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Realizzazione di un prototipo di sensore stellare per

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Realizzazione di un prototipo di sensore stellare per
Università degli Studi di Pisa
Facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali
Corso di Laurea Specialistica in Fisica Applicata
Anno Accademico 2002-2003
Tesi di Laurea Specialistica
Realizzazione di un prototipo di sensore
stellare per esperimenti di astronomia X/γ su
piattaforme galleggianti a quota
stratosferica
Relatore:
Dott. Leonida A. Gizzi
Candidato:
Gabriele Palladino
Indice
Ringraziamenti
3
Premessa
5
1 L’astronomia X/γ a quota stratosferica ed il sistema HiPeG
1.1 La nuova generazione di telescopi spaziali per radiazione X e γ .
1.2 L’astrofisica in alta atmosfera . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
1.3 Le caratteristiche del volo stratosferico . . . . . . . . . . . . . .
1.4 Il progetto HiPeG (High Performance Gondola) . . . . . . . . .
1.5 HiPeG - Il sistema di bordo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
1.6 I sensori stellari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
1.7 Il sensore stellare di HiPeG . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
1.7.1 La parte elettronica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
1.7.2 La parte ottica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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2 L’algoritmo di riconoscimento stellare
2.1 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
2.1.1 I livelli sequenziali del software . . . . . . . . . . . . . . .
2.1.2 Il calcolo dell’assetto I - Caso di due stelle . . . . . . . . .
2.2 Lo schema di funzionamento del sensore e la procedura di inizializzazione del catalogo stellare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
2.3 Analisi dell’immagine e defocalizzazione . . . . . . . . . . . . . . .
2.3.1 La localizzazione di stelle reali sul segnale di fondo . . . .
2.3.2 Il centroide . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
2.3.3 La defocalizzazione dell’immagine . . . . . . . . . . . . . .
2.4 Il riconoscimento stellare I - Clipping, configurazioni e focali . . .
2.4.1 Lo schema del riconoscimento stellare . . . . . . . . . . . .
2.4.2 Il clipping sul catalogo di riferimento . . . . . . . . . . . .
2.4.3 Le configurazioni candidate . . . . . . . . . . . . . . . . .
2.4.4 La precisione sulla distanza focale . . . . . . . . . . . . . .
1
7
7
11
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23
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25
25
26
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33
33
34
37
38
38
39
40
44
2.5
2.6
2.7
Il riconoscimento stellare II - Il ciclo tree-path . . . . . . . .
Il riconoscimento stellare III - Verifica, espansione e calcolo
l’assetto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
2.6.1 Il ciclo di verifica dell’immagine e la sua espansione .
2.6.2 Il calcolo dell’assetto II - Caso generale . . . . . . . .
L’algoritmo di inseguimento . . . . . . . . . . . . . . . . . .
2.7.1 Il tracking delle sorgenti astronomiche . . . . . . . .
2.7.2 Lo schema dell’algoritmo . . . . . . . . . . . . . . . .
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del. . .
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52
53
53
53
3 I test dell’algoritmo - Modelli e simulazioni
3.1 Introduzione - La precisione di puntamento . . . . . . . . . . . . .
3.2 La precisione sulla posizione del centroide . . . . . . . . . . . . .
3.2.1 La propagazione dell’errore sul calcolo del centroide . . . .
3.2.2 Un modello di stima per la discretizzazione: la stella quadrata
3.2.3 Le previsioni del modello . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
3.2.4 Il test Montecarlo sulla precisione del centroide . . . . . .
3.3 Il test sulla precisione di puntamento . . . . . . . . . . . . . . . .
3.3.1 L’indipendenza della precisione dalla distanza focale . . . .
3.4 Il riconoscimento stellare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
3.4.1 Il test su immagini reali - Intensità e diametri delle stelle .
3.4.2 I test su immagini simulate . . . . . . . . . . . . . . . . .
4 Le prove sperimentali di precisione
4.1 Introduzione - I test ottici . . . . . . . . . . . . . . . . .
4.2 Il rumore della CCD . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
4.3 Le prove di messa a fuoco e di risoluzione . . . . . . . . .
4.3.1 L’apparato sperimentale: il “cielo in una stanza”
4.3.2 I risultati delle prove di messa a fuoco . . . . . .
4.3.3 Intensità, diametri e tempi di esposizione . . . . .
4.4 Le prove sulla precisione di puntamento . . . . . . . . . .
4.4.1 Il metodo sperimentale . . . . . . . . . . . . . . .
4.4.2 I risultati delle misure . . . . . . . . . . . . . . .
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93
94
100
102
102
105
Conclusioni
107
Bibliografia
109
2
Ringraziamenti
Un’esperienza di lavoro o di studio, anche se breve e temporanea, comporta sempre l’agitazione di quell’impalpabile e mai semplice preparato alchemico che sono
le relazioni tra persone.
Nel mio caso personale, pur essendo io persona schietta ma tendenzialmente
un pò riservata e gelosa della propria “incolumità” sociale (gli individui, talvolta, mi affascinano oltremisura, distraendomi dai miei doveri ed assorbendomi in
silenziose attenzioni...), posso dire di essermi trovato, nei quasi 18 mesi che hanno visto il compiersi di questa mia esperienza di tesi presso i laboratori ILIL
dell’Istituto per i Processi Chimico-Fisici del CNR di Pisa, in uno dei migliori
ambienti di lavoro possibili. Oltre al prezioso atteggiamento verso la semplicità
delle cose che la faticosa disciplina di chi dedica la propria vita al progresso della
ricerca scientifica dovrebbe sempre dispensare, quello che ho potuto ampiamente
e quotidianamente apprezzare va ben al di là delle indicazioni, dei suggerimenti e
dei chiarimenti che ho necessariamente ricevuto per portare a termine un compito
altrimenti difficile.
La bravura dei “ragazzi” che mi hanno “incalzato” in questa esperienza è
indubbia: il prof. Danilo Giulietti, che con la sua affabilità mi ha portato a conoscenza dell’esistenza di una tematica di ricerca relativa ai sensori stellari, l’attenzione critica e sempre costruttiva del mio relatore, il dott. “Leo” Gizzi, la consulenza informatica e “filosofica” del dott. Luca Labate, la costante e perspicua
disponibilità ad aiutarmi nel risolvere problemi di qualsiasi tipo ed a scambiare
opinioni sugli argomenti tecnici più disparati del dott. Marco Galimberti....
Quello che invece vorrei qui ricordare, e sarà per me difficile dimenticare in
futuro, è l’assoluta umanità che devo a tutte le persone che ho incontrato qui
all’ILIL, personale di ricerca e studenti; umanità (e generosità) che oggi sempre
più spesso, anche tra persone cosiddette “colte”, va scomparendo a favore di un
modo di interpretare la “comunità” di coloro che si trovano a condividere un
luogo ed il fine del loro lavoro come una parentesi, un angolo di vita subı̀ta che
non ha diritto, talvolta, di rimanere tra le nostre più vere ed importanti basi di
significato individuale.
3
Un sentitissimo e non risparmiabile grazie lo devo dunque, anche a costo di
ripetermi, al dott. Leonida Gizzi, al prof. Danilo Giulietti, ed al dott. Antonio
“Tonino” Giulietti, responsabile del laboratorio ILIL, al dott. Marco Galimberti,
al dott. Luca Labate, al dott. Paolo Tomassini, a tutti i ricercatori ed i tecnici
del nostro affollato corridoio.
Last but not least, voglio ricordare tutti gli studenti che si sono succeduti nel
preparare con me il loro lavoro di tesi nello stesso laboratorio: Alessio Misuri,
Flavio Zamponi, Carlo Alberto Cecchetti, Ersilio Castorina, Paola Squillacioti,
Monica Sanna, Evelina Breschi e, per scopi diversi da quelli della laurea, gli
ultimi arrivati Stephan Laville (Francia) e Thomas Dooher (Irlanda); un grazie
particolare va a Petra Köster (Germania), che ha condiviso com me il tempo
necessario a redigere la tesi al computer e le medesime sessioni degli appelli di
laurea (tesi e tesi specialistica).
Un ultimissimo ringraziamento lo esprimo ancora verso chi si è più spesso fatto
carico dei miei pressanti dubbi e della mia necessità di ricevere sempre rinnovati
incoraggiamenti: i risultati di questo lavoro sono dedicati a Marco Galimberti,
che, con la sua infinita pazienza e cortesia, si è rivelato ancora una volta di più
quell’uomo attento e curioso della Natura (soprattutto della montagna!) che
realmente lui è.
4
Premessa
La realizzazione di un prototipo
di sensore stellare
Questo lavoro di tesi specialistica descrive l’attività di sviluppo e di realizzazione
di un prototipo di sensore stellare ad alta precisione di puntamento compiuta presso l’istituto IPCF del CNR di Pisa. Tale dispositivo, studiato nell’ambito di un
più ampio progetto denominato HiPeG (High Performance Gondola), proposto in
collaborazione con l’istituto IASF del CNR di Bologna e finanziato dall’Agenzia
Spaziale Italiana, costituisce la base di un innovativo sistema di misura dell’assetto di una piattaforma scientifica di nuova concezione, in grado di supportare
esperimenti di astronomia X/γ effettuati in alta atmosfera con l’ausilio di palloni
areostatici.
Nella tesi verranno illustrati i principi, gli algoritmi e le soluzioni hardware
che sono alla base della realizzazione di un sistema capace di una totale autonomia nella determinazione di una traiettoria di puntamento ottico tramite
l’identificazione di campi stellari.
Per raggiungere questo obiettivo è stato realizzato un software suddiviso in
più livelli, ciascuno dei quali destinati ad assolvere ai seguenti compiti:
1. elaborazione di immagini digitalizzate per la rivelazione ottica e la localizzazione di campi stellari;
2. estrazione dalle immagini di informazioni utili ad identificare le stelle tramite confronto con i dati disponibili su appositi cataloghi stellari redatti in
formato elettronico;
3. determinazione dell’assetto del sistema ed utilizzo di questo parametro per
l’inseguimento della direzione di puntamento su immagini in movimento.
Nell’elaborato saranno quindi presentati i risultati di una serie di test e di simulazioni numeriche, nonchè saranno illustrati i risultati delle misure eseguite
5
sull’hardware realizzato presso il laboratorio ILIL; gli elementi complessivamente
raccolti hanno mostrato la possibilità di determinare la misura dell’assetto entro
il limite di precisione di pochi secondi d’arco, soddisfacendo in tal modo i requisiti
del progetto HiPeG.
Nel merito della cultura scientifica acquisita durante lo svolgimento di questo
lavoro di tesi, oltre ad aver maturato nuove conoscenze nell’ambito delle tecniche
sperimentali dell’astrofisica X/γ, ottenute con la partecipazione all’International
Advanced School “Leonardo Da Vinci” 2002, organizzata sull’argomento dall’istituto IASF del CNR di Bologna, ho personalmente avuto modo di conoscere un
ambito di ricerca molto specialistico e stimolante.
Durante questo lavoro ho avuto la possibilità di familiarizzare con le caratteristiche e l’uso della strumentazione ottica ed elettronica (CCD) disponibile per
la realizzazione del sensore; ho inoltre acquisito esperienza nell’uso dell’ambiente
di programmazione (C++) che è servito per la realizzazione del software, oltrechè
approfondito l’uso delle tecniche di calcolo numerico necessarie all’esecuzione dei
test di verifica.
6
Capitolo 1
L’astronomia X/γ a quota
stratosferica ed il sistema HiPeG
1.1
La nuova generazione di telescopi spaziali
per radiazione X e γ
L’astrofisica delle alte energie è oggi una delle più fertili e promettenti branche del sapere scientifico. Il notevole progresso tecnologico e l’affinamento delle
capacità di analisi nell’elaborazione dei dati raccolti durante le recenti missioni
spaziali internazionali offrono nuovi e numerosi elementi per la verifica dei modelli
cosmologici attualmente allo studio.
Nell’ambito dell’astronomia X e γ condotta fuori atmosfera, unico ambiente
ove gli strumenti di misura possono accedere all’intero spettro della radiazione
elettromagnetica, la nuova generazione di rivelatori e telescopi opererà con livelli di sensibilità e dinamica sempre maggiori al fine di raggiungere precisioni
sempre più alte nella risoluzione angolare, temporale e spettrale delle sorgenti di segnale. In particolare, le tecniche di risoluzione angolare basate sull’uso
di maschere ad ombreggiatura codificata (coded masks), che sfruttano il principio dell’oscuramento controllato della sorgente, o le metodologie di tracciamento
delle cinematiche quantistiche (per es. Compton scattering), hanno sinora consentito la ricostruzione angolare della radiazione proveniente dallo spazio con
una precisione non inferiore a qualche minuto d’arco. Con queste tecniche di
imaging cosiddette passive, l’affinamento della risoluzione è limitata dall’aumento del rumore termico-elettronico conseguente all’accrescimento delle dimensioni
dei telescopi e del volume di raccolta del segnale nei rivelatori ad essi associati.
Una possibile alternativa per aggirare questa impasse consiste nell’impiegare
dispositivi in grado di agire come un’ottica convergente, focalizzando in tal modo
7
la radiazione X/γ in uno spot di dimensioni molto ridotte ove collocare il rivelatore adeguatamente dimensionato. La figura (1.1) mostra, in particolare, un
confronto diretto delle caratteristiche del segnale d’uscita (rapporto segnale/ rumore) dei rivelatori impiegati comunemente nei telescopi per le alte energie, con
un prototipo basato su un’ottica diffrattiva per radiazione γ (progetto CLAIRE,
bibliografia [1] e [2]).
Figura 1.1: La figura illustra i principi di raccolta della radiazione alla base dei telescopi γ
tradizionali (coded mask e Compton) a confronto con un sistema di nuova concezione basato su
diffrazione Laue. Si può osservare il miglioramento del rapporto S/N consentito dalle proprietà
focalizzanti dei nuovi telescopi. Acol e Vdet rappresentano rispettivamente l’area della superficie
di raccolta della radiazione ed il volume occupato dai detector.
Le ottiche per radiazione X/γ si basano su principi fisici diversi a seconda della
regione spettrale in esame. Nel caso di basse energie (componente “molle” della
radiazione X, con energie dei fotoni inferiori a qualche keV), lo scopo può essere
facilmente raggiunto sfruttando il principio di riflessione per incidenza radente,
ovvero mendiante l’incidenza della radiazione su strati superficiali di materiali ad
alto numero Z (per es. Au o Ni) ad angoli molto piccoli. A tal proposito la figura
(1.2) illustra, come esempio, l’andamento della riflettività dell’oro in funzione
dell’energia della radiazione incidente, mostrando come per angoli inferiori al
8
Figura 1.2: Andamento del coefficiente di riflettività dell’oro in funzione dell’energia della
radiazione incidente per angoli compresi tra 0.5 e 20 gradi.
grado e fino ad energie dell’ordine di qualche keV questa si discosti poco dall’unità
(bibliografia [3]).
Al fine di aumentare la superficie efficace di raccolta della radiazione, contenere la lunghezza focale e ridurre le distorsioni sulle immagini fuori asse ottico, il
telescopio è costituito da blocchi formati da più set di specchi concentrici profilati con particolare sagomature, per esempio parabolica od iperbolica. Il grado di
perfezionamento di queste tecniche realizzative ha già permesso il raggiungimento
di altissime risoluzioni angolari equivalenti a pochi secondi d’arco. Un esempio è
costituito dal telescopio CHANDRA, di cui la figura (1.3) illustra lo schema di
disposizione degli specchi.
Figura 1.3: Schema di disposizione delle ottiche ad incidenza radente del telescopio CHANDRA.
La disposizione concentrica delle sezioni paraboliche ed iperboliche degli specchi consente di
incrementare la sezione d’urto efficace del telescopio.
9
Figura 1.4: Geometria della diffrazione tra i piani reticolari di un cristallo di germanio in un
telescopio Laue (progetto CLAIRE) e successiva focalizzazione sul rivelatore.
Per energie crescenti, e dunque per la componente X “dura” e γ, le tecniche
attualmente allo studio sono diverse e riguardano, ad esempio, le interazioni coerenti dei flussi di radiazione diffratti da un reticolo cristallino (tipicamente Ge o
Si) o le riflessioni multiple all’interno di un multilayer di un opportuno materiale
composito (bibliografia [4]). Nel caso di utilizzo di un reticolo cristallino si otterrà un fuoco nel primo massimo di diffrazione in geometria di Bragg (riflessione
sui reticoli del cristallo) o equivalentemente in geometria di Laue (trasmissione
nell’intero volume del cristallo) in funzione dell’energia della radiazione incidente.
Esempi di telescopi impieganti queste tecniche costruttive sono CLAIRE ed
HEXIT (bibliografia [5]), le cui caratteristiche di risoluzione angolare e di precisione sono alla base della realizzazione del progetto HiPeG; la figura (1.4) illustra
schematicamente il funzionamento del telescopio diffrattivo a geometria di Laue
CLAIRE, dove d e θ sono, rispettivamente, la distanza tra i piani reticolari del
cristallo e l’angolo di incidenza della radiazione su di essi.
Come nel caso precedente è possibile notare la presenza di più settori circolari concentrici di materiale cristallino al fine di aumentare la sezione d’urto
complessiva del telescopio sulla radiazione raccolta.
Ovviamente la relazione di Bragg coinvolta nel fenomeno diffrattivo
2d sin ϑ = nλ
(1.1)
essendo n l’ordine di diffrazione, garantisce esclusivamente la focalizzazione di
un flusso di radiazione monocromatico, la cui lunghezza d’onda λ è funzione del
materiale adoperato.
10
1.2
L’astrofisica in alta atmosfera
Lo sviluppo e la messa a punto di queste nuove ottiche X/γ richiede test e campagne di misura da effettuare al di fuori dell’atmosfera terrestre. Considerati i costi
elevati ed i lunghi tempi di pianificazione che la messa in orbita di un satellite
dedicato comporterebbe, il consolidamento di queste tecniche osservative viene
realizzato su piattaforme galleggianti a quota stratosferica.
Da molti anni infatti numerose missioni specialistiche sono state realizzate
con l’impiego di strutture metalliche compatte e resistenti denominate gondole,
equipaggiate con pesanti apparecchiature scientifiche e mantenute ad alta quota
da palloni areostatici. Tali piattaforme, tipicamente assemblate utilizzando alluminio o leghe leggere a base di fibre di carbonio, possono avere un peso contenuto
entro le poche centinaia di chilogrammi.
Il compito del trasporto e del mantenimento in quota è affidato a grossi palloni
(ballons) di materiale plastico, riempiti con gas inerte (tipicamente elio) in quantità tale da poter galleggiare ai margini superiori della stratosfera terrestre (circa
40 km di altezza) per intervalli di tempo considerevoli che vanno da alcune ore
fino ad alcune settimane o mesi, come nel caso di alcuni voli circumpolari. Compatibilmente con le condizioni metereologiche e con il movimento delle masse
d’aria nell’atmosfera, questa modalità di trasporto consente, oltre alla possibilità di ottenere i risultati osservativi richiesti, anche il recupero dell’attrezzatura
utilizzata.
Figura 1.5: Due momenti del lancio di una missione su pallone: a sinistra è possibile vedere la
fase di riempimento del pallone tramite un apposito condotto di alimentazione del gas; a destra
lo stesso pallone, raggiunta la sufficiente quantità di elio, viene sganciato dall’ancoraggio per
consentirne il sollevamento verso il cielo; in basso è visibile la gondola ancora al suolo.
Le quote raggiungibili con questi mezzi consentono tipicamente misure nel
range di energie superiori ai 30 keV (componente “dura” dei raggi X e raggi
11
γ): per queste energie i gas residui che si trovano negli alti strati dell’atmosfera, sopra il pallone, contribuiscono a circa il 0.3 % dell’assorbimento radiativo
dell’atmosfera totale (bibliografia [6]). Come si può infatti osservare dalla figura (1.6), l’atmosfera terrestre ammette una finestra di trasparenza molto stretta
per le radiazioni elettromagnatiche provenienti dallo spazio: solo le frequenze che
cadono nel visibile sono rilevabili al livello del mare. Per effettuare osservazioni
in una più ampia regione di spettro, occorre quindi raggiungere con mezzi adeguati l’altitudine necessaria ad evitare il completo assorbimento delle frequenze
di interesse.
Figura 1.6: La figura illustra l’andamento delle quote che le componenti dello spettro elettromagnetico riescono a raggiungere attraversando l’atmosfera terrestre: per rivelare radiazione al
di fuori delle frequenze visibili, è necessario l’impiego di opportuni mezzi di trasporto.
Il parametro caratteristico dell’opacità atmosferica, la lunghezza di assorbimento, è tipicamente descritto da un andamento che è possibile valutare in figura
(1.7) come funzione dell’energia della radiazione incidente e della quota. Da tale
andamento emerge come entro 40 km di altitudine, corrispondente alla quota normalmente raggiungibile dai palloni stratosferici, sia realizzabile un ampio margine
di visibilità in energie di radiazione.
I risultati scientifici delle missioni supportate da piattaforme trasportate da
palloni stratosferici hanno contribuito, in un recente passato, ad ottenere le prime
12
160
140
Altitudine (km)
120
100
80
60
40
20
0.1
1
10
100
1000
Energia (keV)
Figura 1.7: Andamento medio della penetrazione della radiazione X e γ attraverso l’atmosfera
terrestre. Fissato in ascissa un valore di energia, il corrispondente punto sulla scala delle
altitudini indica la quota alla quale l’intensità della radiazione incidente risulta ridotta di un
fattore 1/e. I valori sono stati ricavati elaborando un modello disponibile in bibliografia [7] e
[8].
mappe del cielo con sorgenti di radiazione tra i 30 e 1000 keV (tra le quali
nuovi oggetti emittenti interpretabili come possibili buchi neri al centro della
galassia), nonchè ulteriori evidenze delle tracce di una radiazione “fossile” diffusa
nell’universo (per es. missione BOOMERanG). Con l’impiego di questa tecnica
sono stati anche evidenziati i casi di decadimento γ del Cobalto in residui di
supernova ed approfondimenti spettroscopici su altre sorgenti più deboli già note.
1.3
Le caratteristiche del volo stratosferico
La realizzazione di sistemi di guida per telescopi in uso su palloni stratosferici deve
tener conto delle caratteristiche ambientali presenti nelle condizioni operative.
Queste caratteristiche tipiche sono riassumibili nella figura (1.8), dove vengono
mostrati, come esempio, i dati forniti dalla telemetria eseguita in tempo reale
durante lo svolgimento della missione LAPEX (bibliografia [9], si veda anche il
paragrafo successivo) e comprendenti, oltre al monitoraggio della posizione della
13
Figura 1.8: Andamento della traiettoria, dell’altitudine, della pressione e della temperatura
tipiche di un volo eseguito con l’impiego di un pallone stratosferico. In questo caso i dati si
riferiscono all’esperimento LAPEX (1995). È possibile notare, in particolare, come la quota di
galleggiamento sia stata raggiunta dopo circa 3 ore dal momento del lancio.
piattaforma rispetto alla Terra come ottenuta da un sensore GPS (Global Position
System), la pressione dell’aria e la temperatura esterna. Tutte le grandezze sono
state valutate esprimendo nell’ora universale del meridiano di Greenwich (U.T.)
il tempo trascorso dal momento del lancio al successivo recupero.
Durante lo svolgimento di una missione scientifica su pallone stratosferico, la
determinazione dell’assetto della piattaforma riveste un’importanza fondamentale, in quanto questo consente il corretto puntamento del telescopio imbarcato
e fornisce un criterio per la convalida dei dati raccolti. Nel caso della missione
LAPEX, la determinazione dell’assetto è stata ottenuta con l’impiego di un magnetometro; questo dispositivo offre però un livello di precisione limitato, oltre
allo svantaggio di richiedere una calibrazione “in situ” a causa delle non omogeneità spaziali del campo magnetico terrestre. Per poter garantire precisioni di
puntamento compatibili con le risoluzioni angolari dei nuovi telescopi X/γ, occorre dunque la realizzazione di una piattaforma di nuova concezione: in particolare
14
OT T ICHE X/γ :
Caratteristiche
Inc. radente
(HEXIT )
Dif f. Bragg
(HAXT EL)
Dif f. Laue
(CLAIRE)
Range energia (keV )
Lung. f ocale (m)
V isuale (arcmin)
Area ef f icace (cm2 )
Ris. angolare (arcsec)
30-70
v6
10
18 @40keV
30
60-150
v5
80
100 @80keV
60
170 (511)
2.76 (8.29)
1 (15 arcsec)
94 @170keV
60 (15)
Tabella 1.1: Le pricipali grandezze caratteristiche dei nuovi telescopi X/γ; in particolare l’ottica
ad incidenza radente HEXIT, candidata ad essere in futuro supportata dal sistema HiPeG,
garantisce una risoluzione angolare sino a 30 arcosecondi. Il telescopio CLAIRE, già operativo,
è attualmente in fase di up-grading (valori tra parentesi).
si sono dimostrati adatti a questo scopo specifici sistemi GPS e sensori stellari
ad alta frequenza di up-date.
1.4
Il progetto HiPeG (High Performance Gondola)
Le grosse dimensioni dei futuri telescopi X/γ, dotati tipicamente di lunghezze
focali comprese tra i 5 e 10 metri e di risoluzioni angolari contenute entro qualche
decina di arcosecondi di precisione (si veda, per alcuni esempi, la tabella (1.1)),
richiedono l’uso di piattaforme capaci di un’alta stabilità di assetto e di una
grande accuratezza di puntamento.
Attualmente, grazie ad una collaborazione tra l’istituto IASF del CNR di
Bologna e l’istituto IPCF del CNR di Pisa, è in avanzata fase di realizzazione
il prototipo di un sistema dotato di queste caratteristiche, denominato HiPeG
(High Performance Gondola) (bibliografia [10] e [11]). Il progetto, finanziato dall’Agenzia Spaziale Italiana (ASI), parte dall’esperienza acquisita con precedenti
missioni (per es. esperimento LAPEX, figura (1.9), e GAMTEL (bibliografia
[12])) ed ha come obiettivo la realizzazione di un sistema di puntamento dotato
di caratteristiche di grande affidabilità e flessibilità di utilizzo, adatte alle future missioni di prova dei nuovi telescopi X/γ. È già previsto infatti l’impiego
della piattaforma HiPeG per il supporto dell’esperimento HEXIT, recentemente
anch’esso approvato e finanziato dall’ASI, e dell’esperimento CLAIRE.
La tabella (1.2) riassume i margini di precisione che il sistema HiPeG dovrà
essere in grado di assicurare in maniera completamente autonoma.
Le tre grandezze riportate in tabella sono rispettivamente la stabilità di punta15
Figura 1.9: Due immagini della gondola utilizzata nella missione LAPEX: a sinistra è possibile
vedere il trasporto della piattaforma (completa di telescopio) sull’area di lancio della base NASA
di Fort Sumner, New Mexico (USA), nell’ottobre 1995; a destra, invece, il disegno raffigura la
struttura base della stessa gondola, che costituirà anche la base di HiPeG. Le dimensioni sono
approssimativamente 3 m × 2 m × 2.3 m. Il peso è di circa 350 Kg.
GON DOLA
REQU IREM EN T S
P ointing
accuracy
(arcsec)
P ointing
stability
(arcsec)
P ointing
knowledge
(arcsec)
Goal
20
60
10
Tabella 1.2: Requisiti di puntamento del progetto HiPeG. Il significato dei termini impiegati è
illustrato nel testo.
mento statico (pointing accuracy), la stabilità di puntamento dinamico (pointing
stability) e la precisione con cui è nota l’acquisizione di puntamento della gondola (pointing knowledge). La prima grandezza esprime la precisione ottenibile
dal sistema di controllo dell’assetto nel caso di direzione di puntamento stabile
nel tempo, in condizione cioè di azimut della piattaforma mantenuto costante;
la seconda grandezza esprime la precisione ottenibile nella fase di inseguimento
del puntamento: il sistema dovrà infatti essere in grado di raggiungere e stabilizzare l’assetto della gondola eseguendo spostamenti azimutali e zenitali al fine
di mantenere il più possibile costante nel tempo la direzione di puntamento del
telescopio sulla sorgente astronomica in esame. Come si può dedurre osservando
i valori riportati in tabella, i margini di precisione che l’elettronica e la meccanica
16
del sistema sono in grado di fornire nel caso della stabilizzazione di una direzione
costante sono diversi da quelli ottenibili nell’inseguimento di una sorgente in moto
apparente: quest’ultima è inferiore a causa delle frequenti correzioni da apportare ad una direzione che si sposta nel tempo a causa del moto apparente della
sfera celeste. La precisione nell’acquisizione di puntamento (pointing knowledge)
è invece il fattore decisivo per la ricostruzione “post-factum” della traiettoria di
puntamento e, di conseguenza, per l’analisi dei dati provenienti dal telescopio:
tale precisione, infatti, consentirà di conoscere l’effettiva direzione di puntamento con una precisione assoluta almeno dell’ordine di grandezza della risoluzione
stessa del telescopio, consentendo cosı̀ di attribuire il segnale misurato alla reale
direzione di provenienza.
La determinazione dell’assetto della piattaforma sarà assolto, come prevede il
progetto, da due sistemi distinti:
1. il primo costituito da un sensore GPS a quattro antenne, ciascuna disposta ai vertici di un quadrato di diagonale lunga 2 metri (si veda la figura
successiva) e complanari alla superficie di base della gondola: questa sarà
in grado di elaborare l’informazione proveniente da almeno 12 satelliti GPS
in rotazione attorno alla Terra per determinare l’assetto del sistema stesso
con una accuratezza di circa 0.5 milliradianti (circa 1.8 arcmin);
Figura 1.10: Disposizione nel piano dell’array di quattro antenne costituenti il sistema di rilevamento GPS. Tale configurazione permette il monitoraggio nel tempo degli spostamenti attorno
ai tre assi della struttura raffigurata con la precisione di circa 0.5 milliradianti.
17
2. il secondo sarà costituito da un sensore stellare, dispositivo in grado di
elaborare l’informazione contenuta nell’immagine elettronica di un campo
stellare, al fine di ricavare le coordinate di puntamento del sistema con
una precisione molto maggiore di quella ottenibile dal sistema GPS (alcuni
arcosecondi, equivalenti al pointing knowledge specificato in tabella (1.2)).
Figura 1.11: La foto mostra la parte sensibile del sensore stellare di HiPeG: come un comune
apparecchio fotografico digitale, esso è formato da un obiettivo integrato ad un dispositivo per
la formazione delle immagini; in questo caso un dispositivo ad accoppiamento di carica (CCD).
I due dispositivi forniranno l’assetto del sistema con livelli di precisione differenti ed utili in funzione della diversa precisione raggiungibile dalla meccanica
del sistema, dipendente dall’inerzia della piattaforma e dalle particolari condizioni che si possono manifestare durante il volo. Il sensore stellare, in particolare,
costituirà l’unico strumento in grado di affinare la misura necessaria a garantire
le migliori prestazioni del sistema di controllo dell’assetto. Inoltre l’informazione sull’assetto potrà essere disponibile con continuità, anche qualora uno dei
due dispositivi risultasse momentaneamente non operativo (segnale proveniente
dai satelliti non disponibile o fallimento dell’algoritmo di riconoscimento stellare,
quest’ultimo illustrato nel prossimo capitolo).
1.5
HiPeG - Il sistema di bordo
Le operazioni fondamentali necessarie al controllo del volo durante la missione
saranno eseguite da un insieme di elementi software ed hardware installati a bordo
della piattaforma. Lo schema a blocchi di figura (1.12) riassume il funzionamento
del sistema.
18
Figura 1.12: Schema a bolcchi del funzionamento del sistema di bordo della gondola HiPeG. I
componenti principali che costituiscono l’insieme sono descritti nel testo.
Il processore del computer di bordo (processor control ) confronta il valore
disponibile in memoria, relativo al puntamento previsto dal piano di volo, con
quello fornito dal dispositivo GPS e dal sensore stellare: in tal modo si disporrà di
informazoni per un raggiungimento rapido dell’assetto desiderato (spostamento
della direzione di puntamento per angoli grandi) o per una sua correzione più
graduale e precisa (spostamenti per angoli più piccoli). Un segnale di reazione,
proporzionale alla differenza dei valori ricevuti dal processore, verrà quindi inviato ad un motore elettrico in grado di correggere l’orientazione azimutale della
gondola, ruotandola grazie ad un giunto di disaccoppiamento (pivot) situato tra
il cavo di trazione del pallone ed il carico sospeso; successivamente uno o più
ulteriori motori saranno in grado di avviare la rotazione di altrettante ruote di
reazione (reaction wheels), agenti come compensatori del momento angolare allo
scopo di permettere la regolazione fine dell’assetto azimutale. Infine, un ultimo
giunto motorizzato guiderà il raggiungimento del corretto allineamento zenitale
del telescopio rispetto al piano della gondola. Un collegamento radio, inoltre,
garantirà la trasmissione a terra in tempo reale delle informazioni necessarie al
monitoraggio del sistema (decoder-encoder ).
Le correzioni d’assetto sin qui illustrate, a causa dell’inerzia delle masse coinvolte e dal loop del segnale fornito in modo continuo dal dispositivo GPS o dal
sensore stellare, possono innescare oscillazioni. La logica del sistema di bordo tie19
ne conto di questi effetti impostando in maniera automatica i parametri di guida
di motori in grado di smorzare in breve tempo le oscillazioni; le figure (1.13) e
(1.14) illustrano i risultati di test effettuati sul sistema attualmente in fase di
sviluppo. In particolare la figura (1.13) mostra l’andamento tipico oscillatorio
smorzato del sistema nel caso di spostamento della struttura di un ampio angolo (90◦ ), tale da permettere il raggiungimento di una direzione di puntamento
indicata (direzione di puntamento nominale 0). Questa situazione, che in condizioni operative si presenta nella fase di primo puntamento di una nuova sorgente
astronomica, è detta di off-set.
Figura 1.13: Andamento nel tempo della correzione di un angolo di off-set di 90 gradi. Il sistema
raggiunge un equilibrio stabile attorno alla posizione di puntamento 0 in circa 4 minuti.
I successivi grafici in figura (1.14) mostrano rispettivamente l’andamento della
stabilizzazione nel caso di mantenimento del puntamento nominale (puntamento statico) e nel caso dell’inseguimento di una direzione di un possibile target
astronomico in lento spostamento uniforme (puntamento dinamico): si noti, in
quest’ultimo caso, la diversa entità delle deviazioni dalla direzione di puntamento
ideale.
Ovviamente, affinchè sia garantito un effettivo aggancio della corretta traiettoria di puntamento verso la sorgente astronomica in esame, è necessario che
l’acquisizione di informazione da parte dei dispositivi (GPS e sensore stellare)
venga effettuata ad intervalli di tempo minori del tempo caratterisico del sistema, ovvero del tempo necessario al sistema stesso per completare la sequenza
delle operazioni di acquisizione e reazione sin qui descritte; in tal modo si potrà
contenere al minimo la deviazione dalla posizione di puntamento desiderata.
20
Figura 1.14: A sinistra è visibile l’andamento nel tempo della stabilità di puntamento attorno
alla posizione 0; l’oscillazione, centrata su questa posizione, non supera 1.5 arcominuti di deviazione massima. A destra è invece visibile l’andamento delle oscillazioni del sistema attorno
ad una direzione di puntamento nominale in lento spostamento uniforme; questa operazione è
quella che nel testo viene descritta come fase di inseguimento o tracking.
Considerati i parametri di funzionamento del dispositivo GPS, già disponibile
presso i laboratori dello IASF e valutabili con una frequenza di campionamento di
circa 1 Hz, e conformemente al tempo caratteristico espresso dalla meccanica ivi
realizzata, si è ritenuto di uniformare a tale valore anche la frequenza di up-date
fra due successive immagini analizzate dal sensore stellare.
1.6
I sensori stellari
Prima di descrivere, nel prossimo capitolo, le strategie impiegate nell’elaborazione
di un programma di riconoscimento di un campo stellare, come richiesto dall’impiego di uno star sensor alla base del progetto HiPeG, si accenna brevemente
all’evoluzione ed alle caratteristiche generali di tale dispositivo (bibliografia [13]).
Fino alla metà degli anni ’70 la determinazione dell’assetto di apparecchiature
in volo era affidata a fototubi Vidicon ed a fotomoltiplicatori racchiusi in montaggi
in vetro, esposti a facili rotture durante gli stress meccanici subiti in seguito alle
procedure di lancio o di atterraggio. In più tali dispositivi possedevano scarse
risoluzioni spaziali (imprevedibilità del comportamento del pennello elettronico in
presenza di campi magnetici, in presenza di variazioni di temperatura etc., unita
alla non esatta ripetibilità dell’individuazione dei pixel costituenti lo schermo tra
una scansione e la successiva) e nessuna risoluzione in energia.
Durante gli ultimi vent’anni le tecniche astronautiche ed astronomiche han21
no conosciuto un rapido progresso grazie all’avvento dei dispositivi elettronici
ad accoppiamento di carica (CCD) e alla sempre più spinta miniaturizzazione
dei circuiti integrati. Questi rivelatori ottici a stato solido hanno notevoli vantaggi: dimensioni ridottissime, insensibilità ai campi magnetici, basse tensioni
d’esercizio, risoluzione geometrica assicurata dalla struttura intrinseca del chip
(discretizzazione dei pixel) e, soprattutto, alta linearità fotometrica, alto rapporto segnale/rumore, capacità di integrare il segnale, alta efficienza quantica ed alta
dinamica (rapporto tra minimo e massimo segnale rivelabile).
Queste caratteristiche hanno permesso di estendere le possibilità di impiego
degli attuali sensori stellari. In passato, infatti, l’impiego di una tale apparecchiatura era limitato al solo monitoraggio dell’assetto rispetto alla sfera celeste
praticando esclusivamente il tracking (inseguimento del puntamento) di un’unica
stella prescelta nel campo di vista d’interesse e particolarmente luminosa (stelle
di magnitudine elevata), la cui posizione veniva segnalata da Terra.
Tuttavia, per realizzare un sistema di puntamento autonomo e preciso, questa sola operazione non è di per se sufficiente ed occorre quindi dotare il sistema
della capacità di identificare più stelle presenti nel campo di vista, riconoscendo ed utilizzando un certo numero di caratteristiche efficaci a questo scopo. La
magnitudine non è infatti un discriminante sufficiente ad identificare univocamente insiemi di stelle: solo l’analisi di un ampio campo di vista contenente un
adeguato numero di parametri misurabili e non ripetuti identicamente, come ad
esempio una mappa di distanze angolari reciproche, può fornire informazioni di
puntamento precise ed in completa autonomia. In aggiunta, il monitoraggio della
posizione di un gran numero di stelle è intrinsecamente molto accurato: il calcolo
di una media ottenuta su più stelle disponibili di un ampio campo di vista, riduce
l’errore di puntamento rispetto a quello ottenuto con una singola stella con un
andamento del tipo:
Errore sull0 asse ottico dell0 assetto ≈
Errore singola stella
√
N umero stelle
(1.2)
Le potenze di calcolo e le capacità di memoria oggi disponibili, consentono di
acquisire e processare immagini di campi stellari sufficientemente ampi da contenere un numero di stelle molto elevato e valutabile nell’ordine di alcune decine.
Il raggiungimento di queste prestazioni impone quindi lo sviluppo di algoritmi in
grado di elaborare le immagini fornite dal rivelatore ottico per poi ricavarne le
reali coordinate di puntamento rispetto ad un rifermento assoluto. Lo sviluppo
e la verifica di un algoritmo di questo tipo costituisce il principale obiettivo di
questo lavoro di tesi.
22
Figura 1.15: Il sensore stellare di HiPeG prima dell’assemblaggio finale: a sinistra è visibile la
camera digitale fornita di obiettivo fotografico montata su di un supporto in alluminio ospitante
il computer e la scheda video per la lettura delle immagini; a destra è visibile l’alloggiamento
in acciaio inox dotato di finestra ottica.
1.7
Il sensore stellare di HiPeG
Il prototipo di sensore stellare del sistema HiPeG è concepito per fornire una
precisione di puntamento di pochi arcosecondi ed è dotato di caratteristiche che
lo differenziano dai sensori stellari comunemente impiegati, destinati cioè a un
uso a bordo di satelliti; questi ultimi, infatti, sono dotati anche di sistemi inerziali
per il rilevamento dell’assetto (giroscopi meccanici od ottici) e necessitano quindi
di sensori stellari dotati di minori sensibilità e di frequenze di up-date non elevate.
Nel caso di piattaforme trasportate da palloni stratosferici, il controllo dell’assetto è operato in condizioni di maggiore instabilità meccanica e quindi l’informazione del sensore stellare assume un valore critico. L’alta dinamica della CCD
e la notevole capacità di calcolo necessaria per ottenere dati di alta precisione
in un riferimento non inerziale come quello di una gondola, richiedono pertanto
l’impiego di una componentistica hardware che non trova riscontro nei sensori
stellari normalmente commercializzati per usi satellitari (bibliografia [14]). Queste considerazioni hanno imposto che l’intera fase di sviluppo ed assemblaggio
venisse condotta autonomamente presso l’istituto IPCF del CNR di Pisa sulla
base dei requisiti di HiPeG.
23
1.7.1
La parte elettronica
La parte elettronica del sensore stellare si compone di una camera digitale e
di un computer di fabbricazione industriale. La camera digitale, una SenSys
0400 prodotta dalla Photometrics e disegnata appositamente per usi scientifici,
è equipaggiata con una CCD Kodak KAF 400 e con un convertitore analogicodigitale tale da permettere una dinamica del segnale equivalente a 12 bit. La
CCD è costituita da una matrice di 768×512 pixel quadrati, ciascuno dei quali
di lato 9 µm. La CCD possiede infine un sistema di raffreddamento autonomo
basato su di una cella di Peltier.
Il computer utilizzato si basa su di un processore Celeron Pentium III con
frequenza 900 MHz e memoria RAM pari a 128 MB. In condizioni operative a
quota stratosferica, è previsto che le componenti del sensore, racchiuse nell’involucro pressurizzato di acciaio inox visibile in figura (1.15), si trovino immerse
in un’atmosfera di gas inerte (azoto), in grado di assicurare un adeguato scambio termico e di evitare fenomeni di condensazione dovuti alle basse temperature
presenti all’esterno.
1.7.2
La parte ottica
L’ottica abbinata alla camera è costituita da un teleobiettivo Tamron dotato di
una focale fissa di 105 mm, messa a fuoco manuale e rapporto focale pari a 2.5.
Nelle condizioni operative in quota, la focalizzazione delle immagini sarà ottenuta
con l’impiego di un motore elettrico a controllo numerico, in grado di azionare
una vite senza fine calettata su di un supporto stretto alla ghiera di messa a fuoco
dell’ottica.
Nella previsione di un impiego diurno del sensore si disporrà altresı̀ per l’inserimento meccanico di un filtro per il taglio della componente di scattering della
radiazione luminosa e di un baffle.
24
Capitolo 2
L’algoritmo di riconoscimento
stellare
2.1
Introduzione
In questo capitolo vengono descritti i principi alla base del software impiegato per
la misura di puntamento del sensore stellare. È utile premettere che esistono programmi di identificazione di campi stellari di tipo commerciale (bibliografia [15])
ed in un primo momento si sono quindi valutate le performance di alcuni prodotti disponibili; tuttavia questi programmi si sono rivelati insufficienti a soddisfare
le prestazioni di velocità ed efficienza richieste dal progetto HiPeG. Si è ricorso
quindi alla compilazione di un programma originale, le cui linee guida, pur traendo spunto dalla letteratura scientifica esistente sull’argomento (bibliografia [16] e
[17]), utilizzano soluzioni originali in grado di assicurare una maggiore velocità di
esecuzione. Per ottenere una più ampia versatilità di impiego, la strategia adottata per il riconoscimento stellare è in larga misura indipendente dall’hardware
utilizzato (bibliografia [18]).
2.1.1
I livelli sequenziali del software
Il software sviluppato durante lo studio del progetto prevede cinque livelli di
esecuzione, ognuno dei quali troverà una dettagliata descrizione nei paragrafi che
costituiscono il presente capitolo. I livelli sequenziali del programma possono
essere schematicamente cosı̀ riassunti:
1. compilazione di un catalogo stellare da utilizzare come riferimento per l’identificazione delle stelle rivelate nell’immagine digitale della CCD - paragrafo (2.2);
25
2. elaborazione delle immagini acquisite dalla CCD per la localizzazione delle
probabili stelle - paragrafo (2.3);
3. riconoscimento tramite il confronto di gruppi di stelle tra loro vicine presenti
nell’immagine della CCD con i corrispondenti gruppi di stelle provenienti
dal catalogo ricavato al punto 1 - paragrafi (2.4) e (2.5);
4. calcolo dell’assetto ed affinamento della sua misura - paragrafo (2.6);
5. algoritmo di “inseguimento” (o tracking) dell’assetto determinato al punto
4 - paragrafo (2.7).
Il principio alla base del riconoscimento stellare prevede, tramite l’elaborazione dell’immagine fotografica digitale, l’ottenimento di opportune caratteristiche
stellari che possano essere confrontate con quelle contenute nel catalogo precompilato (punto 1). Poichè l’apparecchiatura digitale impiegata (CCD) “discretizza” nei pixel suoi costituenti l’energia luminosa raccolta, occorre individuare il
numero di questi realmente interessati dalla radiazione stellare per evitare, e dunque scartare, tutti gli eventuali pixel “illuminati” dalle varie sorgenti di rumore
esistenti, siano queste di natura elettronica o di provenienza ambientale (punto
2).
A questo punto l’algoritmo di riconoscimento vero e proprio esegue i confronti
e registra gli accordi tra le stelle dell’immagine e quelle del catalogo (punto 3)
per determinare quale settore della sfera celeste individui il campo di vista inquadrato dalla telecamera (f.o.v., field of view ), lasciando poi al passo successivo
(punto 4) il calcolo della direzione di puntamento dell’ottica e dell’assetto del
sistema. L’ultimo algoritmo implementato (punto 5), utile nel caso di spostamento della gondola, utilizza le stelle riconosciute in un’immagine come elementi
di un catalogo di dimensioni ridotte da utilizzare per semplificare la procedura
di riconoscimento dell’immagine successiva: se il numero delle stelle presenti nel
catalogo “ridotto” non è sufficiente ad identificare il nuovo campo stellare, la
procedura considera tutte le possibili stelle del catalogo presenti nel campo di
vista.
2.1.2
Il calcolo dell’assetto I - Caso di due stelle
Per illustrare i principi base dell’algoritmo, è ora utile indicare i parametri necessari ad ottenere lo scopo finale del riconoscimento stellare: il calcolo dell’assetto
del sensore. Quest’ultimo, in particolare, si basa sulla proprietà di invarianza del
prodotto scalare di due vettori eseguito in due differenti sistemi di coordinate.
Per illustrare questo metodo si esaminerà dapprima il modo di ricavare la misura
26
dell’assetto con semplici considerazioni geometriche nel caso di 2 stelle identificate; questo risultato verrà successivamente generalizzato al caso di un’immagine
contenente un numero arbitrario di stelle.
Come già specificato in precedenza, il sensore stellare impiega un dispositivo
di accoppiamento di carica per la rilevazione delle immagini stellari: il calcolo
dell’assetto si riduce quindi alla conoscenza dell’orientamento dell’area sensibile
della CCD in quanto superficie nello spazio tridimensionale. I parametri, o gradi
di libertà, necessari alla determinazione dell’orientamento di una superficie con
centro nell’origine di un sistema di coordinate sono 3: come è mostrato in figura
(2.1), una coppia di parametri (α e β) individua il punto di intersezione della normale alla superficie con una sfera di raggio unitario centrata nell’origine, mentre
il parametro rimanente (γ) indica il punto di intersezione del prolungamento di
uno spigolo con il cerchio massimo.
x̂
ẑ
β
γ
α
ccd
Figura 2.1: La CCD è una superficie nello spazio: se la sua origine coincide con il centro di un
sistema di coordinate, i suoi gradi di libertà sono 3, corrispondenti agli angoli α, β e γ visibili
in figura. x̂ e ẑ sono rispettivamente i versori di uno spigolo e della normale alla superficie.
Se si considerano le stelle come punti noti sulla superficie di una sfera unitaria che chiameremo riferimento “assoluto”, l’identificazione di almeno due stelle
fornisce il minimo contributo di informazione alla determinazione dell’assetto in
questo riferimento: la loro posizione sulla sfera determina infatti 4 parametri.
Poichè le stelle inquadrate dalla CCD sono localizzate sulla sfera con vettori
unitari le cui componenti sono note in un riferimento solidale alla CCD stessa,
l’identificazione di due stelle consente anche di effettuare la trasformazione delle
componenti di un vettore nei due riferimenti. Se si indica come direzione di pun27
tamento incognita il versore ẑ normale alla superficie della CCD nella terna del
riferimento assoluto, e si dispone di due stelle note contemporaneamente nella
due terne, è possibile creare una supplementare terna di “passaggio” esprimibile in entrambi i riferimenti, dove utilizzare le proprietà invarianti del prodotto
scalare per risolvere il problema.
Ŷ
Ẑ
X̂
W
V
Origine terna CCD
Origine terna assoluta
Figura 2.2: La figura illustra la disposizione della terna di passaggio rispetto al piano della
CCD. I vettori V e W individuano la posizione delle stelle nella terna del riferimento assoluto.
Dati infatti V e W i vettori unitari che identificano la posizione di due stelle
nel riferimento della CCD, si ottiene una nuova terna normale semplicemente
facendo uso dei vettori ortonormalizzati:
X̂ = h W − V i, Ŷ = h W + V i, Ẑ = h X × Y i
(2.1)
Se si esprime questa stessa terna nel riferimento assoluto con i versori:
X̂, Ŷ, Ẑ
(2.2)
grazie alla conoscenza dei vettori unitari V e W delle due stelle nel catalogo
stellare (e quindi nel riferimento assoluto), la relazione esistente tra i versori
della terna ed i vettori posizione del catalogo è la medesima (figura (2.2)):
X̂ = h W − V i, Ŷ = h W + V i, Ẑ = h X × Y i
(2.3)
Il versore incognita ẑ, corrispondente al versore ẑ di componenti (0,0,1) nella
terna solidale alla CCD, è ora esprimibile in componenti nella terna di passaggio
28
come (A,B,C) se si effettua il prodotto scalare di ẑ con i versori di quest’ultima:
A = ẑ · X̂
B = ẑ · Ŷ
(2.4)
C = ẑ · Ẑ
Tali valori saranno identici anche per il versore ẑ rispetto alla terna espressa nel
riferimento assoluto, in accordo alle note proprietà di invarianza del prodotto
scalare. Perciò il versore ẑ calcolato nella terna assoluta sarà
ẑ = A X̂ + B Ŷ + C Ẑ
(2.5)
risolvendo in tal modo il problema posto in partenza.
La determinazione completa della terna può essere raggiunta eseguendo lo
stesso calcolo su di un altro versore della terna CCD. La conoscenza delle coordinate di due sole stelle non è però utile a determinare l’assetto senza ambiguità.
Infatti in questo caso rimane un’incertezza esistente sulla loro posizione reciproca,
dovuta al fatto che il riconoscimento stellare avviene valutando le distanze angolari reciproche fra le stelle. Poichè inoltre, in questa fase di sviluppo l’algoritmo
trascura la magnitudine stellare come ulteriore parametro identificativo, la soluzione del problema richiede l’identificazione di almeno un’altra stella che formi
con le restanti un triangolo scaleno. Un pattern triangolare, dunque, costituisce
la minima figura geometrica che può essere considerata attendibile nell’analisi delle distanze reciproche tra le stelle contenute in un’immagine: ovviamente
un maggior numero di stelle visualizzate ridurrà ulteriormente la possibilità di
incontrare triangoli tra loro eguali e dunque ancora di identificazione incerta.
Nei paragrafi successivi si illustrerà quindi come l’algoritmo effettui il riconoscimento basandosi sul confronto di semplici pattern triangolari formati dalle
distanze stellari. Il caso più generale di calcolo dell’assetto (N stelle presenti
nell’immagine) sarà illustrato nel paragrafo (2.6.2).
2.2
Lo schema di funzionamento del sensore e
la procedura di inizializzazione del catalogo
stellare
Il software del sensore gestisce, oltre ai parametri necessari al riconoscimento
stellare, anche la procedura di discriminazione tra i segnali dovuti alle stelle
e quelli causati dalle fonti di rumore della CCD. Inoltre, durante l’esecuzione
29
Figura 2.3: Lo schema del funzionamento del sensore stellare. La routine Init() esegue la compilazione del catalogo stellare; la routine Riconosci(), oltre al riconoscimento stellare, fornisce la
misura del diametro stellare medio utile utile a pilotare il motore della messa a fuoco (paragrafo
(2.3.3)).
del primo riconoscimento, il programma controlla il movimento del motore che
regola la messa a fuoco dell’ottica: questa operazione, come si vedrà in seguito, è
fondamentale al fine di raggiungere la precisione di puntamento richiesta (capitolo
3).
La figura (2.3) illustra la struttura a blocchi delle operazioni: un comando,
contenente i parametri esterni disponibili al riconoscimento (per es. stima della
misura dell’assetto fornita dal GPS) ed il codice della modalità di funzionamento
richiesta (solo riconoscimento, tracking, messa a fuoco od altro), attiva tutte le
procedure implementate nella routine Riconosci(), preposta all’analisi completa
dell’immagine e a ricavarne le informazioni necessarie al controllo della messa
a fuoco; la routine Parametri() fornisce tutti i dati ricavati dal programma e li
invia al centro di controllo (posto a terra) tramite la stessa connessione seriale
dell’impulso di partenza. La restante routine Init(), che viene eseguita unicamente nella fase di inizializzazione del programma, presiede invece alla compilazione
del catalogo stellare di riferimento, cioè di un elenco ordinato di stelle contenente
tutti i parametri utili al riconoscimento.
Tali cataloghi, facilmente reperibili in formato digitale sul Web, riassumono
tutte le informazioni note sulle stelle conosciute (come per es. coordinate astronomiche, magnitudine visuale, caratteristiche fotometriche etc.), raccolte nel corso
di varie campagne scientifiche di misurazione astronomica. Il catalogo di riferimento ideale, comprendente i nomi delle stelle ed il loro posizionamento, si ottiene
selezionando un numero di stelle fino ad una magnitudine adeguata al livello di
30
sensibilità dello strumento ed alle capacità di calcolo del computer.
Per la realizzazione del sensore stellare è stato impiegato il catalogo Hipparcos, redatto dall’European Space Agency (ESA) e composto da circa 120.000
stelle suddivise in un range di magnitudini visuali compreso tra il valore 0 e circa
12. In questo catalogo la posizione delle stelle è espressa in coordinate astronomiche equatoriali (ascensione retta α e declinazione δ della stella) note con una
precisione che può giungere fino all’ordine di qualche milliarcosecondo.
Allo stato attuale l’algoritmo di riconoscimento non utilizza il valore della magnitudine stellare come parametro utile; tuttavia i dati che saranno raccolti in proposito durante la prima missione di prova consentiranno di ottenere una calibrazione delle magnitudini strumentali della CCD impiegata, utile per una successiva
introduzione di questa grandezza nelle selezioni effettuate dal programma.
La procedura di inizializzazione del catalogo ridotto Init(), effettuata al momento dell’inserimento del catalogo stellare nella memoria del sensore, può essere
riassunta nel seguente schema:
1. apertura del catalogo Hipparcos;
2. selezione delle stelle per magnitudine visuale (max. magnitudine prestabilita);
3. caricamento del codice identificativo utilizzato dal programma (codice identificativo Hipparcos - coordinate astronomiche);
4. formazione, per ogni stella selezionata, di un pattern di stelle vicine comprese in un’area equivalente al campo di vista dell’ottica e contenente nomi,
distanze angolari dalla stella di partenza, coordinate;
5. riduzione delle N stelle complessivamente selezionate in altrettanti raggruppamenti (uno per ogni stella, che ne diviene in tal modo la stella rappresentativa o base B) corrispondenti ai pattern ottenuti al punto 4 e formati,
cioè, da un numero di volta in volta variabile di stelle vicine.
In particolare, dopo aver disposto idealmente le N stelle selezionate dal catalogo sulla superficie di una sfera unitaria e dopo averle contrassegnate con il
loro versore identificativo nel sistema di coordinate equatoriale, ogni stella V i , di
componenti
Xi = cos δ cos α
Yi = cos δ sin α
Zi = sin δ
31
(2.6)
viene considerata la base di un raggruppamento di ni stelle vicine Vj tali da
soddisfare la condizione:
kVi − Vj k < max. range
∀ j 6= i
(2.7)
dove, come parametro di scelta max. range, viene utilizzata l’apertura angolare
del sistema ottico
q
l (n2x + n2y )
max. range ' diametro f.o.v. =
(2.8)
f ocale
essendo nx e ny il numero di pixel presenti per lato della CCD e l/f ocale l’apertura angolare di un singolo pixel, cioè il rapporto fra le dimensioni lineari di
quest’ultimo e la lunghezza focale dell’ottica impiegata (figura (2.4)).
max. range
Vi
Vj
o
Figura 2.4: I vettori posizione delle stelle disposti all’interno della sfera unitaria: i raggruppamenti di stelle vicine alla base Vi sono creati all’interno dell’area di raggio max. range,
quantità corrispondente all’apertura angolare del sistema ottico del sensore.
Ovviamente, in tale costruzione, ogni stella selezionata dal catalogo si troverà
ad essere contemporaneamente base di un raggruppamento i e membro di altri
raggruppamenti.
Con questo metodo di selezione e valutando la distanza tra le stelle come
modulo della differenza tra i vettori unitari di posizione, si possono creare insiemi
di più stelle ordinate per distanze crescenti, a partire da una stella di riferimento,
ed in grado di poter entrare nel campo di vista del sensore.
32
Con un criterio analogo vengono elaborati i dati ricavati dall’immagine della
CCD per identificare insiemi di stelle tra loro vicine e raggruppabili attorno ad
una base. A questo punto si delinea la strategia impiegata per il riconoscimento
stellare: la verifica del grado di “sovrapponibilità” dei raggruppamenti ottenuti
dalla CCD con quelli ottenuti dal catalogo Hipparcos, indicherà quali insiemi di
stelle presenti nel catalogo saranno le più adatte a costituire una configurazione
in grado di poter riprodurre la disposizione delle stelle trovate nell’immagine della
CCD e dunque di identificarle.
2.3
2.3.1
Analisi dell’immagine e defocalizzazione
La localizzazione di stelle reali sul segnale di fondo
Acquisita l’immagine, è necessario distinguere i segnali delle stelle dai segnali
spurii dovuti alle sorgenti di rumore esistenti, siano queste dovute alla presenza
di un fondo luminoso diffuso, oppure all’elettronica di lettura (che, come si vedrà
in seguito, è dominante in caso di brevi tempi di esposizione della camera), alla
corrente di buio (dark current) ed alle fluttuazioni della stessa che per effetto
termico si generano nei pixel della CCD e si sommano al segnale fotogenerato.
Nel caso della CCD utilizzata, la corrente di buio viene attenuata dal sistema
di raffreddamento a cella di Peltier; a causa però di disomogeneità locali nella
struttura dei pixel, è possibile riscontrare variazioni spaziali del valore medio
di questo segnale secondo una configurazione fissa (detta fixed pattern noise).
Questo pattern può essere rimosso semplicemente sottraendo ad ogni immagine
acquisita un’immagine di buio, ovvero un’immagine ottenuta con l’otturatore
dell’obiettivo chiuso e con un tempo di esposizione identico. A questo punto il
rumore residuo è costituito dalle fluttuazioni della corrente di buio in ciscun pixel
e delle altre sorgenti di rumore esistenti.
Il diagramma di flusso mostrato in figura (2.5) illustra la serie di operazioni
compiute in sequenza dall’algoritmo per localizzare le probabili stelle.
Sull’immagine viene effettuato uno scan iniziale dei pixel al fine di ottenerne
un istogramma in funzione del numero di elettroni ivi contenuti (espressi in livelli di ADC). L’istogramma fornisce un’indicazione delle fluttuazioni di rumore
esistenti e dunque consente la determinazione di un opportuno livello di soglia.
Questa soglia è definita come il livello di ADC corrispondente al massimo dell’istogramma (M ax) sommato ad un certo numero di volte (ν) la semi-larghezza a
metà altezza della distribuzione (σHW HM ) :
Soglia = M ax + νσHW HM
33
(2.9)
Figura 2.5: Diagramma di flusso dell’algoritmo di localizzazione delle stelle reali contenute
nell’immagine.
La figura (2.6) mostra un istogramma ottenuto da un’immagine notturna acquisita dalla CCD in una visuale di cielo intorno a Vega: poichè un’immagine di buio
è già stata sottratta, è visibile un picco di segnale corrispondente alla presenza
di un fondo luminoso diffuso (le luci di Pisa!), mentre il segnale dovuto alla luce
stellare costituisce la coda degli eventi ad intensità più alta.
Durante l’esecuzione di uno scan successivo, tutti i pixel risultanti avere un
livello di segnale sopra il valore della soglia ed adiacenti tra loro vengono raggruppati a formare un nucleo isolato interamente contenuto all’interno del più
piccolo rettangolo capace di delimitarlo dal resto della superficie illuminata della
CCD.
La figura (2.7) illustra un esempio di come si presenta tale rettangolo. L’algoritmo delimita l’interno del rettangolo selezionato lasciando lungo i bordi della
possibile stella una serie di pixel sotto soglia: questi serviranno, in caso di presenza di fondo luminoso non uniforme sull’immagine, a sottrarre un ulteriore valore
medio di rumore a ciascun pixel del nucleo evidenziato.
2.3.2
Il centroide
Il rettangolo ottenuto al passo precedente diviene il frame a cui viene ora riferito
il baricentro dell’intensità luminosa del nucleo di pixel selezionati, detto anche
centroide della probabile stella: considerando infatti come assi di un riferimento i
34
Conteggi
10
5
10
4
1000
100
10
1
0
100
200
300
400
500
Livelli ADC
Figura 2.6: Istogramma di un’immagine di stelle: l’aquisizione è stata ottenuta con le stesse
modalità che hanno portato alle immagini discusse nel paragrafo (3.4.1); il segnale dovuto alla
luce stellare costituisce la coda dei conteggi.
Figura 2.7: Immagine ingrandita di una porzione di pixel della CCD: i pixel illuminati dalla
probabile stella e selezionati dall’algoritmo sono racchiusi nel rettangolo tratteggiato visibile in
figura. Il punto bianco all’interno dello stesso indica la posizione calcolata del centroide.
lati del rettangolo, è possibile determinare il punto di coordinate xc e yc tali che:
Pni −1 Pnj −1
e
j=0 xi Eij
i=0
(2.10)
xc =
Pni −1 Pnj −1 e
E
ij
j=0
i=0
Pni −1 Pnj −1 e
j=0 yi Eij
i=0
yc = P
(2.11)
ni −1 Pnj −1 e
Eij
i=0
35
j=0
essendo i e j gli indici discreti dei pixel posti lungo i lati del rettangolo di complessivi ni × nj elementi (ciascuno con centro geometrico di coordinate xi e yi )
eij il livello di segnale equivalente al numero totale di elettroni contenuti nel
ed E
pixel di corrispondenti coordinate. Confrontando la posizione del centroide appena ottenuto con la posizione del pixel più luminoso presente nel rettangolo, si
può procedere, nel caso di una mancata simmetria dell’immagine (distanza tra
i suddetti punti maggiore di 2 pixel), ad una nuova serie di scan sui soli pixel
contenuti nel rettangolo selezionato, con una soglia di volta in volta più alta:
in tal modo si cercherà di distinguere la presenza di eventuali cluster di stelle
dovuti alla non sufficiente risoluzione angolare del sistema ottico o di eliminare le
immagini di sorgenti spurie con intensità sopra soglia (per es. dovute a riflessioni
della luce all’interno dell’ottica).
Il calcolo del parametro σc definito come:
q
σc = σx2 + σy2
(2.12)
dove
σx
σy
v
u Pni −1 Pnj −1
2 e
u i=0
j=0 (xi − xc ) Eij
t
=
Pni −1 Pnj −1 e
j=0 Eij
i=0
v
u Pni −1 Pnj −1
2 e
u i=0
j=0 (yi − yc ) Eij
t
=
Pni −1 Pnj −1 e
Eij
i=0
(2.13)
(2.14)
j=0
sono gli scarti quadratici medi della posizione del centroide rispetto all’orientazione degli spigoli della CCD, fornisce un’informazione sulla dimensione dell’immagine stellare utile a valutare la precisione di puntamento finale del sensore.
Il valore di σc servirà all’algoritmo come parametro guida nella ricerca di una
corretta messa a fuoco dell’immagine. Come infatti si accennerà già nel prossimo
paragrafo, solo un’opportuna defocalizzazione dell’immagine stellare soddisfa le
condizioni in grado di minimizzare l’errore di misura introdotto sul centroide (paragrafi (3.2) e (3.3)) e che, propagandosi fino alla determinazione della direzione
di puntamento, influisce direttamente sul livello di precisione complessivamente
raggiungibile.
A questo punto, come accennato, prima di avviare la vera e propria procedura
di riconoscimento, deve essere ricavato, dalle posizioni di tutti i centroidi trovati
ed ora riferiti alle coordinate dei pixel della CCD, un catalogo immagine che abbia
caratteristiche analoghe a quello compilato con le posizione delle stelle ottenute
dal catalogo di riferimento. Ciascuno degli N centroidi appartenenti all’immagine
diviene infatti ora la base di un raggruppamento comprendente i rimanenti (N −1)
36
centroidi, i quali vengono riordinati per distanza memorizzando le loro posizioni
rispetto al centroide di riferimento. Ottenendo cosı̀ per ciascun centroide k un
vettore unitario identificativo V k , tale che
(xk , yk , f ocale)
Vk = p 2
[xk + yk2 + (f ocale)2 ]
(2.15)
e trasformando con i moduli delle loro differenze le distanze fra centroidi da
quantità espresse in numero di pixel a distanze angolari sulla superficie di una
sfera unitaria, si ottiene il nuovo catalogo riferito al frame locale della CCD.
CCD
Obiettivo
Distanza focale
Centroide (xk,yk)
Figura 2.8: Le coordinate del centroide e la distanza focale definiscono i vettori unitari del
catalogo immagine.
L’uso del termine f ocale, riferito alla distanza focale dell’ottica, è in realtà
improprio, in quanto la grandezza realmente rilevante ai fini della normalizzazione
è la distanza tra la CCD ed il piano equivalente del sistema ottico (figura (2.8)).
2.3.3
La defocalizzazione dell’immagine
Uno dei fattori critici per una accurata misura della direzione di puntamento è
legato alla precisione con cui è nota la posizione del centroide sul piano della
CCD. Come sarà illustrato in dettaglio nel capitolo successivo, questa grandezza
è direttamente legata all’ampiezza dell’area dei pixel che ogni singola stella illumina sulla superficie sensibile della CCD. Ritenendo in buona approssimazione lo
shape del segnale di una stella simile ad una gaussiana bidimensionale G, occorre
riferirsi all’ampiezza dell’immagine di questa come ad un’area contenuta entro un
certo numero di deviazioni standard σG dalla posizione del centroide. Come si
dimostrerà più avanti a proposito della precisione di puntamento raggiungibile,
σG , la cui misura corrisponde al valore σc (2.12), dovrà essere resa confrontabile
alla dimensione lineare l di un pixel; pertanto, dopo una iniziale messa a fuoco
dell’immagine, occorrerà trovare la posizione dell’ottica in grado di fornire, per
37
tutte le stelle comprese nel campo di vista, il valore medio richiesto di σG . Entrambe le procedure, messa a fuoco iniziale e successiva defocalizzazione, possono
essere realizzate con l’ausilio di metodi di calcolo numerico: se infatti si approssima il calcolo della dimensione media delle N stelle presenti nell’immagine con
una funzione f (x) della posizione della ghiera di messa a fuoco dell’ottica
f (x) =
N
1 X
σGi (x)
N i=1
(2.16)
e si suppone che detta funzione segua un andamento crescente attorno ad una
posizione di minimo (posizione dedotta dalla condizione di minimo diffrattivo
dell’ottica), si possono impiegare allo scopo semplici algoritmi iterativi (bibliografia [19]). Trovata dapprima la posizione di miglior fuoco con un algoritmo di
interpolazione parabolica che individua il minimo della funzione f (x) (bracketing
iniziale e successiva applicazione del metodo di Brent), per raggiungere l’adeguato
livello di defocalizzazione dell’immagine è sufficiente iterare il metodo di Newton
per la ricerca dello “zero” della funzione g(x) definita come:
g(x) = f (x) − l
(2.17)
In esecuzione ciclica con il programma, un motore passo-passo a controllo numerico effettuerà gli opportuni spostamenti della ghiera di messa a fuoco dell’ottica
ogni qual volta l’algoritmo richieda l’assunzione di una nuova immagine allo scopo
di valutare il valore della funzione f (x).
2.4
2.4.1
Il riconoscimento stellare I - Clipping, configurazioni e focali
Lo schema del riconoscimento stellare
Nel suo complesso, il vero e proprio algoritmo di riconoscimento è composto
da una serie di procedure che verranno singolarmente discusse nel seguito. Per
agevolarne la descrizione si riporta uno schema delle quattro fasi fondamentali in
cui il processo è suddiviso:
1. confronto delle distanze angolari memorizzate nei due cataloghi (catalogo di
riferimento Hipparcos - catalogo immagine CCD) allo scopo di selezionare,
per ogni base di un raggruppamento di centroidi, le possibili stelle che siano
basi di raggruppamenti noti “sovrapponibili” ai precedenti;
38
2. ulteriore selezione ottenuta confrontando anche le distanze angolari relative
tra i centroidi e le stelle appartenenti ad ogni raggruppamento; ogni configurazione cosı̀ creata e dotata di un livello di confidenza, si candida ad
identificare i raggruppamenti dei centroidi;
3. misura della focale per ogni configurazione ottenuta ed inserimento di tale
valore come parametro caratteristico di ciascuna di esse;
4. costruzione della configurazione finale con il migliore accordo fra le configurazioni candidate.
L’intera successione di operazioni è ripetuta sequenzialmente per ogni cicloimmagine.
2.4.2
Il clipping sul catalogo di riferimento
Estratti i raggruppamenti delle stelle presenti nell’immagine, il primo passo verso
il riconoscimento prevede la selezione, nel catalogo di riferimento, di tutte le
possibili stelle che si trovano ad essere le basi di un raggruppamento confrontabile.
Se è già disponibile un’informazione sulla direzione di puntamento, tramite input
esterno (GPS) o per l’esecuzione di precedenti cicli del programma (come nel
caso del tracking effettuato su una sequenza di immagini successive), è possibile
selezionare, nel catalogo di riferimento, tutte quelle stelle che si trovino in un’area
di diametro equivalente al campo di vista della CCD, centrata lungo la direzione
di puntamento calcolata ẑ. Se infatti si ha che
¯
¯
¯ k Vi − ẑ k − k V k − ẑ k ¯ < max. range
(2.18)
dove ẑ è il versore normale al piano del sensore, allora le stelle Vi e V k (provenienti rispettivamente dal catalogo di riferimento e dal catalogo dell’immagine
della CCD) sono riscontrabili nella stessa visuale della telecamera e dunque basi
di raggruppamenti da avviare al confronto.
In assenza dell’informazione inizialmente fornita dal sistema GPS non è possibile eseguire la procedura di clipping ora descritta e perciò, in questo caso, i
raggruppamenti di stelle vengono selezionati prendendo in considerazione la parte
di volta celeste visibile dal punto di osservazione.
Il successivo passo della procedura deve stabilire se, prescelti due raggruppamenti (il primo appartenente all’immagine, il secondo proveniente dal catalogo
stellare di riferimento), le stelle vicine facenti parte del raggruppamento proveniente dal catalogo stellare si trovino a distanze confrontabili con le corrispondenti
39
distanze dei centroidi dalle loro basi di riferimento, entro un margine di tolleranza esprimibile con un parametro d’errore err = l/f ocale, cioè, come è realistico
supporre, pari all’apertura angolare del singolo pixel: questa grandezza, infatti,
rappresenta una stima della precisione del sistema ottico utilizzato. In questo
modo se la distanza D tra una stella del raggruppamento e la sua base, e la
distanza d tra un centroide ed il suo centroide base sono tali che
¯
¯
¯ D − d ¯ < err
(2.19)
le stelle entrano nel conto di un numero di probabili accordi del raggruppamento
in esame. Se la corrispondenza trovata risulta almeno di 2 stelle (e dunque si
dispone di almeno un totale di 3 stelle in ciascuno dei due rispettivi riferimenti) sarà possibile avviare una serie di ulteriori confronti considerando anche le
distanze reciproche fra tutte le stelle (ed i centroidi) adiacenti.
2.4.3
Le configurazioni candidate
Per illustrare il principio usato nell’individuare una possibile configurazione di
stelle, si considera dapprima il caso del minimo numero di centroidi selezionati
nell’immagine (N = 3). Con riferimento alla figura (2.9), se si è dunque riscontrata nel catalogo assoluto la presenza di una stella base e di un raggruppamento
di stelle vicine con distanze confrontabili a quelle dei centroidi rispetto alla loro base nell’immagine, si può ora confrontare la distanza angolare relativa tra
queste stelle ed i corrispondenti centroidi. Trovate coincidenti entro i margini di
tolleranza le distanze
dk = D K
(2.20)
dh = D H
(2.21)
si confronta ora con lo stesso criterio la rimanente coppia di valori
?
dkh = DKH
(2.22)
Per poter contemporaneamente eliminare l’ambiguità sulla posizione della
0
possibile stella H (o H , posta cioè, come visibile in figura, nella posizione speculare rispetto ad H), il confronto viene realizzato eseguendo, in ciascuno dei due
riferimenti, i prodotti vettore
UC × W C
UI × W I
oppure
40
(2.23)
0
UC × W C
(2.24)
k
dkh
WI
UI
h
dk
dh
Centroide base
Origine terna CCD
K
DKH
WC
UC
H
DK
W'C
DH
Stella base
U'C
Origine terna catalogo
H'
Figura 2.9: Rappresentazione grafica del confronto tra i due pattern triangolari: in alto sono
visibili i centroidi, i loro vettori unitari e le distanze relative; in basso i 2 possibili pattern di
stelle corrispondenti: in tratteggio è indicato il pattern la cui orientazione può avere riscontro
nel catalogo stellare ma che, in questo caso, non si sovrappone a quello ricavato dall’immagine.
dove
UI
=
UC
=
WI
=
WC = V H − V K
o
Vk−VB
VK − VB
Vh−Vk
W 0 C = V H0 − V K
(2.25)
(2.26)
(2.27)
(2.28)
sono i vettori differenza dei vettori unitari identificativi dei centroidi nell’immagine I e delle stelle nel catalogo di riferimento C; in tal modo il valore del segno
dell’angolo compreso tra la coppia di vettori consente di risolvere l’ambiguità su
41
quale delle due configurazioni che è possibile riscontrare nel catalogo stellare si
avvicini ad identificare quella ricavata dall’immagine.
Nel caso più generale di N stelle presenti sull’immagine, si può ricalcare lo
stesso procedimento considerando tutti i possibili pattern triangolari nei quali
è possibile ridurre l’immagine stessa: ogni stella base si troverà a formare un
numero di triangoli Nt
Nt =
N
−2
X
i=1
i =
(N − 1)(N − 2)
2
(2.29)
che sarà possibile confrontare separatamente. Per enumerare gli accordi fra ciascun triangolo presente nei due raggruppamenti, ogni corrispondenza trovata servirà a riempire N × Ni matrici simmetriche MBi (nBi × nBi ), cioè tante quanti gli
N centroidi dell’immagine ed il numero Ni degli eventuali raggruppamenti trovati compatibili nel catalogo per ogni i − esimo centroide base; gli elementi riga
e colonna saranno invece nBi , cioè tanti quanti i centroidi trovati a corrispondere
le distanze dall’i − esima base di ogni raggruppamento di stelle.
A titolo di esempio, la successiva figura (2.10) illustra il processo di formazione di una di tali matrici nel caso semplice di 1+4 centroidi presenti nel i − esimo
raggruppamento dell’immagine: partendo dalla stella base Bi e dal primo dei
centroidi più vicini k1 , si considerano tutti i triangoli ottenuti congiungendo successivamente questa coppia con i centroidi h2 , ..h4 , ordinati per distanza; la prima
riga della matrice allora, indicata come il suo centroide di riferimento con k 1 , sarà
composta, per ogni colonna corrispondente ai rimanenti 3 centroidi h2 ...h4 , da cifre quali 1 e 0 a seconda che i triangoli (Bi \
k1 h2,..4 ) risultino sovrapponibili o
meno ai corrispondenti triangoli tracciati nel catalogo di riferimento. Passando
cosı̀ successivamente ai centroidi k2 , ..k4 , si riempiranno gli elementi riga posti
a destra della diagonale della matrice: tali sono infatti i punti corrispondenti ai
pattern triangolari visibili in figura.
Per come viene costruita, la matrice MBi è dunque simmetrica e con gli elementi della diagonale uguali a 0; essa riporta con tale cifra anche tutte le corrispondenze fallite e ciò viene impiegato per eliminare dalle corrispondenze trovate
tutte le stelle del catalogo che non si accordano ai centroidi: se infatti l’elemento
di matrice di coordinate (kl , hm ) è uguale a 0, il triangolo (B\
i kl hm ) ha fallito
la corrispondenza e questo può essere dovuto alla presenza nel raggruppamento
di una stella che identifichi erroneamente kl o hm . Valutando in questo caso la
somma delle corrispondenze riscontrate con successo di entrambi i centroidi, è
possibile scartare quello della coppia con il numero di insuccessi maggiore. In
caso di parità nel numero di corrispondenze con successo, viene per convenzione
42
k1
h2

h3


MB = 

Base
h4
0
1
1
0
h1



MB = 

h1
0
1
1
0
1
0
1
1
1
1
·
·
0
1
·
·

1
·
·
·
1
·
·
·
0
·
·
·





k2
h3




Base
h4
h2

k3


MB = 

Base
h4
h1



MB = 

0
1
1
0
1
0
1
1
1
1
0
0
0
1
0
0





0
1
1
0
1
0
1
1
1
1
0
0
0
1
0
·





h2
h3
Base
k4
Figura 2.10: I quattro disegni illustrano i passaggi necessari alla formazione della matrice di
una configurazione: le distanze tratteggiate indicano le corrispondenze poste a sinistra della
diagonale, determinando cosı̀ gli elementi di una matrice simmetrica. Gli elementi della matrice
hanno coordinate (ki , hj ). Il livello di confidenza della configurazione creata in figura è 3.
43
scartato il centroide di indice k. Dunque, poichè tale operazione equivale a sommare separatamente la riga e la colonna che si incrociano nel punto (kl , hm ), si
può riassumere dicendo che se, per esempio, si ha che
n Bi
X
(kl , hi ) 6
i=1
n Bi
X
(kj , hm )
(2.30)
j=1
allora tutti gli elementi della riga e della colonna di indici (kl , hl ) vengono identicamente posti uguali a 0 e dunque “soppressi” ai fini del seguito (lasciando in
tal modo “in bianco” la possibile identificazione del centroide kl ). Ottenendo
infine tante matrici MBi quanti sono gli Ni raggruppamenti compatibili, ognuna
di queste designerà una possibile configurazione di stelle identificate, ciascuna
delle quali confortate da un indice di confidenza pari alla somma di tutti i valori
1 rimasti nella semi-matrice triangolare superiore ed uguale al numero
n∗wi (n∗wi − 1)
wi = 1, 2...Ni
(2.31)
2
essendo n∗wi il numero di stelle effettivamente identificate all’interno dell’i−esima
configurazione (esclusa la stella che ne è la base). Ripetendo identicamente i suddetti passaggi per ogni centroide (e quindi per ogni base del raggruppamento
nell’immagine), si arriverà al punto in cui a ciascun centroide dell’immagine corrisponderanno una o più configurazioni plausibili con diverso indice di confidenza.
Prima di giungere al decisivo e più importante passo del riconoscimento, che prevede la “costruzione” di una configurazione finale che raccolga il maggior numero
di stelle identificate fra loro compatibili, occorre introdurre un nuovo parametro
che concorre a caratterizzare ciascuna delle configurazioni appena costruite.
λ wi =
2.4.4
La precisione sulla distanza focale
La distanza focale dell’ottica impiegata (o meglio, la distanza tra il piano della
CCD ed il piano coniugato del sistema ottico) ed in special modo la precisione
con cui questa è nota, riveste un ruolo importante. Questa grandezza è infatti
coinvolta direttamente nel calcolo della distanza d tra i centroidi e dunque nella
costruzione dell’intero catalogo immagine. Preso l’i − esimo centroide di un
raggruppamento ed utilizzando un’approssimazione al primo ordine per d, tale
per cui si abbia
p
(xB − xi )2 + (yB − yi )2
d=
(2.32)
f ocale
dove xB e yB sono le coordinate del centroide base, si può giungere a valutare,
compatibilmente col valore del parametro err utilizzato nella (2.19) ed equivalente all’apertura angolare di un pixel, la minima precisione richiesta su questa
44
grandezza come
(f ocale)2
p
δ(f ocale) ≈
err
(xB − xi )2 + (yB − yi )2
(2.33)
tolleranza che, con i parametri del sistema impiegato (diametro CCD ≈ 10 mm,
f ocale ≈ 100 mm, ed err ≈ 10−4 rad), assume il valore di circa un decimo di
millimetro. Pertanto, nonostante il parametro f ocale entri in gioco all’interno
dell’algoritmo come valore inizialmente noto, l’operazione di messa a fuoco dell’immagine e, soprattutto, la presenza di aberrazioni cromatiche dell’ottica che
si possono manifestare al variare della classe spettrale delle stelle esaminate (o a
causa dell’utilizzazione di un filtro infrarosso durante l’eventuale funzionamento
diurno), possono influenzarlo di una quantità tale da invalidare l’intera procedura
di riconoscimento.
Con un limite superiore dato dalla (2.33), occorre dunque determinare il reale
valore di questo parametro, affinchè, dopo ogni operazione di messa a fuoco,
l’algoritmo non perda la capacità di inseguire il puntamento. Questa operazione
può essere eseguita durante il confronto dei raggruppamenti descritto nella sezione
precedente: data infatti per ogni stella i appartenente ad una configurazione la
distanza dalla sua stella base
D = k V B − Vi k
(2.34)
come nota dal catalogo di riferimento, e l’equivalente distanza
d=k VB−Vi k
(2.35)
tra i corrispondenti centroidi nel catalogo dell’immagine, risolvendo in funzione
della focale l’equazione
D =k VB−Vi k
(2.36)
essendo V B e V i rispettivamente i vettori unitari
VB = p
(xB , yB , f ocale)
(xi , yi , f ocale)
p
,
V
=
i
[x2B + yB2 + (f ocale)2 ]
[x2i + yi2 + (f ocale)2 ]
(2.37)
si può ricavare una misura di questa grandezza in funzione degli accordi ottenuti
tra le distanze D e d, note grazie all’uso del suo valore iniziale. Poichè l’equazione
(2.36) non è direttamente risolvibile, l’algoritmo può giungere ad una soluzione
approssimata con un livello di precisione maggiore di quello stimato con la (2.33),
semplicemente utilizzando ricorsivamente il metodo di Newton. Considerando
infatti la funzione
D = F(f ocale)
(2.38)
45
e la sua soluzione al prim’ordine
¯
dF ¯¯
df
D = F(f0 ) +
df ¯f0
(2.39)
dove si può liberamente porre
f0 =
e ricavando in questo modo
p
(xB − xi )2 + (yB − yi )2
D
df =
D − F(f0 )
dF
df
(2.40)
(2.41)
si può sostituire in (2.39), al posto di f0 , la nuova quantità
f1 = f0 + df
(2.42)
ed il corrispondente valore df1 ; iterando successivamente il metodo, si ottengono
le coppie di valori (f2 , df2 ...fi , dfi ..) che approssimano la misura effettuata fino
all’ordine di precisione richiesto. Poichè si richiede che il df finale sia trascurabile
rispetto alle dimensioni di un pixel della CCD (≈ 10 µm), questo avviene tipicamente in un numero di iterazioni molto minore di 10. A questo punto, ripetendo
tale operazione per ogni stella della configurazione in esame (per es. la numero
1), questa produrrà una misura della focale
f ocale1 = f + σf
(2.43)
dove evidentemente, essendo n∗1 il numero di stelle ivi presenti, si avrà che
v
u n∗1
n∗1
X
1u
1 X
fi , σ f = ∗ t
(fi − f )2
f= ∗
(2.44)
n1 i=1
n1 i=1
La quantità (2.43) viene quindi considerata come parametro caratteristico di
ciascuna configurazione e fornirà, congiuntamente a come saranno prescelte le
configurazioni candidate al riconoscimento finale, la misura aggiornata da utilizzare in (2.15) per ricavare nuovamente e con maggiore precisione i vettori unitari
indicativi della posizione dei centroidi.
2.5
Il riconoscimento stellare II - Il ciclo treepath
Disponendo ora di una o più configurazioni di nomi per ogni raggruppamento
di stelle vicine, e per almeno 3 dei centroidi presenti nell’immagine (si ricordi
46
i=1
Livello 0
i=2
Livello 1
Livello 2
Figura 2.11: Formazione dei livelli dell’albero: assegnato il nome al centroide i = 1, il primo
livello comprende le stelle appartenenti alla sua prima configurazione disponibile; il secondo
livello viene creato con la prima configurazione della seconda stella nominata (i = 2). In
tratteggio sono visibili i rami che definiscono le configurazioni. Le stelle identificate che vengono
aggiunte alla stella posta all’inizio dell’albero (in nero) sono indicate in grigio chiaro.
il numero minimo di stelle per avere una possibilità di calcolo dell’assetto senza
ambiguità), occorre ora scegliere tra queste, valutandone il grado di compatibilità
e sovrapponibilità reciproca, le stelle identificate in grado di realizzare un’unica
configurazione finale che copra il più possibile il campo di vista rappresentato
nell’immagine. Tale scopo può essere raggiunto con l’ausilio di un ciclo iterativo
ad “albero” che consideri tutte le combinazioni possibili di sequenze di parametri
[posizione, codice identificativo, focale], conservando ad ogni passo le corrispondenze trovate e valutando per esse un opportuno livello di confidenza, passaggio
fondamentale per la successiva conferma o reiezione della configurazione che si è
andata creando fino a quel momento.
Il primo passo del ciclo consiste nel creare un certo numero di rami e livelli
visibili nelle successive figure (2.11) e (2.12): prescelto il centroide i = 1 tra
gli N presenti nell’immagine, questo possiede N1 possibili configurazioni di n∗w1
stelle vicine, aventi ciascuna una propria stella base ed un parametro focale medio
f (N1 ). Partendo dalla prima configurazione disponibile in ordine del livello di
confidenza espresso dalla (2.31), si viene a creare il primo livello riportando per
distanza i nomi delle stelle appartenenti a quella configurazione; passando ora, su
questo stesso livello costituito, al più vicino dei centroidi appena nominati (per
es. i = 2) , si cerca tra le sue configurazioni esistenti l’eventuale che la contenga
come base avente il medesimo nome e con il parametro focale compatibile a quello
della configurazione di partenza, cioè con intervalli di tolleranza sulle due misure
47
Livello 0
i=3
Livello 1
Livello 2
Figura 2.12: La seconda stella nominata del primo livello (i = 3) genera anch’essa un secondo
livello: per ottenere una configurazione finale plausibile, ogni stella che occupa la stessa posizione su livelli adiacenti deve ricevere un livello di confidenza sul nome. I casi di corrispondenza
che è possibile riscontrare sono illustrati nel testo.
di f 1 e f 2 tali che
| f1 − f2 | < 2
q
σf21 + σf22
(2.45)
Se la ricerca non ha successo si passa al centroide successivo, altrimenti si sarà in
grado di costruire il secondo livello, completando cioè, con i rami visibili in figura,
l’assegnazione dei nomi a tutti i centroidi che ne costituiscono le terminazioni.
Con la creazione del secondo livello (e, come si vedrà in seguito, anche per
i successivi), per i centroidi occupanti le medesime posizioni su livelli adiacenti
possono venirsi a verificare 3 diversi situazioni: la loro distinzione servirà ad attribuire i valori di confidenza alla configurazione finale che si andrà costruendo
nelle varie fasi del processo. I casi possibili ed i conseguenti interventi dell’algoritmo sono i seguenti, ripetuti identicamente nell’esame di ciascun livello successivo:
caso 1) i nomi delle stelle che si corrispondono tra due livelli consecutivi
(procedendo in ogni caso dal più alto al più basso) sono identici ⇒ il nome viene confermato e acquista un proprio livello di confidenza pari alla somma delle
confidenze (si veda eq.(2.31)) delle due configurazioni da cui proviene, altrimenti
procede alla stessa istruzione del caso 2;
caso 2) i nomi delle stelle in corrispondenza sono diversi ⇒ è sovrascritto
il nome della stella proveniente dalla configurazione con confidenza più alta, a
meno che la stella eventualmente perdente nel confronto non si trovi ad essere
corrispondente al centroide di partenza (i = 1), il vertice cioè da cui si propagano
48
i rami che hanno costituito i livelli esistenti: in tal caso il nome della stella al vertice viene conservato con una confidenza posta pari alla differenza algebrica delle
confidenze di partenza. Questa importante precauzione evita che, intervenendo
retroattivamente sui nodi da cui si propaga l’albero nel corso stesso della sua costituzione, ciò possa causare la ricorsione in loop dell’algoritmo senza che questo
abbia effettivamente termine. Se invece le configurazioni possiedono il medesimo
livello di confidenza, l’algoritmo conserva comunque l’identificazione riscontrata
nel livello precedente e pone a uguale a 0 la confidenza sul nome;
caso 3) la stella presente nel livello non ha nome (perchè, ad esempio, non è
compresa nella configurazione esaminata in corrispondenza di quel livello o non
è appartenente a nessuna delle configurazioni che hanno creato i livelli precedenti) ⇒ è sovrascritto, se disponibile, il nome della stella corrispondente al livello
adiacente quello in esame. In caso contrario il nome della stella resta vacante, in
attesa che lo stesso livello venga ricostituito dai rami di un ciclo successivo. In
caso di attribuzione del nome, la confidenza assegnata è pari alla confidenza della
configurazione a cui la stella appena identificata appartiene.
I livelli successivi si creano con procedimento analogo a partire dal centroide
immediatamente successivo a quello che genera il livello corrente, trascurando momentaneamente quelli rimasti esclusi dall’identificazione e considerando sempre
la prima delle configurazioni disponibili per ogni centroide con nome. La costruzione dell’albero si interrompe quando tutti i centroidi identificati non hanno più
subito modificazioni del nome o non ne sono stati aggiunti di nuovi alla configurazione formata. Dopo aver rimosso dai livelli identificati tutte le stelle risultanti
con livello di confidenza sul nome negativo, la somma delle confidenze di tutte le
stelle presenti sull’ultimo livello
conf idenza totale =
X
livello
conf idenza stelle ( ∀ conf. > 0 )
(2.46)
costituirà la confidenza complessiva attribuita a questo ciclo di riconoscimenti
e quindi all’ i − esima possibile configurazione finale. Per quanto riguarda la
misura della focale, questa è ottenuta fittando con un valore costante i valori
(compatibili fra loro) forniti dalle configurazioni partecipanti all’albero: in tal
modo, adoperando il metodo del minimo χ2 , si ottengono per la focale media
misurata e la sua deviazione standard i seguenti rispettivi valori:
P
2
livello f i /σfi
P
f ocale =
2
livello 1/σfi
49
(2.47)
σf ocale = qP
1
2
livello 1/σfi
(2.48)
dove le grandezze coinvolte nel calcolo sono le stesse illustrate nel paragrafo
precedente.
Realizzata in questo modo una possibile identificazione del campo di vista,
grazie cioè ai livelli generati dai rami di tutte le prime configurazioni che sono
state via via esaminate a partire dalla prima configurazione del primo centroide,
la stessa struttura ad albero viene “risalita” e ricreata, con le stesse modalità, per
ogni centroide presente in tutti i livelli esistenti e per ogni sua propria configurazione successiva. Ottenute quindi, in ogni successivo ciclo di esecuzione, tutte le
rimanenti configurazioni finali possibili, l’algoritmo di riconoscimento memorizza
ad ogni passo solo quella dotata del maggiore indice di confidenza totale: al termine dei cicli di confronto il software fornirà la configurazione di stelle identificate
con l’indice di confidenza più elevato; qualora però una configurazione i e la sua
precedente (i − 1) risultassero avere lo stesso indice di confidenza, passerà al confronto successivo quella costituita dagli elementi appartenenti all’“intersezione”
delle due:
N uova conf ig. (i) = conf igurazione (i) ∩ conf igurazione (i − 1)
(2.49)
Al termine dell’intera procedura esisterà dunque un’unica configurazione con indice di confidenza massimo: tale configurazione finale fornirà anche la miglior stima
della misura della focale adoperata, grazie alla tecnica di fit illustrata. Questa
misura finale sostituirà il dato di partenza esistente sulla focale ed eviterà che,
procedendo il programma nelle successive acquisizioni di immagine, una eccessiva
imprecisione presente su questo parametro possa vanificare l’intera procedura di
riconoscimento.
2.6
Il riconoscimento stellare III - Verifica, espansione e calcolo dell’assetto
2.6.1
Il ciclo di verifica dell’immagine e la sua espansione
Una volta eseguito il riconoscimento del campo di vista, è finalmente possibile
ottenere la direzione di puntamento richiesta con un procedimento simile a quello
mostrato nel paragrafo (2.1.2) e che sarà tra breve generalizzato. La conoscenza
della direzione di puntamento e, quindi, dell’assetto nello spazio di una terna
di riferimento solidale alla CCD, può però permettere un’ulteriore elaborazione
50
dell’immagine riconosciuta allo scopo di un perfezionamento della misura appena ricavata con un procedimento a “ritroso”. Una procedura di verifica, infatti,
trasforma i vettori unitari del catalogo di riferimento nella terna solidale appena
definita, cosı̀ da verificare in quest’ultima l’esatta posizione delle stelle relativamente ai centroidi a cui il nome è stato attribuito: una stella del catalogo che
fosse stata riconosciuta per errore, e quindi non coincidente con la reale posizione
del suo centroide sull’immagine, a causa di eventuali riflessi ottici o a causa della
presenza di rumore, deve essere scartata, in quanto contribuisce con un’informazione errata al calcolo della direzione di puntamento. Presa dunque la i − esima
stella presente nella configurazione finale ed il suo vettore in catalogo Vi , questo
viene trasformato nella terna solidale alla CCD
Vi
terna CCD
−→
V 0i
e confrontato con il vettore unitario V i ivi già presente (risultante cioè dal processo di analisi dell’immagine illustrato nel paragrafo (2.3.2)); se la distanza tra
le due posizioni dovesse risultare maggiore del parametro di errore err, se cioè
Di = k V 0i − V i k > err
(2.50)
allora la i − esima stella viene opportunamente contrassegnata: al termine del
ciclo di verifica sarà disconosciuto il centroide per cui
Dmax = max {.., Di , ...}
La terna dell’assetto verrà nuovamente calcolata e l’operazione di verifica continuerà ciclicamente sino all’esclusione dall’immagine riconosciuta di tutte le stelle
ritenute erronee secondo questo criterio.
Una seconda possibilità di raffinamento, detta di espansione, prevede l’esecuzione di una trasformazione opposta a quella precedente: se infatti il vettore
unitario dell’i − esimo centroide rimasto non identificato viene trasformato nel
riferimento del catalogo stellare
Vi
terna cat.
−→
Vi0
si potrà cercare in quest’ultimo l’eventuale stella per il cui vettore identificativo
valga una relazione analoga e contraria alla precedente (2.50)
Di0 = k Vi0 − Vi k < err
(2.51)
e grazie alla quale una nuova stella potrà essere aggiunta alla configurazione
finale. Terminato l’inserimento delle stelle aggiuntive (procedura, come si vedrà,
particolarmente utile nella fase di inseguimento descritta nel paragrafo (2.7)) e
verificato che si sia raggiunto il sufficiente numero di stelle identificate, l’assetto
del sensore stellare viene definitivamente ricalcolato.
51
2.6.2
Il calcolo dell’assetto II - Caso generale
Il calcolo finale dell’assetto è una generalizzazione di quello presentato nel paragrafo (2.1.2) al caso di un numero N di stelle riconosciute nell’immagine. Poichè,
come si è in precedenza mostrato, ogni coppia di stelle può contribuire alla determinazione di una terna ortonormalizzata, il calcolo generale consiste nel ricavare
una terna media, pesata cioè sugli indici di confidenza delle stelle partecipanti
a ciascuna coppia a cui è riducibile la configurazione di stelle finale. Definito il
numero di possibili terne (e coppie di stelle) come
N (N − 1)
2
nterne =
(2.52)
essendo N il numero di stelle nella configurazione finale, ed identificando come
x̂i , ŷ i , ẑ i
i versori delle corrispondenti terne ottenute col metodo applicato in (2.5), a cui
corrisponderanno gli indici di confidenza
λi = λi1 + λi2
(2.53)
determinati come somma degli indici di confidenza delle configurazioni provenienti dalle rispettive stelle della coppia i − esima, i versori della terna finale
media
x̂, ŷ, ẑ
saranno quindi definiti dalle seguenti relazioni di ortonormalizzazione:
ẑ =
terne
­ nX
λi ẑ i
i=1
x̂ =
terne
­ nX
i=1
λi x̂i −
terne
£¡ nX
i=1
ŷ = ẑ × x̂
®
¢ ¤ ®
λi x̂i · ẑ ẑ
(2.54)
(2.55)
(2.56)
essendo ripettivamente la (2.54) e (2.55) le relazioni che definiscono il versore
normale alla telecamera (la direzione di puntamento) ed uno degli spigoli.
52
2.7
2.7.1
L’algoritmo di inseguimento
Il tracking delle sorgenti astronomiche
Uno degli obiettivi fondamentali negli esperimenti dell’astrofisica X/γ prevede la
raccolta per tempi di esposizione lunghi (qualche ora) della radiazione proveniente dalle sorgenti di interesse. Un esperimento condotto su pallone stratosferico
necessita quindi di un sistema in grado di “inseguire” la sorgente astronomica
in esame, di modo che questa possa essere presente nel campo di vista del telescopio per il tempo necessario alla raccolta dei dati. Come si è già discusso nel
paragrafo (1.4), le particolari condizioni operative della gondola HiPeG prevedono una precisione di puntamento dinamica molto elevata (60 arcosecondi). A
tal fine, la verifica degli spostamenti della sorgente rispetto al valore nominale
inserito nel piano di volo deve avere una accuratezza maggiore e pari ad almeno
10 arcosecondi (tabella (1.2)).
2.7.2
Lo schema dell’algoritmo
Per poter valutare nel corso del tempo gli spostamenti del sensore stellare, e
quindi “tracciare” l’andamento della sua traiettoria di puntamento nello spazio,
è necessario procedere all’acquisizione ed all’elaborazione di immagini successive.
Per poter effettuare l’analisi dell’immagine in un tempo ridotto rispetto a quello
della completa procedura di riconoscimento appena descritta, è stato implementato un algoritmo con il compito di “aggiornare”, quando possibile, l’identificazione
del campo stellare e la misura dell’assetto con una procedura notevolmente più
rapida e semplificata: lo schema dell’algoritmo è rappresentato nello schema a
blocchi di figura (2.13).
Il principale vantaggio di questa procedura consiste nel considerare come “nuovo” catalogo di riferimento, un catalogo “ridotto” formato dalle sole stelle riconosciute nell’ultima immagine elaborata con successo; in questo modo, acquisita
dalla CCD una nuova immagine, l’algoritmo ricorre alla complessa selezione delle possibili configurazioni di riscontro utilizzando solo quelle stelle che hanno la
maggiore probabilità di essere ancora nella visuale del sensore. Se il campo stellare del catalogo “ridotto” è stato sufficiente a completare il riconoscimento della
nuova immagine, l’algoritmo di espansione descritto al paragrafo (2.6.1) verifica se l’immagine contiene ulteriori stelle identificabili per migliorare la misura
della direzione di puntamento; in ogni caso la nuova immagine riconosciuta con
successo costituisce ora il nuovo catalogo “ridotto” da utilizzare nella successiva
acquisizione ed il processo prosegue in loop con questa procedura snellita fino al
53
Figura 2.13: Il diagramma di flusso dell’algoritmo di inseguimento.
primo caso di riconoscimento fallito. In questa situazione, se il numero di stelle
presenti nel catalogo “ridotto” non è quindi sufficiente a consentire il riconoscimento della nuova immagine, l’algoritmo riprende l’uso del catalogo di riferimento
di partenza ed esegue la completa procedura di riconoscimento sin qui descritta.
54
Capitolo 3
I test dell’algoritmo - Modelli e
simulazioni
3.1
Introduzione - La precisione di puntamento
In questo capitolo verranno presentati i risultati dei test eseguiti per valutare il
funzionamento dell’algoritmo di riconoscimento descritto nel capitolo precedente;
in particolare sarà valutata la precisione ottenibile sulla misura della direzione di
puntamento.
Dopo aver formulato una semplice modellizzazione del segnale rivelato dalla
CCD, utile per una interpretazione qualitativa dei test eseguiti sulla precisione
del calcolo dei centroidi stellari, si valuterà l’entità del grado di defocalizzazione
da introdurre sulle stelle contenute nell’immagine. Si mostrerà, inoltre, quanto
il numero di stelle complessivamente identificate dall’algoritmo contribuisca a
modificare la precisione di puntamento in funzione degli errori sulla localizzazione
di un singolo centroide. Poichè la procedura di riconoscimento stellare impiega
la trasformazione delle stelle rivelate in vettori unitari, il primo passo nell’analisi
del livello di precisione realizzabile riguarda la determinazione del centroide della
stella.
3.2
La precisione sulla posizione del centroide
La precisione con cui è nota la posizione del centroide stellare sulla superficie della
CCD influenza direttamente il calcolo dei vettori unitari descritti nel paragrafo
(2.3.2) e, quindi, il calcolo della direzione di puntamento. I fenomeni che danno
origine all’incertezza sulla posizione di un centroide sono fondamentalmente tre
e l’effetto di ognuno di questi sarà studiato e valutato nei paragrafi successivi:
55
1. il segnale di rumore proveniente da ciascun pixel della CCD
2. la discretizzazione dei livelli di uscita del convertitore analogico/digitale
posto nell’amplificatore della CCD;
3. la discretizzazione geometrica dei pixel.
Queste fonti di errore si “propagano” nella determinazione del centroide attraverso il calcolo matematico che l’algoritmo esegue per “pesare” la posizione geometrica di ogni pixel della CCD con il livello di segnale luminoso rivelato da ciascuno
di essi (equazioni (2.10-11)).
L’entità di queste imprecisioni dipende prinicipalmente dalle dimensioni dell’immagine di una stella: se infatti, come esempio, si considera l’imprecisione
introdotta nel calcolo del centroide di una stella dalla discretizzazione geometrica, i pixel di forma quadrata disposti attorno al bordo dell’immagine forniranno
un diverso segnale in funzione del loro grado di sovrapposizione col contorno (per
es. circolare) dell’immagine stessa; poichè ciò avviene in relazione alla posizione
reale del centro della sagoma stellare, il livello di uscita dei pixel corrispondenti al
profilo del bordo sarà inoltre variabile in funzione di questa posizione; la dimensione dell’immagine, infine, renderà questi effetti di bordo più o meno trascurabili
in relazione alla loro estensione superficiale relativa.
3.2.1
La propagazione dell’errore sul calcolo del centroide
Ciascuna stella presente nel campo di vista del sensore stellare illumina la superficie della CCD con una distibuzione di intensità che è possibile riassumere in una
funzione continua delle coordinate geometriche del piano I0 (x, y); trascurando la
fluttuazione poissoniana del numero di fotoni che compongono il segnale luminoso di una stella, ciascun pixel si troverà ad integrare il segnale che perviene
alla sua superficie assieme al rumore generato dalle fluttuazioni della corrente di
buio (funzione principalmente del tempo di esposizione) e dal rumore di lettura
dell’elettronica, quest’ultimo da ritenersi di valore uniforme per ciascun pixel (si
ricordi che il f ixed pattern noise è già stato sottratto dall’immagine in esame).
Per ciascun pixel di coordinate (i, j) e di area superficiale Spixel , si avrà dunque
che l’intensità di segnale contenuto Eij0 sarà
Eij0 = E0ij + ENij
(3.1)
essendo rispettivamente
E0ij =
Z
I0 (x, y) dx dy
Spixel
56
(3.2)
l’integrale dell’intensità luminosa calcolata su di un pixel ed ENij l’entità di tutti
i contributi di rumore alla corrente di buio di un singolo pixel. Poichè è però presente una discretizzazione dei livelli di segnale nel convertitore analogico/digitale
eij pari alla parte intera
della CCD, il reale segnale rivelato assumerà il valore E
del rapporto tra l’intensità complessiva misurata e l’ampiezza L di un livello in
unità ADC:
"
#
E
0ij + ENij
eij =
E
(3.3)
L
Se però si considera l’ampia dinamica di una CCD ad uso scientifico (12 bit),
capace di un livello fine di discretizzazione tale da apprezzare le fluttuazioni di
rumore e dunque tale da essere nella condizione per cui
E0ij , ENij À L
(3.4)
l’effetto della discretizzazione può essere trattato congiuntamente alla propagazione dell’errore nel calcolo delle coordinate del centroide ponendo
# "
#
"
E
E
Nij
0ij
eij '
+
(3.5)
E
L
L
eij = E
e0 + E
eN
E
ij
ij
(3.6)
Con riferimento alle notazioni impiegate nel paragrafo (2.3.2), essendo l’ascissa
del centroide
Pni −1 Pnj −1
e
j=0 xi Eij
i=0
xc = P
(3.7)
P
nj −1 e
ni −1
Eij
i=0
j=0
si studia dapprima l’incertezza presente su questo punto, potendo poi estendere
le medesime considerazioni anche alla coordinata yc . Essendo la coordinata geometrica del centro di un pixel quadrato di lato l esprimibile in funzione dell’indice
i − esimo di questo come
³
1 ´
l
(3.8)
xi = i +
2
e semplificando la notazione delle sommatorie sugli ni e nj pixel presenti per lato
sul rettangolo selezionato, si ha che
P
1
e
e
ij (i + 2 )l ENij + x0 E0
xc =
(3.9)
P e
e0
EN + E
ij
dove
x0 =
P
ij
ij
e0
(i + 21 )l E
ij
P e
ij E0ij
57
(3.10)
e0 l’intensità, sommata sui pixel,
è l’ascissa del centroide in assenza di rumore ed E
della sola radiazione luminosa. Riscrivendo la posizione dell’ascissa del centroide
eN e della coordinata x0
come una funzione Φ del rumore E
ij
eN , x0 )
xc = Φ ( E
ij
(3.11)
si può calcolare l’imprecisione esistente sul suo valore propagando l’errore sulle
variabili indipendenti della funzione Φ: indicando infatti con σNij e σx0 rispettivamente le fluttuazioni del rumore misurato per pixel e la larghezza della distribuzione dei valori dell’ascissa ricavata dal segnale della sola stella, si può porre
σx2c pari a
Ã
Ã
!2
!2
X
∂Φ
∂Φ
2
σx2c =
σN
+
σx20
(3.12)
ij
eN
∂x
0
∂
E
ij
e
e
ij
E Nij ,x0
E Nij ,x0
e N nullo per
Essendo il valor medio delle fluttuazioni del livello di rumore E
ij
ciascun pixel, le derivate parziali che compongono il primo membro della somma
(3.12) sono quindi
Ã
!
e0 − x0 E
e0
(i + 12 )l E
∂Φ
(3.13)
=
e02
eN
E
∂E
e N ,x0
E
ij
ij
Calcolando con gli stessi valori la rimanente derivata, si trova
Ã
!
∂Φ
=1
∂x0 e
(3.14)
E Nij ,x0
Poichè la fluttuazione del segnale di rumore è misurabile e si può ritenere realisticamente uguale ad un valore σN costante per ogni pixel, si può porre
#2
"
X (i + 1 )l − x0
2
2
σN
+ σx20
(3.15)
σx2c =
e
E0
ij
Ponendo il valor medio dell’ascissa x0 , come è lecito supporre, uguale alla posizione mediana lungo il lato del rettangolo formato dagli nx × ny pixel selezionati
dall’algoritmo di localizzazione della stella e ricordando che
n−1
X
0
n(n − 1)
i=
,
2
n−1
X
0
i2 =
n(n − 1)(2n − 1)
6
(3.16)
si ottiene infine, calcolando le somme e ponendo l = 1
σx2c
nx ny (n2x − 1) 2
=
σN + σx20
2
e
12
E0
58
(3.17)
In particolare si può notare come la componente di rumore che costituisce il primo
membro della somma (3.17), cioè quella dipendente unicamente dalla componente
di rumore del segnale, sia, in opportune condizioni, inversamente proporzionale al
rapporto segnale su rumore SN R presente sul singolo pixel: se infatti si pongono
nx ' n y = n ,
nÀ1
(3.18)
ovverosia le condizioni di un’immagine stellare distribuita su più pixel, si ha che
n2
σN
σN
1
'
σN =
=
e0 /n2 )
e0
e0
SN Rpixel
(E
E
E
pixel
(3.19)
e0
essendo E
il segnale medio della stella su ciascun pixel. La successiva figura
pixel
(3.1) illustra l’andamento del contributo di rumore
p
(n2 − 1)
n
e0 , σN ) =
√
σN (n, E
σN
(3.20)
e0
2 3
E
nel caso nx = ny . Considerando la modalità con la quale l’algoritmo seleziona il
numero n×n di pixel per ogni stella (si veda il paragrafo (2.3.1)), i valori riportati
in ascissa della stessa figura si riferiscono alla lunghezza del lato di un quadrato
in grado di contenere integralmente l’immagine di una stella di diametro D; in
particolare, riferendosi al caso di stelle con valore del diametro superiore ad un
singolo pixel e ponendosi nelle condizioni meno favorevoli di un numero massimo
di pixel selezionati, si ha che
n = [D] + 2
(3.21)
dove con [D] si è indicata la parte intera del diametro dell’immagine. I valori
rappresentati sono stati calcolati valutando una fluttuazione σN pari a 5 livelli
di ADC; inoltre, oltre al variare delle dimensioni della stella, sono stati considee0 /σN . È possibile notare
rati 5 diversi valori del rapporto segnale su rumore E
un comportamento tendente a n2 per stelle di grosse dimensioni (n >10 pixel):
questo rivela, come era prevedibile, una maggiore influenza del rumore nella determinazione algebrica del centroide quando il numero di pixel coinvolti cresce.
Allo stesso modo questa imprecisione aumenta al diminuire del segnale stellare.
Per stelle con dimensioni pari od inferiori ad un singolo pixel, invece, l’effetto del
rumore risulta ovviamente nullo.
3.2.2
Un modello di stima per la discretizzazione: la stella
quadrata
Il parametro restante nella valutazione dell’errore complessivo sulla localizzazione
del centroide, ovverosia σx0 , trova origine fisica nel già citato effetto della discretizzazione geometrica della CCD e, quindi, nella possibilità di disporre unicamente
59
10
4
S/N 1
S/N 10
1000
2
S/N 10
3
S/N 10
100
4
S/N 10
(pixel)
10
σ
N
1
0.1
0.01
0.001
0.0001
1
10
100
Diametro stella (pixel)
Figura 3.1: Andamento del contributo di rumore σN per diversi valori di S/N. Il valore di n
impiegato in (3.20) è ricavato dal diametro della stella come n = [D] + 2 (eq.(3.21)).
di un segnale luminoso integrato. Prima di presentare i valori ottenuti dai risultati di una simulazione numerica eseguita con “stelle” dotate di caratteristiche
più realistiche, si descrivono ora brevemente le conseguenze della discretizzazione
nel calcolo del centroide di una “stella” di profilo quadrato: come si vedrà questa
semplice modellizzazione è utile all’interpretazione qualitativa dei risultati che
saranno mostrati nel paragrafo (3.2.4).
Con riferimento alla figura (3.2), che illustra la geometria del modello, si
considera il profilo del segnale della stella come un parallelepipedo P(x, y) di
lato L ed altezza a, tale che il segnale equivalente all’intensità totale di energia
incidente sia pari a
X
e0 = E
e0 = a L2
E
(3.22)
ij
ij
Poichè in generale l’area occupata dalla “stella” non copre un numero esatto di
pixel, l’applicazione della (3.10) per il calcolo del centroide è soggetta ad un’incertezza esprimibile come lo scarto quadratico σx0 dalla posizione media x0 . Per
il calcolo di quest’ultima, la (3.10) si può riscrivere come
nx −1 ³
1´ e
1 X
i+
x0 =
l E0ij
a L i=0
2
60
(3.23)
1
1
Figura 3.2: Rappresentazione unidimensionale della “stella” quadrata disposta in sezione sui
pixel della CCD: i pixel che ne contengono gli spigoli influenzano il calcolo del centroide con un
errore di discretizzazione. Le quantità espresse in figura sono discusse nel testo.
dove sono state già eseguite le somme nella direzione delle ordinate. L’effetto della
discretizzazione è riscontrabile nel calcolo dell’integrale del segnale luminoso di
un pixel di coordinate (i, j)
Z (i+1)l
e
P(x) dx
(3.24)
E0ij =
il
presente sui bordi della sagoma stellare: essendo infatti il profilo P(x) tale che
½
a
xr 6 x 6 (xr + L)
(3.25)
P(x) =
0
x < xr , x > (xr + L)
il valore che l’integrale (3.24) assume è dipendente dall’intervallo di integrazione.
Con riferimento alla figura (3.2), i 4 valori di (3.24) ed i rispettivi intervalli di
integrazione sono:
· ¸
·
¸
x
x
+
L
r
r
e0 = 0
i<
, i>
+1
(3.26)
E
ij
l
l
· ¸
·
¸
x
x
+
L
r
r
e0 = a l
E
+16i<
(3.27)
ij
l
l
÷ ¸
!
· ¸
x
xr
x
r
r
e0 = a
E
+1−
i=
(3.28)
ij
l
l
l
Ã
·
·
¸!
¸
x
+
L
x
+
L
x
+
L
r
r
r
e0 = a
E
i=
−
(3.29)
ij
l
l
l
dove le parentesi quadre indicano l’uso della funzione parte intera. Sostituendo i
valori appena ricavati nella (3.23) ed indicando con G(x) l’abbreviazione per
¡
¢
G(x) = [x] 2x − [x] − 1
(3.30)
61
dopo alcuni passaggi si ottiene che
· µ
¶
µ ¶¸
l
l
xr + L
xr
x0 =
G
−G
+
2L
l
l
2
(3.31)
La (3.31) è una funzione dispari della posizione xr , oltre che periodica e di passo
equivalente a l, come prevedibile per la scelta casuale di xr e la supposta uniformità della risposta dei pixel al segnale. Se si effettua ora una traslazione tale da
arretrare tutti i punti di P di una quantità eguale a L/2 e si pone la dimensione
di un pixel come unità di misura della lunghezza (l = 1), si può riscrivere la
(3.31) come
· µ
¶
µ
¶¸
l
L
L
1
x0 =
(3.32)
G xr +
− G xr −
+
2L
2
2
2
e considerare cosı̀ il punto xr come la reale ascissa del centroide della “stella”
quadrata. Indicando ora con S lo scarto tra la posizione reale e l’ascissa x0
influenzata dalla digitalizzazione
S = x r − x0
(3.33)
l’errore dovuto alla non coincidenza dei punti può essere rappresentato dalla
deviazione standard effettuata sulla distibuzione di tali scarti, e cioè:
sZ
σx0 =
S 2 ρ(S) dS
(3.34)
dove si è indicato con ρ(S) la funzione di distribuzione ancora incognita. Per
effettuare il calcolo dell’integrale, si può considerare lo scarto come funzione dei
parametri xr e L:
S = S(xr − x0 )
(3.35)
Si può quindi studiare il comportamento della (3.35) in funzione di L in un
intervallo di variabilità di xr pari alla dimensione di un pixel, poichè questa
ascissa può liberamente occupare ogni posizione di questo intervallo.
Come illustrato dalla figura (3.3), la funzione S(xr , L) può assumere tre diversi
andamenti, riconducibili alla presenza in (3.32) di quantità espresse come parti
intere, riscontrabili nella definizione di G(x) (3.30); questi andamenti, riassunti
dalle seguenti condizioni, sono stati studiati per comodità nell’intervallo [0, 21 ]:
1. il valore di L è un numero intero ⇒ la funzione di scarto S(xr , L) è nulla in
tutto l’intervallo di integrazione. Questo è dovuto alla precisa determinazione del centroide dovuta alla corrispondenza di L con un esatto numero
di pixel (si ricorda la scelta l = 1);
62
0.02
0.01
S(x,L)
0
-0.01
-0.02
L=6
L=6.3
L=5.6
-0.03
0
0.1
0.2
0.3
0.4
0.5
x
Figura 3.3: I tre casi di comportamento possibile della funzione S(x, L). I valori di L scelti
come esempio sono visibili nel riquadro in figura.
2. il valore della parte intera [L] è pari ⇒ la funzione di scarto S(xr , L) è
lineare con pendenza discontinua nel punto di coordinate x∗1 :
x∗1
ed assume i valori:


S(xr , L) =

2xr
L
2xr
L
¡£ L ¤
2
¡£ L ¤
2
−
L
2
−
L
2
· ¸
L
L
= −
2
2
+
¢
1
2
−
¢
1
L
(3.36)
0 6 xr < x∗1
£L¤
2
(3.37)
+
1
2
x∗1
6 xr <
1
2
3. il valore della parte intera [L] è dispari ⇒ la funzione di scarto S(xr , L) è
lineare con pendenza discontinua nel punto di coordinate x∗2 :
x∗2
ed assume i valori:
 2xr ¡£ L ¤
−
 L
2
S(xr , L) =
 2xr ¡£ L ¤
−
L
2
L
2
L
2
+
· ¸
L
L
− +1
=
2
2
1
2
¢
¢
+1 −
63
(3.38)
0 6 xr < x∗2
1
L
¡£ L ¤
2
¢
+1 +
(3.39)
1
2
x∗2
6 xr <
1
2
A causa dell’andamento lineare della funzione S, è possibile notare come i valori
degli scarti nel caso 2 e nel caso 3 siano rispettivamente distribuiti uniformemente negli intervalli [S1min , S1max ] e [S2min , S2max ], in corrispondenza di tutte le
posizioni che xr può assumere nell’intervallo della lunghezza di un pixel; per questo motivo la funzione di distribuzione ρ(S) sarà dunque anch’essa uniforme in
questi intervalli. Con i coefficienti angolari espressi nelle (3.37) e (3.39) e con i
valori dei punti di discontinuità della pendenza (3.36) e (3.38), si ricava dunque
rispettivamente:
µ· ¸
¶µ
· ¸¶
L 1
2
L
L
L
− +
(3.40)
|S1min | = S1max =
−
L
2
2 2
2
2
¶
µ· ¸
¶ µ· ¸
2
L
L
L 1
L
|S2min | = S2max =
(3.41)
− +
− +1
L
2
2 2
2
2
Dopo aver normalizzato le distribuzioni, si ottengono infine i valori delle deviazioni standard cercate:
sZ
S1max
|S1 |
S 2 ρ(S) dS ⇒ σx01 = √max
(3.42)
σ x 01 =
3
S1min
sZ
S2max
|S2 |
σ x 02 =
(3.43)
S 2 ρ(S) dS ⇒ σx02 = √max
3
S2min
La figura (3.4) illustra l’andamento della deviazione standard complessiva: i valori per cui essa si annulla corrispondono ad un numero intero di pixel nel lato
L, mentre il visibile comportamento a “rimbalzi” è dovuto alla successione degli
intervalli dove la parte intera [L] è pari o dispari; ugualmente si può notare come
l’andamento per grandi valori di L rispecchi un comportamento inversamente proporzionale alle dimensioni della “stella”: una “stella” di grosse dimensioni subirà
una minore influenza degli effetti di discretizzazione a causa del relativo minor
peso nel calcolo del centroide dei pixel disposti sul bordo. Si può infine notare
come l’errore introdotto dalla discretizzazione sia indipendente dall’intensità del
segnale incidente sui pixel.
3.2.3
Le previsioni del modello
È possibile esprimere ora alcune considerazioni sul modello appena descritto.
Le figure di questo paragrafo illustrano l’andamento complessivo dell’incertezza
presente sulla localizzazione del centroide della “stella” quadrata, riassunte dalla
quantità σxc e pari alla somma in quadratura delle incertezze appena studiate:
q
2
+ σx20
(3.44)
σxc = σ N
64
Errore di discretizzazione (pixel)
0.1
0.01
0.001
1
10
100
Diametro stella (pixel)
Figura 3.4: Andamento dell’errore σx0 introdotto dalla discretizzazione dei pixel nel modello
di “stella” quadrata. L’andamento è indipendente dall’intensità della “stella”.
Le variabili utilizzate nelle illustrazioni sono la larghezza della “stella” L e la
sua intensità di segnale espressa come rapporto SN R; per rendere compatibili le
ascisse dei grafici delle due componenti di (3.44), si è posto il numero di pixel
n della (3.20) pari a [L] + 2. La figura (3.5) mostra come, fissato un rapporto
segnale su rumore di valore ragionevole (SN R = 1000, σN = 5), l’effetto della
discretizzazione dei pixel sia dominante per “stelle” di piccolo diametro, mentre
per diametri più grossi la ragione maggiore di imprecisione vada ricercata nelle
fluttuazioni di rumore.
Da questo comportamento del modello, segue, in questo caso, l’esistenza di
una posizione di minimo per la (3.44): come si può vedere nell’esempio illustrato
dalla stessa figura, la curva di inviluppo che racchiude l’andamento di σxc possiede
un minimo per un diametro stellare equivalente a circa 4 pixel.
Poichè l’andamento di σxc per una stella reale non avrà, in condizioni normali,
il comportamento a rimbalzi caratteristici di questa modellizzazione a “stella”
quadrata, si può prevedere l’esistenza di una posizione del minimo in un possibile
analogo comportamento dei valori della precisione σx0 calcolata per una stella
reale.
Questo risultato indica quindi che, fissato un valore SN R, esiste un numero
65
10
Errore totale
Rumore
Discretizzazione
Errore totale (pixel)
1
Inviluppo errore totale
0.1
0.01
0.001
0.0001
1
10
100
Diametro stella (pixel)
Figura 3.5: Andamento previsto dal modello per l’errore totale sulla localizzazione del centroide
nel caso di una “stella” con S/N pari a 1000. Sono visibili i singoli contributi di errore e, in
tratteggio fine, la curva di inviluppo.
ottimale di pixel su cui focalizzare l’immagine di una stella in modo da minimizzare l’errore commesso nella localizzazione del centroide. La figura (3.6) illustra
gli andamenti della precisione σx0 per diversi valori di intensità SN R: è possibile
notare come per intensità decrescenti (S/N < 100) l’effetto del rumore prevalga rispetto alla discretizzazione quando le dimensioni della “stella” quadrata si
riducono.
3.2.4
Il test Montecarlo sulla precisione del centroide
Le simulazioni Montecarlo compiute prevedono l’esecuzione dell’algoritmo di localizzazione delle stelle su immagini test create appositamente per ottenere una
statistica di eventi sufficiente a valutare il livello di precisione nella computazione
delle coordinate del centroide.
La CCD simulata nel test ha le stesse caratteristiche geometriche di quella
realmente utilizzata: in particolare, oltre alle dimensioni del pixel e della matrice,
già illustrati nel paragrafo (1.7.1), è stato utilizzato il valore di 4096 (la dinamica
della CCD equivale a 12 bit) come il livello massimo ADC per la saturazione
66
10
4
S/N 1
S/N 10
1000
2
S/N 10
3
S/N 10
Errore totale (pixel)
100
4
S/N 10
10
1
0.1
0.01
0.001
0.0001
1
10
100
Diametro stella (pixel)
Figura 3.6: Andamento dell’errore totale per tutti i valori di S/N utilizzati. L’effetto della
discretizzazione è visibile solo sulle “stelle” più intense.
del singolo pixel. È stata inoltre simulata la presenza di un segnale di rumore
fluttuante con σN = 5, ed è stato fissato a 4 il valore del parametro ν che in (2.9)
stabilisce la soglia iniziale dell’algoritmo di localizzazione descritto nel paragrafo
(2.3.1).
Le stelle delle immagini test vengono rappresentate come gaussiane con centro
di coordinate note (xr , yr ) distribuite sulla superficie della CCD simulata. Le
stelle cosı̀ create sono quindi descritte dalla curva di intenstà I tale che
2
(x−xr ) +(y−yr )
− 21
I0
2
σstar
e
I(x, y) =
2
2πσstar
2
(3.45)
dove la deviazione standard σstar esprime le dimensioni della stella di intensità
totale I0 ; le code della gaussiana sono tagliate a 4σstar , dove il valore del suo
integrale raggiunge oltre il 99% del totale. Posto uguale a 1 il valore l della
dimensione di un pixel, il calcolo del segnale rivelato da un pixel di coordinate
(i, j) sarà
·
¸
E0ij
e
E0ij =
(3.46)
L
67
dove
E0ij
I0
=
2πσstar
Z
i+1
e
− 21
(x−xr )2
2
σstar
dx
i
Z
j+1
e
− 21
(y−yr )2
2
σstar
dy
(3.47)
j
Introducendo la funzione erf
2
erf (x) = √
π
Z
x
2
e−t dt
(3.48)
0
la (3.47) può essere riscritta come
·
µ
¶
¸·
µ
¶
¸
I0
1
1
E0ij =
erf i + √
− erf (i) erf j + √
− erf (j)
π
2σstar
2σstar
(3.49)
I run dei test Montecarlo sono costituiti da un numero di 1000 stelle gaussiane
per ogni valore di σstar misurato in unità di pixel e variabile da 0.2 a 20; ogni test
è stato ripetuto per valori di intensità SN R compresi tra 10 e 105 .
Le figure successive mostrano i risultati del test effettuato per il valore 103 ; la
figura (3.7) illustra i valori ottenuti sulla precisione del centroide paragonati all’andamento degli stessi come sono stati ricavati dal modello di “stella” quadrata
per il medesimo valore di SN R: occorre notare che per rendere i valori illustrati
in figura (3.5) confrontabili con quelli ottenuti dal test in funzione della σ star di
una stella gaussiana, i valori dell’ascissa relativi al modello di “stella” quadrata
visibili in figura (3.7), sono stati ottenuti calcolando la media dei lati del rettangolo selezionato dall’algoritmo e contenente la regione sopra soglia della stella
gaussiana. È possibile notare come gli andamenti dell’errore totale simulato si
sovrappongano entro un certo intervallo con quelli del modello.
Mentre si può attribuire l’effetto della discretizzazione alla crescita dell’errore
σxc per piccoli valori di σstar (non è presente in questo caso nessun genere di
“rimbalzo”), lo scostamento dal modello per valori maggiori a circa σstar = 4
può essere messo in relazione con il brusco calo dell’intensità totale misurata in
corrispondenza degli stessi valori di σstar . La figura (3.8) mostra infatti come
l’intensità totale della stella I0 (espressa in livelli di ADC) rimane costante sino
∗
ad un valore σstar
del diametro stellare per poi scendere bruscamente ad un nuovo
valore costante ed approssimativamente eguale a 20 livelli di ADC. Quest’ultimo
comportamento si può interpretare con la coincidenza del massimo dell’intensità
stellare con il livello di soglia del rumore, coincidenza che avviene quando σstar si
trova ad essere sufficientemente grande (si ricordi che, pur variando le dimensioni
della stella, il valore dell’intensità totale I0 è fissato): se infatti si ha che
Imax =
I0
= Soglia
2
2πσstar
68
(3.50)
10
Risultati del Montecarlo
Risultati del modello
Errore centroide (pixel)
1
0.1
0.01
0.001
0.1
1
10
σ
star
100
(pixel)
Figura 3.7: Confronto tra i risultati della simulazione del caso S/N = 1000 ed il modello
impiegato. Per rendere possibile il confronto, il valore di σstar per il modello è stato ricavato
dalle dimensioni del rettangolo selezionato dall’algoritmo di localizzazione delle stelle.
dove il valore della soglia è determinato dall’algoritmo secondo la (2.9), il valore di
quest’ultima grandezza può essere stimato come la semi-larghezza a metà altezza
della distribuzione normale del rumore simulato con deviazione standard pari a
σN (=5) e cioè:
√
Soglia = 4σN 2 ln2 = 23.5
(3.51)
∗
Ricavando ora il valore di σstar
con i valori del caso, si ottiene
s
s
I
1000 × 5
0
∗
√
√
'
σstar
=
= 5.81
8πσN 2 ln2
8π × 5 × 2 ln2
(3.52)
valore che, col precedente, è compatibile con quello rappresentato in figura (3.8).
In queste condizioni, come visibile in figura (3.9) in corrispondenza dello stesso
∗
valore di σstar
, il lato del rettangolo che seleziona la stella decresce anch’esso
fino al minimo di 3, equivalente al caso del segnale della stella contenuto in un
unico pixel e confrontabile con il livello di rumore: è perciò comprensibile che
in questa situazione la precisione sulla localizzazione del centroide diminuisca
rapidamente e raggiunga valori superiori alle dimensioni stesse del pixel. Poichè
infine il numero di stelle che l’algoritmo può isolare decresce quando l’intensità
69
Intensità totale (livelli ADC)
10
4
1000
100
10
0.1
1
10
σ
star
100
(pixel)
Figura 3.8: Andamento dell’intensità totale rivelata nella simulazione del caso S/N=1000 in
funzione di σstar . Il comportamento presentato per σstar ' 6 è discusso nel testo.
massima di queste raggiunge il livello della soglia, la figura (3.10) illustra come
questo avvenga anche in corrispondenza del caso in esame: in vicinanza del valore
∗
di σstar
la percentuale di stelle “staccate” dall’immagine simulata si discosta dal
valore massimo per poi decrescere rapidamente; la presenza di una breve risalita
può essere dovuta alla presenza dominante del rumore: nel caso di uno scan
dell’immagine effettuato con valori di soglia più alti, alcuni pixel vicini a centroidi
noti possono trovarsi a contenere fluttuazioni di rumore superiori a quel valore,
costituendo in questo modo “stelle” di debole intensità e con le dimensioni di un
singolo pixel.
Estendendo i risultati del test anche ai restanti valori di intensità SNR, si
possono aggiungere altre interessanti osservazioni. La figura (3.11a) illustra la
precisione sul centroide in tutti i casi di rapporto segnale su rumore trattati;
oltre allo scostamento dal modello di “stella” quadrata (figura (3.6)) per grandi
valori di σstar a causa delle motivazioni appena discusse, si può ora maggiormente
ritenere l’effetto della discretizzazione la causa della risalita visibile a piccoli valori
di σstar : infatti essa si presenta indipendente dai valori dell’intensità delle stelle
simulate; inoltre sono questa volta visibili i caratteristici “rimbalzi” nel caso delle
stelle di intensità SN R = 104 e SN R = 105 , in corrispondenza di valori di σstar
70
Lato del rettangolo (pixel)
100
10
1
0.1
1
10
σ
star
100
(pixel)
Figura 3.9: Andamento della dimensione dei rettangoli selezionati dall’algoritmo in funzione di
σstar . Il comportamento descritto nel testo e visibile in figura si manifesta in corrispondenza
∗
dello stesso valore σstar
descritto in precedenza.
prossimi a 1.
Per comprendere il fenomeno, la figura (3.11b) completa gli andamenti delle
intensità totali calcolate: si può notare come, nei casi in esame, l’integrale dell’intensità misurata decresca in corrispondenza di tale comportamento, osservazione
che aiuta a mettere in relazione questa caratteristica con la saturazione del segnale. Se infatti a parità di intensità totale si riducono le dimensioni della stella,
l’intensità massima Imax può trovarsi a raggiungere e superare il massimo livello
di segnale che è accumulabile in un singolo pixel: in questa situazione l’intensità
totale della stella viene “tagliata” oltre il massimo ed il profilo della distibuzione
che ne risulta assomiglia sempre di più alla condizione verificata nel modello a
“stella” quadrata.
Nel caso invece della stella di intensità SN R = 10, il livello di segnale si trova
poco al di sopra della soglia, causando in questo modo una condizione simile a
quella già discussa in precedenza (eq.(3.51)); il fatto che per piccoli valori di σ star
il segnale occupi interamente un singolo pixel (figura (3.11b) e (3.11c)), giustifica
che il livello di precisione si trovi comunque nell’ordine di qualche frazione della
sua dimensione. Come si può infine notare dalla figura (3.11d), il numero di stelle
71
120
Percentuale stelle trovate
100
80
60
40
20
0
0.1
1
10
σ
star
100
(pixel)
Figura 3.10: Andamento delle percentuali delle stelle di intensità S/N=1000 localizzate
dall’algoritmo. Il comportamento visibile intorno al valore σstar ' 6 è descritto nel testo.
isolato in questo caso non raggiunge il valore massimo.
Come ultimo risultato del test, si può identificare ancora dalla figura (3.11a),
l’esistenza di un errore minimo di localizzazione del centroide compatibile con
l’andamento suggerito dal modello di stima: se σstar è contenuta nel’ampiezza di
un singolo pixel, la precisione ottenibile nella determinazione del centroide delle
stelle simulate nel range di intensità compreso tra SN R = 102 e SN R = 105 ,
non supera un decimo del valore di questa stessa quantità.
Da quest’ultima considerazione segue l’accorgimento, anticipato nel paragrafo (2.3.3), di defocalizzare l’immagine delle stelle reali entro questo intervallo
ottimale.
3.3
Il test sulla precisione di puntamento
Dopo aver determinato il limite di precisione esistente sul posizionamento del
centroide di ogni stella, il passo successivo consiste nel valutare come esso si
“propaghi” alla precisione di puntamento finale in funzione del numero di stelle
presenti nell’immagine riconosciuta. Questa stima è stata effettuata con l’impie72
10
10
6
10
5
S/N 10
Intensità totale (livelli ADC)
Errore centroide (pixel)
2
1
0.1
S/N 10
2
S/N 10
0.01
S/N 10
3
S/N 10
4
S/N 10
5
S/N 10
10
4
1000
3
S/N 10
100
4
S/N 10
5
S/N 10
0.001
0.1
1
10
σ
star
10
100
0.1
1
10
(pixel)
σ
100
star
100
(pixel)
120
S/N 10
2
S/N 10
100
3
4
S/N 10
Percentuale stelle trovate
Lato del rettangolo (pixel)
S/N 10
5
S/N 10
10
80
S/N 10
2
S/N 10
3
S/N 10
60
4
S/N 10
5
S/N 10
40
20
1
0.1
1
10
σ
star
100
(pixel)
0
0.1
1
10
σ
star
100
(pixel)
Figura 3.11: Estensione a tutti i casi di valori S/N considerati nel test Montecarlo degli andamenti di errore illustrati in precedenza: (a) errori sulla localizzazione dei centroidi, (b) intensità
totali rivelate, (c) dimensioni dei rettangoli selezionati, (d) percentuali di stelle localizzate.
go di un test Montecarlo sulla sola procedura di calcolo dell’assetto, discussa nel
paragrafo (2.6.2). Il test ha considerato un numero di stelle Nstar visualizzate
nell’immagine variabile da 3 (il numero minimo di stelle necessarie all’identificazione) a 100; queste sono state simulate con una scelta casuale delle coordinate
(x, y) di ciascun centroide sulla superficie della CCD, per poi introdurre su ognuno di essi una “delocalizzazione” casuale di entità pari alla dimensione di un
pixel (σxc = 1); data la linearità delle operazioni di media coinvolte nel calcolo della direzione di puntamento, questa scelta permette di ottenere una serie
di valori di precisione utilizzabili come riferimento: l’andamento delle precisioni di puntamento ottenibili introducendo sui centroidi una maggiore o minore
delocalizzazione, può essere ricavata semplicemente moltiplicando l’entità di quest’ultima con i valori espressi in figura (3.12), dove sono visibili i risultati del test.
73
10
y = m1*m0^(-m2)+m3*m0^(-.5)
x
Value
y
m1
m2
m3
)
Chisq
Precisione puntamento ( σ
Xc
R
4.402336
Error
0.03998487
1.384337
0.006517387
304.0629
NA
1.181026
0.9999542
0.003007371
NA
1
y = m1*m0^(-m2)+m3*m0^(-.5)
Value
m1
m2
m3
Chisq
R
0.1
2.828994
Error
0.02769783
1.316004
0.007461828
2032.483
NA
1.037721
0.9996356
0.00290793
NA
1
10
100
Numero stelle
Figura 3.12: Andamento dei risultati del test Montecarlo sulla precisione di puntamento ottenibile in funzione del numero di stelle identificate; l’unità di misura utilizzata è la precisione
σxc con cui è noto il singolo centroide. I parametri delle curve del fit sono visibili in figura.
Per ogni numero di stelle presenti nell’immagine il test possiede una statistica di
105 eventi.
Dopo che l’algoritmo ha calcolato la direzione di puntamento ẑ 0 per ogni
immagine simulata, vengono calcolate le deviazioni standard σx e σy sulle componenti del puntamento lungo i versori x̂ e ŷ della terna solidale alla CCD,
deviazioni ottenute rispetto al valore iniziale del puntamento ẑ, noto dall’elaborazione dell’immagine contenente i centroidi di partenza posizionati senza errore;
in questo caso l’unità di misura delle precisioni di puntamento σx e σy è espressa
in funzione della precisione σxc ottenuta sul calcolo di un singolo centroide. Nella
stessa figura (3.12) è altresı̀ visibile l’andamento del fit che è stato eseguito sui
dati del test.
In particolare si può notare il diverso livello di precisione esistente sulle due
componenti di ẑ 0 e l’andamento comune ad entrambe le curve al crescere del
numero di stelle presenti nell’immagine; una possibile spiegazione della differenza
di precisione sulle due componenti è dovuta alla superficie rettangolare della
CCD: in queste condizioni, infatti, l’errore presente sulla posizione del centroide
ha maggiore influenza sul calcolo del puntamento nella direzione dove la distanza
74
massima tra le stelle visualizzate è necessariamente minore; poichè il versore
ŷ individua il lato più corto della CCD, indicando con ∆y la distanza massima
riscontrata tra le stelle lungo questa direzione, l’errore relativo σ xc /∆y contribuirà
ad una imprecisione maggiore rispetto a quella riscontrabile nella direzione del
lato più lungo.
Infine, come anticipato dalla (1.2) al termine del primo capitolo, l’andamento
della precisione di puntamento risulta essere compatibile con quello dell’inverso
della radice quadrata del numero di stelle visualizzate:
1
Nstar
1
σy −→ √
Nstar
σx −→ √
(3.53)
(3.54)
I parametri delle curve rappresentate in figura (3.12) sono riassunti dalle seguenti
tabelle.
Curva x
a
+ √cx
x−b
Curva y
c0
a0
0 + √
x
x−b
3.3.1
a ± δa
2.83±0.28
a0 ± δa0
4.40±0.04
b ± δb
1.32±0.01
c ± δc
1.038±0.002
b0 ± δb0
1.38±0.01
c0 ± δc0
1.181±0.003
χ2
2032
χ2
304
L’indipendenza della precisione dalla distanza focale
I risultati appena ottenuti dal test sulla precisione di puntamento consentono di
esprimere una considerazione sul ruolo svolto dal valore del parametro f ocale che
compare nell’algoritmo. Se si immagina uniforme la densità di stelle reali nello
spazio, il numero di queste visualizzabili sulla CCD sarà conseguentemente proporzionale alle dimensioni del campo di vista; poichè l’ampiezza di quest’ultimo
è inversamente proporzionale alla distanza focale, si avrà:
Nstar ∝
1
(f ocale)2
(3.55)
In base alle conclusioni del paragrafo (3.2.4), per ottenere il miglior grado di precisione di puntamento è necessario introdurre un livello di defocalizzazione tale
da ottenere un valore di σstar (espresso in numero di pixel) costante in ogni condizione di visualizzazione. Poichè, d’altra parte, la risoluzione ottica dell’obiettivo
e dunque l’ampiezza angolare α della visuale del singolo pixel sono legate alla
focale utilizzata, si avrà:
1
α∝
(3.56)
f ocale
75
Immaginando di impiegare obiettivi dotati di uguale diametro di raccolta efficace
per raggiungere lo stesso livello di sensibilità, si possono utilizzare i risultati del
test per affermare che la precisione di puntamento è in larga misura indipendente
dall’entità della lunghezza focale: considerando infatti gli andamenti della precisione col numero di stelle (3.53) e (3.54), si può infatti affermare che l’ampiezza
angolare σassetto dell’errore “propagato” sulla direzione di puntamento sarà:
σassetto ' σx(y) σxc α ≈ √
α
∝1
Nstar
(3.57)
quantità che risulta quindi indipendente dal parametro f ocale. Questa considerazione statistica, come si mostrerà con i risultati della simulazione completa del
riconoscimento stellare presentata nel prossimo paragrafo, resta sostanzialmente
valida anche in presenza di un numero discreto di stelle.
3.4
3.4.1
Il riconoscimento stellare
Il test su immagini reali - Intensità e diametri delle
stelle
La verifica dell’algoritmo di riconoscimento stellare è stata eseguita su immagini
acquisite a Pisa, utilizzando l’apparecchiatura completa descritta alla fine del capitolo 1. Le figure (3.13) e (3.14) illustrano rispettivamente una visuale ottenuta
dalla CCD di un campo stellare situato nei dintorni della stella Vega ed il risultato dell’elaborazione dell’algoritmo di riconoscimento: in quest’ultima figura le
stelle identificate sono contrassegnate col proprio numero di codice Hipparcos e
dal valore della loro magnitudine visuale riscontrato nel catalogo; i restanti punti
senza cifre individuano le stelle non identificate o ritenute false.
Questi test hanno dimostrato l’efficacia dell’algoritmo di riconoscimento, il
quale ha individuato la quasi totalità delle stelle contenute nell’immagine e comprese nel range di magnitudini visuali considerate nel catalogo di riferimento. Le
stesse immagini sono state successivamente elaborate per ottenere informazioni
sul rapporto esistente tra la magnitudine visuale e la magnitudine strumentale captata dalla camera, cosı̀ come tra quest’ultima e le dimensioni delle stelle
sull’immagine.
Le figure (3.15a) e (3.15b) mostrano l’andamento dei dati raccolti ed i fit
eseguiti su di essi; in particolare la figura (3.15a) illustra la relazione esistente tra
il segnale complessivo generato da una stella per un tempo di esposizione di 10
secondi ed espresso in livelli di ADC, con i corrispondenti indici di magnitudine
visuale, compresi tra i valori 6 e 8 delle stelle visualizzate nell’immagine. Poichè
76
Figura 3.13: Immagine ricavata dalla CCD di una visuale notturna di stelle attorno a Vega.
Focale impiegata: 105 mm, rapporto focale: 2.8, tempo di esposizione: 10 s.
92532
8.75
7.99
8.79
7.15
8.60
92590
7.33
92387
92093
7.90
8.65
92276
7.81
91919
91926
92122
92114
8.10
8.66
92256
7.32 8.71
7.97
92007
7.60
91971
5.73
4.34
4.67
4.59
91951
91898
91658
91820
8.37
6.45
6.54
91814
8.41
91774
91552
7.97
6.45
91373
6.02
91507
7.50
Figura 3.14: La stessa immagine della figura precedente elaborata dall’algoritmo di riconoscimento stellare: le stelle identificate sono contrassegnate dal numero di codice Hipparcos e (in
basso) dall’indice di magnitudine visuale.
la magnitudine di una stella è definita come (bibliografia [20])
M = −2.5 log10 I + cost.
(3.58)
indipendentemente dallo strumento con il quale viene misurata l’intensità I, si è
77
ottenuto il f it dei dati utilizzando una funzione che ne conservasse l’andamento
logaritmico, cioè
log10 IS = log10 8 + (10 − MV )
(3.59)
essendo rispettivamente IS e MV l’intensità di segnale misurata e l’indice di
magnitudine visuale riportata per ogni stella nel catalogo Hipparcos. La figura
(3.15b) riporta invece il legame trovato tra le misure di σstar e dell’intensità per
ciascuna stella; il fit adoperato è:
σstar = 0.015 + 0.02 (log10 IS ) + 0.137 (log10 IS )2
(3.60)
Gli scostamenti dal fit presenti per stelle molto intense possono essere dovuti ad
effetti di saturazione dell’immagine.
Le relazioni (3.59) e (3.60) consentono di simulare le condizioni esistenti nella
visualizzazione da terra di un cielo notturno: le stelle del catalogo Hipparcos,
possono quindi essere riprodotte al fine di ottenere immagini simulate analoghe
a quella figura (3.13). Questo procedimento consente di estendere la verifica
all’algoritmo di inseguimento attraverso la generazione di sequenze di immagini
di campi stellari che descrivono una particolare traiettoria di puntamento del
sensore stellare sulla volta celeste.
10
6
y = 8*10^(10-m0)
Chisq
10
166.7127
5
Error
0.9697777
y = .015+.02*(log(M0))+.137*...
4.5
NA
NA
Chisq
Value
Error
0.9934777
NA
0.0001040451
R
NA
4
5
4
star
10
(pixel)
3.5
σ
Intensità tot. stella (livelli ADC)
R
Value
3
2.5
2
1.5
1000
1
0.5
100
5
5.5
6
6.5
7
7.5
8
8.5
9
Magnitudine visuale
0
10
100
1000
10
4
10
5
10
6
Intensità tot. stella (livelli ADC)
Figura 3.15: Stime ricavate da immagini di visuali stellari notturne: (a) andamento delle
intensità luminose misurate in funzione della magnitudine visuale ed ottenute impiegando lo
stesso tempo di esposizione (10s), (b) andamento di σstar in funzione dell’intensità luminosa
misurata su più tempi di esposizione. I parametri del fit sono visibili in figura.
78
3.4.2
I test su immagini simulate
Il test realistico - Le caratteristiche della simulazione
La prima serie di test prevede la simulazione del riconoscimento stellare e del
successivo inseguimento della direzione di puntamento in condizioni simili a quelle che si manifestano durante un volo operativo. A questo scopo l’algoritmo di
riconoscimento è stato eseguito su una serie di immagini di campi stellari noti ricostruiti al computer. Ai fini di questa prova si è scelto di inseguire il puntamento
della sorgente Cygnus X-1 (ascensione retta: 19h 58m 21.68s, declinazione: 35◦
0
00
12 5.8 ), nota per essere contemporaneamente un emittore nel range X e nel
visibile. In queste condizioni l’asse ottico del sensore stellare e quello dell’ipotetico telescopio risultano collineari. Fissato nella data del 1◦ Luglio 2004 il
possibile giorno del lancio di prova della piattaforma HiPeG dalla base ASI di
Trapani (longitudine: -12.35◦ , latitudine: 38.01◦ ), sono state ricreate al computer
le immagini costituenti le visuali di un campo di stelle attorno a Cygnus X-1 in
moto apparente nel tempo a causa della rotazione terrestre; queste immagini sono
state ottenute selezionando dal catalogo Hipparcos le posizioni delle stelle reali
fino a magnitudine 9 e considerando le caratterisiche di visualizzabilità (diametro ed intensità totale misurata) come estrapolate dai fit illustrati nel paragrafo
precedente ed eseguiti sulle immagini di stelle reali raccolte da terra. A questo
proposito è utile precisare che i valori relativi all’intensità totale misurata sono
stati riscalati per tenere conto della presenza dell’atmosfera terrestre: valutando
in circa il 50% l’attenuazione della radiazione visibile da parte dell’atmosfera (bibliografia [21]), i valori espressi in figura (3.15a) sono stati riscalati con il valore
di 1 secondo per il tempo di esposizione e raddoppiati; i nuovi valori relativi ai
diametri sono stati ottenuti di conseguenza facendo riferimento all’andamento del
fit mostrato nella stessa figura (3.15b).
Poichè le dimensioni delle stelle introdotte nel test non possono essere modificate da un programma di simulazione che comprenda anche la procedura di messa a fuoco seguita dall’opportuna defocalizzazione descritta nel paragrafo (2.3.3),
l’algoritmo testato in questa occasione ha ignorato tale possibilità. Inoltre, come
nel caso del test del paragrafo (3.2.4), è stato introdotto un rumore gaussiano
con fluttuazione σN pari a 5 livelli di ADC.
Infine, il moto apparente della visuale astronomica è stato calcolato tra le ore
23.00 U.T. e 00.00 U.T. a 40 km di quota sulle coordinate di Trapani, utilizzando
un’ampiezza del campo di vista corrispondente all’utilizzo di una lunghezza focale
di 100 mm (circa 4◦ × 2.9◦ di ampiezza visiva), paragonabile al valore di quella
ottenibile con l’uso dell’ottica del sensore effettivamente realizzato. Successivamente la simulazione è stata ripetuta facendo uso di altri valori di lunghezza
79
focale.
La figura (3.16) illustra l’andamento delle coordinate alt-azimutali, rispetto al
piano della gondola, del versore ẑ del sistema collineato telescopio/sensore stellare durante l’ora di osservazione: è possibile notare come all’inizio delle misure
Cygnus X-1 sia molto basso sull’orizzonte della gondola (∼ 4◦ ).
100
Azimut puntamento
Zenit puntamento
80
Gradi
60
40
20
0
0
500
1000
1500
2000
2500
3000
3500
4000
Tempo (s)
Figura 3.16: Traiettoria del puntamento simulato nel test: sono visibili gli spostamenti nel
tempo dell’azimut e dello zenit della piattaforma necessari ad inseguire il puntamento del target
astronomico Cignus X-1. La posizione di azimut 0 corrisponde alla direzione di puntamento
allineata all’asse terrestre in direzione sud.
I risultati
I risultati del test effettuato con valore della focale pari a 100 hanno mostrato il
successo dell’algoritmo di riconoscimento stellare per tutte le immagini simulate;
d’altra parte la lenta rotazione apparente della visuale inquadrata dal sensore
attorno alla direzione di puntamento inseguita non comporta variazioni significative del numero delle stelle visualizzate, consentendo cosı̀ una totale riuscita
anche dell’algoritmo di inseguimento. La successiva tabella (3.1) riassume alcuni
dati raccolti nell’analisi delle 3600 immagini.
I risultati dello stesso test sulla precisione di puntamento sono visibili in
80
f ocale Numero stelle
100 mm
47-51
Perc. stelle riconosciute
95.9 %
Tempo di calcolo (s)
t = 0.15 ± 0.01
Tabella 3.1: La tabella indica, per il valore impostato di focale 100, il numero minimo e
massimo di stelle presenti nelle immagini simulate, la percentuale media di stelle riconosciute
dal programma ed il tempo medio impiegato per il calcolo della direzione di puntamento.
figura (3.17), dove è raffigurata la distribuzione degli scarti della direzione di
puntamento dalla reale posizione di Cygnus X-1 misurati in arcosecondi.
3
Scarto in declinazione (arcsec)
2
1
0
-1
-2
-3
-3
-2
-1
0
1
2
3
Scarto in ascensione (arcsec)
Figura 3.17: Simulazione con focale=100. Distribuzione dei valori degli scarti della direzione
di puntamento misurata rispetto alle reali coordinate di Cygnus X-1. I valori degli scarti sono
misurati in arcosecondi.
Le informazioni sul livello di precisione raggiunto sono riassunte nelle figure
(3.18a) e (3.18b) dove sono rappresentati i fit eseguiti sugli istogrammi degli stessi
dati raccolti per ciascuna delle componenti della direzione di puntamento. Il fit
ha fornito per le deviazioni standard della misura i valori:
σasc = 0.5462 ± 0.0067 arcsec
σdec = 0.5214 ± 0.0060 arcsec
81
(3.61)
(3.62)
y = m1*exp(-.5*((m0-m2)/m3)^...
600
Value
m1
m2
m3
500
Chisq
24.74656
NA
0.5462542
m2
500
R
400
300
300
200
100
0
0
-3
-2
-1
0
1
2
3
547.3951
Error
11.10446
-0.07928503
0.008773344
26.39297
NA
0.521459
0.006052107
0.9999354
NA
200
100
-4
m3
Chisq
NA
400
-100
Value
m1
0.006667605
0.9999336
y = m1*exp(-.5*((m0-m2)/m3)^...
600
Error
10.78476
0.009180914
Conteggi
Conteggi
R
522.6639
0.03917097
-100
4
-4
-3
Arcosecondi
-2
-1
0
1
2
3
4
Arcosecondi
Figura 3.18: Risultati del fit gaussiano sulla precione di puntamento eseguito sui dati di figura
(3.17): (a) ascensione retta, (b) declinazione. I valori delle deviazioni standard sono riportati
anche nel testo.
che rientrano ampiamente nel limite richiesto dal progetto HiPeG presentato nel
capitolo 1 in tabella (1.2). La differenza esistente sulla seconda cifra decimale
delle misure può essere messa in relazione con la forma rettangolare della CCD
impiegata (paragrafo (3.3)).
In previsione di confrontare tra loro le precisioni di puntamento ottenute introducendo nella simulazione l’uso di focali di diversa lunghezza, un parametro
di precisione complessivo può essere calcolato eseguendo un fit della distribuzione del modulo degli scarti visibili in figura (3.17). Se infatti si indica con ρ G la
distribuzione bi-dimensionale degli scarti dal puntamento reale
ρG = A e
− 12
µ
x2 +y 2
2
σp
¶
(3.63)
dove A e σp sono rispettivamente la costante di normalizzazione e la deviazione
standard, la stima della precisione di puntamento complessivamente raggiunta si
ottiene calcolando quest’ultimo parametro. Se si effettua una trasformazione in
coordinate polari della (3.63) e si integra sull’angolo giro la distribuzione lungo
la direzione radiale fino al valore R, si ottiene
Z R
2
− 21 r 2
σp
I = 2πA
dr
(3.64)
re
0
Effettuando quindi un cambio di variabile e completando il calcolo dell’integrale,
si ha che
µ
2 ¶
− R2
2
2σp
I = 2πAσp 1 − e
(3.65)
82
quantità che rappresenta il numero totale degli scarti che abbiano il valore del
loro modulo compreso entro il valore R. Se ora si deriva rispetto a r la relazione
(3.65), si ottiene l’andamento della distribuzione di questi valori in funzione della
loro consistenza numerica, cioè il profilo dell’istogramma ρp :
2
ρp =
− 1 r2
∂I
0
= A r e 2 σp
∂r
(3.66)
Effettuando quindi la normalizzazione, segue che:
0
A =
1
σp2
(3.67)
Sostituendo infine tale valore nella (3.66), è possibile ora utilizzare la distribuzione
ρp appena ricavata per fittare l’istogramma dei conteggi del modulo degli scarti.
500
y = m1*m0/m3*exp(-.5*((m0-0)...
Value
m1
400
m3
Chisq
R
731.4426
Error
13.70548
0.5429811
0.004629316
0.9999448
NA
19.94084
NA
Conteggi
300
200
100
0
-100
0
0.5
1
1.5
2
2.5
3
Arcosecondi
Figura 3.19: Risultati del fit eseguito con la funzione (3.66) sulla distribuzione del modulo
degli scarti in funzione della distanza angolare; il valore del parametro σ p della funzione (3.66)
determina la precisione di puntamento.
La figura (3.19) illustra il risultato del fit ed il valore del parametro σ p ricavato;
il valore stimato risulta essere:
σp = 0.5430 ± 0.0046 arcsec
83
(3.68)
La simulazione dell’osservazione di un campo stellare attorno a Cignus X-1
per un’ora di tempo, è stata quindi ripetuta nelle medesime condizioni scegliendo
lunghezze focali diverse. La seguente tabella (3.2) estende a tutti i casi esaminati
i risultati presentati in tabella (3.1) per il caso di focale 100. In ogni simulazione
effettuata l’inseguimento della direzione di puntamento ha avuto un successo
costante.
f ocale Numero stelle
50 mm
162-172
150 mm
18-20
200 mm
11-13
300 mm
6-8
400 mm
6
Perc. stelle riconosciute
93.6 %
99.5 %
99.8 %
99.7 %
100 %
Tempo di calcolo (s)
t = 66.9 ± 5.5
t = 0.011 ± 0.001
t = 0.006 ± 0.0002
t = 0.004 ± 0.0003
t = 0.00470 ± 0.00005
Tabella 3.2: La tabella indica, per ogni valore di focale impostato, il numero minimo e massimo di stelle presenti nelle immagini simulate, la percentuale media di stelle riconosciute dal
programma ed il tempo medio impiegato per il calcolo della direzione di puntamento.
La tabella (3.2) e la seguente figura (3.20) permettono di svolgere alcune considerazioni sulla scelta delle focali impiegate nella simulazione effettuata su stelle
fino a magnitudine 9. La figura (3.20), in particolare, mostra l’andamento del
livello di precisione complessivamente misurato con ogni focale utilizzata; si può
notare come ad un incremento di un fattore 8 della lunghezza focale corrisponda
la tendenza ad un miglioramento della precisione di puntamento di circa solo
il 23% del valore di precisione più basso; le considerazioni svolte nel paragrafo
(3.3.1) sulla scarsa rilevanza di questo parametro sul livello di precisione realizzabile sono sostanzialmente verificate anche per un numero discreto di stelle
visualizzate nell’immagine. La tabella (3.2), che illustra l’entità del numero di
stelle visualizzate in tutti i casi ed il tempo medio di calcolo del puntamento,
suggerisce quindi, nel caso di un campo stellare attorno a Cygnus X-1, l’uso di
una focale lunga. Considerando però che altri campi stellari di interesse per l’astronomia X/γ si presentano meno popolati anche per stelle fino a magnitudine
9, il valore 100 della focale da adottare si rivela una scelta più che ragionevole
(tabella (3.1)), garantendo al contempo un alto livello di precisione ed un campo
di vista sufficientemente ampio ad inquadrare un adeguato numero di stelle. In
queste condizioni la direzione di puntamento viene calcolata in un tempo inferiore
alle specifiche richieste.
I valori ottenuti sul tempo di esposizione dipendono comunque dall’hardware
utilizzato per la simulazione: in questo caso un computer dotato di processore
84
Pentium IV con frequenza 1.8 GHz e memoria RAM uguale a 512 MB; il limite di
circa un decimo di secondo trovato in queste condizioni ha consentito di valutare
adeguatamente le caratteristiche del computer di bordo da destinare al sensore
stellare per contenere il tempo di elaborazione di una singola immagine entro il
limite di 0.5 secondi. Questa richiesta segue dal valore della frequenza di up-date
della misura richiesta al sistema (1 Hz) e dal tempo necessario al trasferimento dell’immagine analogica della CCD al circuito di digitalizzazione (circa 0.5
secondi).
0.62
0.6
Precisione (arcsec)
0.58
0.56
0.54
0.52
0.5
0.48
0.46
0
100
200
300
400
500
Focale
Figura 3.20: Andamento della precisione di puntamento in funzione del valore della focale
impostato nella simulazione: ad un incremento di un fattore 8 della lunghezza focale corrisponde
un miglioramento della precisione di circa solo il 23% del valore più basso.
Il test in condizioni “estreme” - Le caratteristiche
Una ulteriore simulazione ha previsto l’uso del sensore stellare in condizioni
“estreme”, ovvero durante un rapido spostamento della piattaforma che sostiene
il telescopio ed il sensore stellare. Questa analisi può fornire indicazioni sulle
capacità di analisi del sistema hardware e software anche in particolari condizioni
limite. Le condizioni simulate in questo caso si riferiscono infatti all’esecuzione
del programma di riconoscimento stellare e di inseguimento della direzione di
puntamento su una visuale di cielo come si può presentare, per esempio, durante
85
la rotazione impressa alla gondola per il raggiungimento di una posizione adatta
alla localizzazione di un target astronomico (fase di off-set).
A questo scopo è stata creata una successione di 1000 diverse visuali ricavate
dal catalogo Hipparcos, create nello stesso modo di quelle illustrate in precedenza e tra loro parzialmente sovrapponibili, tali da costituire l’equivalente di una
inquadratura in spostamento lungo una direzione di puntamento nota con la precisione di qualche milliarcosecondo. Scelta una direzione di partenza, nei dintorni
di Vega, l’andamento delle deviazioni intorno a quest’ultima è illustrato nelle figure (3.21a) e (3.21b): in esse sono visibili i valori dell’ascensione retta e della
declinazione del puntamento reale di ciascuna immagine espresso in gradi; la velocità di rotazione del “cielo” simulato è compatibile con le capacità stabilizzatrici
previste dal sistema HiPeG.
Come illustrato infatti nella figura (1.13) del paragrafo (1.5), la piattaforma è
in grado di effettuare, nelle condizioni di off-set, un’escursione di 90◦ in circa un
minuto, equivalente ad una differenza di circa poco più di un grado tra le declinazioni di due immagini successive. La velocità del moto zenitale è stata invece
◦
impostata su un valore minore: circa 6·10−2 di ascensione retta per immagine.
90
200
(gradi)
100
Declinazione puntamento simul.
Ascensione puntamento simul.
(gradi)
150
50
0
-50
-100
-150
-200
0
200
400
600
800
1000
80
70
60
50
40
30
0
200
400
600
800
1000
Numero immagine
Numero immagine
Figura 3.21: Traiettoria del puntamento simulato nel test: (a) ascensione retta, (b) declinazione.
Le considerazioni già espresse precedentemente a proposito delle caratteristiche della simulazione restano del tutto valide anche in questo caso, tranne,
ovviamente, i movimenti apparenti delle stelle dovuti al moto terrestre, che sono
stati trascurati.
86
I risultati
La prima serie di risultati della simulazione è stata ottenuta fissando a 100 il valore
del parametro f ocale. La figura (3.22a) illustra l’andamento del numero di stelle
contenuto in ciascuna immagine della simulazione: a causa dello spostamento
della direzione di puntamento, il numero di stelle sino a magnitudine 9 contenuto
nelle successive visuali, è variabile tra un minimo di 7 ed un massimo di 66,
oscillando in media attorno al numero di 21 stelle.
70
120
100
Percentuale stelle riconosciute
Numero stelle simulate
60
50
40
30
20
60
40
20
10
0
80
0
200
400
600
800
1000
Numero immagine
0
0
200
400
600
800
1000
Numero immagine
Figura 3.22: Simulazione con f ocale=100. (a) Andamento del numero di stelle interessate
dalle successive visuali attorno alla direzione di puntamento simulata. (b) Andamento della
percentuale di stelle identificate nelle singole immagini.
La figura (3.22b) mostra invece il rapporto percentuale tra il numero di stelle
identificate ed il numero di stelle simulate; in questo caso il valore riportato si
discosta dal 100% in un numero di 179 casi su mille: l’algoritmo di riconoscimento
comunque non fallisce l’identificazione delle stelle in nessuna delle 1000 immagini
simulate, cosı̀ come l’inseguimento del puntamento è ottenuto con successo su
ogni posizione.
La seguente tabella (3.3) illustra invece i risultati complessivi delle simulazioni
eseguite anche con la scelta dei valori delle focali 50 e 200. Come è possible osservare dalla tabella, le focali 50 e 100 hanno fornito identici risultati nell’esecuzione
del programma: in entrambi i casi la procedura di inseguimento del puntamento
ha raggiunto la totalità dei successi; l’uso del valore 200 ha invece comportato
una eccessiva riduzione del campo di vista per garantire un pieno successo su
ogni visuale di cielo inquadrata: in 253 casi infatti il sensore ha fallito il riconoscimento stellare ed in soli 349 casi ha mantenuto l’inseguimento della direzione
di puntamento senza rieffettuare il riconoscimento utilizzando il catalogo stellare
di riferimento.
87
f ocale N. inseguimenti N. riconoscimenti “da zero”
50 mm
999
1
100 mm
999
1
200 mm
349
398
Prec. (arcsec)
0.7116 ± 0.0121
0.7851 ± 0.0140
-
Tabella 3.3: La tabella indica, per ogni valore di focale impostato, il numero dei casi di successo
della procedura di inseguimento della direzione di puntamento, il numero di riconoscimenti
eseguiti utilizzando il catalogo di riferimento (riconoscimento “da zero”) e, nel caso di focale
50 e 100, la precisione sulla direzione di puntamento.
Per quanto riguarda la precisione di puntamento, la stessa tabella (3.3) illustra i valori ottenuti sul fit dei valori del modulo degli scarti sulla direzione di
puntamento misurata con focale 50 e 100 (metodo già illustrato a proposito dei
risultati delle precedenti simulazioni); i risultati del fit dei dati relativi alla focale 200 non offrono invece una stima di precisione che possa essere direttamente
confrontata con i due casi precedenti: i risultati infatti sono stati ottenuti su una
popolazione statistica diversa. Poichè si è appena mostrato che l’uso della focale
200 comporta uno scarso numero di riconoscimenti, il confronto tra le precisioni
ottenibili con le tre diverse focali è possibile solo sullo stesso campione di eventi
e quindi, eventualmente, solo negli stessi casi di riconoscimento riuscito. Il livello
di precisione misurato, sempre contenuto entro i limiti delle specifiche del sensore,
si attesta comunque su valori non dissimili da quelli precedentemente calcolati
(figura (3.20)).
L’ultima osservazione su questo ciclo di simulazioni in condizioni “estreme”
concerne i tempi di calcolo espressi dall’algoritmo in corrispondenza di ciascun
valore della focale utilizzata. In figura (3.23) sono visualizzati i tempi occorsi per
il calcolo della direzione di puntamento per ciascuna immagine in caso di successo
della procedura. Dalla stessa figura è ancora possibile notare come, diversamente
dalla precisione di puntamento, la lunghezza focale ha ripercussioni immediate
sul tempo di calcolo dell’algoritmo: la sua scelta determina infatti l’ampiezza
del campo di vista del sensore e, quindi, il numero di stelle visualizzabili. In
particolare l’impostazione di una focale corta, per esempio 50 mm, incrementa
all’incirca di un fattore 4 il numero di stelle visualizzate con l’uso del valore
100 mm (eq. (3.55)).
La scelta di un valore da attribuire a questo parametro ottico dipende in larga misura, come già sottolineato in precedenza, anche dalle capacità elaborative
dell’hardware disponibile: l’analisi di un maggior numero di stelle comporta una
dilatazione dei tempi di calcolo che può superare i limiti imposti dal tempo caratteristico del sistema (paragrafo (1.5)). In figura (3.23) sono chiaramente visibili
88
1000
Focale 50
Focale 100
Tempo di calcolo (s)
100
Focale 200
10
1
0.1
0.01
0.001
1
10
100
Numero stelle
Figura 3.23: Andamento dei tempi di calcolo in funzione del numero di stelle identificate: è
possibile notare come, in funzione dell’esito dell’algoritmo di inseguimento del puntamento, i
dati si raggruppino in due distinte popolazioni statistiche. L’andamento confermerebbe, anche
in queste condizioni, il valore di focale 100 come scelta ottimale per i limiti imposti al sistema.
due distinte popolazioni di eventi. La prima popolazione, corrispondente alla
curva più alta visibile in figura, include i casi nei quali è fallita la procedura di
inseguimento della direzione di puntamento, casi che si sono manifestati solo con
l’impiego del valore di focale 200 (tabella (3.3)) ed in corrispondenza dei quali, quindi, l’algoritmo ha provveduto ad un nuovo riconoscimento dell’immagine
utilizzando il catalogo stellare di riferimento (riconoscimento “da zero”): questa
condizione comporta valori di tempo di circa un fattore 10 più alti rispetto ai
casi di inseguimento riuscito con l’uso dello stesso valore di focale. La seconda
popolazione, rappresentata nella curva più bassa, include tutti i casi nei quali
l’algoritmo di inseguimento del puntamento ha avuto pieno successo: si può osservare come, a causa della variazione di ampiezza del campo di vista dovuto alle
diverse focali impiegate ed alla grande variabilità del numero di stelle presenti
nelle visuali inquadrate in questa simulazione, i tempi di calcolo si dispongano in
un range di valori molto esteso.
Da questi valori si deduce comunque come, nelle condizioni “estreme” di questa simulazione, la scelta migliore sia quella di una focale di valore 100: in conco89
mitanza con un pieno successo dell’algoritmo di inseguimento, i tempi di calcolo
non superano il limite richiesto di 0.5 secondi (l’unico caso di valore intorno ad 1s
presente in figura (3.23) è relativo al primo riconoscimento “da zero” effettuato
all’avvio del programma sulla prima immagine disponibile).
Risulta altresı̀ evidente che, per migliorare ulteriormente il numero dei successi
in queste condizioni di utilizzo del sensore stellare, occorrebbe ottimizzare le
routine più “dispendiose” dell’algoritmo: una focale corta comporta, al presente
stato di sviluppo del programma di riconoscimento, tempi di calcolo superiori al
limite imposto fino ad un fattore superiore a 10. La scelta di una focale lunga,
invece, non si rivela adatta ad ottenere un numero di successi sufficiente: essendo
in questo caso la visuale del sensore più stretta di un fattore 4 rispetto alla
condizione ottimale, il numero di stelle visualizzato si è rivelato troppo basso per
garantire un efficace inseguimento della direzione di puntamento.
90
Capitolo 4
Le prove sperimentali di
precisione
4.1
Introduzione - I test ottici
In questo capitolo conclusivo saranno descritti i risultati delle prove sperimentali eseguite in laboratorio sul sensore stellare assemblato per la verifica delle
previsioni fornite dai test numerici descritti nel capitolo precedente.
Il set-up sperimentale si basa sull’uso di diodi LED che hanno simulato un
“cielo” di stelle localizzate su posizioni note. L’impiego di LED con emissione
luminosa scelta in un range di lunghezze d’onda esteso dal visibile all’infrarosso,
ha inoltre permesso di valutare l’entità delle aberrazioni cromatiche dell’ottica
impiegata. Le prove di laboratorio hanno riguardato anche il rumore generato
dalla CCD in condizioni di assenza di illuminazione; quest’ultimo argomento
costituisce il punto di partenza della descrizione delle misure effettuate.
4.2
Il rumore della CCD
Per valutare l’intensità del rumore prodotto dalla CCD e mostrare quale sia
l’entità del suo fpn (fixed pattern noise), sono state acquisite alcune immagini
con l’otturatore dell’ottica in posizione di chiusura; i risultati ottenuti impostando
tre diversi tempi di esposizione sono mostrati negli istogrammi visibili in figura
(4.1a), dove sono indicati in ascissa i livelli di ADC corrispondenti ai segnali
della corrente di buio registrata. In particolare si può notare come a 0.5 secondi i
conteggi siano raccolti in un intervallo molto stretto compreso tra 80 e 90 livelli.
Aumentando il tempo di esposizione fino a raggiungere 120 secondi si osserva
come invece, pur rimanendo la posizione del picco iniziale invariata, si formi
91
10
6
10
y = m1*exp(-.5*((m0-m2)/m3)^...
6
Value
m1
10
5
10
4
m2
30 sec
120 sec
Conteggi
Conteggi
0.5 sec
1000
10
5
10
4
R
100
10
10
1
50
100
150
200
250
Livelli ADC
83.06647
Error
344.8124
0.001400191
0.8758282
0.0009505546
0.9999997
NA
1198.216
NA
1000
100
1
m3
Chisq
178565.2
78
80
82
84
86
88
90
Livelli ADC
Figura 4.1: Istogrammi del rumore rivelato nell’immagine di buio. (a) Andamento a diversi
tempi di esposizione; per esposizioni superiori a 0.5 s è visibile la presenza del fpn della CCD.
(b) Fit gaussiano eseguito sul rumore rilevato a 0.5 secondi.
un’ampia coda di segnale marcata da un’andamento contenente al suo interno
altri picchi; questi ultimi rappresentano il pattern caratteristico del non omogeneo
contributo dei pixel della CCD al rumore: come si deduce dai risultati delle prove,
esso diviene significativo solo a tempi di esposizione molto lunghi.
Ai fini dell’impiego del sensore stellare non saranno adottati tempi di esposizione superiori a 0.5 s: in questo caso la curva di rumore può essere ben rappresentata da una distribuzione gaussiana. La figura (4.1b) mostra la stessa curva
a 0.5 secondi di figura (4.1a) con il corrispondente fit gaussiano.
Una interessante osservazione può inoltre essere ricavata analizzando gli istogrammi ottenuti dalla sottrazione dei conteggi di due immagini di buio per ciascun
tempo di esposizione impostato: come si vede dalla figura (4.2a), le curve appaiono simmetriche attorno al livello 0 e mostrano un allargamento al crescere del
tempo di esposizione. Questo allargamento è dovuto agli effetti delle fluttuazioni
del fpn per tempi di esposizione lunghi; se però si effettua anche in questo caso
un fit gaussiano sull’andamento ricavato per il valore 0.5 s (figura (4.2b)), si può
notare come il valore della deviazione standard di quest’ultimo sia maggiore di
√
circa un fattore 2 rispetto a quello calcolato precedentemente. Questo risultato,
dovuto alla propagazione dell’errore nell’operazione di sottrazione delle immagini
(somma in quadratura delle deviazioni standard di ciascuno dei due istogrammi),
porta a ritenere che, risultando il fpn del tutto trascurabile per bassi tempi di
esposizione, l’operazione di sottrazione di un’immagine di buio da una acquisita
dalla CCD in condizioni normali aumenta il livello di rumore esistente anzichè
ridurlo. L’operazione di sottrazione delle immagini compiuta dall’algoritmo e
92
10
6
10
6
y = m1*exp(-.5*((m0-m2)/m3)^...
Value
0.5 sec
10
30 sec
m2
120 sec
5
10
Chisq
10
Conteggi
Conteggi
10
1000
100
-20
119.5677
NA
0.001358154
NA
4
1000
100
10
1
0.001960117
0.9999999
R
4
247.6201
0.01011335
1.228909
m3
5
Error
127611.7
m1
10
-15
-10
-5
0
5
10
15
20
1
-6
-4
-2
Livelli ADC
0
2
4
6
8
Livelli ADC
Figura 4.2: Istogrammi relativi alla sottrazione di due immagini di buio con lo stesso tempo
di esposizione. (a) Andamento a diversi tempi di esposizione. (b) Fit gaussiano eseguito sulla
sottrazione di due immagini ottenute con 0.5s di esposizione: la larghezza del fit, √
a causa della
propagazione dell’errore nell’operazione di sottrazione, è maggiore di un fattore 2 rispetto a
quella ottenuta nel caso precedente.
descritta nel paragrafo (2.3.1) non va quindi in questo caso effettuata.
4.3
Le prove di messa a fuoco e di risoluzione
4.3.1
L’apparato sperimentale: il “cielo in una stanza”
Tutte le prove ottiche descritte nei prossimi paragrafi sono state effettuate con
l’impiego di un “cielo stellato” artificiale, costituito da uno schermo di 47 cm×23
cm dove sono stati ricavati degli alloggiamenti in grado di ospitare 12 diodi LED.
Sono stati impiegati 5 set di LED che coprono un ampio range di lunghezze
d’onda luminose per poter valutare la presenza di aberrazione cromatica sull’ottica utilizzata. Il numero e la lunghezza d’onda di picco di emissione dei diodi
utilizzati sono riassunti dalla tabella seguente.
LED
Blu
V erde
Giallo
Rosso
Inf rarosso
λpeak (nm) num.
430
2
565
2
586
2
635
3
880
3
La radiazione luminosa dei LED, disposti sul retro dello schermo, viene emessa
attraverso fori di 0.3 mm di diametro, realizzati con l’impiego di una fresatrice
93
a controllo numerico. Questa scelta del diametro dei fori, assieme ad una scelta
opportuna della distanza tra lo schermo e l’ottica del sensore stellare, ha permesso
di realizzare per i diodi la condizione di sorgenti luminose puntiformi paragonabile
alla condizione osservativa delle stelle reali, cosı̀ da permettere di verificare le
capacità di risoluzione ottica dell’obiettivo.
Al fine di poter valutare sperimentalmente la precisione di puntamento del
sensore stellare, il “cielo stellato” è stato opportunatamente catalogato, sono state
cioè accuratamente registrate le posizioni sul piano di ciascun diodo impiegato,
in modo che l’algoritmo disponesse di un catalogo di confronto come nel caso di
immagini provenienti da una visuale di cielo reale. La figura (4.3) rappresenta la
posizione di ciascun LED nel catalogo del cielo artificiale cosı̀ realizzato.
200
B
Y (mm)
150
V
IR
R
G
G
V
100
B
R
50
R
0
0
IR
IR
50
100
150
200
X (mm)
250
300
350
400
Figura 4.3: Disposizione geometrica dei diodi LED che compongono il “cielo” artificiale; le
lettere visibili in figura sono le iniziali dei colori corrispondenti alle lunghezze d’onda di picco
emesse dai diodi.
4.3.2
I risultati delle prove di messa a fuoco
Disponendo degli elementi descritti nel paragrafo precedente, sono state dapprima individuate le condizioni necessarie a rendere i diodi equivalenti a sorgenti
luminose puntiformi. Indicando con d la distanza di una sorgente puntiforme dal
piano dell’ottica, e servendosi della relazione che definisce l’ingrandimento I come il rapporto tra le dimensioni reali dell’oggetto e le corrispondenti dimensioni
sull’immagine, si ottiene che, nel caso di un foro luminoso di diametro D, la sua
0
immagine D soddisfa la relazione
0
D
f
I=
'
D
d
94
(4.1)
dove f è la lunghezza focale dell’ottica. Poichè il diametro dei fori che permettono
il passaggio della radiazione luminosa dei diodi LED è di 0.3 mm, per ottenere una
risoluzione ottica tale da considerare questi ultimi come sorgenti verosimilmente
puntiformi, il piano “stellato” dovrà essere posto ad una distanza tale per cui le
immagini a fuoco abbiano dimensioni minori delle dimensioni di un singolo pixel
della CCD. Poichè il limite diffrattivo ideale di una lente di focale f e apertura S
attraversata da una radiazione luminosa di lunghezza d’onda λ è definito come
D = 2.44 λ
f
s
(4.2)
sostituendo i parametri dell’ottica disponibile e considerando la lungezza d’onda
di picco del LED verde, si ha
2.44 × 565 nm × 2.5 = 3.4 µm
(4.3)
pari a poco più di un terzo delle dimensioni del pixel della CCD utilizzata.
Per assicurarsi di essere nella condizione di sorgente puntiforme occorrerà
0
quindi che il diametro D sia minore di l=9 µm: fissando ad esempio una distanza
di 5 m tra lo schermo e l’obiettivo del sensore, ne segue un ingrandimento I =
0.021 tale per cui
0
D = 0.7 · l = 6.3 µm
(4.4)
che soddisfa la condizione di sorgente puntiforme.
Prima delle prove è stata applicata alla ghiera del teleobiettivo una scala
millimetrica per valutare l’escursione meccanica nel range di messa a fuoco testato: oltre ad individuare le diverse posizioni di messa a fuoco trovate, la scala ha
fornito indicazioni utili in previsione dell’utilizzo della messa a fuoco motorizzata.
Le prove sono state effettuate inquadrando una visuale che contenesse almeno
un LED per ogni lunghezza d’onda luminosa disponibile e sono stati impostati due
tempi di esposizione: un tempo di esposizione breve ha permesso di individuare
con chiarezza l’andamento dei diametri delle immagini luminose in funzione della
posizione di messa a fuoco, mentre un tempo di esposizione lungo ha evidenziato
i comportamenti che si manifestano in presenza di segnale saturo.
Il segnale particolarmente intenso dei LED infrarossi e la loro posizione di
messa a fuoco sensibilmente diversa rispetto a quella dei LED visibili, impone
che essi siano trattati separatamente. Le figure (4.4) e (4.5) mostrano i risultati
delle prove con i dati raccolti sui LED “riconosciuti” dall’algoritmo: le curve si
interrompono quando, a causa di una posizione troppo fuori fuoco, l’identificazione non è più possibile. La figura (4.4) mostra l’andamento del diametro misurato
per ciascuno dei LED impostando il tempo di esposizione a 10 ms; il diametro
95
7
Blu
Rosso
6
Giallo
Verde
Diametro (pixel)
5
4
3
2
1
0
0
2
4
6
8
10
12
14
16
Posizione fuoco (U. A.)
Figura 4.4: Andamento con la messa a fuoco dei diametri misurati nelle immagini dei LED
identificati dal sensore: a causa di una debole aberrazione cromatica la posizione di migliore
focalizzazione è compresa tra 6 e 9. Il tempo di esposizione è 10 ms.
σ, definito come deviazione standard della distribuzione del segnale misurato, è
espresso in frazioni di pixel:
q
σ=
σx2 + σy2
(4.5)
essendo σx2 e σy2 le quantità
σx2
=
σy2 =
Pni −1 Pnj −1
2
j=0 (xi − xc )
Pni −1 Pnj −1 e
j=0 Eij
i=0
Pni −1 Pnj −1
2
j=0 (xi − xc )
i=0
Pni −1 Pnj −1 e
j=0 Eij
i=0
i=0
eij
E
eij
E
(4.6)
(4.7)
dove sono state utilizzate le stesse notazioni utilizzate nel paragrafo (2.3.2). È
possibile notare per ogni lunghezza d’onda un andamento a “V” entro le posizioni
5 e 13, mentre per i LED giallo e blu è inoltre riscontrabile un rapido decremento
dell’entità di σ rispettivamente nelle posizioni 3 e 15.
Nell’ipotesi di un comportamento simmetrico degli andamenti in corrispondenza delle posizioni vicine alla migliore messa a fuoco, si possono ritenere le
96
Livelli ADC
posizioni di minimo visibili in figura come stime del miglior grado di focalizzazione raggiunta; in particolare si può stimare l’aberrazione cromatica sulle lunghezze
d’onda in esame come distribuita lungo almeno un’estensione di 3 posizioni della
ghiera: avendo quest’ultima un diametro di 63 mm, l’escursione meccanica della
ghiera copre circa 5◦ , corrispondente ad 1/8 dell’escursione totale.
In corrispondenza delle posizioni di migliore messa a fuoco si può osservare come i valori minimi di σ varino da 1 a circa 1.5 volte la dimensione di un pixel; questo risultato porta a ritenere che, almeno per le lunghezze d’onda corrispondenti
al verde ed al blu, l’ottica possa considerarsi al limite diffrattivo.
L’andamento di brusca riduzione del diametro misurato per i LED giallo e blu
lontano dalla posizione di messa a fuoco, è dovuto proprio alla loro eccessiva defocalizzazione: poichè in entrambi i casi l’intensità luminosa totale è distribuita
su un gran numero di pixel, le code della distribuzione gaussiana di quest’ultima scendono sotto la soglia impostata dall’algoritmo, contribuendo cosı̀ alla
“sparizione” di una sempre maggiore percentuale di segnale.
10
5
10
4
1000
Blu
100
Rosso
Giallo
Verde
10
0
2
4
6
8
10
12
14
16
Posizione fuoco (U. A.)
Figura 4.5: Andamento con la messa a fuoco delle intensità luminose misurate con 10 ms di
esposizione: quando la focalizzazione ottimale viene raggiunta, il segnale totale raccolto resta
praticamente costante.
A questo proposito la figura (4.5) illustra l’andamento dell’intensità totale del
segnale luminoso misurato in corrispondenza delle medesime posizioni: è evidente
97
come, per i LED citati, il comportamento sia analogo al precedente ed egualmente
interpretabile. In corrispondenza delle posizioni di corretta messa a fuoco, invece,
il segnale misurato si mantiene all’incirca costante, poichè in questo caso tutta
l’energia luminosa viene raccolta nell’immagine focalizzata. Dalla stessa figura si
può infine constatare che, con il tempo di esposizione prescelto, nessuna immagine
risulta satura. Le figure (4.6) e (4.7) illustrano invece i risultati della prova
eseguita con un tempo di esposizione impostato a 100 ms.
9
Blu
8
Rosso
Giallo
Verde
Diametro (pixel)
7
6
5
4
3
2
1
0
2
4
6
8
10
12
14
16
Posizione fuoco (U. A.)
Figura 4.6: Andamento equivalente a quello di figura (4.4), ottenuto con un tempo di esposizione
di 100 ms: gli effetti della saturazione rendono i risultati meno significativi.
La figura (4.6) illustra l’andamento dei diametri σ misurati in questo caso; è
possibile constatare ancora un andamento a “V” ottenuto sulle immagini di ogni
LED, mentre le posizioni di minimo appaiono ora più ravvicinati tra loro e coincidenti nella posizione 9; osservando però i valori delle corrispondenti intensità
totali raccolte in figura (4.7), si comprende come questo risultato sulla posizione
di miglior fuoco sia in realtà meno significativo di quello descritto in precedenza:
risulta infatti che i segnali misurati dei LED rosso e giallo sono saturi ed in corrispondenza della posizione 9 l’intensità totale rivelata nelle immagini decresce.
Nel caso di una focalizzazione di segnali molto intensi, infatti, l’energia luminosa emessa dai diodi viene integrata su un numero sempre più ristretto di pixel,
determinando cosı̀ la possibilità di una loro rapida saturazione in concomitanza
98
con l’adozione di tempi di esposizione al segnale lunghi; il raggiungimento delle
condizioni di saturazione determina l’inizio del fenomeno di blooming dei pixel,
ovverosia il trasferimento nei pixel adiacenti dei fotoelettroni eccedenti il numero
massimo di quelli contenibili nel singolo pixel saturo; questa espansione dell’immagine determina l’abbassamento dell’intensità totale misurata per i diodi più
intensi, poichè parte della carica generata defluisce nei pixel esterni al rettangolo
selezionato dall’algoritmo. Ciò può dar luogo ad un fenomeno di “satellizzazione”
dell’immagine di partenza causato dalle ripetute esecuzioni dell’algoritmo stesso,
sottraendo in questo modo un contributo all’energia luminosa complessivamente
rivelata.
Per quanto riguarda l’andamento dei diametri dell’immagine, invece, l’“appiattimento” dei valori massimi dello shape gaussiano del segnale determina
una misura falsata della deviazione standard σ, pur mantenendo l’andamento
qualitativo dovuto alla presenza di un minimo.
In conclusione, dai dati raccolti risulta comunque che la posizione 7 può essere
presa come stima sufficientemente accurata per una corretta messa a fuoco dei
LED visibili.
10
6
Blu
Rosso
Giallo
Livelli ADC
Verde
10
5
10
4
1000
100
0
2
4
6
8
10
12
14
16
Posizione fuoco (U. A.)
Figura 4.7: Andamento equivalente a quello di figura (4.5), ottenuta impiegando un tempo di
esposizione di 100 ms: la presenza della saturazione è riscontrabile dall’andamento del segnale
sui LED più luminosi.
99
Le prove effettuate con i LED infrarossi, caratterizzati da una intensità del
segnale luminoso molto elevata, sono state condotte con l’impiego di un’unico
tempo di esposizione (5 ms), sufficientemente breve da evitare la saturazione dei
pixel. Le figure (4.8a) e (4.8b) illustrano i risultati delle prove eseguite per determinare diametri ed intensità dei LED infrarossi; pur in presenza di pochi punti
sperimentali, è possibile notare da figura (4.8a) come la messa a fuoco dell’immagine dei LED infrarossi sia localizzata all’interno di un intervallo di posizioni
(13-17) sensibilmente diverse dai casi trattati in precedenza. La figura (4.8b)
invece, come già riscontrato in figura (4.5) per i LED nel visibile, mostra l’andamento pressochè costante dell’intensità totale del segnale misurato: analogamente
a quanto già discusso in precedenza, tutta l’energia luminosa focalizzata viene in
questo caso correttamente rivelata.
4
1.6 10
4
Infrarosso 1
4
1.4 10
3
1.2 10
Livelli ADC
Diametro (pixel)
Infrarosso 2
3.5
2.5
2
1.5
4
Infrarosso 1
infrarosso 2
4
1 10
8000
12
13
14
15
16
17
18
6000
12
13
14
15
16
17
18
Posizione fuoco (U. A.)
Posizione fuoco (U. A.)
Figura 4.8: Risultati delle prove effettuate sui soli pixel infrarossi, identificati dall’algoritmo
impostando un tempo di esposizione di 5 ms: (a) andamento dei diametri con la messa a fuoco,
(b) andamento delle intensità totali rivelate.
4.3.3
Intensità, diametri e tempi di esposizione
Fissata la posizione di messa a fuoco per i LED visibili individuata nelle prove
illustrate nel paragrafo precedente, sono stati raccolti ulteriori dati in funzione
di diversi tempi di esposizione; le figure (4.9a) e (4.9b) illustrano i risultati di
una serie di prove effettuate sul solo LED giallo utilizzando un filtro neutro per
ridurne l’emissione luminosa di circa un fattore 100. L’intensità luminosa complessivamente rivelata mantiene, come è logico aspettarsi, un andamento lineare
crescente col tempo fino all’isorgere dei fenomeni legati alla saturazione dei pixel;
questo andamento è riscontrabile con maggiore evidenza in figura (4.9a), dove
100
10
3
4
2.5
Livelli di ADC
Diametro (pixel)
1000
2
1.5
1
100
0.5
10
0.001
0.01
0.1
1
10
0
10
100
1000
10
4
10
5
Livelli di ADC
Tempo di esposizione (s)
Figura 4.9: Prove effettuate sul LED giallo con messa a fuoco fissa. (a) Andamento dell’intensità
massima rivelata su di un singolo pixel a diversi tempi di esposizione; è visibile l’effetto del
blooming intorno a 1s di esposizione. (b) Andamento del diametro dell’immagine del LED in
funzione dell’intensità complessivamente misurata: esiste un plateau in corrispondenza della
misura della larghezza dello shape della radiazione incidente.
sono riportati i valori dell’intensità massima misurata da un singolo pixel dell’immagine in funzione del tempo di esposizione in un range di valori compreso
tra 5 millisecondi e 10 secondi: è possibile notare come intorno al valore di 3 · 103
livelli di ADC la pendenza della curva si appiattisca a causa del fenomeno di blooming che anticipa la saturazione vera e propria del pixel. La figura (4.9b) illustra
invece l’andamento del diametro dell’immagine negli stessi intervalli di tempo: i
valori riportati in figura sono espressi in funzione dei livelli di ADC del segnale
complessivamente rivelato per ciascun punto allo scopo di evitare un’eccessiva
dispersione delle misure dovuta alla deriva termica del diodo col tempo. L’andamento ottenuto appare diviso in tre regioni di comportamento: la deviazione
σ cresce col valore dell’intensità luminosa sino a raggiungere un valore di ADC
prossimo a 100 in corrispondenza del quale si ha un andamento a plateau fino a
valori di ADC (∼ 103 ) oltre i quali σ torna nuovamente ad aumentare. L’andamento iniziale di σ è un effetto dell’intensificazione del segnale luminoso: mentre
la larghezza della distribuzione dell’intensità luminosa proveniente dai LED è un
parametro fisso, la sua misura varia invece col tempo a causa del progressivo aumento del segnale raccolto e, in particolare, dell’emergere oltre il livello di soglia
delle code gaussiane del segnale luminoso. La regione intermedia, dove il valore di
σ si “stabilizza”, coincide con la misura che meglio approssima la reale larghezza
dello shape gaussiano della radiazione incidente. Con l’aumentare del tempo di
esposizione, infine, l’andamento della misura di σ comincia a mostrare l’effetto
101
dei fenomeni di blooming legati all’insorgere della saturazione e che tendono a
distribuire su di un numero crescente di pixel il segnale raccolto nell’immagine.
4.4
4.4.1
Le prove sulla precisione di puntamento
Il metodo sperimentale
Il metodo impiegato per ottenere la misura sperimentale della precisione di puntamento consentita dal sensore stellare necessita di alcune considerazioni preliminari. Per poter valutare la precisione di puntamento del sensore è preferibile
effettuare le misure eseguendo il “riconoscimento” dei LED su posizioni differenti
dello schermo: ciò si avvicina maggiormente alle condizioni dinamiche di uso del
sensore e riduce l’introduzione di eventuali sistematicità duvute all’illuminazione
di una stessa porzione di superficie della CCD. I risultati delle elaborazioni di
immagini cosı̀ concepite forniscono le componenti del versore di puntamento del
sensore rispetto alla terna assoluta del catalogo dei LED. Per apprezzare il livello
di precisione occorrebbe misurare gli scarti esistenti nella differenza vettoriale
tra la direzione di puntamento misurata ẑ ed il versore ẑ della terna assoluta,
ma questo è possibile solo se il reale posizionamento di quest’ultima è noto con
precisione assoluta, condizione difficilmente realizzabile. Il problema può essere
risolto se si procede eseguendo le misure di puntamento sullo schermo “stellato”
che viene successivamente traslato di una quantità nota con elevata precisione
lungo una direzione arbitraria d̂ trasversale alla direzione ẑ: i risultati raccolti
sull’andamento delle componenti vx e vy del versore ẑ lungo la direzione ẑ della
terna assoluta consentono di determinare l’entità dello spostamento compiuto dal
piano e quindi, dopo un opportuno fit delle misure, la precisa posizione assunta
nello spazio dalla terna assoluta del catalogo.
Con riferimento alla figura (4.10), dove è indicato con α0 il valore iniziale dell’angolo formato tra la componente vx del versore ẑ e la proiezione di quest’ultimo
sul piano (x̂, ẑ), uno spostamento lungo la direzione d̂ di entità ∆ determina un
nuovo valore α1 dell’angolo considerato; poichè la traslazione avviene lungo una
direzione arbitraria, lo stesso spostamento ∆ determinerà anche un passaggio
al valore β1 dell’angolo β0 formato dalla componente vy con la proiezione dello
stesso versore sul piano (ŷ, ẑ) (la componente vz può essere trascurata in quanto
determinata dalla condizione di normalizzazione del versore ẑ); se gli spostamenti effettuati sono piccoli rispetto alla distanza L tra il piano e l’obiettivo e se si
indica con δ l’angolo formato tra la direzione dello spostamento arbitrario d̂ e
l’asse x̂ della terna assoluta, la differenza tra i suddetti angoli si potrà esprimere
102
L
^
x
^
z
^
y
^
d
α0
δ
β0
^
z
Terna assoluta
Figura 4.10: Disposizione geometrica delle grandezze citate nel testo: la terna assoluta si trova
ad una distanza L dal piano “stellato”; quest’ultimo si sposta lungo la direzione d̂, formante
l’angolo δ con il versore x̂ della terna.
al prim’ordine come:
∆
L
∆
β1 − β0 = sin δ
L
α1 − α0 = cos δ
(4.8)
(4.9)
Disponendo il “cielo” stellato in modo che la normale al suo piano si discosti
poco dalla direzione di puntamento del sensore (α0 e β0 piccoli), si può riassumere
dicendo che i risultati di una serie di misure di questo tipo porta ad un andamento
delle componenti vx e vy del versore ẑ esprimibile come
∆
+ vx0
L
∆
+ vy0
vy = sin δ
L
vx = cos δ
(4.10)
(4.11)
essendo vx0 e vy0 i valori iniziali delle componenti misurate.
I piccoli spostamenti appena descritti sono stati realizzati montando lo schermo “stellato” su di un supporto che è stato traslato grazie all’azione di una vite
micrometrica; le traslazioni sono state effettuate con un’escursione massima di 5
mm, compiendo 5 misure per ogni millimetro di questo intervallo.
L’escursione è stata infine ripetuta tre volte in entrambe le direzioni di rotazione della vite micrometrica, al fine di evidenziare l’eventuale presenza di un
effetto di “gioco” nella meccanica della vite stessa.
Scegliendo per la distanza L del piano dall’ottica un valore pari, ad esempio, a
10 metri, la precisione fornita dalla vite micrometrica utilizzata per compiere gli
spostamenti (±10 µm) comporta uno spostamento angolare pari a 0.2 arcosecondi
103
e dunque sufficiente a valutare una precisione di puntamento di un arcosecondo.
Una distanza di 10 metri consente anche la completa osservazione dello schermo
e del “cielo stellato”: più precisamente, affinchè questo sia possibile, è necessario
che sia soddisfatta la relazione
lf
L=
(4.12)
lccd
dove con l,f e lccd si è indicato rispettivamente il lato maggiore del piano “stellato”, la lunghezza focale dell’ottica ed il lato minore della CCD. Sostituendo i
parametri in (4.12) con i valori disponibili si ha:
L=
0.47 m × 0.105 m
' 10.6 m
512 × 9 · 10−6 m
(4.13)
Disponendo di tale valore è ora possibile terminare l’operazione di catalogazione
dei diodi presenti nel “cielo” artificiale a cui si è fatto riferimento: ponendo infatti
a 10.6 m dalla terna solidale col piano “stellato” l’origine di un sistema di assi
cartesiani, si otterrà il riferimento assoluto rispetto al quale ricavare i vettori
unitari che identificano la posizione delle stelle-diodi.
Il posizionamento del piano “stellato” trasversalmente alla direzione dell’asse
di vista ẑ del sensore, necessita il rispetto di un valore di tolleranza angolare tale
da permettere il buon esito del riconoscimento; se infatti si ruota il piano attorno
ad un suo asse di simmetria di un angolo γ, la distanza angolare misurata nella
terna assoluta di due LED posti tra loro ad una distanza d sul piano, risulta
cambiata di una quantità δφ definita da
d − d cos γ
= δφ
(4.14)
L
che può essere ricavata da semplici considerazioni geometriche. Poichè nel riferimento della CCD la tolleranza coincide con l’angolo di visuale α di un pixel di
lato lpixel
lpixel
α=
= 0.085 · 10−5 rad ' 5 · 10−3 ◦
(4.15)
f
ne segue che per ottenere il riconoscimento dei LED dovrà sempre essere:
δφ < α
(4.16)
Sostituendo in (4.14) i valori disponibili ed impiegando per d la lunghezza del
lato maggiore del piano, si ottiene come stima della minima tolleranza γ il valore
di circa 3.5◦ .
Le misure sono state effettuate impiegando un tempo di esposizione di 20
ms ed utilizzando un filtro KG1 per attenuare l’intensità dei LED infrarossi; il
diametro medio dell’immagine dei LED misurato nella nuova posizione di messa
a fuoco a 10.6 m è risultato essere di 1.4141±0.2186 pixel.
104
4.4.2
I risultati delle misure
I risultati delle misure eseguite sperimentalmente hanno fornito per le componenti
vx e vy del versore ẑ i valori visibili nelle figure (4.11a) e (4.11b). I fit lineari
condotti sui dati hanno permesso di stimare i parametri delle rette definite nelle
stesse figure, i valori dei quali sono riassunti nella tabella seguente; in particolare,
i parametri α0 e β0 relativi alla direzione di puntamento mostrano una precisione
fino alla settima cifra decimale, superiore quindi di quasi un fattore 10 sulle
dimensioni di un arcosecondo; con questo livello di precisione, maggiore del valore
di stima disponibile sulla precisione di puntamento del sensore stellare (3.68)
soggetto a verifica sperimentale, la localizzazione degli spostamenti del piano
“stellato” consente ora il calcolo degli scarti sulla direzione di puntamento.
cos δ
1.0036 ± 0.0027
α0 (rad)
6.8922 · 10−3 ± 6.8 · 10−7
sin δ
0.0348 ± 0.0015
β0 (rad)
1.6687 · 10−4 ± 4.0 · 10−7
0.00019
0.0074
y = m0*m1+m2
V x
0.0073
Value
m2
Chisq
R
0.0072
0.006892242
m2
NA
0.9997607
Value
m1
0.000185
6.814791e-07
1.634831e-09
y = m0*m1+m2
V y
2.562707e-07
-9.657991e-05
m1
Error
Chisq
NA
R
Error
-3.352585e-06
1.495271e-07
5.565632e-10
NA
3.976248e-07
0.0001668786
0.9385365
NA
0.00018
Vy (rad)
Vx (rad)
0.0071
0.007
0.000175
0.00017
0.0069
0.000165
0.0068
0.00016
0.0067
0.0066
-6
-4
-2
0
2
4
0.000155
Millimetri
-6
-4
-2
0
2
4
Millimetri
Figura 4.11: Risultati dei fit eseguiti sulle componenti degli scarti della direzione di puntamento,
calcolata sugli spostamenti del “cielo” artificiale: (a) componente vx , (b) componente vy . I
valori che individuano la reale posizione del piano sono riportati nella tabella presente nel testo.
La figura (4.12a) illustra la dispersione dei risultati ottenuti sulla precisione di
puntamento misurata in arcosecondi. La trattazione del un modello utilizzato nel
paragrafo (3.4.2) per ottenere il valore complessivo della precisione di puntamento
(3.68) e che prevede, in questo caso, l’impiego di una distribuzione gaussiana
semplificata per il valore del modulo delle componenti dzx e dzy degli scarti
dẑ = ẑ − ẑ
105
(4.17)
3
20
y = m1*m0/m3*exp(-.5*((m0-0)...
Value
m3
15
Error
22.6624
m1
2
Chisq
R
2.873081
0.8573128
0.05212472
0.974292
NA
11.07808
NA
Conteggi
Y (arcsec)
1
0
10
5
-1
0
-2
-3
-3
-2
-1
0
1
2
3
-5
0
1
X (arcsec)
2
3
4
5
6
Arcosecondi
Figura 4.12: Risultati delle prove sulla precisione di puntamento. (a) Distribuzione spaziale
degli scarti misurati dalla reale direzione di puntamento. (b) Risultati del fit eseguito con la
funzione (4.18) sulla distribuzione del modulo degli scarti in funzione della distanza angolare;
il valore dell parametro σp determina la precisione di puntamento finale.
ha fornito la stima del valore di precisione cercato; se infatti si indica con ρ p la
funzione di fit dell’istogramma del modulo dei suddetti valori (eq. 3.66)
2
− 1 r2
1
ρp = 2 r e 2 σ p
σp
(4.18)
si ottiene per il parametro cercato, σp , il valore:
σp = 0.86 ± 0.05 arcsec
(4.19)
La figura (4.12b) illustra il risultato del fit con la funzione (4.18).
Il confronto del risultato sperimentale (4.19) con quello ricavato dai test numerici (3.68) per il caso di focale 100, permette alcune considerazioni conclusive.
In primo luogo si può osservare come anche le verifiche sperimentali abbiano
stabilito entro l’intervallo di circa un arcosecondo il livello di precisione di puntamento consentita dal sensore stellare. I diversi livelli di precisione raggiunti nella
simulazione e nella prova sperimentale, inoltre, possono essere spiegati facendo
riferimento alla stima di andamento della precisione di puntamento in funzione del numero di stelle riconosciute dall’algoritmo illustrata nel paragrafo (3.3):
essendo infatti pari a circa 4 il rapporto tra il numero di stelle rispettivamente
utilizzate per la determinazione della direzione di puntamento nei due differenti
casi (tabella (3.1) e paragrafo (4.3.1)), la precisione di puntamento sperimentale
dovrebbe essere inferiore di quella ottenuta nelle simulazioni di almeno un fattore
2. Essendo circa 1.6 il fattore effettivamente riscontrato, l’andamento previsto
resta sostanzialmente confermato.
106
Conclusioni
L’attività di studio condotta presso l’istituto IPCF del CNR di Pisa ha consentito la realizzazione di un prototipo di sensore stellare dotato di caratteristiche
originali e adatto ad integrare il sistema di controllo di assetto della piattaforma denominata HiPeG, progetto finanziato dall’ASI ed in fase di completamento
presso l’istituto IASF del CNR di Bologna.
Questo progetto necessita di caratteristiche tali da consentire un’accurata validazione dei dati che saranno raccolti in un prossimo futuro da una nuova generazione di telescopi in grado di effettuare misure spettrali di sorgenti astronomiche
X e γ con una elevata risoluzione angolare.
Il sensore stellare sviluppato presso l’istituto IPCF si basa sull’elaborazione
di immagini di campi stellari grazie ad un software di riconoscimento stellare in
grado di determinare, con una frequenza di up-date della misura pari ad 1 Hz, una
direzione di puntamento ottico con un livello di precisone di pochi arcosecondi.
L’algoritmo sviluppato possiede inoltre la capacità di effettuare l’inseguimento
della direzione di puntamento determinata.
Questa versatilità di impiego, unita alla capacità di calcolo dell’hardware ed
all’alta dinamica dell’elettronica di acquisizione delle immagini impiegata, consentirà di raggiungere la completa autonomia di funzionamento di questa nuova
piattaforma scientifica.
I test numerici e di laboratorio sinora effettuati sul prototipo realizzato, hanno
consentito di poter verificare il funzionamento di tutte le procedure che compongono l’algoritmo di identificazione dei campi stellari; inoltre il livello di precisione
espresso in queste prove si è rivelato maggiore rispetto al valore previsto dalle specifiche del progetto ASI. I test condotti all’IPCF hanno inoltre suggerito
spunti utili per nuovi e futuri sviluppi, quali l’ottenimento di tempi di calcolo
ulteriormente ridotti per l’adozione di ottiche che consentano la visualizzazione
di un alto numero di stelle.
Con le informazioni che saranno raccolte durante il primo volo di prova, previsto per l’estate 2004, si renderanno disponibili gli elementi necessari per le
modifiche che consentiranno anche un uso diurno del sensore.
107
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