione sine qua non, ma per il tramite della professionalità richiesta ai soggetti richiedenti. Tra le attività principali dei consulenti del lavoro c’è infatti sicuramente quella di interpretazione delle normative giuslavoristiche improntata ad una corretta gestione del personale aziendale, ecco quindi che è lecito attendersi che il professionista possa ricorrere all’utilizzo dell’interpello solamente nei casi di reale difficoltà interpretativa giacché egli è già in possesso delle competenze per riuscire a comprendere ad applicare la maggior parte dei testi normativi in vigore. Un controllo di questo tipo non sarebbe invece possibile qualora si consentisse al datore di lavoro, probabilmente povero di conoscenze in materia lavoristica, di richiedere chiarimenti all’Amministrazione ogniqualvolta avesse un dubbio circa la modalità di applicazione di una nuova norma141. 138 Monticelli C., “La riorganizzazione dei servizi ispettivi e delle attività di vigilanza: funzioni e finalità” in La riforma dei servizi ispettivi in materia di lavoro e previdenza sociale a cura di Tiraboschi M. e Monticelli C. 139 Peraltro già punti del decreto n. 124/2004 si pone il problema di una possibile sovrappostone di ruolo tra consulente del lavoro ed amministrazione. Si veda in particolare la sezione relativa alle funzioni consulenziali e promozionali degli ispettori del lavoro, Cap I, “Il decreto attuativo, l’art. 8 d. lgs. n. 124/2004”, pg. 9. 140 Broi B., Parisi M.,” Ispezioni sul lavoro: la circolare del Ministero”, in GLav, 2004, n. 27, 14. 141 Ricordo che l’art. 9 d. lgs. n. 124/2004 non richiede che la norma sia oggettivamente oscura per cui, se non fosse riservato l’uso dell’interpello alle categorie sopra citate, sarebbe teoricamente prospettabile una situazione di questo tipo. 77 Altro punto fondamentale dell’art. 9 attiene all’oggetto dell’interpello per il quale si prevede che il professionista possa inoltrare solamente dei quesiti a carattere <<generale>>. In questo modo il legislatore si preoccupa di far si che il professionista si faccia da “portavoce” di una problematica percepita come tale a livello diffuso, e non che l’istituto possa essere usato come una sorta di consulenza personale su precise questioni tecniche. L’invio del quesito deve essere esclusivamente telematico, non è consentito, come per l’interpello tributario, l’invio in forma cartacea della richiesta di chiarimento. La ragione iniziale di una tale previsione probabilmente risiedeva nella particolare modalità di gestione degli interpelli che prevedeva dapprima un invio alla Direzione provinciale che si preoccupava, dopo un primo “vaglio”, di girarli alla Direzione generale. Sarebbe stato estremamente complicato ed oneroso142 gestire la procedura burocratica di questi passaggi nelle diverse sedi con un sistema di raccomandate o comunque di invio cartaceo dei documenti. Il decreto legge n. 262 del 2006 ha però successivamente riscritto l’art. 9 del decreto lgs. n. 124/2004 modificando in modo rilevante proprio la parte relativa all’invio dell’interpello, ad oggi è stata abolito il passaggio tra Direzione provinciale e generale, obbligando i soggetti legittimati a proporre l’interpello ad inviarlo direttamente alla Direzione generale che provvederà a fornire una risposta143. Ora l’invio obbligatorio in forma telematica non giustifica più un forte risparmio di costi; tuttavia rimane il più valido in termini di tempistica e di facilità di comunicazione, visto che comunque anche altre Direzioni generali del Ministero del lavoro potrebbero essere coinvolte nella risoluzione del problema rendendosi così necessario uno scambio di documentazione tra più parti. D’altra parte questo metodo di invio è assolutamente anche il più vantaggioso per il consulente che tramite e-mail può celermente inviare i quesito alla Direzione generale. 142 Il Ministro per l’innovazione e le tecnologie della precedente legislatura, Stanca, ha evidenziato in un intervento del 25 marzo 2004 che il costo per la Pubblica Amministrazione di ogni lettera inviata con tradizionali sistemi è di 20 € contro i circa 2 € di una e-mail 143 In precedenza si prevedeva il passaggio dalla Direzione provinciale a quella generale con una relativa verifica istruttoria, quindi in ordine anche ai contenuti, per verificare per esempio che non sia già stata emessa una posizione ufficiale dell’Amministrazione su quell’argomento. Ora è la Direzione generale dell’attività ispettiva la destinataria di tutte le richieste, e la stessa D.g.l. provvederà poi a smistare il quesito alle altre direzioni generali eventualmente coinvolte per una valutazione congiunta del problema proposto. 78 Ad oggi, dopo che l'art. 21 del Decreto Legge approvato il 29 settembre 2006 ha modificato l'art. 9 Dlgs 124/04, quindi non si prevede più la presentazione degli interpelli per il tramite delle Direzioni provinciali del lavoro e stabilisce che solo i Consigli Nazionali degli Ordini professionali, possano inoltrare alla Direzione Generale, quesiti di ordine generale sull'applicazione delle normative di competenza del Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale. Attualmente la procedura adottata dal Consiglio Nazionale segue questo sviluppo: il consulente che, nello svolgimento della propria attività, rileva una questione che ritiene essere meritoria di chiarimento, la propone al consiglio provinciale dell’ordine presso cui è iscritto144. Il consiglio provinciale effettua la segnalazione diretta al Consiglio Nazionale, il quale, tramite gli esperti della Fondazione Studi145 del Consiglio Nazionale e per conto del Consiglio stesso, valuta gli interpelli pervenuti. Se si tratta di quesito al quale è possibile rispondere alla luce della normativa vigente, si procede con il sistema usuale adottato per i quesiti con risposta diretta al collega; se si tratta di interpello, perché l’argomento realmente è di dubbia, interpretazione, e soddisfa i requisiti di cui all’art. 9 d. lgs. n. 124/2004, scatta la valutazione per verificare se si tratta di interpello giacente (quindi già proposto da altri consigli provinciali ed in attesa di essere inoltrato, o di ricevere una risposta) o di interpello per il quale è già stata data risposta. Nel caso in cui nessuna delle due ipotesi sia quella corretta il Consiglio Nazionale dell'Ordine procederà alla predisposizione finale dell’interpello, da inviare direttamente alla Direzione generale. A più di due anni dalla prima presentazione di una richiesta di interpello, visitando il sito del Ministero del Lavoro nel quale sono presentati, divisi per argomento, i diversi interpelli a cui è stata data risposta, si può osservare come l’istituto sia ancora in una fase di collaudo, nonostante le richieste siano comunque state in numero significativo. I quesiti evasi dal Ministero sono stati 144 Ricordo che l’albo è tenuto dal consiglio provinciale, composto da un numero di membri variabile sulla base del numero degli iscritti, e da questi eletti. 145 La Fondazione Studi “è una fondazione, senza scopo di lucro, che ha per oggetto la valorizzazione della figura e della professione del consulente del lavoro attraverso il costante aggiornamento e perfezionamento tecnico, scientifico e culturale”. Vedi sito www.fondazionestudicdl.it per una completa spiegazione delle funzionalità della F. S. 79 infatti 116, mentre rilevando dei dati dal lato della provenienza degli stessi si osserva che la maggior parte provengono dai consulenti del lavoro, per un totale di 33 sui 116 totali (fonte www.consulentidellavoro.it). Sicuramente c’è chi ha capito l’importanza di uno strumento di questo tipo, la possibilità di richiedere dei chiarimenti in una materia complicata qual è il diritto del lavoro è sicuramente un fattore che da solo dovrebbe spingere i soggetti legittimati all’utilizzo. Tuttavia ci sono state, in questi primi due anni dall’entrata in vigore del decreto, alcune questioni che ne hanno frenano le potenzialità; in particolare mancava un riferimento normativo che chiarisse in quale modo la risposta fornita dall’Amministrazione fosse vincolante per il proponente. Era opinione diffusa che la risposta fosse vincolante nei casi in cui non coinvolgesse i diritti dei lavoratori o altri soggetti terzi interessati, per cui non fosse combinabile alcuna sanzione a chi si fosse uniformato al parere ricevuto; d’altra parte se i diritti dei terzi venissero coinvolti sarebbe stato necessario garantire una tutela ai lavoratori a seguito di una modifica dell’interpretazione risultante dalla risposta all’interpello, senza però che ci potessero essere conseguenze per chi si fosse attenuto alla originale formulazione dello stesso quesito146. Anche qui, come auspicato, il legislatore è intervenuto e nel modificare l’art. 9 d. lgs. n. 124/2004, con il decreto legge n. 262/2006, ha introdotto il Co. 2 nel quale si precisa che <<L'adeguamento alle indicazioni fornite nelle risposte ai quesiti di cui al comma 1, esclude l'applicazione delle relative sanzioni penali, amministrative e civili>>. In questo modo si è voluto dare una maggiore forza ad uno strumento che può diventare sicuramente molto importante nei rapporti tra Amministrazione e cittadini. 4. I nuovi istituti nel riordino dei servizi ispettivi, l’assistenza del consulente del lavoro. Un punto fondamentale nell’analisi della centralità del professionista in fase di assistenza del cliente in caso di visita ispettiva sta nella definizione del ruolo che egli ricopre alla luce dei diversi strumenti che la legge mette a disposizione del datore di lavoro affinché ripristini una situazione di legalità nella gestione dei 146 Bombardelli M., “Razionalizzazione delle funzioni ispettive in materia di previdenza sociale e di lavoro – commentario sistematico al d. lgs. n. 124/2004”, in Le nuove leggi civili commentate, 2005 80 rapporti con il personale occupato. Nel secondo capitolo sono stati descritti diversi istituti, attivabili dagli ispettori del lavoro, preliminari all’accertamento definitivo dell’illecito e all’attivazione della procedura che si conclude con l’emanazione dell’ordinanza-ingiunzione da parte della D.p.l. In particolare si ricorda la conciliazione monocratica, la diffida accertativa per i crediti patrimoniali, la diffida ad adempiere e la prescrizione, tutti istituti che vedono coinvolti come parti in causa l’organo ispettivo ed il datore di lavoro, ma che molto spesso si concretano invece in un dialogo/confronto tra organo ispettivo e consulente del lavoro. Questo, in veste di responsabile della gestione del personale e rappresentante del datore, ha il compito di sviluppare nel migliore dei modi il processo conciliativo, nel caso sia questa la via intrapresa, o perseguire comunque gli interessi del proprio assistito nel caso di situazioni caratterizzate da una posizione dominante dell’Amministrazione (dove cioè non è prevista una fase conciliativa e di confronto tra le parti) quale è il caso della diffida ad adempiere. È insomma chiamato ad interagire con le istituzioni di volta in volta coinvolte nella gestione degli strumenti che il legislatore ha messo a disposizione degli organi ispettivi, sia i più “vecchi” comunque riformati dal decreto legislativo n. 124/2004 (ridefinizione della diffida ad adempiere e della prescrizione), sia soprattutto quelli più innovativi introdotti con la nuova disciplina (conciliazione monocratica e diffida accertativa per i crediti patrimoniali). 4.1 Definizione della procedura conciliativa: alcuni richiami alla conciliazione monocratica ed alla conciliazione obbligatoria. Uno degli strumenti a cui il legislatore del 2004 ha fatto ricorso per cercare di ridurre i contenziosi giudiziari in materia di lavoro è la conciliazione monocratica. Richiamando brevemente la procedura prevista dalla normativa in vigore ricordo che i tipi di conciliazioni previste dall’art. 11 sono due: la conciliazione preventiva attivabile dalla D.p.l. quando, su segnalazione del lavoratore, ritiene che ci siano elementi per una soluzione conciliativa della controversia; e la conciliazione contestuale, avviata nel corso dell’ispezione qualora l’ispettore ritenga vi siano i presupposti per espletare il tentativo. L’organismo competente per il tentativo di conciliazione preventiva è la Direzione provinciale del lavoro legittimata ad esercitare la vigilanza (quella del luogo di svolgimento del rapporto di lavoro), dopo che il Dirigente della stessa D.p.l. ha valutato l’esistenza o meno 81 di elementi che rendano possibile l’attivazione del tentativo147. Fatto ciò si provvede alla convocazione delle parti tramite funzionario scelto <<tra quelli con adeguata e specifica professionalità maturate in tale ambito>> ; le parti possono farsi assistere, nel giorno e nell’ora fissati per la convocazione, da un professionista di cui all’art. 1 della legge n. 12/1979, quindi dottori commercialisti, avvocati, ragionieri, periti commerciali e su tutti da un consulente del lavoro. Nel caso in cui si raggiunga un accordo questo deve apparire da apposito verbale, sottoscritto dal funzionario incaricato, che acquista così piena efficacia. Esso diviene infatti inoppugnabile stante l’inoperatività dei commi 1-2 e 3 dell’art. 2113 c.c. relativi alle rinunzie e alle transazioni. Il procedimento ispettivo si estingue con il pagamento delle somme concordate con i relativi obblighi contributivi, che non devono in ogni caso essere mai inferiori a quelli calcolati sui minimali di legge. Nel caso invece non ci sia accordo si redige un verbale di mancato accordo e la D.p.l. avvia la procedura ispettiva148. Lo stesso iter viene seguito anche per quel che riguarda la conciliazione contestuale alla visita ispettiva. La conciliazione monocratica non è comunque uno strumento assolutamente nuovo all’interno del nostro sistema giuridico, essendo anzi piuttosto un’alternativa al tentativo obbligatorio di conciliazione di cui all’art. 409 e ss del c.p.c., che nonostante questa nuova introduzione rimane valida e resta condizione di procedibilità per il successivo ricorso alla magistratura del lavoro. In sostanza l’innovazione apportata dall’art. 11 d. lgs. n. 124/2004 sta tutta nella caratteristica monocraticità dell’organo conciliante, essendo invece collegiale l’organo davanti cui si esplica il tentativo obbligatorio. Anche qui è necessario richiamare in sintesi i principali elementi che definiscono questa procedura, considerato che anche in questa situazione è il consulente del lavoro il soggetto chiamato il più delle volte ad assistere il datore di lavoro. Innanzi tutto si sottolinea che la modifica al c.p.c che ha reso obbligatorio il tentativo di conciliazione risale al 1998 con il d. lgs. n. 147 Sempre ricordando che non è utilizzabile la conciliazione in caso di evidenti e chiari indizi di violazioni penalmente rilevanti. Ancora si rimanda al Cap. II per la completa trattazione dell’argomento. 148 Per la completa trattazione dell’istituto della conciliazione monocratica rimando al secondo capitolo, paragrafo 2.2 “La conciliazione monocratica” e s.s. 82 80, con il quale il legislatore fece un primo tentativo per diminuire il numero di controversie in materia di lavoro, favorendo la soluzione delle controversie in sede conciliativa. A norma di quanto previsto dall’art. 410 del c.p.c. chi intende proporre in giudizio una domanda relativa ai rapporti previsti dall’art. 409149 c.p.c., senza avvalersi delle procedure previste eventualmente dai contratti collettivi, deve promuovere un tentativo di conciliazione presso la commissione di conciliazione individuata secondo i criteri dell’art. 413 c.p.c.; tale commissione è costituita presso la Direzione provinciale del lavoro ed è formata da quattro rappresentati dei lavoratori, quattro rappresentanti dei datori di lavoro ed è presieduta dal Direttore dell’ufficio o da un suo delegato. Relativamente ai rapporti di lavoro nel settore privato, il tentativo di conciliazione delle vertenze può essere esperito anche in sede sindacale (co. 3, art. 411 c.p.c.) nelle forme previste dalla contrattazione collettiva; se invece il tentativo si svolge nella sede amministrativa la competenza è della Commissione nella cui circoscrizione è sorto il rapporto di lavoro, costituite così come appena detto. Se si raggiunge un risultato positivo il verbale di conciliazione è depositato presso la cancelleria del Tribunale che lo dichiara esecutivo con decreto; si ricorda che le rinunce derivanti dalla conclusione dell’accordo sono inoppugnabili (art. 2113 c.c).150 Come detto questo tentativo di accordo deve essere obbligatoriamente esperito affinché si crei il presupposto per poter proporre eventualmente una domanda in giudizio relativamente ai rapporti previsti dall’art. 409 c.p.c., anche in seguito all’introduzione della nuova conciliazione monocratica ex art. 11 d. lgs. n. 124/2004. 4.2 La funzione del consulente in sede conciliativa Tornando più propriamente a considerare gli istituti tipici del decreto legislativo n. 124/2004 è importante quindi fare alcune riflessioni relativamente all’importanza 149 Controversie relative a: 1) rapporti di lavoro subordinato privato, anche se non inerenti all’esercizio di una impresa;………3) rapporti di agenzia, di rappresentanza commerciale ed altri rapporti di collaborazione, che si concretizzino in una prestazione di opera continuativa e coordinata……..anche se non a carattere subordinato;…….. 150 Per una completa trattazione del tentativo obbligatorio di conciliazione ex art. 410 c.p.c. si rimanda a: Casotti A, Gheido M.R.,” Le strategie difensive del datore di lavoro”, Giuffrè editore, 2005; Massi P. “Le conciliazioni presso le direzioni provinciali del lavoro”, www.dplmodena.it, Agosto 2005. 83 che può assumere il consulente del lavoro qualora sia incaricato di assistere il suo cliente durante una conciliazione. Per prima cosa si deve rilevare che vista la potenzialità dello strumento, atto ad estinguere il procedimento ispettivo in seguito <<al versamento dei contributi previdenziali ed assicurativi riferiti alle somme concordate in relazione al periodo lavorativo riconosciuto dalle parti, ed al pagamento delle somme dovute al lavoratore>>151, l’ordine dei consulenti del lavoro ha riscontrato una concentrazione eccessiva di “poteri” in mano al funzionario, che ha piena facoltà di valutare se ammettere o meno il datore alla conciliazione. Fino ad oggi l’istituto conciliativo aveva (e mantiene ancora per quel che riguarda la procedura ex art. 411 c.p.c.) solamente un carattere di obbligatorietà, per cui il professionista era conscio della necessità di rivolgersi preventivamente alla Commissione di conciliazione per poter successivamente adire la magistratura del lavoro in ordine a predeterminate questioni, previste esplicitamente dall’art. 409 c.p.c. L’art. 11 d. lgs. n. 124/2004 apre le porte a nuove possibilità di intervento del consulente che può essere chiamato a rappresentare il datore in una nuova sede conciliativa, che non è però obbligatoriamente prevista dalla normativa, ma è subordinata ad una decisione da parte del funzionario che attiva la procedura solo qualora lo ritenga opportuno. Sembra quindi che il non avere stabilito con certezza quali debbano essere i parametri di riferimento su cui si basa il giudizio, peraltro insindacabile, del funzionario possa vincolare e limitare la possibilità del professionista di trattare sulle questioni sollevate dal lavoratore o emerse in fase ispettiva. Si ricorda che il potere discrezionale del funzionario è, a parere degli stessi dirigenti delle Direzioni provinciali152, atto a superare un eventuale consenso alla procedura conciliativa manifestato dal lavoratore all’atto della denuncia. È chiaro che questo possa diventare un limite all’intervento del consulente, il quale potrebbe ben avere a disposizione sia gli elementi adatti ad una soluzione concertativa, sia il consenso del lavoratore, ma è impossibilitato ad intervenire dal diniego all’avvio della 151 Casotti A., Gheido M.R., “Le strategie difensive del datore di lavoro”, Giuffrè editore, 2006, pg 31. 152 Ricordo a titolo di esempio Massi E., dirigente della direzione provinciale del lavoro di Modena, il quale in diversi articoli (“Le conciliazioni presso le direzioni provinciali del lavoro”, www.dplmodena.it , per esempio) sostiene appunto la tesi che il funzionario possa rifiutare di attivare il tentativo di conciliazione nonostante manifesta accettazione da parte del denunciante (i moduli attuali di denuncia prevedono la possibilità di avvalersi della procedura conciliativa). 84 procedura da parte del funzionario ispettivo. Un altro problema, sollevato sempre da parte dell’ordine professionale153, riguarda ancora la discrezionalità nella decisione sull’avvio della procedura conciliativa, questa volta in relazione alla cosiddetta conciliazione contestuale. Ci si è chiesto infatti come sia possibile che l’ispettore dia il consenso all’attivazione della fase conciliativa mentre si trova in azienda ad interrogare lavoratori ed esaminare documenti. Ci sono dei casi in cui all’emergere dell’irregolarità e della volontà di entrambe le parti di provare a concertare una soluzione vantaggiosa per entrambi, l’ispettore potrà scegliere se ritenere plausibile un tentativo di conciliazione o continuare nell’ispezione fino a determinare con precisione la violazione e procedere ad accertarla. Il presupposto per poter procedere alla conciliazione è infatti la mancata verificazione di elementi probatori atti a dimostrare la responsabilità del datore. Si può conciliare quindi solamente se il funzionario non dispone di elementi di prova certi, non suffragati da elementi documentali o testimoniali154. Di conseguenza può essere estremamente sottile il confine tra potenziali omissioni riscontrate in sede ispettiva passibili di essere rivalutate in fase conciliativa ed il loro accertamento, è il funzionario che ha il potere qui di decidere quale strumento applicare. È in definita una problematica che potrebbe portare ad una sorta di discriminazione tra le aziende, che vedrebbero attuato uno o l’altro comportamento a seconda del funzionario di volta in volta chiamato ad intervenire. Da un punto di vista maggiormente pratico oggetto della conciliazione sono controversie che riguardano esclusivamente richieste aventi contenuto economicopatrimoniale derivanti dal rapporto di lavoro ed il mancato rispetto della normativa previdenziale ed assistenziale, indipendentemente dall’origine legale o contrattuale. Nel testo della norma si fa riferimento infatti a “somme concordate”, “periodo lavorativo riconosciuto dalle parti” e “pagamento delle somme dovute al lavoratore”, in più si lega l’effetto estintivo della procedura ispettiva “all’effettivo pagamento dei contributi”155. 153 “ La conciliazione monocratica”, Consiglio nazionale dell’ordine dei consulenti del lavoro, www.consulentidellavoro.it, articolo gennaio 2005. 154 Messineo D., “La nuova conciliazione monocratica nella riorganizzazione dei servizi ispettivi”, Il lavoro nella giurisprudenza, n. 8/2005. 155 Per un chiarimento in merito alla questione contributiva vedi pag. 84. 85 Chiaramente lo strumento della conciliazione può essere molto utile al datore di lavoro, che in diverse situazioni trova maggiormente conveniente raggiungere un accordo con il lavoratore piuttosto che dover poi difendersi in sede giudiziaria o procedere al pagamento della sanzione emessa con l’ordinanza-ingiunzione. Infatti va ricordato che tra i presupposti oggettivi che debbono essere presenti affinché il funzionario possa richiedere il tentativo di conciliazione c’è la previsione per cui <<non debbono essere presenti elementi oggettivi e certi atti a dimostrare la sussistenza di illeciti amministrativi>>156; di conseguenza è possibile che l’illecito sia presente nella particolare situazione ma che non ci siano gli elementi per provarlo e dimostrarlo. In tal caso sarà vantaggioso per il datore, che verosimilmente è a conoscenza della violazione, tentare di conciliare la controversia ed evitare che abbia inizio l’ispezione. E’ uno strumento potente che il consulente del lavoro dovrà sfruttare al meglio; il termine stesso di conciliazione implica la necessità che le parti si facciano delle reciproche concessioni, da un lato il lavoratore sarà portato a rinunciare ad alcuni dei diritti (legali o contrattuali che siano), ed a relative somme che scaturivano dal loro esercizio, in virtù di una più celere soluzione della controversia che gli garantisca di ricevere quanto pattuito in tempi brevi. Dall’altra parte il consulente cercherà di trovare un compromesso, una soluzione equilibrata che comporti un sacrificio economico il più contenuto possibile, ma che tenga in ogni caso presente la caratteristica “tombalità” dell’accordo raggiunto. Con ciò si vuole dire che probabilmente il professionista, ed il suo rappresentato naturalmente, cercherà di assecondare, per quanto possibile, le richieste economiche del lavoratore con l’obiettivo finale di evitare che l’ispezione in azienda abbia inizio, eventualità sempre sgradita ai datori di lavoro in quanto, nel migliore delle ipotesi, si reca comunque una turbativa alla normale vita aziendale e all’attività produttiva. Questo appunto nella migliore delle ipotesi, è sempre possibile, se non addirittura probabile, che oltre all’illecito su cui si è tentata la conciliazione, emergano altre infrazioni. Si potrebbe osservare che probabilmente la facilità con cui il datore di lavoro sia disponibile ad assecondare le richieste del lavoratore stia in una relazione direttamente proporzionale con il “grado di illegittimità” presente nella gestione del suo personale; nel senso che tanto più il datore è conscio delle 156 Circolare Ministero del Lavoro n. 24/2004. 86 infrazioni commesse e rilevabili in caso di ispezione, tanto più è disponibile a chiudere la questione in sede conciliativa ed evitare l’ispezione stessa. Questa può essere una chiave di lettura che tuttavia non può e non deve essere l’unica; in ogni caso l’ispezione aziendale è un momento di turbativa e fonte di disturbo per il datore di lavoro, al di là del livello di legalità applicato nella gestione del personale dell’impresa, ed il quarto comma dell’art. 11 nel prevedere l’estinzione del procedimento ispettivo in seguito al versamento delle somme e dei contributi pattuiti (semplificando) è un incentivo molto forte al raggiungimento di un accordo, anche se si è nella consapevolezza di avere applicato correttamente tutte le normative giuslavoristiche previste. In definitiva serve una particolare abilità che permetta al consulente del lavoro di vagliare tutte le diverse situazioni che entrano in gioco e che spingono la quantificazione della somma in sensi opposti. Da un alto c’è la necessità di non dover sopportare un eccessivo sacrificio economico, valutando anche la possibilità di non raggiungere l’accordo ed eventualmente, qualora venga accertato l’illecito, di pagare la relativa sanzione. Dall’altro c’è la necessità di raggiungere l’accordo per evitare il prosieguo o l’avvio dell’ispezione, sia per non recare la turbativa di cui si parlava in precedenza sia per evitare l’emersione di altre situazioni di irregolarità. Sarà la valutazione di queste opposte istanze che guiderà il comportamento del consulente in sede ispettiva. Un punto importante che deve essere tenuto presente nell’espletamento del tentativo di conciliazione riguarda il trattamento dei contributi previdenziali. Il costo per l’azienda di un accordo maturato in sede di conciliazione monocratica comprende anche il versamento dei contributi all’ente previdenziale, tant’è che la norma stessa subordina l’estinzione del procedimento ispettivo “all’effettivo pagamento dei contributi”, correlati alle retribuzioni concordate ed al periodo di lavoro riconosciuto. Il problema della determinazione dei contributi è stato molto dibattuto in dottrina ed ha sollevato molti dubbi tra chi si è occupato della questione. Senza addentrarci troppo basti ricordare che il punto centrale sta nell’aver riscontrato nell’art. 11 d. lgs. n. 124/2004 una violazione del principio della indisponibilità del debito contributivo laddove si ritenesse di dover prendere come base imponibile per il calcolo di tale credito la somma pattuita nell’accordo raggiunto tra le parti. In questo caso infatti si subordinerebbe la determinazione dei contributi da versare all’ente, alla cifra che le parti concordano durante la 87 conciliazione monocratica. In realtà si è attestato che il riferimento dell’art. 11, comma 4, alle “norme in vigore” imponga il rispetto (e non si vede come non possa essere altrimenti) dei minimali contributivi di legge nel caso l’importo di conciliazione sia inferiore a detti minimali, così come stabilito dalla l. n. 389/89, all’art. 1, 1° comma157. Di conseguenza è conforme tanto ai principi generali quanto all’art. 11 che essendoci il riconoscimento del credito per un determinato periodo in sede conciliativa, su di esso vengano calcolati i relativi contributi previdenziali, nel pieno rispetto delle norme in vigore, e quindi anche dei minimali di legge e di contratto collettivo158. L’aspetto innovativo sta solo nel fatto che in contropartita all’effetto premiale dell’estinzione del procedimento ispettivo deve avvenire il pagamento del debito contributivo stesso. Da un punto di vista dei costi della conciliazione la questione è rilevante. Da parte dei consulenti del lavoro infatti è d’uso, nelle transazioni con i lavoratori, contestare tutte le eccezioni formulate ed offrire a saldo e stralcio una somma a titolo conciliatorio della controversia. Sono le cosiddette conciliazioni “novative”, le quali, secondo affermata giurisprudenza, sfuggono al prelievo contributivo in quanto non è individuabile, nell’emolumento spettante al lavoratore, la natura retributiva necessaria per poter computare la somma nella base imponibile per il calcolo dei contributi159. Da questo deriva la necessità di valutare attentamente l’aspetto contributivo che pesa sulla transazione con il lavoratore, non è più sufficiente determinare una cifra a stralcio da proporre alla controparte per soddisfare le diverse pretese avanzate, bisogna valutare il peso che l’aspetto contributivo ha sulla stessa cifra, posto che questo sarà in relazione al periodo di riferimento sul quale datore e lavoratore conciliano la controversia L’Ordine dei consulenti ha definito le regole dettate dal Ministero per la regolarizzazione contributiva come “un compromesso fra il ruolo che è affidato all’ispettore e la necessità per lo Stato di riconoscere in ogni caso, al lavoratore, un periodo contributivo”; quasi a dire che a fronte di una richiesta del lavoratore o di una 157 Zoli C, Conciliazione Monocratica in “Razionalizzazione delle funzioni ispettive in materia di previdenza sociale e di lavoro” – commentario sistematico al d. lgs. n. 124/2004 in Le nuove leggi civili commentate, 2005. Casotti A., Gheido M.R., “Le strategie difensive del datore di lavoro”, Giuffrè editore, 2006, pg. 31. 158 Capurso P., “La riforma del mercato del lavoro: riflessi sulle obbligazioni contributive previdenziali”; Genova 19/12/2005, www.giuslavoristi.it/relazioni. 159 Scacco A.C., Bianchi N., “Manuale del consulente del lavoro”, Buffetti Editore, 2006. 88 valutazione dell’ispettore che porti all’espletamento del tentativo di conciliazione monocratica, l’amministrazione da un lato non può esimersi dal richiedere comunque l’assolvimento dell’obbligo contributivo e dall’altro non vuole con questo incidere troppo negativamente sulle possibilità di raggiungimento dell’accordo. 4.3 La diffida accertativa: il nuovo strumento per il recupero dei crediti patrimoniali. L’art. 12 del decreto lgs. n. 124/2004 ha introdotto l’istituto della diffida accertativa per i crediti patrimoniali con l’effetto primario di <<consentire la lavoratore di vedersi più celermente soddisfatti i crediti derivanti dalla propria attività lavorativa>>, con uno strumento cui, a determinate condizioni, la legge attribuisce l’efficacia di titolo immediatamente esecutivo160. Agli ispettori è quindi consentito intervenire in prima persona a tutela dei crediti dei prestatori di lavoro, a prescindere dalla commissione di illeciti amministrativi o penali161, manifestando la volontà dello Stato di assicurare una protezione integrale dei diritti dei lavoratori, assegnando agli ispettori un ruolo che, in precedenza, era affidato al sindacato162.In sostanza si apre la possibilità per l’ispettore di diffidare il datore di lavoro al pagamento dei crediti patrimoniali qualora abbia acquisito elementi certi e idonei a determinare il calcolo delle spettanze163, il Ministero parla più precisamente di <<valutazione delle circostanze del caso, secondo un prudente apprezzamento dei risultati dell’indagine e degli elementi obiettivi acquisiti>> nella Circolare n. 24/2004. Nel caso in cui non sia praticabile questa strada l’ispettore può sempre acquisire il consenso delle parti ad una conciliazione monocratica. Anche in questo caso siamo di fronte all’introduzione di un nuovo istituto, sconosciuto prima dell’approvazione del d. lgs. n. 124/2004, con il quale 160 Rausei P., “La nuova ispezione in azienda. Poteri e funzioni del personale ispettivo”, in Dir. Pratica Lavoro, serie Oro n. 4. 161 Bolego G., “Diffida accertativa per i crediti patrimoniali”, in “Razionalizzazione delle funzioni ispettive in materia di previdenza sociale e di lavoro” – commentario sistematico al d. lgs. n. 124/2004 in Le nuove leggi civili commentate 2005, p. 958. 162 Monticelli M., “La riorganizzazione dei servizi ispettivi e delle attività di vigilanza: funzioni e finalità”, in La riforma dei servizi ispettivi in materia di lavoro e previdenza sociale. Commentario al decreto legislativo n.124/2004, p. 28. 163 Per una completa trattazione della diffida accertativa per i crediti patrimoniali si rimanda al Cap II, paragrafo 2.3 del presente lavoro. 89 il consulente del lavoro deve confrontarsi, con la consueta professionalità e capacità interpretativa che ne contraddistingue l’operato. È indubbio che la norma ha una rilevanza non indifferente, e ha sollevato una pluralità di dubbi in ordine a diverse questioni, già discusse nella prima parte di questo lavoro. Preme qui sottolineare invece altri aspetti, maggiormente connessi con l’attività professionale del consulente e che incidono nella gestione del personale aziendale da parte del datore. La facoltà concessa agli ispettori di diffidare direttamente il soggetto ispezionato alla corresponsione di somme sulla base delle valutazioni effettuate è assolutamente innovativa e può avere una portata rilevante all’interno del sistema aziendale; se prima infatti i poteri sul fronte del recupero dei crediti era circoscritto in quanto il personale ispettivo si limitava ad accertare le violazioni e a procedere al recupero della contribuzione, ora ha facoltà di intervenire direttamente sul soddisfacimento dei crediti dei lavoratori. Questo può naturalmente comportare un appesantimento dell’esborso da parte del datore il quale oltre al credito contributivo e ad una eventuale sanzione pecuniaria (ove prevista) si trova avverso anche un provvedimento che, in seguito ad una validazione della Direzione provinciale, è immediatamente esecutivo. Questa diffida deve essere notificata al datore di lavoro, è ciò avverrà o per consegna a mani direttamente alla fine dell’ispezione, oppure mediante raccomandata. Non è previsto un termine per ottemperare ma l’unico modo che il datore ha di evitare che la diffida acquisisca efficacia di titolo esecutivo è <<promuovere tentativo di conciliazione presso la direzione provinciale del lavoro>>, entro 30 gg. dalla notifica della diffida stessa. Anche qui si ripete in parte la stessa situazione analizzata in precedenza relativamente alla conciliazione monocratica; per motivi che sono in questo caso diversi, la spinta che il datore di lavoro subisce affinché si arrivi alla conciliazione è molto forte. L’accertamento del credito è infatti destinato ad acquisire efficacia esecutiva in mancanza di alcuna reazione da parte del soggetto destinatario della diffida, il quale sarà di conseguenza spinto ad attivare quanto meno una procedura conciliativa per tentare di ridurre quanto più possibile quanto accertato dall’ispettore. Anche il consulente dovrà essere abile nel cercare di mediare la controversia; considerando che forse il datore si trova in una situazione ancora peggiore in cui versa in seguito ad una 90 sentenza di condanna al pagamento di somme164, qui infatti la cosa migliore da fare è probabilmente transigere, visto che l’alternativa è di subire l’esecuzione forzata. Della procedura conciliativa, che si apre in seguito all’emanazione della diffida accertativa, c’è da dire che pur essendo senz’altro quella prevista dall’art. 11 (conciliazione monocratica), essa si presenta con caratteri peculiari; su tutti il fatto che soggetto promotore non è l’ispettore ma il datore di lavoro. In ogni caso sarà compito del consulente confrontarsi con la controparte, quindi il lavoratore eventualmente assistito dai sindacati, e cercare di valutare, soprattutto quantitativamente, l’importo che può essere liquidato. Ovviamente il lavoratore ha come solida base di appoggio la diffida emessa dall’ispettore, egli è consapevole che in ogni caso quell’atto, in seguito ad una validazione (che si riduce ad un mero atto formale) del direttore della D.p.l., diventa esecutivo, e gli consente di far valere coattivamente il credito accertato durante l’ispezione. In virtù di questo il consulente sarà costretto ad assecondare sensibilmente le richieste ricevute, anche in considerazione del fatto che una volta che l’importo è stato sborsato sulla base della diffida, c’è una notevole difficoltà nel recupero di quanto pagato al lavoratore che di solito si rende incapiente165. A questo punto si può sostenere che con tutta probabilità ci sarà un favore alla soluzione della questione in sede conciliativa, dove è possibile ci sia una trattativa in relazione al quantum, ma soprattutto in relazione alla tempistica del pagamento. Se infatti si forma il titolo esecutivo il lavoratore a pieno diritto può procedere ad esecuzione forzata in seguito a precetto166, mentre è plausibile che in sede conciliativa si riesca a stabilire una rateazione del pagamento su diverse scadenze, pensate in modo tale da rendere meno gravoso il sacrificio economico sostenuto dal datore di lavoro. Il tutto dipenderà anche dal buonsenso della controparte, dalla disponibilità di quest’ultima di rinunciare ad avere tutto subito nel nome di una soluzione più 164 Infatti nel caso di diffida accertativa per i crediti patrimoniali non c’è stato alcun accertamento giurisdizionale, l’esecutività non è qui il mezzo con cui dare attuazione ad un diritto fatto valere nell’ambito di un giudizio di cognizione (normale processo), deriva solo da una valutazione del funzionario ispettivo. 165 Vallebona A., “L’accertamento amministrativo dei crediti di lavoro”, www.dplmodena.it, pg. 2. 166 Il precetto è atto di parte ex art. 479-480 c.p.c. con il quale inizia il procedimento di esecuzione forzata, ha precise formalità previste dalla legge, deve contenere la trascrizione integrale del titolo esecutivo ed ha 90 giorni di validità. Da appunti del corso “Elementi di procedura professionale”, docente dott. Mandrioli Luca. 91 equilibrata che contempli anche le esigenze del soggetto che deve sborsare gli emolumenti. Un appunto alla soluzione conciliativa viene mosso nuovamente dal Consiglio Nazionale dell’ordine dei consulenti167, il quale rileva come l’impostazione fornita dalla Circolare Ministeriale n. 24/2004 nello stabilire che <<la conciliazione che, in considerazione delle caratteristiche e delle finalità dell’istituto, va effettuata secondo le modalità procedurali previste dall’art. 11 del decreto…omissis…>> sia probabilmente troppo limitativo, essendo difficile escludere che le parti del rapporto di lavoro possano in realtà effettuare una transazione novativa168, in considerazione del fatto che il lavoratore potrebbe non essere significativamente interessato a quanto forma oggetto di diffida. 4.4 Tutela amministrativa e tutela giurisdizionale Nel caso si ritenga assolutamente illegittimo il provvedimento di diffida emesso dall’ispettore, c’è la possibilità di proporre ricorso amministrativo al Comitato regionale per i rapporti di lavoro169, composto dal direttore della Direzione regionale del lavoro, dei direttori regionali di INPS ed INAIL ed integrato da due rappresentanti sindacali, rispettivamente uno dei datori di lavoro e uno dei lavoratori170. Non è previsto un termine per la proposizione del ricorso ma anche qui la celerità con cui il consulente adirà al Comitato sta nell’interesse del suo assistito, poiché il ricorso sospende l’efficacia esecutiva della diffida. Tuttavia il rimedio-controllo amministrativo può risultare quantomeno debole e meramente eventuale, visto che in caso di omessa decisione entro 90 giorni si forma il silenzio-rigetto. Se invece il ricorso viene accolto la diffida viene annullata in tutto od in parte. Da ultimo va naturalmente ricordato che è comunque sempre possibile attivare una tutela giurisdizionale in virtù del diritto garantito dall’art. 24 167 Fondazione Studi. Consulenti del lavoro, Consiglio Nazionale dell’Ordine. Commissione Osservatorio dell’attività amministrativa (porposte per una razionale e moderna gestione dei rapporti di lavoro nell’ambito dei rapporti con la pubblica amministrazione) : “Razionalizzazione delle funzioni ispettive sul lavoro, in materia previdenziale e di lavoro”. Roma, 04/07/2005. 168 Vedi paragrafo precedente sella conciliazione monocratica. 169 Per una trattazione completa dei ricorsi amministrativi, e del ricorso ex art. 17, d. lgs. n. 124/2004, vedi “5.1.1. Il ricorso al comitato regionale per i rapporti di lavoro”, pg 113. 170 Vallebona A., relazione sull’ “L’accertamento amministrativo dei crediti di lavoro”, www.csdn.it/csdn/relazioni_doc/vallebona_costa_classica_2005.doc 92 della Costituzione171. Nonostante il silenzio del legislatore sono ricavabili alcuni principi di base; innanzi tutto la giurisdizione è del giudice ordinario del lavoro poiché la questione riguarda diritti ed obblighi correlati al rapporto di lavoro. Dopodichè si ritiene che l’azione possa essere proposta subito dopo la notifica della diffida, senza necessità di attendere la dichiarazione di esecutività della stessa e di presentare preventivamente il relativo ricorso amministrativo. È l’azione di accertamento negativo, con la quale si chiede che si accerti l’inesistenza del credito vantato dal lavoratore; l’onere della prova grava sul lavoratore mentre si ricorda che l’accertamento amministrativo svolto dall’ispettore che ha successivamente emanato la diffida fa piena prova fino a querela di falso solo per i fatti percepiti direttamente dal verbalizzante, non hanno quindi valore le dichiarazioni apprese da terzi, ne le elaborazioni fatte dall’ispettore stesso. È lo stesso principio applicato ai verbali di accertamento ispettivo (art. 10, comma 5, del d. lgs. n. 124/2004)172. La proposizione dell’accertamento negativo è rilevante, in questa sede, in quanto consente al datore di lavoro di richiedere una consulenza tecnica contabile, atta a contestare i conteggi effettuati dall’ispettore durante l’accesso in azienda. Ancora una volta è auspicabile l’intervento del consulente che tra le sue professionalità comprende la consulenza tecnica di parte ma, cosa ancora più importante, comprende la capacità di determinare l’ammontare del credito esaminando gli aspetti contabili, economici, giuridici, assicurativi e previdenziali che stanno alla base della somma contestata. 4.5 Verso una nuova figura di conciliatore? Alla luce delle considerazioni appena fatte, ed alla luce di quanto detto nella prima parte del lavoro con la sistematica trattazione di questi due innovativi istituti volti a ridimensionare il modello repressivo in favore di un modello che predilige la prevenzione ed il deflazionamento del contenzioso, c’è da dire che probabilmente non è stato data la giusta importanza e valorizzazione al ruolo del consulente. Egli a ben vedere si inserisce in questo nuovo sistema continuando a svolgere la tipologia di attività caratteristica della professione, ha naturalmente 171 L’art. 24 prevede che <<Tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi. La difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento>>. 172 Vallebona A., relazione sull’ “L’accertamento amministrativo dei crediti di lavoro”, www.csdn.it/csdn/relazioni_doc/vallebona_costa_classica_2005.doc 93 più occasioni di confronto con i lavoratori che gli sono offerte dalle nuove procedure conciliative degli art. 11 e 12 appena esaminati, ma non gli viene fornita la possibilità di partecipare più attivamente al processo di modifica avviato con il d. lgs. n. 124/2004 valorizzando il suo ruolo di soggetto naturalmente deputato alla conciliazione e alla soluzione delle controversie di lavoro173. A tal proposito è stata avanzata una proposta di riforma da parte dei Consigli provinciali dell’ordine che prevede l’inserimento, nell’art. 410 c.p.c., di commissioni di conciliazione presso ogni Consiglio provinciale stesso, in quanto organo <<competente a curare gli interessi sia dei datori di lavoro che dei lavoratori, e quindi organo terzo neutrale ed imparziale>>. Fonte di questa imparzialità è la legge stessa che, oltre ad attribuire la qualifica di ordine professionale alla categoria (elemento che qualifica già di per se come super partes i consulenti del lavoro), stabilisce che essi <<svolgono gli adempimenti previsti dalle norme vigenti per l’amministrazione del personale dipendente. Su delega ed in rappresentanza degli interessati, sono competenti in ordine allo svolgimento di ogni altra funzione che sia affine, connessa e conseguente, a quanto previsto nel comma precedente (L. n. 12/1979)>>. Agisocono insomma su delega di titolari di “interessi” relativi alla materia del lavoro, costituendo il punto d’incontro tra datori di lavoro e lavoratori. In questo senso appare sensata la richiesta che tra i soggetti legittimati a promuovere il tentativo di conciliazione ci sia l’inserimento del Consiglio Provinciale dell’ordine dei consulenti del lavoro, appunto istituendo dette commissioni presso le sedi dei diversi Consigli Provinciali. In una ipotetica soluzione di questo tipo, la sottoscrizione dell’atto risolutivo della controversia in presenza di un consulente dovrebbe naturalmente acquistare valore legale, e diventare inoppugnabile ex art. 2113 c.c., per raggiungere il fine di snellire l’attività procedimentale. È una proposta che sicuramente presenta degli aspetti positivi, considerando soprattutto la difficoltà in con cui operano attualmente le commissioni, sulle quali grava costantemente la problematica della scarsità del personale. D’altra parte il mondo dei consulenti del lavoro è storicamente affiancato al mondo aziendale piuttosto che a quello dei lavoratori, al quale invece si ricollega invece il ruolo delle organizzazioni sindacali. Naturalmente il professionista, in quanto tale, è 173 Casotti A, Gheido M.R.,” Le strategie difensive del datore di lavoro”, Giuffrè editore, 2005; Cafaro R., “Il consulente del lavoro”, ne Il contratto di consulenza, Cedam 2003. 94 pagato per assistere il suo cliente, che tipicamente è la piccola-media impresa. Questo però nulla toglie al fatto che il consulente del lavoro resta in ogni caso prima di tutto un profondo conoscitore della disciplina che regola il mondo del lavoro, con forte attitudine ad avere una visione chiara e concreta dei problemi reali, visto che costantemente opera nella gestione del personale. La pragmaticità con la quale sa affrontare le questioni che quotidianamente gli vengono poste dai suoi assistiti, possono diventare prezioso bagaglio culturale, da sfruttare qualora si preveda che gli venga affidato un importante ruolo all’interno del sistema delle commissioni di conciliazione. Affinché questo accada è però necessario che si vinca il pregiudizio di fondo secondo cui si è portati a ritenere che il consulente del lavoro sia in ogni caso più favorevole agli interessi del datore del lavoro, e lo si consideri anzi quale organo super partes in grado di favorire l’equilibrio tra le controparti, così come auspicato dai Consigli Provinciali dell’Ordine. Dopotutto se si richiede alle aziende di vincere l’ostilità nei confronti degli ispettori del lavoro in modo da favorire lo sviluppo dell’attività preventiva e promozionale, allo stesso modo si può chiedere ai lavoratori che abbiano fiducia nella neutralità di una commissione di conciliazione costituita da consulenti del lavoro. Comunque si può ritenere in via generale che sia quantomeno difficile che una proposta di questo tipo posa essere sviluppata nel nostro paese; alle problematiche di tipo “etico”, se così vogliamo dire, se ne aggiungono altre di tipo economico. Difficilmente infatti un consulente del lavoro rinuncerà a dei profitti derivanti dalla gestione di uno studio professionale per dedicare parte del suo tempo all’attività conciliativa in commissione, a meno che non riceva una adeguata remunerazione, magari tramite gettoni presenza. Viste le costanti difficoltà economiche in cui versa l’amministrazione dubito si possano trovare le risorse per gestire una situazione di questo tipo, senza contare che nel caso in cui si trovassero le risorse probabilmente verrebbero utilizzate per aumentare il personale ispettivo o il numero di commissioni previste dall’attuale sistema legislativo piuttosto che per introdurne di nuove come vorrebbe la proposta sopra esposta. 95 5. Il nuovo codice di comportamento degli ispettori del lavoro. Alcuni cenni introduttivi Il D. lgs. n. 124/04 ha profondamente riformato la disciplina della vigilanza sul lavoro esercitata dal Ministero e dagli altri Enti coinvolti, prevedendo, tra i diversi principi ispiratori, anche quello di una stretta collaborazione fra questi soggetti. Alla lettura della norma non sfugge infatti il continuo richiamo ad una “comunione d’intenti” tra Ministero del lavoro, INPS ed INAIL che dovrebbe esplicarsi in una condivisione di obiettivi e di strategie operative. Lampante è la previsione di cui all’art. 2 dove nel definire il ruolo della neo-creata Direzione generale per l’attività ispettiva si richiede che essa assicuri “l’esercizio unitario della attività ispettiva di competenza del Ministero del lavoro e delle politiche sociali e degli enti previdenziali, nonché l’uniformità di comportamento degli organi di vigilanza nei cui confronti la citata direzione esercita……un’attività di direzione e coordinamento”. Su queste basi il Ministero e gli enti chiamati in causa hanno sottoscritto un protocollo d’intesa (Aprile 2005) per dare attuazione a quanto previsto dal decreto lgs. n.124/04 ed impegnarsi ad emanare un codice di comportamento unitario per il personale ispettivo impegnato in ogni struttura. Tralasciando di evidenziare quali problematiche sono emerse in sede dibattimentale - in riferimento soprattutto alla difficoltà di elaborare un codice comune per soggetti impegnati in procedure ispettive diverse - preme ricordare come successivamente si sia arrivati prima all’elaborazione di un documento comune, e poi alla stipula, nel Marzo del 2006, di un ulteriore protocollo d’intesa. Con questo ultimo protocollo d’intesa i diversi Enti si impegnarono ad emanare un codice di comportamento basato sul contenuto del documento comune elaborato nell’anno precedente (il protocollo d’intesa marzo 2006). Il D.D. 20 Aprile 2006, diffuso con circolare n. 13/2006, è il codice di comportamento unico emanato dal Ministero del lavoro, esso contiene soprattutto indicazioni di carattere tecnico, relativamente alle procedure e alle modalità da seguire durante l’attività di vigilanza tentando di definire un vero e proprio procedimento, sia pure con valenza puramente interna174. 174 Nella circolare stessa che contiene il codice si precisa infatti che “ le previsioni contenute nel codice operano esclusivamente come disposizioni interne, eventualmente rilevanti sul piano disciplinare, senza che l’eventuale inosservanza delle stesse possa dar luogo a conseguenze di diversa natura sul piano della legittimità dei provvedimenti adottati”. E non poteva essere 96 Anche se il documento non costituisce fonte di rango normativo resta comunque rilevante ed importante nell’essere il primo punto di riferimento su cui valutare il comportamento degli ispettori in azienda. A questo punto è chiaro che entra in gioco anche il ruolo del consulente del lavoro il quale ponendosi come principale referente del datore di lavoro con le autorità amministrative, si relaziona continuamente anche con gli ispettori in fase di controllo. È nell’ordine naturale delle cose che il consulente, che professionalmente appoggia la parte datoriale, abbia mostrato delle perplessità su alcuni degli articoli del codice di comportamento; ricordando che in ogni caso il codice non deriva da fonte normativa e quindi non è legalmente vincolante ma rappresenta solamente un tentativo di proceduralizzare l’attività ispettiva, è interessante vedere quale posizione viene ad assumere il consulente del lavoro durante la visita ispettiva e quali sono i punti più controversi del D.D. del 20 Aprile 2006 emanato dal Ministero. 5.1 L’assistenza all’ispezione Il primo punto rilevante da cui partire è l’art. 9 del codice di comportamento che, al terzo comma, ricorda agli ispettori la necessità di informare il soggetto ispezionato della “facoltà di farsi assistere, nel corso dell’accertamento, da un professionista abilitato ai sensi dell’articolo 1 della L. n. 12/1979 affinchè presenzi alle attività di controllo e verifica”, salvo poi aggiungere alla fine del terzo comma che “l’assenza del professionista non osta la prosecuzione dell’attività ispettiva, né inficia la validità della stessa”. Tra i professionisti contemplati nella L. n. 12/1979 c’è naturalmente il consulente del lavoro, ed è proprio a questa figura professionale che fa riferimento l’articolo in esame, vista la sua peculiare competenza nella materia lavoristica già esaminata nel capitolo terzo del presente lavoro. In sostanza si richiede che in un primo momento venga identificato, se c’è, il consulente di fiducia del datore di lavoro, e che lo si contatti affinché possa scegliere se assistere o meno alle operazioni di ispezione. Il punto chiave sta nel capire quale vincolo pone il citato terzo comma dell’articolo, soprattutto nella sua parte finale, dove di fatto si qualifica come <<non necessaria>> la presenza del altrimenti, non è pensabile che una fonte di rango amministrativo sia il riferimento per valutare la legittimità degli atti posti in essere durante l’attività ispettiva. 97 consulente. Ho già ricordato, riportando quanto stabilito dal codice stesso, che il compito informativo è assolto dall’ispettore portando a conoscenza il soggetto “passivo” della possibilità di essere affiancato da un professionista di cui alla L. n. 12/1979; e con questo il compito informativo si esaurisce, non essendo poi ammissibile, per diversi motivi, subordinare l’operato degli ispettori all’arrivo dello stesso professionista presso il luogo di lavoro. Prendendo questo come punto di partenza è comunque opportuno fare alcune considerazioni. È bene chiarire che la presenza del consulente non può e non deve essere considerata solamente come un “optional”, nel momento in cui il datore di lavoro tenta di reperire il professionista e questi dà la sua disponibilità a presenziare alle operazioni ispettive è bene che l’ispettore attenda il suo arrivo. Questo sempre che l’attesa, che in ogni caso deve essere contenuta175, non svilisca l’intervento ispettivo caratterizzato magari dalla necessità di immediatezza dell’accesso e della verifica per cercare di intervenire in flagranza di reato/violazione. Deve essere chiaro che nessun obbligo impone all’ispettore di attendere il consulente; egli, una volta qualificatosi al soggetto da ispezionare176 ed averlo informato ai sensi dell’art. 9 del codice di comportamento della possibilità di farsi assistere da un professionista, può procedere allo svolgimento delle operazioni necessarie. La volontà dell’ispettore di attendere l’arrivo di tale professionista deriva solamente dall’applicazione “del buon senso e dello spirito collaborativo”, richiamati esplicitamente dal codice di comportamento stesso, all’art. 4. Come ho poc’anzi sottolineato, ci sono peraltro delle situazioni in cui risulta difficile immaginare che l’accesso ispettivo sia vincolato dall’arrivo del consulente del lavoro; basti pensare ad esempio ad una visita ispettiva volta all’individuazione di lavoro nero. 175 La valutazione in questo caso è soggettiva. Il codice di comportamento non fa nessun riferimento a tempi di attesa, è solo l’interpretazione di norme generali ed il buon senso delle parti che ha sviluppato la tesi per cui è auspicabile che l’autorità ispettiva attenda l’arrivo del professionista. Di conseguenza è rimesso all’ispettore stesso la valutazione di quale sia un tempo di attesa accettabile. 176 All’art. 7 del codice di comportamento si prevede l’obbligo di qualifica dell’ispettore al soggetto ispezionato, tramite esibizione di un cartellino di riconoscimento, in mancanza di tale tessera non è possibile effettuare l’accesso. Per contro è obbligo del datore consentire l’accesso una volta che l’ispettore si è qualificato, eventuali azioni ostative all’acceso in azienda possono avere anche rilevanza penale (Decreto-legge 12 settembre 1983, n. 463, convertito in legge 11 novembre 1983, n. 638). 98 In questo caso si rende necessaria una tempestiva rilevazione di tutti i lavoratori all’interno dell’ambiente di lavoro, e della relativa documentazione, al fine di determinare chi risulta regolarmente assunto e chi invece sta prestando attività lavorativa irregolarmente. L’ispettore quindi provvederà ad effettuare un immediato accesso sul luogo di lavoro onde evitare una manomissione delle prove o la fuga degli stessi lavoratori “in nero”. In ogni caso bisogna sempre tenere presente che il datore di lavoro, o chi ne fa le veci al momento dell’arrivo degli ispettori del lavoro, non può assolutamente impedire l’accesso o procrastinarlo, pena la commissione del reato di interruzione di pubblico servizio, oppure di resistenza a pubblico ufficiale177; per cui si rimarca ancora una volta come la scelta di attendere la presenza del consulente per effettuare l’ispezione sia discrezionalmente lasciata alla valutazione dei singoli ispettori in relazione al caso particolare. A tal proposito si potrebbe pensare che in nessun caso, durante una visita, l’ispettore sia interessato ad avere la presenza del professionista che potrebbe, in virtù delle sue conoscenze e del fatto che in quel momento rappresenta il suo cliente, ostacolare il reperimento di prove od istruire a dovere i soggetti ispezionati su quanto dichiarare in eventuali interrogatori. In realtà spesso gli ispettori beneficiano in modo significativo della presenza di un soggetto con le adeguate competenze, in questo modo risulta più facile reperire la documentazione, chiarire eventuali punti controversi, spiegare in modo chiaro e compiuto la situazione. Non di rado accade che in situazioni di perfetta regolarità siano stati emessi dei provvedimenti contro il datore di lavoro proprio per una incapacità comunicativa che ha generato degli equivoci; il consulente del lavoro ha le competenze tecniche e giuridiche per evitare situazioni di questo tipo e per collaborare con maggiore efficacia all’attività di verifica. D’altra parte, a detta dello stesso Dott. Pennesi178, in molti casi l’ispettore del lavoro sarebbe in grado di risolvere delle problematiche emerse durante la visita semplicemente avendo un referente qualificato con cui interloquire. 177 Ass. industriali prov. Di Vicenza, seminario “Tutela della salute sui luoghi di lavoro – attività di controllo amministrativo e di indagine penale -.” “Facoltà e diritti di difesa del datore e dei suoi collaboratori”, Avv. Furin N., Vicenza Giugno 2005. 178 Vice direttore Ministero del lavoro, Divisione ispettiva. Così al seminario di approfondimento “Come gestire l’ispezione in azienda”, Treviso 30/11/2006. 99 Un discorso a parte meriterebbe anche la problematica relativa alla possibilità di farsi assistere da un legale, basti ricordare qui che nel caso in cui l’ispettore compia accertamenti in veste di ufficiale di polizia giudiziaria per accertare degli illeciti penali potrebbe esserci l’obbligo di avvertire il legale179. Nella fattispecie infatti non è più sufficiente il ruolo del consulente del lavoro, serve un soggetto con le competenze adatte per fungere da garante del diritto di difesa dell’ispezionato. Per chiudere l’argomento è significativo evidenziare che l’art. 9, con una disposizione volta a contrastare il fenomeno dell’abusivismo nello svolgimento dell’attività di consulenza del lavoro, richiede al personale ispettivo di verificare che il professionista sia abilitato all’esercizio della professione secondo quanto previsto dalla L. n. 12/1979. Appare scontato dirlo ma in sostanza il professionista che si appresta ad assistere il datore deve avere un riconoscimento legale di tale titolo; nel caso particolare in cui ad assistere il datore sia un avvocato, un perito commerciale, un commercialista o un ragioniere anziché un consulente del lavoro è necessario dare comunicazione alla Direzione Provinciale del lavoro competente della volontà di prestare anche l’attività di consulenza180.Oltre a ciò vanno ricordate le recenti modifiche che hanno cambiato i requisiti di accesso alla professione di consulente del lavoro181. Con la stessa logica è stata pensata la previsione che consente solamente ai collaboratori dei professionisti, muniti di apposita delega, di poter interagire con il personale ispettivo, anche se per svolgere solamente gli adempimenti di carattere meramente materiale, lasciando comunque l’attività strettamente consulenziale ai professionisti abilitati, così come prevede la legge. 179 La Corte di Cassazione con sentenza n. 45477 del 20/12/2001 (Sezioni Unite Penali) ha stabilito che è necessaria la presenza del legale nel caso di assunzione di dichiarazioni rilasciate spontaneamente, queste non sono quindi valide ai fini penali se fornite senza l’assistenza dell’avvocato difensore (si ritiene che il datore possa ignorare alcuni suoi diritti e fornire, senza saperlo, informazioni che non è tenuto a dare). Comunque la situazione relativa alla presenza del legale è in generale variegata, in alcuni casi il difensore deve presenziare, in altri ha solo diritto ad essere avvisato ma non è obbligatoria la sua presenza, il altre ancora può anche non essere avvertito (non interessa approfondire l’argomento in questa sede). 180 L’abusivismo della professione comporta il reato di cui all’art. 348 c.p., la mancata comunicazione alla Direzione Provinciale del lavoro competente la sanzione di cui all’art. 7 della L. N. 1812/1939. 181 Vedi Cap III, “2. Il consulente del lavoro. Attività svolte e regolamentazione”, pg. 60. 100 5.2. L’esame della documentazione, luogo di tenuta dei documenti obbligatori ed attività ispettiva al di fuori dei luoghi di lavoro. Una delle attività principali svolte durante la visita ispettiva consiste nella disamina della documentazione relativa ai rapporti di lavoro, che può essere molto cospicua e soprattutto dislocata in luoghi diversi, anche non afferenti all’ambiente di lavoro in senso stretto. La situazione tipica è il caso in cui sia il professionista ad avere presso il suo studio parte dei documenti necessari all’organo ispettivo per svolgere il loro compito di verifica. Osservando quanto esposto nella prima parte circa i compiti degli ispettori del lavoro è chiaro che la relativa documentazione da esaminare può risultare alquanto gravosa; l’art. 7 del D. lgs. n. 124/2004, che elenca quali siano i compiti di vigilanza dell’organo ispettivo, può farci intuire che, vista l’ampio raggio di intervento concesso, ci sarà anche una sostanziosa quantità di atti e documenti da analizzare e confrontare. È opportuno quindi cercare di individuare le principali fonti documentali solitamente soggette ad operazioni di verifica per vedere quale ruolo gioca il consulente del lavoro in relazione ad ognuna di esse. 5.2.1 Documenti di assunzione e tenuta dei libri obbligatori All’atto di assunzione di un lavoratore la legge prevede l’obbligo di effettuare una serie precisa e dettagliata di comunicazioni a diversi soggetti coinvolti nella gestione dei rapporti di lavoro. In particolare, a titolo di esempio, si ricorda che sono previste delle comunicazioni: a) al dipendente: - n. matricola (d.l. n. 510/1995) - informazioni sul rapporto di lavoro (parti, luogo di lavoro, durata contratto,durata del periodo di prova, inquadramento, livello, qualifica, importo iniziale della retribuzione secondo quanto stabilito dal d. lgs. n. 152/1997). b) Al centro per l’impiego (d. lgs. n. 297/2002182): - comunicazione di assunzione per i rapporti subordinati, co. co. pro., tirocini di formazione e orientamento183; 182 Assieme al decreto interministeriale (in attesa di emanazione) che definirà i moduli per le comunicazioni obbligatorie dei datori di lavoro. 101 - comunicazione di assunzione degli apprendisti; - comunicazione di assunzione nel settore agricolo e di lavoro domestico; - Comunicazione di cessazione del rapporto di lavoro; c) All’I.N.A.I.L.; e ad altri enti, che non è scopo di questo lavoro elencare dettagliatamente. Tutti questi tipi di comunicazione, che identificano in un primo momento la nascita del rapporto di lavoro, e che sono oggetto di verifica degli ispettori in quanto prova della regolarità dell’assunzione del lavoratore, possono essere adempiuti dai datori di lavoro per il tramite dei consulenti del lavoro, a norma dell’art. 4 bis, comma 8, d. lgs. n. 181/2000. Si tratta di un primo punto sul quale indagare per capire se il rapporto di lavoro è regolare o meno, in quanto, per un lavoratore in nero non ci sarà ovviamente nessun tipo di documentazione di questo tipo. Essendo solitamente il consulente del lavoro il soggetto incaricato di provvedere alla gestione di questi obblighi, egli verrà chiamato in causa per dimostrare di avere correttamente adempiuto alle previsioni di legge sopra riportate. Accanto a ciò una parte rilevante di analisi effettuata dagli ispettori riguarda poi le registrazioni e la tenuta dei libri obbligatori, il libro paga ed il libro matricola184. Brevemente ricordo che i libri matricola e paga sono documenti di lavoro aziendali la cui finalità principale è quella di consentire agli organi della Pubblica Amministrazione di controllare che ci sia un corretto adempimento degli obblighi contributivi e retributivi da parte delle aziende, e che ci sia un corretto svolgimento del rapporto di lavoro185. Più in particolare il libro matricola viene utilizzato per la documentazione ai fini assicurativi e previdenziali dell’esistenza del rapporto di lavoro, è unico presso ogni azienda (anche se svolge attività in diversi luoghi di lavoro) e vi devono essere iscritti, in ordine cronologico di assunzione (ma prima dell’ammissione al lavoro186) tutti i lavoratori dipendenti.187 Per ogni dipendente si devono indicare 183 La legge finanziaria 2007 ha previsto l’obbligo di comunicazione al centro per l’impiego il giorno antecedente all’immissione al lavoro, nell’ottica di contrasto ai fenomeni di mancata regolarizzazione. 184 Altri documenti di notevole importanza sono i registri presenza e il registro infortuni. 185 Bussino T., “L’I.N.A.I.L. riepiloga le disposizioni sulla tenuta dei libri obbligatori”, G. Lav. n. 7 gennaio 2005. 186 Art. 20, n. 1, D.P.R. n. 1124/1965. 102 diversi dati, anagrafici e non, tra i quali interessano la data di ammissione in servizio, la categoria professionale e la misura della retribuzione. Il libro paga funge da prova verso gli Istituti assicurativi (quindi INAIL soprattutto), verso l’Amministrazione finanziaria e verso i servizi ispettivi del lavoro, dell’effettiva prestazione resa dal lavoratore, della effettiva retribuzione percepita e delle ritenute previdenziali e fiscali operate. In esso si registrano in particolare le ore di lavoro prestate e l’importo delle singole voci di retribuzione sottoposte a contribuzione o meno. Sono in sostanza i due documenti principali nei quali si rileva la presenza di personale in azienda, la posizione assicurativa188 e quella previdenziale189. In virtù della delicatezza e dell’importanza che questi due registri ricoprono accade di frequente che vengano affidati alla gestione del consulente del lavoro, l’art. 5, comma 1, della legge n. 12/1979 stabilisce che i libri richiesti dalla “corrente legislazione del lavoro” possono essere tenuti presso lo studio del consulente del lavoro, a condizione che in ogni caso una copia del libro matricola e del libro presenze sia comunque tenuta presso il datore di lavoro. Se si intende adottare questa previsione, il datore deve comunicarlo alla Direzione provinciale del lavoro, fornendo le generalità del professionista e i dati relativi al recapito presso cui è possibile reperire tali registri. Si ricorda che l’autorizzazione a tenere questi libri presso un consulente non intacca l’obbligo di esibizione della copia tenuta in azienda su richiesta degli incaricati della vigilanza190 e che a norma dell’art. 5, comma 2, D.P.R. n. 1124/1965 <<le regole che la stessa legge 187 Qui si è sintetizzato, nella normativa si fa riferimento ai prestatori d’opera, compresi gli associati in partecipazione assicurati INAIL ed i collaboratori a progetto. 188 Il datore deve effettuare la denuncia di esercizio all’INAIL con la quale comunica l’inizio di una attività soggetta a tutela. Contestualmente comunica tutti gli elementi necessari affinché l’Istituto compia una valutazione del rischio. Il datore poi individuerà, analizzando il tipo di lavoro, quali lavoratori siano soggetti a rischio e quindi vadano assicurati, preoccupandosi di individuare anche il tipo di rischio che per l’INAIL è diversificato a seconda del tipo di lavoro e di conseguenza soggetto a contribuzione diversificata. Nei libri paga e matricola è possibile individuare un riepilogo della posizione dei lavoratori in merito a queste problematiche e confrontarle con quanto realmente accade nell’azienda. 189 Bianchi N., Scacco A., “Manuale del consulente del lavoro”, Buffetti editore, 2006; “Libri matricola e libri paga”, documento di sintesi www.consulentidellavoro.it . Per l’individuazione del contenuto del libro matricola e paga rif. D.P.R. n. 1124/1965, art. 20. 190 Cassazione, 16 gennaio 1982. 103 stabilisce per il libro paga e per il libro matricola si applicano anche alle copie tenute presso il datore di lavoro>>. Un punto su cui vale la pena soffermarsi relativamente alla tenuta dei libri paga e matricola riguarda la cosiddetta vidimazione a <<numerazione unica>> dei moduli (o fogli mobili). Come tutti (o quasi) i registri che contengono dati soggetti a verifica da parte dell’autorità anche il libro paga ed il libro matricola vanno numerati e vidimati191. Questa operazione è a carico del datore di lavoro se si assume la responsabilità della tenuta dei registri, o del consulente a cui vengono eventualmente affidati. A questo punto volendo trattare la problematica dal punto di vista di uno studio professionale che riceva da numerose aziende il mandato per la gestione di tali documenti, è chiaro che risulterebbe oneroso (oltre che una inutile perdita di tempo) procedere a singole vidimazioni per ogni registro affidato allo studio. È per questo motivo che è prevista una particolare modalità di vidimazione dei registri tale da favorire il lavoro dei professionisti; per cui per i soggetti autorizzati che gestiscono in modo accentrato i dati matricolari ed assicurativi di diverse aziende, può essere concessa dall’INAIL l’autorizzazione ad eseguire la vidimazione dei fogli mobili sostitutivi. La procedura consiste nella facoltà di vidimare blocchi di fogli mobili che in questi casi non vengono assegnati alle posizioni assicurative delle singole aziende assicuranti, bensì vengono affidati personalmente al consulente del lavoro, all’azienda, al professionista, ecc…, che li utilizzano e li gestiscono sotto la propria responsabilità, dandone però conto periodicamente all’INAIL. Il D.M. 30/10/2002 si preoccupa di stabilire in modo preciso quali sono gli adempimenti a cui sono tenuti i soggetti abilitati ad utilizzare questo sistema, tali adempimenti riguardano soprattutto le diverse comunicazioni verso l’INAIL per la corretta gestione dei libri. Nel concreto accade che in luogo di un registro matricola e paga per ogni azienda192 il consulente si assume la responsabilità di gestire un numero preciso di fogli regolarmente vidimati salvo poi comunicare all’ente preposto come questi 191 La vidimazione si compone di due parti: la bollatura con l’apposizione di timbri a secco o inchiostro su ogni pagina e la dichiarazione da registrare sull’ultima pagina che riporta il numero della posizione assicurativa territoriale, il numero progressivo della vidimazione, il totale dei fogli la data e la firma. (da INAIL – Nota 16 dicembre 2004. Oggetto: Modalità per la tenuta dei libri paga e matricola). 192 Registri che ogni azienda è appunto obbligata a vidimare. 104 fogli sono stati impiegati, in particolare a quale azienda sono riferibili i diversi fogli utilizzati, per consentire poi che l’organo ispettivo possa effettuare le verifiche del caso.193 La breve disamina fatta, utile per comprendere che posizione ha il consulente del lavoro nei confronti di alcuni dei principali documenti necessari alla gestione del personale in azienda, consente di introdurre un ulteriore argomento di notevole rilevanza ricavabile anch’esso dalle previsione del codice di comportamento che è quello relativo al luogo di esame della documentazione in caso di visita ispettiva. È occasione questa per osservare i mutati rapporti tra l’organo ispettivo ed i professionisti. La premessa, ovvia se vogliamo, è che il personale ispettivo esamina la documentazione presso la sede del soggetto ispezionato; se l’azienda è di grosse dimensioni è probabile che in amministrazione sia reperibile tutta la documentazioni di cui gli ispettori hanno bisogno, posto che usualmente le grosse imprese hanno al proprio interno i professionisti incaricati della gestione di tutti gli aspetti della vita aziendale, tra i quali quello della gestione del personale. Nella realtà economica del nord-est, dove prevale il modello della piccola-media impresa a conduzione familiare, solitamente il datore di lavoro (che è anche imprenditore e proprietario) affida a terzi sia la gestione della contabilità che la gestione dei rapporti di lavoro, rivolgendosi perciò ai professionisti abilitati, i quali spesso si fanno carico anche della tenuta materiale della documentazione194. A tal proposito il codice di comportamento prevede che l’esame della documentazione venga effettuato innanzi tutto “presso la sede del soggetto ispezionato”, con ciò intendendo sia il luogo dell’esecuzione materiale del lavoro, sia la sede legale, e solo secondariamente e “ove funzionale alle esigenze dell’accertamento” la documentazione sia esaminata presso gli studi dei professionisti (o, in ultima istanza, presso gli uffici dello stesso personale ispettivo). La questione è meno banale di quanto sembri, dal precedente codice emanato con D.D. 16 luglio 2001 193 In sostanza un consulente a cui 10 aziende affidano la gestione del personale compresa la tenuta del libri ha la possibilità di evitare di gestire 10 libri matricola e paga diversi, chiedendo, per esempio, 1000 fogli vidimati, bollati e numerati sui quali effettuerà le registrazioni previste per legge. Periodicamente comunicherà all’INAIL il numero di fogli che ha utilizzato per ogni azienda, specificando ovviamente gli estremi identificativi del foglio per consentire i controlli (Azienda A- Fogli da n.1 a n. 100, azienda B – Fogli da n. 101 a n. 200 e via discorrendo). 194 Resta fermo il punto che comunque almeno una copia del libro matricola ed il libro paga deve essere tenuta sul luogo di lavoro. 105 si può infatti citare l’art. 12 nel quale si stabiliva che “l’esame della documentazione dovrà essere effettuato presso la sede dell’azienda ispezionata; l’ispettore eviterà, quindi, eventuali controlli documentali presso gli studi professionali dei consulenti o degli altri professionisti con la sola esclusione dei casi in cui l’impresa soggetta ad ispezione sia cessata. Qualora, presso la sede aziendale ispezionata non sia tenuta la prevista documentazione obbligatoria, l’ispettore, oltre ad adottare gli eventuali provvedimenti sanzionatori, diffiderà l’azienda, nella persona del legale rappresentante pro-tempore, a tenere tale documentazione presso la stessa, evitando di comunicare la data del successivo accesso ispettivo, oppure provvederà, limitatamente ai casi espressamente individuati dal dirigente, a convocare il legale rappresentante presso la sede della DPL specificando la documentazione da esibire per il prosieguo della verifica.”. L’impostazione che venne proposta nel 2001 dal ministero appare chiara, evitare in qualsiasi modo (salvo casistiche particolari) di recarsi presso lo studio del professionista per reperire il materiale necessario, proponendo soluzioni alternative quali la convocazione presso gli uffici della DPL o la diffida a tenere la documentazione necessaria presso l’azienda nel caso in cui si riscontrassero alcune mancanze. Tale previsione si è rivelata però troppo stringente e mal conciliabile con le esigenze di efficienza ed efficacia degli accertamenti ed è stato il Ministero stesso ad intervenire modificando il proprio orientamento, con la lett. Circolare del 12 marzo 2003 si riconosce infatti che il codice emanato nel 2001 determinava “notevoli ritardi operativi” nello svolgimento dell’attività ispettiva ed “appesantiva” i compiti e le funzioni dei professionisti e si ammette che “l’esame della documentazione nonché l’acquisizione di eventuali atti o documenti possa avvenire oltre che presso la sede aziendale, anche presso la Direzione provinciale del lavoro ovvero presso gli studi professionali dei consulenti abilitati”. Appare più in linea con lo scopo della visita ispettiva, e soprattutto con le funzioni ed i compiti di un consulente del lavoro, consentire che i documenti vengano consultati e verificato anche presso lo studio di chi li gestisce. In quest’ottica si facilita il confronto ed il dialogo tra i soggetti coinvolti nell’ispezione, potendo l’ispettore usufruire della presenza del consulente per avere tutti i chiarimenti di cui necessita e bloccare sul nascere le possibili incomprensioni di cui parlavo nel precedente paragrafo. 106 5.2.2 Violazioni nella tenuta dei libri obbligatori Nel caso si riscontrino violazioni nella tenuta dei libri obbligatori la legge prevede delle sanzioni da comminare al datore di lavoro, di diversa entità a seconda della fattispecie individuata. Vista l’importanza che questi documenti hanno nell’ambito della visita ispettiva riporto le principali fattispecie di irregolarità con le relative sanzioni, ricordando che gli importi di tali sanzioni derivano dall’art. 195 del D.P.R. n. 1124/1965, quintuplicate secondo il dettato dell’art. 1, comma 1177 della Legge finanziaria 2007 (L. n. 296/2006) e ridotte ai sensi dell’art. 16 L. n. 689/1981195; in particolare: - nel caso di omessa istituzione dei libri (cioè il datore ne è sprovvisto o ha registri non vidimati) c’è una sanzione amministrativa da € 4000 a € 12000, ai sensi della art. 1. comma 1178 Legge finanziaria 2007. Va sottolineato che per questa fattispecie non è ammessa la procedura di diffida di cui all’art. 13 d. lgs n. 124/2004; - Rimozione dei libri: sanzione da € 125 a € 770 per soggetti assicurati INAIL e da €25 a €150 per i non assicurati. - Vidimazione tardiva: c’è solo una irregolare tenuta della documentazione obbligatoria, punita anch’essa con sanzioni da € 125 a € 770 per soggetti assicurati INAIL e da €25 a €150 per i non assicurati; - l’omessa esibizione del libro in caso di ispezione è considerata come condotta volta a non consentire all’organo di vigilanza di effettuare la verifica che i lavoratori presenti sul luogo di lavoro siano effettivamente assunti. La fattispecie non si configura se il personale riesce a compiere i propri accertamenti attraverso altra documentazione ugualmente idonea (le diverse comunicazioni obbligatorie per esempio); in questo caso si parla solamente di rimozione dei libri obbligatori con sanzioni di importi uguali al caso di vidimazione tardiva; - irregolare tenuta dei libri obbligatori: ipotesi in cui si constatino registrazioni inesatte o difformità tra l’originale e le eventuali copie presenti 195 Messineo D. Grasso L., “Lotta al sommerso e libri matricola e paga”, Il lavoro nella giurisprudenza N. 4/2007. 107 sul luogo di lavoro. Sanzioni da € 125 a € 770 per soggetti assicurati INAIL e da €25 a €150 per i non assicurati196. Le sanzioni appena elencate risultano da una lettura combinata del D.P.R. 1124/1965, della Legge finanziaria 2007 e della Circolare Ministeriale 29 marzo 2007 che ha in parte mitigato le previsioni della finanziaria, con lo scopo soprattutto di disincentivare l’avvio di vertenze che potrebbero essere sorte i virtù proprio dell’aumento delle sanzioni. Di significativa portata è soprattutto l’inasprimento della sanzione per omessa istituzione dei libri paga e matricola, è nota infatti l’importanza di questi libri obbligatori allo scopo di verificare la regolare occupazione dei lavoratori in azienda. A maggior ragione questo vale se si considera l’applicabilità della maxisanzione per l’impiego di lavoratori non risultanti dalle scritture o da altra documentazione obbligatoria, così come previsto dall’art. 3 del D.L. n. 12/2002, convertito in L. n. 73/2002 e modificato all’art. 36bis, comma 7 del D.L. n. 223/2006, a sua volta convertito in L. n. 248/2006197. La maxisanzione non ha però ottenuto gli effetti sperati, in virtù di una “debolezza normativa” infatti al datore bastava non esibire agli organi di vigilanza i libri matricola e paga per sfuggire al rigore della maxisanzione, incorrendo in questo caso al più favorevole 196 Legge 27 dicembre 2006, n. 296 (legge finanziaria 2007),;Lettera circolare del 29 marzo 2007 /Prot. 25/SEGR/0004024); dal sito www.consulentidellavoro.it 197 Per completezza si riporta la norma che regola la maxisanzione: " …… l'impiego di lavoratori dipendenti non risultanti dalle scritture o altra documentazione obbligatoria, è punita con la sanzione amministrativa dal 200 al 400 per cento dell'importo, per ciascun lavoratore irregolare, del costo del lavoro calcolato sulla base dei vigenti CCNL, per il periodo compreso tra l'inizio dell'anno e la data di constatazione della violazione". Gli effetti deterrenti di tale disposizione sono stati mitigati dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 144/2005 la quale dichiara la previsione sanzionatoria illegittima, nel punto in cui la stessa " non ammette la possibilità di provare che il rapporto di lavoro irregolare ha avuto inizio successivamente al primo gennaio dell'anno in cui è stata constatata la violazione". Attualmente, dopo le nuove introduzioni: fermo restando l'applicazione delle sanzioni già previste dalla normativa in vigore, l'impiego di lavoratori non risultanti dalle scritture o da altra documentazione obbligatoria è altresì punita con la sanzione amministrativa da € 1.500 a € 12.000 , per ciascun lavoratore, maggiorata da € 150 per ciascuna giornata di lavoro effettivo. Inoltre è previsto che l'importo delle sanzioni civili, connesse all'omesso versamento dei contributi e premi riferiti a ciascun lavoratore non possa essere inferiore ad € 3.000, indipendentemente dalla durata della prestazione lavorativa accertata. 108 trattamento punitivo per la mancata esibizione198. Per porre un rimedio la Legge finanziaria 2007 ha introdotto un notevole incremento dell’impianto sanzionatorio connesso all’irregolare tenuta dei libri matricola e paga al fine di superare le prassi elusive della maxisanzione in materia199. A questo punto visto l’inasprimento delle sanzioni sarà opportuno per il consulente del lavoro operare una regolare tenuta dei libri obbligatori e, soprattutto, informare correttamente il proprio assistito dei rischi che gravano in caso di utilizzazione di lavoratori non in regola. Verificato che non è più utilizzabile l’escamotage della mancata esibizione dei libri obbligatori per eludere i controlli sul lavoro nero, è facile osservare come gli importi delle sanzioni comminabili al datore ai sensi dell’art. 3 del D.L. n. 12/2002 siano assolutamente onerosi. 5.3 Assunzione di dichiarazioni. La problematica dell’assistenza del professionista L’approvazione del codice di comportamento degli ispettori ha toccato anche un punto estremamente delicato in relazione ad uno dei limiti di intervento concesso al consulente del lavoro in caso di ispezione. Ho appena evidenziato il mutato orientamento del Ministero del Lavoro che ha modificato parte della prassi seguita per l’esame della documentazione favorendo, di fatto, il corpo ispettivo consentendogli di recarsi presso gli studi professionali abilitati per reperire e consultare quanto serve. Tuttavia abbiamo visto come tale cambiamento sia stato probabilmente corretto e maggiormente in linea sia con gli scopi della visita ispettiva sia con il ruolo del consulente nella gestione del personale aziendale. La problematica in questione è però molto più delicata e controversa e sta portando l’ordine professionale a confrontarsi spesso con l’organo ispettivo. Il dato di fatto da cui partire è costituito dall’art. 12 rubricato - “Acquisizione delle dichiarazioni” - ; in esso sostanzialmente si prevede, al 7° comma, che “In fase di acquisizione delle dichiarazioni dei lavoratori non è ammessa la presenza del datore di lavoro e/o del professionista”. L’ispettore del lavoro procederà quindi ad interrogare i lavoratori in modo riservato, senza la presenza né del datore né del consulente. Questo perché si ritiene che la deposizione e le risposte ottenute in sede di interrogatorio possano essere più spontanee e meno condizionate se 198 Messineo D. Grasso L., “Lotta al sommerso e libri matricola e paga”, Il lavoro nella giurisprudenza N. 4/2007. 199 Parisi M., “Il sistema sanzionatorio del lavoro dopo la Finanziaria 2007”, in G. Lav. N. 2/2007. 109 rilasciate con la sola presenza dell’ispettore. Per ottenere un maggiore grado di veridicità viene addirittura raccomandato di eseguire l’interrogatorio escludendo la presenza anche di altri colleghi lavoratori, con lo scopo di poter successivamente mettere a confronto le diverse versioni raccolte. È quasi inevitabile che su un punto come questo sorga una controversia; volendo assecondare le ragioni del “controllore” è ammissibile sostenere che le informazioni ottenute con un colloquio personale possano essere più libere, che il lavoratore rispondendo involontariamente, personalmente maggiori indicazioni alle domande all’ispettore. fornisca, Il anche presupposto, pregiudizievole secondo alcuni, da cui si parte è che la presenza del consulente o del datore di lavoro possa spingere il lavoratore a tacere su alcune questioni, ad essere evasivo o volutamente poco preciso. Naturalmente il sospetto è legittimo, ed il beneficio del dubbio rimane. Tuttavia la controversia nasce proprio dall’intenzione di scardinare il pregiudizio iniziale circa l’attendibilità del soggetto interrogato. L’assenza di alcun professionista in sede di interrogatorio appare per certi aspetti un forzatura eccessiva, non potendo certamente parlare di abuso di potere è comunque rilevabile una contraddizione con il più volte auspicato ed invocato (anche dal codice stesso) spirito collaborativo200. Ora, ripetendo quanto detto sopra, resta chiaramente legittimo dubitare della totale onestà di esposizione del lavoratore assistito da un professionista201. Rimane però, a mio avviso, evidente la contraddizione: si auspica infatti la presenza di un professionista durante la fase ispettiva (generalmente intesa) onde evitare che la scarsa competenza in materia giuslavoristica del datore di lavoro possa essere fonte di equivoci, salvo poi proibirla in fase di assunzione di dichiarazioni, quando l’interlocutore è il lavoratore, probabilmente in possesso di competenze ancora minori di quelle del suo datore. Anche qui sembrerebbe opportuna la presenza di un soggetto che all’occorrenza intervenga per correggere delle inesattezze espositive derivanti non già da malafede ma da incompetenza tecnica 200 Si ricorda l’art. 4 del codice di comportamento, all’inizio del capo III rubricato “Principi di comportamento nei confronti dei datori di lavoro”, sancisce che “i rapporti tra personale ispettivo e soggetti ispezionati sono improntati ai principi di collaborazione e rispetto reciproco”. 201 Oltre che temere che le risposte siano “filtrate” dai suggerimenti del professionista, l’organo ispettivo ha paventato il rischio che il lavoratore alteri la realtà dei fatti per paura di eventuali ritorsioni successive da parte del datore di lavoro venuto a conoscenza, tramite il professionista che lo assiste, delle dichiarazioni rese. 110 in materia202. Per concludere l’argomento resta da precisare che innanzi tutto la dichiarazione assunta in fase ispettiva non ha valore di prova costituita in sede processuale, serve che sia adeguatamente supportata da altri elementi probatori e comunque è il giudice del lavoro che la valuterà come ritiene più opportuno; ed in secondo luogo che resta sempre ferma la possibilità di ritrattare la dichiarazione rilasciata. Viste queste due attenuanti il problema sollevato della presenza o meno del professionista durante l’assunzione delle dichiarazioni rimane forse più contenuto203, pur rimanendo comunque un punto controverso, sul quale professionisti dell’una e dell’altra parte continuano a confrontarsi rimanendo su posizioni assolutamente contrapposte204. 5.3.1 Il rilascio della copia della dichiarazione Un ultimo punto sul quale ritengo il consulente possa intervenire è sulla richiesta di rilascio di copia delle dichiarazioni assunte in azienda. Il codice di comportamento, all’art. 12 ultimo comma, prevede che l’ispettore non debba rilasciare la copia al datore e nemmeno al lavoratore stesso in sede di ispezione e sino alla conclusione degli accertamenti, con l’accorgimento che ultimi orientamenti ministeriali spingono addirittura per un prolungamento della preclusione. Eventuali copie potranno poi essere richieste successivamente all’amministrazione, che per il rilascio dovrà attenersi alla disciplina della legge 241/90 che regola l’accesso agli atti amministrativi. 202 Chiaramente ci sono tipologie di interrogatori dove non si potrà mai parlare di inesattezze espositive nel senso che a domande relative alla presenza o meno di certe persone sul luogo di lavoro, o comunque volte a far emergere lavoro nero, la risposta non potrà che essere secca e chiara. In altri casi in cui ci siano questioni più tecniche (norme relative alla sicurezza per esempio) potrebbe non essere semplice per il lavoratore essere altrettanto chiaro nelle risposte, soprattutto , come accade sempre più di frequente, se non è di madrelingua italiana. A poco vale, a mio avviso, la precisazione di cui al comma 5 dove si richiede che le domande vengano poste in modo chiaro e comprensibile per evitare che ci siano dubbi interpretativi. 203 Diverso sarebbe se la testimonianza raccolta con l’interrogatorio fosse direttamente utilizzata durante un eventuale processo. 204 Seminario di Approfondimento “Come gestire l’ispezione in azienda”, Consiglio provinciale dell’ordine di Treviso, 30/11/2006. In sede di dibattito ho potuto constatare come realmente le posizioni sull’argomento tra gli ispettori del lavoro ed i consulenti siano contrapposte. In particolare i consulenti del lavoro e gli avvocati rivendicano la possibilità di assistere il cliente durante l’interrogatorio in qualsiasi caso, ritenendo fondamentale la presenza di un esperto in materia/difensore per evitare una sorta di assoggettamento psicologico dell’interrogato. 111 Come punto fermo rimane il divieto del rilascio durante la fase ispettiva, fino al momento in cui non si arriva alla chiusura delle operazioni. Più delicata è la questione relativa al rilascio al termine della visita ispettiva. Gli art. 22 e ss della L. n. 241/1990 delineano le dichiarazioni come atti sottratti all’accesso da parte di terzi, salvo poi ribadire all’art. 24 che “l’accesso deve essere garantito per i documenti la cui conoscenza è necessaria per curare o difendere i propri interessi giuridici205”. Questo interesse va controbilanciato con l’interesse di chi ha rilasciato la dichiarazione all’ispettore confidando sulla riservatezza della medesima. In sostanza si tratta di tutelare il diritto alla difesa del datore perpetuabile tramite il consulente del lavoro di appoggio da una parte, e la privacy del lavoratore dichiarante, che può temere eventuali ritorsioni nel caso le dichiarazioni siano utili ad infliggere eventuali sanzioni, dall’altra. Ancora una volta gli interessi contrapposti dei soggetti coinvolti vengono a collidere. Il problema è stato affrontato anche attraverso alcune pronunce giurisprudenziali, di particolare rilievo è quella del Consiglio di Stato del 6/10/1998 secondo cui “sebbene l’interesse alla riservatezza divenga recessivo quando l’accesso sia esercitato per la difesa di un interesse giuridico, in relazione ai singoli procedimenti amministrativi sarà ogni amministrazione che dovrà valutare quale sia l’esigenza prevalente rispetto a quella concernente la tutela della riservatezza, tramite l’emissione di appositi atti regolamentari”. Per il Ministero del lavoro questo riferimento è il D.M. n. 757 del 4/11/1994 dove all’art. 2 si stabilisce che “sono sottratti al diritto di accesso i documenti contenenti notizie acquisite nel corso delle attività ispettive, quando dalla loro divulgazione possano derivare discriminazioni o indebite pressioni o pregiudizi a carico di lavoratori o di terzi”; sembrerebbe insomma che non ci fosse modo per il consulente del lavoro (in rappresentanza del datore naturalmente) di avere a disposizione le dichiarazioni rilasciate dai lavoratori. In parziale difesa degli interessi del datore interviene la circolare ministeriale n. 22/1999 dove si prevede l’accesso ai documenti di cui sopra, in subordinazione a determinati requisiti, tra i quali “la necessità della conoscenza dell’atto, senza il quale il richiedente non avrebbe altri mezzi per tutelare i propri interessi” e “l’attualità e la concretezza dell’interesse che si vuole 205 Anche se comunque nel caso in cui tali documenti contengano dati sensibili e giudiziari l’accesso è comunque limitato al minimo indispensabile. 112 tutelare”206. È in definitiva lasciato alla valutazione dell’amministrazione la valutazione di quale interesse sia preminente, sulla scorta della legislazione citata e dei regolamenti emanati. C’è da dire però che recentemente sembra esserci un mutato indirizzo interpretativo per cui la giurisprudenza è orientata a favorire in modo preponderante il diritto di difesa del datore di lavoro sul diritto alla riservatezza del lavoratore207. L’argomento è importante in quanto prima dell’emissione dell’ordinanza ingiunzione è possibile per il datore far pervenire all’amministrazione scritti difensivi oppure chiedere di essere sentiti, esercitando in questo modo un diritto di difesa. Affinché tale diritto sia garantito sarebbe però necessario che il datore abbia scienza di quanto dichiarato dai propri dipendenti, in modo da controbattere ad eventuali accuse e consentire eventualmente al professionista che lo assiste di preparare una adeguata strategia difensiva. È indubbio infatti l’estrema utilità che ricaverebbe il consulente dalla conoscenza di quanto emerso nell’interrogatorio, tanto più che il diritto a presenziare durante il suo svolgimento gli è, come già detto, negato. Come visto, oltre a tale divieto è possibile, in base all’attuale disciplina, che nemmeno in un momento successivo alla chiusura dell’ispezione il consulente possa reperire la documentazione raccolta dagli ispettori dai singoli lavoratori. Pur comprendendo perfettamente il timore di subire “ritorsioni” del soggetto che rilascia la dichiarazione, a mio avviso sarebbe più equo consentire alla parte che deve difendersi di conoscere tutti gli elementi che sono a disposizione della controparte, salvo poi attivare delle concrete forme di tutela per i lavoratori a cui la documentazione si riferisce. Una proposta potrebbe essere di vigilare in modo attento per un periodo prestabilito, a decorrere dalla conclusione del procedimento ispettivo, sul comportamento tenuto dal lavoro, attivandosi in modo tempestivo qualora il lavoratore rilevi per esempio forme di pressione psicologica nei suoi confronti208 206 Papa D., Pennesi P., “Personale ispettivo: nuovo codice di comportamento”, dispensa rilasciata al convegno “la riforma dei servizi ispettivi”, ordine dei consulenti del lavoro di vicenza, 26/11/2006 207 Così l’Avv. Mattiuzzo, al citato convegno “La riforma dei servizi ispettivi”. 208 Il riferimento è a quei comportamenti ingiustificati che possono far pensare che il datore stia attuando una sorta di vendetta nei confronti del proprio dipendente, affidandogli magari compiti sgradevoli o più pesanti rimanendo all’interno della stessa mansione (e quindi della legalità) o altro. 113 6. Rito del lavoro: ruolo del consulente nella presentazione dei ricorsi amministrativi. Premessa. In ultima istanza rimane da sottolineare che il consulente del lavoro riveste un ruolo che può essere tutt’altro che marginale anche nella fase successiva all’ispezione in senso stretto, intervenendo in modo attivo nel caso ci siano i presupposti e la volontà di opporsi alle conclusioni emerse dalla visita ispettiva. Di particolare rilievo, anche in seguito all’introduzione di un recente decreto legislativo di cui tratterò, seppur brevemente, più avanti209, è diventato il tema dei ricorsi amministrativi proponibili ex art. 16 e 17 del decreto lgs. n. 124/2004, legati poi anche al tema dei rimedi giurisdizionali proponibili contro l’ordinanza ingiunzione emessa dall’autorità amministrativa. Procedendo con ordine ricordo che l’ordinanza-ingiunzione (in materia di diritto del lavoro in questo caso)210 è l’ultimo atto di ricognizione con il quale la Direzione provinciale del lavoro - a cui fanno riferimento gli ispettori che hanno compiuto la visita ispettiva e redatto un verbale di accertamento - dopo avere esaminato gli elementi raccolti, emettono un provvedimento volto a sanzionare le violazioni di norme lavoristiche che costituiscono illeciti amministrativi; con ordinanza motivata la D.p.l. determina la somma della sanzione e ne “ingiunge” il pagamento. Il termine per il pagamento dell’ordinanza è di 30 giorni, dopo di che diventa un titolo esecutivo, con gli effetti che ne derivano, a norma degli art. 474 e ss. del c.p.c. La disciplina particolare dell’emissione dell’ordinanza-ingiunzione e della relativa opposizione al giudice ordinario è contenuta nella Legge n. 689/1981, alla cui analisi va tuttavia affiancato il nuovo decreto di riforma dei servizi ispettivi per avere una visione d’insieme del ruolo giocato realmente dal professionista consulente in questo ambito. 6.1. I ricorsi amministrativi ex art. 16/17 d. lgs. n.124/2004 Prima di procedere oltre è necessario soffermarsi brevemente nella descrizione del nuovo sistema di ricorsi amministrativi introdotto nel 2004 per quel che riguarda i 209 Si tratta del decreto legislativo 2 febbraio 2006, n. 40, recante “Modifiche al codice di procedura civile in materia di processo di cassazione e in funzione nomofilattica e di arbitrato, a norma dell’art. 1, comma 2, legge 14 maggio 2005, n. 80”. 210 L’ordinanza ingiunzione in termini generali è l’atto che indica i soggetti responsabili di una violazione, spiega i motivi che hanno indotto a confermare il verbale dell’autorità che lo ha redatto e stabilisce l’importo da pagare. 114 provvedimenti emessi dalla Direzione provinciale del lavoro, senza per questo indugiare troppo sulle numerose e complesse questioni che gravitano attorno a questo ambito211. L’art. 16 introduce il ricorso alla Direzione regionale del lavoro contro le ordinanze ingiunzione emesse dalla Direzione provinciale del lavoro irroganti sanzioni pecuniarie per inadempimenti su normative in materia di lavoro e previdenza sociale; l’art. 17 invece fa riferimento a tre diverse tipologie di atti, le ordinanze ingiunzioni, gli atti accertativi della D.p.l. e i verbali di accertamento degli enti assicurativi e previdenziali aventi ad oggetto la sussistenza o la qualificazione dei rapporti di lavoro. E’ quindi ravvisabile una suddivisione per materia, quanto mai discutibile212 visto le diverse compenetrazioni possibili tra i due settori. La funzionalità del ricorso amministrativo sta da un lato nella supposta celerità con cui si spera di ottenere la risposta, dall’altro nella volontà dell’Amministrazione di risolvere al proprio interno la questione, evitando l’introduzione di un rimedio giurisdizionale.213 Tuttavia una delle questioni più delicate sta proprio nel definire i ricorsi amministrativi in esame e l’eventuale rimedio giurisdizionale. Per ricostruire la procedura da seguire nella presentazione del ricorso amministrativo avverso l’ordinanza-ingiunzione della D.p.l., oltre alla lettura dei 211 Non è mia intenzione svolgere una completa disamina delle problematiche dibattute in dottrina ed in giurisprudenza in relazione ai ricorsi introdotti dagli articoli 16 e 17, ma riportarne i tratti caratteristici ed utili alla comprensione del ruolo assegnato al consulente, non già dalla normativa ma piuttosto dalla prassi seguita nella presentazione di tali ricorsi. 212 Vedi De Pretis D., Razionalizzazione delle funzioni ispettive in materia di previdenza sociale e di lavoro – commentario sistematico al d. lgs. n. 124/2004 in Le nuove leggi civili commentate, 2005, dove si critica questa divisione per “materia” come possibile fonte di equivoci nell’individuazione del corretto ricorso a cui fare riferimento. 213 Riporto brevemente alcune considerazioni di De Pretis D. relativamente al diritto amministrativo, ricordando che in questo caso il ricorso amministrativo è alternativo all’opposizione al giudice ordinario e non al ricorso al giudice amministrativo, solitamente titolare della giurisdizione di legittimità sui provvedimenti amministrativi. Se il provvedimento amministrativo (come l’ordinanza-ingiunzione) ha per oggetto una sanzione amministrativa viene in gioco la legge n. 689/81 che ha istituito una giurisdizione esclusiva del giudice ordinario in materia di sanzioni amministrative pecuniarie. Più complessa è la questione per l’art. 17 dove oggetto dell’atto amministrativo non è una sanzione ma ragioni relative alla sussistenza e qualificazione del rapporto di lavoro. 115 due articoli 16 e 17 bisogna necessariamente fare riferimento anche al d.p.r. n. 1199/1971 che disciplina in modo generico i ricorsi amministrativi; è a questi testi legislativi che rimando per una completa definizione del procedimento di proposizione del ricorso che non è interesse trattare in questa sede. Rileva invece sottolineare come il soggetto maggiormente impegnato nella stesura dell’atto sarà il consulente del lavoro, il quale oltre ad essere in possesso di per se stesso delle conoscenze nelle materie oggetto dei ricorsi, è anche il soggetto che verosimilmente avrà seguito pedissequamente l’attività ispettiva e sarà in grado di rilevare eventuali motivi legittimi di impugnazione dell’atto amministrativo. Questo non toglie che il soggetto legittimato alla proposizione del ricorso è naturalmente chi ha interesse all’annullamento dell’atto che irroga la sanzione, nel concreto sarà però necessaria l’esperienza e la professionalità del consulente per una corretta e valida stesura del medesimo. Il primo problema in cui si può incappare sta, come poc’anzi ricordato, nella difficoltà di individuare la giusta autorità a cui adire per proporre il ricorso; operazione non sempre agevole a causa della suddivisione per materia decisa dal legislatore, che non sempre è chiara nel concreto. Tuttavia l’ostacolo è superato ricorrendo alla generale previsione dell’art. 2, comma 3 , d.p.r. n. 1199/71 per cui l’eventuale errore del ricorrente nell’individuazione dell’autorità a cui va proposto il ricorso non comporta conseguenze sulla ricevibilità del ricorso, stante che l’autorità erroneamente adita ha l’onere di inoltrarlo a quella competente214. D’altra parte lo stesso fatto che sia un consulente del lavoro ad occuparsene dovrebbe essere fonte di garanzia, presumendo che egli sia perfettamente in grado di comprendere l’oggetto dell’ordinanza-ingiunzione saprà se utilizzare il ricorso ex art. 16 o ex art. 17, o eventualmente entrambi nel caso si presentino casi di ordinanze sanzionanti diverse violazioni rispetto alle quali sono prospettabili ricorsi fondati sulla duplice tipologia di causae petendi215 214 De Pretis D., Razionalizzazione delle funzioni ispettive in materia di previdenza sociale e di lavoro – commentario sistematico al d. lgs. n. 124/2004 in Le nuove leggi civili commentate, 2005. E’ il principio per il quale i ricorsi rivolti ad organi diversi da quello competente ma appartenenti alla medesima amministrazione non sono soggetti a dichiarazione di irricevibilità e sono trasmessi d’ufficio all’organo competente. 215 Lodato G., “Ricorsi amministrativi del lavoro”, www.diritto.it/materiali/lavoro. 116 Non dovrebbe essere particolarmente impegnativa nemmeno la stesura del gravame visto che non sono previsti particolari obblighi formali, le scarne conoscenze delle regole processuali da parte dei professionisti del settore economico potrebbero rendere complicata l’assistenza del cliente (oppure richiedere l’assistenza obbligatoria di un legale), tuttavia anche in virtù di questa situazione il legislatore ha previsto una procedura semplificata e poco formale che renda agevole elaborare il ricorso anche a soggetti non in grado di padroneggiare in modo preciso le complesse regole processuali. Di conseguenza nel caso in esame è sufficiente l’esposizione dei motivi di impugnazione, che possono essere relativi anche al merito della scelta amministrativa, compresa quindi la misura della sanzione. È chiaro che la corretta esposizione dei motivi è il passo rilevante per poter sperare in una modifica o eliminazione della sanzione, a tal proposito appare quindi importante evidenziare che si ritiene possibile integrare tali motivi in caso di un successivo utilizzo del rimedio giurisdizionale (l’opposizione ex art.22 e ss. Legge 689/1981) contro un eventuale rigetto del ricorso amministrativo. Non essendo l’opposizione al giudice ordinario qualificabile come “secondo grado” del giudizio relativo al ricorso amministrativo, non si applicano le norme del procedimento per appello in cui la domanda rimane quella proposta in primo grado, eventualmente ulteriormente definita solamente dai motivi di appello 216. Questo significa che il consulente può “rimediare” ad eventuali dimenticanze o imprecisioni nell’esposizione del gravame del ricorso amministrativo; posto infatti che esiste comunque il termine di trenta giorni dal ricevimento dell’ingiunzione per presentare il ricorso, il consulente può quindi beneficiare successivamente degli ulteriori giorni ricadenti entro il termine per adire al giudice ordinario (60 giorni) per perfezionare ed integrare le motivazioni a sostegno della posizione del proprio cliente nel caso venga respinto il primo ricorso. È ovvio che in ogni caso si auspica sin da subito una precisione nella elaborazione del ricorso, in modo che la sua funzionalità principale, che è la 216 La giurisprudenza considera come gradi di uno stesso giudizio il ricorso amministrativo ed il rimedio giurisdizionale amministrativo, questa impostazione è criticata dalla dottrina che nega la continuità di giudizio. Questo è tanto più ravvisabile in questo caso, dove al ricorso amministrativo fa seguito un eventuale giudizio davanti ad un giudice ordinario. De Pretis D., Razionalizzazione delle funzioni ispettive in materia di previdenza sociale e di lavoro – commentario sistematico al d. lgs. n. 124/2004 in Le nuove leggi civili commentate, 2005. 117 supposta celerità di risposta da parte dell’amministrazione, sia effettivamente garantita. Ad una semplice fase istruttoria basata sui documenti prodotti dal ricorrente e dall’Amministrazione, e su accertamenti eventuali che possono essere disposti purché utili alla decisione finale217, segue la fase conclusiva. La chiusura del procedimento può avvenire con una decisione espressa o con il decorso inutile del termine nel qual caso il ricorso si ritiene respinto (silenzio-rifiuto). In via generale ricordo l’esistenza, tra le decisioni espresse, delle decisioni di rito, con le quali si dichiara il ricorso inammissibile per l’esistenza di cause che rendono impossibile l’esame della fondatezza dei motivi del ricorso stesso, e delle decisioni di merito. Queste ultime si dividono tra decisioni di accoglimento motivate da incompetenza, con cui si annulla l’atto e si rimette l’affare all’organo competente, decisioni di accoglimento per vizi di legittimità con cui si annulla l’atto oppure, se è necessario avere nuove determinazioni, lo si rinvia all’autorità che ha emanato il provvedimento impugnato, e decisioni di accoglimento per motivi di merito con le quali la Direzione regionale può direttamente modificare l’atto in relazione alle richieste del ricorrente.218 Infine, naturalmente, è possibile ci sia un rigetto del ricorso, che va, come per le altre decisioni, adeguatamente motivato. 6.1.1 Il ricorso al Comitato regionale per i rapporti da lavoro Quanto detto sinora va ricondotto all’art. 16 del d. lgs. n. 124/04. Per quel che concerne l’art. 17, che prevede una seconda tipologia di ricorso distinto da questo per la materia che ne caratterizza l’oggetto, molti aspetti sono identici, mi limiterò quindi a riportare alcuni aspetti peculiari utili all’argomento trattato219. Innanzi 217 Art. 4, comma 3, d.p.r. n. 1199/71. Norma generale sui ricorsi amministrativi. 218 Art. 5 del d.p.r. n. 1199/71 cita tutti i possibili esiti del ricorso. De Pretis D., Razionalizzazione delle funzioni ispettive in materia di previdenza sociale e di lavoro – commentario sistematico al d. lgs. n. 124/2004 in Le nuove leggi civili commentate, 2005. 219 In sede di commento dei due articoli in esame è stato evidenziato come il legislatore sia stato incongruente nel regolare i due ricorsi, esplicitando dei termini o delle previsioni per uno senza poi riprenderle nell’altro caso, il tutto senza un apparente motivo valido. Si è cercato quindi di ricostruire la disciplina interpretando in modo più congruo le norme, non senza alcune difficoltà. Si rimanda per una completa trattazione a De Pretis D., “Razionalizzazione delle funzioni ispettive in materia di previdenza sociale e di lavoro – commentario sistematico al d. lgs. n. 124/2004” in Le nuove leggi civili commentate, 2005; Rausei, “Dalla diffida accertativa ai ricorsi regionale”, in 118 tutto va considerato che l’art. 17 introduce un nuovo tipo di ricorso, destinato probabilmente ad essere il più utilizzato visto che l’oggetto è presentabile contro tre tipologie di provvedimenti: - atti di accertamento delle Direzioni provinciali del lavoro; - ordinanze-ingiunzioni delle Direzioni provinciali del lavoro; - verbali di accertamento degli istituti previdenziali e assicurativi; purché abbiano ad oggetto la sussistenza o la qualificazione di rapporti di lavoro. L’organo chiamato a decidere è un organo appositamente costituito, il Comitato regionale per i rapporti di lavoro composto dal direttore della Direzione regionale, dal direttore regionale dell’INPS e da quello dell’INAIL. I termini di proposizione del ricorso sono i medesimi dell’art. 16220; fermo restando il problema della corretta individuazione della materia al fine di adire alla giusta autorità (problema che, come visto sopra, è stato risolto richiamando il d.p.r. n. 1199/71) c’è in aggiunta qui la difficoltà per il consulente di individuare all’interno della generica espressione <<atti di accertamento della D.p.l>> quelli che siano realmente accertativi da quelli che abbiano solamente parte del contenuto definibile come accertativo. A tal proposito il Ministero con circolare n. 24/2004 ha specificato come i verbali di ispezione che precedono l’accertamento non siano ricorribili in quanto non produttivi di effetti. Il procedimento del ricorso ex art. 17 è pressoché identico a quello descritto per il ricorso ex art. 16, rilevanti differenze sono invece ravvisabili nei rapporti con il rimedio giurisdizionale. Schematizzando, contro l’ordinanza-ingiunzione (sempre aventi ad oggetto la sussistenza o la qualificazione del rapporto di lavoro) è possibile proporre opposizione al giudice ordinario. Per gli atti di accertamento emessi dalla D.p.l. questi vengono considerati dei provvedimenti a tutti gli effetti, degli atti amministrativi, e quindi, non essendoci specifiche previsioni che li riguardano, operano le regole di riparto della giurisdizione fra giudice ordinario e amministrativo, con la conseguente La riforma dei servizi ispettivi, a cura di Pennesi, Massi e Rausei, Dir. Prat. Lav., 2004 n. 30; Parisi,” I nuovi ricorsi amministrativi alla direzione regionale del lavoro”, in Guid. Lav., 2004 n. 34. 220 In realtà questo deriva da una interpretazione della norma giacché letteralmente l’art. 17 fa riferimento ad un incomprensibile sospensione di taluni termini che se applicata precisamente renderebbe inapplicabile il ricorso in esame. 119 assoggettazione a quest’ultimo 221. Se invece questo stesso tipo di atto è emesso dagli entri previdenziali il ricorso andrà fatto al giudice ordinario, in funzione di giudice del lavoro (trattandosi di materia previdenziale subentra l’art. 442 ss del c.p.c222). Tali rimedi giurisdizionali rimangono naturalmente gli stessi anche se si decide di utilizzarli subito senza prima proporre il ricorso amministrativo. Il Comitato regionale ha tempo 90 giorni per decidere, al termine del quale può crearsi un silenzio-rigetto, con l’ulteriore problema, rispetto a quanto disciplinato nell’art. 16, che se il ricorrente decidesse di utilizzare il rimedio giurisdizionale per ovviare al silenzio dell’amministrazione, per gli atti che prevedono il ricorso al giudice amministrativo si pone la questione della limitata proponibilità dei vizi di merito (non sindacabili davanti al giudice amministrativo) stante il carattere di legittimità di questa giurisdizione223. Resta valido quanto detto sopra per quanto riguarda il compito del consulente del lavoro, con l’aggiunta che la materia in questo caso è più complessa (lo si denota anche dal maggiore tempo lasciato al comitato per le decisioni rispetto ai 60 giorni previsti nell’art. 16). Le questioni relative alla qualificazione del rapporto di lavoro sono le più frequenti e delicate, tanto più che sono coinvolti gli enti previdenziali ed assicurativi. C’è da dire che le ipotesi concrete di ricorso alla Direzione regionale saranno probabilmente più contenute rispetto a quelle proposte secondo l’art. 17, in quanto i motivi di rimostranza avverso le sanzioni consistono in genere nel negare in modo assoluto la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato, o nell’affermare una qualificazione del rapporto diversa da quella accertata dall’organo ispettivo ed accolta dal provvedimento di ordinanza ingiunzione. Le controversie innanzi alla Direzione regionale riguarderanno 221 De Pretis D. op citata; Lodato G. , op citata. 222 Art. 442 c.p.c.: Nei procedimenti relativi a controversie derivanti dall`applicazione delle norme riguardanti le assicurazioni sociali (Cod. Civ. 2110, 2114), gli infortuni sul lavoro, le malattie professionali, gli assegni familiari nonché ogni altra forma di previdenza e di assistenza obbligatorie, si osservano le disposizioni di cui al Capo primo di questo titolo (409, 441, 443; att. 148). Art. 444 c.p.c.: Le controversie in materia di previdenza e di assistenza obbligatorie indicate nell'articolo 442 sono di competenza del tribunale, in funzione di giudice del lavoro, nella cui circoscrizione ha la residenza l'attore.>>; (Cod. Civ. 43, 45). 223 A questo punto l’interesse ad avere un giudizio anche sul merito è mantenuto solamente con un giudizio sul silenzio ex art. 21-bis l. n. 1034/71 dove il giudice, di fronte a inerzia dell’amministrazione, nomina un commissario che provvederà in luogo della stessa. 120 pertanto dei casi in cui si vuole disconoscere l’attribuzione di un fatto illecito ad un soggetto ( ad esempio, a fronte di una ordinanza ingiunzione irrogante una sanzione pecuniaria per omessa consegna al lavoratore del prospetto paga , il ricorrente sostiene di aver invece regolarmente provveduto a tale adempimento ), oppure sono rilevati vizi del procedimento sanzionatorio. Per tutte le altre principali casistiche sarà invece presentato ricorso al Comitato regionale per i rapporti di lavoro (tra le quali si ricorda la diffida accertativa ex art. 12, d. lgs. n. 124/2004, vedi paragrafo 2 del capitolo) Un ultimo appunto va fatto per sottolineare che soprattutto nelle situazioni in cui è dubbia la possibilità di sindacare in sede giurisdizionale il merito dell’atto oggetto di ricorso (il riferimento è al ricorso giurisdizionale al giudice amministrativo per gli atti di accertamento emessi dalla D.p.l.), è importante che i motivi del ricorso stesso e le domande siano esaustivamente proposte, onde evitare che successivamente l’azienda non abbia più possibilità di difesa se non in relazione agli aspetti di legittimità dell’atto emanato dall’amministrazione. 6.2. L’opposizione al giudice ordinario In alternativa ai rimedi ex art. 16/17 d.lgs. n. 124/2004, o in aggiunta a tali rimedi, qualora il ricorso non abbia dato l’esito sperato, è possibile presentare un opposizione al giudice ordinario ex art. 22 l. n. 689/81, dove, è bene ricordare, resta ancora garantita la pienezza dei poteri di decisione del giudice sull’atto amministrativo, che può essere ancora annullato o modificato224. Nuovamente diventa rilevante il ruolo del consulente del lavoro, all’art. 23, comma 4, legge n. 689/81 infatti si prevede <<che la parte possa stare in giudizio personalmente innanzi al Tribunale competente>>. In virtù di questa previsione il consulente del lavoro può essere delegato a rappresentare e difendere in giudizio l’azienda contro cui è stata emessa l’ordinanza-ingiunzione, mentre dall’altra parte anche la rappresentanza processuale dell’Amministrazione può essere affidata a funzionari appositamente delegati. Ancora una volta ricordo come non sia compito di questa trattazione indagare approfonditamente le norme che regolano il procedimento giurisdizionale 224 Non può essere altrimenti pensando anche al fatto che il soggetto destinatario dell’ingiunzione ha la facoltà di adire immediatamente al giudice ordinario senza preventivamente presentare il ricorso amministrativo. 121 dell’opposizione, ma piuttosto di evidenziare degli aspetti connessi all’esercizio della professione. A questo proposito quindi l’opposizione va proposta con ricorso contenente gli elementi formali previsti dall’art. 125, comma 1 del c.p.c, con allegato il provvedimento che viene opposto, entro il termine di 30 giorni dall’esito del giudizio del ricorso amministrativo (o dalla notifica dell’ordinanza). La decisione nel giudizio di opposizione riguarda la pretesa dell’Amministrazione e non solamente vizi di legittimità, si indaga quindi sul merito, sui fatti; è quindi fondamentale per il consulente esporre in modo corretto e preciso i contenuti della domanda proposta e le ragioni a sostegno di tale domanda (come da art. 125 del c.p.c) posto che l’opposizione in esame segue le regole del processo civile ed il giudice decide quindi solamente sulla causa pretendi proposta in giudizio in ragione del principio della corrispondenza fra il chiesto ed il pronunciato (art. 112 c.p.c.). Vale però quanto detto prima in sede di analisi del ricorso amministrativo, è infatti possibile proporre nuovi motivi di impugnazione davanti al giudice ordinario rispetto a quelli proposti nel ricorso ex art. 16 d. lgs. n. 124/04. Specificando meglio l’oggetto dell’opposizione dobbiamo dire che esso è molto ampio e riguarda più precisamente l’esercizio del potere punitivo della Pubblica Amministrazione con riguardo: alla modalità e alle procedure seguite per estrinsecare il potere sanzionatorio in fase di accertamento, contestazione e contenzioso amministrativo; sussistenza e prova del fatto contestato e sanzionato; attribuibilità del fatto stesso al soggetto che nell’ingiunzione è indicato come trasgressore; presenza di eventuali scusanti, attenuanti, cause giustificative valide a escludere la responsabilità del presunto trasgressore225. È su questi punti che il consulente può articolare la difesa dell’azienda, che come si vede non riguarda solamente l’ordinanza-ingiunzione di per sé sola considerata ma comprende il più ampio profilo dell’esercizio della potestà punitiva durante tutta la procedura che ha portato all’emanazione dell’atto. Tutto questo considerando che l’onere della prova in sede di giudizio spetta alla Direzione provinciale del lavoro, con la conseguenza che quanto sostenuto dal consulente nel ricorso introduttivo potrebbe anche non essere provato e portare ad un annullamento dell’ordinanza se il 225 Lippolis V., “Lavoro e Impresa. Rito del lavoro, impugnabilità ampia”; www.italiaoggi.it/lavorooggi.asp, Giugno 2006; Lippolis V., “Controlli in azienda con garanzie”; www.dplmodena.it/Controlliinaziendacongaranzie.pdf; Rausei P., “Il giudizio di opposizione dopo il D. lgs. n. 40/2006. 122 giudice ritenesse i documenti e le testimonianze offerte dalla D.p.l. non sufficienti a provare i fatti contestati posti all’origine della sanzione. Comunque sia l’opponente, al termine del giudizio, può ottenere diverse soluzioni finali: l’annullamento totale dell’ordinanza, l’annullamento parziale, una modifica per alcuni profili, una rideterminazione della sanzione ingiunta o un rigetto del ricorso. In questo ultimo caso è stata introdotta una significativa novità con l’art. 26 del d. lgs. n. 40/2006 che abroga l’ultimo comma dell’art. 23 della legge 689/81 dove si stabiliva che <<la sentenza è inappellabile ma ricorribile per cassazione>>. Ad oggi è invece consentito il secondo grado di giudizio, sono stati ripristinati i comuni principi del processo civile del nostro ordinamento che prevedono il cosiddetto “doppio grado” di giudizio che consente un riesame del merito dell’atto impugnato anche in sede di appello, e non riesame dei soli profili di legittimità tipico del ricorso per cassazione. Per questo secondo grado valgono le principali norme che regolano gli appelli nel processo civile 226, soprattutto va ricordato che in questo caso la parte non può stare in giudizio da sola ma necessita il patrocinio tecnico del difensore. In ogni caso, a parte questo ultimo caso che prevede la necessaria assistenza di un legale, si può osservare come ci siano comunque opportunità interessanti per il consulente. Egli di solito conosce meglio di chiunque altro le vicende (ispettive e non) che hanno portato all’ordinanza-ingiunzione, e può così condurre la tutela del proprio cliente dalla fase della gestione ordinaria sino a quella del contenzioso amministrativo prima e giudiziario poi. L’ampliamento delle proprie conoscenze, l’approfondimento di alcuni profili di carattere prettamente processuale, unito alla previsione legislativa di regole processuali meno rigorose, realizzate attribuendo più poteri al giudice competente e meno vincoli formali nei confronti delle parti, permetterà al consulente del lavoro di sfruttare meglio tale opportunità conquistando nuovi spazi di attività227 226 Ancora una volta riportare i diversi articoli del codice di procedura civile che regolano l’appello nel processo civile esula dagli scopi di questo lavoro. 227 Nuove funzioni del consulente del lavoro, www.conuslentidellavoro.it 123 7. Conclusioni La serie di riforme attuate a partire dal 2003 con la legge delega 14 febbraio 2003, n. 30 hanno profondamente modificato il mondo del lavoro, intervenendo in modo significativo in tutti gli aspetti relativi ai rapporti di lavoro. La famigerata “Legge Biagi” è stata oggetto di numerosi dibattiti, volti soprattutto a criticare l’aspetto della flessibilità, che sembra avere introdotto una forte componente di precarietà nei rapporti di lavoro dipendente. Su questa scia riformista si inserisce anche il d. lgs. n. 124/2004 che ha inciso significativamente su una materia, quella dei servizi ispettivi, rimasta per anni ai margini del dibattito giuslavoristico228 e capace oggi di fornire nuovi stimoli e spunti di riflessione importanti. Il disegno di riforma complessiva poggia sostanzialmente su una duplice volontà del legislatore, da un lato di introdurre i principi della prevenzione e della promozione in un mondo da sempre caratterizzato dal movente della repressione dei comportamenti antigiuridici, e dall’altro di introdurre dei nuovi istituti capaci di ridurre il contenzioso in materia di lavoro favorendo soluzioni conciliative delle controversie. Accanto a ciò, di assoluto rilievo è poi l’introduzione della diffida accertativa dei crediti patrimoniali; questo istituto infatti, in quanto volto a garantire la soddisfazione immediata dei crediti pecuniari vantati dai lavoratori tramite atto emanato dall’ispettore del lavoro (successivamente valicato dalla direzione provinciale) senza la necessità dover ricorrere all’attività dei sindacati o ad una pronuncia giudiziale, si presenta come uno strumento assolutamente innovativo nell’insieme della normativa che regola i rapporti di lavoro. Nel presente lavoro, esaminando nel dettaglio il decreto e ponendo particolare attenzione proprio sugli aspetti maggiormente innovativi della riforma, si è evidenziato come i punti controversi siano molti, e per certi aspetti lontani dall’essere risolti. Lo storico rapporto che ha visto nel corso degli anni contrapporsi l’autorità ispettiva in materia di lavoro ed i datori di lavoro assistiti dai consulenti del lavoro, si è riproposto (e non poteva essere altrimenti) anche in sede interpetativa di un decreto legislativo, il n. 124/2004, tutt’altro che di semplice applicazione. Ad oggi, visto i numerosi punti di problematica interpretazione, la sensazione più diffusa è che gli operatori del settore, da 228 Vergari S., “La funzione ispettiva in materia di lavoro: conciliazione e repressione” in “Mercato del lavoro. Riforma e vicoli di sistema” a cura di Tamajo R.L., Rusciano M., Zoppoli L. 2004. 124 entrambe le parti, stiano cercando di barcamenarsi come meglio possono, utilizzando il tipico atteggiamento di chi “naviga a vista”. Da un lato gli ispettori del lavoro non sono preparati ad affrontare i nuovi compiti di consulenza, prevenzione e informazione che il decreto attribuisce loro, in quanto in possesso di una formazione tipicamente basata sulla necessità di indagare, di scoprire le fattispecie di illegittimità e colpire, con intento repressivo, gli autori del comportamento antigiuridico. È per questo motivo che si auspica, ed è assolutamente necessario, un intervento del ministero del lavoro volto a modificare i percorsi formativi degli ispettori del lavoro di nuova generazione, adeguandoli in modo tale da consentire poi agli ispettori stessi la possibilità di espletare in modo efficace i nuovi compiti che la legge richiede. Di conseguenza è necessario anche cercare, per quanto possibile, di modificare il punto di vista degli ispettori che invece operano già da diversi anni nel settore, per abituare anche questi alle nuove funzioni di consulenza e prevenzione che saranno chiamati a compiere. Dall’altra parte i consulenti del lavoro appartengono alla categoria che più di tutte deve confrontarsi con le riforme che interessano il mondo del lavoro; assistono il datore di lavoro nella gestione del personale in tutti i suoi aspetti e di conseguenza sono i soggetti che intrattengono i rapporti con l’amministrazione nel caso di visita ispettiva. Nella pratica lo svolgimento dell’attività professionale del consulente si concretizza spesso nella necessità di fornire una prestazione di consulenza e di assistenza; egli è chiamato a fungere da intermediario qualificato tra il sistema normativo su cui poggia il mondo del lavoro ed il datore di lavoro che deve rispettarlo, fornendo a quest’ultimo i giusti chiarimenti per una corretta applicazione della normativa vigente. Come osservato sembra che la riforma dei servizi ispettivi sia intervenuta su questo tipo di rapporto tra consulente e cliente, legittimando gli ispettori a sostituirsi, in alcuni casi229, al professionista, prestando al soggetto passivo dell’ispezione attività di consulenza. È questo uno dei punti controversi di cui si parlava in precedenza; oltre alla mancanza di preparazione da parte degli ispettori stessi si è rilevata anche l’oggettiva perplessità con cui i consulenti del lavoro hanno accolto la nuova previsione. C’è, in particolare, una 229 Nel concreto i casi in questione sono quelli in cui non è rilevabile nessuna fattispecie che comporti sanzione amministrativa o penale, di conseguenza probabilmente raramente sarà realmente attivabile l’attività consulenziale degli ispettori. 125 certa difficoltà nell’accettare che l’amministrazione intervenga nel rapporto fiduciario che si crea tra consulente e datore di lavoro, svolgendo un’attività di assistenza che per definizione spetta al consulente stesso. Senza contare poi che potrebbe concretamente profilarsi un rischio di conflitto di interessi nel momento in cui un ispettore, chiamato a controllare la corretta applicazione della normativa, si trova nella condizione di dover giudicare una fattispecie in cui era precedentemente intervenuto, svolgendo l’attività consulenziale, un suo collega. In ogni caso il decreto n. 124/2004, nel suo complesso, ha fatto emergere, per i consulenti del lavoro, che lo sviluppo dell’ordinamento ha portato con se una complicazione della professione, nella quale l’attività di studio e approfondimento diventa sempre più importante, assieme alla necessità di avere un costante, frequente e sereno dialogo con i diversi soggetti che agiscono in questo ambito. Il ruolo del consulente risulta dunque determinante e di estrema importanza, è la figura professionale che per prima ha dovuto confrontarsi con la riforma introdotta dal d. lgs. n. 124/2004, e di conseguenza è il soggetto che per primo è chiamato a valutare gli effetti dei nuovi strumenti quali la conciliazione monocratica o la diffida accertativa per i crediti patrimoniali. In particolare è stato sopratutto messo in evidenza come di fatto gli istituti del d. lgs. n. 124/2004 siano stati pensati per incentivare fortemente il raggiungimento della conciliazione tra lavoratore e datore, per cercare di evitare quanto più possibile il ricorso ai rimedi giurisdizionali. La spinta alla conciliazione deriva soprattutto dal fatto che questo risulta essere l’unico mezzo attraverso cui si consente al datore di lavoro di evitare, in alcune circostanze, la continuazione della visita ispettiva230, oppure di evitare, per esempio, la formazione di un titolo esecutivo nel caso di emanazione di diffida accertativa dei crediti patrimoniali. In una situazione di questo tipo diventa quindi di centrale importanza la capacità del professionista di mediare le diverse istanze, la sua abilità nel sapere leggere le situazioni e capire quando è il caso di insistere sulla via conciliativa, assecondando la volontà del dipendente, o quando è possibile “rischiare” e procedere in via giurisdizionale, con il pericolo che gli oneri finali per il datore siano poi superiori di quelli derivanti da una eventuale conciliazione. L’Ordine nazionale dei consulenti del lavoro ha parlato a 230 I versamenti dei contributi previdenziali e assicurativi….riferiti alle somme concordate in sede conciliativa…..nonché il pagamento delle somme dovute al lavoratore, estinguono il procedimento ispettivo (d. lgs. n. 124/2004, art. 11, comma 4) 126 tal proposito di una nuova figura di conciliatore, proprio in virtù della nuova prospettiva con cui i professionisti dovranno affrontare le procedure conciliative. Di grande portata poi è sicuramente l’introduzione nella normativa giuslavoristica dell’interpello, strumento tipicamente usato dai tributaristi, che consentirà ai consulenti del lavoro di interpellare l’amministrazione per avere chiarimenti in ordine a questioni interpretative sulla normativa del diritto del lavoro. Dopo un iniziale periodo di collaudo, ed un perfezionamento del sistema di raccolta degli interpelli231 che sta avendo luogo in questo periodo, è probabile che questo diventi uno degli strumenti maggiormente utilizzati dai professionisti del settore, visto il già constatato successo avuto anche nel diritto tributario. Accanto a questo permane l’importanza del consulente relativamente a tutti quegli aspetti che comunque era chiamato a gestire anche in precedenza all’approvazione del nuovo decreto, basti pensare al ruolo di garante dei diritti del datore di lavoro durante la visita ispettiva e in generale ai rapporti con l’ispettore durante l’accesso in azienda. L’approvazione del nuovo decreto sulla riforma dei servizi ispettivi ha infatti stimolato l’organo ispettivo a dotarsi di un nuovo codice di comportamento, che fornisca a tutti i dipendenti dell’amministrazione delle linee guida da seguire in caso di visita ispettiva. Anche in questo caso non sono mancati dei motivi di contrasto, in ordine soprattutto alle direttive che vietano al consulente del lavoro di presenziare agli interrogatori dei dipendenti. Senza entrare nei particolari, già analizzati, resta comunque da evidenziare la volontà di instaurare un generico “spirito collaborativo” tra professionista ed ispettore, cercando ancora una volta di ammorbidire le tradizionali posizioni antitetiche dei due soggetti. Un’ultima tipologia di attività è individuabile in relazione all’ipotesi in cui l’ispezione si concluda con la rilevazione dell’infrazione. Il consulente in questo caso ha facoltà e capacità di gestire la proposizione dei ricorsi, entrando così come protagonista in tutte le fasi dell’accesso ispettivo. Egli è legittimato a presentare i ricorsi amministrativi di cui agli artt. 16 e 17 d. lgs. n. 124/2004 e, successivamente, nei casi in cui è consentito alla parte di difendersi da sola, ad esercitare le azioni giurisdizionali che la legge di volta in volta prevede. 231 L’originario art. 9 d. lgs. n. 124/04 è stato riscritto dal d. legge 262/2006. In particolare si è modificato il sistema di invio degli interpelli cercando di semplificare i passaggi tra le diverse istituzioni coinvolte. E’ naturale che ci possano essere questi tipi di aggiustamenti che hanno lo scopo di rendere il più efficiente possibile lo strumento. 127 Come spesso accade, per una valutazione effettiva degli effetti positivi e negativi di una riforma è necessario attendere un periodo sufficiente a consentire l’applicazione di tutti gli istituti di nuova introduzione in modo ripetuto e completo. In questo modo sarà possibile osservare nella pratica, a distanza di anni, quale impatto si è avuto nella gestione dei rapporti di lavoro, se l’obiettivo che il legislatore si era posto è stato raggiunto e se i diversi soggetti hanno saputo dare una giusta interpretazione alle previsioni normative. Ad oggi tutto questo non è ancora possibile, tre anni di vigenza del d. lgs. n. 124/2004 non consentono di dare un giudizio definitivo sulla riforma. Il tentativo di vincere la diffidenza dei datori di lavoro verso gli ispettori introducendo delle funzioni consulenziali ed informative, l’attenuazione dell’aspetto repressivo della funzione di vigilanza e i nuovi istituti introdotti sono dei punti decisamente innovativi, che rappresentano uno strappo con il passato e necessitano pertanto di un lungo periodo di rodaggio affinché si possa apprezzarne completamente gli effetti. L’attività ispettiva è notoriamente caratterizzata da diverse difficoltà, sia per la complessità del diritto del lavoro sia per la costante carenza di personale che rende difficoltoso la programmazione mirata delle visite ispettive. Su queste basi, e constatando che non è possibile risolvere la situazione aumentando il numero di ispettori vista la cronica carenza di risorse finanziarie da destinare alle funzioni pubbliche, è apprezzabile il tentativo di ricorrere a metodi alternativi che si fondano su un tentativo di collaborazione tra controllore e trasgressore con il fine ultimo di regolarizzare il più velocemente possibile la situazione di illegittimità. In tutto questo il ruolo del consulente del lavoro risulta determinante, è lui che affianca il datore di lavoro colpito da un accesso ispettivo ed è lui che si preoccupa di assisterlo in tutte le situazioni che tale accesso comportano. Come già ricordato egli è il professionista più qualificato, per competenza specializzata, ad interloquire con gli ispettori del lavoro in sede di accertamento. Oltre a questo, però, il consulente rimane comunque (per caratteristiche professionali) l’assistente migliore del datore di lavoro nella gestione del personale, egli interviene nella creazione, definizione e sviluppo del rapporto di lavoro trattandone gli aspetti contabili, economici, giuridici, previdenziali, assicurativi e sociali. Avere analizzato i compiti, i diritti, la legittimazione ad agire ed i doveri verso il proprio cliente è stato un valido metodo per capire da un lato quali siano i rapporti che intercorrono tra controllore (ispettore del lavoro) e controllato (datore di lavoro), 128 e dall’altro quali siano gli strumenti di difesa in mano al datore di lavoro che subisce un accesso ispettivo da parte dell’amministrazione. 129 130 BIBLIOGRAFIA - - - - - - - S. 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