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La politica non violenta in Erasmo da Rotterdam
St udi Per una civiltà dell’amore Erasmo da Rotterdam o dell’attitudine politica non violenta Settimio Luciano – Professore di Filosofia, ITAM, Chieti Agli occhi dei contemporanei, coi quali pure polemizzò, apparve spesso un tiepido e un debole e un ignavo, perché riluttante a schierarsi in una qualsivoglia truppa e a marciare con lo stereotipato passo dell’avversione. A distanza di secoli, il tempo gli regala una sublime vendetta, e offre a noi il delicato modello del miglior umanesimo europeo. Erasmo da Rotterdam è uno dei più grandi umanisti del XVI secolo e nella sua azione culturale e tante volte diplomatica è sempre stato uomo di mediazione, perseguendo processi di pacificazione senza mai accettare l’uso della violenza. In varie sue opere è rilevabile una visione sociale e spirituale imperniata sulla non violenza e legata ad una idea di società fatta di equilibrio fra giustizia e misericordia; e che propugna la ripartizione delle ricchezze. Quest’ultimo argomento è anch’esso legato dall’umanista olandese, come si vedrà, alla questione della pace perché una vita in cui ognuno realizza, ad un livello fondamentale, il rispetto di quelle regole che permettono l’esplicazione di una esistenza serena, porta ad un respiro sociale di pace e libertà. In Erasmo la non violenza era un’attitudine: un atteggiamento profondo, coinvolgente pensiero e vita, da lui perseguito in ogni circostanza e in ogni tipo di problema da affrontare. Attitudine non è, in tal senso, un’azione sorta per impulso o espressione effimera e legata al momento. Indica, piuttosto, il dinamismo proveniente dal centro della persona e che esprime le sue profondità, la sua libertà, la sua situazione esistenziale (con il 26 cumulo di gioie, crisi e sofferenze che vi convivono) e le convinzioni che desidera concretizzare fra confronto con la durezza della realtà e senso di speranza. Questo attingere alla vita fa nascere nuove categorie di pensiero che orientano l’uomo attraverso visioni esistenziali e sociali corroborate da fiducie, affidamenti e riflessioni razionali. Ciò che si desidera tentare qui è valutare la capacità ispiratrice di pace del pensiero erasmiano affinché sia possibile emulare la sua attitudine non violenta e possa diventare messaggio e testimonianza per quanto si vive o si va dipanando nel tempo odierno e che non è molto rassicurante per il livello di rabbia e aggressività che sta aumentando. La violenza nel mondo odierno Se si volesse esaminare la tipologia della violenza che ferisce società e relazioni umane, ci si trova dinanzi ad una molteplicità variegata. Vi è la violenza generata dalla disperazione del non avere prospettive future: questa violenza non è legata necessariamente ad una situazione di indigenza ma al sentirsi aggrediti a livello sociale perché viene sottratto il futuro o meglio il senso del futuro vivibile e N. 81-82/12 con esso la speranza. Vi è la violenza generata da ideologie xenofobe e omofobe che sfogano rabbia e aggressività prendendo come capro espiatorio gli immigrati, il mondo degli omosessuali e gli zingari. Rispetto a questo si può ricordare l’indifferenza con cui si è reagiti in Italia al sapere dell’affondamento di un barcone che portava più di 200 immigrati: non restare feriti a livello collettivo per quanto accaduto la dice lunga sulla attenuazione della capacità di indignarsi da parte del popolo italiano. Si può ricordare un altro episodio accaduto a Firenze in cui è stato perpetrato un atto criminale contro un gruppo di immigrati senegalesi, da parte di Gianluca Casseri che poi è stato osannato su Facebook come “l’eroe bianco”1: qui oltre all’atto criminale compiuto è significativa la condivisione di quel gesto che ne è seguita e che è indicativa del tipo di mentalità “arrabbiata” o scatenatrice di violenza che va emergendo nel vivere sociale italiano. Vi è la violenza causata da una condizione di povertà per licenziamenti o per la mancanza di prospettive di lavoro per cui si perde lo stipendio (o parte di esso). Qui ci si può aprire a forme di disperazione che possono condurre verso il suicidio, verso furti nei supermercati prospettiva •persona• Studi o a banche provocando ferimenti gravi o omicidi. La violenza contiene in sé la pericolosa illusione di poter cambiare le sorti della storia attraverso il versamento di sangue. Sotto questo aspetto la violenza non ha cambiato più di tanto le situazioni storiche: alla fine il “cambiamento” si riduce all’instaurazione di nuove forme di potere che non eliminano la famosa distinzione marxista di oppressi e oppressori. Se la violenza fosse davvero capace di mutare le sorti della storia e generare società dove si respira maggiore giustizia e non sopraffazione, il nazismo e il comunismo non sarebbero morti. Il primo è terminato per la reazione interna ed esterna contro la sua violenza strutturale. L’altro è crollato per l’implosione dovuta non solo a cause socio-economiche ma anche di identità ritrovata nell’antico territorio della nazione d’appartenenza. A ciò bisogna aggiungere anche una trasandatezza di vita legata ad un non riuscire a concepire un senso per la propria esistenza. La cupezza che si respirava nel grigiore non solo fisico delle città rinchiuse nella cortina di ferro, era espressione anche della disperazione sociale legata ad una sorta di nube fatalistica che incombeva sulla esistenza controllata dal così detto “occhio del potere”. Se nazismo e comunismo desideravano una società dove si respirasse maggiore armonia e giustizia (ognuno con visioni o ideologie differenti), l’errore fondamentale da parte loro è stato quello di usare la violenza in maniera strutturale per perseguire un tale fine. La forza di una politica non violenta è basata sul fatto che la violenza non fa altro che aumentare la violenza: non si può perseguire mai la pace usando la violenza. Questo è, tutto sommato, anche l’idea di Erasmo e il perseguire la pace con spirito di equilibrio, pazienza e fiducia nell’uomo, è quanto può prospettiva •persona• suggerire, in un contesto come quello brevemente delineato, un uomo del 1500 d.C. che ha vissuto nel coacervo di discussioni teologiche (condotte a colpi di ignoranza e violenza verbale) e di guerre fatte in nome di Dio. L’attuale contesto storico-culturale è diverso da quello del grande umanista ma vi sono alcuni argomenti e modalità di azione che possono suggerire il poter credere ad una visione e ad un’attività non violente di cui s’avverte l’esigenza anche oggi: se lo ha fatto un uomo in pieno XVI secolo è uno sprone a far emergere un messaggio ad un mondo ancora tremendamente dilaniato da guerre e violenze di vario genere come quelle precedentemente accennate. L’avversione per la “guerra giusta” Ricordare la figura di Erasmo da Rotterdam significa avere presente il coraggio di esprimere un messaggio di non violenza, di invito costante all’equilibrio e al mettersi nei panni degli altri consapevole del fatto che questo si lega ad un determinato modo di intendere e vivere la società in cui vi potrà essere maggiore pace nella misura in cui vi è, assieme ad altri aspetti, la non concentrazione delle ricchezze nelle mani di pochi. Si parla di coraggio perché il contesto storico-sociale in cui operava il celebre umanista era pieno di guerre che scoppiavano per motivi di espansione politica o per conflitti religiosi che scatenavano violenze efferate. In un contesto del genere Erasmo fa sentire la sua voce per parlare apertamente della sua avversione nei confronti della nozione di “guerra giusta”. In questo modo egli si poneva in netto contrasto con tutta una tradizione della Chiesa cattolica dove autori del calibro di S. Agostino, S. Bernardo di Clairvaux e S. Tommaso d’Aquino, difendevano il concetto N. 81-82/12 di guerra giusta. Per Erasmo è uno scandalo vedere dei cristiani combattersi a vicenda portando il vessillo della croce. È quanto Erasmo rileva nel “Lamento della Pace” dove parla di eserciti che sulle «bandiere pongono la croce. L’empio armigero, assoldato al macello e alla carneficina in cambio di poca moneta, si fa precedere dal segno della croce: ma tu soldato scellerato, cos’hai a che fare con la croce? Serpi, tigri e lupi sarebbero state insegne adatte ad animi e comportamenti siffatti. Essa, al contrario, è l’emblema di Colui che non vinse combattendo, ma morendo: che recò salvezza, non perdizione: di Colui che, in particolare, avrebbe potuto insegnarti quali sono i nemici che devi combattere, se sei davvero cristiano, e qual è il modo per vincerli. Tu porti il simbolo della salvezza nel muovere alla perdizione del tuo fratello e distruggi con la croce colui che dalla croce era stato salvato»2. Anche la guerra contro i Turchi che in quell’epoca erano il terrore dell’Europa cristiana a causa dell’invasione che stavano attuando, era ritenuta ingiustificata dal noto umanista. Rispetto ai Turchi per Erasmo è più utile – e più coerente al cristianesimo – cercare di affascinare con la forza della carità e della giustizia cristiane che vede in ogni uomo un fratello. Se si desidera evangelizzare i Turchi non si devono esibire né ricchezze, né soldati, né violenza ma, piuttosto, «il desiderio di fare il bene anche ai nemici, la capacità di sopportare le offese, il disprezzo del denaro e della gloria, l’umiltà di vita»3. Per esporre un pensiero del genere dopo che già da 50 anni Maometto II aveva conquistato Costantinopoli e dopo che i Turchi erano giunti alle porte di Vienna, ci voleva un grande coraggio come quello che oggi la coscienza ci invita ad esplicare nel trattare con rispetto le grandi questioni legate all’immigrazione o meglio alle migliaia di 27 Studi volti provenienti dall’Africa o da altre parti del mondo per concretizzare il desiderio di lavorare. In un opera scritta successivamente alla presa di posizione di avversione della guerra contro i Turchi, tornerà a ritenere comunque ingiustificata la guerra ammettendo solo la difesa della “Repubblica cristiana”. La guerra deve essere intrapresa solo dopo che ogni tentativo per evitarla è risultato inutile. L’umanista olandese specifica che se «una necessità inevitabile spinge alla guerra, spetta comunque alla mitezza cristiana dar fondo a tutte le sue forze per far si che lo scontro coinvolga il minor numero possibile di persone e si concluda quanto prima e con il minor spargimento di sangue»4. Visione positiva dell’uomo e linguaggio rispettoso verso l’altro Altro aspetto proveniente dal pensiero erasmiano, importante anche per quanto si sta vivendo attualmente, è l’aver conservato sempre una visione equilibrata e positiva dell’uomo e soprattutto della sua libertà. Questo emerge nelle opere di maggiore spessore politico-morale dove si privilegia una visione positiva delle relazioni umane: la fragilità e i limiti umani sono riletti come ciò che spinge gli uomini a suscitare relazioni di amicizia e armonia fra loro. Erasmo presenta l’uomo come connaturato all’amicizia, andare incontro all’altro e all’esigenza di accoglierlo. Ne è prova la figura del corpo umano che differentemente da quello posseduto dagli animali, non ha molte protezioni naturali e sotto questo aspetto non appare collegato alla violenza. L’uomo nella sua infanzia è particolarmente debole, vulnerabile e ha la necessità di essere difeso e protetto dagli altri. In tal senso l’olandese sostiene che la natura «ha voluto che l’uomo non le fosse debitore della vita: ha preferito che egli dovesse la vita alla 28 benevolenza, affinché comprendesse di essere stato concepito per provare gratitudine e per sentirsi legato agli altri uomini. Dunque gli ha dato un aspetto non tremendo e orribile, come alle altre bestie, ma mite e placido, che dimostra a prima vista l’inclinazione all’amore e all’amicizia»5. Tutto il corpo, dunque, esprime uno slancio d’amore: le braccia sono fatte per abbracciare, le labbra per donare l’affetto con un bacio e le lacrime sono richiesta di clemenza e misericordia. Infine, cosa più importante, «la natura ha attribuito all’uomo la parola e la ragione, che più di ogni altra cosa ha il potere di suscitare e accrescere la benevolenza e di evitare che gli uomini usino la violenza»6. Una visione positiva dell’uomo e della sua capacità di essere libero, è quello che emerge fortemente anche nella diatriba avuta con Lutero sulla questione del libero arbitrio e della diversa maniera di considerare la violenza nuovamente della guerra. Quando Erasmo deve prendere posizione rispetto a Lutero, riflette sull’argomento della libertà per dire che anche dopo il peccato originale, essa non è oscurata del tutto e l’uomo resta capace di intravedere il bene e di tentare di concretizzarlo. Qui è importante non solo sottolineare la visione positiva rispetto all’uomo che viene da tale riflessione, ma anche il modo di trattare tali questioni che deve essere equilibrato e non scatenatore di violenze. Rispetto a questa maniera di argomentare c’è una grande distanza tra il parlare forbito ed elegante di Erasmo e il linguaggio luterano colmo di profondità teologiche ma “condito” di espressioni violente. Infatti Lutero riempie Erasmo di oltraggi definendolo “cimice che puzza da morto più che da vivo”, “aspro nemico di Cristo” e giunge persino a maledirlo7. Il massimo di tale distanza viene raggiunto quando Lutero, prendendo in giro l’irenico Erasmo, sostiene di vedere N. 81-82/12 negli sconvolgimenti violenti che si andavano attuando, il procedere della Parola di Dio contro il Regno di Satana e dice: «Voler sedare questi tumulti, non significa altro che voler eliminare e proibire la parola di Dio. Poiché la parola di Dio, ogniqualvolta viene, viene per mutare e rinnovare il mondo. Anche gli scrittori pagani dichiarano che non possono avvenire mutamenti nello stato delle cose senza disordine e tumulto, anzi senza spargimento di sangue. (…) E io, se non vedessi questi tumulti, direi che la parola di Dio non è nel mondo. Ora, dal momento che li vedo, gioisco nell’animo e non vi bado affatto, sicurissimo che il regno del papa con i suoi accoliti sta per cadere»8. Questo moto di violenza si esprime ancora più fortemente quando il teologo sassone si scaglia contro la rivolta dei contadini invitando i principi tedeschi a reprimerla nel sangue. Siccome i contadini con la loro rivoluzione hanno portato sangue e strage ecco che per “spegnere” l’incendio di tale sedizione «chiunque lo può deve colpire, scannare, massacrare in pubblico o in segreto, ponendo mente che nulla può esistere di più velenoso, nocivo e diabolico d’un sedizioso, giusto come si deve accoppare un cane arrabbiato, perché, se non lo ammazzi, esso ammazzerà te e con te tutto il paese»9. Contro la protesta dei contadini che dicono che le cose sono libere e create per tutti, e che vi è una uguaglianza basata sull’aver ricevuto lo stesso battesimo, Lutero replica che Cristo, con l’espressione “Date a Cesare quel che è di Cesare”, ci ha consegnati all’autorità politica a cui si deve soggiacere. Proprio per questo il Riformatore giustifica ed auspica un’azione punitrice contro di loro esprimendosi in questi termini: «non intendo impedire a quell’autorità, che lo possa e lo voglia, di punire e colpire questi contadini, senza neppure offrire loro in precedenza giustizia ed prospettiva •persona• Studi equità, anche se essa non seguisse il Vangelo, perché ha comunque tutte le ragioni per farlo (…)»10. Questo atteggiamento non verrà mai accettato dall’umanista olandese e imputerà a Lutero l’aver suscitato un movimento che ha provocato guerre e violenze. In una lettera inviata al teologo sassone, egli metterà da parte le offese ricevute dal tedesco e si esprimerà in questi termini: «Quel che è stato tra noi due non ha importanza, e tanto meno per me, già prossimo alla morte; ma quello che suscita scandalo in ogni uomo dabbene come in me medesimo, è vedere che il tuo contegno pretenzioso, impudente e ribelle distrugge il mondo intero… e che per volontà tua questa bufera non giunge alla soluzione pacifica per cui io ho combattuto… La nostra contesa è affare privato; mi turba invece l’angustia generale, l’inguaribile confusione, che noi dobbiamo soltanto alla tua indole indomabile, incapace di lasciarsi guidare da buoni consiglieri… Vorrei augurarti uno spirito differente dal tuo, di cui sei tanto soddisfatto, e tu puoi in cambio augurarmi quel che ti aggrada, fuorché la tua forma mentale, a meno che Iddio te la cambi»11. Qui si desidera sottolineare l’uso di un linguaggio suscitatore di violenza e della diversa maniera di incidere sul popolo: anche questo è una misura indicatrice del modo più o meno responsabile di gestire discussioni e problemi di natura religiosa e politica. Erasmo non abbandonerà mai il tono equilibrato e mite anche di fronte ad attacchi virulenti a cui l’umanista era più che abituato. In situazioni del genere il senso di solitudine è grande ed esige una fortezza psicologica per non rispondere con la medesima violenza a chi aggredisce interrompendo il discorso o usando un linguaggio che non dovrebbe avere chi assume cariche pubbliche. prospettiva •persona• Una società senza monopoli e col senso del perdono sociale Accanto a queste considerazioni è importante ricordare la visione sociale erasmiana che non andava contro la proprietà privata ma combatteva i regimi di monopolio che generano povertà e affamano la gente. Questo provoca una situazione in cui pochi ricchi possiedono e vogliono avere tutto per sé; mentre la gente comune è soggetta ai pericoli sociali della povertà, delle tasse e al rischio di essere derubati dai briganti. In un regime simile aumentano i funzionari corrotti per i quali «un’azione non potrà essere indegna, purché se ne ricavi ricchezza, cioè purché cresca la disperazione dei poveri e si impingui la lussuria dei notabili e dei banditi di cui i principi si circondano»12. Proprio per questo nel discorso sulle imposte viene sottolineato che chi governa deve chiedere il meno possibile ai cittadini togliendo le spese improduttive e astenendosi dalle guerre. Se è proprio necessaria la tassazione non deve riguardare gli “umili” ma piuttosto i ricchi per richiamarli ad uno stile di vita più austero: costringere alla fame e all’indigenza i meno ricchi è disumano e pericoloso. Anche in questo discorso si nota l’attenzione erasmiana a non provocare la violenza né tramite le guerre, né creando situazioni sociali di povertà. Per realizzare questo bisogna «fare in modo che non ci sia troppa disuguaglianza nella società. Non che io immagini di togliere ad alcuno le ricchezze con la forza: piuttosto si deve far si che le ricchezze di molti non cadano nelle mani di pochissimi»13. Tutto questo è generatore di unità. Infatti, ciò «che è più utile per assicurare la concordia è che sia riconosciuto il diritto di conservare e disporre delle proprie ricchezze a quanti le posseggono legittimamente, perché ne condividano per carità la fruizione di tutti»14. Nella linea di questa logica le tasse devono N. 81-82/12 essere minime sui beni utilizzati abitualmente dalla gente e devono essere più elevate nei confronti dei beni di lusso e di piacere. Intrinseco al discorso sul sociale vi è l’argomento della valenza sociale del perdono: infatti, le leggi per Erasmo devono avere uno sfondo educativo che spinge, anche attraverso riconoscimenti, a compiere il bene comune. Questo verrà estrinsecato tenendo conto dell’animo delle persone proponendo a quelli di animo nobile la prospettiva della gloria; a quelli più “materiali” la possibilità di guadagnare denaro. Questa posizione lascia comprendere perché «la legge deve essere più incline a perdonare che a condannare»15. Senso del percorso Il senso di questo breve percorso di attraversamento e confronto con alcuni aspetti del pensiero erasmiano, può essere estrinsecato in varie linee che possono diventare una attitudine relazionale (e dunque anche politica nel senso stretto del termine) ispirata alla non violenza anche nel marasma di vicissitudini storiche ed esistenziali che condurrebbero a giustificare l’uso della forza prevaricatrice. Si può iniziare con l’argomento, che può apparire di natura schiettamente filosofica ma che ha delle ripercussioni notevoli sul modo di intendere ed estrinsecare la vita umana, riguardante il fatto che nella vicenda di Erasmo la libertà non dipende dalla situazione: l’uomo, qualsiasi condizione anche aspra e difficile stia attraversando, resta pur sempre libero. Può essere ferito, colpito dalle tempeste della vita ma rimane fondamentalmente libero. Credere fino in fondo alla libertà significa trovare sempre la capacità di reagire senza perdere di vista la propria umanità e cioè senza interpretare drammaticamente la vita come se fosse un cunicolo 29 Studi che sfocia inevitabilmente nel fallimento e nella morte. Questo è un atteggiamento esistenziale di fondo che può esprimersi, a livello politico e cioè di relazione pubblica e di potere rispetto agli altri, nella attitudine politica della non violenza. Una visione siffatta della libertà e dell’uomo è ciò che aiuta a suscitare il dinamismo della speranza che nel modo di comunicazione politica e nella gestione delle relazioni pubbliche, è di fondamentale importanza: vince, a livello politico, chi è capace di suscitare la speranza. Se si riflette bene i movimenti politici che hanno avuto successo è perché, anche in mezzo a limiti e visioni ristrette o devianti dal punto di vista socio-politico, hanno saputo provocare beneficamente il dinamismo della speranza anche se l’hanno usata strumentalmente. Questo è estremante importante per superare quel senso fatalistico di sentirsi imprigionati dalle leggi e dai parametri economici o dalla propria condizione interpretata come tragica necessità e passività. Riacquistare questo senso di libertà e di forza di speranza significa giocare con il limite del senso di schiavitù e di necessità che imprigiona, trovando in ogni situazione le vie per generare l’incontro con gli altri partecipando o proponendo la costruzione di progetti diversi rispetto a quelli che sono divenuti mera oppressione. Se non si riacquista questo spirito di libertà appare naturale andare verso l’incapacità di indignarsi e di reagire protestando e proponendo nuove visioni nelle situazioni che si vivono oggi. Ciò che esprime in maniera eclatante la libertà dalla situazione o il sentirsi e muoversi con libertà nella situazione, è l’atteggiamento del perdono. Acquisire l’attitudine del perdono non è facile perché la vendetta oltre ad essere una passione irresistibile, è frammista alla richiesta di legittima giustizia per il torto subìto. La categoria del perdono è presa, nell’ambito di 30 questa riflessione, nella sua valenza sociale: quella sottolineata dallo stesso Erasmo. Perdonare non è rinnegare il senso di giustizia che nell’ambito delle relazioni umane ferite va sempre perseguita. È, piuttosto, non ridurre mai l’altro che ha fatto del male, ad un “insetto” da schiacciare; ma significa continuare a fissarlo come persona, come volto umano che dice deficienza ma che appella anche al rispetto della sua unicità e originalità che si estrinseca nel comandamento interiore di “non uccidere”. Perdonare è disporsi ad un confronto con l’altro (anche solo interiore all’inizio) in cui non si perde il senso della sua umanità perché se lo si perde o si decide di gettarlo via per relegarsi nella rabbia, si perde anche il senso della propria umanità. Il perdono richiama ad una maturità di rapporto che sa trattenere il voler rispondere al male generando altro male. Perdonare significa immettere la novità nelle relazioni umane nell’ansia di voler confrontarsi col passato nel desiderio di trasfigurarlo e cioè di trasformarlo in limite in cui la libertà trova la maniera di esprimersi in termini di equilibrio nonostante la durezza del male fatto o subìto. Il perdono immette un dinamismo sociale che rispetta senso di alterità e giustizia che disconnette le possibili violenze che si agitano quando cambiano i regimi di potere e dilaniano tragicamente le nazioni con conflitti che non sono mai espressione della giustizia richiesta. In sintesi ricordare il pensiero e la figura di Erasmo da Rotterdam significa pensare possibile, anche in mezzo all’intolleranza e al non rispetto della minoranza di ogni tipo, una modalità espressiva della politica fondata, nonostante tutto, su una visione positiva dell’essere umano che susciti non sentimenti negativi scatenando le “parti basse” del popolo, ma un dinamismo di pace basato sulla fiducia e sulla speranza del confronto e su una N. 81-82/12 maniera di affrontare e – quando è possibile – di risolvere i problemi. Qui l’attitudine spirituale-psichica e sociale che illumina la relazione secondi un regime di pace, è quello del perdono superando i sentimenti di vendetta senza che questo significhi abbandono del senso della giustizia: il senso alto dell’alterità e dell’accoglienza è legato proprio al dinamismo del perdono. È in questo modo che si potrà concretizzare, in una unità di intenti che avvolge e stimola credenti e non credenti, la civiltà dell’amore. Note 1 Si fa riferimento ad una espressione comparsa sul sito Stormfront da parte di un utente che si firma Longobard e ha scritto: «Casseri eroe bianco vittima di un complotto volto a nascondere la verità…, e cioè che Firenze è ormai contesa tra bande di sporchi negri criminali. È ora che qualcuno faccia pulizia di questa immondizia negra» (Unità del 13 dicembre 2011). 2 Erasmo da Rotterdam, Il lamento della pace, TEA, Milano 1997, p. 78-79. 3 Erasmo, Adagia, Salerno editrice, Roma 2010, p. 803. 4 Erasmo, “Utilissimo parere sull’opportunità di muovere guerra ai Turchi”, in Scritti teologici e politici, Bompiani, Milano 2011, p. 1593. 5 Erasmo, Adagia, op. cit., p. 699. 6 Erasmo, Adagia, op. cit., p. 699. 7 S. Zweig, Erasmo da Rotterdam, Fabbri Editori, Milano 2001, p. 153. 8 M. Lutero, Il servo arbitrio, op. cit., p. 109. 9 Lutero, Scritti politici, UTET, Torino 1959, p. 485. 10 Lutero, Scritti politici, op. cit., p. 487. 11 Erasmo citato in Zweig, Erasmo da Rotterdam, op. cit., p. 154. 12 Erasmo, Adagia, op. cit., p. 405. 13 Erasmo, L’educazione del principe cristiano, edizioni di pagina, Bari 2009, p. 207. 14 Erasmo, “Sull’amabile concordia della Chiesa”, in Scritti teologici e politici, op. cit., p. 779. 15 Erasmo, L’educazione del principe cristiano, op. cit., p. 243. prospettiva •persona•