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Le funzioni del consulente del lavoro dopo la riforma dei servizi

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Le funzioni del consulente del lavoro dopo la riforma dei servizi
INDICE
CAPITOLO I
EVOLUZIONE STORICA DEI SERVIZI ISPETTIVI
1. Introduzione ................................................................................................ 1
2. Il concetto di “ispezione” in azienda. Il D.P.R. n. 520/1955 ed i successivi
interventi normativi in materia......................................................................... 2
3. Il progetto di riforma ................................................................................... 7
3.1 La legge delega n. 30 del 2003 ............................................................... 7
3.2 Il decreto attuativo, in particolare l’art. 8 d. lgs. n. 124/2004 ................ 9
3.3. Il diritto di interpello ............................................................................11
CAPITOLO II
STRUMENTI VECCHI E NUOVI
PER L’ESERCIZIO DELLA FUNZIONE ISPETTIVA
1. Premessa ....................................................................................................15
2. La conciliazione monocratica......................................................................16
2.1. La conciliazione preventiva..................................................................17
2.2. La conciliazione contestuale ................................................................22
2.2.1. La procedura.....................................................................................23
2.3. Conclusioni ed osservazioni .................................................................24
3. La diffida accertativa per i crediti patrimoniali............................................25
3.1. Procedura.............................................................................................26
3.2. Osservazioni e dubbi sull’applicazione della diffida accertativa ...........29
4. Il potere di diffida obbligatoria ...................................................................34
4.1. L’evoluzione storica del potere di diffida .............................................34
4.2. La nuova diffida secondo l’art. 13, d. lgs n. 124/2004 ..........................38
5. La prescrizione obbligatoria........................................................................44
5.1. La prescrizione obbligatoria nel d. lgs n. 758/1994...............................44
5.2 Dubbi e problemi interpretativi .............................................................46
5.3. La prescrizione obbligatoria alla luce dell’introduzione del d. lgs. n.
124/2004 ....................................................................................................50
6. Le disposizioni esecutive ............................................................................53
CAPITOLO III
RILEVANZA DELLA FUNZIONE CONSULENZIALE
NEL D. LGS. N. 124/2004
1. La consulenza alle aziende. Introduzione alla figura professionale del
consulente. .....................................................................................................61
2. Il consulente del lavoro. Attività svolte e regolamentazione. .......................62
2.1. L’assistenza e la rappresentanza del consulente del lavoro ...................66
3. La funzione consulenziale nel nuovo decreto di riforma dei servizi Ispettivi
.......................................................................................................................66
III
CAPITOLO IV
RIFORMA DEI SERVIZI ISPETTIVI
E RUOLO DEL CONSULENTE DEL LAVORO
1. Premessa ....................................................................................................73
2. Soggetti legittimati .....................................................................................74
3. L’attività preventiva svolta dal consulente del lavoro: il diritto di interpello74
3.1 L’interpello nel diritto del lavoro ed il ruolo del consulente..................75
4. I nuovi istituti nel riordino dei servizi ispettivi, l’assistenza del consulente del
lavoro. ............................................................................................................80
4.1 Definizione della procedura conciliativa: alcuni richiami alla
conciliazione monocratica ed alla conciliazione obbligatoria. .....................81
4.2 La funzione del consulente in sede conciliativa .....................................83
4.3 La diffida accertativa: il nuovo strumento per il recupero dei crediti
patrimoniali. ...............................................................................................89
4.4 Tutela amministrativa e tutela giurisdizionale .......................................92
4.5 Verso una nuova figura di conciliatore? ................................................93
5. Il nuovo codice di comportamento degli ispettori del lavoro. Alcuni cenni
introduttivi......................................................................................................96
5.1 L’assistenza all’ispezione.....................................................................97
5.2. L’esame della documentazione, luogo di tenuta dei documenti
obbligatori ed attività ispettiva al di fuori dei luoghi di lavoro...................101
5.2.1 Documenti di assunzione e tenuta dei libri obbligatori..............101
5.2.2 Violazioni nella tenuta dei libri obbligatori...............................107
5.3 Assunzione di dichiarazioni. La problematica dell’assistenza del
professionista............................................................................................109
5.3.1 Il rilascio della copia della dichiarazione ..................................111
6. Rito del lavoro: ruolo del consulente nella presentazione dei ricorsi
amministrativi. Premessa. .............................................................................114
6.1. I ricorsi amministrativi ex art. 16/17 d. lgs. n.124/2004 .....................114
6.1.1 Il ricorso al Comitato regionale per i rapporti da lavoro....................118
6.2. L’opposizione al giudice ordinario .....................................................121
7. Conclusioni ..............................................................................................124
IV
CAPITOLO I
EVOLUZIONE STORICA DEI SERVIZI ISPETTIVI
1. Introduzione
Il decreto legislativo n. 124 del 23 aprile 2004 ha apportato rilevanti modifiche in
materia di ispezione del lavoro attuando una generale revisione dei servizi
ispettivi e delle attività di vigilanza, intervenendo sia sull’organizzazione dei
medesimi, sia sui poteri del personale impegnato. L’intervento normativo nasce in
conseguenza alla necessità di dare attuazione della legge delega n. 30 del 14
febbraio 2004, che ha portato forti innovazioni in tutti i campi del diritto del
lavoro.
La quasi totalità delle previsioni della delega sono
state sviluppate
successivamente dal decreto legislativo n. 276/2003 (cosiddetta Legge Biagi), che
ha profondamente ridisegnato il mercato del lavoro, introducendo nuovi modelli
contrattuali, con lo scopo di cercare un equilibrio tra la volontà di aumentare
l’occupazione e la necessità di tenere conto delle esigenze delle imprese
(soprattutto in relazione alla tanto declamata esigenza di “flessibilità”). A fronte di
un intervento particolarmente incisivo sul mercato del lavoro quale quello
realizzato con l’adozione della “legge Biagi”, sarebbe stato quindi impensabile
non affrontare il tema dell’ispezione del lavoro in quanto, l’introduzione di nuovi
e più ampi spazi di flessibilità della prestazione lavorativa, impongono
inevitabilmente sia un approccio diverso degli organi di vigilanza anche in chiave
orientativa e consulenziale, sia una metodologia di azione omogenea ed integrata
volta a ridurre il più possibile le difformità interpretative e applicative in sede di
ispezione.
A tal fine l’art. 8 della L. n. 30/20041 è stato recepito in un separato decreto, che
cerca appunto di riorganizzare il sistema delle ispezioni aziendali per renderlo
coerente con i nuovi sistemi contrattuali introdotti. Bisognava in sostanza
garantire il rispetto dei diritti dei lavoratori in seguito alle nuove disposizioni
introdotte in materia di lavoro, e il decreto n.124/2004 ha proprio lo scopo di
introdurre delle misure volte a garantire tale rispetto.
1
La delega per la riorganizzazione dei servizi ispettivi.
1
La portata dell’intervento legislativo viene qui analizzata perché si rileva essere
estremamente interessante ed innovativa, rappresenta un punto di rottura con il
passato sotto diversi profili, tra i quali spicca quello del nuovo ruolo che gli
ispettori sono chiamati a ricoprire. Una delle principali novità introdotte fa infatti
riferimento alla mutata concezione del concetto di ispezione, che, come rileva in
principio la delega stessa, deve essere improntato anche su attività di promozione,
informazione, prevenzione e consulenza. Per capire quale sia realmente il senso
del nuovo dettato normativo è necessario mettere in evidenza quale sia stato il
significato attribuito dal legislatore alla funzione ispettiva nei precedenti
interventi normativi. Senza volere esaminare troppo in dettaglio tutta la normativa
introdotta a partire dalla fine dell’8002, si vuole evidenziare nei paragrafi
successivi soprattutto il cambiamento culturale introdotto dal nuovo decreto
rispetto ai precedenti interventi legislativi.
2. Il concetto di “ispezione” in azienda. Il D.P.R. n. 520/1955 ed i
successivi interventi normativi in materia.
Come anticipato, una delle novità principali del decreto n. 124/2004 è il nuovo
ruolo che gli ispettori assumono nello svolgere la loro professione, e, più in
generale, le nuovi funzioni del servizio ispettivo che da organo meramente
repressivo diventa organo con finalità preventive e promozionali del rispetto della
normativa giuslavoristica. Al fine di rendere comprensibile il cambiamento di
indirizzo assunto è utile vedere più in dettaglio come il ruolo ed il concetto di
ispezione si è sviluppato nella storia recente del mondo del lavoro. La previsione
della funzione di vigilanza nel mondo del lavoro compare alla fine del 1800,
quando, essendo state istituite le prime norme a favore dei lavoratori non
derogabili dai privati, si è reso necessario istituire una forma di controllo per il
rispetto delle medesime3. Un vero e proprio apparato di ispettori del lavoro
preposti alla vigilanza si sviluppa solamente con l’istituzione del Corpo degli
2
Non è compito del presente lavoro, ne volontà di chi lo scrive, effettuare una dettagliata disamina
della storia dei servizi ispettivi. Interessa soprattutto evidenziare come il nuovo decreto dia nuovo
significato all’organo ispettivo, introducendo quella che è stata definita addirittura una “svolta
epocale”
3
Controllo che non veniva peraltro esercitato da pubblici ufficiali ma dal personale tecnico delle
associazioni per la prevenzione e i sindacati di assicurazione mutua (così come da art 5 legge n.80
1898)
2
Ispettori dell’Industria e del Lavoro, nell’ambito del relativo ministero (legge
n.1361 del 1912). Successivamente durante il periodo fascista i poteri degli
appartenenti al corpo vennero modificati ed ampliati tramite una serie di regi
decreti, senza subire comunque rilevanti modifiche4 fino a giungere al primo 5
importante riferimento normativo ai servizi ispettivi postbellico. E’ il D.P.R. 19
marzo 1955. n.520, successivamente modificato dalla legge 22 luglio 1961, n.628,
che rappresenta “l’ossatura” della disciplina della materia. Tralasciando infatti
tutti gli interventi successivi, relativi alla istituzione delle Regioni, delle U.S.L., al
riassetto organizzativo dell’apparato con l’abolizione dell’ispettorato, è infatti in
questi interventi normativi che si coglie quale ruolo il legislatore abbia affidato
agli organi di vigilanza.
Esaminando le disposizioni emanate nel 1955, e successivamente modificate nel
1961 (L. n. 628/1961), è possibile, dunque, ricavare analiticamente quelli che
erano i compiti e le funzioni del sistema ispettivo in origine, volendo con ciò
evidenziare solamente gli scopi basilari che muovevano gli organi
senza
addentrarci nella disamina dei singoli istituti giuridici.
Appare chiaro sin dall’inizio della norma in questione che il ruolo affidato
all’ispettorato del lavoro dal legislatore dell’epoca è chiaramente un ruolo con fine
repressivo-sanzionatorio. Il compito affidato infatti è in primis quello di
<<vigilare sull’esecuzione di tutte le leggi in materia di lavoro e di previdenza
sociale
nelle
aziende
industriali…/omissis/...ovunque
è
prestato
un
lavoro…/omissis>>6. Il fatto che nell’elencare i diversi compiti dell’ispettorato il
legislatore ponga in primo piano l’attività di vigilanza sull’esecuzione delle leggi
ben rappresenta quello che è lo scopo che si vuole dare all’organo. L’articolo
prosegue poi con l’individuazione precisa di una serie di compiti tra i quali, a
conferma di quanto appena detto, spiccano7:
4
Modifiche non ritenute rilevanti in relazione alla tematica in esame in questo paragrafo. Per un
compiuto excursus storico delle riforme dei servizi ispettivi vedi Margotta S., “Ispezioni in
materia di lavoro”, 2006, pg 21-28
5
Volutamente la disamina si concentra sul secondo dopoguerra. Ho solamente citato gli interventi
normativi degli inizi del novecento e del periodo fascista che di fatto introducono l’organo
ispettivo in Italia. Non è infatti intenzione del presente lavoro fare un preciso excursus storico
sugli organi ispettivi
6
Legge 22 luglio 1961, n.628, art. 4 a)
7
Vedi art 4 lettera b), d), e) della legge 22 luglio 1961, n.628
3
vigilanza sull’esecuzione dei contratti collettivi di lavoro;
vigilanza sul funzionamento delle attività previdenziali, assistenziali ed
igenico-sanitarie a favore dei prestatori d’opera compiute dalle
associazioni professionali…/omissis/…..per il personale da essi
dipendente;
funzioni di tutela e vigilanza sugli enti e dipendenti dal ministero del
lavoro e della previdenza sociale.
Il focus della disposizione è quindi rilevabile nell’uso del termine “vigilanza”.
Così some afferma Vergari8, “vigilanza” è una parola sostanzialmente neutra, che
non da conto né dei specifici poteri degli organi ispettivi né degli effetti
conseguenti ad un possibile accertamento, che potrebbero essere, a ben vedere, sia
repressivi che conciliativi/consultivi (possibile concessione di un termine per la
regolarizzazione). In linea teorica era dunque possibile assegnare alla norma del
1961 un insieme di significati ed interpretazioni diversi, a seconda delle situazioni
che nel concreto si presentavano.
Di fatto però è innegabile che tale possibilità non era concessa, e non ci si
allontana troppo dalla realtà sostenendo che in nessun caso la volontà
interpretativa ha spinto gli organi preposti a propendere per una visione
consulenziale delle norme elencate nell’art.4 legge 628 del 1961.
Il problema di fondo stava soprattutto nel rapporto esistente tra ufficio di
riferimento e singolo ispettore. Se da un lato infatti l’ufficio ispettivo era
considerato un organo di polizia ispettiva9, ed in quanto tale aveva la possibilità di
orientare le proprie attività non solamente su fini repressivi, ma anche
eventualmente su fini consultivi (così come ricavabile dall’interpretazione del
generico termine “vigilanza”); dall’altro lato sorgeva la problematica relativa alla
posizione giuridica del singolo ispettore.
Egli non è infatti solamente funzionario amministrativo gerarchicamente
dipendente dal relativo ufficio, è, secondo la stessa legge, anche ufficiale di
polizia giudiziaria, e, come tale, subordinato all’autorità giudiziaria. Questo
significava che, secondo quanto previsto dall’art. 347 del c.p.p., nel momento in
cui l’ispettore rilevava un illecito non si poteva esimere dal comunicarlo
8
Vergari S. <<Tra conciliazione e repressione: la funzione ispettiva in materia di lavoro nella c.d.
riforma Biagi>>
9
Corte Costituzionale 29 ottobre 1971, n.10
4
all’autorità giudiziaria,
sebbene
le direttive
impartite dal suo
ufficio
propendessero per un approccio di tipo consulenziale. In questo caso egli poteva
sicuramente fornire utili indicazioni all’impresa per evitare di cadere in recidiva,
ma era comunque obbligato a fare intervenire l’autorità giudiziaria.
E’ chiaro a questo punto che l’idea iniziale di lasciare aperte diverse vie
interpretative10 mal si conciliava con l’impostazione assunta dall’ordinamento in
materia di lavoro. Nella disciplina pre-riforma era presente una contrapposizione
insanabile tra prevenzione e repressione11
Il problema si ripresenta anche osservando la questione da un altro punto di vista;
cercando di determinare il livello dei poteri degli organi di vigilanza circa la
possibilità di scegliere gli obiettivi dell’attività ispettiva, ci si accorge che tale
facoltà non è espressamente prevista ma deriva dalla discrezionalità della pubblica
amministrazione. È la pubblica amministrazione che eventualmente dovrebbe
decidere se concentrarsi su attività repressive o favorire quelle preventive,
ricordando comunque che sono sempre presenti i poteri di singoli ispettori in
quanto Ufficiali di Polizia Giudiziaria (poteri che come detto limitano per forza di
cose eventuali spinte prevenzionistiche dell’ufficio amministrativo).
Ritornando alla sopra citata questione relativa alla qualifica di Ufficiale di Polizia
Giudiziaria degli ispettori del lavoro, pare convincente sostenere che la volontà di
conferire ai soggetti preposti al controllo della normativa lavoristica tale carica
sia già di per se indicativo della finalità con cui era pensata l’attività di controllo.
E’ chiaro che se si vuole avere un qualche effetto deterrente al comportamento
elusivo dei datori di lavoro è opportuno avere a disposizione dei mezzi idonei a
realizzare tale effetto. L’attribuzione all’ispettore della qualifica di ufficiale di
polizia giudiziaria ha delle conseguenze notevoli sui compiti che egli è chiamato a
svolgere. Deve infatti (anche su propria iniziativa) prendere notizia dei reati,
ricercarne gli autori, compiere gli atti necessari per assicurare le fonti di prova e
raccogliere quanto possa servire per l’applicazione della legge penale (art. 55 del
codice di procedura penale). Ovviamente la legge pone anche delle limitazione
all’operato di questi soggetti. In definitiva, senza volere eccedere nell’analisi della
complessa problematica relativa ai compiti attribuiti a questi ufficiali, preme
10
Riferimento chiaramente è alla possibilità di individuare una funzione conciliativa e
consulenziale nell’originale legge 628 del 1961.
11
Vergari S., opera citata.
5
solamente sottolineare come l’intento repressivo dell’apparato di vigilanza emerga
con forza semplicemente dalla tipologia di qualificazione giuridica concessa ai
soggetti che vi appartengono. Di conseguenza è vero che dalla norma emergeva la
possibilità di una interpretazione conciliativa/consulenziale, ma la contraddizione
e la negazione di tale possibilità era già contenuta nella norma stessa nel momento
in cui si qualificano gli ispettori come U.P.G.
Ritornando alla disamina delle previsioni dell’art. 4 è necessario fare una
importante specificazione. I paragrafi successivi sono spesi per cercare di mettere
in luce il mutato indirizzo culturale che il legislatore ha inteso seguire nella
riforma: riorganizzare il sistema ispettivo per fare in modo che assumano
rilevanza delle nuove funzioni: promozione, prevenzione, informazione e
consulenza. A rigor di logica si può tuttavia sostenere che la funzione preventiva
(o di consulenza) non è del tutto nuova in questo ambito del nostro ordinamento
giuridico.
Bisogna infatti ricordare che l’art. 4 lettera c) del D.P.R. n. 520/1955 affidava
all’ispettorato il compito di: <<fornire tutti i chiarimenti che vengano richiesti
intorno alle leggi sulla cui applicazione esso deve vigilare>>, attraverso la
creazione di un nucleo competente all’interno dell’ispettorato stesso; e una
competenza di carattere generale agli ispettori volta a fornire sempre dei
chiarimenti sull’applicazione della legislazione sociale. Volendo fare un bilancio
di quanto nel concreto questa norma ha trovato applicazione nel concreto si può
sicuramente dire che non ha affatto avuto un adeguato sviluppo. Il grosso
problema da superare è sempre stato quello della diffidenza delle aziende ad
aprirsi in qualsiasi modo all’organo preposto a controllarle, è sempre parso molto
difficile convincere il datore di lavoro ad entrare in contatto in modo collaborativi
con l’ispettorato ed esporre problematiche che fossero in qualsiasi modo legate al
concreto vivere aziendale. Il rischio di esporsi troppo nei confronti dell’ispettore
era un deterrente troppo forte perché qualcuno scegliesse di affidare la risoluzione
di alcune problematiche all’Ispettorato.
E’ per questo motivo che nel proseguo dell’analisi si farà riferimento alle funzioni
e agli istituti introdotti dal decreto n.124/2004 come delle novità, anche se a rigor
di logica delle novità non sono.
6
3. Il progetto di riforma
3.1 La legge delega n. 30 del 2003
Con l’entrata in vigore del decreto legislativo n. 124 del 2004 possiamo invece
sostenere
che,
almeno
nelle
intenzioni12,
c’è
stato
un
cambiamento
nell’assegnamento delle funzioni all’organo ispettivo.
La legge delega 14 febbraio 2003, n. 30, prevedeva infatti un riassetto dei servizi
ispettivi che prevedesse di <<improntare il sistema delle ispezioni alla
prevenzione e promozione dell’osservanza della disciplina degli obblighi
previdenziali, del rapporto di lavoro, del trattamento economico e normativo
minimo e dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali
che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale, anche valorizzando
l’attività di consulenza degli ispettori nei confronti dei destinatari della citata
disciplina>>13. Emerge sin da subito la volontà di affidare agli ispettori del lavoro
dei compiti che non siano meramente di controllo, vigilanza, accertamento e
sanzionatori ma che sfocino anche in attività di prevenzione e promozione da
attuarsi secondo le modalità sviluppate dal decreto in esame. L’impostazione
seguita mira quindi ad aggiornare i poteri ispettivi privilegiando la logica della
prevenzione e del <<ravvedimento operoso> delle aziende14; si sposta l’obiettivo
dell’attività di vigilanza dalla repressione delle condotte illecite e difformi al
precetto normativo verso la regolarizzazione dei rapporti di lavoro.
Il cambiamento di indirizzo può essere considerato sicuramente epocale;
l’ampliamento della sfera di competenza degli ispettori consente alle istituzioni di
cercare di creare un rapporto più partecipativo con i destinatari della vigilanza. In
questo modo si restringe il comportamento repressivo, o quantomeno si cerca di
posticiparne l’utilizzo; cercando in un primo momento di portare a conoscenza
delle aziende gli obblighi di legge in modo puntuale e preciso.
In sede di commento alla legge delega15 n. 30/2003 non si è mancato di
sottolineare come il nuovo indirizzo delineasse un sistema che si rivolgeva
12
Si tratterà più avanti delle difficoltà applicative delle modifiche apportate dal nuovo decreto
13
Lettera a), art.8 della legge delega
14
Nogler L., Zoli C. “Razionalizzazione delle funzioni ispettive in materia di previdenza sociale e
di lavoro, a norma dell’art. 8 della L.14 febbraio 2003, n.30”; in Le nuove leggi civili
commentate, 2005
15
Vergari, op. citata
7
soprattutto alla singola impresa ispezionata piuttosto che al mondo del lavoro; con
strumenti protettivi per l’impresa piuttosto che con istituti volti a celare il vasto
mondo del sommerso.
Da un lato i dubbi paventati hanno un sicuro fondamento; la questione, vista dalla
parte di chi le ispezioni deve effettuarle, è rilevante in quanto esaminando le
previsioni della delega poteva esserci il rischio che l’attività ispettiva venisse
eccessivamente svuotata dall’intento repressivo16. Dall’altro lato è altrettanto vero
che, a posteriori17, i dubbi di cui sopra possono dirsi dipanati. L’introduzione delle
nuove previsioni non sembra avere influito in modo grave sull’originario scopo
repressivo, resta solo da capire se davvero il ruolo consulenziale e promozionale
affidato agli ispettori avrà un uso fruttuoso nel concreto. D’altra parte la premessa
da cui bisogna necessariamente partire per analizzare da un giusto punto di vista la
riforma è che attualmente il Ministero può contare su un corpo ispettori di circa
5000 unità, a fronte di circa cinque milioni di aziende iscritte alle camere di
commercio. Osservando il rapporto è chiaro che la soluzione, in sede di riforma,
andava ricercata su strade alternative, diverse dalla mera riproposizione dei soliti
istituti. Bisognava cercare degli strumenti adatti a velocizzare gli (allora) attuali
processi che non erano più soddisfacenti, ed introdurne altri di innovativi non più
basati solamente sulla contrapposizione “leggi da rispettare”- “organo
controllore”. Il rimedio è cercare di prevenire il contenzioso, lasciare l’attività
ispettiva solamente ai casi più significativi ed adottare per tutti gli altri un’altra
strategia. Al dato sopra proposto va aggiunta la considerazione che il servizio
ispettivo deve anche rispondere alle richieste che pervengono presso i loro uffici;
rispondere alle richieste di intervento dell’utenza occupa la maggior parte
dell’attività svolta dagli ispettori che non riescono quindi a concentrarsi su
obiettivi repressivi mirati. Ecco la necessità di rompere con il passato e rivolgersi
a nuovi mezzi più idonei a modificare una situazione ormai critica (la provincia di
Roma accumula 15.000 richieste di intervento inevase ogni anno, questo significa
16
Intento repressivo che a mio parere deve essere comunque parte fondamentale della vigilanza in
materia lavoristica, visto la tipologia di diritti presi in considerazione.
17
Il commento di Vergari è antecedente all’approvazione del decreto attuativo.
8
che se non riesce a rispondere alle richieste tanto meno riesce a svolgere attività
ispettiva su propria iniziativa).18
3.2 Il decreto attuativo, in particolare l’art. 8 d. lgs. n. 124/2004
Entrando maggiormente nello specifico, l’art. 8 del decreto n. 124 assegna alle
direzioni regionali e provinciali del lavoro i compiti di <<organizzare attività di
prevenzione e promozione,su questioni di ordine generale, presso i datori di
lavoro, finalizzata al rispetto della normativa in materia lavoristica e
previdenziale, con riferimento alle questioni di maggiore rilevanza sociale>>.
Al terzo comma invece si attribuisce <<alla direzioni generale e agli uffici
periferici, anche d’intesa con gli enti previdenziali, la facoltà di promuovere e di
stipulare, mediante apposite convenzioni, contratti con aziende, enti ed
associazioni, aventi ad oggetto attività di informazione e aggiornamento da
svolgersi presso gli stessi soggetti interessati>>. Completando la lettura
dell’articolo, nel secondo comma emerge un ulteriore previsione secondo cui se
gli ispettori, nel corso dell’attività ispettiva, rilevano profili di inosservanza o di
non corretta applicazione della normativa, da cui non consegue l’adozioni di
sanzioni penali o amministrative, questi possono fornire le indicazioni operative
necessarie alla corretta applicazione della normativa stessa.
Per quel che riguarda i contenuti dell’attività di promozione è da chiarire che
durante l’espletamento di tale attività le tematiche trattate non possono riguardare
singoli casi concreti, ma debbono fare riferimento solamente a questioni di ordine
generale. In questo modo si vogliono mantenere distinte le competenze del
personale ispettivo da quelle degli operatori professionali, quali sono, per
esempio, i consulenti del lavoro. Rispetto invece all’attività prevista dal comma
219 dell’art. 8 d. lgs. n. 124/2004 il Ministero si è preoccupato di sottolineare che i
chiarimenti forniti devono fondarsi esclusivamente su posizioni ufficiali del
ministero stesso, non devono essere quindi fonte di personali interpretazioni della
norma.
18
I dati numerici proposti circa gli ispettori, il numero delle aziende e le richieste inevase derivano
dal Dott. Pennesi P, in sede di convegno del 27 novembre 2006 “La riforma dei servizi ispettivi”
organizzato dall’ordine dei consulenti del lavoro di Vicenza ,al quale ho presenziato.
19
L’attività informativa, promozionale e preventiva prestata durante l’ispezione nel caso ci siano
violazioni in assenza di rilievi sanzionatori penali o amministrativo.
9
Da ultimo la facoltà di proporre attività di aggiornamento e informazione a favore
di enti, datori di lavoro ed associazioni sembra improntata alla volontà di guardare
al mondo del lavoro nel suo complesso. Si vuole cercare di diffondere corrette
informazioni sulle tematiche legislative della materia in questione, dove l’organo
di vigilanza ricopre un ruolo neutro di “istruttore”. Anche qui è necessario che ci
sia una separazione tra i casi concreti riferibili alle imprese e i temi generali dei
convegni, così come lo è per le altre situazioni appena viste.
Necessaria è poi una piccola riflessione che evidenzi quale tipo di rapporto esista
tra le nuove attività dell’art. 8 e le consuete attività repressive. Innanzi tutto è bene
chiarire che la nuova funzione promozionale non pare essere in contrasto con la
classica funzione repressiva; il legislatore si è infatti preoccupato di evidenziare in
modo chiaro che l’ufficiale che svolge il controllo e l’accertamento resta (come
prima) un ufficiale di polizia giudiziaria, l’ispettore in veste di consulente è invece
alleggerito da tale qualifica. In questo modo le diverse fasi dell’attività vengono
distinte e separate. Bisogna dire che non pare esserci soluzione alternativa a
questa; per fare in modo che l’impresa sfrutti la possibilità fornita dal nuovo
decreto è chiaro che deve essere garantita l’imparzialità dell’ispettore-consulente,
il quale deve presentarsi in azienda per essere d’aiuto e non per “inquisire”.
Addirittura pare condivisibile l’idea prospettata da alcuni20 di creare un corpo di
ispettori separato a cui vengano assegnate solamente funzioni di prevenzione,
promozione e consulenza, esentandoli quindi dal dovere compiere poi ispezioni a
carattere repressivo-sanzionatorio. In una configurazione di questo tipo è
ragionevole pensare che i datori di lavoro sarebbero più disposti ad aprire le porte
agli ispettori consulenti, dall’altro lato gli ispettori sarebbero meno prevenuti
verso il datore stesso e tecnicamente più preparati nel dare un concreto aiuto.
Se non che la cronica scarsità di risorse a disposizione del ministero e l’ulteriore
previsione dell’art. 20 del decreto21 rendono impossibile l’assunzione di nuovo
personale a cui assegnare le nuove funzioni. Non è poi pensabile diminuire il
numero degli addetti alle ispezioni per assegnarli in pianta stabile a svolgere
funzioni di consulenza, per cui in fine resta l’unica soluzione di lasciare che
20
Rivara A., “Servizi ispettivi: le implicazioni della riforma”, DPL, n.42/2004.
21
<<Dall’attuazione del presente decreto non devono derivare nuovi o maggiori oneri per la
finanza pubblica>>
10
entrambe le tipologie di compiti siano assegnate a tutti gli ispettori
indistintamente.
Tuttavia bisogna ricordare che in ogni caso il soggetto ispettore mantiene
comunque la qualifica di pubblico ufficiale, con il conseguente obbligo, stabilito
dalla legge, di comunicare al P.M. un’eventuale crimine di cui sia venuto a
conoscenza. Conseguentemente resta aperto il dibattito circa la reale portata
“rivoluzionaria” dell’articolo in questione posto che, allo stato delle cose, non
sembra possibile superare le tradizionali resistenze delle aziende verso gli organi
di controllo.
Visto brevemente cosa concretamente prevede la legge a proposito della nuova
funzione preventivo-promozionale, è interessante fare alcune riflessioni sui
problemi sollevati dalle nuove norme.
Una delle prime cose che balza agli occhi è il conflitto di interessi presente in
capo alla nuova figura dell’ispettore, chiamato ad essere all’occorrenza consulente
e controllore dello stesso soggetto.
Volendo applicare una “interpretazione positiva” si può dire che il sistema
funziona correttamente nel momento in cui le indicazioni fornite dall’ispettoreconsulente non sono contraddette dall’ispettore-accertatore. In questo caso infatti
si può pensare che in effetti si incentivi il rapporto con le aziende, le quali sono a
conoscenza che allineandosi alle indicazioni ricevuti si premuniscono da eventuali
successivi accertamenti. Tuttavia non si può fare a meno di rilevare la possibilità
di comportamenti scorretti e devianti, in cui ci sia un tacito accordo tra l’ispettore
in fase di consulenza e quello in fase di controllo, che, è bene ricordare, può
essere la stessa persona.
Anche evitando di ricercare possibili soluzioni maliziose è comunque possibile
che l’impreparazione del singolo soggetto porti a fornire indicazioni sbagliate, alle
quali il ministero non può essere vincolato. Resta da chiarire la posizione del
datore che si sia eventualmente uniformato a tale indicazioni. 22
22
Bisogna capire se il datore che si è uniformato ad una errata indicazione è comunque
responsabile. Pare una soluzione non condivisibile, tuttavia resta il rilevante problema di riuscire a
proporre la prova che il comportamento errato deriva proprio dall’avere seguito l’indicazione
avuta.
11
3.3. Il diritto di interpello
Accanto alle novità introdotte dall’art. 8, d. lgs. n. 124/2004, è fondamentale
sottolineare come anche l’introduzione del diritto di interpello, ad opera del
successivo articolo, sia riconducibile al nuovo intento di migliorare il rapporto fra
amministrazione e cittadino, fornendo dei servizi (sempre in ambito lavoristico)
volti a superare la contrapposizione consueta tra datore di lavoro ed ispettorato.
Così come accade nell’ambito tributario, il diritto di interpello consente di avere
dei chiarimenti sulla modalità di applicazione della normativa, prima che questa
venga applicata in modo scorretto; l’amministrazione, rispondendo ad un
determinato quesito, prende una precisa posizione su di un argomento chiarendo
eventuali dubbi, il datore dal canto suo evita possibili incomprensioni
uniformandosi alla risposta ricevuta. E’ ancora una volta evidente come anche
questo istituto sia volto a completare il passaggio da una concezione repressiva
dei servizi ispettivi ad una concezione di tipo preventivo, conciliativo,
informativo.
Da un punto di vista applicativo l’istituto è diverso da quello utilizzato in ambito
tributario. Sottolineo qui che innanzi tutto i soggetti legittimati a porre i quesiti
non sono i singoli datori di lavoro o i singoli consulenti23, ma le associazioni di
categoria, gli ordini professionali24 e gli enti pubblici. I quesiti inoltre possono
essere solamente di carattere generale, non è possibile quindi utilizzare l’interpello
come una consulenza specifica e puntuale su di un determinato argomento; serve
che la problematica sia di interesse comune ed in quanto tale meritevole di
chiarificazione.
L’argomento dell’interpello infine può riguardare tutta la normativa la cui
applicazione è di competenza del ministero del lavoro e delle politiche sociali,
sono escluse quindi le limitazioni presenti nell’interpello tributario. Di
conseguenza non c’è uno specifico riferimento al fatto che debba esserci
“oggettiva oscurità della disciplina”, né al fatto che la richiesta è esperibile
solamente per atti aventi forza di legge (erano esclusi quindi i regolamenti).
23
Vedremo nella seconda parte del lavoro il ruolo del consulente nei diversi istituti del nuovo
decreto
24
Anche se su segnalazione dei propri iscritti
12
Il punto di maggiore debolezza dell’articolo sta nella mancata previsione di un
termine entro il quale fornire la risposta25 e nella mancata individuazione dei
precisi effetti (per l’amministrazione e per il datore) derivanti dalla risposta stessa.
Dalla modalità di risoluzione di questi problemi dipenderà il livello di utilizzo
effettivo del nuovo istituto.
Le modifiche legislative impongono quindi al personale ispettivo l’esercizio di
compiti nuovi ed un cambiamento degli obiettivi da perseguire. Tutto ciò
presuppone una adeguata ed approfondita preparazione del personale, che dovrà
sapere affrontare nuovi ruoli completamente diversi da quelli di mero
accertamento della violazione legislativa. Bisogna quindi cercare di formare in
modo corretto i nuovi ispettori, attuando, per quel che è possibile, quanto previsto
dall’art.18 del presente decreto che prevede di attuare specifiche misure di
adeguamento professionale.
Sarà interessante vedere come si riuscirà a riqualificare il personale, lo
stanziamento di fondi26 è solo il primo passo (peraltro necessario) da fare,
successivamente bisognerà organizzare corsi di formazione appositi, che oltre un
continuo aggiornamento tecnico spingano i frequentanti ad un cambiamento
culturale. Dopo pochi mesi dall’entrata in vigore del decreto è stato avviato un
progetto con lo scopo di “mappare” le professionalità degli ispettori impiegati
tramite l’analisi del curriculum vitae da essi inviato. Attraverso tale piano si
intende, in futuro, collocare il personale in modo mirato, a seconda delle
propensioni dei dipendenti interrogati.
25
Degan L., Scagliarini S., La riforma dei servizi ispettivi in materia di lavoro e previdenza
sociale, 2004
26
Anche se l’art 20 del decreto non prevede ulteriori fondi per dare attuazione alla riforma, alcuni
interventi legislativi, soprattutto in sede di legge finanziaria, hanno previsto l’allocazione di risorse
per poter procedere al riassetto, e quindi anche per l’organizzazione dei corsi di formazione
permanente previsti dall’art. 18.
13
14
CAPITOLO II
STRUMENTI VECCHI E NUOVI PER L’ESERCIZIO
DELLA FUNZIONE ISPETTIVA
1. Premessa
La riforma oltre ad avere influenzato il concetto generale di ispezione ed avere
introdotto le nuove funzioni di cui sopra, ha anche ampliamente riformato i
singoli poteri degli ispettori ed ha introdotto nuovi ed interessanti istituti volti
ancora a perseguire il fine di evitare, o posticipare per quanto possibile,
l’intervento repressivo.
La legge delega ha ben chiarito l’intento richiedendo la <<definizione di un
quadro regolatorio finalizzato alla prevenzione delle controversie individuali di
lavoro in sede conciliativa, ispirato a criteri di equità ed efficienza>>. Nello
specifico poi alcune disposizione erano chiaramente dettate con lo scopo di
spingere il legislatore a proporre nuovi istituti, caratterizzati dalla possibilità di
avviare una fase conciliativa preliminare all’accertamento repressivo. A tal
proposito il secondo comma dell’art. 8 L. n. 30 del 2003, alle lettere b) ed e)
forniva come criteri e principi guida:
la definizione di un raccordo efficace tra la funzione di ispezione del
lavoro e quella di conciliazione delle controversie individuali;
semplificazione della procedura di riscossione dei crediti di lavoro
correlata alla promozione di soluzioni conciliative in sede pubblica.
Da ultimo si prevedeva poi la <<ridefinizione dell’istituto della prescrizione e
della diffida propri della direzione provinciale del lavoro>>. Senza avere
espressamente fatto riferimento ai nuovi principi preventivi e conciliativi, si
chiede dunque che due tra i più comuni poteri degli ispettori vengano modificati e
riformati.
I punti in questione sono estremamente rilevanti. Se nella prima parte ho
evidenziato, come aspetto predominante, il proponimento di un “cambiamento
culturale” nella funzione degli ispettori27, i criteri della legge delega appena citati
sono idonei a fornire agli ispettori nuovi poteri giuridici, adatti ad incidere
27
Le nuove funzioni portano anche all’allargamento dei poteri e dei compiti come visto, lo scopo
era però quello di evidenziare il cambiamento nel concetto di ispezione.
15
direttamente sulle controversie tra datore e lavoratore, nel senso di cercare in
primis una soluzione conciliativa28. Inoltre si vuole offrire la possibilità al
lavoratore di vedere soddisfatte le sue pretese retributive con un nuovo, e più
“agile”, procedimento, che dovrebbe consentire una semplificazione nella
riscossione del credito vantato.
Anche in questo caso comunque si tratta di fornire agli ispettori delle nuove
competenze, tradizionalmente svolte da altri organi29, che non saranno di facile
implementazione, almeno in un primo momento. Si tratta di nuove modalità di
tutela dei diritti dei lavoratori; il legislatore richiama l’intervento degli ispettori in
tutti i casi in cui si manifesti una qualsiasi necessità di difendere gli interessi dei
lavoratori, e non solamente laddove siano previste delle sanzioni a carico dei
datori.
Ad ogni modo l’aspetto è sicuramente molto innovativo, in quanto, per
definizione, non è mai sembrato ravvisabile un possibile accordo tra funzione
ispettiva (intesa nel senso repressiva) e funzione conciliativa. Si direbbe anzi che i
due termini siano antitetici. Attraverso gli istituti creati con il decreto n. 124/2004
si è cercato di superare questa contrapposizione, e <<l’incontro, a lungo e su più
fronti auspicato, fra le due funzioni storicamente agli antipodi sembra avere la
forza di annunciare una nuova era nelle controversie di lavoro, che transita
proprio per l’ispezione del lavoro>>30.
Si tratta ora di analizzare gli istituti in modo più approfondito, cogliendone i tratti
essenziali ed innovativi, per porli a confronto con gli strumenti ispettivi utilizzati
prima della riforma e capire quali miglioramenti sono stati apportati e quali
difficoltà si prospettano per il futuro.
28
La stessa diffida accertativa per i crediti patrimoniali ha lo scopo di consentire al datore di
sanare la posizione senza avviare ulteriori accertamenti.
29
Nogler L., “Razionalizzazione delle funzioni ispettive in materia di previdenza sociale e di
lavoro”,
in Le nuove Leggi civili commentate,2005. La diffida accertativa per i crediti
patrimoniali è una tutela di un diritto del lavoratore, tale tipologia di diritti veniva storicamente
difesa dai sindacati, per esempio. Ecco le nuove competenze a cui ci si riferisce.
30
Rausei P, Riordino dei servizi ispettivi, Diritto & Pratica del lavoro, n. 6/2004.
16
2. La conciliazione monocratica
Una delle novità rilevanti introdotte dal decreto legislativo 23 Aprile 2004, n. 124
è rappresentata dall’art. 11, attraverso il quale viene introdotto nel nostro sistema
l’istituto della conciliazione monocratica. Con questa previsione si è data
attuazione alla delega contenuta nell’art. 8 della legge delega n. 30/2003, in
particolar modo alla lettera b) del secondo comma, dove si parlava di <<raccordo
efficace tra la funzione di ispezione del lavoro e quella della conciliazione delle
controversie individuali>>.
Una richiesta di questo tipo trova la sua giustificazione nell’esigenza, emersa in
sede di controlli generalizzati in tutto il paese, di velocizzare l’evasione delle
richieste di intervento che pervengono alle direzioni provinciali del lavoro. I
ritardi accumulati, per diverse cause31, hanno imposto al legislatore una soluzione
alternativa ai consueti metodi accertativi, che in molti casi non si riuscivano ad
attuare (per carenza personale, vedi nota 5) o, quando ci si riusciva, risultavano
inutili perché troppo tardivi (è il caso di interventi nel settore edilizio a cantiere
finito, dove le prove di eventuali omissioni sono oramai perse).
La conciliazione monocratica è consentita sostanzialmente in due situazioni
distinte, come fase preliminare o come fase contestuale all’attività di vigilanza e
repressiva. C’è in sostanza una doppia modalità di accesso all’istituto a seconda
che la conciliazione abbia luogo a fronte di una richiesta di intervento ispettivo
oppure nel corso dell’intervento stesso.
Il primo comma dell’articolo in esame tratta della prima delle due modalità
esperibili, dicendo che <<Nelle ipotesi di richiesta di intervento ispettivo alla
Direzione provinciale del lavoro dalle quali emergano elementi per una soluzione
conciliativa della controversia, la Direzione provinciale territorialmente
competente può, mediante un proprio funzionario, anche con qualifica ispettiva,
avviare il tentativo di conciliazioni sulle questioni segnalate>>.
2.1. La conciliazione preventiva
Il primo tipo, se così possiamo dire, di conciliazione, fa riferimento, come detto,
alla possibilità di ricorrere all’istituto nel caso in cui sia presentata una richiesta di
31
Rausei cita per esempio l’alto numero di richieste, la necessità di privilegiare le visite
d’iniziativa in settori particolarmente a rischio, carenze di organico diffuse e consistenti soprattutto
al nord dove l’espansa realtà industriale richiederebbe un maggio numero di addetti alla vigilanza.
17
intervento ispettivo alla Direzione provinciale competente (competenza sulla base
del luogo in cui ha esecuzione il rapporto di lavoro).
Sebbene ad una prima lettura l’istituto sembra essere di facile comprensione, ci
sono alcuni aspetti rilevanti da chiarire.
Innanzi tutto i soggetti che possono effettuare la richiesta di intervento ai servizi
ispettivi non sono solamente i lavoratori interessati; non vi è infatti ragione di
escludere il caso che siano dei terzi a farla, sempre che, una volta esaminato il
caso concreto, emerga la possibilità di raggiungere la conciliazione (condizione
sine qua non per potere procedere). Nel caso eventuale in cui ci siano delle
richieste plurime, da parte di più lavoratori contemporaneamente, queste vanno
trattate
separatamente;
l’eventuale
conciliazione
raggiunta
deve
essere
soddisfacente per ogni singolo lavoratore interessato in quanto dispone dei diritti
di ogni singolo soggetto, non può quindi essere sommariamente riassunta in un
singolo accordo32.
Un dubbio emerso in sede di commento al decreto riguardava la possibilità che
anche i lavoratori autonomi potessero ricorrere all’istituto della conciliazione. Si è
data risposta affermativa sostenendo che nella norma non è prevista una precisa
esclusione, di conseguenza anche i titolari di rapporto di lavoro autonomo come i
contratti a progetto, a collaborazione coordinata e continuativa hanno facoltà di
ricorre all’art. 11.33
Un punto che merita invece una più particolare attenzione è il tipo di denunce che
devono essere raccolte dai funzionari della direzione provinciale ed il tipo di
diritti oggetto dell’accordo. Si precisa infatti (anche nella circolare confindustria
n. 18107/2004) che oltre a quelle tradizionali, riferite ai mancati versamenti
contributivi e agli obblighi connessi all’assunzione e allo svolgimento del
rapporto di lavoro (mancata consegna busta paga), gli operatori di turno devono
raccogliere anche le denunce di trattamenti economici non corrisposti34
(differenze paga, lavoro straordinario non retribuito, ferie non godute). In sostanza
da ciò emerge come la conciliazione monocratica, riguardando possibili
32
Massi E., “La conciliazione monocratica” in “La riforma dei servizi ispettivi in materia di
lavoro e previdenza sociale”, a cura di Monticelli C.L. e Tiraboschi M.
33
Nogler R., Razionalizzazione delle funzioni ispettive in materia di previdenza sociale e di
lavoro. Le nuove Leggi civili commentate, 2005.
34
Purchè ne possano derivare degli effetti sul piano previdenziale ed assistenziale.
18
controversie che possono nascere in merito a diritti patrimoniali di origine
contrattuale o legale, che non hanno però rilevanza sanzionatoria o penale,
consenta l’espletamento di un tentativo conciliatorio che eviti la nascita di
contenziosi giurisdizionali. I funzionari, proprio per questo, devono essere pronti
a raccogliere le richieste di intervento dalle quali emerge la possibilità di evitare
quel tipo di contenzioso.
Deve essere chiaro che si tratta in ogni caso di diritti disponibili35 del lavoratore, e
che in riferimento ai fatti denunciati nella richiesta di intervento non deve esserci
stato alcun accertamento di violazioni compiute dal datore, nel qual caso non si
può ravvisare il presupposto per un accordo conciliativo. Fino a qui quanto
emerge dalla lettura sistematica del dispositivo; in chiave pratica emerge però il
problema di stabilire se una volta avviata la conciliazione questa possa vertere
anche su questioni diverse da quelle oggetto della richiesta di intervento.
Naturalmente per il datore di lavoro sicuramente sarebbe una occasione
favorevole, soprattutto se riuscisse in qualche modo a condizionare le scelte del
lavoratore, e proprio per questo in linea di massima il Ministero da parere
contrario. Tuttavia, da altro autorevole parere36, sembra potersi dare risposta
affermativa al problema, con la necessaria precisazione che è indispensabile la
piena consapevolezza da parte del lavoratore, piena consapevolezza raggiungibile
con il consenso assistito da parte dell’organo ispettivo.
Continuando con la disamina dell’articolo 11 d. lgs. n. 124/2004, si rileva come il
legislatore abbia inteso dare un ruolo discrezionale al dirigente periferico della
direzione provinciale. La disposizione normativa non parla di obbligatorietà
nell’uso della conciliazione, quanto piuttosto di una “possibilità” (viene usato il
dispositivo <<può proporre>>), lasciando all’ispettore la valutazione circa la
sussistenza dei requisiti per stipulare l’accordo. Questo significa che nella
35
Sono disponibili i diritti esclusi dal campo di applicazione dell’art. 2113 del c.c. e possono
essere oggetto di rinuncia o transazione. Sono riconducibili a: a) risoluzione consensuale del
rapporto di lavoro; b) recesso del datore con il licenziamento; c) recesso del lavoratore con
dimissioni; d) crediti derivanti da sentenza passata in giudicato; e) diritti derivanti dal contratto
individuale se migliorativi rispetto a quello collettivo; f) risarcimento danni derivanti dal rapporto
di lavoro. Mangione C., “Le ispezioni in matria di lavoro, previdenza e fisco”, 2006, pg. 29.
36
Così sostiene Pennesi Paolo, Vice Direttore generale D.G. per l’attività ispettiva, nel convegno
organizzato dai consulenti del lavoro di Vicenza “La disciplina delle ispezioni sul lavoro” 27
novembre 2006.
19
decisione possono influire diversi fattori, che vanno al di là della mera valutazione
di fattibilità e che possono coinvolgere anche eventi passati (il riferimento è a dei
precedenti in capo al datore che rendono sconveniente tentare una conciliazione).
La Direzione provinciale (nella persona del funzionario investito della procedura)
deve quindi valutare gli elementi a sua disposizione, capire se ci sono le
condizioni soggettive (possibilità di fare accordare il datore ed il lavoratore
coinvolti) ed oggettive per giungere ad una soluzione positiva. È un tipo di
considerazione che in alcuni casi può risultare tutt’altro che agevole, per questo la
circolare ministeriale n. 24/2004 ha inteso fugare alcuni dubbi, richiedendo
almeno una serie di presupposti oggettivi da cui non si può prescindere per
avviare il tentativo di conciliazione37 (il riferimento è alla necessaria assenza di
profili di rilevanza penale e amministrativa e alla tipologia di diritti oggetto della
conciliazione, elementi già citati sopra).
A questo va aggiunto l’ultima importante indicazione fornita dalla stessa circolare
in relazione all’esclusione della possibilità di ricorrere all’art. 11 per quanto
riguarda le richieste di intervento che hanno ad oggetto i contratti certificati
secondo la procedura degli art. 75 e ss d. lgs. n. 276/0338. Chi vuole fare ricorso
contro la certificazione deve esperire la procedura prevista dall’art. 410 c.p.c. In
realtà confindustria ha espresso diverso parere, sostenendo che le cause di
impugnazione davanti all’autorità giudiziaria sono tassativamente previste
dall’art. 80 del d.lgs 276/03. Tra di esse non ce n’è nessuna che <<attenga al
distinto problema dell’eventuale inadempimento delle obbligazioni di natura
patrimoniale derivanti dal contratto, che ben potrebbe formare oggetto di
conciliazione monocratica anche nel caso di rapporto certificato>>39. Detto
questo il Ministero è invece di parere opposto visto che (cit. circolare Min. lav. n.
37
È chiaro che per quel che riguarda la valutazione degli elementi pratici e concreti del singolo
caso nulla può la legge, sarà compito del Ministero attivare programmi di formazione per gli
ispettori atti a far raggiungere agli stessi un livello di professionalità adeguato a svolgere questo, e
non solo questo, nuovo compito.
38
Al fine di ridurre il contenzioso in materia di qualificazione dei contratti di lavoro intermittente,
ripartito, a tempo parziale e a progetto di cui al presente decreto, nonché dei contratti di
associazione in partecipazione di cui agli articoli 2549-2554 del codice civile, le parti possono
ottenere la certificazione del contratto secondo la procedura volontaria stabilita nel presente
Titolo.
39
Circolare Confindustria n. 18107 del 2004.
20
24/2004) <<nel caso….non è possibile procedere mediante conciliazione
monocratica, in quanto…..chi intende presentare ricorso giurisdizionale contro la
certificazione
deve
preventivamente
rivolgersi
obbligatoriamente
alla
commissione di certificazione per espletare un tentativo di conciliazione ai sensi
dell’art. 410 c.p.c.40>>
Dopodichè da ultimo va chiarito che, in seguito ad una serie di discussioni sorte in
merito, le questioni qualificatorie del contratto di lavoro sono escluse dall’ambito
di applicazione della conciliazione; non è compito, e non ne ha legittimazione,
dell’ispettore risolvere problemi in via conciliativa attinenti alla classificazione
del tipo di rapporto di lavoro, in questi casi è sempre necessario l’intervento
giurisdizionale (a prescindere dal fatto che comunque l’ente previdenziale
potrebbe raggiungere un risultato almeno soddisfacente anche se fosse l’ispettore
a qualificare il rapporto di lavoro per via della velocità del procedimento
conciliativo, che consentirebbe un più veloce recupero contributivo).
In riferimento al soggetto che ai sensi del primo comma è chiamato ad operare il
tentativo di conciliazione va sottolineato che il funzionario, che può avere anche
qualifica ispettiva, non opera, durante l’espletamento di tale tentativo, quale
ufficiale di polizia giudiziaria; tale qualifica è infatti ricoperta solamente durante
l’espletamento dell’attività di vigilanza, e non potrebbe essere altrimenti, essendo
l’istituto volto proprio a ricercare soluzioni alternative alla mera repressione
ispettiva. Non è pensabile un successo della conciliazione monocratica se non in
seguito al superamento della naturale diffidenza dei datori avverso gli ispettori,
diffidenza superabile attribuendo a questi ultimi la sola qualifica di funzionario
amministrativo con il compito di mediare la controversia in atto e non già quella
di ufficiale di polizia giudiziaria che, approfittando delle informazioni di cui viene
a conoscenza durante l’accordo, sia pronto a rilevare infrazioni di altro tipo.
Il funzionario incaricato sarà verosimilmente scelto dal dirigente della direzione
provinciale, tenuto conto che servono particolari attitudini per riuscire a proporre
40
Per la tutela dei propri diritti e prima di adire l’Autorità giudiziaria, il lavoratore è tenuto
obbligatoriamente ad attivare il tentativo di conciliazione; è quanto impone l’art. 410 c.p.c., il tutto
tramite l’associazione sindacale cui si aderisce aper tutti coloro che intendano promuovere in
giudizio una domanda relativa ai rapporti di lavoro previsti dall’art. 409 (rapporti di lavoro
subordinato privato soprattutto) e che non ritengano di avvalersi delle procedure di conciliazione
previste dai contratti e accordi collettivi.
21
un valido accordo tra due parti storicamente agli antipodi come il datore ed il
lavoratore41. Accordo che probabilmente dovrà contenere delle reciproche
concessioni, serve quindi che l’ispettore abbandoni, in determinati casi, l’ottica
protezionistica verso il lavoratore e magari spinga affinché questo rinunci a
qualcosa per la buona riuscita dell’accordo. Con questo non si vuole
assolutamente sostenere che il funzionario debba convincere il lavoratore ad
accettare delle violazioni dei propri diritti, ma solamente che serve una duttilità
professionale significativa per affrontare questo nuovo compito.
2.2. La conciliazione contestuale
L’ultimo comma dell’art. 11 d. lgs. n. 124/2004 prevede la possibilità di una
conciliazione cosiddetta contestuale, nel senso che il tentativo può essere esperito
in sede di visita ispettiva, sempre se la conciliazione viene ritenuta possibile.
Il concetto di base è lo stesso della conciliazione preventiva, così come restano
validi i chiarimenti fatti sopra. Un possibile dubbio poteva sorgere considerando il
caso in cui in seguito ad una richiesta fatta alla direzione provinciale, non si fosse
ravvisata la possibilità di una conciliazione preventiva (per mancanza delle
condizioni di cui sopra) e si fosse quindi proceduto con regolare ispezione.
Ebbene ci si può chiedere se in questo caso la conciliazione contestuale sia ancora
utilizzabile, da che l’ispezione consegue ad un mancato accordo preventivo. La
circolare ministeriale n. 24/2004 ha chiarito la questione dando risposta negativa
al quesito; sebbene ad una prima analisi pare che non possa essere altrimenti, ad
una più approfondita disamina si può contestare l’impostazione sostenendo che
non si vede motivo per cui in sede di ispezione42 non possano emergere successivi
elementi tali da far mutare le condizioni iniziali e rendere fattibile una
conciliazione, che sarebbe a questo punto di tipo “contestuale”43. Tuttavia il
ministero ha esplicitamente provveduto a fornire l’indicazione di come operare in
casi simili, ed a tali indicazioni ci si deve attenere.
Nel momento in cui il funzionario individua i presupposti per avviare un tentativo
di conciliazione, lo comunica alla direzione che si preoccuperà di individuare un
soggetto che espleterà tale tentativo. Il soggetto potrebbe essere l’ispettore stesso,
41
Da qui la necessità di ricordare ancora una volta il bisogno di formare adeguatamente il
personale ispettivo.
42
Anche se successiva ad una valutazione che non ha evidenziato possibilità conciliative.
43
Massi E., “Le conciliazioni presso le direzioni provinciali del lavoro”, www.dplmo.it, 2005.
22
nel qual caso le probabilità di riuscita saranno sicuramente buone; restano valide
le perplessità mosse circa il conflitto di interesse che potrebbe nascere44. Il fatto
che nell’ultimo comma si richieda <<il consenso delle parti>> fa presupporre che
il datore sia a conoscenza di quale sia la controparte la cui fattispecie conciliativa
si riferisce giacché non è pensabile ottenere il consenso senza sapere quale sia
l’interlocutore. Infine l’ultimo chiarimento sottende ad evidenziare come nella
conciliazione contestuale manchi l’elemento discrezionale in mano alla Direzione
provinciale, ravvisabile invece nella conciliazione preventiva, e d’altra parte una
volta che l’ispettore ha rilevato la possibilità di accordo ed ha ottenuto il consenso
delle parti nessun tipo di discrezionalità sarà più prospettabile.
2.2.1. La procedura
Non è stata prevista alcuna procedura particolare per svolgere il tentativo di
conciliazione, ma al Co. 2, art. 11, d. lgs. n. 124/2004, si consente alle parti
convocate <<di farsi assistere anche da associazioni o organizzazioni sindacali
ovvero da professionisti cui abbiano conferito specifico mandato>>. Questa è
l’unica precisazione riconducibile al momento in cui la conciliazione deve essere
concretamente avviata.
È
ancora
lasciato
alla
discrezionalità
del
funzionario
stabilire
come
operativamente si svolgerà il tentativo, sul quale non grava il peso di dover
cercare l’accordo entro un termine preciso45. Si prevede solamente che il
funzionario incaricato convochi i soggetti coinvolti, datore di lavoro e lavoratore,
per una data ed ora fissata per svolgere il tentativo conciliativo.
In caso di eventuale accordo questo è immediatamente valido ed inoppugnabile,
produce tra le parti gli stessi effetti ed ha la stessa efficacia degli accordi
sottoscritti ai sensi degli art. 185, 410, 411 c.p.c. (conciliazione con il lavoratore
assistito). Contro l’accordo non è quindi più possibile proporre ricorso ed è per
questo che molto si è dibattuto circa la natura dei diritti cui si poteva fare
riferimento nel verbale finale. Il datore, per evitare l’avvio (o la continuazione)
del procedimento ispettivo, è tenuto ad adempiere all’accordo nei tempi e nei
44
Vedi parte introduttiva.
45
Sono sospesi per tutta la durata del tentativo conciliativo i termini di cui all’art. 14 legge 689/81
relativi alla contestazione e alla notificazione delle violazioni.
23
modi previsti, pagando le somme dovute e versando i contributi previdenziali46 ed
i premi assicurativi dovuti, il riferimento è naturalmente <<alle somme
concordate in sede conciliativa, in relazione al periodo riconosciuto dalle
parti>>. È ammessa la possibilità di rateizzare i pagamenti, opzione che sarà
probabilmente molto utilizzata visto che, per come è stata scritta la norma, alcune
soluzioni potranno essere molto onerose47.
Come detto ad accordo raggiunto il procedimento ispettivo si estingue, tuttavia
tale effetto è condizionato dal verificarsi di tre condizioni: il pagamento delle
somme conciliative al lavoratore, il versamento dei contributi e la verifica
dell’avvenuto pagamento dei contributi. Se invece l’accordo non si raggiunge (o
non lo si rispetta) l’ispezione riprende vigore, fermo restando l’obbligo da parte
del lavoratore di ripetere il tentativo conciliativo, ai sensi dell’art. 410 c.p.c.,
affinché possa poi procedere in giudizio.
2.3. Conclusioni ed osservazioni
Al di là di una descrizione dettagliata di tutti gli aspetti giuridici e dottrinali che
circondano un nuovo istituto, interessa qui mettere in evidenza il ruolo ed il
significato che questo assume all’interno del dettato normativo riformato.
Interessante da questo punto di vista è la “rivitalizzazione” della funzione
conciliativa rispetto ai dettati precedenti che facevano riferimento (per quel che
riguarda sempre un possibile aspetto conciliativo nella normativa ispettiva) alla
commissione conciliativa ex art. 410 c.p.c. Sono note infatti le grosse difficoltà
operative di queste commissioni, oberate di lavoro soprattutto dopo l’introduzione
del tentativo obbligatorio di conciliazione. Il nuovo istituto sembra avere le carte
in regola per incidere sulle dinamiche della lotta alle violazioni in materia di
lavoro, riducendo il carico di lavoro giudiziario e dirottando gli agenti coinvolti su
possibili accordi conciliativi, con una più rapida soluzione delle controversie e più
46
La questione relativa ai contributi previdenziali è più complessa e meriterebbe di essere
approfondita, si ricordi qui solamente che la circolare n. 24/2004 fa riferimento al rispetto dei
minimali contributivi fissati dalla legge nel caso la somma oggetto di conciliazione sia inferiore a
detti minimali.
47
Zoli C., in commento all’articolo, sostiene come il riferimento <<alle norme in vigore>>
presente nell’articolo impone il rispetto dei minimali contributivi imposti dalla legge 389/89 art. 1,
Co 1 qualora l’importo della conciliazione sia inferiore. Questo appunto rischia di rendere molto
onerose alcune soluzioni.
24
risorse da dirottare in altri campi. La rottura con il passato sta anche nella scelta
della “monocraticità” dell’organo che interviene; il sistema previsto dalla legge n.
533/1973 dove le controversie individuali di lavoro avvenivano davanti ad una
commissione provinciale di conciliazione è stato superato. Questo grazie anche
all’intervento della Corte di cassazione che in recenti pronunce48 ritiene
<<sufficiente l’intervento del singolo funzionario dell’amministrazione per
sottrarre il lavoratore dalla condizione di soggezione rispetto al datore, che rende
sospette di prevaricazione le eventuali rinunce e transazioni intervenute nel corso
del rapporto, con conseguente impugnabilità della conciliazione ai sensi dell’art.
2113 c.c.>>.
L’idea di fondo presuppone comunque una analisi della situazione dalla quale
emerga la reale possibilità di ricomposizione del conflitto, tuttavia si può pensare
che l’autorevolezza del soggetto che svolge la conciliazione, il modus operandi
poco formalizzato e la prospettiva di non dover ricorrere a controversie giudiziali
possa essere un grosso incentivo all’utilizzo di questo nuovo strumento.
La chiusura sull’argomento riguarda un ultimo spunto di riflessione emerso
durante un convegno tra consulenti del lavoro sul tema, nel quale, a detta di un
funzionario del ministero, si prospettava il ricorso alla conciliazione anche da
parte del datore. La questione è chiaramente delicata, nel caso sarà interessante
delineare (in linea teorica visto ad oggi non si sono riscontrati casi concreti) il
ruolo del consulente del lavoro in appoggio ad un datore intenzionato ad utilizzare
questo istituto.
3. La diffida accertativa per i crediti patrimoniali
Qualora nell’ambito dell’attività di vigilanza emergano inosservanze alla
disciplina contrattuale da cui scaturiscono crediti patrimoniali in favore dei
prestatori di lavoro, il personale ispettivo delle Direzioni del lavoro diffida il
datore di lavoro a corrispondere gli importi risultanti dagli accertamenti (Co 1,
art. 12, d. lgs. n. 124/2004). È questa sostanzialmente la descrizione di questo
altro nuovo istituto, disciplinato poi, in alcuni suoi aspetti operativi, negli altri
commi dell’articolo 12.
48
Corte Cassazione Sez. lav. Sentenza n. 17785 del 12 settembre 2002.
25
È un altro dei tasselli che si inseriscono nella strategia complessiva della riforma,
volta in questo caso alla semplificazione della procedura per la soddisfazione dei
crediti di lavoro, fornendo gli ispettori di nuovi poteri, con i quali intervenire
direttamente in difesa dei diritti dei lavoratori. Uno strumento amministrativo, in
mano all’organo ispettivo, diretto a soddisfare i loro diritti patrimoniali49, evitando
l’avvio di un giudizio di cognizione (che porta, come noto, un notevole
allungamento dei tempi).
3.1. Procedura
Anche qui la novità è importante perché stravolge quelli che erano i tradizionali
compiti/poteri degli ispettori accertatori; prima della riforma, in riferimento ad
eventuali somme dovute dal datore al lavoratore, il personale ispettivo doveva
limitarsi a rilevare l’infrazione/violazione sia amministrativa che, eventualmente,
penale, e procedere successivamente a recuperare i contributi previdenziali persi.
Non interveniva in nessun modo, perché non ne aveva potere, a difesa del
lavoratore che si vedeva leso il proprio diritto a ricevere il credito. Ora invece tale
potere è a disposizione dell’ispettore che può diffidare il datore a corrispondere il
credito dovuto, con un provvedimento autoritativo, che può addirittura diventare
titolo esecutivo in seguito a validazione della direzione provinciale. Proprio
questo ultimo aspetto comporta la necessità di muoversi con cautela in questo
ambito, capendo bene dove circoscriverne l’utilizzo50.
Un primo punto è stato chiarito dal ministero stesso, che con la più volte citata
circolare n. 24/2004 ha “imposto” un interpretazione per cui lo strumento di
diffida non è obbligatorio. Così come visto per la conciliazione monocratica,
l’ispettore deve anche in questo caso farsi carico di una valutazione discrezionale
di tutte le circostanze, sulla base dei risultati dell’indagine e degli elementi
49
Sorgono dubbi circa la reale volontà del legislatore di usare questo termine, in realtà pare più
appropriato interpretarlo come “crediti pecuniari” come sostiene Bolego G., in Razionalizzazione
delle funzioni ispettive in materia di previdenza sociale e di lavoro. Le nuove Leggi civili
commentate,2005.
50
Bolego G., Razionalizzazione delle funzioni ispettive in materia di previdenza sociale e di
lavoro. Le nuove Leggi civili commentate, 2005.
26
emersi51 durante la fase ispettiva. Discrezionalità che è prevalentemente tecnica,
nello stabilire se il materiale raccolto è idoneo a determinare il valore dei crediti
patrimoniali dovuti in modo preciso; si vuole escludere il caso in cui sia il
funzionario, una volta raccolti tutti gli elementi e stabilito che questi sarebbero
idonei a proporre la diffida, a decidere se procedere effettivamente a diffidare il
datore.
L’applicazione dell’istituto è rivolta alla categoria dei prestatori di lavoro, non
restringendo la tipologia contrattuale che lega il lavoratore al datore, è congruo
ritenere che sia rivolto tanto ai subordinati quanto agli autonomi (il riferimento è
per esempio alla collaborazione coordinata e continuativa a progetto, o lavoro
occasionale). Nella più ampia concezione è da intendersi anche l’individuazione
della parte passiva, il termine usato è qui quello generico di <<datore di lavoro>>.
La condizione per poter procedere è individuata nell’inosservanza della disciplina
contrattuale, locuzione che, in seguito ad un altro intervento interpretativo del
ministero, qualifica come oggetto di diffida sia i crediti che derivano da
contrattazione collettiva (ad ogni livello) che quelli che derivano da contrattazione
individuale52.
Nello specifico i crediti a cui si fa riferimento sono tutti quelli che derivano da
una mancata applicazione di un qualsiasi istituto economico pattuito
contrattualmente, che abbiano caratteristiche di liquidità, determinatezza,
esigibilità e certezza53. Qualsiasi somma che spetti al lavoratore in virtù di un
impegno preso dal datore può rientrare nell’istituto, quindi in via esemplificativa
si citano la retribuzione nel suo complesso (minimi contrattuali, scatti di anzianità,
51
La questione non è di facile soluzione come sembra. La facoltatività può essere riferita alla
acquisizione o meno dei dati utili a determinare la spettanza, per cui l’ispettore può decidere o
meno se procedere a diffidare in mancanza di alcuni elementi; oppure può essere intesa nel senso
che l’ispettore in possesso di tutti gli elementi per determinare il credito può decidere o meno se
diffidare. Si ritiene che la prima interpretazione sia più consona alla finalità della normativa.
52
Non si è seguita l’interpretazione data in seguito all’art. 7 circa i poteri degli ispettori, quando si
fa riferimento al potere di vigilare sull’applicazione dei contratti collettivi. In quel caso si ritiene
che lo scopo è di salvaguardare interessi generici, qui invece gli interessi sono particolari per cui è
ammessa la diffida per clausole singolarmente contrattate.
53
Liquido nel senso che il credito deve essere espresso in denaro, determinato e quindi definito in
modo chiaro ed inequivocabile. Esigibile e non condizionato dal verificarsi di un qualche evento
ed infine certo nel senso di essere idoneo a giustificare la diffida.
27
indennità, TFR ecc..), tutte le erogazioni pattuite come i premi per risultati o
anzianità, o ancora dei benefits non considerati nella retribuzione. L’ispettore per
poter diffidare il datore deve avere accertato l’inosservanza/e ed avere rilevato gli
elementi che gli consentano di ricostruire in modo preciso l’ammontare da
corrispondere, curandosi di fare attenzione che i requisiti appena elencati siano
soddisfatti54. È stato osservato da più parti che il termine “patrimoniale” usato
nell’art. 12 sia probabilmente una scelta lessicale infelice, laddove il legislatore
intendesse in realtà fare riferimento a crediti “pecuniari”. Attenzione che la
necessaria premessa a tutto il ragionamento fatto attorno alla corretta
individuazione dei crediti è che nel rapporto di lavoro oggetto di verifica ci sia la
presenza di un contratto; la questione è tutt’altro che banale in quanto sono di
conseguenza escluse tutte le situazioni di lavoro “nero”.55
Il risultato dell’applicazione della procedura è un provvedimento amministrativo,
contenente una statuizione che incide sui diritti sia del datore che del lavoratore.
Ha il carattere della esecutività e, in seguito ad un procedimento di
<<validazione>> effettuato dalla Direzione provinciale, della esecutorietà,
consente cioè al beneficiario del provvedimento di far rispettare quanto in esso
contenuto, superando l’opposizione posta dal soggetto colpito. La particolarità sta
nel fatto che questo provvedimento acquisisce tale caratteristica senza una
pronuncia giurisdizionale, ma perché è la legge a stabilirlo (e questo è sintomo
dell’allargamento e del cambiamento dei poteri affidati ai singoli ispettori, in
quanto è vero che è la Direzione che valida il provvedimento, ma sono pur sempre
i singoli ispettori che hanno effettuato gli accertamenti tecnici da cui derivano le
statuizioni. E comunque la direzione non è in ogni caso organo giurisdizionale
competente a rendere esecutorio un titolo)56.
La diffida accertativa (prima della validazione) viene notificata al datore cha ha, ai
sensi del secondo comma, la possibilità di promuovere, entro 30 gg, un tentativo
54
Casotti A., Gheido M.R., “Le strategie difensive del datore di lavoro”, Giuffrè editore, 2006.
55
Quindi tutte le situazioni in cui non c’è alcuna risultanza scritta dell’esistenza di un rapporto di
lavoro.
56
Vallebona A., relazione sull’ “L’accertamento amministrativo dei crediti di lavoro”,
www.csdn.it/csdn/relazioni_doc/vallebona_costa_classica_2005.doc
28
di conciliazione (monocratica)57 davanti alla Direzione provinciale cui appartiene
il funzionario. Obiettivo del datore è quello di ottenere l’inefficacia della diffida,
che in sede conciliativa non funge da parametro valutativo in quanto frutto di un
accertamento tecnico che ha bisogno, per raggiungere l’esecutorietà, di una
ulteriore validazione. Quindi non sono i dati contenuti nella diffida il termine di
paragone per raggiungere un eventuale accordo. Le caratteristiche di questa
conciliazione sono comunque diverse dalla precedente, in particolare il
procedimento non incide sul proseguo dell’attività ispettiva come accade per la
conciliazione ex art. 11, d. lgs. n. 124/2004. Resta tuttavia valida la non
impugnabilità delle rinunce come effetto del verbale di conciliazione. In questa
sede il datore ha la facoltà di discutere solamente del quantum e non sulla natura o
meno del titolo del credito, questo comporta che, in risposta ad alcuni quesiti posti
al Ministero del lavoro, non è possibile una compensazione con altri tipi di credito
che il datore vanti nei confronti del lavoratore.58
Se il datore non sfrutta la possibilità conciliativa, per scelta o per decorso del
termine di 30 gg, oppure se il tentativo fallisce, la diffida acquisisce valore di
accertamento tecnico, con efficacia di titolo esecutivo, in seguito all’emanazione
di un provvedimento della Direzione provinciale, come più volte ricordato. È un
atto di controllo sia sulla legittimità che sul merito, cioè va controllato che siano
state rispettate le procedure e la correttezza formale dell’atto, e che ci siano i
presupposti sostanziali per l’adozione dell’atto di diffida.
A questo punto la diffida validata va notificata non solo al datore ma anche al
lavoratore, soggetto beneficiario del provvedimento; tale data è infatti punto di
partenza per ulteriori fasi del procedimento. Il datore può infatti esperire ricorso al
Comitato regionale per i rapporti di lavoro59, il lavoratore invece è in possesso di
un titolo esecutivo che gli consente di procedere, se necessario, alla riscossione
coattiva del credito.
57
La conciliazione monocratica ex art. 12 è molto diversa da quella dell’art. 11. Su tutto si ricorda
che l’azione è qui di un privato e non c’è iniziativa d’ufficio, mentre dal punto di vista degli effetti
non è previsto un effetto istintivo del procedimento di ispezione come prevede invece la
conciliazione ex art. 11.
58
In sede di convegno “La disciplina delle ispezioni sul lavoro” del 27/11/2006 è stato posto il
quesito circa la possibilità di compensare i crediti vantati dal lavoratore con dei debiti, dovuti
magari a prestiti o quant’altro, in sede di conciliazione.
59
Il Comitato, ai sensi dell’art 17 del presente decreto, è costituito presso la Direzione regionale
29
Senza addentrarci nella descrizione tecnica del procedimento, si ricorda solamente
che con la proposizione di tale ricorso (che verrà deciso nel termine di 90 gg)
viene sospesa l’esecutività del titolo, il lavoratore non potrà spedire il titolo in
forma esecutiva, cioè ne procedere a esecuzione forzata ne notificare il precetto,
qualora il precetto sia già notificato devono ritenersi sospesi i termini per
l’esecuzione forzata e per l’opposizione.
3.2. Osservazioni e dubbi sull’applicazione della diffida accertativa
L’obiettivo del legislatore, in primis quello delegante, era quello di semplificare la
procedura di riscossione dei crediti da lavoro, senza per questo sovraccaricare il
sistema giudiziario che già di per se fatica ad evadere le numerose richieste (è
noto l’annoso problema dei ritardi della giustizia italiana). Per fare questo la scelta
operata è stata di affidare all’organo ispettivo, nelle veci del singolo funzionario,
il potere di emanare un atto amministrativo qualificabile come esecutivo,
“saltando” il passaggio giurisdizionale solitamente necessario per qualificare tali
atti.
A tal proposito è stato rilevato come la tutela a favore dei lavoratori sia, per certi
aspetti, troppo sbilanciata nei loro confronti60, proprio in virtù di questa nuova
tipologia di atto, che, sotto diversi profili, attenua in modo consistente il diritto di
difesa del datore di lavoro61. Questo perché egli per difendersi e portare l’atto di
diffida, resa esecutiva dalla validazione, in giudizio deve proporre “l’opposizione
all’esecuzione”62 (tutto questo sulla premessa tesi che il ricorso amministrativo
non sospenda ne l’esecutività del titolo ne i termini per proporre l’opposizione63).
60
In tal senso Bolego G., Razionalizzazione delle funzioni ispettive in materia di previdenza
sociale e di lavoro. Le nuove Leggi civili commentate,2005. Commentario sistematico al decreto n.
124, pg 970.
61
Bolego g. op. citata. In particolare si ricorda il riferimento all’impugnazione consentita davanti
ad un organo amministrativo dove vale peraltro la regola del silenzio assenso; e l’opposizione
all’esecuzione in cui il diritto di difesa è fortemente attenuato.
62
Il riferimento è ad una difesa giurisdizionale e non amministrativa che è invece garantita dal
ricorso al Comitato regionale.
63
Ci si è chiesto se la presentazione del ricorso amministrativo in seguito alla già avvenuta notifica
del precetto sospenda i termini per procedere all’esecuzione, Rausei ha dato una soluzione
positiva, in realtà molto dubbia giacché come ricorda Bolego G., “la proposizione del ricorso
gerarchico sospende l’esecutorietà del titolo esecutivo, non già dei termini per le opposizioni o per
procedere all’esecuzione”.
30
Di per sé l’opposizione non è però idonea a sospendere l’esecutività della diffida,
per cui il soggetto beneficiario ha facoltà di procedere comunque ad esecuzione
forzata. Secondo giurisprudenza infatti, la sospensione della procedura esecutiva è
possibile solo in seguito al pignoramento, o, prima del pignoramento, in seguito
alla proposizione di una domanda cautelare, in cui bisogna dimostrare l’esistenza
di <<gravi motivi>> e del <<pericolo di danni gravi ed irreparabili>> (art. 700
c.p.c.). Essendo assolutamente non agevole una dimostrazione di questo tipo, in
molti casi sul datore di lavoro penderà un atto esecutivo emanato da un’autorità
amministrativa difficilmente sospendibile.
Oltre a questo bisogna considerare che l’accertamento compiuto dall’ispettore in
sede ispettiva è di tipo tecnico, il giudice chiamato a decidere sull’eventuale
opposizione, potrebbe decidere di non procedere all’accertamento tecnico
d’ufficio per quantificare il credito, essendo di fatto questo già eseguito
dall’ispettore stesso64.
Da qui si è profilato un problema di costituzionalità, ritenendo che si violasse da
una lato il diritto di difesa del datore e dall’altro il principio di giustiziabilità degli
atti amministrativi. A prescindere dal fatto che la norma non è incostituzionale
(non per mia conclusione ma perché la Suprema Corte non l’ha dichiarata tale), le
osservazioni sollevate hanno causato notevoli perplessità tra gli addetti ai lavori
(su tutto la circolare n. 18107/2004 Confindustria).65
Tuttavia ci sono invece, a mio parere, diversi argomenti a sostegno di una critica
positiva del nuovo istituto. Innanzi tutto la necessità di semplificazione invocata
ha reso obbligatorio evitare il transito “giurisdizionale” dell’atto di diffida,
transito che avrebbe complicato l’azione ed allungato i tempi di soddisfazione dei
crediti, proprio l’aspetto che si voleva eliminare. A questo punto affidare
l’incarico accertativo all’organo ispettivo è probabilmente la scelta migliore,
avendo questo le competenze più idonee per farlo. Rendere poi esecutivo l’atto di
diffida, che deriva dall’accertamento tecnico dell’ispettore, in seguito al controllo
64
Il giudice per decide sull’opposizione potrebbe usare lo stesso accertamento, inteso qui nel senso
di valore del credito accertato, oggetto dell’opposizione stessa. Si ritiene che comunque il datore
abbia facoltà di richiedere un diverso accertamento, per non (secondo Confindustria) eliminare
completamente il già compresso diritto di difesa del datore.
65
Margiotta S. rileva inoltre come il trattamento sbilanciato sia giustificabile eventualmente in
caso di tutela di un interesse pubblico, ma in questo caso il rapporto contrattuale è di diritto privato
e dovrebbe porre entrambi i soggetti sullo stesso piano.
31
della Direzione è una precisa scelta del legislatore, che, come ricorda Rausei66, è
assolutamente legittima visto che è il c.p.c. che demanda alla fonte normativa la
facoltà di individuare quale siano gli atti dotati di tale efficacia. È l’art. 474 c.p.c.
che stabilisce quali siano i titoli da considerarsi esecutivi, ed essendo previsto al
2° comma, n. 2 che sono titoli esecutivi <<….gli altri titoli di credito e gli atti ai
quali la legge attribuisce espressamente la stessa efficacia>>, la diffida di cui
all’art 12 decreto n. 124/2004 rientra tra questi titoli a formazione cosiddetta
stragiudiziale67
D’altra parte se l’esecuzione forzata non può avere luogo che in virtù di un titolo
esecutivo per un diritto certo, liquido ed esigibile68, si può ritenere che il
legislatore, dando all’amministrazione la possibilità di emanare un atto di questo
tipo, presupponga che i crediti “coinvolti” siano quelli che prima dell’intervento
ispettivo siano liquidi ed esigibili, e che sia compito dell’ispettore constatarne la
certezza. Questo a sostegno ancora dell’ipotesi che i crediti diffidabili non sono
quelli
soggetti
a
valutazioni
complesse.
Pensiamo
per
esempio
alla
riqualificazione del rapporto di lavoro da autonomo a subordinato, o crediti
derivanti da licenziamento illegittimo o ad altri di simili caratteristiche; non è
immaginabile che crediti di questo tipo siano diffidabili in quanto l’accertamento
su cui si fonda la diffida potrebbe essere modificato in seguito ad un ricorso
esperibile contro i generici accertamenti fatti dall’organo di vigilanza. Quindi,
seguendo anche l’interpretazione del ministero (circolare n. 24/04) l’ispettore
procederà alla diffida solo nel caso in cui sia in possesso di elementi certi,
obiettivi ed idonei che consentano facilmente di pervenire alla determinazione
delle spettanze patrimoniali dovute al lavoratore. Altrimenti, ottenuto il consenso
delle parti, procederà a conciliazione monocratica, ex art. 11.
Un’ultima questione di possibile incostituzionalità sollevata si riferisce al
momento conciliativo concesso al datore. Il datore ed il lavoratore hanno la
possibilità di raggiungere un accordo, vincolante, sull’ammontare del credito
dovuto, che sarà, con molte probabilità, diverso da quello per cui l’ispettore ha
66
Rausei P.,”La riforma dei servizi ispettivi”, DPL n. 30/2004; “La nuova ispezione in azienda”,
DPL serie Oro, n. 4 del 2004.
67
Mondelli
M.,
“La
diffida accertativa: una lettura
costituzionalmente
orientata”,
www.dplmodena.it/diffida_accertativa.pdf.
68
Art. 474, comma 1, c.p.c.
32
diffidato il datore (altrimenti non ci sarebbe motivo di ricorrere all’alternativa
della conciliazione). Questo significa che i soggetti privati, possono far perdere
efficacia all’atto emesso dall’amministrazione, incidendo sull’ammontare delle
somme dovute al lavoratore e, conseguentemente, sull’ammontare dei contributi
non versati. Tuttavia, essendo legislativamente prevista l’indisponibilità dei
contributi, è necessario interpretare la norma69 nel senso che sotto il profilo
contributivo e assicurativo i versamenti non possono essere inferiori all’importo
retributivo previsto per legge (L. n. 389/1989). Si evita in questo modo che datore
e lavoratore sfruttino la possibilità conciliative previste dal secondo comma con
l’intento di incidere sull’ammontare contributivo da versare70.
In virtù delle considerazioni fatte ritengo infine che si sia sicuramente scelto di
sacrificare la posizione del datore a favore di una procedura che realmente
garantisse la rapida soddisfazione dei crediti dei lavoratori, con buona pace del
datore che ha in altri istituti del decreto condizioni più favorevoli rispetto al
passato71. Sia chiaro che non si vuole sostenere che il legislatore con
l’introduzione del nuovo istituto intendesse bilanciare gli interventi a favore
dell’una e dell’altra parte per appagare tutti, solamente sostengo che in relazione
agli obiettivi della legge delega (di tutta la legge delega e non solamente della
parte interessata da questo articolo) la soluzione adottata pare adatta, anche se
sfavorevole ad una fazione. D’altra parte l’intervento del Ministero stesso, volto a
circoscrivere i contorni della diffida accertativa attraverso circolari interpretative,
pare proprio pilotato dalla consapevolezza delle perplessità sollevate all’indomani
dell’emanazione del decreto lgs. n. 124/2004, e pare rispondere a dette perplessità
cercando di imporre una certa cautela nell’utilizzo dello strumento. La
conseguenza innegabile è che comunque l’interpretazione restrittiva che ne deriva
attenua e sopisce, almeno in parte, le critiche mosse, anche da confindustria.
Probabilmente il metodo non è inappuntabile72, tuttavia l’effetto, a mio avviso,
69
Così come ha provveduto a fare il Ministero bella circolare n. 24/2004.
70
Bolego G., op citata; Rausei “ La riforma dei servizi ispettivi”, Diritto e pratica lavoro, n.
30/2004.
71
Mi riferisco a tutte le attività di prevenzione e promozione e ai possibili tentativi di
conciliazione che consentono al datore di lavoro di evitare un intervento repressivo o di
posticiparlo.
72
Si auspica sempre una maggiore chiarezza e precisione in sede legislativa piuttosto che dover
ricorrere a successive interpretazioni riparatore.
33
ottenuto è che il paventato pericolo di una soggezione del datore di lavoro rispetto
all’istituto della diffida pare quindi essere eccessivo, constatato ancora una volta
che in ogni caso la posizione del datore ne esce in questo caso sicuramente
indebolita.
4. Il potere di diffida obbligatoria
La diffida a regolarizzare gli inadempimenti degli obblighi in materia di lavoro e
legislazione sociale è uno dei poteri degli ispettori del lavoro ed in quanto tale è
fisicamente collocato nel decreto al capo III del decreto, rubricato proprio “Poteri
del personale ispettivo delle direzioni del lavoro”.
Sia la diffida che la prescrizione, che esaminerò dopo, possono essere considerati
indifferentemente come degli istituti
oppure come dei poteri in mano agli
ispettori, in giurisprudenza ed in dottrina vengono infatti utilizzati entrambi i
termini identificativi. Indipendentemente da questo siamo qui di fronte a due
strumenti già presenti nell’ordinamento italiano, esenti dal carattere di assoluta
novità che ha caratterizzato invece quanto esaminato finora. Il legislatore
delegante aveva però espressamente richiesto che i due istituiti venissero
riscritti73, e così è stato fatto, almeno per la diffida obbligatoria, nell’articolo 13
del decreto lgs. n. 124 del 2004. Al fine di individuarne meglio le peculiarità, è
interessante però partire con l’analisi dalla normativa in vigore dal 1955 per capire
quali fossero gli strumenti ispettivi in mano agli ispettori prima della riforma, e
verificare cosa è cambiato (negativamente o positivamente) dal 2004.
4.1. L’evoluzione storica del potere di diffida
La diffida non rappresenta una novità nel sistema legislativo lavoristico italiano, è
uno strumento presente sin dal 1913 (data del primo regio decreto che la
introduce, n. 431) e disciplinato poi in modo compiuto con il D.P.R. n. 522 del
1955, che nel disciplinare in modo organico i servizi ispettivi lo annoverava tra i
possibili poteri del personale stesso.
All’art. 9 del D.P.R. n. 522/1955 infatti si diceva che <<in caso di constatata
inosservanza delle norme di legge, la cui applicazione è affidata alla vigilanza
dell’Ispettorato, questo ha la facoltà, ove lo ritenga opportuno e valutate le
73
Art. 8, c), legge n. 30 del 2003.
34
circostanze del caso, di diffidare con apposita prescrizione il datore di lavoro
fissando un termine per la regolarizzazione>>. Gli spunti di riflessione su questa
disposizione non sono mancati, così come non sono mancati interventi della corte
di cassazione a chiarimento di alcuni punti controversi e dibattuti. Per
comprendere meglio la portata della problematica sono però necessarie alcune
precisazioni preliminari.
Il codice di procedura penale all’articolo n. 39 stabilisce che la distinzione
all’interno del campo dei reati avviene sulla base della diversa specie di pene
previste per la violazione, ed in particolare la distinzione riguarda i delitti dalle
contravvenzioni. Quindi secondo quanto previsto dal codice (e da altre leggi
specifiche e speciali) si classificano come delitti i reati puniti con la pena
dell’ergastolo, della reclusione e della multa; sono invece contravvenzioni i reati
puniti con l’arresto e con l’ammenda74. Nel mondo del lavoro la maggior parte dei
reati sono considerati contravvenzioni, ed hanno come pena una ammenda; ci
sono tuttavia dei casi di particolare gravità per i quali è prevista una pena
alternativa tra arresto ed ammenda, oppure congiunta. Resta chiaro che le ipotesi
di reato più gravi sono invece punite con multe e reclusioni e pertanto qualificabili
come delitti. Le ipotesi di reato sono però, nel nostro sistema, dei casi che si
possono considerare residuali; in virtù dell’applicazione della legge n. 689/1981 si
è proceduto alla cosiddetta depenalizzazione dei reati minori, che ha trasformato
buona parte dei reati punibili con ammenda (reati-contravvenzione quindi) in
illeciti amministrativi. Ecco che a completare il sistema degli illeciti rilevabili in
materia di lavoro, agli illeciti penali si affiancano gli illeciti amministrativi. La
distinzione e la premessa appena esposte sono utili a capire il problema di fondo
che caratterizzava la diffida nella legislazione del 1955, con riguardo, nello
specifico, all’eccezione del principio costituzionale dell’obbligatorietà dell’azione
penale. Con l’entrata in vigore della Costituzione (l’art. 112 in questo caso è
quello che interessa) e la successiva approvazione del D.P.R. n. 520/1955 sono
state avanzate alcune tesi in ordine agli effetti e all’utilizzo della diffida ex art. 9.
Sulla premessa che in molti ritenevano la diffida in grado di operare solamente in
ambito penale, si sosteneva che la disposizione costituzionale dell’ufficialità e
74
Margotta S.,”Ispezioni in materia di lavoro”, IPSOA, 2005.
35
obbligatorietà dell’azione penale75 potesse essere derogata solamente in casi
previsti espressamente dalla legge; ciò escludeva che la diffida potesse incidere
sull’esercizio dell’azione penale, esperibile comunque, ed escludeva la possibilità
di accordare al datore una sorta di deroga a delle disposizioni di legge penalmente
rilevanti. Diretta conseguenza di questa impostazione è che l’ispettore avrebbe
dovuto comunicare la notizia del rato al P.M., a prescindere dal fatto che avesse
ritenuto di diffidare il datore in seguito alle valutazioni sulle circostanze del caso.
Non era insomma considerato ammissibile che ci fosse estinzione del reato in
seguito a diffida. La tesi contrapposta invece prevedeva che la procedibilità
dell’azione penale fosse in qualche modo condizionata dall’inottemperanza alla
diffida76. Seguendo la prima impostazione infatti, l’istituto sarebbe stato di scarso
aiuto, diventando solamente elemento di valutazione positiva nei confronti del
trasgressore in sede di quantificazione della pena77. In questa seconda tesi quindi
non si sarebbe dovuto procedere a comunicare il reato all’autorità giudiziaria
fintantoché il datore non avesse lasciato spirare il termine per ottemperare, né era
esperibile l’azione penale. L’organo ispettivo, nelle veci del funzionario di turno,
utilizzava di fatto la diffida come strumento alternativo alla comunicazione
all’organo giudiziario del reato.
Un primo (rilevante) tentativo di sanare il contrasto è rinvenibile nella sentenza
della Corte Costituzionale n. 105/1967, che ha sostanzialmente validato l’art. 9,
rigettando la questione di illegittimità costituzionale dell’interpretazione della
diffida secondo cui il suo esercizio escludeva l’obbligo di inoltrare rapporto
all’autorità giudiziaria.78 Tuttavia il contrasto non era ancora sanato in virtù dei
75
Costituzione della Repubblica italiana, art. 112, <<Il pubblico ministero ha l’obbligo di
esercitare l’azione penale>>, c.p.p art 50.
76
Margotta S., “Ispezioni in materia di lavoro”, IPSOA, 2005.
77
Margiotta S., Ispezioni in materia di lavoro, 2005. L’art. 113 del codice penale stabilisce che la
pena deve essere quantificata tenendo conto anche del comportamento del reo, di conseguenza
questa seconda tesi esposta sostiene che, di fatto, diffidare il datore e procedere comunque
penalmente (come paventato dai sostenitori della prima tesi) fosse utile solamente a valutare il
comportamento del datore stesso, che in caso di ottemperanza potrebbe avere goduto di una
maggiore clemenze dal parte del giudice.
78
Nel 1967 si sostenne che <<l’ispettore è ufficiale di polizia giudiziaria ma è in primo luogo
organo di vigilanza sulla legislazione sociale, quindi la facoltà riconosciutagli di ordinare al
datore che non ottempera ad obblighi di legge di procedere, entro un certo termine, alla
36
dubbi che comunque restavano da fugare, nel frattempo a modificare le cose
intervenne la depenalizzazione citata prima che limitò il problema diminuendo il
numero dei reati penali in materia di lavoro.
Significativa è invece la sentenza delle Sezioni Unite Penali della Corte di
Cassazione n. 1228 del 1993 che mise fine alla querelle. Si è affermato in questa
pronuncia che << l’esercizio dell’azione penale può essere sospeso o interrotto
soltanto nei casi previsti dalla legge, e nel caso citato del potere di diffida questa
previsione manca>>, non può essere quindi sospesa l’azione penale in virtù
dell’emanazione di un atto di diffida.79
Per concludere il discorso si sottolinea innanzi tutto che, parimenti alla tesi che
accorda ai soli illeciti penali l’ambito di applicazione della diffida, anche per gli
illeciti amministrativi nessun dubbio è sollevabile circa l’applicabilità dell’istituto,
visto il silenzio della norma in merito ed al parere del Consiglio di Stato che già
nel 1983 ha rilevato che <<non vi sono elementi per sostenere che il legislatore ha
inteso riferirsi solo alle norme di leggi contenenti sanzioni penali; al contrario,
volendo interpretare restrittivamente la disposizione, parrebbe apparire più
sostenibile (in base al principio dell’obbligatorietà dell’azione penale) la tesi che
l’art. 9 riguarda solo le violazioni punite con sanzione diversa da quella penale.
Ma un’interpretazione del genere contrasta con una prassi ormai pluridecennale
e fondamentalmente non contestata sotto il profilo della corfomità della
norma….;sicché non può più essere revocata in dubbio o, quanto meno, non è
questo il problema che pone il ministero che da per scontata l’applicabilità
dell’art. 9 alle violazioni sanzionate penalmente>>80 . Nel corso degli anni
l’attenzione è stata rivolta soprattutto all’aspetto penale perché per le violazioni di
quel tipo era chiaro che lo scopo non fosse quello di punire, ma di fare in modo
che le violazioni, dannose per i lavoratori (basti pensare alla materia degli
infortuni sul lavoro), cessassero e si riconducesse in sicurezza e a legalità il
regolarizzazione, non viola il principio secondo art. 112 costituzione perché i due obblighi si
muovono in campi diversi>>.
79
La sentenza stabiliva che <<la diffida consiste in un formale avvertimento a rimuovere le
situazioni pregiudizievoli riscontrate, che esaurisce i suoi effetti sul piano amministrativo e che
non influisce sulla procedibilità o sulla punibilità del reato già commesso, mancando una
previsione espressa…….>>.
80
Con tale parere il Consiglio di stato ha voluto ribadire l’applicabilità della diffida per illeciti
puramente amministrativi.
37
rapporto di lavoro. In ogni caso, a scanso di equivoci, il potere di diffida è sempre
stato applicabile agli illeciti amministrativi, e comunque la riformulazione
secondo art. 13 del decreto lgs. n. 124 del 2004 lo prevede ora espressamente.
A seguito dell’orientamento assunto nel corso degli anni, l’operatività della
diffida è andata attenuandosi fino a venire quasi meno, sia perché l’istituto
avrebbe avuto significatività se utilizzabile in alternativa al provvedimento
sanzionatorio (che resta applicato restando valido l’obbligo di comunicazione
all’autorità giudiziaria), sia perché in seguito al processo di depenalizzazione gli
illeciti penali sono considerevolmente diminuiti. L’utilizzo restava quindi
confinato all’ambito amministrativo. A seguito della pronuncia della Suprema
Corte di Cassazione il Ministero del lavoro con una circolare (n. 73 del
27.07.1993) affermò che <<la sentenza, nel sancire il principio della non
alternatività della diffida all’obbligo della comunicazione al P.M. della notizia di
reato ai sensi degli artt. 331 e 347 c.p.p., ha di fatto svuotato di significato il testo
dell’art. 9, D.P.R. n. 520/1955, almeno secondo l’interpretazione che aveva
finora caratterizzato i comportamenti ispettivi…..omissis…>>. Invero bisogna
ricordare ancora una volta che la diffida ha comunque avuto il suo peso visto che
la sentenza che ne ha “svuotato il significato”, come sottolinea il Ministero, è
arrivata nel 1993, quando la cosiddetta stagione delle depenalizzazioni aveva, per
così dire, risolto il problema alla fonte, eliminando molte infrazioni dal novero dei
reati. Per chi sosteneva che la diffida operava solo in questo campo di fatto il
problema non sussisteva quasi più dalla legge n. 689/1981. Di contro per chi
invece ne ribadiva l’applicabilità anche in campo amministrativo la questione si
poneva in modo solamente marginale.
4.2. La nuova diffida secondo l’art. 13, d. lgs n. 124/2004
Ricollegandomi a quanto detto finora, il punto centrale, e di rottura con il passato,
della nuova diffida è rappresentato sicuramente dall’abbandono esplicito
dell’ambito di applicazione degli illeciti penali. Evitando di far rivivere la passate
diatribe, la riforma ha espressamente previsto l’utilizzo della diffida solamente nel
caso in cui, in sede di ispezione, l’ispettore venga a constatare l’inosservanza di
norme in materia di lavoro e legislazione sociale per cui la legge ricollega
sanzioni amministrative. In questo caso si provvede <<a diffidare il datore di
lavoro alla regolarizzazione delle inosservanze comunque sanabili, fissando il
38
relativo termine>>. Dal primo comma dell’articolo appena riportato, emerge
inequivocabilmente che le due condizioni base affinché si possa ricorrere
all’utilizzo dell’istituto della diffida sono che l’illecito sia amministrativo e che la
inadempienza sia sanabile. Naturalmente gli obblighi a cui si fa riferimento sono
degli obblighi preesistenti, a cui il destinatario non ha provveduto ad adempiere.
Se il datore provvede ad ottemperare alla diffida, si apre per lui un regime
agevolato nel quale si prevede l’estinzione del procedimento sanzionatorio tramite
pagamento di una sanzione “vantaggiosa”, pari al minimo fissato dalla legge
oppure ad un quarto dell’importo stabilito dalla legge stessa81. L’altro aspetto
posto a vantaggio del datore è che fino a scadenza del termine stabilito per
ottemperare, sono sospesi i termini di cui all’art. 14 della legge n. 689/1981, per la
comunicazione dell’illecito all’autorità competente. Per cui il soggetto che riceve
la diffida può scegliere se ottemperare e pagare la cifra stabilita dal secondo
comma, oppure ignorare l’atto ed in questo caso il procedimento ispettivo
continuerà a fare il suo corso. Dalla descrizione di quanto contenuto nella norma
si capisce come la riforma ha inteso dare un carattere di stabilità alla diffida, nel
senso di evitare che ci potesse essere troppa discrezionalità in mano agli ispettori.
Qui l’organo di vigilanza deve limitarsi a constatare l’inadempienza, valutare se è
possibile sanarla con un comportamento tardivo in un termine accettabile, e
procedere a diffidare il datore di lavoro82. Visto le problematiche sollevate dalla
formulazione del 1955 (e seguenti interventi giurisprudenziali), sembra che
questa, per entrambe le parti coinvolte nell’attività ispettiva, fosse l’unica
soluzione percorribile.83
Al fine di evitare errate interpretazioni e chiarire alcuni dubbi sollevati in seguito
all’approvazione del decreto, il Ministero del lavoro ha da poco emanato una
81
Il pagamento del minimo verrà effettuato nel caso in cui la legge preveda una sanzione il cui
importo è compreso tra un massimo ed un minimo, mentre il pagamento di ¼ della somma avverrà
nel caso di sanzioni stabilite in misura fissa.
82
Mangione M., Mangione N., Michienzi P., “Le ispezioni in materia di lavoro, previdenza e
fisco”, Esperta edizioni, 2006; Bussino T., “I poteri del personale ispettivo: un quadro d’insieme”
in op. citata a cura di Monticelli C.L. e Tiraboschi M.
83
Il riferimento è ai diversi commenti all’art. 13 dai quali emerge come, sia da parte di funzionari
del welfare (Dott. Pennesi su tutti) sia da parte datoriale, tutti sia concordi nel ritenere la nuova
formulazione come l’unica possibile per evitare di ritornare alle vecchie problematiche
interpretative.
39
circolare84 nella quale si specifica il carattere di obbligatorietà che caratterizza
l’istituto della diffida. Questo significa che la stessa costituisce condizione di
procedibilità per una successiva azione sanzionatoria relativamente agli illeciti
amministrativi rilevati; i provvedimenti riferibili a questo tipo di illeciti emanati
senza preventiva diffida sono viziati dal punto di vista procedimentale, con
conseguenze sulla legittimità del provvedimento stesso. Per lo stesso motivo è
impugnabile il rifiuto di impartire la diffida da parte del personale ispettivo.
Se questa è una sommaria descrizione dell’istituto, ci sono però alcune punti che
vanno meglio specificati per indagare in modo più approfondito le peculiarità
dello strumento di diffida al fine, anche, di chiarire alcuni dubbi.
a) La sanabilità degli illeciti amministrativi
Il ministero del lavoro si è preoccupato sin da subito di adottare una precisa
posizione in merito alla questione di quali possano essere considerate delle
violazioni sanabili, stabilendo dei parametri di riferimento per la valutazione.
Innanzi tutto rientrano nella categoria le violazioni di tipo omissivo istantaneo, ad
effetto permanente. Con questa locuzione il Welfare identifica le ipotesi di illecito
amministrativo che riguardano inadempimenti (totali o parziali) che possono
essere ancora realizzati. Sono cioè delle inosservanze che si “consumano” in
modo istantaneo, con effetti che perdurano nel tempo, proprio per tutto il tempo
per cui il datore non procede a regolarizzare la sua posizione. Vengono
considerate sanabili, in seguito sempre a specifica disposizione del Ministero,
anche quelle violazioni per cui la legge stabiliva un termine entro cui adempiere,
volendo così porre in primo piano la necessità che la posizione del trasgressore
venga risanata piuttosto che la volontà di punire pecuniariamente il datore85
(rientrano in queste situazioni le mancate registrazioni, a diverso titolo, che
dovrebbero essere fatte sul libro paga).
84
Circolare Ministero del lavoro n. 9 del 23/03/2006, “Chiarimenti ed indicazioni operative”
sull’art. 13 del decreto legislativo n. 124 del 2004.
85
Seguendo lo “spirito” di fondo del Libro Bianco sul lavoro, si preferisce porre rimedio
all’illecito per garantire la posizione del lavoratore piuttosto che cercare di ricavare il più possibile
dalle sanzioni (la sanzione se si ottempera è come detto notevolmente agevolata rispetto a quella
prevista dalla legge).
40
Sono invece escluse dalla diffida le violazioni che derivano da comportamento
cosiddetto “commissivo”, cioè violazioni che derivano da un comportamento del
datore di lavoro che trasgredisce ad un divieto legalmente costituito, agendo
quindi in modo antigiuridico (compilazione infedele dei modelli Cud). In generale
non sono ritenute sanabili tutte le violazioni, anche se di natura omissiva, che
tutelano un interesse sostanziale del lavoratore, che non è in nessun modo
recuperabile con un comportamento successivo alla violazione; o perché il danno
causato dall’omissione è compiuto definitivamente, o perché sono tutelati, per
esempio, aspetti quali l’integrità psico-fisica del lavoratore (violazione del limite
del monte ore settimanale). È chiaro che la definizione di questa particolare
condizione gioca un ruolo fondamentale nell’applicazione dell’istituto, in quanto
influenzerà sia il campo di applicazione (più o meno vasto), ma soprattutto
determinerà l’effetto di adesione all’istituto da parte dei datori trasgressori86
La circolare ministeriale n. 24/2004 sottolinea che è possibile emanare una diffida
anche nei casi in cui il datore abbia autonomamente provveduto a sanare la
violazione; attuando la cosiddetta diffida ora per allora, nel senso che il
contravventore
che
abbia
ottemperato
al
precetto
normativo
prima
dell’emanazione della diffida può essere comunque ammesso al pagamento della
sanzione ridotta.
b) I soggetti passivi
La norma in questione, da un punto di vista letterale, fa riferimento al datore di
lavoro. Occorre però chiarire se il soggetto diffidabile sia solamente il datore di
lavoro in ogni caso, oppure possa essere il trasgressore materiale della norma; i
due soggetti potrebbero (ed i molti casi è così) non coincidere. È opportuno
ritenere che nella formulazione dell’art. 13 d. lgs. n. 124/2004 il legislatore abbia
inteso individuare nel “datore di lavoro” quale soggetto destinatario della diffida,
un soggetto individuabile in modo esteso e non circoscrivibile al preciso
responsabile della trasgressione. Si può ritenere accettabile questa impostazione
perché l’ispettore chiamato a diffidare non deve, in questa sede, badare ad
individuare chi ha compiuto l’illecito al fine di determinarne eventuale dolo, colpa
o altro; ma si deve preoccupare di indicare in modo generico un datore (anche la
società stessa quindi)
86
in modo
che, chi di dovere, ponga rimedio
Margiotta S., op. citata; Casotti A. Gheido M.R., op. citata.
41
all’inadempienza. Coerentemente con questo si ritiene che non siano applicabili
gli articoli della legge 689/1981 che fanno riferimento alla solidarietà del
pagamento della sanzione, alla trasmissione agli eredi e al concorso di persone.
Solamente in caso di mancata ottemperanza si procederà alla individuazione del
soggetto colpevole e torneranno a “vivere” le consuete previsioni legislative
relative agli illeciti amministrativi.
c) I termini per l’ottemperanza
Alla scadenza del termine assegnato dall’ispettore, si procede a verificare che il
datore abbia provveduto ad ottemperare alla diffida, ripristinando la situazione di
legalità. A verifica compiuta si potrà ammettere il trasgressore al pagamento della
sanzione agevolata prima descritta, da effettuarsi anche questo entro un termine
stabilito dall’ispettore, termine che fa riferimento al momento in cui si dimostra di
avere effettuato il pagamento. È opinione comune ritenere che, in virtù del regime
agevolato di cui gode il datore diffidato (in termini di ammontare della sanzione),
il termine debba essere a breve scadenza (10 o 15 gg); si crea sostanzialmente un
rapporto di favore per cui il datore è meritorio di usufruire dell’agevolazione in
quanto provvede celermente a risanare la situazione illegittima.
d) Finalità della diffida ad adempiere
Lo scopo della diffida è sicuramente diverso da quello della sanzione altrimenti
combinata per l’inadempienza rilevata. In questo ultimo caso infatti, la
“punizione” a carico del datore, non mira a recuperare la situazione compromessa
rispetto all’originale previsione normativa; il fatto che una somma di denaro
venga versata a titolo sanzionatorio non garantisce che gli effetti previsti dalla
norma per salvaguardare gli interessi del lavoratore siano raggiunti, anzi, il più
delle volte ciò non accadrà. L’ottica della diffida è invece proprio quella di
ristabilire la situazione giuridica corretta che è stata violata, punta a modificare il
comportamento posto in essere per ritornare entro i binari stabiliti originariamente
dalla legge al fine primo di tutelare l’interesse del destinatario della normativa
stessa. Non si può ritenere che la diffida sia quindi un atto preparatorio alla
sanzione perché le finalità sono diverse, c’è la volontà qui di fare in modo che un
comportamento venga posto in essere (anche in ritardo rispetto ai termini
42
originali) per tutelare la posizione del prestatore di lavoro87. Da un punto di vista
più pratico si può anche scorgere la volontà di una soluzione compositiva del
conflitto che eviti l’attivazione del meccanismo della L. n. 689/1981, troppo
burocratico e poco celere.
Tutto questo è ancora una volta in linea con l’ampia riflessione fatta all’inizio
circa il leit motiv della riforma, finalizzata non solamente reprimere ma a cercare
un punto di contatto e di collaborazione tra ispettore e datore di lavoro; la diffida
si prefigura proprio come un atto che dovrebbe spingere il destinatario alla
collaborazione ed evitare la successiva fase repressiva.
In ultima analisi restano da analizzare ancora due questioni. Visto quanto detto
finora ci si è più volte chiesti se fosse possibile proporre ricorso al Comitato
regionale per i rapporti di lavoro ex art. 17 del decreto in esame avverso la diffida
emanata dall’ispettore. Il Ministero ha chiarito88 che la diffida obbligatoria non
rientra tra gli atti contro cui è possibile proporre ricorso al Comitato ex art. 17, in
quanto la diffida è “un atto avente una finalità compositiva dell'ordine giuridico
violato, che non è rivolto peraltro necessariamente al trasgressore bensì al
"datore di lavoro" (anche persona giuridica), e che non è immediatamente lesivo
in quanto all'inottemperanza della diffida consegue comunque la contestazione
della violazione al trasgressore, questa sì oggetto di ricorso ex art. 17”. L’atto di
diffida non è quindi considerato lesivo della sfera giuridica del soggetto che la
riceve, tanto che l’ottemperanza non viene considerata come un’ammissione di
colpa, di conseguenza il ricorso non è presentabile.89
L’altro punto riguarda la necessaria citazione del quarto comma dell’articolo 13, il
quale fa specifico e preciso riferimento alla possibilità di utilizzo dell’istituto della
diffida anche da parte degli enti previdenziali. La condizione di procedibilità è che
87
Caputo L, “Diffida obbligatoria ed illeciti amministrativi in materia di sicurezza del lavoro” ,
Porreca G, “La diffida obbligatoria degli organi ispettivi per gli illeciti amministrativi in materia
di sicurezza sul lavoro”; www.porreca.it.
88
Circolare Ministero del lavoro n. 10 del 2006, “Ricorsi al Comitato regionale per i rapporti di
lavoro di cui al Part.17 del Decreto Leg.vo n. 124 del 23 aprile 2004. Chiarimenti e indicazioni
operative”.
89
In realtà anche in seguito al chiarimento m ministeriale ci sono ancora dei dubbi su questo
passaggio. Nella seconda parte del lavoro, trattando del ruolo del consulente del lavoro, esporrò
alcune tesi secondo cui in realtà si potrebbe proporre il ricorso al Comitato regionale (e dovrebbe
essere il consulente a farlo). Margotta S., pg 93 su tutti.
43
il potere è esercitatile limitatamente alla materia della previdenza sociale e
dell’assistenza sociale, per le inadempienze rilevate dagli ispettori di quegli enti.
Volendo fare un commento approfondito è possibile sollevare una serie di
questioni riguardanti soprattutto la natura dell’atto di diffida nel diritto vigente
(provvedimentale o meno) ed ai possibili effetti che esso produce (novativi o di
mera riproposizione dell’obbligo originario). Essendo lo scopo del presente lavoro
evidenziare quali poteri sono a disposizione dell’organo ispettivo per lo
svolgimento della relativa attività, si preferisce evidenziare i tratti rilevanti
dell’istituto e rimandare a più approfondita letteratura la trattazione dottrinale e
giurisdizionale dei temi più spinosi90.
5. La prescrizione obbligatoria
La prescrizione obbligatoria rappresenta la continuazione logica nella descrizione
degli strumenti in mano agli ispettori dopo la diffida. È, anche questo, un potere
già presente nel nostro ordinamento, disciplinato compiutamente dal d. lgs. n. 758
del 1994 che l’art. 15 del decreto n. 124/2004 lascia intatto, preoccupandosi
solamente di estenderne l’ambito di applicazione a fattispecie diverse. Per
comprenderne appieno le caratteristiche e le finalità è proprio dal d. lgs del 1994
che bisogna partire.
5.1. La prescrizione obbligatoria nel d. lgs n. 758/1994
L’articolo 15 del decreto legislativo n. 124/2004 richiama esplicitamente, come
già ricordato, la disciplina del 1994 che rimane pertanto intatta e pienamente in
vigore. Gli articoli che delineano la procedura di prescrizione sono quelli dal 20 al
25 del d. lgs. 758/94, che delineano il procedimento per l’estinzione delle
contravvenzioni in materia di sicurezza e di igiene del lavoro punite con
l’ammenda o con la pena alternativa dell’arresto o dell’ammenda, a seguito di
apposita prescrizione dell’organo di vigilanza nelle funzioni di polizia
giudiziaria91. Per l’individuazione dell’organo di vigilanza il riferimento è all’art.
21, comma 3 , della legge n. 833/1978 dove si stabilisce che è il prefetto (su
proposta del presidente della regione) a stabilire quali addetti di ciascuna unità
90
Su tutti il commento di Bombardelli M. , Le nuove leggi civili commentate, opera citata.
91
Casotti A., Gheido M. R., op. citata.
44
sanitaria locale assumano ai sensi di legge la qualifica di ufficiale di polizia
giudiziaria, in relazione alle funzioni ispettive da essi esercitate92. È proprio tale
organo che, a norma dell’art. 21, <<allo scopo di eliminare la contravvenzione,
nell’esercizio delle funzioni di Polizia Giudiziaria, impartisce al contravventore
un’apposita prescrizione, fissando per la regolarizzazione un termine non
eccedente il periodo di tempo tecnicamente necessario, non superiore a sei mesi
eventualmente prorogabili>>. Resta comunque valido l’obbligo di riferire la
notizia di reato al Pubblico Ministero.
Il contenuto della prescrizione si identifica nella riproposizione del precetto
violato, e quindi in un <<mero richiamo all’osservanza di un preciso obbligo
disposto dal legislatore, senza modificare in alcun modo la sfera giuridica
individuale del soggetto destinatario del provvedimento>>.93
Entro 60 gg dalla scadenza del termine fissato dalla prescrizione si procede a
verificare che la violazione sia stata rimossa secondo le modalità indicate. Se ciò è
avvenuto il soggetto <<contravventore viene ammesso al pagamento in sede
amministrativa di una somma pari ad ¼ del massimo dell’ammenda stabilita per
la contravvenzione commessa entro 30 giorni>>, ed <<entro 120 giorni (sempre
dalla scadenza del termine fissato per la prescrizione) l’organo di vigilanza
comunica l’adempimento e l’eventuale pagamento della somma>> (art. 21,
secondo comma). Nel caso in cui non ci sia stato l’adempimento l’organo di
vigilanza ne dà comunicazione al P.M. e al contravventore entro 90 gg dal termine
fissato in prescrizione, ed il procedimento penale riprende il suo corso.
La procedura descritta dagli art. 20-25 del d. lgs. n. 758/94 è utilizzabile anche
qualora sia il pubblico ministero a venire a conoscenza del reato nei diversi modi
possibili, in questo caso sarà questo ultimo a provvedere ad informare l’organo di
vigilanza affinché proceda con la prescrizione.
Una caratteristica fondamentale della prescrizione descritta è la sospensione del
procedimento penale dal momento in cui la notizia di reato è iscritta (secondo le
norme dell’art. 335 c.p.c.) nel registro degli indagati, fino al ricevimento della
92
Nel d. lgs. n. 758/94 si dice che l’organo di vigilanza è da intendersi come il personale ispettivo
di cui all’art. 21, Co 3, della legge n. 833 del1978, fatte salve le competenze previste da altre
norme.
93
Definizione di Lorusso, “La riforma dell’apparato sanzionatorio in materia di lavoro: dalla
legge n. 689 del 1981 al decreto legislativo n. 758 del 1994” in Mass. Giur. Lav. 1995, pp 517 .
45
comunicazione di adempimento o meno della prescrizione da parte del Pubblico
Ministero. Tale sospensione tuttavia non preclude la richiesta di archiviazione, ne
impedisce l’assunzione delle prove, gli atti urgenti di indagine preliminare ed il
sequestro preventivo.94
A questo punto se il soggetto passivo adempie alla prescrizione nel termine
stabilito, e paga l’ammenda “ridotta”, la contravvenzione si estingue ed il
pubblico ministero richiede l’archiviazione. Il decreto in esame va interpretato,
coerentemente con il dettato della legge delega che lo ha ispirato (L. n. 499/1993),
nel senso che il reato si intende estinto solamente dopo il pagamento della somma
dovuta in sede amministrativa, e non già in seguito alla rimozione della
condizione antigiuridica95.
Se invece l’adempimento avviene in un tempo superiore a quello stabilito, o con
modalità diverse, ma comunque la dannosità della violazione viene rimossa, si
effettua una valutazione ai fini dell’applicazione dell’articolo 162 bis del codice
penale, che prevede la concessione dell’oblazione cosiddetta speciale96. Questo
significa che un giudice penale può dare rilevanza ad un adempimento congruo
ma diverso, valutando se sussistono i presupposti dell’ art. 20, e cioè la rimozione
della contravvenzione accertata. Tutto ciò non deve sorprendere eccessivamente
se si pensa che comunque l’organo di vigilanza opera, nell’impartire la
prescrizione, come ufficiale di polizia giudiziaria ed di conseguenza i suoi atti
sono passibili di controllo da parte della stessa autorità giudiziaria.
94
95
Artt. 321 e seguenti del codice di procedura penale.
Anche questo aspetto è stato sede di discussione, si è giustamente scelta l’interpretazione
conforme al dettato normativo della legge delega.
96
Nelle contravvenzioni per le quali la legge stabilisce la pena alternativa dell'arresto o
dell'ammenda, il contravventore può essere ammesso a pagare…una somma corrispondente alla
metà del massimo dell'ammenda stabilita dalla legge per la contravvenzione commessa... Con la
domanda di oblazione il contravventore deve depositare la somma corrispondente alla metà del
massimo dell'ammenda. L'oblazione non è ammessa quando….. ne quando permangono
conseguenze dannose o pericolose del reato eliminabili da parte del contravventore. In ogni altro
caso il giudice può respingere con ordinanza la domanda di oblazione, avuto riguardo alla gravità
del fatto…. Il pagamento delle somme indicate nella prima parte del presente articolo estingue il
reato.
46
5.2 Dubbi e problemi interpretativi
Per quel che riguarda il campo di applicazione della prescrizione sono sorti alcuni
problemi interpretativi, così come è stato per la diffida.
Il Ministero con apposita circolare ha chiarito nel 1996 che le violazioni per cui è
possibile impartire la prescrizione sono quelle costituenti reato di pericolo
commesso mediante omissione e che hanno natura di reato permanente (protrarsi
nel tempo e cosciente volontà di seguire la condotta antigiuridica). Tuttavia per
alcune situazioni specifiche è intervenuta la Suprema Corte a specificare in modo
preciso in quali situazioni sia applicabile la prescrizione ed in quali no. La
conseguenza dell’intervento della Corte è stata di limitare l’uso della prescrizione,
e quindi della possibilità di estinguere un reato tramite pagamento di una somma
di denaro.
In definitiva le contravvenzioni passibili di prescrizione sono, come da art. 20,
quelle contenute nell’allegato al decreto legislativo; tuttavia va chiarito che al
contravventore si chiede di incidere sul comportamento giuridico posto in essere,
e non solamente astenersi dal reiterare il reato; per cui si deve rimuovere il
pregiudizio arrecato all’interesse tutelato97. Questo implica che la prescrizione
non è applicabile a reati istantanei, per quali è chiaro che non è più possibile
porre
rimedio
al
comportamento
antigiuridico
e
quindi
procedere
a
regolarizzazione secondo quanto prevede l’art. 20. La rilevanza di questo punto è
notevole; pensando ai possibili reati in materia di sicurezza sul lavoro sicuramente
molti derivano da omissioni (mancata installazione di dispositivi di sicurezza per
esempio) che di natura sono permanenti; tuttavia, molti riguardano anche
comportamenti istantanei, nel senso che si riferiscono allo svolgimento di singole
operazioni, già concluse al momento dell’ispezione, secondo modalità non
conforme alla legge. È da notare che nell’allegato I al decreto, che raggruppa le
contravvenzioni passibili di prescrizione, ce ne sono comunque presenti alcune
definibili come istantanei; come a dire che da un lato il legislatore, utilizzando il
termine “regolarizzare” nel definire la prescrizione all’art. 2098, intenderebbe
97
Art. 12 disposizioni preliminari codice civile, è la definizione data al termine “regolarizzare”
che viene usato per spiegare la prescrizione.
98
Proprio perché il termine regolarizzare riconduce ad un tipo di comportamento che consta nella
eliminazione di un comportamento antigiuridico, evidente è che questo non collima con la
tipologia di reato istantaneo dove il comportamento antigiuridico cessa immediatamente e non c’è
più nulla da “regolarizzare” appunto.
47
escluderli e, dall’altro lato, ritiene necessario includere alcune fattispecie di reato
istantaneo nell’ambito di applicazione della prescrizione. L’inconciliabilità che
sembra emergere è stata superata, come vedremo in seguito, con l’introduzione
del decreto n. 124/2004 che ha chiarito a quali fattispecie sia applicabile l’art. 15.
L’altro punto su cui si è dibattuto fa riferimento invece alla difficoltà nel dettare la
prescrizione per le norme cosiddette “elastiche”, che non hanno cioè delle
specifiche regole al loro interno e non individuano una condotta precisa da
seguire. Oppure per quelle norme che, pur individuando specifici adempimenti,
impongono di applicare anche tutti gli ulteriori accorgimenti necessari a garantire
l’effettiva sicurezza. In queste situazioni è consentito l’utilizzo della prescrizione,
tuttavia si deve concordare che l’organo ispettivo dovrà usare una certa
discrezionalità per individuare delle misure concrete, e che tali misure si
sostituiranno agli obblighi generici della normativa violata.
Non è più discutibile neanche la teoria se la prescrizione sia atto emanato
dall’ispettore nell’esercizio di potestà amministrative o nell’esercizio delle
funzioni di polizia giudiziaria, dovendo propendere decisamente per la seconda
ipotesi. Le argomentazioni a favore di questa impostazione sono numerose99 e
dimostrano come l’ufficiale vigilante che impartisce una prescrizione, non svolge
tanto il compito di prevenzione di un reato – che, per definizione, deve essersi già
consumato per potere avere una prescrizione – ma evita che questo venga portato
a conseguenze ulteriori.
Il quadro di riferimento diventa dunque quello del diritto della procedura penale.
Una delle conseguenze rilevanti è che l’organo che emette la prescrizione non
99
Si ricorda in questa sede (Interpretazione di Margotta S., “Ispezioni in materia di lavoro”, 2005,
pg 161).
a) L’art. 12 delle disp. Prel. Cod. civ. secondo cui quando il testo di una norma è chiaro, il suo
significato no può essere sostituito da altro invocando ulteriori elementi interpretativi. E nel nostro
caso è chiaramente scritto che la prescrizione non è impartita nell’esercizio di funzioni
amministrative.
b) I lavori preparatori del decreto lgs n. 758/94 che stabiliscono che la <<prescrizione è stata
demandata ai soli ufficiali di polizia giudiziaria>>.
c) Sentenza Corte Costituzionale n. 10 del 1971 dove si chiarisce ancora che le funzioni
amministrative hanno natura preventiva e che le funzioni di polizia amministrativa e giudiziaria
non si cumulano ma si esercitano alternativamente.
d) L’art. 25 del d. lgs n. 758/94 dove si dice che alle fattispecie in esame non si applicano le norme
sulle disposizioni e sulla diffida.
48
agisce in ambito discrezionale, ma solamente in seguito all’esistenza dei
presupposti di legge individuati dal decreto descritto100. Il fatto che non ci sia
possibilità di scelta da parte dell’ispettore contrasta tuttavia con la situazione in
cui, per via della presenza di normative definite “elastiche”, l’ispettore stesso ha la
necessità di impartire delle direttive concrete e precise che non sono
espressamente presenti nella norma di legge, utilizzando quella che la
giurisprudenza amministrativa tendeva a considerare come esercizio della potestà
amministrativa discrezionale. Si tratta quindi di conciliare queste due previsioni
contrastanti. L’unica soluzione sembra essere quella di considerare, così come
fatto dalla Corte Costituzionale101, che la discrezionalità esercitata in queste
situazioni è di tipo interpretativo, e che non può essere soppressa in situazioni in
cui l’obiettivo è il rispetto <<di norme che impongono il raggiungimento di un
risultato>> (la sicurezza dei lavoratori). La questione posta sotto questo punto di
vista viene quindi risolta ammettendo che anche l’ufficiale di polizia giudiziaria
operi delle valutazioni discrezionali, se queste sono riferibili solamente alla
necessità di dare interpretazione concreta ad una norma che si ponga il
raggiungimento di un obiettivo, senza individuare in tutto e per tutto gli
adempimenti necessari.
Da ultimo è necessario citare un ulteriore importante motivo di discussione che ha
posto negli anni delicati e complessi problemi interpretativi. Il caso è quello in cui
si accerti che nel passato c’è stata una violazione di cui all’art. 19 d. lgs. n.
758/94, che però è stata spontaneamente regolarizzata dallo stesso datore di
lavoro. Parlo di fattispecie riconducibili soprattutto alla mancata adozione di
dispositivi di sicurezza in particolari macchinari, successivamente acquistati ed
installati, ma in cui l’ispettore è riuscito a rilevare comunque l’infrazione,
ancorché commessa in passato. Da un lato l’ispettore non dovrebbe procedere a
prescrizione, in quanto nel concreto non c’è nulla da prescrivere essendo stata
sanata la situazione illegittima, dall’altro il datore non potrebbe quindi godere dei
benefici che da essa derivano, e sarebbe costretto, ricorrendo all’oblazione prima
citata, al pagamento di una somma pari alla metà anziché ad ¼ del massimo
previsto per l’ammenda. Il paradosso evidente è che ne risulterebbe favorito il
trasgressore colto in flagrante che decide (probabilmente solamente in virtù del
100
Nella diffida invece si usava la locuzione <<Valutate le circostanze del caso>>.
101
Sentenza n. 312 del 1996.
49
fatto che è stato scoperto) di ottemperare alla diffida, rispetto ad un datore che
autonomamente ha deciso di eliminare la contravvenzione. Ora, è chiaro che si
può discutere sui reali motivi che hanno spinto il datore a rimettersi in regola, che
a ben vedere potrebbero essere molto simili a quelli che spingono il datore colto in
flagrante102, è comunque innegabile che una discriminazione di questo tipo
potrebbe, oltre che essere ingiustificabile, essere anche controproducente nel
favorire la continuazione di comportamenti illegittimi attendendo i benefici
derivanti dalla prescrizione rispetto a quelli di una autonoma regolarizzazione.
Assieme a tutto questo deve essere tenuto presente che rilevare una
contravvenzione passata, seppur possibile, non è agevole, per cui nel concreto i
casi materialmente coinvolti sono pochi; tuttavia una soluzione deve essere
prospettata. Un possibile modo per sanare la discriminazione può essere quello di
applicare, per analogia, la normativa dell’art. 19 anche alla situazione di
regolarizzazione spontanea. In questo caso sarà compito dell’ispettore comunicare
al P.M. la notizia di reato e, contestualmente, la regolarizzazione del medesimo,
ammettendo il datore al pagamento della sanzione agevolata in via
amministrativa, al pagamento della quale si potrà procedere all’archiviazione del
caso. Questa è stata anche la tesi sostenuta dalla Corte Costituzionale che con
sentenza n. 19 del 1998 ha ritenuto congruo la soluzione appena fornita, facendo
giurisprudenza in merito.
Il nuovo decreto, intervenendo specificamente sul punto, risolve il problema dalla
base, come vedremo nel successivo paragrafo.
5.3. La prescrizione obbligatoria alla luce dell’introduzione del d. lgs. n.
124/2004
In seguito alla riforma del 2004 e all’introduzione dell’art. 15 del più volte citato
decreto n. 124, alcune modifiche sono state portate all’istituto della prescrizione,
102
Faccio riferimento a possibili situazioni in cui il motivo per cui il datore di lavoro decide di
adempiere alla norma di legge spontaneamente derivi dal fatto che si sente “minacciato” dalla
presenza di visite ispettive nel suo settore industriale, o nella zona in cui opera o quant’altro. In
questo caso, magari perché avvisato da conoscenti del fatto che è in atto una operazione ispettiva
ad ampio raggio, decide di prevenire l’accertamento ispettivo, regolarizzando. È chiaro che si
prospetta qui una situazione non dissimile da quella di un datore beccato in violazione di norme di
legge, che non ha fatto in tempo a sistemare e che quindi subisce l’accertamento ispettivo.
50
senza tuttavia che la struttura originaria ne venga intaccata (così some sottolineato
dal Ministero nella circolare n. 24 del 2004). Quello che emerge dalla lettura
dell’articolo è l’ampliamento dell’ambito di applicazione, che passa dai reati in
materia di sicurezza ed igiene del lavoro (secondo la definizione dell’art. 19 d. lgs.
n. 758 del 1994) alle <<leggi in materia di lavoro e legislazione sociale la cui
applicazione è affidata alla vigilanza delle direzioni provinciali del lavoro>>.
Già da qui potrebbe prospettarsi un problema di duplicazione dell’istituto della
prescrizione; alcuni ritengono infatti che dal tenore letterale dei due testi
normativi emergano due distinte tipologia di prescrizioni, con ambiti applicativi e
soggetti legittimati all’emanazione diversi. Altri invece propendono per una
visione più unitaria, che vede la prescrizione del decreto del 1994 come punto di
partenza per un ampliamento dell’ambito di riferimento a reati normati da leggi
sociali come recita l’art 15.103 Entrambe le posizioni sono condivisibili, avendo a
supporto argomenti forti e convincenti, pare di poter sostenere maggiormente la
prima tesi; essendo comunque specificato sia i soggetti legittimati a proporre la
prescrizione sia la tipologia di norme di riferimento (sicurezza ed igiene da un
alto, leggi in materia di lavoro e legislazione dall’altro) probabilmente il
legislatore ha ritenuto mantenere una certa distinzione tra le due prescrizioni, per
mantenendo uno stesso percorso procedurale, richiamando espressamente gli art.
20-25 del d. lgs. n. 758/94.
In ogni caso si tratta più che altro di discussioni teleologiche, non molto rilevanti
ai fini di questa trattazione, è più utile concentrarsi invece sui sostanziali
cambiamenti intervenuti. Ebbene, a ben vedere di cambiamenti sostanziali non ce
ne sono stati, possiamo più che altro rilevare in quali direzioni è andata
l’estensione del campo di applicazione a cui accennavo ad inizio paragrafo.
Innanzi tutto il comma 3° prevede che la prescrizione sia utilizzabile anche nei
casi definiti a fattispecie esaurita, ponendo fine ai dibattiti dottrinali e
giurisprudenziali che hanno riguardato i reati istantanei. Il legislatore ha quindi
definitivamente abbracciato le tesi sopraesposte e l’orientamento della Corte
Costituzionale104 chiarendo in modo definitivo che anche per reati a condotta
103
Il riferimento è alle conclusioni tratte da due autori che hanno commentato il decreto, Rausei P.
“ La riforma dei servizi ispettivi”, Dir. Prat. Lav., n. 30/04, inserto, pp XXXIX; e Bovini S. “Le
nuove leggi civili commentate”,2005, commento all’art. 15, decreto n. 124/04.
104
Riferimento al paragrafo precedente ed alla sentenza Corte Costituzionale n. 205 del 1999.
51
esaurita, che quindi cessano immediatamente dopo il loro compimento, senza
avere carattere di permanenza. Verificato che non è ravvisabile una
incompatibilità insanabile tra le due cose, si è ritenuto opportuno (il legislatore
naturalmente ha fatto questa valutazione) allargare il raggio di operatività della
prescrizione nell’ottica di includerne nella sfera applicativa più fattispecie
possibili, considerata l’efficacia dell’istituto.
Per lo stesso motivo è pensabile che il legislatore abbia deciso di rendere
applicabile il meccanismo prescrittivi-estintivo per le contravvenzioni sanzionate
non solo con la pena alternativa dell’arresto o dell’ammenda, ma anche quelle
sanzionate con la sola pena dell’ammenda.
Sempre nel terzo comma infine, l’allargamento riguarda l’altra dibattuta
situazione circa al d lgs n. 758/94, e concerne <<le ipotesi in cui il trasgressore
abbia autonomamente provveduto all’adempimento degli obblighi di legge
sanzionati precedentemente all’emanazione della prescrizione>>. In questo modo
si è messa la parola fine al dibattito dottrinale occorso per alcuni anni,
accogliendo il punto di vista della Corte Costituzionale si parla quindi di una
prescrizione <<ora per allora>>, proprio a sottolineare il carattere di retroattività
del provvedimento emanato.
Da un punto di vista tecnico non c’è altro da dire, il procedimento, come già
ricordato, è lo stesso del d. lgs. n. 758, in quanto espressamente richiamato
dall’art. 15 del d. lgs. n .124; si è trattato più che altro di intervenire sull’ambito di
operatività, chiarendo i dubbi e le questioni interpretative sollevate durante gli
anni di utilizzo dell’istituto. C’è da dire che la prescrizione ha ottenuto un largo
successo dopo la sua entrata in vigore nel 1994, e sicuramente gli interventi
avvenuti a distanza di un decennio probabilmente ne faranno aumentare la
frequenza d’uso, anche in considerazione del fatto che l’istituto è sicuramente
valido, e risponde perfettamente ad importanti esigenze.
Innanzi tutto il principale vantaggio è quello di ripristinare la situazione di legalità
che era stata violata, si riafferma il primato della legge per mettere in rilievo la
necessità di tutelare in primo luogo gli interessi del lavoratore. In secondo luogo
alcuni hanno ravvisato una sorta di <<incentivazione premiale>>105 nella
prescrizione, per cui al fine di far maturare una cultura della sicurezza nel nostro
105
Insolera, “L’estinzione delle contravvenzioni in materia di sicurezza ed igiene sul lavoro”, pg
311.
52
paese, è più utile un procedimento definito appunto premiale, in quanto il
medesimo termina con un’oblazione amministrativa, rispetto all’applicazione
della sanzione prevista per l’infrazione. Questo sempre che non maturino
pericolose contro-culture volte a considerare la prescrizioni come un’opportunità
di “monetizzare” il diritto protetto dalla legge, e che si valuti l’istituto dal lato dei
costi-benefici da sopportare per operare periodicamente al di fuori della legalità.
Da ultimo si citi per inciso che uno degli obiettivi iniziali della riforma era quello
di ridurre il carico processuale e l’applicazione dell’istituto nel decennio
antecedente la riforma ha portato un considerevole contributo in tal senso, ecco
quindi la scelta di un recupero totale della vecchia disciplina, con un allargamento
anche ad altre fattispecie.
6. Le disposizioni esecutive
Nella rubrica “poteri degli ispettori” troviamo infine la disposizione, disciplinata
all’art. 14 del nuovo decreto n. 124/04, che ha voluto riscrivere l’istituto (senza
peraltro modificarlo eccessivamente) già presente nel nostro ordinamento, così
come per la diffida e la prescrizione.
Al fine della trattazione, il riferimento originario al potere dispositivo risale al
D.P.R. n. 520/1955 che disciplina106, all’art. 10, il potere dispositivo stabilendo
che <<Le disposizioni impartite dagli ispettori del lavoro in materia di
prevenzione infortuni sono esecutive>> e che <<sono parimenti esecutive,
quando siano approvate dal capo dell’Ispettorato provinciale competente le
disposizioni impartite dagli ispettori per l’applicazione di norme obbligatorie per
cui sia attribuito all’Ispettorato dalle singole leggi un apprezzamento
discrezionale>>.
Volendo cercare di dare una definizione si potrebbe dire che con la disposizione
l’ispettore <<precisa
le
misure da adottare
in concreto,
allorché
la
norma……..indica le misure stesse in modo generico, dando adito a valutazioni
106
Come ricordato anche all’inizio della trattazione, la disamina storica inizia dal secondo
dopoguerra, in realtà già nel periodo fascista il regio decreto n. 2183 del 1929 introduceva
l’obbligatorietà delle disposizioni di quello che era diventato l’ispettorato corporativo.
53
soggettive…o impone, nei casi stabiliti dalla legge e nei limiti da questa previsti,
nuovi obblighi o divieti che si aggiungono a quelli sanciti dal legislatore..>>107.
L’ispettore, nel corso del procedimento ispettivo, può adottare questo atto a
seguito del riscontro di una inesattezza, o di una omissione, da parte del datore di
lavoro nell’adempimento di un obbligo previsto dalla legge in modo generico, che
lascia al soggetto adempiente un certo margine di discrezionalità nella
applicazione. Serve quindi che ci sia il carattere dell’incertezza, sul quale
l’ispettore interviene e fa i propri apprezzamenti.
Da questa descrizione emerge abbastanza chiaramente come la disposizione incida
in modo rilevante sulla posizione giuridica del destinatario; è un atto
amministrativo a tutti gli effetti (ed infatti è impugnabile secondo le regole del
contenzioso amministrativo) che assume i tratti del provvedimento amministrativo
proprio perché interviene in via unilaterale ed univoca nei confronti del datore e
produce, verso di esso, immediatamente i suoi effetti.
Da quanto detto la disposizione differisce quindi dalla diffida in quanto non viene
adottata in seguito all’inosservanza di una prescrizione legislativa chiara e precisa,
ma nel caso in cui si riscontri un’inesattezza, una inosservanza, relativa sempre ad
una previsione legislativa, che però è posta in modo generico. Come già ricordato
è questo l’assunto principale da cui partire per determinare quando la disposizione
va adottata, perché se non abbiamo la presenza di una norma che lascia un
margine di discrezionalità al datore che la applica, non possiamo avere
disposizione. Avremo bensì l’utilizzo degli istituti già esaminati; quindi
l’applicazione della sanzione amministrativa, eventualmente con possibile utilizzo
della diffida ex art. 13, ovvero l’applicazione del decreto legislativo n. 758/94 se
l’infrazione costituisce reato, sempre con la possibilità, nei casi previsti, di
ricorrere alla prescrizione.
Quale scopo allora è individuabile nell’adottare l’atto amministrativo di
disposizione? Sostanzialmente lo scopo è di restringere il margine discrezionale
lasciato all’interpretazione del datore di lavoro, la forbice di incertezza viene
ridotta, sostituendo la modalità di applicazione della norma tenuta dal datore (in
seguito ad una propria interpretazione che la legge stessa gli consentiva di fare)
con una interpretazione dell’amministrazione che definisce in modo preciso il
107
Lorusso, “Norme rigide e norme elastiche in materia di sicurezza del lavoro e correlati poteri
degli organi ispettivi”, in Mass. Giur. Lav., 1985, pg 488.
54
“nuovo” comportamento da tenere. Non si tratta di una mera riproposizione di un
obbligo esistente, ma della definizione di uno nuovo che trova il fondamento
nell’originaria norma discrezionale, e che ha il carattere dell’immediata
esecutività.
È un provvedimento assolutamente discrezionale, l’ispettore valuta l’opportunità
di adottarla in tutti i suoi aspetti. Decide cioè se il comportamento del datore è
corretto o meno valutando se è il caso di adottare la disposizione oppure no,
definisce egli stesso quale è la condotta corretta da seguire dettando il contenuto
del nuovo obbligo ed infine decide anche sul “quando” il nuovo comportamento
va adottato. La diretta esecutività del provvedimento rende l’atto particolarmente
incidente, come già sottolineato, sulla sfera giuridica del destinatario, per cui si
ritiene che debba in ogni caso essere dato adeguato spazio al datore per spiegare il
proprio punto di vista sul comportamento da lui adottato e oggetto di esame da
parte dell’ispettore.
Scendendo nel concreto possiamo avere delle disposizioni impartite per norme la
cui violazione non è sanzionata, oppure per norme sanzionate, ma di contenuto
generico. Nel primo caso siamo di fronte alla situazione in cui la disposizione crea
un precetto nuovo che prima dell’emanazione dell’atto non esisteva, in quanto la
norma violata (applicata in modo non conforme) comportava la reazione dei
pubblici poteri (responsabilità civile per danno per esempio) e non sanzioni ne
amministrative ne penali. Allora la disposizione in questo caso (nella materia di
sicurezza per esempio) spiega l’effetto di rendere sanzionabili obblighi già
esistenti108, ma la cui violazione porterebbe solamente ad una responsabilità civile
per inadempimento/danno. L’altro caso riguarda invece norme correlate a sanzioni
in caso di violazione, che essendo però di contenuto generico comportano
l’apprezzamento discrezionale per essere applicate. Qui il problema che si pone è
diverso, cioè si deve coniugare la disposizione con le previsioni degli altri istituiti
in mano agli ispettori del lavoro. In tal senso si ricorda che resta valido il d. lgs n.
758/94 dove all’art. 25 si statuisce che la prescrizione sostituisce la diffida e la
108
Il riferimento è agli artt. 10 e 11 del D.P.R. n. 520/55 come modificato dall’art . 11 del d. lgs. n.
758/94 per cui le inosservanza alle disposizioni è punita con sanzione amministrativa da 103 € a
516 € quando per le inosservanze non sono previste sanzioni diverse da altre leggi, oppure con
l’arresto per 1 mese o l’ammenda fino a 413 € se l’inosservanza è di una disposizione impartita
dagli ispettori in materia di igiene e sicurezza sul lavoro.
55
disposizione, per cui c’è una “supremazia” della prescrizione nelle situazioni
ascrivibili anche all’ambito di applicazione della disposizione.
A queste generali considerazioni sul potere di disposizione, l’art. 14 in esame
modifica, così come per la prescrizione, l’ambito di applicazione, estendendolo a
tutta la materia del lavoro e della legislazione sociale, <<Le disposizioni impartite
dal personale ispettivo in materia di lavoro e di legislazione sociale, nell’ambito
dell’applicazione delle norme per cui sia attribuito dalle singole disposizioni di
legge un apprezzamento discrezionale, sono esecutive>>109. È da chiarire che in
virtù di questa formulazione siamo di fronte a due tipologie diverse di
disposizione, e non solamente alla nuova disposizione ex art. 14 d. lgs. n. 124/04,
in quanto la circolare ministeriale n. 24/2004 ribadisce la permanenza in vigore
dello stesso art. 10 D.P.R. n. 520/55 riferito alla materia prevenzione infortuni e
sicurezza sul lavoro. Proprio per la permanenza in vigore di entrambi gli istituti è
possibile rilevare quali siano le differenze e le peculiarità della nuova disposizione
rispetto alla precedente. Ma prima, per correttezza espositiva, va anche segnalato
che le opinioni sull’argomento sono state, e sono, diverse e difformi; c’è chi
sosteneva infatti che alla luce del dettato normativo introdotto dal decreto n.
124/2004, l’art. 10 D.P.R. n. 520/55 andasse abrogato per questioni di
sistematicità nella lettura dell’istituto della disposizione110, richiamando l’art. 19
del decreto n. 124/04 sulle abrogazioni (<<alla data di entrata in vigore del
presente decreto sono abrogate le norme incompatibili con le disposizioni in esso
contenute>>) a sostegno di tale soluzione. Si sosteneva che la disposizione doveva
rimanere una
soltanto in quanto nella locuzione “in materia di lavoro e
legislazione sociale” prevista dalla nuova legge rientrerebbe anche la materia
“prevenzione infortuni” indicata invece nel vecchio dettato normativo. Nonostante
sia ravvisabile una giustificazione convincente alla tesi sostenuta, la circolare
emanata dal Ministero del lavoro non lascia spazio a dubbi111 indicando
espressamente che restano in vigore gli art. 10 e 11 del D.P.R. n. 520/55.
109
110
Comma 1 dell’art. 14, d. lgs. n. 124/04.
Confrontare Parisi M. “La riforma dei servizi ispettivi in materia di lavoro e previdenza
sociale, commentario al d. lgs. n. 124/04 “ di Tiraboschi e Monticelli, pg. 285, e Lodato G. stessa
opera, pg. 343.
111
Ovviamente si può discutere quanto si vuole sulla validità della presa di posizione del
Ministero, resta il fatto che è necessario adeguarsi.
56
In definitiva quindi, per fare chiarezza, i citati articoli 10 ed 11 disciplinano le
disposizioni relativamente alla materia “prevenzione infortuni, igiene e sicurezza
sui luoghi di lavoro”, mentre il nuovo art. 14 d. lgs. n. 124/04 riguarda tutte le
altre leggi in “materia di lavoro e legislazione sociale112”; è in questo senso che ci
troviamo di fronte a due tipologie di disposizioni.
Tornando all’esame dei cambiamenti introdotti rispetto al passato, una prima
novità sta nel fatto che per poter impartire una disposizione non è più necessario
che la normativa demandi all’Ispettorato in modo esplicito la specificazione degli
obblighi precisi, ma è sufficiente che l’ispettore si trovi davanti ad una situazione
in cui la norma lascia intendere una certa discrezionalità d’applicazione a cui il
datore non ha dato corretta interpretazione. Se prima cioè le disposizioni
riguardavano <<norme obbligatorie per cui sia attribuito all’Ispettorato dalle
singole leggi un apprezzamento discrezionale>>, ora questo riferimento viene
meno e si attribuisce esecutività alle disposizioni impartite <<nell’ambito
dell’applicazione delle norme per cui sia attribuito dalle singole disposizioni di
legge un apprezzamento discrezionale>>. Il passaggio è significativo, non deve
essere la norma che attribuisce esplicitamente all’Ispettorato la possibilità di
fornire una interpretazione discrezionale, è la norma in se stessa che può o non
può lasciare margini discrezionali di applicazione, e se li lascia l’ispettore ha
facoltà di impartire la disposizione che indichi il giusto comportamento da
seguire.
L’altra novità è la previsione che la disposizione sia immediatamente esecutiva,
senza che ci sia l’approvazione del capo dell’Ispettorato provinciale come
avveniva nella legislazione previgente.
La differenziazione per materia che emerge dalla lettura congiunta dei due testi
normativi comporta una differenziazione anche tra i soggetti legittimati
all’emanazione dell’atto, per cui se in materia di lavoro il riferimento è al
personale ex art. 6 decreto n. 124/04, per la sicurezza sul lavoro ci si affida al
personale ispettivo della Direzione provinciale – Servizio ispezione del lavoro e ai
funzionari di vigilanza delle aziende sanitarie113. Per lo stesso motivo anche la
112
Rausei P., “La riforma dei servizi ispettivi”, DPL, n.30/2004.
113
Ai sensi della legge 23 dicembre 1978, n. 833 che ha trasferito alle aziende U.S.L. i compiti già
svolti dall’ispettorato del lavoro in materia di prevenzione e controllo della sicurezza e salute sul
lavoro. Non è stato espressamente previsto la possibilità di esercizio del potere di impartire
57
tipologia di ricorso esperibile resta differenziata. A norma dell’art. 14 secondo
comma, contro la disposizione esecutiva in materia di lavoro si può ricorrere entro
15 gg alla Direzione provinciale del lavoro competente (di appartenenza del
funzionario che ha emesso l’atto), ed il direttore è chiamato a decidere entro altri
15 giorni. Per effetto invece del D.P.R. n. 520/55, secondo l’art. 10, è ammesso
ricorso contro le disposizioni in materia di igiene e sicurezza sul lavoro, entro 30
giorni, al Ministero del lavoro e delle politiche sociali. Infine per le disposizioni
impartite dai funzionari Ausl c’è uno specifico ricorso al Presidente della Giunta
regionale, entro 30 giorni, il quale è chiamato a decidere sentiti i sindacati. 114
Va ricordato che <<il ricorso non sospende l’esecutività della disposizione>>
(art. 14 d. lgs. n. 124/2004, ultimo comma).
Il quadro che emerge sembra essere di un istituto che volendo assolvere alle
richieste della legge delega di cooperazione tra amministrazione e cittadino, di
prevenzione ed alleggerimento del carico giudiziario, ha finito per complicare la
situazione generale. L’allargamento delle materie coinvolte certamente favorisce
la diminuzione del carico giudiziario, ed è improntata a diminuire la funzione
repressiva dei servizi ispettivi, tuttavia la permanenza della legislazione
previgente rende poco chiaro l’istituto in esame, duplicandolo anziché renderlo
unico per tutta la materia lavoristica.
A ciò va comunque aggiunto che nel momento in cui il legislatore propone testi
normativi dettagliati e precisi, sottrae dalla sfera dispositiva tali norme, che non
necessitano di valutazioni tecnico-discrezionali, ma solamente di un accertamento
relativamente alla loro applicazione o meno. Ritornando quindi al discorso fatto in
precedenza circa le due tipologie possibili di disposizioni, è importante ricordare
che nel concreto l’introduzione del decreto legislativo n. 758/1994 sottrae alla
disposizione molte norme, in quanto, soprattutto nella materia di igiene e
sicurezza, quasi tutte le contravvenzioni possibili rientrano nell’allegato I al
decreto, e di conseguenza sono assoggettate a prescrizione (che come ho detto
prevarica la disposizione). Restano coinvolte invece le cosiddette norme di
chiusura, norme cioè che non dettano precise indicazioni operative, ma
disposizioni da parte del personale U.S.L. (nel senso che nella norma non se ne parla) tuttavia la
tesi predominante è sempre stata a favore dell’attribuzione di tale potere anche a quel personale.
114
Artt. 402, D.P.R. n. 547/1955, 66, D.P.R. n. 303/1956 e 21, comma 5, legge n. 833/1978.
58
obbligano115 comunque il soggetto destinatario a degli adempimenti, che ben si
prestano ad essere discrezionali; su tutti l’esempio dell’obbligo di <<attuare le
misure necessarie per garantire l’incolumità fisica e l’integrità morale dei
lavoratori>> (artt. 2087 c.c, 4 del decreto lgs. n. 277/1991, 3 del decreto lgs. n.
626/94).
115
Pe runa trattazione completa sul cambiamento del quadro giuridico che ha portato a considerare
anche le norme ad ampio e amplissimo contenuto ad essere fonte diretta di obblighi, vedi Margotta
S., “Ispezioni in materia di lavoro”, 2005, pg 83.
59
60
CAPITOLO III
RILEVANZA DELLA FUNZIONE CONSULENZIALE
NEL D. LGS. N. 124/2004
1. La consulenza alle aziende. Introduzione alla figura professionale del
consulente.
La figura del consulente, da un punto di vista giuridico, è da inquadrarsi come un
prestatore d’opera in cui, citando l’art. 2229 che disciplina la materia, la
prestazione ha carattere intellettuale, personale ed infungibile, e comporta
l’impiego di intelligenza e cultura in misura prevalente rispetto all’uso di
eventuale lavoro manuale; è eseguita con discrezionalità ed ha ad oggetto il mero
compimento di un’attività, indipendentemente dal risultato ottenuto. Il consulente,
di qualsiasi tipo esso sia, nello svolgere la propria attività si impegna quindi a
svolgere un servizio in relazione alla richiesta avuta dal cliente, utilizzando le
proprie risorse intellettuali e le proprie capacità intellettive.
Da un punto di vista più pratico e meno giuridico dare una definizione completa di
consulente non è facile, è comunque una figura incentrata su un rapporto che si
instaura tra un’azienda-cliente ed il soggetto fornitore del servizio, che si esplica
in attività tendenti a risolvere dei problemi concreti e precisi (fornire soluzioni) e
altre attività attraverso cui il consulente segue il cliente nelle operazioni day by
day116.
Dato il grado di specializzazione richiesto ai soggetti operanti in qualsiasi settore
del mercato al giorno d’oggi, la figura del consulente sta diventando di notevole
importanza, e ciò si palesa chiaramente nella continua nascita di nuove figure e
nuove professioni di consulente, sempre più concentrate in una nicchia di mercato
ristretta. Nei settori invece in cui tradizionalmente operavano i consulenti (lavoro,
settore giuridico, manageriale ecc…) questi stanno acquisendo professionalità e
conoscenze sempre maggiori e sempre più dettagliate per poter far fronte alle
continue richieste di assistenza dei clienti, che devono nei diversi campi
adempiere ad una normativa che si fa via via sempre più tecnica e
particolareggiata. Nell’ambito giuslavoristico che interessa questa trattazione, la
116
Loscialpo R., “I piccoli passi di un grande consulente. Nuove strategie di azione”,
Francoangeli 2003.
61
figura di rilievo è quella del consulente del lavoro, quale fondamentale soggetto di
raccordo tra impresa-lavoratori ed istituzioni pubbliche.
2. Il consulente del lavoro. Attività svolte e regolamentazione.
La crescente complessità della gestione dei rapporti di lavoro sta alla base della
necessità delle aziende, di qualsiasi dimensione esse siano, di affidarsi a
professionisti idonei a gestire la materia, che siano in grado di orientare le scelte
del datore di lavoro, di informare e aiutare l’azienda a gestire i numerosi
adempimenti richiesti dalla legge sia in materia di lavoro, quanto di previdenza
sociale che assicurativa117. La figura professionale indicata per un’assistenza di
questo tipo è il consulente del lavoro, il quale deve avere, per svolgere in modo
proficuo il proprio lavoro, una conoscenza giuridica, economica, amministrativa e
ragionieristica. Il consulente del lavoro svolge infatti tutti gli adempimenti previsti
per la gestione del personale aziendale in quanto delegato e, talvolta,
rappresentante del cliente, più in particolare tra le principali attività rilevabili nella
professione si ricorda:
-
adempimenti ex lege per la gestione del personale dipendente;
-
consulenza ed informazione alle aziende sugli adempimenti stessi in
materia di lavoro, assistenza sociale ed assicurativa;
-
tenuta dei libri paga e matricola e dei prospetti paga;
-
denuncia dei lavoratori occupati all’I.N.P.S., I.N.A.I.L. e uffici del
Ministero del lavoro;
-
elaborazione stipendi e salari;
-
effettuazione degli adempimenti verso gli istituti previdenziali e tributari;
-
assiste e rappresenta l’azienda nelle vertenze extragiudiziali (conciliazioni
soprattutto ed arbitrati);
-
assiste e rappresenta l’azienda in contenziosi con istituti previdenziali,
assicurativi e ispettivi del lavoro.
Come si evince dall’elenco, che non ha nessuna pretesa di essere esaustivo, il
consulente rappresenta un fondamentale raccordo tra il mondo delle imprese, i
lavoratori in esse occupati e le istituzioni a diverso titolo coinvolte nella gestione
dei rapporti di lavoro; è coinvolto in tutti i necessari passaggi relativi
all’assunzione di un lavoratore, al calcolo delle spettanze retributive, alle
117
www.consulentidellavoro.it; www.fondazionestudi.it;
62
spettanze contributive verso gli istituti previdenziali, alla determinazione dei costi
del personale per un’azienda, all’assistenza in caso di accessi ispettivi.
L’ambito di operatività tipico, nella realtà del nostro paese, è quello della
consulenza a piccole-medie imprese, dove, stante le contenute dimensioni dei
soggetti economici, il proprietario, quasi sempre anche lavoratore, preferisce
rivolgersi ad un professionista esterno per la gestione del personale. Importante è
poi ricordare che le capacità del consulente gli consentono anche di svolgere
un’attività che non sia solamente collegata alla gestione di tutti gli aspetti del
rapporto di lavoro (contabili, economici, giuridici, assicurativi e previdenziali
come visto), ma relativa anche: alla selezione del personale; all’erogazione di
consulenze tecniche d’ufficio (in qualità di soggetto terzo e superpartes) e di
parte; alla gestione dell’igiene e prevenzione nei luoghi di lavoro; all’applicazione
delle tecniche di analisi dei costi per la definizione del prezzo dei prodotti,
interessandosi quindi della gestione aziendale sotto il profilo dell’attività
produttiva. Si può sostenere pacificamente che il consulente del lavoro abbia ad
oggi la possibilità e le capacità per essere qualificato, in via informale, come una
sorta di dirigente esterno dell’azienda, sviluppando competenze professionali in
diverse materie fondamentali per la gestione aziendale.
L’anno di riconoscimento dell’ordine professionale è il 1979, con la legge n. 12
del 11/01/1979 alla quale si rimanda per la precisa definizione dell’attività; nella
legge, in particolare si individuano l’oggetto della professione, i requisiti per
l’accesso, la regolamentazione dell’albo, i casi di radiazione ecc…Una
fondamentale modifica, che interessa tutto l’ordine dei consulenti del lavoro, è
stata recentemente introdotta con la conversione del Decreto legge 10/2007 ad
opera della legge di conversione 6 aprile 2007, n. 46, laddove nel modificare
l’art. 3 della L. n. 12/1979 si prevede che possano essere ammessi all’esame di
stato le persone che “abbiano conseguito la laurea triennale o quinquennale
riconducibile agli insegnamenti della facoltà di giurisprudenza, economia,
scienze politiche, ovvero il diploma universitario o la laurea triennale in
consulenza del lavoro, o la laurea quadriennale in giurisprudenza, in scienze
economiche e commerciali o in scienze politiche”. Si rende quindi necessaria la
laurea per accedere alla professione di consulente del lavoro, fornendo alla
professione stessa il riconoscimento che si merita vista la delicatezza e
l’importanza che riveste nell’area economico-aziendale. A titolo di completezza,
63
essendo stato elevato il livello di titolo di studio necessario per accedere alla
professione, si ricorda l’introduzione dell’art. 8bis, secondo cui “coloro che
abbiano conseguito l’abilitazione all’esercizio della professione di consulente del
lavoro con il diploma di scuola secondaria superiore (prima era sufficiente
questo) possono iscriversi al relativo albo entro tre anni dalla entrata in vigore
della presente disposizione. I soggetti non in possesso dei titoli di laurea di cui
all’art. 3, secondo comma, lettera d), che, alla data di entrata in vigore della
presente disposizione, abbiano ottenuto il certificato di compiuta pratica, o siano
iscritti al registro dei praticanti, o abbiano presentato domanda di iscrizione al
predetto registro dei praticanti, possono sostenere l’esame di abilitazione entro e
non oltre il 31 dicembre 2013”.
Trattando della figura del consulente in generale abbiamo visto come egli di fatto
svolga un’attività indipendentemente dal risultato conseguito, tuttavia questo non
significa che non possa comunque incorrere in qualche azione di responsabilità.
Sotto questo profilo la posizione del consulente è assimilabile a quella
dell’avvocato, per il quale l’orientamento costante sostiene che il professionista si
fa carico dell’obbligo di esercitare diligentemente la professione e non di ottenere
un risultato. Posto infatti che al giorno d’oggi l’attività del consulente è molto più
ampia di quella esplicitamente prevista dall’art. 2 della l. n. 12/1979,
comprendendo interventi in tutti i settori elencati nel precedente paragrafo, è
chiaro che si manifesta un’attività consistente in una obbligazione di mezzi, che
difficilmente può invece configurarsi come obbligo a pervenire ad un risultato
pattuito. Senza addentrarci troppo nel tema, si può ritenere allora che per le
attività tipiche del consulente del lavoro (quelle previste dalla legge di istituzione
dell’albo professionale) ci sia un’obbligazione di mezzi, e che la relativa
responsabilità sia regolata dall’art. 2236 c.c. per il quale la prestazione
professionale implica la soluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà e il
prestatore risponde dei danni solo in caso di dolo o colpa grave118. Per le attività
118
Il dolo è la volontà di provocare l’evento dannoso, al colpa è la mancanza di diligenza,
prudenza, perizia, che diventa grave quando si distacca notevolmente dallo standard normale
richiesto dal tipo di prestazione svolta. Fonte Galgano F., Istituzione di diritto privato, Cedam
2002.
64
non individuate dalla legge n. 12/79 ma comunque affidabili al consulente119
l’articolo che regola la responsabilità è il 1176 c.c., dove la diligenza richiesta al
professionista nello svolgimento dell’attività ha un carattere maggiormente
qualificato. Al secondo comma infatti non si fa più solo riferimento alla diligenza
del “buon padre di famiglia”, che è la diligenza secondo cui si è tenuti ad
adempiere in un rapporto debitorio, ma alla diligenza di un professionista medio,
fornendo quindi un carattere di qualifica alla diligenza stessa. In sostanza un
professionista che svolge le attività previste dalla legge che regola l’ordine
professionale incapperà più difficilmente in azioni di responsabilità posto che è
responsabile di quanto svolto nel caso di dolo o colpa grave, mentre per un
consulente che si cimenti anche in altri ambiti relativi sempre alla gestione
aziendale ma che esulano dall’elenco dell’art. 12 legge n.12/1979 c’è il rischio
che per sua incapacità sia chiamato a rispondere di quanto svolto visto che il
metro di giudizio per valutare l’attività è quella di una diligenza di un
professionista medio 120.
Oltre alla modifica dell’art. 3 in relazione al titolo di studio necessario per poter
accedere alla professione di consulente del lavoro si ricorda brevemente che:
l’art. 1 della Legge n. 12/1979 definisce altre categorie di soggetti a cui è
consentito praticare la professione, come per iscritti al albo degli avvocati, dottori
commercialisti e periti commerciali; e che l’art. 3, 2° co, lettera e) prevede la
necessità di un biennio di praticantato presso uno studio di un consulente del
lavoro iscritto nell'albo o di uno dei professionisti di cui al primo comma dell'art.
1, al quale fa seguito un esame di stato per l’abilitazione allo svolgimento
dell’attività professionale. A monte del singolo professionista è poi prevista una
struttura di organi a livello provinciale e nazionale e di organi previdenziali
responsabili del trattamento previdenziale ed assistenziale degli iscritti121
119
Per esempio l’attività di tenuta della contabilità ed in genere altre attività fra quelle citate sopra
che è possibile siano svolte dal consulente.
120
Tutte le considerazioni relative alla responsabilità del professionista sono tratte da Cafaro R.,
“Il contratto di consulenza”, Cedam 2003; Galgano F., Istituzioni di diritto privato, Cedam 2002.
121
Per una completa esposizione del tema si rimanda a: “Il controllo e la previdenza nella
professione di consulente” , Cafaro R. ne “ Il contratto di consulenza”, Cedam 2003.
65
2.1. L’assistenza e la rappresentanza del consulente del lavoro
Tra le possibili attività svolte dal consulente del lavoro rileva ai fini di questa
trattazione la prestazione di assistenza del cliente nel corso di una visita ispettiva
volta ad accertare illeciti; in virtù del rapporto fiduciario con il cliente il
consulente può svolgere infatti un ruolo determinante riuscendo a sua volta a
vigilare sull’operato degli ispettori in difesa dei diritti del suo assistito. Egli a
norma dell’art. 12 della legge n.12/1979 <<su delega e in rappresentanza del
cliente>> ha potere di intervento <<in ordine allo svolgimento di ogni altra
funzione che sia affine, connessa e conseguente all’amministrazione del personale
dipendente>>, e di conseguenza ha il pieno diritto a presenziare alle visite
ispettive posto che è il responsabile della correttezza degli adempimenti e della
gestione del personale in genere. Il potere di rappresentanza a cui si fa riferimento
consente al consulente di sostituirsi al datore di lavoro ed interagire direttamente
con gli ispettori intervenuti in azienda, fornendo chiarimenti tecnici, esibendo
documenti, assecondando insomma le richieste degli ispettori purché legittime.
Come evidenziato nel successivo capitolo sono gli stessi organi ispettivi ad
auspicare la presenza del consulente in certe situazione, soprattutto dove dal
diretto dialogo con il professionista sia possibile ottenere in breve tempo
informazioni chiare e precise che consentano di evitare fraintendimenti che
possono portare ad una scorretta classificazione della situazione. Rimando
naturalmente al capitolo successivo per una più completa analisi dei rapporti tra
professionista e organo ispettivo in caso di visita, trattando invece qui di seguito la
problematicità del rapporto tra il consulente del lavoro e l’attività consulenziale
svolta dall’organo ispettivo, così come disciplinata dal d. lgs. n. 124/2004.
3. La funzione consulenziale nel nuovo decreto di riforma dei servizi
Ispettivi
Parlando di funzione del consulente del lavoro nel riordino dei servizi ispettivi
avvenuto nel 2004 con il decreto legislativo n. 124 si può fare riferimento a due
fattispecie diverse; la questione può infatti riferirsi ad una analisi dei diversi
ambiti in cui il consulente del lavoro interviene in relazione agli istituti
disciplinati dal decreto in esame, oppure si può fare riferimento all’art. 8 del citato
decreto, nel quale emerge l’obiettivo di valorizzare l’attività di consulenza al fine
della prevenzione degli illeciti e promozione dell’effettività della disciplina in
66
vigore. Lasciando lo sviluppo del primo punto al capitolo successivo, nel quale mi
addentrerò nell’analisi del ruolo del consulente durante la fase ispettiva (per
esempio in eventuali ambiti conciliatori o in fase di presentazione dei ricorsi), mi
interessa in questa sede indagare il caratteristico aspetto della valorizzazione della
funzione consulenziale promossa dal d. lgs. n. 124/2004, funzione che, essendo
svolta dal personale ispettivo, dovrà confrontarsi con la tradizionale consulenza
svolta dai professionisti.
In sostanza l’art. 8 assegna alle D.r.l. e alle D.p.l. due compiti di particolare
rilevanza: promuovere presso i datori di lavoro l’osservanza della normativa in
materia lavoristica e previdenziale e prevenire le eventuali violazioni della stessa;
promuovere e stipulare, mediante apposite convenzioni, contratti con aziende, enti
ed associazioni, aventi ad oggetto attività di informazione e aggiornamento da
svolgersi presso le aziende stesse122. Per quel che concerne le attività di
prevenzione il ministero ha escluso che si effettuino su singoli casi concreti, sono
quindi volte ad una generale informazione del datore sulla normativa da applicare,
probabilmente soprattutto per norme di recente approvazione. In questo caso si
può ipotizzare che il “conflitto” con il consulente sia abbastanza limitato; come
detto il consulente del lavoro è portato ad assistere l’azienda in tutti gli aspetti
della gestione del personale, e quindi è soprattutto una operatività che
necessariamente si rifà ai singoli casi concreti ed ai singoli lavoratori impiegati in
azienda. Anzi è addirittura possibile che il consulente stesso possa sfruttare
l’attività preventiva posta in essere dal Ministero del lavoro; il professionista è
infatti il primo soggetto che svolge attività interpretativa sulla normativa di nuova
approvazione al fine di consentire al datore-cliente di essere in regola con gli
adempimenti. È chiaro che una chiave interpretativa proposta direttamente dal
Ministero tramite gli organi preposti all’attività di cui all’art. 8 renda
inequivocabile la lettura della normativa, evitando possibili errori interpretativi da
parte del professionista con successive necessarie rettifiche nell’applicazione della
legge presso l’azienda assistita.
Nel concreto tuttavia ci sono alcuni problemi che sembrano essere comunque
rilevanti. Posto che il Ministero ha espressamente voluto garantire la distinzione
tra organo ispettivo e professionista nello svolgere attività che genericamente è
indicabile come “di consulenza” (prevenzione, promozione, informazione), non è
122
Per un commento sulla nuove funzioni preventive e promozionali rimando al CAP I.
67
chiaro quali siano i limiti dell’uno e dell’altro soggetto visto il silenzio della
norma in proposito (c’è solo un intervento con Circolare ministeriale che chiarisce
parzialmente). Probabilmente solamente un utilizzo nel tempo di questa
previsione potrà creare una prassi consolidata nel definire quali siano gli ambiti in
cui può intervenire l’attività preventiva e quali debbano essere lasciati alla
consulenza del professionista.
Interessante e, al tempo stesso, problematica è anche la previsione del secondo
comma, in cui sostanzialmente si ammette l’attività di consulenza dell’ispettore
durante l’accesso ispettivo, nel caso ci sia violazione che non generi sanzione
penale o amministrativa. Risulta essere interessante perché a ben vedere in una
situazione di questo tipo l’ispettore diventa a tutti gli effetti un consulente, nel
senso che rilevata l’infrazione fornisce al datore la soluzione per porsi in
regolarità . Essendo il presupposto di partenza l’avere riscontrato che la violazione
non comporta sanzione amministrativa né penale, l’intervento non rileva da un
punto di vista economico per il datore di lavoro ispezionato ma rileva in modo
significativo se si pone come obiettivo principale il ripristino della situazione di
legalità. Tuttavia è osservabile come realmente possano esserci delle
compenetrazioni di compiti tra consulente del lavoro ed ispettore, questo perché a
norma di legge si permette a quest’ultimo di fornire delle concrete indicazione per
risolvere l’illecito, indicazioni che originariamente dovrebbero essere già state
fornite dal professionista che segue il datore di lavoro. Ricordando che le possibili
applicazioni di questo comma sono tutt’altro che remote, vista anche alcuni
interventi legislativi volti alla depenalizzazione di alcune infrazioni123, si pongono
qui due ordini di problemi. Innanzi tutto è stato paventato124 il rischio di un
conflitto di interessi tra l’attività dell’ispettore come consulente e l’attività
repressiva che comunque è necessariamente tenuto a svolgere, difficilmente infatti
un ispettore contraddirà se stesso o un collega125. Dopodichè sarà interessante
123
Il riferimento è alla legge n. 338/2000 , art. 116, che ha abolito tutte le sanzioni amministrative
per gli illeciti di cui all’art. 35, comma 2° e 3° legge n. 689/81.
124
Bellumat S., commento all’art. 8 d. lgs. n. 124/2004 “Razionalizzazione delle funzioni ispettive
in materia di previdenza sociale e di lavoro”, in Le nuove leggi civili commentate, 2005.
125
Inoltre va ricordato che il codice degli ispettori, nell’ultima sezione prevede delle norme
deontologiche da seguire tra le quali una sancisce <<l’incompatibilità dell’ispettore a compiere
l’ispezione qualora sussistano interessi personali in relazione all’attività dell’azienda ispezionata,
parentela, affinità ovvero connivenza e di commensalità abituale con il datore>>. Ci si è chiesto se
68
vedere come si gestirà la situazione nel caso in cui ci siano delle divergenze
interpretative tra il professionista e l’ispettore. Cioè potrebbe accadere che il
consulente, venuto a conoscenza dell’irregolarità del suo assistito e venuto a
conoscenza delle indicazioni ottenute dall’ispettore per porvi rimedio, non sia
d’accordo sulla modalità di regolarizzazione o su quanto consigliato dall’ispettore
stesso. In una situazione di questo tipo potrebbe essere interessante vedere in che
modo reagirà l’Amministrazione, se ammetterà soluzioni diverse da quelle
proposte dal proprio funzionario o se il parere resterà comunque vincolato da
quanto egli ha proposto in prima istanza.
Ciò detto va rilevato che il Consiglio Nazionale dell’Ordine dei consulenti del
lavoro ha manifestato alcune perplessità circa l’attuazione dell’art. 8 del d. lgs. n.
124/2004, sottolineando alcune possibili conseguenze126 della sua applicazione.
Per prima cosa si rileva una disparità di trattamento tra le aziende, in quanto
solamente le più dotate economicamente avrebbero la possibilità di “acquistare” i
corsi di aggiornamento di cui al primo comma dell’articolo in commento (art. 8 d.
lgs. n. 124/2004). Di conseguenza i grandi operatori sarebbero in grado di
stipulare, e pagare, le attività informative organizzate mediante convenzioni,
fruendo quindi delle indicazioni del ministero del lavoro fornite tramite i suoi
funzionari; i piccoli imprenditori ne resterebbero invece esclusi vista l’oggettiva
difficoltà di dirottare risorse economiche per scopi di questo tipo. Questo è
senz’altro vero e per risolvere il problema si potrebbero immaginare delle
soluzioni che ammettano dei contributi ai datori di lavoro volti a consentire a tutti
l’iscrizione ai corsi, magari con dei finanziamenti provenienti almeno in parte
dalle associazioni sindacali dei datori stessi. L’Ordine, in secondo luogo, rileva il
rischio di una “destabilizzazione del privato, datore di lavoro e lavoratore”, il
quale vede nello stesso organo due diverse figure: l’Ufficiale di Polizia
Giudiziaria che controlla ed accerta le violazioni eventualmente presenti in
azienda, e allo stesso tempo, il “formatore” o consulente personale che sulla stessa
tale norma è valida ad escludere che l’ispettore che ha svolto la consulenza sia compatibile ad
effettuare poi il controllo ispettivi.
126
Fondazione Studi. Consulenti del lavoro, Consiglio Nazionale dell’Ordine. Commissione
Osservatorio dell’attività amministrativa (porposte per una razionale e moderna gestione dei
rapporti di lavoro nell’ambito dei rapporti con la pubblica amministrazione) : “Razionalizzazione
delle funzioni ispettive sul lavoro, in materia previdenziale e di lavoro”. Roma, 04/07/2005.
69
normativa su cui vigila svolge anche corsi di aggiornamento. È in sostanza lo
stesso ragionamento, evidenziato nella prima parte del lavoro, emerso in sede di
commento del decreto lgs. n. 124/2004, in cui si profilava la difficoltà del mondo
imprenditoriale nel vincere l’ostruzionismo avverso gli organi ispettivi ancorché
questi siano, nello svolgimento dell’attività informativa, spogliati della veste di
“controllori” e di U.P.G.
Da ultimo nel prospetto elaborato dall’Ordine Nazionale si sottolinea quale
importante conseguenza la <<lesione della libertà d’iniziativa economica,
distorsioni del mercato, abuso di posizione dominante e conseguente pregiudizio
per tutti quei soggetti formatori, esperti in materia lavoristica e previdenziale, tra
i quali i consulenti del lavoro>>.
Cercando di rispondere per quanto possibile alle diverse obiezioni proposte da più
parti sia in commento al decreto sia da parte dell’Ordine dei consulenti stesso si
può dire che: innanzi tutto è intervenuto il Ministero con la Circolare Ministeriale
n. 24/2004 chiarendo che l’attività preventiva e promozionale a norma del comma
1 art. 8 d. lgs. n. 124/2004 sia solo di carattere generale, riconfermando in capo ai
consulenti del lavoro l’attività di consulenza sui casi concreti o problemi
particolari di interesse aziendale127, così come da legge n. 12/1979. Si ribadisce
che eventuali corsi di promozione di normative giuslavoristiche avranno come
scopo solamente quello di portare a conoscenza dei datori dette normative e di
favorirne la corretta applicazione, senza considerare le singole situazione concrete
dei partecipanti all’attività informativa. In generale è senz’altro apprezzabile
l’intento del legislatore di sviluppare un sistema che organizzi dei corsi
informativi per le aziende in modo da favorire la legalità nella gestione del
personale; rimane da verificare quanti soggetti sapranno e vorranno cogliere
l’opportunità, e in quale quantità il Ministero dirotterà del personale ispettivo allo
svolgimento di tali corsi, considerando l’annoso problema della carenza di
personale, e considerando soprattutto la necessità di formare questo personale che
non è, al momento, assolutamente preparato a porsi ai suoi interlocutori come
informatore-consulente od insegnante.
Nonostante questi chiarimenti Ministeriali le perplessità rimangono considerando
quella parte di consulenza da svolgersi durante la visita ispettiva; in questi casi,
ricordando che viene ammessa solamente se la violazione non comporta sanzioni
127
Vedi anche CAP. I , 3.2. Il decreto attuativo, art. 8 d. lgs. 124/2004.
70
amministrative e penali, l’attività ispettiva si trasformerebbe, sempre secondo
l’interpretazione dell’Ordine Nazionale dei consulenti, in vera e propria attività
consulenziale. Considerato che la linea di confine tra questioni di ordine generale
e quelle di carattere pratico è molto labile (soprattutto nel momento in cui
l’ispettore è in azienda e si confronta con il caso pratico), e considerato che in
sede interpretativa da più parti128 si è ammesso che tale attività consulenziale, per
avere una qualche utilità concreta nel porre rimedio all’irregolarità, dovrà entrare
nello specifico, ecco che il problema relativo alla possibile sovrapposizione di
compiti tra professionista e ispettore rimane in parte irrisolto. Si profilerebbe in
particolare la violazione della legge n. 12/1979 che affida agli iscritti all’albo dei
consulenti del lavoro lo svolgimento dell’attività di consulenza sulle materie di
lavoro e sugli adempimenti per l’amministrazione del personale dipendente in
generale. In merito c’è da dire che questa ultima preoccupazione manifestata
dall’Ordine è condivisibile; è comprensibile che il professionista si senta
depauperato di una parte delle competenze che storicamente gli appartengono per
legge e che ciò avvenga per una previsione normativa che consentirebbe
all’amministrazione di sostituirsi in parte ad esso. In effetti è palese che i soggetti
che subiscono un pregiudizio, anche economico visto che una diminuzione
dell’attività comporta una diminuzione degli introiti, sono gli operatori nel
mercato degli esperti in materia lavoristica; i quali vengono per così dire
“scavalcati” nel rapporto fiduciario e lavorativo con i loro clienti, che possono
così venire istruiti dall’organo ispettivo.
È possibile però che l’attività del consulente-ispettore in azienda risulti anche utile
a colmare alcune lacune derivanti da “disattenzioni” del professionista che non ha
correttamente istruito il datore, o da negligenza
di questo ultimo che le ha
ignorate. Dopodichè va anche ricordato che la parte più rilevante delle ispezioni
effettuate dall’amministrazione è volta all’emersione del sommerso dove ci sono
spesso profili di rilevanza penale o quantomeno amministrativa (con relative
sanzioni) che non consentono l’espletamento della funzione consulenziale per
sanare l’irregolarità. Questo in virtù dell’art. 8 d. lgs. n. 124/04, che al 2° comma,
prevede esplicitamente che non sia esercitatile l’attività consulenziale nel caso in
128
Bellumat S., Bellumat S., commento all’art. 8 d. lgs. n. 124/2004 “Razionalizzazione delle
funzioni ispettive in materia di previdenza sociale e di lavoro”, in Le nuove leggi civili
commentate, 2005.
71
cui la violazione rilevata dall’ispettore comporti delle sanzioni penali o
amministrative. Infine non va in ogni caso dimenticato che già l’art. 4 della legge
22 marzo 1961, n. 628 prevedeva al comma 1, lettera c), il compito per gli
ispettori <<di fornire tutti i chiarimenti che vengano richiesti intorno alle leggi
sulla cui applicazione esso deve vigilare…>>, previsione a cui non è pero stata
data applicazione concreta rilevante. In conclusione pare di poter condividere le
preoccupazioni dei professionisti, soprattutto in relazione a questo secondo
comma dell’art. 8, senza però sostenere una tesi totalmente avversa alla funzione
informativa-consulenziale degli ispettori. Dato per assodato che a mio parere
dovrebbe essere il professionista che, essendo a conoscenza l’intera situazione
aziendale in tutti i suoi aspetti, dovrebbe fornire al cliente-datore di lavoro le
corrette indicazioni operative per la gestione dei dipendenti e aggiornarlo in modo
tale da valutare le diverse politiche gestionali da adottare; è innegabile che l’art. 8
abbia introdotto alcuni aspetti innovativi e, quello che più conta, efficaci. È infatti
auspicabile che le previsioni contenute in questo articolo129 portino più che ad una
diatriba tra ispettori e consulenti su quali siano i limiti dell’una e dell’altra attività,
ad una occasione di confronto tra i due organi e ad uno scambio di opinioni, con
l’obiettivo comune di perseguire la corretta applicazione delle norme tramite la
soluzione di profili di criticità130. In questo senso il ruolo del consulente del lavoro
deve essere valorizzato quale soggetto in grado di confrontarsi con
l’amministrazione in sede di interpretazione della normativa, proprio durante le
attività di promozione proposte dagli organi ispettivi
In definitiva resta da valutare nel concreto quanto l’art. 8 inciderà nell’attività
professionale del consulente osservando da un lato il numero di corsi
promozionale (o attività promozionale di altro genere) effettivamente attivati in
questo biennio, e dall’altra quante visite ispettive si sono risolte nel concreto con
una consulenza dell’ispettore del lavoro che abbia rilevato un’irregolarità non
sanzionabile in via amministrativa né penale. Probabilmente al giorno d’oggi non
è ancora valutabile un’influenza di questo tipo, come è tanto meno valutabile
l’auspicato effetto collaborativo e di confronto tra le parti in causa.
129
Ed anche nell’art. 9 riferito all’interpello di cui si dirà nel capitolo successivo
130
Bizzarro G., “La riforma dei servizi ispettivi ed il ruolo del consulente del lavoro”, in La
riforma dei servizi ispettivi in materia di lavoro e previdenza sociale, commentario al d. lgs. n.
124/04 di Tiraboschi e Monticelli.
72
CAPITOLO IV
RIFORMA DEI SERVIZI ISPETTIVI
E RUOLO DEL CONSULENTE DEL LAVORO
1. Premessa
In seguito all’introduzione dapprima della Legge 14 febbraio 2003, n. 30 e poi dei
decreti legislativi n. 124/2004 e n. 276/2003 che hanno dato attuazione agli
articoli della suddetta legge, c’è stata una profonda riforma del mercato del
lavoro.
È evidente la rilevanza di questi provvedimenti per tutti i soggetti che sono
coinvolti nel mercato del lavoro così come è evidente che è stato necessario per i
consulenti del lavoro, soggetti che all’interno di questo mondo coprono un ruolo
privilegiato
nel
rapporto
azienda-lavoratore,
avviare
un
processo
di
aggiornamento ed analisi della nuova normativa, senza contare che l’importanza
delle innovazioni era tale da costringere i professionisti ad una immediata
applicazione dei nuovi istituti, coniugando, come è tipico nello svolgimento della
professione, indagine interpretativa e applicazione pratica131. Peraltro a tal
proposito è opportuno sottolineare come la professione di consulente del lavoro
possa contribuire al processo di riforma avviato, attraverso una corretta analisi
della disciplina, considerando anche l’ampia prospettiva attraverso cui tale
professionista vede le diverse problematiche relative al mondo del lavoro. Non va
dimenticato, come già sottolineato nel capitolo precedente, che il consulente si
colloca in una posizione di raccordo tra i diversi settori che incidono sulla
gestione dei rapporti di lavoro. La diversa tipologia di attività che la legge affida
loro consente di creare un rapporto stabile con le aziende clienti che gli permette
di mediare tra le diverse istanze in modo tale da consigliare soluzioni operative
volte soprattutto ad evitare contenziosi. Questi aspetti emergono chiaramente in
riferimento ad una attività di tipo preventivo ed in riferimento all’assistenza al
cliente nella corretta applicazione della legge; ma sono aspetti fondamentali anche
in caso di visita ispettiva, sia nel caso in cui il contenzioso non sia evitabile, sia
131
Bizzarro G., “La riforma dei servizi ispettivi e il ruolo del consulente del lavoro”, in La riforma
dei servizi ispettivi in materia di lavoro e previdenza sociale a cura di Tiraboschi M. e Monticelli
L.
73
nella valutazione di eventuali possibilità conciliative. Il consulente del lavoro è
quindi chiamato a svolgere una serie di ruoli in relazione alla tradizionale attività
che la legge gli affida, ed in virtù della recente riforma, che per certi aspetti ne
arricchisce i compiti e per certi altri li diminuisce. Scopo dei prossimi paragrafi
sarà quello di mettere in luce gli istituti che vedono maggiormente coinvolto il
consulente del lavoro tra quelli introdotti dal d. lgs. n. 124/2004, senza
dimenticare di fare alcune necessarie considerazioni in relazione al codice di
comportamento degli ispettori, con lo scopo di analizzare la tipologia di rapporto
che si crea tra consulente ed ispettore durante un accesso ispettivo e di capire fino
a dove si può spingere il diritto di difesa e di assistenza del professionista.
2. Soggetti legittimati
Prima di procedere oltre è necessario effettuare un breve richiamo alla disciplina
della legge n. 12/1979 che regola la professione del consulente del lavoro. Molto
spesso da questo punto in poi nella descrizione e nella spiegazione degli interventi
svolti dal professionista si farà riferimento a termini quali “consulente del lavoro”
e più generalmente ancora “professionista”. A titolo di chiarimento ricordo che i
soggetti a cui si fa riferimento sono i soggetti legittimati all’esercizio della
professione di consulente del lavoro secondo la legge n. 12/1979 (e successive
modifiche), così come esposto nel Cap. III del presente lavoro, al quale si rimanda
per una trattazione più completa dell’argomento132.
3. L’attività preventiva svolta dal consulente del lavoro: il diritto di
interpello
L’attività preventiva attribuita agli organi di vigilanza del nuovo decreto lgs. n.
124/2004 può essere scomposta e divisa in due “sezioni”, una promozionale e
consulenziale desumibile dall’art. 8 del citato decreto legislativo, ed una diretta ad
ottenere chiarimenti sulla normativa : il diritto di interpello che completa per
l’appunto il quadro dei nuovi poteri promozionali e preventivi attribuiti all’organo
ispettivo133. In ambito giuridico questo non rappresenta una assoluta novità
132
Cap III, “2. Il consulente del lavoro. Attività svolte e regolamentazione.”, pg 60.
133
Degan L., Scagliarini S., “Prevenzione, promozione e diritto d’interpello” in “La riforma dei
servizi ispettivi in materia di lavoro e previdenza sociale” a cura di Tiraboschi M. e Monticelli L.
74
essendo stato introdotto nel diritto tributario dall’art. 21 della legge n. 413/1991,
in un periodo peraltro in cui era forte la volontà di costruire un sistema di rapporti
collaborativi tra Amministrazione e cittadini134. Successivamente con lo statuto
del contribuente135 l’interpello è stato ulteriormente generalizzato arrivando ad
una formulazione che prevede quanto segue: nel caso in cui sussistano obiettive
condizioni di incertezza dovute alla equivoca formulazione di leggi o regolamenti
sia sostanziali che procedurali, il contribuente (o il sostituto d’imposta), prima di
porre in essere un comportamento rilevante ai fini tributari, può prospettare,
mediante un’istanza in carta libera da consegnare a mano od inviare con
raccomandata con ricevuta di ritorno senza busta, il caso singolo e concreto
all’amministrazione tributaria. Non possono esercitare tale diritto gli ordini
professionale e le associazioni di categoria e i portatori di interessi diffusi se non
per i personali obblighi tributari, e non i loro associati. Entro 120 giorni
l’Amministrazione risponderà, assumendo una posizione vincolante per lei ma
non per il contribuente, e la risposta comunque sarà valida solamente verso il
singolo soggetto che ha posto il quesito. Questi sono in sintesi i generici tratti
dell’interpello tributario, qui riportati per consentirmi poi di fare alcuni importanti
raffronti con l’interpello recentemente introdotto nel diritto del lavoro.
3.1 L’interpello nel diritto del lavoro ed il ruolo del consulente
Il punto più importante che mi preme sottolineare sta all’inizio dell’art. 9, d. lgs.
n. 124/2004136 che disciplina l’interpello in materia di lavoro dove si prevede che
“Gli organismi associativi a rilevanza nazionale degli enti territoriali e gli enti
pubblici nazionali, nonche', di propria iniziativa o su segnalazione dei propri
iscritti, le organizzazioni sindacali e dei datori di lavoro maggiormente
rappresentative sul piano nazionale e i consigli nazionali degli ordini
134
Comelli A., “La disciplina dell’interpello: dall’art. 21 della L. n. 413/1991 allo statuto dei
diritti del contribuente”, in Dir. Pratica Trib., 2001, 605 ss. Nello stesso periodo viene infatti
emanata la legge n. 241/1990 sul procedimento amministrativo, considerata un primo passo
nell’affermare principi di trasparenza e collaborazione nei rapporti tra Amministrazione e
cittadino. L’introduzione dell’interpello rappresenta, secondo l’autore, un ulteriore tappa di questo
processo.
135
Legge n. 212/2000.
136
SI ricorda che l’art. 9 del decreto legislativo n. 124 del 2004 è stato recentemente riscritto dal
decreto legge n. 262/2006 recante disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria.
75
professionali, possono inoltrare alla Direzione generale, esclusivamente tramite
posta elettronica, quesiti di ordine generale sull'applicazione delle normative di
competenza del Ministero del lavoro e della previdenza sociale” . La successiva
circolare ministeriale n. 49/2004137 precisa poi che “L'elemento che differenzia
l'interpello rispetto all'attività informativa svolta a livello territoriale è dato
dall'attualità delle problematiche rappresentate, sulle quali, cioè, non sia ancora
intervenuto alcun chiarimento o presa di posizione ufficiale dell'Amministrazione,
né in sede di circolare né in sede di risposta ad un precedente interpello”. Tra i
soggetti a cui è rivolto questo istituto emerge chiaramente l’importanza
nell’elaborazione e nell’invio del quesito dei professionisti di settore, il consulente
di lavoro su tutti.
Anche se la norma prevede la legittimazione da parte del professionista inteso
come <<consiglio nazionale dell’ordine professionale>>, sarà poi il singolo
consulente che nella quotidiana operatività rileverà alcune problematiche
interpretative da sottoporre alla Direzione generale. Il fatto che poi l’invio del
quesito avvenga a livello di Consiglio Nazionale può essere utile per diversi
motivi; innanzi tutto si evita l’invio multiplo di uno stesso quesito, se ogni
consulente avesse legittimazione ad interpellare il Ministero è altamente probabile
che lo stesso problema venga posto da più persone, in questo modo invece si
effettua una prima scrematura, raggruppando le domande comuni. Dopodichè il
Consiglio potrà anche valutare se l’interpello rientri tra le tipologie previste dalla
norma, ossia sia di carattere generico e non riguardi argomenti su cui sia già
presente una posizione dell’Amministrazione, serve insomma da sbarramento per
interpelli eventualmente viziati da qualche errore o non in possesso dai requisiti
richiesti dalla d. lgs. n. 124/2004. Da ultimo raccogliere in un unico insieme tutte
le richieste di interpello aiuta a raggruppare tutte le peculiarità di un problema,
essendo stato visto questo da più punti di vista (dei diversi consulenti che lo hanno
analizzato e richiedono chiarimenti); in questo modo è lecito attendersi
l’elaborazione di un quesito più completo e corretto che tocchi tutti i lati oscuri
della generica norma su cui si richiede un intervento.
Dalla lettura dell’articolo 9 emerge come il legislatore abbia fatto una precisa
scelta, diversa da quella operata in ambito tributario, escludendo i singoli datori di
137
Sono considerazioni ancora valide anche dopo la modifica dell’art. 9 in quanto riguardano
aspetti che non sono stati toccati dal decreto legge 262/2006.
76
lavoro dalla legittimazione ad utilizzare l’interpello. Le possibili interpretazioni di
questa impostazione possono essere diverse; si può ravvisare la necessità di
limitare l’uso dell’istituto evitando un eccessivo afflusso di richieste138 e di evitare
di trasformare l’Amministrazione in un consulente personale del datore139, oppure
ritenere che questo sia un modo per selezionare i quesiti alla fonte potendo così
fornire risposte ad un numero limitato di quesiti, ma in modo esaustivo e
ponderato140.
D’altra
parte
nella
regolazione
dell’interpello
manca
la
specificazione di una condizione di accesso allo stesso, presente invece nel testo
normativo dell’interpello tributario; in quest’ultimo infatti affinché i quesiti siano
accettati è necessario che ci sia “oggettiva oscurità della norma” di cui si richiede
il chiarimento mentre nel il legislatore del d. lgs. n. 124 del 2004 nulla dice in
merito. È possibile quindi che l’intenzione del legislatore sia quella di selezionare
i quesiti non tramite una condizione sine qua non, ma per il tramite della
professionalità richiesta ai soggetti richiedenti. Tra le attività principali dei
consulenti del lavoro c’è infatti sicuramente quella di interpretazione delle
normative giuslavoristiche improntata ad una corretta gestione del personale
aziendale, ecco quindi che è lecito attendersi che il professionista possa ricorrere
all’utilizzo dell’interpello solamente nei casi di reale difficoltà interpretativa
giacché egli è già in possesso delle competenze per riuscire a comprendere ad
applicare la maggior parte dei testi normativi in vigore. Un controllo di questo
tipo non sarebbe invece possibile qualora si consentisse al datore di lavoro,
probabilmente povero di conoscenze in materia lavoristica, di richiedere
chiarimenti all’Amministrazione ogniqualvolta avesse un dubbio circa la modalità
di applicazione di una nuova norma141.
138
Monticelli C., “La riorganizzazione dei servizi ispettivi e delle attività di vigilanza: funzioni e
finalità” in La riforma dei servizi ispettivi in materia di lavoro e previdenza sociale a cura di
Tiraboschi M. e Monticelli C.
139
Peraltro già punti del decreto n. 124/2004 si pone il problema di una possibile sovrappostone di
ruolo tra consulente del lavoro ed amministrazione. Si veda in particolare la sezione relativa alle
funzioni consulenziali e promozionali degli ispettori del lavoro, Cap I, “Il decreto attuativo, l’art.
8 d. lgs. n. 124/2004”, pg. 9.
140
Broi B., Parisi M.,” Ispezioni sul lavoro: la circolare del Ministero”, in GLav, 2004, n. 27, 14.
141
Ricordo che l’art. 9 d. lgs. n. 124/2004 non richiede che la norma sia oggettivamente oscura per
cui, se non fosse riservato l’uso dell’interpello alle categorie sopra citate, sarebbe teoricamente
prospettabile una situazione di questo tipo.
77
Altro punto fondamentale dell’art. 9 attiene all’oggetto dell’interpello per il quale
si prevede che il professionista possa inoltrare solamente dei quesiti a carattere
<<generale>>. In questo modo il legislatore si preoccupa di far si che il
professionista si faccia da “portavoce” di una problematica percepita come tale a
livello diffuso, e non che l’istituto possa essere usato come una sorta di
consulenza personale su precise questioni tecniche. L’invio del quesito deve
essere esclusivamente telematico, non è consentito, come per l’interpello
tributario, l’invio in forma cartacea della richiesta di chiarimento. La ragione
iniziale di una tale previsione probabilmente risiedeva nella particolare modalità
di gestione degli interpelli che prevedeva dapprima un invio alla Direzione
provinciale che si preoccupava, dopo un primo “vaglio”, di girarli alla Direzione
generale. Sarebbe stato estremamente complicato ed oneroso142 gestire la
procedura burocratica di questi passaggi nelle diverse sedi con un sistema di
raccomandate o comunque di invio cartaceo dei documenti. Il decreto legge n. 262
del 2006 ha però successivamente riscritto l’art. 9 del decreto lgs. n. 124/2004
modificando in modo rilevante proprio la parte relativa all’invio dell’interpello, ad
oggi è stata abolito il passaggio tra Direzione provinciale e generale, obbligando i
soggetti legittimati a proporre l’interpello ad inviarlo direttamente alla Direzione
generale che provvederà a fornire una risposta143. Ora l’invio obbligatorio in
forma telematica non giustifica più un forte risparmio di costi; tuttavia rimane il
più valido in termini di tempistica e di facilità di comunicazione, visto che
comunque anche altre Direzioni generali del Ministero del lavoro potrebbero
essere coinvolte nella risoluzione del problema rendendosi così necessario uno
scambio di documentazione tra più parti. D’altra parte questo metodo di invio è
assolutamente anche il più vantaggioso per il consulente che tramite e-mail può
celermente inviare i quesito alla Direzione generale.
142
Il Ministro per l’innovazione e le tecnologie della precedente legislatura, Stanca, ha evidenziato
in un intervento del 25 marzo 2004 che il costo per la Pubblica Amministrazione di ogni lettera
inviata con tradizionali sistemi è di 20 € contro i circa 2 € di una e-mail
143
In precedenza si prevedeva il passaggio dalla Direzione provinciale a quella generale con una
relativa verifica istruttoria, quindi in ordine anche ai contenuti, per verificare per esempio che non
sia già stata emessa una posizione ufficiale dell’Amministrazione su quell’argomento. Ora è la
Direzione generale dell’attività ispettiva la destinataria di tutte le richieste, e la stessa D.g.l.
provvederà poi a smistare il quesito alle altre direzioni generali eventualmente coinvolte per una
valutazione congiunta del problema proposto.
78
Ad oggi, dopo che l'art. 21 del Decreto Legge approvato il 29 settembre 2006 ha
modificato l'art. 9 Dlgs 124/04, quindi non si prevede più la presentazione degli
interpelli per il tramite delle Direzioni provinciali del lavoro e stabilisce che solo i
Consigli Nazionali degli Ordini professionali, possano inoltrare alla Direzione
Generale, quesiti di ordine generale sull'applicazione delle normative di
competenza del Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale. Attualmente la
procedura adottata dal Consiglio Nazionale segue questo sviluppo: il consulente
che, nello svolgimento della propria attività, rileva una questione che ritiene
essere meritoria di chiarimento, la propone al consiglio provinciale dell’ordine
presso cui è iscritto144. Il consiglio provinciale effettua la segnalazione diretta al
Consiglio Nazionale, il quale, tramite gli esperti della Fondazione Studi145 del
Consiglio Nazionale e per conto del Consiglio stesso, valuta gli interpelli
pervenuti.
Se si tratta di quesito al quale è possibile rispondere alla luce della normativa
vigente, si procede con il sistema usuale adottato per i quesiti con risposta diretta
al collega; se si tratta di interpello, perché l’argomento realmente è di dubbia,
interpretazione, e soddisfa i requisiti di cui all’art. 9 d. lgs. n. 124/2004, scatta la
valutazione per verificare se si tratta di interpello giacente (quindi già proposto da
altri consigli provinciali ed in attesa di essere inoltrato, o di ricevere una risposta)
o di interpello per il quale è già stata data risposta.
Nel caso in cui nessuna delle due ipotesi sia quella corretta il Consiglio Nazionale
dell'Ordine procederà alla predisposizione finale dell’interpello, da inviare
direttamente alla Direzione generale.
A più di due anni dalla prima presentazione di una richiesta di interpello,
visitando il sito del Ministero del Lavoro nel quale sono presentati, divisi per
argomento, i diversi interpelli a cui è stata data risposta, si può osservare come
l’istituto sia ancora in una fase di collaudo, nonostante le richieste siano
comunque state in numero significativo. I quesiti evasi dal Ministero sono stati
144
Ricordo che l’albo è tenuto dal consiglio provinciale, composto da un numero di membri
variabile sulla base del numero degli iscritti, e da questi eletti.
145
La Fondazione Studi “è una fondazione, senza scopo di lucro, che ha per oggetto la
valorizzazione della figura e della professione del consulente del lavoro attraverso il costante
aggiornamento
e
perfezionamento
tecnico,
scientifico
e
culturale”.
Vedi
sito
www.fondazionestudicdl.it per una completa spiegazione delle funzionalità della F. S.
79
infatti 116, mentre rilevando dei dati dal lato della provenienza degli stessi si
osserva che la maggior parte provengono dai consulenti del lavoro, per un totale
di 33 sui 116 totali (fonte www.consulentidellavoro.it). Sicuramente c’è chi ha
capito l’importanza di uno strumento di questo tipo, la possibilità di richiedere dei
chiarimenti in una materia complicata qual è il diritto del lavoro è sicuramente un
fattore che da solo dovrebbe spingere i soggetti legittimati all’utilizzo. Tuttavia ci
sono state, in questi primi due anni dall’entrata in vigore del decreto, alcune
questioni che ne hanno frenano le potenzialità; in particolare mancava un
riferimento normativo che chiarisse in quale modo la risposta fornita
dall’Amministrazione fosse vincolante per il proponente. Era opinione diffusa che
la risposta fosse vincolante nei casi in cui non coinvolgesse i diritti dei lavoratori
o altri soggetti terzi interessati, per cui non fosse combinabile alcuna sanzione a
chi si fosse uniformato al parere ricevuto; d’altra parte se i diritti dei terzi
venissero coinvolti sarebbe stato necessario garantire una tutela ai lavoratori a
seguito di una modifica dell’interpretazione risultante dalla risposta all’interpello,
senza però che ci potessero essere conseguenze per chi si fosse attenuto alla
originale formulazione dello stesso quesito146. Anche qui, come auspicato, il
legislatore è intervenuto e nel modificare l’art. 9 d. lgs. n. 124/2004, con il decreto
legge n. 262/2006, ha introdotto il Co. 2 nel quale si precisa che
<<L'adeguamento alle indicazioni fornite nelle risposte ai quesiti di cui al
comma 1, esclude l'applicazione delle relative sanzioni penali, amministrative e
civili>>. In questo modo si è voluto dare una maggiore forza ad uno strumento
che può diventare sicuramente molto importante nei rapporti tra Amministrazione
e cittadini.
4. I nuovi istituti nel riordino dei servizi ispettivi, l’assistenza del
consulente del lavoro.
Un punto fondamentale nell’analisi della centralità del professionista in fase di
assistenza del cliente in caso di visita ispettiva sta nella definizione del ruolo che
egli ricopre alla luce dei diversi strumenti che la legge mette a disposizione del
datore di lavoro affinché ripristini una situazione di legalità nella gestione dei
146
Bombardelli M., “Razionalizzazione delle funzioni ispettive in materia di previdenza sociale e
di lavoro – commentario sistematico al d. lgs. n. 124/2004”, in Le nuove leggi civili commentate,
2005
80
rapporti con il personale occupato. Nel secondo capitolo sono stati descritti diversi
istituti, attivabili dagli ispettori del lavoro, preliminari all’accertamento definitivo
dell’illecito e all’attivazione della procedura che si conclude con l’emanazione
dell’ordinanza-ingiunzione da parte della D.p.l. In particolare si ricorda la
conciliazione monocratica, la diffida accertativa per i crediti patrimoniali, la
diffida ad adempiere e la prescrizione, tutti istituti che vedono coinvolti come
parti in causa l’organo ispettivo ed il datore di lavoro, ma che molto spesso si
concretano invece in un dialogo/confronto tra organo ispettivo e consulente del
lavoro. Questo, in veste di responsabile della gestione del personale e
rappresentante del datore, ha il compito di sviluppare nel migliore dei modi il
processo conciliativo, nel caso sia questa la via intrapresa, o perseguire comunque
gli interessi del proprio assistito nel caso di situazioni caratterizzate da una
posizione dominante dell’Amministrazione (dove cioè non è prevista una fase
conciliativa e di confronto tra le parti) quale è il caso della diffida ad adempiere. È
insomma chiamato ad interagire con le istituzioni di volta in volta coinvolte nella
gestione degli strumenti che il legislatore ha messo a disposizione degli organi
ispettivi, sia i più “vecchi” comunque riformati dal decreto legislativo n. 124/2004
(ridefinizione della diffida ad adempiere e della prescrizione), sia soprattutto
quelli più innovativi introdotti con la nuova disciplina (conciliazione monocratica
e diffida accertativa per i crediti patrimoniali).
4.1 Definizione della procedura conciliativa: alcuni richiami alla
conciliazione monocratica ed alla conciliazione obbligatoria.
Uno degli strumenti a cui il legislatore del 2004 ha fatto ricorso per cercare di
ridurre i contenziosi giudiziari in materia di lavoro è la conciliazione monocratica.
Richiamando brevemente la procedura prevista dalla normativa in vigore ricordo
che i tipi di conciliazioni previste dall’art. 11 sono due: la conciliazione
preventiva attivabile dalla D.p.l. quando, su segnalazione del lavoratore, ritiene
che ci siano elementi per una soluzione conciliativa della controversia; e la
conciliazione contestuale, avviata nel corso dell’ispezione qualora l’ispettore
ritenga vi siano i presupposti per espletare il tentativo. L’organismo competente
per il tentativo di conciliazione preventiva è la Direzione provinciale del lavoro
legittimata ad esercitare la vigilanza (quella del luogo di svolgimento del rapporto
di lavoro), dopo che il Dirigente della stessa D.p.l. ha valutato l’esistenza o meno
81
di elementi che rendano possibile l’attivazione del tentativo147. Fatto ciò si
provvede alla convocazione delle parti tramite funzionario scelto <<tra quelli con
adeguata e specifica professionalità maturate in tale ambito>> ; le parti possono
farsi assistere, nel giorno e nell’ora fissati per la convocazione, da un
professionista di cui all’art. 1 della legge n. 12/1979, quindi dottori
commercialisti, avvocati, ragionieri, periti commerciali e su tutti da un consulente
del lavoro.
Nel caso in cui si raggiunga un accordo questo deve apparire da apposito verbale,
sottoscritto dal funzionario incaricato, che acquista così piena efficacia. Esso
diviene infatti inoppugnabile stante l’inoperatività dei commi 1-2 e 3 dell’art.
2113 c.c. relativi alle rinunzie e alle transazioni. Il procedimento ispettivo si
estingue con il pagamento delle somme concordate con i relativi obblighi
contributivi, che non devono in ogni caso essere mai inferiori a quelli calcolati sui
minimali di legge. Nel caso invece non ci sia accordo si redige un verbale di
mancato accordo e la D.p.l. avvia la procedura ispettiva148. Lo stesso iter viene
seguito anche per quel che riguarda la conciliazione contestuale alla visita
ispettiva.
La conciliazione monocratica non è comunque uno strumento assolutamente
nuovo all’interno del nostro sistema giuridico, essendo anzi piuttosto
un’alternativa al tentativo obbligatorio di conciliazione di cui all’art. 409 e ss del
c.p.c., che nonostante questa nuova introduzione rimane valida e resta condizione
di procedibilità per il successivo ricorso alla magistratura del lavoro. In sostanza
l’innovazione apportata dall’art. 11 d. lgs. n. 124/2004 sta tutta nella caratteristica
monocraticità dell’organo conciliante, essendo invece collegiale l’organo davanti
cui si esplica il tentativo obbligatorio. Anche qui è necessario richiamare in sintesi
i principali elementi che definiscono questa procedura, considerato che anche in
questa situazione è il consulente del lavoro il soggetto chiamato il più delle volte
ad assistere il datore di lavoro. Innanzi tutto si sottolinea che la modifica al c.p.c
che ha reso obbligatorio il tentativo di conciliazione risale al 1998 con il d. lgs. n.
147
Sempre ricordando che non è utilizzabile la conciliazione in caso di evidenti e chiari indizi di
violazioni penalmente rilevanti. Ancora si rimanda al Cap. II per la completa trattazione
dell’argomento.
148
Per la completa trattazione dell’istituto della conciliazione monocratica rimando al secondo
capitolo, paragrafo 2.2 “La conciliazione monocratica” e s.s.
82
80, con il quale il legislatore fece un primo tentativo per diminuire il numero di
controversie in materia di lavoro, favorendo la soluzione delle controversie in
sede conciliativa. A norma di quanto previsto dall’art. 410 del c.p.c. chi intende
proporre in giudizio una domanda relativa ai rapporti previsti dall’art. 409149
c.p.c., senza avvalersi delle procedure previste eventualmente dai contratti
collettivi, deve promuovere un tentativo di conciliazione presso la commissione di
conciliazione individuata secondo i criteri dell’art. 413 c.p.c.; tale commissione è
costituita presso la Direzione provinciale del lavoro ed è formata da quattro
rappresentati dei lavoratori, quattro rappresentanti dei datori di lavoro ed è
presieduta dal Direttore dell’ufficio o da un suo delegato. Relativamente ai
rapporti di lavoro nel settore privato, il tentativo di conciliazione delle vertenze
può essere esperito anche in sede sindacale (co. 3, art. 411 c.p.c.) nelle forme
previste dalla contrattazione collettiva; se invece il tentativo si svolge nella sede
amministrativa la competenza è della Commissione nella cui circoscrizione è
sorto il rapporto di lavoro, costituite così come appena detto. Se si raggiunge un
risultato positivo il verbale di conciliazione è depositato presso la cancelleria del
Tribunale che lo dichiara esecutivo con decreto; si ricorda che le rinunce derivanti
dalla conclusione dell’accordo sono inoppugnabili (art. 2113 c.c).150 Come detto
questo tentativo di accordo deve essere obbligatoriamente esperito affinché si crei
il presupposto per poter proporre eventualmente una domanda in giudizio
relativamente ai rapporti previsti dall’art. 409 c.p.c., anche in seguito
all’introduzione della nuova conciliazione monocratica ex art. 11
d. lgs. n.
124/2004.
4.2 La funzione del consulente in sede conciliativa
Tornando più propriamente a considerare gli istituti tipici del decreto legislativo n.
124/2004 è importante quindi fare alcune riflessioni relativamente all’importanza
149
Controversie relative a: 1) rapporti di lavoro subordinato privato, anche se non inerenti
all’esercizio di una impresa;………3) rapporti di agenzia, di rappresentanza commerciale ed altri
rapporti di collaborazione, che si concretizzino in una prestazione di opera continuativa e
coordinata……..anche se non a carattere subordinato;……..
150
Per una completa trattazione del tentativo obbligatorio di conciliazione ex art. 410 c.p.c. si
rimanda a: Casotti A, Gheido M.R.,” Le strategie difensive del datore di lavoro”, Giuffrè editore,
2005; Massi P. “Le conciliazioni presso le direzioni provinciali del lavoro”, www.dplmodena.it,
Agosto 2005.
83
che può assumere il consulente del lavoro qualora sia incaricato di assistere il suo
cliente durante una conciliazione.
Per prima cosa si deve rilevare che vista la potenzialità dello strumento, atto ad
estinguere il procedimento ispettivo in seguito <<al versamento dei contributi
previdenziali ed assicurativi riferiti alle somme concordate in relazione al periodo
lavorativo riconosciuto dalle parti, ed al pagamento delle somme dovute al
lavoratore>>151, l’ordine dei consulenti del lavoro ha riscontrato una
concentrazione eccessiva di “poteri” in mano al funzionario, che ha piena facoltà
di valutare se ammettere o meno il datore alla conciliazione. Fino ad oggi l’istituto
conciliativo aveva (e mantiene ancora per quel che riguarda la procedura ex art.
411 c.p.c.) solamente un carattere di obbligatorietà, per cui il professionista era
conscio della necessità di rivolgersi preventivamente alla Commissione di
conciliazione per poter successivamente adire la magistratura del lavoro in ordine
a predeterminate questioni, previste esplicitamente dall’art. 409 c.p.c. L’art. 11 d.
lgs. n. 124/2004 apre le porte a nuove possibilità di intervento del consulente che
può essere chiamato a rappresentare il datore in una nuova sede conciliativa, che
non è però obbligatoriamente prevista dalla normativa, ma è subordinata ad una
decisione da parte del funzionario che attiva la procedura solo qualora lo ritenga
opportuno. Sembra quindi che il non avere stabilito con certezza quali debbano
essere i parametri di riferimento su cui si basa il giudizio, peraltro insindacabile,
del funzionario possa vincolare e limitare la possibilità del professionista di
trattare sulle questioni sollevate dal lavoratore o emerse in fase ispettiva. Si
ricorda che il potere discrezionale del funzionario è, a parere degli stessi dirigenti
delle Direzioni provinciali152, atto a superare un eventuale consenso alla procedura
conciliativa manifestato dal lavoratore all’atto della denuncia. È chiaro che questo
possa diventare un limite all’intervento del consulente, il quale potrebbe ben avere
a disposizione sia gli elementi adatti ad una soluzione concertativa, sia il consenso
del lavoratore, ma è impossibilitato ad intervenire dal diniego all’avvio della
151
Casotti A., Gheido M.R., “Le strategie difensive del datore di lavoro”, Giuffrè editore, 2006, pg
31.
152
Ricordo a titolo di esempio Massi E., dirigente della direzione provinciale del lavoro di
Modena, il quale in diversi articoli (“Le conciliazioni presso le direzioni provinciali del lavoro”,
www.dplmodena.it , per esempio) sostiene appunto la tesi che il funzionario possa rifiutare di
attivare il tentativo di conciliazione nonostante manifesta accettazione da parte del denunciante (i
moduli attuali di denuncia prevedono la possibilità di avvalersi della procedura conciliativa).
84
procedura da parte del funzionario ispettivo. Un altro problema, sollevato sempre
da parte dell’ordine professionale153, riguarda ancora la discrezionalità nella
decisione sull’avvio della procedura conciliativa, questa volta in relazione alla
cosiddetta conciliazione contestuale. Ci si è chiesto infatti come sia possibile che
l’ispettore dia il consenso all’attivazione della fase conciliativa mentre si trova in
azienda ad interrogare lavoratori ed esaminare documenti. Ci sono dei casi in cui
all’emergere dell’irregolarità e della volontà di entrambe le parti di provare a
concertare una soluzione vantaggiosa per entrambi, l’ispettore potrà scegliere se
ritenere plausibile un tentativo di conciliazione o continuare nell’ispezione fino a
determinare con precisione la violazione e procedere ad accertarla. Il presupposto
per poter procedere alla conciliazione è infatti la mancata verificazione di
elementi probatori atti a dimostrare la responsabilità del datore. Si può conciliare
quindi solamente se il funzionario non dispone di elementi di prova certi, non
suffragati da elementi documentali o testimoniali154. Di conseguenza può essere
estremamente sottile il confine tra potenziali omissioni riscontrate in sede
ispettiva passibili di essere rivalutate in fase conciliativa ed il loro accertamento, è
il funzionario che ha il potere qui di decidere quale strumento applicare. È in
definita una problematica che potrebbe portare ad una sorta di discriminazione tra
le aziende, che vedrebbero attuato uno o l’altro comportamento a seconda del
funzionario di volta in volta chiamato ad intervenire.
Da un punto di vista maggiormente pratico oggetto della conciliazione sono
controversie che riguardano esclusivamente richieste aventi contenuto economicopatrimoniale derivanti dal rapporto di lavoro ed il mancato rispetto della
normativa previdenziale ed assistenziale, indipendentemente dall’origine legale o
contrattuale. Nel testo della norma si fa riferimento infatti a “somme concordate”,
“periodo lavorativo riconosciuto dalle parti” e “pagamento delle somme dovute al
lavoratore”, in più si lega l’effetto estintivo della procedura ispettiva “all’effettivo
pagamento dei contributi”155.
153
“ La conciliazione monocratica”, Consiglio nazionale dell’ordine dei consulenti del lavoro,
www.consulentidellavoro.it, articolo gennaio 2005.
154
Messineo D., “La nuova conciliazione monocratica nella riorganizzazione dei servizi
ispettivi”, Il lavoro nella giurisprudenza, n. 8/2005.
155
Per un chiarimento in merito alla questione contributiva vedi pag. 84.
85
Chiaramente lo strumento della conciliazione può essere molto utile al datore di
lavoro, che in diverse situazioni trova maggiormente conveniente raggiungere un
accordo con il lavoratore piuttosto che dover poi difendersi in sede giudiziaria o
procedere al pagamento della sanzione emessa con l’ordinanza-ingiunzione.
Infatti va ricordato che tra i presupposti oggettivi che debbono essere presenti
affinché il funzionario possa richiedere il tentativo di conciliazione c’è la
previsione per cui <<non debbono essere presenti elementi oggettivi e certi atti a
dimostrare la sussistenza di illeciti amministrativi>>156; di conseguenza è
possibile che l’illecito sia presente nella particolare situazione ma che non ci siano
gli elementi per provarlo e dimostrarlo. In tal caso sarà vantaggioso per il datore,
che verosimilmente è a conoscenza della violazione, tentare di conciliare la
controversia ed evitare che abbia inizio l’ispezione. E’ uno strumento potente che
il consulente del lavoro dovrà sfruttare al meglio; il termine stesso di
conciliazione implica la necessità che le parti si facciano delle reciproche
concessioni, da un lato il lavoratore sarà portato a rinunciare ad alcuni dei diritti
(legali o contrattuali che siano), ed a relative somme che scaturivano dal loro
esercizio, in virtù di una più celere soluzione della controversia che gli garantisca
di ricevere quanto pattuito in tempi brevi. Dall’altra parte il consulente cercherà di
trovare un compromesso, una soluzione equilibrata che comporti un sacrificio
economico il più contenuto possibile, ma che tenga in ogni caso presente la
caratteristica “tombalità” dell’accordo raggiunto. Con ciò si vuole dire che
probabilmente il professionista, ed il suo rappresentato naturalmente, cercherà di
assecondare, per quanto possibile, le richieste economiche del lavoratore con
l’obiettivo finale di evitare che l’ispezione in azienda abbia inizio, eventualità
sempre sgradita ai datori di lavoro in quanto, nel migliore delle ipotesi, si reca
comunque una turbativa alla normale vita aziendale e all’attività produttiva.
Questo appunto nella migliore delle ipotesi, è sempre possibile, se non addirittura
probabile, che oltre all’illecito su cui si è tentata la conciliazione, emergano altre
infrazioni. Si potrebbe osservare che probabilmente la facilità con cui il datore di
lavoro sia disponibile ad assecondare le richieste del lavoratore stia in una
relazione direttamente proporzionale con il “grado di illegittimità” presente nella
gestione del suo personale; nel senso che tanto più il datore è conscio delle
156
Circolare Ministero del Lavoro n. 24/2004.
86
infrazioni commesse e rilevabili in caso di ispezione, tanto più è disponibile a
chiudere la questione in sede conciliativa ed evitare l’ispezione stessa.
Questa può essere una chiave di lettura che tuttavia non può e non deve essere
l’unica; in ogni caso l’ispezione aziendale è un momento di turbativa e fonte di
disturbo per il datore di lavoro, al di là del livello di legalità applicato nella
gestione del personale dell’impresa, ed il quarto comma dell’art. 11 nel prevedere
l’estinzione del procedimento ispettivo in seguito al versamento delle somme e
dei contributi pattuiti (semplificando) è un incentivo molto forte al
raggiungimento di un accordo, anche se si è nella consapevolezza di avere
applicato correttamente tutte le normative giuslavoristiche previste.
In definitiva serve una particolare abilità che permetta al consulente del lavoro di
vagliare tutte le diverse situazioni che entrano in gioco e che spingono la
quantificazione della somma in sensi opposti. Da un alto c’è la necessità di non
dover sopportare un eccessivo sacrificio economico, valutando anche la possibilità
di non raggiungere l’accordo ed eventualmente, qualora venga accertato l’illecito,
di pagare la relativa sanzione. Dall’altro c’è la necessità di raggiungere l’accordo
per evitare il prosieguo o l’avvio dell’ispezione, sia per non recare la turbativa di
cui si parlava in precedenza sia per evitare l’emersione di altre situazioni di
irregolarità. Sarà la valutazione di queste opposte istanze che guiderà il
comportamento del consulente in sede ispettiva.
Un punto importante che deve essere tenuto presente nell’espletamento del
tentativo di conciliazione riguarda il trattamento dei contributi previdenziali. Il
costo per l’azienda di un accordo maturato in sede di conciliazione monocratica
comprende anche il versamento dei contributi all’ente previdenziale, tant’è che la
norma stessa subordina l’estinzione del procedimento ispettivo “all’effettivo
pagamento dei contributi”, correlati alle retribuzioni concordate ed al periodo di
lavoro riconosciuto. Il problema della determinazione dei contributi è stato molto
dibattuto in dottrina ed ha sollevato molti dubbi tra chi si è occupato della
questione. Senza addentrarci troppo basti ricordare che il punto centrale sta
nell’aver riscontrato nell’art. 11 d. lgs. n. 124/2004 una violazione del principio
della indisponibilità del debito contributivo laddove si ritenesse di dover prendere
come base imponibile per il calcolo di tale credito la somma pattuita nell’accordo
raggiunto tra le parti. In questo caso infatti si subordinerebbe la determinazione
dei contributi da versare all’ente, alla cifra che le parti concordano durante la
87
conciliazione monocratica. In realtà si è attestato che il riferimento dell’art. 11,
comma 4, alle “norme in vigore” imponga il rispetto (e non si vede come non
possa essere altrimenti) dei minimali contributivi di legge nel caso l’importo di
conciliazione sia inferiore a detti minimali, così come stabilito dalla l. n. 389/89,
all’art. 1, 1° comma157. Di conseguenza è conforme tanto ai principi generali
quanto all’art. 11 che essendoci il riconoscimento del credito per un determinato
periodo in sede conciliativa, su di esso vengano calcolati i relativi contributi
previdenziali, nel pieno rispetto delle norme in vigore, e quindi anche dei
minimali di legge e di contratto collettivo158. L’aspetto innovativo sta solo nel
fatto che in contropartita all’effetto premiale dell’estinzione del procedimento
ispettivo deve avvenire il pagamento del debito contributivo stesso. Da un punto
di vista dei costi della conciliazione la questione è rilevante. Da parte dei
consulenti del lavoro infatti è d’uso, nelle transazioni con i lavoratori, contestare
tutte le eccezioni formulate ed offrire a saldo e stralcio una somma a titolo
conciliatorio della controversia. Sono le cosiddette conciliazioni “novative”, le
quali, secondo affermata giurisprudenza, sfuggono al prelievo contributivo in
quanto non è individuabile, nell’emolumento spettante al lavoratore, la natura
retributiva necessaria per poter computare la somma nella base imponibile per il
calcolo dei contributi159. Da questo deriva la necessità di valutare attentamente
l’aspetto contributivo che pesa sulla transazione con il lavoratore, non è più
sufficiente determinare una cifra a stralcio da proporre alla controparte per
soddisfare le diverse pretese avanzate, bisogna valutare il peso che l’aspetto
contributivo ha sulla stessa cifra, posto che questo sarà in relazione al periodo di
riferimento sul quale datore e lavoratore conciliano la controversia L’Ordine dei
consulenti ha definito le regole dettate dal Ministero per la regolarizzazione
contributiva come “un compromesso fra il ruolo che è affidato all’ispettore e la
necessità per lo Stato di riconoscere in ogni caso, al lavoratore, un periodo
contributivo”; quasi a dire che a fronte di una richiesta del lavoratore o di una
157
Zoli C, Conciliazione Monocratica in “Razionalizzazione delle funzioni ispettive in materia di
previdenza sociale e di lavoro” – commentario sistematico al d. lgs. n. 124/2004 in Le nuove
leggi civili commentate, 2005. Casotti A., Gheido M.R., “Le strategie difensive del datore di
lavoro”, Giuffrè editore, 2006, pg. 31.
158
Capurso P., “La riforma del mercato del lavoro: riflessi sulle obbligazioni contributive
previdenziali”; Genova 19/12/2005, www.giuslavoristi.it/relazioni.
159
Scacco A.C., Bianchi N., “Manuale del consulente del lavoro”, Buffetti Editore, 2006.
88
valutazione dell’ispettore che porti all’espletamento del tentativo di conciliazione
monocratica, l’amministrazione da un lato non può esimersi dal richiedere
comunque l’assolvimento dell’obbligo contributivo e dall’altro non vuole con
questo incidere troppo negativamente sulle possibilità di raggiungimento
dell’accordo.
4.3 La diffida accertativa: il nuovo strumento per il recupero dei crediti
patrimoniali.
L’art. 12 del decreto lgs. n. 124/2004 ha introdotto l’istituto della diffida
accertativa per i crediti patrimoniali con l’effetto primario di <<consentire la
lavoratore di vedersi più celermente soddisfatti i crediti derivanti dalla propria
attività lavorativa>>, con uno strumento cui, a determinate condizioni, la legge
attribuisce l’efficacia di titolo immediatamente esecutivo160. Agli ispettori è
quindi consentito intervenire in prima persona a tutela dei crediti dei prestatori di
lavoro, a prescindere dalla commissione di illeciti amministrativi o penali161,
manifestando la volontà dello Stato di assicurare una protezione integrale dei
diritti dei lavoratori, assegnando agli ispettori un ruolo che, in precedenza, era
affidato al sindacato162.In sostanza si apre la possibilità per l’ispettore di diffidare
il datore di lavoro al pagamento dei crediti patrimoniali qualora abbia acquisito
elementi certi e idonei a determinare il calcolo delle spettanze163, il Ministero
parla più precisamente di <<valutazione delle circostanze del caso, secondo un
prudente apprezzamento dei risultati dell’indagine e degli elementi obiettivi
acquisiti>> nella Circolare n. 24/2004. Nel caso in cui non sia praticabile questa
strada l’ispettore può sempre acquisire il consenso delle parti ad una conciliazione
monocratica. Anche in questo caso siamo di fronte all’introduzione di un nuovo
istituto, sconosciuto prima dell’approvazione del d. lgs. n. 124/2004, con il quale
160
Rausei P., “La nuova ispezione in azienda. Poteri e funzioni del personale ispettivo”, in Dir.
Pratica Lavoro, serie Oro n. 4.
161
Bolego G., “Diffida accertativa per i crediti patrimoniali”, in “Razionalizzazione delle funzioni
ispettive in materia di previdenza sociale e di lavoro” – commentario sistematico al d. lgs. n.
124/2004 in Le nuove leggi civili commentate 2005, p. 958.
162
Monticelli M., “La riorganizzazione dei servizi ispettivi e delle attività di vigilanza: funzioni e
finalità”, in La riforma dei servizi ispettivi in materia di lavoro e previdenza sociale. Commentario
al decreto legislativo n.124/2004, p. 28.
163
Per una completa trattazione della diffida accertativa per i crediti patrimoniali si rimanda al Cap
II, paragrafo 2.3 del presente lavoro.
89
il consulente del lavoro deve confrontarsi, con la consueta professionalità e
capacità interpretativa che ne contraddistingue l’operato.
È indubbio che la norma ha una rilevanza non indifferente, e ha sollevato una
pluralità di dubbi in ordine a diverse questioni, già discusse nella prima parte di
questo lavoro. Preme qui sottolineare invece altri aspetti, maggiormente connessi
con l’attività professionale del consulente e che incidono nella gestione del
personale aziendale da parte del datore. La facoltà concessa agli ispettori di
diffidare direttamente il soggetto ispezionato alla corresponsione di somme sulla
base delle valutazioni effettuate è assolutamente innovativa e può avere una
portata rilevante all’interno del sistema aziendale; se prima infatti i poteri sul
fronte del recupero dei crediti era circoscritto in quanto il personale ispettivo si
limitava ad accertare le violazioni e a procedere al recupero della contribuzione,
ora ha facoltà di intervenire direttamente sul soddisfacimento dei crediti dei
lavoratori. Questo può naturalmente comportare un appesantimento dell’esborso
da parte del datore il quale oltre al credito contributivo e ad una eventuale
sanzione pecuniaria (ove prevista) si trova avverso anche un provvedimento che,
in seguito ad una validazione della Direzione provinciale, è immediatamente
esecutivo. Questa diffida deve essere notificata al datore di lavoro, è ciò avverrà o
per consegna a mani direttamente alla fine dell’ispezione, oppure mediante
raccomandata. Non è previsto un termine per ottemperare ma l’unico modo che il
datore ha di evitare che la diffida acquisisca efficacia di titolo esecutivo è
<<promuovere tentativo di conciliazione presso la direzione provinciale del
lavoro>>, entro 30 gg. dalla notifica della diffida stessa. Anche qui si ripete in
parte la stessa situazione analizzata in precedenza relativamente alla conciliazione
monocratica; per motivi che sono in questo caso diversi, la spinta che il datore di
lavoro subisce affinché si arrivi alla conciliazione è molto forte. L’accertamento
del credito è infatti destinato ad acquisire efficacia esecutiva in mancanza di
alcuna reazione da parte del soggetto destinatario della diffida, il quale sarà di
conseguenza spinto ad attivare quanto meno una procedura conciliativa per tentare
di ridurre quanto più possibile quanto accertato dall’ispettore. Anche il consulente
dovrà essere abile nel cercare di mediare la controversia; considerando che forse il
datore si trova in una situazione ancora peggiore in cui versa in seguito ad una
90
sentenza di condanna al pagamento di somme164, qui infatti la cosa migliore da
fare è probabilmente transigere, visto che l’alternativa è di subire l’esecuzione
forzata. Della procedura conciliativa, che si apre in seguito all’emanazione della
diffida accertativa, c’è da dire che pur essendo senz’altro quella prevista dall’art.
11 (conciliazione monocratica), essa si presenta con caratteri peculiari; su tutti il
fatto che soggetto promotore non è l’ispettore ma il datore di lavoro. In ogni caso
sarà compito del consulente confrontarsi con la controparte, quindi il lavoratore
eventualmente assistito dai sindacati, e cercare di valutare, soprattutto
quantitativamente, l’importo che può essere liquidato. Ovviamente il lavoratore ha
come solida base di appoggio la diffida emessa dall’ispettore, egli è consapevole
che in ogni caso quell’atto, in seguito ad una validazione (che si riduce ad un
mero atto formale) del direttore della D.p.l., diventa esecutivo, e gli consente di
far valere coattivamente il credito accertato durante l’ispezione. In virtù di questo
il consulente sarà costretto ad assecondare sensibilmente le richieste ricevute,
anche in considerazione del fatto che una volta che l’importo è stato sborsato sulla
base della diffida, c’è una notevole difficoltà nel recupero di quanto pagato al
lavoratore che di solito si rende incapiente165. A questo punto si può sostenere che
con tutta probabilità ci sarà un favore alla soluzione della questione in sede
conciliativa, dove è possibile ci sia una trattativa in relazione al quantum, ma
soprattutto in relazione alla tempistica del pagamento. Se infatti si forma il titolo
esecutivo il lavoratore a pieno diritto può procedere ad esecuzione forzata in
seguito a precetto166, mentre è plausibile che in sede conciliativa si riesca a
stabilire una rateazione del pagamento su diverse scadenze, pensate in modo tale
da rendere meno gravoso il sacrificio economico sostenuto dal datore di lavoro. Il
tutto dipenderà anche dal buonsenso della controparte, dalla disponibilità di
quest’ultima di rinunciare ad avere tutto subito nel nome di una soluzione più
164
Infatti nel caso di diffida accertativa per i crediti patrimoniali non c’è stato alcun accertamento
giurisdizionale, l’esecutività non è qui il mezzo con cui dare attuazione ad un diritto fatto valere
nell’ambito di un giudizio di cognizione (normale processo), deriva solo da una valutazione del
funzionario ispettivo.
165
Vallebona A., “L’accertamento amministrativo dei crediti di lavoro”, www.dplmodena.it, pg. 2.
166
Il precetto è atto di parte ex art. 479-480 c.p.c. con il quale inizia il procedimento di esecuzione
forzata, ha precise formalità previste dalla legge, deve contenere la trascrizione integrale del titolo
esecutivo ed ha 90 giorni di validità. Da appunti del corso “Elementi di procedura professionale”,
docente dott. Mandrioli Luca.
91
equilibrata che contempli anche le esigenze del soggetto che deve sborsare gli
emolumenti. Un appunto alla soluzione conciliativa viene mosso nuovamente dal
Consiglio Nazionale dell’ordine dei consulenti167, il quale rileva come
l’impostazione fornita dalla Circolare Ministeriale n. 24/2004 nello stabilire che
<<la conciliazione che, in considerazione delle caratteristiche e delle finalità
dell’istituto, va effettuata secondo le modalità procedurali previste dall’art. 11 del
decreto…omissis…>> sia probabilmente troppo limitativo, essendo difficile
escludere che le parti del rapporto di lavoro possano in realtà effettuare una
transazione novativa168, in considerazione del fatto che il lavoratore potrebbe non
essere significativamente interessato a quanto forma oggetto di diffida.
4.4 Tutela amministrativa e tutela giurisdizionale
Nel caso si ritenga assolutamente illegittimo il provvedimento di diffida emesso
dall’ispettore, c’è la possibilità di proporre ricorso amministrativo al Comitato
regionale per i rapporti di lavoro169, composto dal direttore della Direzione
regionale del lavoro, dei direttori regionali di INPS ed INAIL ed integrato da due
rappresentanti sindacali, rispettivamente uno dei datori di lavoro e uno dei
lavoratori170. Non è previsto un termine per la proposizione del ricorso ma anche
qui la celerità con cui il consulente adirà al Comitato sta nell’interesse del suo
assistito, poiché il ricorso sospende l’efficacia esecutiva della diffida. Tuttavia il
rimedio-controllo amministrativo può risultare quantomeno debole e meramente
eventuale, visto che in caso di omessa decisione entro 90 giorni si forma il
silenzio-rigetto. Se invece il ricorso viene accolto la diffida viene annullata in
tutto od in parte. Da ultimo va naturalmente ricordato che è comunque sempre
possibile attivare una tutela giurisdizionale in virtù del diritto garantito dall’art. 24
167
Fondazione Studi. Consulenti del lavoro, Consiglio Nazionale dell’Ordine. Commissione
Osservatorio dell’attività amministrativa (porposte per una razionale e moderna gestione dei
rapporti di lavoro nell’ambito dei rapporti con la pubblica amministrazione) : “Razionalizzazione
delle funzioni ispettive sul lavoro, in materia previdenziale e di lavoro”. Roma, 04/07/2005.
168
Vedi paragrafo precedente sella conciliazione monocratica.
169
Per una trattazione completa dei ricorsi amministrativi, e del ricorso ex art. 17, d. lgs. n.
124/2004, vedi “5.1.1. Il ricorso al comitato regionale per i rapporti di lavoro”, pg 113.
170
Vallebona A., relazione sull’ “L’accertamento amministrativo dei crediti di lavoro”,
www.csdn.it/csdn/relazioni_doc/vallebona_costa_classica_2005.doc
92
della Costituzione171. Nonostante il silenzio del legislatore sono ricavabili alcuni
principi di base; innanzi tutto la giurisdizione è del giudice ordinario del lavoro
poiché la questione riguarda diritti ed obblighi correlati al rapporto di lavoro.
Dopodichè si ritiene che l’azione possa essere proposta subito dopo la notifica
della diffida, senza necessità di attendere la dichiarazione di esecutività della
stessa e di presentare preventivamente il relativo ricorso amministrativo. È
l’azione di accertamento negativo, con la quale si chiede che si accerti
l’inesistenza del credito vantato dal lavoratore; l’onere della prova grava sul
lavoratore mentre si ricorda che
l’accertamento
amministrativo
svolto
dall’ispettore che ha successivamente emanato la diffida fa piena prova fino a
querela di falso solo per i fatti percepiti direttamente dal verbalizzante, non hanno
quindi valore le dichiarazioni apprese da terzi, ne le elaborazioni fatte
dall’ispettore stesso. È lo stesso principio applicato ai verbali di accertamento
ispettivo (art. 10, comma 5, del d. lgs. n. 124/2004)172. La proposizione
dell’accertamento negativo è rilevante, in questa sede, in quanto consente al
datore di lavoro di richiedere una consulenza tecnica contabile, atta a contestare i
conteggi effettuati dall’ispettore durante l’accesso in azienda. Ancora una volta è
auspicabile l’intervento del consulente che tra le sue professionalità comprende la
consulenza tecnica di parte ma, cosa ancora più importante, comprende la capacità
di determinare l’ammontare del credito esaminando gli aspetti contabili,
economici, giuridici, assicurativi e previdenziali che stanno alla base della somma
contestata.
4.5 Verso una nuova figura di conciliatore?
Alla luce delle considerazioni appena fatte, ed alla luce di quanto detto nella
prima parte del lavoro con la sistematica trattazione di questi due innovativi
istituti volti a ridimensionare il modello repressivo in favore di un modello che
predilige la prevenzione ed il deflazionamento del contenzioso, c’è da dire che
probabilmente non è stato data la giusta importanza e valorizzazione al ruolo del
consulente. Egli a ben vedere si inserisce in questo nuovo sistema continuando a
svolgere la tipologia di attività caratteristica della professione, ha naturalmente
171
L’art. 24 prevede che <<Tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi
legittimi. La difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento>>.
172
Vallebona A., relazione sull’ “L’accertamento amministrativo dei crediti di lavoro”,
www.csdn.it/csdn/relazioni_doc/vallebona_costa_classica_2005.doc
93
più occasioni di confronto con i lavoratori che gli sono offerte dalle nuove
procedure conciliative degli art. 11 e 12 appena esaminati, ma non gli viene
fornita la possibilità di partecipare più attivamente al processo di modifica avviato
con il d. lgs. n. 124/2004 valorizzando il suo ruolo di soggetto naturalmente
deputato alla conciliazione e alla soluzione delle controversie di lavoro173. A tal
proposito è stata avanzata una proposta di riforma da parte dei Consigli
provinciali dell’ordine che prevede l’inserimento, nell’art. 410 c.p.c., di
commissioni di conciliazione presso ogni Consiglio provinciale stesso, in quanto
organo <<competente a curare gli interessi sia dei datori di lavoro che dei
lavoratori, e quindi organo terzo neutrale ed imparziale>>. Fonte di questa
imparzialità è la legge stessa che, oltre ad attribuire la qualifica di ordine
professionale alla categoria (elemento che qualifica già di per se come super
partes i consulenti del lavoro), stabilisce che essi <<svolgono gli adempimenti
previsti dalle norme vigenti per l’amministrazione del personale dipendente. Su
delega ed in rappresentanza degli interessati, sono competenti in ordine allo
svolgimento di ogni altra funzione che sia affine, connessa e conseguente, a
quanto previsto nel comma precedente (L. n. 12/1979)>>. Agisocono insomma su
delega di titolari di “interessi” relativi alla materia del lavoro, costituendo il punto
d’incontro tra datori di lavoro e lavoratori. In questo senso appare sensata la
richiesta che tra i soggetti legittimati a promuovere il tentativo di conciliazione ci
sia l’inserimento del Consiglio Provinciale dell’ordine dei consulenti del lavoro,
appunto istituendo dette commissioni presso le sedi dei diversi Consigli
Provinciali. In una ipotetica soluzione di questo tipo, la sottoscrizione dell’atto
risolutivo della controversia in presenza di un consulente dovrebbe naturalmente
acquistare valore legale, e diventare inoppugnabile ex art. 2113 c.c., per
raggiungere il fine di snellire l’attività procedimentale.
È una proposta che sicuramente presenta degli aspetti positivi, considerando
soprattutto la difficoltà in con cui operano attualmente le commissioni, sulle quali
grava costantemente la problematica della scarsità del personale. D’altra parte il
mondo dei consulenti del lavoro è storicamente affiancato al mondo aziendale
piuttosto che a quello dei lavoratori, al quale invece si ricollega invece il ruolo
delle organizzazioni sindacali. Naturalmente il professionista, in quanto tale, è
173
Casotti A, Gheido M.R.,” Le strategie difensive del datore di lavoro”, Giuffrè editore, 2005;
Cafaro R., “Il consulente del lavoro”, ne Il contratto di consulenza, Cedam 2003.
94
pagato per assistere il suo cliente, che tipicamente è la piccola-media impresa.
Questo però nulla toglie al fatto che il consulente del lavoro resta in ogni caso
prima di tutto un profondo conoscitore della disciplina che regola il mondo del
lavoro, con forte attitudine ad avere una visione chiara e concreta dei problemi
reali, visto che costantemente opera nella gestione del personale. La pragmaticità
con la quale sa affrontare le questioni che quotidianamente gli vengono poste dai
suoi assistiti, possono diventare prezioso bagaglio culturale, da sfruttare qualora si
preveda che gli venga affidato un importante ruolo all’interno del sistema delle
commissioni di conciliazione. Affinché questo accada è però necessario che si
vinca il pregiudizio di fondo secondo cui si è portati a ritenere che il consulente
del lavoro sia in ogni caso più favorevole agli interessi del datore del lavoro, e lo
si consideri anzi quale organo super partes in grado di favorire l’equilibrio tra le
controparti, così come auspicato dai Consigli Provinciali dell’Ordine. Dopotutto
se si richiede alle aziende di vincere l’ostilità nei confronti degli ispettori del
lavoro in modo da favorire lo sviluppo dell’attività preventiva e promozionale,
allo stesso modo si può chiedere ai lavoratori che abbiano fiducia nella neutralità
di una commissione di conciliazione costituita da consulenti del lavoro.
Comunque si può ritenere in via generale che sia quantomeno difficile che una
proposta di questo tipo posa essere sviluppata nel nostro paese; alle problematiche
di tipo “etico”, se così vogliamo dire, se ne aggiungono altre di tipo economico.
Difficilmente infatti un consulente del lavoro rinuncerà a dei profitti derivanti
dalla gestione di uno studio professionale per dedicare parte del suo tempo
all’attività conciliativa in commissione, a meno che non riceva una adeguata
remunerazione, magari tramite gettoni presenza. Viste le costanti difficoltà
economiche in cui versa l’amministrazione dubito si possano trovare le risorse per
gestire una situazione di questo tipo, senza contare che nel caso in cui si
trovassero le risorse probabilmente verrebbero utilizzate per aumentare il
personale ispettivo o il numero di commissioni previste dall’attuale sistema
legislativo piuttosto che per introdurne di nuove come vorrebbe la proposta sopra
esposta.
95
5. Il nuovo codice di comportamento degli ispettori del lavoro. Alcuni
cenni introduttivi
Il D. lgs. n. 124/04 ha profondamente riformato la disciplina della vigilanza sul
lavoro esercitata dal Ministero e dagli altri Enti coinvolti, prevedendo, tra i diversi
principi ispiratori, anche quello di una stretta collaborazione fra questi soggetti.
Alla lettura della norma non sfugge infatti il continuo richiamo ad una
“comunione d’intenti” tra Ministero del lavoro, INPS ed INAIL che dovrebbe
esplicarsi in una condivisione di obiettivi e di strategie operative. Lampante è la
previsione di cui all’art. 2 dove nel definire il ruolo della neo-creata Direzione
generale per l’attività ispettiva si richiede che essa assicuri “l’esercizio unitario
della attività ispettiva di competenza del Ministero del lavoro e delle politiche
sociali e degli enti previdenziali, nonché l’uniformità di comportamento degli
organi di vigilanza nei cui confronti la citata direzione esercita……un’attività di
direzione e coordinamento”. Su queste basi il Ministero e gli enti chiamati in
causa hanno sottoscritto un protocollo d’intesa (Aprile 2005) per dare attuazione a
quanto previsto dal decreto lgs. n.124/04 ed impegnarsi ad emanare un codice di
comportamento unitario per il personale ispettivo impegnato in ogni struttura.
Tralasciando di evidenziare quali problematiche sono emerse in sede
dibattimentale - in riferimento soprattutto alla difficoltà di elaborare un codice
comune per soggetti impegnati in procedure ispettive diverse - preme ricordare
come successivamente si sia arrivati prima all’elaborazione di un documento
comune, e poi alla stipula, nel Marzo del 2006, di un ulteriore protocollo d’intesa.
Con questo ultimo protocollo d’intesa i diversi Enti si impegnarono ad emanare
un codice di comportamento basato sul contenuto del documento comune
elaborato nell’anno precedente (il protocollo d’intesa marzo 2006). Il D.D. 20
Aprile 2006, diffuso con circolare n. 13/2006, è il codice di comportamento unico
emanato dal Ministero del lavoro, esso contiene soprattutto indicazioni di
carattere tecnico, relativamente alle procedure e alle modalità da seguire durante
l’attività di vigilanza tentando di definire un vero e proprio procedimento, sia pure
con valenza puramente interna174.
174
Nella circolare stessa che contiene il codice si precisa infatti che “ le previsioni contenute nel
codice operano esclusivamente come disposizioni interne, eventualmente rilevanti sul piano
disciplinare, senza che l’eventuale inosservanza delle stesse possa dar luogo a conseguenze di
diversa natura sul piano della legittimità dei provvedimenti adottati”. E non poteva essere
96
Anche se il documento non costituisce fonte di rango normativo resta comunque
rilevante ed importante nell’essere il primo punto di riferimento su cui valutare il
comportamento degli ispettori in azienda. A questo punto è chiaro che entra in
gioco anche il ruolo del consulente del lavoro il quale ponendosi come principale
referente del datore di lavoro con le autorità amministrative, si relaziona
continuamente anche con gli ispettori in fase di controllo. È nell’ordine naturale
delle cose che il consulente, che professionalmente appoggia la parte datoriale,
abbia mostrato delle perplessità su alcuni degli articoli del codice di
comportamento; ricordando che in ogni caso il codice non deriva da fonte
normativa e quindi non è legalmente vincolante ma rappresenta solamente un
tentativo di proceduralizzare l’attività ispettiva, è interessante vedere quale
posizione viene ad assumere il consulente del lavoro durante la visita ispettiva e
quali sono i punti più controversi del D.D. del 20 Aprile 2006 emanato dal
Ministero.
5.1 L’assistenza all’ispezione
Il primo punto rilevante da cui partire è l’art. 9 del codice di comportamento che,
al terzo comma, ricorda agli ispettori la necessità di informare il soggetto
ispezionato della “facoltà di farsi assistere, nel corso dell’accertamento, da un
professionista abilitato ai sensi dell’articolo 1 della L. n. 12/1979 affinchè
presenzi alle attività di controllo e verifica”, salvo poi aggiungere alla fine del
terzo comma che “l’assenza del professionista non osta la prosecuzione
dell’attività ispettiva, né inficia la validità della stessa”. Tra i professionisti
contemplati nella L. n. 12/1979 c’è naturalmente il consulente del lavoro, ed è
proprio a questa figura professionale che fa riferimento l’articolo in esame, vista
la sua peculiare competenza nella materia lavoristica già esaminata nel capitolo
terzo del presente lavoro.
In sostanza si richiede che in un primo momento venga identificato, se c’è, il
consulente di fiducia del datore di lavoro, e che lo si contatti affinché possa
scegliere se assistere o meno alle operazioni di ispezione. Il punto chiave sta nel
capire quale vincolo pone il citato terzo comma dell’articolo, soprattutto nella sua
parte finale, dove di fatto si qualifica come <<non necessaria>> la presenza del
altrimenti, non è pensabile che una fonte di rango amministrativo sia il riferimento per valutare la
legittimità degli atti posti in essere durante l’attività ispettiva.
97
consulente. Ho già ricordato, riportando quanto stabilito dal codice stesso, che il
compito informativo è assolto dall’ispettore portando a conoscenza il soggetto
“passivo” della possibilità di essere affiancato da un professionista di cui alla L. n.
12/1979; e con questo il compito informativo si esaurisce, non essendo poi
ammissibile, per diversi motivi, subordinare l’operato degli ispettori all’arrivo
dello stesso professionista presso il luogo di lavoro. Prendendo questo come punto
di partenza è comunque opportuno fare alcune considerazioni.
È bene chiarire che la presenza del consulente non può e non deve essere
considerata solamente come un “optional”, nel momento in cui il datore di lavoro
tenta di reperire il professionista e questi dà la sua disponibilità a presenziare alle
operazioni ispettive è bene che l’ispettore attenda il suo arrivo. Questo sempre che
l’attesa, che in ogni caso deve essere contenuta175, non svilisca l’intervento
ispettivo caratterizzato magari dalla necessità di immediatezza dell’accesso e della
verifica per cercare di intervenire in flagranza di reato/violazione. Deve essere
chiaro che nessun obbligo impone all’ispettore di attendere il consulente; egli, una
volta qualificatosi al soggetto da ispezionare176 ed averlo informato ai sensi
dell’art. 9 del codice di comportamento della possibilità di farsi assistere da un
professionista, può procedere allo svolgimento delle operazioni necessarie. La
volontà dell’ispettore di attendere l’arrivo di tale professionista deriva solamente
dall’applicazione “del buon senso e dello spirito collaborativo”, richiamati
esplicitamente dal codice di comportamento stesso, all’art. 4. Come ho poc’anzi
sottolineato, ci sono peraltro delle situazioni in cui risulta difficile immaginare che
l’accesso ispettivo sia
vincolato dall’arrivo del consulente del lavoro; basti
pensare ad esempio ad una visita ispettiva volta all’individuazione di lavoro nero.
175
La valutazione in questo caso è soggettiva. Il codice di comportamento non fa nessun
riferimento a tempi di attesa, è solo l’interpretazione di norme generali ed il buon senso delle parti
che ha sviluppato la tesi per cui è auspicabile che l’autorità ispettiva attenda l’arrivo del
professionista. Di conseguenza è rimesso all’ispettore stesso la valutazione di quale sia un tempo
di attesa accettabile.
176
All’art. 7 del codice di comportamento si prevede l’obbligo di qualifica dell’ispettore al
soggetto ispezionato, tramite esibizione di un cartellino di riconoscimento, in mancanza di tale
tessera non è possibile effettuare l’accesso. Per contro è obbligo del datore consentire l’accesso
una volta che l’ispettore si è qualificato, eventuali azioni ostative all’acceso in azienda possono
avere anche rilevanza penale (Decreto-legge 12 settembre 1983, n. 463, convertito in legge 11
novembre 1983, n. 638).
98
In questo caso si rende necessaria una tempestiva rilevazione di tutti i lavoratori
all’interno dell’ambiente di lavoro, e della relativa documentazione, al fine di
determinare chi risulta regolarmente assunto e chi invece sta prestando attività
lavorativa irregolarmente. L’ispettore quindi provvederà ad effettuare un
immediato accesso sul luogo di lavoro onde evitare una manomissione delle prove
o la fuga degli stessi lavoratori “in nero”.
In ogni caso bisogna sempre tenere presente che il datore di lavoro, o chi ne fa le
veci al momento dell’arrivo degli ispettori del lavoro, non può assolutamente
impedire l’accesso o procrastinarlo, pena la commissione del reato di interruzione
di pubblico servizio, oppure di resistenza a pubblico ufficiale177; per cui si rimarca
ancora una volta come la scelta di attendere la presenza del consulente per
effettuare l’ispezione sia discrezionalmente lasciata alla valutazione dei singoli
ispettori in relazione al caso particolare. A tal proposito si potrebbe pensare che in
nessun caso, durante una visita, l’ispettore sia interessato ad avere la presenza del
professionista che potrebbe, in virtù delle sue conoscenze e del fatto che in quel
momento rappresenta il suo cliente, ostacolare il reperimento di prove od istruire a
dovere i soggetti ispezionati su quanto dichiarare in eventuali interrogatori. In
realtà spesso gli ispettori beneficiano in modo significativo della presenza di un
soggetto con le adeguate competenze, in questo modo risulta più facile reperire la
documentazione, chiarire eventuali punti controversi, spiegare in modo chiaro e
compiuto la situazione. Non di rado accade che in situazioni di perfetta regolarità
siano stati emessi dei provvedimenti contro il datore di lavoro proprio per una
incapacità comunicativa che ha generato degli equivoci; il consulente del lavoro
ha le competenze tecniche e giuridiche per evitare situazioni di questo tipo e per
collaborare con maggiore efficacia all’attività di verifica. D’altra parte, a detta
dello stesso Dott. Pennesi178, in molti casi l’ispettore del lavoro sarebbe in grado
di risolvere delle problematiche emerse durante la visita semplicemente avendo un
referente qualificato con cui interloquire.
177
Ass. industriali prov. Di Vicenza, seminario “Tutela della salute sui luoghi di lavoro – attività
di controllo amministrativo e di indagine penale -.” “Facoltà e diritti di difesa del datore e dei
suoi collaboratori”, Avv. Furin N., Vicenza Giugno 2005.
178
Vice direttore Ministero del lavoro, Divisione ispettiva. Così al seminario di approfondimento
“Come gestire l’ispezione in azienda”, Treviso 30/11/2006.
99
Un discorso a parte meriterebbe anche la problematica relativa alla possibilità di
farsi assistere da un legale, basti ricordare qui che nel caso in cui l’ispettore
compia accertamenti in veste di ufficiale di polizia giudiziaria per accertare degli
illeciti penali potrebbe esserci l’obbligo di avvertire il legale179. Nella fattispecie
infatti non è più sufficiente il ruolo del consulente del lavoro, serve un soggetto
con le competenze adatte per fungere da garante del diritto di difesa
dell’ispezionato.
Per chiudere l’argomento è significativo evidenziare che l’art. 9, con una
disposizione volta a contrastare il fenomeno dell’abusivismo nello svolgimento
dell’attività di consulenza del lavoro, richiede al personale ispettivo di verificare
che il professionista sia abilitato all’esercizio della professione secondo quanto
previsto dalla L. n. 12/1979. Appare scontato dirlo ma in sostanza il professionista
che si appresta ad assistere il datore deve avere un riconoscimento legale di tale
titolo; nel caso particolare in cui ad assistere il datore sia un avvocato, un perito
commerciale, un commercialista o un ragioniere anziché un consulente del lavoro
è necessario dare comunicazione alla Direzione Provinciale del lavoro competente
della volontà di prestare anche l’attività di consulenza180.Oltre a ciò vanno
ricordate le recenti modifiche che hanno cambiato i requisiti di accesso alla
professione di consulente del lavoro181. Con la stessa logica è stata pensata la
previsione che consente solamente ai collaboratori dei professionisti, muniti di
apposita delega, di poter interagire con il personale ispettivo, anche se per
svolgere solamente gli adempimenti di carattere meramente materiale, lasciando
comunque l’attività strettamente consulenziale ai professionisti abilitati, così
come prevede la legge.
179
La Corte di Cassazione con sentenza n. 45477 del 20/12/2001 (Sezioni Unite Penali) ha
stabilito che è necessaria la presenza del legale nel caso di assunzione di dichiarazioni rilasciate
spontaneamente, queste
non sono quindi valide ai fini penali se fornite senza l’assistenza
dell’avvocato difensore (si ritiene che il datore possa ignorare alcuni suoi diritti e fornire, senza
saperlo, informazioni che non è tenuto a dare). Comunque la situazione relativa alla presenza del
legale è in generale variegata, in alcuni casi il difensore deve presenziare, in altri ha solo diritto ad
essere avvisato ma non è obbligatoria la sua presenza, il altre ancora può anche non essere
avvertito (non interessa approfondire l’argomento in questa sede).
180
L’abusivismo della professione comporta il reato di cui all’art. 348 c.p., la mancata
comunicazione alla Direzione Provinciale del lavoro competente la sanzione di cui all’art. 7 della
L. N. 1812/1939.
181
Vedi Cap III, “2. Il consulente del lavoro. Attività svolte e regolamentazione”, pg. 60.
100
5.2. L’esame della documentazione, luogo di tenuta dei documenti obbligatori
ed attività ispettiva al di fuori dei luoghi di lavoro.
Una delle attività principali svolte durante la visita ispettiva consiste nella
disamina della documentazione relativa ai rapporti di lavoro, che può essere molto
cospicua e soprattutto dislocata in luoghi diversi, anche non afferenti all’ambiente
di lavoro in senso stretto. La situazione tipica è il caso in cui sia il professionista
ad avere presso il suo studio parte dei documenti necessari all’organo ispettivo per
svolgere il loro compito di verifica. Osservando quanto esposto nella prima parte
circa i compiti degli ispettori del lavoro è chiaro che la relativa documentazione
da esaminare può risultare alquanto gravosa; l’art. 7 del D. lgs. n. 124/2004, che
elenca quali siano i compiti di vigilanza dell’organo ispettivo, può farci intuire
che, vista l’ampio raggio di intervento concesso, ci sarà anche una sostanziosa
quantità di atti e documenti da analizzare e confrontare. È opportuno quindi
cercare di individuare le principali fonti documentali solitamente soggette ad
operazioni di verifica per vedere quale ruolo gioca il consulente del lavoro in
relazione ad ognuna di esse.
5.2.1 Documenti di assunzione e tenuta dei libri obbligatori
All’atto di assunzione di un lavoratore la legge prevede l’obbligo di effettuare una
serie precisa e dettagliata di comunicazioni a diversi soggetti coinvolti nella
gestione dei rapporti di lavoro. In particolare, a titolo di esempio, si ricorda che
sono previste delle comunicazioni:
a) al dipendente:
- n. matricola (d.l. n. 510/1995)
- informazioni sul rapporto di lavoro (parti, luogo di lavoro, durata
contratto,durata del periodo di prova, inquadramento, livello, qualifica,
importo iniziale della retribuzione secondo quanto stabilito dal d. lgs. n.
152/1997).
b) Al centro per l’impiego (d. lgs. n. 297/2002182):
- comunicazione di assunzione per i rapporti subordinati, co. co. pro.,
tirocini di formazione e orientamento183;
182
Assieme al decreto interministeriale (in attesa di emanazione) che definirà i moduli per le
comunicazioni obbligatorie dei datori di lavoro.
101
- comunicazione di assunzione degli apprendisti;
- comunicazione di assunzione nel settore agricolo e di lavoro domestico;
- Comunicazione di cessazione del rapporto di lavoro;
c) All’I.N.A.I.L.;
e ad altri enti, che non è scopo di questo lavoro elencare dettagliatamente. Tutti
questi tipi di comunicazione, che identificano in un primo momento la nascita del
rapporto di lavoro, e che sono oggetto di verifica degli ispettori in quanto prova
della regolarità dell’assunzione del lavoratore, possono essere adempiuti dai datori
di lavoro per il tramite dei consulenti del lavoro, a norma dell’art. 4 bis, comma 8,
d. lgs. n. 181/2000.
Si tratta di un primo punto sul quale indagare per capire se il rapporto di lavoro è
regolare o meno, in quanto, per un lavoratore in nero non ci sarà ovviamente
nessun tipo di documentazione di questo tipo. Essendo solitamente il consulente
del lavoro il soggetto incaricato di provvedere alla gestione di questi obblighi, egli
verrà chiamato in causa per dimostrare di avere correttamente adempiuto alle
previsioni di legge sopra riportate. Accanto a ciò una parte rilevante di analisi
effettuata dagli ispettori riguarda poi le registrazioni e la tenuta dei libri
obbligatori, il libro paga ed il libro matricola184. Brevemente ricordo che i libri
matricola e paga sono documenti di lavoro aziendali la cui finalità principale è
quella di consentire agli organi della Pubblica Amministrazione di controllare che
ci sia un corretto adempimento degli obblighi contributivi e retributivi da parte
delle aziende, e che ci sia un corretto svolgimento del rapporto di lavoro185. Più in
particolare il libro matricola viene utilizzato per la documentazione ai fini
assicurativi e previdenziali dell’esistenza del rapporto di lavoro, è unico presso
ogni azienda (anche se svolge attività in diversi luoghi di lavoro) e vi devono
essere iscritti, in ordine cronologico di assunzione (ma prima dell’ammissione al
lavoro186) tutti i lavoratori dipendenti.187 Per ogni dipendente si devono indicare
183
La legge finanziaria 2007 ha previsto l’obbligo di comunicazione al centro per l’impiego il
giorno antecedente all’immissione al lavoro, nell’ottica di contrasto ai fenomeni di mancata
regolarizzazione.
184
Altri documenti di notevole importanza sono i registri presenza e il registro infortuni.
185
Bussino T., “L’I.N.A.I.L. riepiloga le disposizioni sulla tenuta dei libri obbligatori”, G. Lav. n.
7 gennaio 2005.
186
Art. 20, n. 1, D.P.R. n. 1124/1965.
102
diversi dati, anagrafici e non, tra i quali interessano la data di ammissione in
servizio, la categoria professionale e la misura della retribuzione.
Il libro paga funge da prova verso gli Istituti assicurativi (quindi INAIL
soprattutto), verso l’Amministrazione finanziaria e verso i servizi ispettivi del
lavoro, dell’effettiva prestazione resa dal lavoratore, della effettiva retribuzione
percepita e delle ritenute previdenziali e fiscali operate. In esso si registrano in
particolare le ore di lavoro prestate e l’importo delle singole voci di retribuzione
sottoposte a contribuzione o meno. Sono in sostanza i due documenti principali
nei quali si rileva la presenza di personale in azienda, la posizione assicurativa188 e
quella previdenziale189.
In virtù della delicatezza e dell’importanza che questi due registri ricoprono
accade di frequente che vengano affidati alla gestione del consulente del lavoro,
l’art. 5, comma 1, della legge n. 12/1979 stabilisce che i libri richiesti dalla
“corrente legislazione del lavoro” possono essere tenuti presso lo studio del
consulente del lavoro, a condizione che in ogni caso una copia del libro matricola
e del libro presenze sia comunque tenuta presso il datore di lavoro. Se si intende
adottare questa previsione, il datore deve comunicarlo alla Direzione provinciale
del lavoro, fornendo le generalità del professionista e i dati relativi al recapito
presso cui è possibile reperire tali registri. Si ricorda che l’autorizzazione a tenere
questi libri presso un consulente non intacca l’obbligo di esibizione della copia
tenuta in azienda su richiesta degli incaricati della vigilanza190 e che a norma
dell’art. 5, comma 2, D.P.R. n. 1124/1965 <<le regole che la stessa legge
187
Qui si è sintetizzato, nella normativa si fa riferimento ai prestatori d’opera, compresi gli
associati in partecipazione assicurati INAIL ed i collaboratori a progetto.
188
Il datore deve effettuare la denuncia di esercizio all’INAIL con la quale comunica l’inizio di
una attività soggetta a tutela. Contestualmente comunica tutti gli elementi necessari affinché
l’Istituto compia una valutazione del rischio. Il datore poi individuerà, analizzando il tipo di
lavoro, quali lavoratori siano soggetti a rischio e quindi vadano assicurati, preoccupandosi di
individuare anche il tipo di rischio che per l’INAIL è diversificato a seconda del tipo di lavoro e di
conseguenza soggetto a contribuzione diversificata. Nei libri paga e matricola è possibile
individuare un riepilogo della posizione dei lavoratori in merito a queste problematiche e
confrontarle con quanto realmente accade nell’azienda.
189
Bianchi N., Scacco A., “Manuale del consulente del lavoro”, Buffetti editore, 2006; “Libri
matricola e libri paga”, documento di sintesi www.consulentidellavoro.it . Per l’individuazione
del contenuto del libro matricola e paga rif. D.P.R. n. 1124/1965, art. 20.
190
Cassazione, 16 gennaio 1982.
103
stabilisce per il libro paga e per il libro matricola si applicano anche alle copie
tenute presso il datore di lavoro>>.
Un punto su cui vale la pena soffermarsi relativamente alla tenuta dei libri paga e
matricola riguarda la cosiddetta vidimazione a <<numerazione unica>> dei
moduli (o fogli mobili). Come tutti (o quasi) i registri che contengono dati
soggetti a verifica da parte dell’autorità anche il libro paga ed il libro matricola
vanno numerati e vidimati191. Questa operazione è a carico del datore di lavoro se
si assume la responsabilità della tenuta dei registri, o del consulente a cui vengono
eventualmente affidati. A questo punto volendo trattare la problematica dal punto
di vista di uno studio professionale che riceva da numerose aziende il mandato per
la gestione di tali documenti, è chiaro che risulterebbe oneroso (oltre che una
inutile perdita di tempo) procedere a singole vidimazioni per ogni registro affidato
allo studio. È per questo motivo che è prevista una particolare modalità di
vidimazione dei registri tale da favorire il lavoro dei professionisti; per cui per i
soggetti autorizzati che gestiscono in modo accentrato i dati matricolari ed
assicurativi di diverse aziende, può essere concessa dall’INAIL l’autorizzazione
ad eseguire la vidimazione dei fogli mobili sostitutivi. La procedura consiste nella
facoltà di vidimare blocchi di fogli mobili che in questi casi non vengono
assegnati alle posizioni assicurative delle singole aziende assicuranti, bensì
vengono affidati personalmente al consulente del lavoro, all’azienda, al
professionista, ecc…, che li utilizzano e li gestiscono sotto la propria
responsabilità, dandone però conto periodicamente all’INAIL. Il D.M. 30/10/2002
si preoccupa di stabilire in modo preciso quali sono gli adempimenti a cui sono
tenuti i soggetti abilitati ad utilizzare questo sistema, tali adempimenti riguardano
soprattutto le diverse comunicazioni verso l’INAIL per la corretta gestione dei
libri. Nel concreto accade che in luogo di un registro matricola e paga per ogni
azienda192 il consulente si assume la responsabilità di gestire un numero preciso di
fogli regolarmente vidimati salvo poi comunicare all’ente preposto come questi
191
La vidimazione si compone di due parti: la bollatura con l’apposizione di timbri a secco o
inchiostro su ogni pagina e la dichiarazione da registrare sull’ultima pagina che riporta il numero
della posizione assicurativa territoriale, il numero progressivo della vidimazione, il totale dei fogli
la data e la firma. (da INAIL – Nota 16 dicembre 2004. Oggetto: Modalità per la tenuta dei libri
paga e matricola).
192
Registri che ogni azienda è appunto obbligata a vidimare.
104
fogli sono stati impiegati, in particolare a quale azienda sono riferibili i diversi
fogli utilizzati, per consentire poi che l’organo ispettivo possa effettuare le
verifiche del caso.193 La breve disamina fatta, utile per comprendere che posizione
ha il consulente del lavoro nei confronti di alcuni dei principali documenti
necessari alla gestione del personale in azienda, consente di introdurre un ulteriore
argomento di notevole rilevanza ricavabile anch’esso dalle previsione del codice
di comportamento che è quello relativo al luogo di esame della documentazione in
caso di visita ispettiva. È occasione questa per osservare i mutati rapporti tra
l’organo ispettivo ed i professionisti. La premessa, ovvia se vogliamo, è che il
personale ispettivo esamina la documentazione presso la sede del soggetto
ispezionato; se l’azienda è di grosse dimensioni è probabile che in
amministrazione sia reperibile tutta la documentazioni di cui gli ispettori hanno
bisogno, posto che usualmente le grosse imprese hanno al proprio interno i
professionisti incaricati della gestione di tutti gli aspetti della vita aziendale, tra i
quali quello della gestione del personale. Nella realtà economica del nord-est,
dove prevale il modello della piccola-media impresa a conduzione familiare,
solitamente il datore di lavoro (che è anche imprenditore e proprietario) affida a
terzi sia la gestione della contabilità che la gestione dei rapporti di lavoro,
rivolgendosi perciò ai professionisti abilitati, i quali spesso si fanno carico anche
della tenuta materiale della documentazione194. A tal proposito il codice di
comportamento prevede che l’esame della documentazione venga effettuato
innanzi tutto “presso la sede del soggetto ispezionato”, con ciò intendendo sia il
luogo dell’esecuzione materiale del lavoro, sia la sede legale, e solo
secondariamente e “ove funzionale alle esigenze dell’accertamento” la
documentazione sia esaminata presso gli studi dei professionisti (o, in ultima
istanza, presso gli uffici dello stesso personale ispettivo). La questione è meno
banale di quanto sembri, dal precedente codice emanato con D.D. 16 luglio 2001
193
In sostanza un consulente a cui 10 aziende affidano la gestione del personale compresa la tenuta
del libri ha la possibilità di evitare di gestire 10 libri matricola e paga diversi, chiedendo, per
esempio, 1000 fogli vidimati, bollati e numerati sui quali effettuerà le registrazioni previste per
legge. Periodicamente comunicherà all’INAIL il numero di fogli che ha utilizzato per ogni
azienda, specificando ovviamente gli estremi identificativi del foglio per consentire i controlli
(Azienda A- Fogli da n.1 a n. 100, azienda B – Fogli da n. 101 a n. 200 e via discorrendo).
194
Resta fermo il punto che comunque almeno una copia del libro matricola ed il libro paga deve
essere tenuta sul luogo di lavoro.
105
si può infatti citare l’art. 12 nel quale si
stabiliva che “l’esame della
documentazione dovrà essere effettuato presso la sede dell’azienda ispezionata;
l’ispettore eviterà, quindi, eventuali controlli documentali presso gli studi
professionali dei consulenti o degli altri professionisti con la sola esclusione dei
casi in cui l’impresa soggetta ad ispezione sia cessata. Qualora, presso la sede
aziendale ispezionata non sia tenuta la prevista documentazione obbligatoria,
l’ispettore, oltre ad adottare gli eventuali provvedimenti sanzionatori, diffiderà
l’azienda, nella persona del legale rappresentante pro-tempore, a tenere tale
documentazione presso la stessa, evitando di comunicare la data del successivo
accesso ispettivo, oppure provvederà, limitatamente ai casi espressamente
individuati dal dirigente, a convocare il legale rappresentante presso la sede
della DPL specificando la documentazione da esibire per il prosieguo della
verifica.”. L’impostazione che venne proposta nel 2001 dal ministero appare
chiara, evitare in qualsiasi modo (salvo casistiche particolari) di recarsi presso lo
studio del professionista per reperire il materiale necessario, proponendo soluzioni
alternative quali la convocazione presso gli uffici della DPL o la diffida a tenere la
documentazione necessaria presso l’azienda nel caso in cui si riscontrassero
alcune mancanze. Tale previsione si è rivelata però troppo stringente e mal
conciliabile con le esigenze di efficienza ed efficacia degli accertamenti ed è stato
il Ministero stesso ad intervenire modificando il proprio orientamento, con la lett.
Circolare del 12 marzo 2003 si riconosce infatti che il codice emanato nel 2001
determinava “notevoli ritardi operativi” nello svolgimento dell’attività ispettiva
ed “appesantiva” i compiti e le funzioni dei professionisti e si ammette che
“l’esame della documentazione nonché l’acquisizione di eventuali atti o
documenti possa avvenire oltre che presso la sede aziendale, anche presso la
Direzione provinciale del lavoro ovvero presso gli studi professionali dei
consulenti abilitati”. Appare più in linea con lo scopo della visita ispettiva, e
soprattutto con le funzioni ed i compiti di un consulente del lavoro, consentire che
i documenti vengano consultati e verificato anche presso lo studio di chi li
gestisce. In quest’ottica si facilita il confronto ed il dialogo tra i soggetti coinvolti
nell’ispezione, potendo l’ispettore usufruire della presenza del consulente per
avere tutti i chiarimenti di cui necessita e bloccare sul nascere le possibili
incomprensioni di cui parlavo nel precedente paragrafo.
106
5.2.2 Violazioni nella tenuta dei libri obbligatori
Nel caso si riscontrino violazioni nella tenuta dei libri obbligatori la legge prevede
delle sanzioni da comminare al datore di lavoro, di diversa entità a seconda della
fattispecie individuata. Vista l’importanza che questi documenti hanno
nell’ambito della visita ispettiva riporto le principali fattispecie di irregolarità con
le relative sanzioni, ricordando che gli importi di tali sanzioni derivano dall’art.
195 del D.P.R. n. 1124/1965, quintuplicate secondo il dettato dell’art. 1, comma
1177 della Legge finanziaria 2007 (L. n. 296/2006) e ridotte ai sensi dell’art. 16 L.
n. 689/1981195; in particolare:
-
nel caso di omessa istituzione dei libri (cioè il datore ne è sprovvisto o ha
registri non vidimati) c’è una sanzione amministrativa da € 4000 a € 12000,
ai sensi della art. 1. comma 1178 Legge finanziaria 2007. Va sottolineato
che per questa fattispecie non è ammessa la procedura di diffida di cui
all’art. 13 d. lgs n. 124/2004;
-
Rimozione dei libri: sanzione da € 125 a € 770 per soggetti assicurati INAIL
e da €25 a €150 per i non assicurati.
-
Vidimazione tardiva: c’è solo una irregolare tenuta della documentazione
obbligatoria, punita anch’essa con sanzioni da € 125 a € 770 per soggetti
assicurati INAIL e da €25 a €150 per i non assicurati;
-
l’omessa esibizione del libro in caso di ispezione è considerata come
condotta volta a non consentire all’organo di vigilanza di effettuare la
verifica che i lavoratori presenti sul luogo di lavoro siano effettivamente
assunti. La fattispecie non si configura se il personale riesce a compiere i
propri accertamenti attraverso altra documentazione ugualmente idonea (le
diverse comunicazioni obbligatorie per esempio); in questo caso si parla
solamente di rimozione dei libri obbligatori con sanzioni di importi uguali al
caso di vidimazione tardiva;
-
irregolare tenuta dei libri obbligatori: ipotesi in cui si constatino
registrazioni inesatte o difformità tra l’originale e le eventuali copie presenti
195
Messineo D. Grasso L., “Lotta al sommerso e libri matricola e paga”, Il lavoro nella
giurisprudenza N. 4/2007.
107
sul luogo di lavoro. Sanzioni da € 125 a € 770 per soggetti assicurati INAIL
e da €25 a €150 per i non assicurati196.
Le sanzioni appena elencate risultano da una lettura combinata del D.P.R.
1124/1965, della Legge finanziaria 2007 e della Circolare Ministeriale 29 marzo
2007 che ha in parte mitigato le previsioni della finanziaria, con lo scopo
soprattutto di disincentivare l’avvio di vertenze che potrebbero essere sorte i virtù
proprio dell’aumento delle sanzioni.
Di significativa portata è soprattutto l’inasprimento della sanzione per omessa
istituzione dei libri paga e matricola, è nota infatti l’importanza di questi libri
obbligatori allo scopo di verificare la regolare occupazione dei lavoratori in
azienda. A maggior ragione questo vale se si considera l’applicabilità della
maxisanzione per l’impiego di lavoratori non risultanti dalle scritture o da altra
documentazione obbligatoria, così come previsto dall’art. 3 del D.L. n. 12/2002,
convertito in L. n. 73/2002 e modificato all’art. 36bis, comma 7 del D.L. n.
223/2006, a sua volta convertito in L. n. 248/2006197. La maxisanzione non ha
però ottenuto gli effetti sperati, in virtù di una “debolezza normativa” infatti al
datore bastava non esibire agli organi di vigilanza i libri matricola e paga per
sfuggire al rigore della maxisanzione, incorrendo in questo caso al più favorevole
196
Legge 27 dicembre 2006, n. 296 (legge finanziaria 2007),;Lettera circolare del 29 marzo 2007
/Prot. 25/SEGR/0004024); dal sito www.consulentidellavoro.it
197
Per completezza si riporta la norma che regola la maxisanzione: " …… l'impiego di lavoratori
dipendenti non risultanti dalle scritture o altra documentazione obbligatoria, è punita con la
sanzione amministrativa dal 200 al 400 per cento dell'importo, per ciascun lavoratore irregolare,
del costo del lavoro calcolato sulla base dei vigenti CCNL, per il periodo compreso tra l'inizio
dell'anno e la data di constatazione della violazione". Gli effetti deterrenti di tale disposizione sono
stati mitigati dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 144/2005 la quale dichiara la previsione
sanzionatoria illegittima, nel punto in cui la stessa " non ammette la possibilità di provare che il
rapporto di lavoro irregolare ha avuto inizio successivamente al primo gennaio dell'anno in cui è
stata constatata la violazione". Attualmente, dopo le nuove introduzioni: fermo restando
l'applicazione delle sanzioni già previste dalla normativa in vigore, l'impiego di lavoratori non
risultanti dalle scritture o da altra documentazione obbligatoria è altresì punita con la sanzione
amministrativa da € 1.500 a € 12.000 , per ciascun lavoratore, maggiorata da € 150 per ciascuna
giornata di lavoro effettivo. Inoltre è previsto che l'importo delle sanzioni civili, connesse
all'omesso versamento dei contributi e premi riferiti a ciascun lavoratore non possa essere inferiore
ad € 3.000, indipendentemente dalla durata della prestazione lavorativa accertata.
108
trattamento punitivo per la mancata esibizione198. Per porre un rimedio la Legge
finanziaria 2007 ha introdotto un notevole incremento dell’impianto sanzionatorio
connesso all’irregolare tenuta dei libri matricola e paga al fine di superare le prassi
elusive della maxisanzione in materia199. A questo punto visto l’inasprimento
delle sanzioni sarà opportuno per il consulente del lavoro operare una regolare
tenuta dei libri obbligatori e, soprattutto, informare correttamente il proprio
assistito dei rischi che gravano in caso di utilizzazione di lavoratori non in regola.
Verificato che non è più utilizzabile l’escamotage della mancata esibizione dei
libri obbligatori per eludere i controlli sul lavoro nero, è facile osservare come gli
importi delle sanzioni comminabili al datore ai sensi dell’art. 3 del D.L. n.
12/2002 siano assolutamente onerosi.
5.3 Assunzione di dichiarazioni. La problematica dell’assistenza del
professionista
L’approvazione del codice di comportamento degli ispettori ha toccato anche un
punto estremamente delicato in relazione ad uno dei limiti di intervento concesso
al consulente del lavoro in caso di ispezione. Ho appena evidenziato il mutato
orientamento del Ministero del Lavoro che ha modificato parte della prassi seguita
per l’esame della documentazione favorendo, di fatto, il corpo ispettivo
consentendogli di recarsi presso gli studi professionali abilitati per reperire e
consultare quanto serve. Tuttavia abbiamo visto come tale cambiamento sia stato
probabilmente corretto e maggiormente in linea sia con gli scopi della visita
ispettiva sia con il ruolo del consulente nella gestione del personale aziendale. La
problematica in questione è però molto più delicata e controversa e sta portando
l’ordine professionale a confrontarsi spesso con l’organo ispettivo. Il dato di fatto
da cui partire è costituito dall’art. 12
rubricato
- “Acquisizione delle
dichiarazioni” - ; in esso sostanzialmente si prevede, al 7° comma, che “In fase di
acquisizione delle dichiarazioni dei lavoratori non è ammessa la presenza del
datore di lavoro e/o del professionista”. L’ispettore del lavoro procederà quindi
ad interrogare i lavoratori in modo riservato, senza la presenza né del datore né del
consulente. Questo perché si ritiene che la deposizione e le risposte ottenute in
sede di interrogatorio possano essere più spontanee e meno condizionate se
198
Messineo D. Grasso L., “Lotta al sommerso e libri matricola e paga”, Il lavoro nella
giurisprudenza N. 4/2007.
199
Parisi M., “Il sistema sanzionatorio del lavoro dopo la Finanziaria 2007”, in G. Lav. N. 2/2007.
109
rilasciate con la sola presenza dell’ispettore. Per ottenere un maggiore grado di
veridicità viene addirittura raccomandato di eseguire l’interrogatorio escludendo
la presenza anche di altri colleghi lavoratori, con lo scopo di poter
successivamente mettere a confronto le diverse versioni raccolte. È quasi
inevitabile che su un punto come questo sorga una controversia; volendo
assecondare le ragioni del “controllore” è ammissibile sostenere che le
informazioni ottenute con un colloquio personale possano essere più libere, che il
lavoratore
rispondendo
involontariamente,
personalmente
maggiori
indicazioni
alle
domande
all’ispettore.
fornisca,
Il
anche
presupposto,
pregiudizievole secondo alcuni, da cui si parte è che la presenza del consulente o
del datore di lavoro possa spingere il lavoratore a tacere su alcune questioni, ad
essere evasivo o volutamente poco preciso. Naturalmente il sospetto è legittimo,
ed il beneficio del dubbio rimane. Tuttavia la controversia nasce proprio
dall’intenzione di scardinare il pregiudizio iniziale circa l’attendibilità del
soggetto interrogato. L’assenza di alcun professionista in sede di interrogatorio
appare per certi aspetti un forzatura eccessiva, non potendo certamente parlare di
abuso di potere è comunque rilevabile una contraddizione con il più volte
auspicato ed invocato (anche dal codice stesso) spirito collaborativo200.
Ora, ripetendo quanto detto sopra, resta chiaramente legittimo dubitare della totale
onestà di esposizione del lavoratore assistito da un professionista201. Rimane però,
a mio avviso, evidente la contraddizione: si auspica infatti la presenza di un
professionista durante la fase ispettiva (generalmente intesa) onde evitare che la
scarsa competenza in materia giuslavoristica del datore di lavoro possa essere
fonte di equivoci, salvo poi proibirla in fase di assunzione di dichiarazioni,
quando l’interlocutore è il lavoratore, probabilmente in possesso di competenze
ancora minori di quelle del suo datore. Anche qui sembrerebbe opportuna la
presenza di un soggetto che all’occorrenza intervenga per correggere delle
inesattezze espositive derivanti non già da malafede ma da incompetenza tecnica
200
Si ricorda l’art. 4 del codice di comportamento, all’inizio del capo III rubricato “Principi di
comportamento nei confronti dei datori di lavoro”, sancisce che “i rapporti tra personale ispettivo e
soggetti ispezionati sono improntati ai principi di collaborazione e rispetto reciproco”.
201
Oltre che temere che le risposte siano “filtrate” dai suggerimenti del professionista, l’organo
ispettivo ha paventato il rischio che il lavoratore alteri la realtà dei fatti per paura di eventuali
ritorsioni successive da parte del datore di lavoro venuto a conoscenza, tramite il professionista
che lo assiste, delle dichiarazioni rese.
110
in materia202. Per concludere l’argomento resta da precisare che innanzi tutto la
dichiarazione assunta in fase ispettiva non ha valore di prova costituita in sede
processuale, serve che sia adeguatamente supportata da altri elementi probatori e
comunque è il giudice del lavoro che la valuterà come ritiene più opportuno; ed in
secondo luogo che resta sempre ferma la possibilità di ritrattare la dichiarazione
rilasciata. Viste queste due attenuanti il problema sollevato della presenza o meno
del professionista durante l’assunzione delle dichiarazioni rimane forse più
contenuto203, pur rimanendo comunque un punto controverso, sul quale
professionisti dell’una e dell’altra parte continuano a confrontarsi rimanendo su
posizioni assolutamente contrapposte204.
5.3.1 Il rilascio della copia della dichiarazione
Un ultimo punto sul quale ritengo il consulente possa intervenire è sulla richiesta
di rilascio di copia delle dichiarazioni assunte in azienda. Il codice di
comportamento, all’art. 12 ultimo comma, prevede che l’ispettore non debba
rilasciare la copia al datore e nemmeno al lavoratore stesso in sede di ispezione e
sino alla conclusione degli accertamenti, con l’accorgimento che ultimi
orientamenti ministeriali spingono addirittura per un prolungamento della
preclusione. Eventuali copie potranno poi essere richieste successivamente
all’amministrazione, che per il rilascio dovrà attenersi alla disciplina della legge
241/90 che regola l’accesso agli atti amministrativi.
202
Chiaramente ci sono tipologie di interrogatori dove non si potrà mai parlare di inesattezze
espositive nel senso che a domande relative alla presenza o meno di certe persone sul luogo di
lavoro, o comunque volte a far emergere lavoro nero, la risposta non potrà che essere secca e
chiara. In altri casi in cui ci siano questioni più tecniche (norme relative alla sicurezza per
esempio) potrebbe non essere semplice per il lavoratore essere altrettanto chiaro nelle risposte,
soprattutto , come accade sempre più di frequente, se non è di madrelingua italiana. A poco vale, a
mio avviso, la precisazione di cui al comma 5 dove si richiede che le domande vengano poste in
modo chiaro e comprensibile per evitare che ci siano dubbi interpretativi.
203
Diverso sarebbe se la testimonianza raccolta con l’interrogatorio fosse direttamente utilizzata
durante un eventuale processo.
204
Seminario di Approfondimento “Come gestire l’ispezione in azienda”, Consiglio provinciale
dell’ordine di Treviso, 30/11/2006. In sede di dibattito ho potuto constatare come realmente le
posizioni sull’argomento tra gli ispettori del lavoro ed i consulenti siano contrapposte. In
particolare i consulenti del lavoro e gli avvocati rivendicano la possibilità di assistere il cliente
durante l’interrogatorio in qualsiasi caso, ritenendo fondamentale la presenza di un esperto in
materia/difensore per evitare una sorta di assoggettamento psicologico dell’interrogato.
111
Come punto fermo rimane il divieto del rilascio durante la fase ispettiva, fino al
momento in cui non si arriva alla chiusura delle operazioni. Più delicata è la
questione relativa al rilascio al termine della visita ispettiva. Gli art. 22 e ss della
L. n. 241/1990 delineano le dichiarazioni come atti sottratti all’accesso da parte di
terzi, salvo poi ribadire all’art. 24 che “l’accesso deve essere garantito per i
documenti la cui conoscenza è necessaria per curare o difendere i propri interessi
giuridici205”. Questo interesse va controbilanciato con l’interesse di chi ha
rilasciato la dichiarazione all’ispettore confidando sulla riservatezza della
medesima. In sostanza si tratta di tutelare il diritto alla difesa del datore
perpetuabile tramite il consulente del lavoro di appoggio da una parte, e la privacy
del lavoratore dichiarante, che può temere eventuali ritorsioni nel caso le
dichiarazioni siano utili ad infliggere eventuali sanzioni, dall’altra. Ancora una
volta gli interessi contrapposti dei soggetti coinvolti vengono a collidere. Il
problema è stato affrontato anche attraverso alcune pronunce giurisprudenziali, di
particolare rilievo è quella del Consiglio di Stato del 6/10/1998 secondo cui
“sebbene l’interesse alla riservatezza divenga recessivo quando l’accesso sia
esercitato per la difesa di un interesse giuridico, in relazione ai singoli
procedimenti amministrativi sarà ogni amministrazione che dovrà valutare quale
sia l’esigenza prevalente rispetto a quella concernente la tutela della riservatezza,
tramite l’emissione di appositi atti regolamentari”. Per il Ministero del lavoro
questo riferimento è il D.M. n. 757 del 4/11/1994 dove all’art. 2 si stabilisce che
“sono sottratti al diritto di accesso i documenti contenenti notizie acquisite nel
corso delle attività ispettive, quando dalla loro divulgazione possano derivare
discriminazioni o indebite pressioni o pregiudizi a carico di lavoratori o di terzi”;
sembrerebbe insomma che non ci fosse modo per il consulente del lavoro (in
rappresentanza del datore naturalmente) di avere a disposizione le dichiarazioni
rilasciate dai lavoratori. In parziale difesa degli interessi del datore interviene la
circolare ministeriale n. 22/1999 dove si prevede l’accesso ai documenti di cui
sopra, in subordinazione a determinati requisiti, tra i quali “la necessità della
conoscenza dell’atto, senza il quale il richiedente non avrebbe altri mezzi per
tutelare i propri interessi” e “l’attualità e la concretezza dell’interesse che si vuole
205
Anche se comunque nel caso in cui tali documenti contengano dati sensibili e giudiziari
l’accesso è comunque limitato al minimo indispensabile.
112
tutelare”206. È in definitiva lasciato alla valutazione dell’amministrazione la
valutazione di quale interesse sia preminente, sulla scorta della legislazione citata
e dei regolamenti emanati. C’è da dire però che recentemente sembra esserci un
mutato indirizzo interpretativo per cui la giurisprudenza è orientata a favorire in
modo preponderante il diritto di difesa del datore di lavoro sul diritto alla
riservatezza del lavoratore207.
L’argomento è importante in quanto prima dell’emissione dell’ordinanza
ingiunzione è possibile per il datore far pervenire all’amministrazione scritti
difensivi oppure chiedere di essere sentiti, esercitando in questo modo un diritto di
difesa. Affinché tale diritto sia garantito sarebbe però necessario che il datore
abbia scienza di quanto dichiarato dai propri dipendenti, in modo da controbattere
ad eventuali accuse e consentire eventualmente al professionista che lo assiste di
preparare una adeguata strategia difensiva. È indubbio infatti l’estrema utilità che
ricaverebbe il consulente dalla conoscenza di quanto emerso nell’interrogatorio,
tanto più che il diritto a presenziare durante il suo svolgimento gli è, come già
detto, negato. Come visto, oltre a tale divieto è possibile, in base all’attuale
disciplina, che nemmeno in un momento successivo alla chiusura dell’ispezione il
consulente possa reperire la documentazione raccolta dagli ispettori dai singoli
lavoratori. Pur comprendendo perfettamente il timore di subire “ritorsioni” del
soggetto che rilascia la dichiarazione, a mio avviso sarebbe più equo consentire
alla parte che deve difendersi di conoscere tutti gli elementi che sono a
disposizione della controparte, salvo poi attivare delle concrete forme di tutela per
i lavoratori a cui la documentazione si riferisce. Una proposta potrebbe essere di
vigilare in modo attento per un periodo prestabilito, a decorrere dalla conclusione
del procedimento ispettivo, sul comportamento tenuto dal lavoro, attivandosi in
modo tempestivo qualora il lavoratore rilevi per esempio forme di pressione
psicologica nei suoi confronti208
206
Papa D., Pennesi P., “Personale ispettivo: nuovo codice di comportamento”, dispensa rilasciata
al convegno “la riforma dei servizi ispettivi”, ordine dei consulenti del lavoro di vicenza,
26/11/2006
207
Così l’Avv. Mattiuzzo, al citato convegno “La riforma dei servizi ispettivi”.
208
Il riferimento è a quei comportamenti ingiustificati che possono far pensare che il datore stia
attuando una sorta di vendetta nei confronti del proprio dipendente, affidandogli magari compiti
sgradevoli o più pesanti rimanendo all’interno della stessa mansione (e quindi della legalità) o
altro.
113
6. Rito del lavoro: ruolo del consulente nella presentazione dei ricorsi
amministrativi. Premessa.
In ultima istanza rimane da sottolineare che il consulente del lavoro riveste un
ruolo che può essere tutt’altro che marginale anche nella fase successiva
all’ispezione in senso stretto, intervenendo in modo attivo nel caso ci siano i
presupposti e la volontà di opporsi alle conclusioni emerse dalla visita ispettiva.
Di particolare rilievo, anche in seguito all’introduzione di un recente decreto
legislativo di cui tratterò, seppur brevemente, più avanti209, è diventato il tema dei
ricorsi amministrativi proponibili ex art. 16 e 17 del decreto lgs. n. 124/2004,
legati poi anche al tema dei rimedi giurisdizionali proponibili contro l’ordinanza
ingiunzione emessa dall’autorità amministrativa.
Procedendo con ordine ricordo che l’ordinanza-ingiunzione (in materia di diritto
del lavoro in questo caso)210 è l’ultimo atto di ricognizione con il quale la
Direzione provinciale del lavoro - a cui fanno riferimento gli ispettori che hanno
compiuto la visita ispettiva e redatto un verbale di accertamento - dopo avere
esaminato gli elementi raccolti, emettono un provvedimento volto a sanzionare le
violazioni di norme lavoristiche che costituiscono illeciti amministrativi; con
ordinanza motivata la D.p.l. determina la somma della sanzione e ne “ingiunge” il
pagamento. Il termine per il pagamento dell’ordinanza è di 30 giorni, dopo di che
diventa un titolo esecutivo, con gli effetti che ne derivano, a norma degli art. 474 e
ss. del c.p.c. La disciplina particolare dell’emissione dell’ordinanza-ingiunzione e
della relativa opposizione al giudice ordinario è contenuta nella Legge n.
689/1981, alla cui analisi va tuttavia affiancato il nuovo decreto di riforma dei
servizi ispettivi per avere una visione d’insieme del ruolo giocato realmente dal
professionista consulente in questo ambito.
6.1. I ricorsi amministrativi ex art. 16/17 d. lgs. n.124/2004
Prima di procedere oltre è necessario soffermarsi brevemente nella descrizione del
nuovo sistema di ricorsi amministrativi introdotto nel 2004 per quel che riguarda i
209
Si tratta del decreto legislativo 2 febbraio 2006, n. 40, recante “Modifiche al codice di
procedura civile in materia di processo di cassazione e in funzione nomofilattica e di arbitrato, a
norma dell’art. 1, comma 2, legge 14 maggio 2005, n. 80”.
210
L’ordinanza ingiunzione in termini generali è l’atto che indica i soggetti responsabili di una
violazione, spiega i motivi che hanno indotto a confermare il verbale dell’autorità che lo ha redatto
e stabilisce l’importo da pagare.
114
provvedimenti emessi dalla Direzione provinciale del lavoro, senza per questo
indugiare troppo sulle numerose e complesse questioni che gravitano attorno a
questo ambito211.
L’art. 16 introduce il ricorso alla Direzione regionale del lavoro contro le
ordinanze ingiunzione emesse dalla Direzione provinciale del lavoro irroganti
sanzioni pecuniarie per inadempimenti su normative in materia di lavoro e
previdenza sociale; l’art. 17 invece fa riferimento a tre diverse tipologie di atti, le
ordinanze ingiunzioni, gli atti accertativi della D.p.l. e i verbali di accertamento
degli enti assicurativi e previdenziali aventi ad oggetto la sussistenza o la
qualificazione dei rapporti di lavoro. E’ quindi ravvisabile una suddivisione per
materia, quanto mai discutibile212 visto le diverse compenetrazioni possibili tra i
due settori. La funzionalità del ricorso amministrativo sta da un lato nella
supposta celerità con cui si spera di ottenere la risposta, dall’altro nella volontà
dell’Amministrazione di risolvere al proprio interno la questione, evitando
l’introduzione di un rimedio giurisdizionale.213 Tuttavia una delle questioni più
delicate sta proprio nel definire i ricorsi amministrativi in esame e l’eventuale
rimedio giurisdizionale.
Per ricostruire la procedura da seguire nella presentazione del ricorso
amministrativo avverso l’ordinanza-ingiunzione della D.p.l., oltre alla lettura dei
211
Non è mia intenzione svolgere una completa disamina delle problematiche dibattute in dottrina
ed in giurisprudenza in relazione ai ricorsi introdotti dagli articoli 16 e 17, ma riportarne i tratti
caratteristici ed utili alla comprensione del ruolo assegnato al consulente, non già dalla normativa
ma piuttosto dalla prassi seguita nella presentazione di tali ricorsi.
212
Vedi De Pretis D., Razionalizzazione delle funzioni ispettive in materia di previdenza sociale e
di lavoro – commentario sistematico al d. lgs. n. 124/2004 in Le nuove leggi civili commentate,
2005, dove si critica questa divisione per “materia” come possibile fonte di equivoci
nell’individuazione del corretto ricorso a cui fare riferimento.
213
Riporto brevemente alcune considerazioni di De Pretis D. relativamente al diritto
amministrativo, ricordando che in questo caso il ricorso amministrativo è alternativo
all’opposizione al giudice ordinario e non al ricorso al giudice amministrativo, solitamente titolare
della giurisdizione di legittimità sui provvedimenti amministrativi. Se il provvedimento
amministrativo (come l’ordinanza-ingiunzione) ha per oggetto una sanzione amministrativa viene
in gioco la legge n. 689/81 che ha istituito una giurisdizione esclusiva del giudice ordinario in
materia di sanzioni amministrative pecuniarie. Più complessa è la questione per l’art. 17 dove
oggetto dell’atto amministrativo non è una sanzione ma ragioni relative alla sussistenza e
qualificazione del rapporto di lavoro.
115
due articoli 16 e 17 bisogna necessariamente fare riferimento anche al d.p.r. n.
1199/1971 che disciplina in modo generico i ricorsi amministrativi; è a questi testi
legislativi che rimando per una completa definizione del procedimento di
proposizione del ricorso che non è interesse trattare in questa sede. Rileva invece
sottolineare come il soggetto maggiormente impegnato nella stesura dell’atto sarà
il consulente del lavoro, il quale oltre ad essere in possesso di per se stesso delle
conoscenze nelle materie oggetto dei ricorsi, è anche il soggetto che
verosimilmente avrà seguito pedissequamente l’attività ispettiva e sarà in grado di
rilevare eventuali motivi legittimi di impugnazione dell’atto amministrativo.
Questo non toglie che il soggetto legittimato alla proposizione del ricorso è
naturalmente chi ha interesse all’annullamento dell’atto che irroga la sanzione, nel
concreto sarà però necessaria l’esperienza e la professionalità del consulente per
una corretta e valida stesura del medesimo.
Il primo problema in cui si può incappare sta, come poc’anzi ricordato, nella
difficoltà di individuare la giusta autorità a cui adire per proporre il ricorso;
operazione non sempre agevole a causa della suddivisione per materia decisa dal
legislatore, che non sempre è chiara nel concreto. Tuttavia l’ostacolo è superato
ricorrendo alla generale previsione dell’art. 2, comma 3 , d.p.r. n. 1199/71 per cui
l’eventuale errore
del ricorrente nell’individuazione dell’autorità a cui va
proposto il ricorso
non comporta conseguenze sulla ricevibilità del ricorso,
stante che l’autorità erroneamente adita ha l’onere di inoltrarlo a quella
competente214. D’altra parte lo stesso fatto che sia un consulente del lavoro ad
occuparsene dovrebbe essere fonte di garanzia, presumendo che egli sia
perfettamente in grado di comprendere l’oggetto dell’ordinanza-ingiunzione saprà
se utilizzare il ricorso ex art. 16 o ex art. 17, o eventualmente entrambi nel caso si
presentino casi di ordinanze sanzionanti diverse violazioni rispetto alle quali sono
prospettabili ricorsi fondati sulla duplice tipologia di causae petendi215
214
De Pretis D., Razionalizzazione delle funzioni ispettive in materia di previdenza sociale e di
lavoro – commentario sistematico al d. lgs. n. 124/2004 in Le nuove leggi civili commentate,
2005. E’ il principio per il quale i ricorsi rivolti ad organi diversi da quello competente ma
appartenenti alla medesima amministrazione non sono soggetti a dichiarazione di irricevibilità e
sono trasmessi d’ufficio all’organo competente.
215
Lodato G., “Ricorsi amministrativi del lavoro”, www.diritto.it/materiali/lavoro.
116
Non dovrebbe essere particolarmente impegnativa nemmeno la stesura del
gravame visto che non sono previsti particolari obblighi formali, le scarne
conoscenze delle regole processuali da parte dei professionisti del settore
economico potrebbero rendere complicata l’assistenza del cliente (oppure
richiedere l’assistenza obbligatoria di un legale), tuttavia anche in virtù di questa
situazione il legislatore ha previsto una procedura semplificata e poco formale che
renda agevole elaborare il ricorso anche a soggetti non in grado di padroneggiare
in modo preciso le complesse regole processuali. Di conseguenza nel caso in
esame è sufficiente l’esposizione dei motivi di impugnazione, che possono essere
relativi anche al merito della scelta amministrativa, compresa quindi la misura
della sanzione. È chiaro che la corretta esposizione dei motivi è il passo rilevante
per poter sperare in una modifica o eliminazione della sanzione, a tal proposito
appare quindi importante evidenziare che si ritiene possibile integrare tali motivi
in caso di un successivo utilizzo del rimedio giurisdizionale (l’opposizione ex
art.22 e ss. Legge 689/1981) contro un eventuale rigetto del ricorso
amministrativo. Non essendo l’opposizione al giudice ordinario qualificabile
come “secondo grado” del giudizio relativo al ricorso amministrativo, non si
applicano le norme del procedimento per appello in cui la domanda rimane quella
proposta in primo grado, eventualmente ulteriormente definita solamente dai
motivi di appello 216. Questo significa che il consulente può “rimediare” ad
eventuali dimenticanze o imprecisioni nell’esposizione del gravame del ricorso
amministrativo; posto infatti che esiste comunque il termine di trenta giorni dal
ricevimento dell’ingiunzione per presentare il ricorso, il consulente può quindi
beneficiare successivamente degli ulteriori giorni ricadenti entro il termine per
adire al giudice ordinario (60 giorni) per perfezionare ed integrare le motivazioni
a sostegno della posizione del proprio cliente nel caso venga respinto il primo
ricorso. È ovvio che in ogni caso si auspica sin da subito una precisione nella
elaborazione del ricorso, in modo che la sua funzionalità principale, che è la
216
La giurisprudenza considera come gradi di uno stesso giudizio il ricorso amministrativo ed il
rimedio giurisdizionale amministrativo, questa impostazione è criticata dalla dottrina che nega la
continuità di giudizio. Questo è tanto più ravvisabile in questo caso, dove al ricorso amministrativo
fa seguito un eventuale giudizio davanti ad un giudice ordinario. De Pretis D., Razionalizzazione
delle funzioni ispettive in materia di previdenza sociale e di lavoro – commentario sistematico al
d. lgs. n. 124/2004 in Le nuove leggi civili commentate, 2005.
117
supposta celerità di risposta da parte dell’amministrazione, sia effettivamente
garantita.
Ad una semplice fase istruttoria basata sui documenti prodotti dal ricorrente e
dall’Amministrazione, e su accertamenti eventuali che possono essere disposti
purché utili alla decisione finale217, segue la fase conclusiva. La chiusura del
procedimento può avvenire con una decisione espressa o con il decorso inutile del
termine nel qual caso il ricorso si ritiene respinto (silenzio-rifiuto).
In via generale ricordo l’esistenza, tra le decisioni espresse, delle decisioni di rito,
con le quali si dichiara il ricorso inammissibile per l’esistenza di cause che
rendono impossibile l’esame della fondatezza dei motivi del ricorso stesso, e delle
decisioni di merito. Queste ultime si dividono tra decisioni di accoglimento
motivate da incompetenza, con cui si annulla l’atto e si rimette l’affare all’organo
competente, decisioni di accoglimento per vizi di legittimità con cui si annulla
l’atto oppure, se è necessario avere nuove determinazioni, lo si rinvia all’autorità
che ha emanato il provvedimento impugnato, e decisioni di accoglimento per
motivi di merito con le quali la Direzione regionale può direttamente modificare
l’atto in relazione alle richieste del ricorrente.218 Infine, naturalmente, è possibile
ci sia un rigetto del ricorso, che va, come per le altre decisioni, adeguatamente
motivato.
6.1.1 Il ricorso al Comitato regionale per i rapporti da lavoro
Quanto detto sinora va ricondotto all’art. 16 del d. lgs. n. 124/04. Per quel che
concerne l’art. 17, che prevede una seconda tipologia di ricorso distinto da questo
per la materia che ne caratterizza l’oggetto, molti aspetti sono identici, mi limiterò
quindi a riportare alcuni aspetti peculiari utili all’argomento trattato219. Innanzi
217
Art. 4, comma 3, d.p.r. n. 1199/71. Norma generale sui ricorsi amministrativi.
218
Art. 5 del d.p.r. n. 1199/71 cita tutti i possibili esiti del ricorso. De Pretis D., Razionalizzazione
delle funzioni ispettive in materia di previdenza sociale e di lavoro – commentario sistematico al
d. lgs. n. 124/2004 in Le nuove leggi civili commentate, 2005.
219
In sede di commento dei due articoli in esame è stato evidenziato come il legislatore sia stato
incongruente nel regolare i due ricorsi, esplicitando dei termini o delle previsioni per uno senza poi
riprenderle nell’altro caso, il tutto senza un apparente motivo valido. Si è cercato quindi di
ricostruire la disciplina interpretando in modo più congruo le norme, non senza alcune difficoltà.
Si rimanda per una completa trattazione a De Pretis D., “Razionalizzazione delle funzioni ispettive
in materia di previdenza sociale e di lavoro – commentario sistematico al d. lgs. n. 124/2004” in
Le nuove leggi civili commentate, 2005; Rausei, “Dalla diffida accertativa ai ricorsi regionale”, in
118
tutto va considerato che l’art. 17 introduce un nuovo tipo di ricorso, destinato
probabilmente ad essere il più utilizzato visto che l’oggetto è presentabile contro
tre tipologie di provvedimenti:
-
atti di accertamento delle Direzioni provinciali del lavoro;
-
ordinanze-ingiunzioni delle Direzioni provinciali del lavoro;
-
verbali di accertamento degli istituti previdenziali e assicurativi;
purché abbiano ad oggetto la sussistenza o la qualificazione di rapporti di lavoro.
L’organo chiamato a decidere è un organo appositamente costituito, il Comitato
regionale per i rapporti di lavoro composto dal direttore della Direzione regionale,
dal direttore regionale dell’INPS e da quello dell’INAIL. I termini di proposizione
del ricorso sono i medesimi dell’art. 16220; fermo restando il problema della
corretta individuazione della materia al fine di adire alla giusta autorità (problema
che, come visto sopra, è stato risolto richiamando il d.p.r. n. 1199/71) c’è in
aggiunta qui la difficoltà per il consulente di individuare all’interno della generica
espressione <<atti di accertamento della D.p.l>> quelli che siano realmente
accertativi da quelli che abbiano solamente parte del contenuto definibile come
accertativo. A tal proposito il Ministero con circolare n. 24/2004 ha specificato
come i verbali di ispezione che precedono l’accertamento non siano ricorribili in
quanto non produttivi di effetti. Il procedimento del ricorso ex art. 17 è pressoché
identico a quello descritto per il ricorso ex art. 16, rilevanti differenze sono invece
ravvisabili nei rapporti con il rimedio giurisdizionale. Schematizzando, contro
l’ordinanza-ingiunzione (sempre aventi ad oggetto la sussistenza o la
qualificazione del rapporto di lavoro) è possibile proporre opposizione al giudice
ordinario. Per gli atti di accertamento emessi dalla D.p.l. questi vengono
considerati dei provvedimenti a tutti gli effetti, degli atti amministrativi, e quindi,
non essendoci specifiche previsioni che li riguardano, operano le regole di riparto
della giurisdizione fra giudice ordinario e amministrativo, con la conseguente
La riforma dei servizi ispettivi, a cura di Pennesi, Massi e Rausei, Dir. Prat. Lav., 2004 n. 30;
Parisi,” I nuovi ricorsi amministrativi alla direzione regionale del lavoro”, in Guid. Lav., 2004 n.
34.
220
In realtà questo deriva da una interpretazione della norma giacché letteralmente l’art. 17 fa
riferimento ad un incomprensibile sospensione di taluni termini che se applicata precisamente
renderebbe inapplicabile il ricorso in esame.
119
assoggettazione a quest’ultimo 221. Se invece questo stesso tipo di atto è emesso
dagli entri previdenziali il ricorso andrà fatto al giudice ordinario, in funzione di
giudice del lavoro (trattandosi di materia previdenziale subentra l’art. 442 ss del
c.p.c222). Tali rimedi giurisdizionali rimangono naturalmente gli stessi anche se si
decide di utilizzarli subito senza prima proporre il ricorso amministrativo. Il
Comitato regionale ha tempo 90 giorni per decidere, al termine del quale può
crearsi un silenzio-rigetto, con l’ulteriore problema, rispetto a quanto disciplinato
nell’art. 16, che se il ricorrente decidesse di utilizzare il rimedio giurisdizionale
per ovviare al silenzio dell’amministrazione, per gli atti che prevedono il ricorso
al giudice amministrativo si pone la questione della limitata proponibilità dei vizi
di merito (non sindacabili davanti al giudice amministrativo) stante il carattere di
legittimità di questa giurisdizione223.
Resta valido quanto detto sopra per quanto riguarda il compito del consulente del
lavoro, con l’aggiunta che la materia in questo caso è più complessa (lo si denota
anche dal maggiore tempo lasciato al comitato per le decisioni rispetto ai 60
giorni previsti nell’art. 16). Le questioni relative alla qualificazione del rapporto
di lavoro sono le più frequenti e delicate, tanto più che sono coinvolti gli enti
previdenziali ed assicurativi. C’è da dire che le ipotesi concrete di ricorso alla
Direzione regionale saranno probabilmente più contenute rispetto a quelle
proposte secondo l’art. 17, in quanto i motivi di rimostranza avverso le sanzioni
consistono in genere nel negare in modo assoluto la sussistenza di un rapporto di
lavoro subordinato, o nell’affermare una qualificazione del rapporto diversa da
quella accertata dall’organo ispettivo ed accolta dal provvedimento di ordinanza
ingiunzione. Le controversie innanzi alla Direzione regionale riguarderanno
221
De Pretis D. op citata; Lodato G. , op citata.
222
Art. 442 c.p.c.: Nei procedimenti relativi a controversie derivanti dall`applicazione delle norme
riguardanti le assicurazioni sociali (Cod. Civ. 2110, 2114), gli infortuni sul lavoro, le malattie
professionali, gli assegni familiari nonché ogni altra forma di previdenza e di assistenza
obbligatorie, si osservano le disposizioni di cui al Capo primo di questo titolo (409, 441, 443; att.
148). Art. 444 c.p.c.: Le controversie in materia di previdenza e di assistenza obbligatorie indicate
nell'articolo 442 sono di competenza del tribunale, in funzione di giudice del lavoro, nella cui
circoscrizione ha la residenza l'attore.>>; (Cod. Civ. 43, 45).
223
A questo punto l’interesse ad avere un giudizio anche sul merito è mantenuto solamente con un
giudizio sul silenzio ex art. 21-bis l. n. 1034/71 dove il giudice, di fronte a inerzia
dell’amministrazione, nomina un commissario che provvederà in luogo della stessa.
120
pertanto dei casi in cui si vuole disconoscere l’attribuzione di un fatto illecito ad
un soggetto ( ad esempio, a fronte di una ordinanza ingiunzione irrogante una
sanzione pecuniaria per omessa consegna al lavoratore del prospetto paga , il
ricorrente sostiene di aver invece regolarmente provveduto a tale adempimento ),
oppure sono rilevati vizi del procedimento sanzionatorio. Per tutte le altre
principali casistiche sarà invece presentato ricorso al Comitato regionale per i
rapporti di lavoro (tra le quali si ricorda la diffida accertativa ex art. 12, d. lgs. n.
124/2004, vedi paragrafo 2 del capitolo)
Un ultimo appunto va fatto per sottolineare che soprattutto nelle situazioni in cui è
dubbia la possibilità di sindacare in sede giurisdizionale il merito dell’atto oggetto
di ricorso (il riferimento è al ricorso giurisdizionale al giudice amministrativo per
gli atti di accertamento emessi dalla D.p.l.), è importante che i motivi del ricorso
stesso e le domande siano esaustivamente proposte, onde evitare che
successivamente l’azienda non abbia più possibilità di difesa se non in relazione
agli aspetti di legittimità dell’atto emanato dall’amministrazione.
6.2. L’opposizione al giudice ordinario
In alternativa ai rimedi ex art. 16/17 d.lgs. n. 124/2004, o in aggiunta a tali rimedi,
qualora il ricorso non abbia dato l’esito sperato, è possibile presentare un
opposizione al giudice ordinario ex art. 22 l. n. 689/81, dove, è bene ricordare,
resta ancora garantita la pienezza dei poteri di decisione del giudice sull’atto
amministrativo, che può essere ancora annullato o modificato224. Nuovamente
diventa rilevante il ruolo del consulente del lavoro, all’art. 23, comma 4, legge n.
689/81 infatti si prevede <<che la parte possa stare in giudizio personalmente
innanzi al Tribunale competente>>. In virtù di questa previsione il consulente del
lavoro può essere delegato a rappresentare e difendere in giudizio l’azienda contro
cui è stata emessa l’ordinanza-ingiunzione, mentre dall’altra parte anche la
rappresentanza processuale dell’Amministrazione può essere affidata a funzionari
appositamente delegati.
Ancora una volta ricordo come non sia compito di questa trattazione indagare
approfonditamente le norme che regolano il procedimento giurisdizionale
224
Non può essere altrimenti pensando anche al fatto che il soggetto destinatario dell’ingiunzione
ha la facoltà di adire immediatamente al giudice ordinario senza preventivamente presentare il
ricorso amministrativo.
121
dell’opposizione, ma piuttosto di evidenziare degli aspetti connessi all’esercizio
della professione. A questo proposito quindi l’opposizione va proposta con ricorso
contenente gli elementi formali previsti dall’art. 125, comma 1 del c.p.c, con
allegato il provvedimento che viene opposto, entro il termine di 30 giorni
dall’esito del giudizio del ricorso amministrativo (o dalla notifica dell’ordinanza).
La decisione nel giudizio di opposizione riguarda la pretesa dell’Amministrazione
e non solamente vizi di legittimità, si indaga quindi sul merito, sui fatti; è quindi
fondamentale per il consulente esporre in modo corretto e preciso i contenuti della
domanda proposta e le ragioni a sostegno di tale domanda (come da art. 125 del
c.p.c) posto che l’opposizione in esame segue le regole del processo civile ed il
giudice decide quindi solamente sulla causa pretendi proposta in giudizio in
ragione del principio della corrispondenza fra il chiesto ed il pronunciato (art. 112
c.p.c.). Vale però quanto detto prima in sede di analisi del ricorso amministrativo,
è infatti possibile proporre nuovi motivi di impugnazione davanti al giudice
ordinario rispetto a quelli proposti nel ricorso ex art. 16 d. lgs. n. 124/04.
Specificando meglio l’oggetto dell’opposizione dobbiamo dire che esso è molto
ampio e riguarda più precisamente l’esercizio del potere punitivo della Pubblica
Amministrazione con riguardo: alla modalità e alle procedure seguite per
estrinsecare il potere sanzionatorio in fase di accertamento, contestazione e
contenzioso amministrativo; sussistenza e prova del fatto contestato e sanzionato;
attribuibilità del fatto stesso al soggetto che nell’ingiunzione è indicato come
trasgressore; presenza di eventuali scusanti, attenuanti, cause giustificative valide
a escludere la responsabilità del presunto trasgressore225. È su questi punti che il
consulente può articolare la difesa dell’azienda, che come si vede non riguarda
solamente l’ordinanza-ingiunzione di per sé sola considerata ma comprende il più
ampio profilo dell’esercizio della potestà punitiva durante tutta la procedura che
ha portato all’emanazione dell’atto. Tutto questo considerando che l’onere della
prova in sede di giudizio spetta alla Direzione provinciale del lavoro, con la
conseguenza che quanto sostenuto dal consulente nel ricorso introduttivo potrebbe
anche non essere provato e portare ad un annullamento dell’ordinanza se il
225
Lippolis
V.,
“Lavoro
e
Impresa.
Rito
del
lavoro,
impugnabilità
ampia”;
www.italiaoggi.it/lavorooggi.asp, Giugno 2006; Lippolis V., “Controlli in azienda con garanzie”;
www.dplmodena.it/Controlliinaziendacongaranzie.pdf; Rausei P., “Il giudizio di opposizione dopo
il D. lgs. n. 40/2006.
122
giudice ritenesse i documenti e le testimonianze offerte dalla D.p.l. non sufficienti
a provare i fatti contestati posti all’origine della sanzione.
Comunque sia l’opponente, al termine del giudizio, può ottenere diverse soluzioni
finali: l’annullamento totale dell’ordinanza, l’annullamento parziale, una modifica
per alcuni profili, una rideterminazione della sanzione ingiunta o un rigetto del
ricorso. In questo ultimo caso è stata introdotta una significativa novità con l’art.
26 del d. lgs. n. 40/2006 che abroga l’ultimo comma dell’art. 23 della legge
689/81 dove si stabiliva che <<la sentenza è inappellabile ma ricorribile per
cassazione>>. Ad oggi è invece consentito il secondo grado di giudizio, sono stati
ripristinati i comuni principi del processo civile del nostro ordinamento che
prevedono il cosiddetto “doppio grado” di giudizio che consente un riesame del
merito dell’atto impugnato anche in sede di appello, e non riesame dei soli profili
di legittimità tipico del ricorso per cassazione. Per questo secondo grado valgono
le principali norme che regolano gli appelli nel processo civile 226, soprattutto va
ricordato che in questo caso la parte non può stare in giudizio da sola ma necessita
il patrocinio tecnico del difensore.
In ogni caso, a parte questo ultimo caso che prevede la necessaria assistenza di un
legale, si può osservare come ci siano comunque opportunità interessanti per il
consulente. Egli di solito conosce meglio di chiunque altro le vicende (ispettive e
non) che hanno portato all’ordinanza-ingiunzione, e può così condurre la tutela
del proprio cliente dalla fase della gestione ordinaria sino a quella del contenzioso
amministrativo prima e giudiziario poi. L’ampliamento delle proprie conoscenze,
l’approfondimento di alcuni profili di carattere prettamente processuale, unito alla
previsione legislativa di regole processuali meno rigorose, realizzate attribuendo
più poteri al giudice competente e meno vincoli formali nei confronti delle parti,
permetterà al consulente del lavoro di sfruttare meglio tale opportunità
conquistando nuovi spazi di attività227
226
Ancora una volta riportare i diversi articoli del codice di procedura civile che regolano l’appello
nel processo civile esula dagli scopi di questo lavoro.
227
Nuove funzioni del consulente del lavoro, www.conuslentidellavoro.it
123
7. Conclusioni
La serie di riforme attuate a partire dal 2003 con la legge delega 14 febbraio 2003,
n. 30 hanno profondamente modificato il mondo del lavoro, intervenendo in modo
significativo in tutti gli aspetti relativi ai rapporti di lavoro. La famigerata “Legge
Biagi” è stata oggetto di numerosi dibattiti, volti soprattutto a criticare l’aspetto
della flessibilità, che sembra avere introdotto una forte componente di precarietà
nei rapporti di lavoro dipendente. Su questa scia riformista si inserisce anche il d.
lgs. n. 124/2004 che ha inciso significativamente su una materia, quella dei servizi
ispettivi, rimasta per anni ai margini del dibattito giuslavoristico228 e capace oggi
di fornire nuovi stimoli e spunti di riflessione importanti.
Il disegno di riforma complessiva poggia sostanzialmente su una duplice volontà
del legislatore, da un lato di introdurre i principi della prevenzione e della
promozione in un mondo da sempre caratterizzato dal movente della repressione
dei comportamenti antigiuridici, e dall’altro di introdurre dei nuovi istituti capaci
di ridurre il contenzioso in materia di lavoro favorendo soluzioni conciliative delle
controversie. Accanto a ciò, di assoluto rilievo è poi l’introduzione della diffida
accertativa dei crediti patrimoniali; questo istituto infatti, in quanto volto a
garantire la soddisfazione immediata dei crediti pecuniari vantati dai lavoratori
tramite atto emanato dall’ispettore del lavoro (successivamente valicato dalla
direzione provinciale) senza la necessità dover ricorrere all’attività dei sindacati o
ad una pronuncia giudiziale, si presenta come uno strumento assolutamente
innovativo nell’insieme della normativa che regola i rapporti di lavoro.
Nel presente lavoro, esaminando nel dettaglio il decreto e ponendo particolare
attenzione proprio sugli aspetti maggiormente innovativi della riforma, si è
evidenziato come i punti controversi siano molti, e per certi aspetti lontani
dall’essere risolti. Lo storico rapporto che ha visto nel corso degli anni
contrapporsi l’autorità ispettiva in materia di lavoro ed i datori di lavoro assistiti
dai consulenti del lavoro, si è riproposto (e non poteva essere altrimenti) anche in
sede interpetativa di un decreto legislativo, il n. 124/2004, tutt’altro che di
semplice applicazione. Ad oggi, visto i numerosi punti di problematica
interpretazione, la sensazione più diffusa è che gli operatori del settore, da
228
Vergari S., “La funzione ispettiva in materia di lavoro: conciliazione e repressione” in
“Mercato del lavoro. Riforma e vicoli di sistema” a cura di Tamajo R.L., Rusciano M., Zoppoli L.
2004.
124
entrambe le parti, stiano cercando di barcamenarsi come meglio possono,
utilizzando il tipico atteggiamento di chi “naviga a vista”.
Da un lato gli ispettori del lavoro non sono preparati ad affrontare i nuovi compiti
di consulenza, prevenzione e informazione che il decreto attribuisce loro, in
quanto in possesso di una formazione tipicamente basata sulla necessità di
indagare, di scoprire le fattispecie di illegittimità e colpire, con intento repressivo,
gli autori del comportamento antigiuridico. È per questo motivo che si auspica, ed
è assolutamente necessario, un intervento del ministero del lavoro volto a
modificare i percorsi formativi degli ispettori del lavoro di nuova generazione,
adeguandoli in modo tale da consentire poi agli ispettori stessi la possibilità di
espletare in modo efficace i nuovi compiti che la legge richiede. Di conseguenza è
necessario anche cercare, per quanto possibile, di modificare il punto di vista degli
ispettori che invece operano già da diversi anni nel settore, per abituare anche
questi alle nuove funzioni di consulenza e prevenzione che saranno chiamati a
compiere.
Dall’altra parte i consulenti del lavoro appartengono alla categoria che più di tutte
deve confrontarsi con le riforme che interessano il mondo del lavoro; assistono il
datore di lavoro nella gestione del personale in tutti i suoi aspetti e di conseguenza
sono i soggetti che intrattengono i rapporti con l’amministrazione nel caso di
visita ispettiva. Nella pratica lo svolgimento dell’attività professionale del
consulente si concretizza spesso nella necessità di fornire una prestazione di
consulenza e di assistenza; egli è chiamato a fungere da intermediario qualificato
tra il sistema normativo su cui poggia il mondo del lavoro ed il datore di lavoro
che deve rispettarlo, fornendo a quest’ultimo i giusti chiarimenti per una corretta
applicazione della normativa vigente. Come osservato sembra che la riforma dei
servizi ispettivi sia intervenuta su questo tipo di rapporto tra consulente e cliente,
legittimando gli ispettori a sostituirsi, in alcuni casi229, al professionista, prestando
al soggetto passivo dell’ispezione attività di consulenza. È questo uno dei punti
controversi di cui si parlava in precedenza; oltre alla mancanza di preparazione da
parte degli ispettori stessi si è rilevata anche l’oggettiva perplessità con cui i
consulenti del lavoro hanno accolto la nuova previsione. C’è, in particolare, una
229
Nel concreto i casi in questione sono quelli in cui non è rilevabile nessuna fattispecie che
comporti sanzione amministrativa o penale, di conseguenza probabilmente raramente sarà
realmente attivabile l’attività consulenziale degli ispettori.
125
certa difficoltà nell’accettare che l’amministrazione intervenga nel rapporto
fiduciario che si crea tra consulente e datore di lavoro, svolgendo un’attività di
assistenza che per definizione spetta al consulente stesso. Senza contare poi che
potrebbe concretamente profilarsi un rischio di conflitto di interessi nel momento
in cui un ispettore, chiamato a controllare la corretta applicazione della normativa,
si trova nella condizione di dover giudicare una fattispecie in cui era
precedentemente intervenuto, svolgendo l’attività consulenziale, un suo collega.
In ogni caso il decreto n. 124/2004, nel suo complesso, ha fatto emergere, per i
consulenti del lavoro, che lo sviluppo dell’ordinamento ha portato con se una
complicazione della professione, nella quale l’attività di studio e approfondimento
diventa sempre più importante, assieme alla necessità di avere un costante,
frequente e sereno dialogo con i diversi soggetti che agiscono in questo ambito. Il
ruolo del consulente risulta dunque determinante e di estrema importanza, è la
figura professionale che per prima ha dovuto confrontarsi con la riforma
introdotta dal d. lgs. n. 124/2004, e di conseguenza è il soggetto che per primo è
chiamato a valutare gli effetti dei nuovi strumenti quali la conciliazione
monocratica o la diffida accertativa per i crediti patrimoniali. In particolare è stato
sopratutto messo in evidenza come di fatto gli istituti del d. lgs. n. 124/2004 siano
stati pensati per incentivare fortemente il raggiungimento della conciliazione tra
lavoratore e datore, per cercare di evitare quanto più possibile il ricorso ai rimedi
giurisdizionali. La spinta alla conciliazione deriva soprattutto dal fatto che questo
risulta essere l’unico mezzo attraverso cui si consente al datore di lavoro di
evitare, in alcune circostanze, la continuazione della visita ispettiva230, oppure di
evitare, per esempio, la formazione di un titolo esecutivo nel caso di emanazione
di diffida accertativa dei crediti patrimoniali. In una situazione di questo tipo
diventa quindi di centrale importanza la capacità del professionista di mediare le
diverse istanze, la sua abilità nel sapere leggere le situazioni e capire quando è il
caso di insistere sulla via conciliativa, assecondando la volontà del dipendente, o
quando è possibile “rischiare” e procedere in via giurisdizionale, con il pericolo
che gli oneri finali per il datore siano poi superiori di quelli derivanti da una
eventuale conciliazione. L’Ordine nazionale dei consulenti del lavoro ha parlato a
230
I versamenti dei contributi previdenziali e assicurativi….riferiti alle somme concordate in sede
conciliativa…..nonché il pagamento delle somme dovute al lavoratore, estinguono il procedimento
ispettivo (d. lgs. n. 124/2004, art. 11, comma 4)
126
tal proposito di una nuova figura di conciliatore, proprio in virtù della nuova
prospettiva con cui i professionisti dovranno affrontare le procedure conciliative.
Di grande portata poi è sicuramente l’introduzione nella normativa giuslavoristica
dell’interpello, strumento tipicamente usato dai tributaristi, che consentirà ai
consulenti del lavoro di interpellare l’amministrazione per avere chiarimenti in
ordine a questioni interpretative sulla normativa del diritto del lavoro. Dopo un
iniziale periodo di collaudo, ed un perfezionamento del sistema di raccolta degli
interpelli231 che sta avendo luogo in questo periodo, è probabile che questo diventi
uno degli strumenti maggiormente utilizzati dai professionisti del settore, visto il
già constatato successo avuto anche nel diritto tributario.
Accanto a questo permane l’importanza del consulente relativamente a tutti quegli
aspetti che comunque era chiamato a gestire anche in precedenza all’approvazione
del nuovo decreto, basti pensare al ruolo di garante dei diritti del datore di lavoro
durante la visita ispettiva e in generale ai rapporti con l’ispettore durante l’accesso
in azienda. L’approvazione del nuovo decreto sulla riforma dei servizi ispettivi ha
infatti stimolato l’organo ispettivo a dotarsi di un nuovo codice di comportamento,
che fornisca a tutti i dipendenti dell’amministrazione delle linee guida da seguire
in caso di visita ispettiva. Anche in questo caso non sono mancati dei motivi di
contrasto, in ordine soprattutto alle direttive che vietano al consulente del lavoro
di presenziare agli interrogatori dei dipendenti. Senza entrare nei particolari, già
analizzati, resta comunque da evidenziare la volontà di instaurare un generico
“spirito collaborativo” tra professionista ed ispettore, cercando ancora una volta di
ammorbidire le tradizionali posizioni antitetiche dei due soggetti.
Un’ultima tipologia di attività è individuabile in relazione all’ipotesi in cui
l’ispezione si concluda con la rilevazione dell’infrazione. Il consulente in questo
caso ha facoltà e capacità di gestire la proposizione dei ricorsi, entrando così come
protagonista in tutte le fasi dell’accesso ispettivo. Egli è legittimato a presentare i
ricorsi amministrativi di cui agli artt. 16 e 17 d. lgs. n. 124/2004 e,
successivamente, nei casi in cui è consentito alla parte di difendersi da sola, ad
esercitare le azioni giurisdizionali che la legge di volta in volta prevede.
231
L’originario art. 9 d. lgs. n. 124/04 è stato riscritto dal d. legge 262/2006. In particolare si è
modificato il sistema di invio degli interpelli cercando di semplificare i passaggi tra le diverse
istituzioni coinvolte. E’ naturale che ci possano essere questi tipi di aggiustamenti che hanno lo
scopo di rendere il più efficiente possibile lo strumento.
127
Come spesso accade, per una valutazione effettiva degli effetti positivi e negativi
di una riforma è necessario attendere un periodo sufficiente a consentire
l’applicazione di tutti gli istituti di nuova introduzione in modo ripetuto e
completo. In questo modo sarà possibile osservare nella pratica, a distanza di anni,
quale impatto si è avuto nella gestione dei rapporti di lavoro, se l’obiettivo che il
legislatore si era posto è stato raggiunto e se i diversi soggetti hanno saputo dare
una giusta interpretazione alle previsioni normative. Ad oggi tutto questo non è
ancora possibile, tre anni di vigenza del d. lgs. n. 124/2004 non consentono di
dare un giudizio definitivo sulla riforma. Il tentativo di vincere la diffidenza dei
datori di lavoro verso gli ispettori introducendo delle funzioni consulenziali ed
informative, l’attenuazione dell’aspetto repressivo della funzione di vigilanza e i
nuovi istituti introdotti sono dei punti decisamente innovativi, che rappresentano
uno strappo con il passato e necessitano pertanto di un lungo periodo di rodaggio
affinché si possa apprezzarne completamente gli effetti. L’attività ispettiva è
notoriamente caratterizzata da diverse difficoltà, sia per la complessità del diritto
del lavoro sia per la costante carenza di personale che rende difficoltoso la
programmazione mirata delle visite ispettive. Su queste basi, e constatando che
non è possibile risolvere la situazione aumentando il numero di ispettori vista la
cronica carenza di risorse finanziarie da destinare alle funzioni pubbliche,
è
apprezzabile il tentativo di ricorrere a metodi alternativi che si fondano su un
tentativo di collaborazione tra controllore e trasgressore con il fine ultimo di
regolarizzare il più velocemente possibile la situazione di illegittimità. In tutto
questo il ruolo del consulente del lavoro risulta determinante, è lui che affianca il
datore di lavoro colpito da un accesso ispettivo ed è lui che si preoccupa di
assisterlo in tutte le situazioni che tale accesso comportano. Come già ricordato
egli è il professionista più qualificato, per competenza specializzata, ad
interloquire con gli ispettori del lavoro in sede di accertamento. Oltre a questo,
però, il consulente rimane comunque (per caratteristiche professionali) l’assistente
migliore del datore di lavoro nella gestione del personale, egli interviene nella
creazione, definizione e sviluppo del rapporto di lavoro trattandone gli aspetti
contabili, economici, giuridici, previdenziali, assicurativi e sociali. Avere
analizzato i compiti, i diritti, la legittimazione ad agire ed i doveri verso il proprio
cliente è stato un valido metodo per capire da un lato quali siano i rapporti che
intercorrono tra controllore (ispettore del lavoro) e controllato (datore di lavoro),
128
e dall’altro quali siano gli strumenti di difesa in mano al datore di lavoro che
subisce un accesso ispettivo da parte dell’amministrazione.
129
130
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