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La politica non violenta in Erasmo da Rotterdam

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La politica non violenta in Erasmo da Rotterdam
St udi
Per una civiltà dell’amore
Erasmo da Rotterdam
o dell’attitudine politica non violenta
Settimio Luciano – Professore di Filosofia, ITAM, Chieti
Agli occhi dei contemporanei, coi quali pure polemizzò, apparve spesso
un tiepido e un debole e un ignavo, perché riluttante a schierarsi in una
qualsivoglia truppa e a marciare con lo stereotipato passo dell’avversione.
A distanza di secoli, il tempo gli regala una sublime vendetta, e offre a noi il
delicato modello del miglior umanesimo europeo.
Erasmo da Rotterdam è uno
dei più grandi umanisti del XVI
secolo e nella sua azione culturale e tante volte diplomatica è
sempre stato uomo di mediazione, perseguendo processi di
pacificazione senza mai accettare
l’uso della violenza. In varie sue
opere è rilevabile una visione sociale e spirituale imperniata sulla non violenza e legata ad una
idea di società fatta di equilibrio
fra giustizia e misericordia; e che
propugna la ripartizione delle ricchezze. Quest’ultimo argomento
è anch’esso legato dall’umanista
olandese, come si vedrà, alla questione della pace perché una vita in cui ognuno realizza, ad un
livello fondamentale, il rispetto
di quelle regole che permettono
l’esplicazione di una esistenza serena, porta ad un respiro sociale
di pace e libertà.
In Erasmo la non violenza era
un’attitudine: un atteggiamento
profondo, coinvolgente pensiero e
vita, da lui perseguito in ogni circostanza e in ogni tipo di problema da affrontare. Attitudine non
è, in tal senso, un’azione sorta per
impulso o espressione effimera e
legata al momento. Indica, piuttosto, il dinamismo proveniente dal
centro della persona e che esprime
le sue profondità, la sua libertà, la
sua situazione esistenziale (con il
26
cumulo di gioie, crisi e sofferenze
che vi convivono) e le convinzioni
che desidera concretizzare fra confronto con la durezza della realtà e
senso di speranza. Questo attingere
alla vita fa nascere nuove categorie
di pensiero che orientano l’uomo
attraverso visioni esistenziali e sociali corroborate da fiducie, affidamenti e riflessioni razionali.
Ciò che si desidera tentare qui
è valutare la capacità ispiratrice
di pace del pensiero erasmiano
affinché sia possibile emulare la
sua attitudine non violenta e possa diventare messaggio e testimonianza per quanto si vive o si va
dipanando nel tempo odierno e
che non è molto rassicurante per
il livello di rabbia e aggressività
che sta aumentando.
La violenza nel mondo odierno
Se si volesse esaminare la tipologia della violenza che ferisce
società e relazioni umane, ci si
trova dinanzi ad una molteplicità
variegata. Vi è la violenza generata
dalla disperazione del non avere
prospettive future: questa violenza non è legata necessariamente
ad una situazione di indigenza ma
al sentirsi aggrediti a livello sociale
perché viene sottratto il futuro o
meglio il senso del futuro vivibile e
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con esso la speranza. Vi è la violenza generata da ideologie xenofobe e
omofobe che sfogano rabbia e aggressività prendendo come capro
espiatorio gli immigrati, il mondo degli omosessuali e gli zingari.
Rispetto a questo si può ricordare
l’indifferenza con cui si è reagiti in
Italia al sapere dell’affondamento
di un barcone che portava più di
200 immigrati: non restare feriti a
livello collettivo per quanto accaduto la dice lunga sulla attenuazione della capacità di indignarsi da
parte del popolo italiano. Si può
ricordare un altro episodio accaduto a Firenze in cui è stato perpetrato un atto criminale contro un
gruppo di immigrati senegalesi, da
parte di Gianluca Casseri che poi
è stato osannato su Facebook come
“l’eroe bianco”1: qui oltre all’atto
criminale compiuto è significativa
la condivisione di quel gesto che ne
è seguita e che è indicativa del tipo
di mentalità “arrabbiata” o scatenatrice di violenza che va emergendo nel vivere sociale italiano. Vi è la
violenza causata da una condizione di povertà per licenziamenti o
per la mancanza di prospettive di
lavoro per cui si perde lo stipendio (o parte di esso). Qui ci si può
aprire a forme di disperazione che
possono condurre verso il suicidio, verso furti nei supermercati
prospettiva
•persona•
Studi
o a banche provocando ferimenti
gravi o omicidi.
La violenza contiene in sé la
pericolosa illusione di poter cambiare le sorti della storia attraverso il versamento di sangue. Sotto
questo aspetto la violenza non ha
cambiato più di tanto le situazioni
storiche: alla fine il “cambiamento” si riduce all’instaurazione di
nuove forme di potere che non
eliminano la famosa distinzione
marxista di oppressi e oppressori. Se la violenza fosse davvero
capace di mutare le sorti della
storia e generare società dove si
respira maggiore giustizia e non
sopraffazione, il nazismo e il comunismo non sarebbero morti. Il
primo è terminato per la reazione
interna ed esterna contro la sua
violenza strutturale. L’altro è crollato per l’implosione dovuta non
solo a cause socio-economiche
ma anche di identità ritrovata
nell’antico territorio della nazione
d’appartenenza. A ciò bisogna aggiungere anche una trasandatezza
di vita legata ad un non riuscire a
concepire un senso per la propria
esistenza. La cupezza che si respirava nel grigiore non solo fisico
delle città rinchiuse nella cortina
di ferro, era espressione anche della disperazione sociale legata ad
una sorta di nube fatalistica che
incombeva sulla esistenza controllata dal così detto “occhio del
potere”.
Se nazismo e comunismo
desideravano una società dove
si respirasse maggiore armonia
e giustizia (ognuno con visioni
o ideologie differenti), l’errore fondamentale da parte loro è
stato quello di usare la violenza
in maniera strutturale per perseguire un tale fine. La forza di
una politica non violenta è basata sul fatto che la violenza non
fa altro che aumentare la violenza: non si può perseguire mai la
pace usando la violenza. Questo
è, tutto sommato, anche l’idea
di Erasmo e il perseguire la pace
con spirito di equilibrio, pazienza
e fiducia nell’uomo, è quanto può
prospettiva
•persona•
suggerire, in un contesto come
quello brevemente delineato, un
uomo del 1500 d.C. che ha vissuto nel coacervo di discussioni
teologiche (condotte a colpi di
ignoranza e violenza verbale) e
di guerre fatte in nome di Dio.
L’attuale contesto storico-culturale è diverso da quello del grande
umanista ma vi sono alcuni argomenti e modalità di azione che
possono suggerire il poter credere
ad una visione e ad un’attività non
violente di cui s’avverte l’esigenza
anche oggi: se lo ha fatto un uomo
in pieno XVI secolo è uno sprone
a far emergere un messaggio ad
un mondo ancora tremendamente dilaniato da guerre e violenze
di vario genere come quelle precedentemente accennate.
L’avversione per la “guerra giusta”
Ricordare la figura di Erasmo
da Rotterdam significa avere presente il coraggio di esprimere un
messaggio di non violenza, di
invito costante all’equilibrio e
al mettersi nei panni degli altri
consapevole del fatto che questo
si lega ad un determinato modo
di intendere e vivere la società in
cui vi potrà essere maggiore pace
nella misura in cui vi è, assieme
ad altri aspetti, la non concentrazione delle ricchezze nelle mani di
pochi. Si parla di coraggio perché
il contesto storico-sociale in cui
operava il celebre umanista era
pieno di guerre che scoppiavano
per motivi di espansione politica o per conflitti religiosi che
scatenavano violenze efferate. In
un contesto del genere Erasmo
fa sentire la sua voce per parlare
apertamente della sua avversione nei confronti della nozione di
“guerra giusta”. In questo modo
egli si poneva in netto contrasto
con tutta una tradizione della
Chiesa cattolica dove autori del
calibro di S. Agostino, S. Bernardo
di Clairvaux e S. Tommaso d’Aquino, difendevano il concetto
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di guerra giusta. Per Erasmo è
uno scandalo vedere dei cristiani
combattersi a vicenda portando
il vessillo della croce. È quanto
Erasmo rileva nel “Lamento della Pace” dove parla di eserciti che
sulle «bandiere pongono la croce. L’empio armigero, assoldato
al macello e alla carneficina in
cambio di poca moneta, si fa precedere dal segno della croce: ma
tu soldato scellerato, cos’hai a che
fare con la croce? Serpi, tigri e lupi
sarebbero state insegne adatte ad
animi e comportamenti siffatti.
Essa, al contrario, è l’emblema di
Colui che non vinse combattendo,
ma morendo: che recò salvezza,
non perdizione: di Colui che, in
particolare, avrebbe potuto insegnarti quali sono i nemici che devi
combattere, se sei davvero cristiano, e qual è il modo per vincerli.
Tu porti il simbolo della salvezza
nel muovere alla perdizione del
tuo fratello e distruggi con la croce colui che dalla croce era stato
salvato»2.
Anche la guerra contro i
Turchi che in quell’epoca erano
il terrore dell’Europa cristiana a
causa dell’invasione che stavano
attuando, era ritenuta ingiustificata dal noto umanista. Rispetto
ai Turchi per Erasmo è più utile – e più coerente al cristianesimo – cercare di affascinare con la
forza della carità e della giustizia
cristiane che vede in ogni uomo
un fratello. Se si desidera evangelizzare i Turchi non si devono
esibire né ricchezze, né soldati, né
violenza ma, piuttosto, «il desiderio di fare il bene anche ai nemici,
la capacità di sopportare le offese,
il disprezzo del denaro e della gloria, l’umiltà di vita»3. Per esporre
un pensiero del genere dopo che
già da 50 anni Maometto II aveva conquistato Costantinopoli e
dopo che i Turchi erano giunti
alle porte di Vienna, ci voleva un
grande coraggio come quello che
oggi la coscienza ci invita ad esplicare nel trattare con rispetto le
grandi questioni legate all’immigrazione o meglio alle migliaia di
27
Studi
volti provenienti dall’Africa o da
altre parti del mondo per concretizzare il desiderio di lavorare. In
un opera scritta successivamente
alla presa di posizione di avversione della guerra contro i Turchi,
tornerà a ritenere comunque ingiustificata la guerra ammettendo
solo la difesa della “Repubblica
cristiana”. La guerra deve essere
intrapresa solo dopo che ogni
tentativo per evitarla è risultato
inutile. L’umanista olandese specifica che se «una necessità inevitabile spinge alla guerra, spetta comunque alla mitezza cristiana dar
fondo a tutte le sue forze per far si
che lo scontro coinvolga il minor
numero possibile di persone e si
concluda quanto prima e con il
minor spargimento di sangue»4.
Visione positiva dell’uomo e linguaggio rispettoso verso l’altro
Altro aspetto proveniente dal
pensiero erasmiano, importante
anche per quanto si sta vivendo
attualmente, è l’aver conservato
sempre una visione equilibrata e
positiva dell’uomo e soprattutto
della sua libertà. Questo emerge
nelle opere di maggiore spessore
politico-morale dove si privilegia
una visione positiva delle relazioni umane: la fragilità e i limiti
umani sono riletti come ciò che
spinge gli uomini a suscitare relazioni di amicizia e armonia fra loro. Erasmo presenta l’uomo come
connaturato all’amicizia, andare
incontro all’altro e all’esigenza di
accoglierlo. Ne è prova la figura
del corpo umano che differentemente da quello posseduto dagli
animali, non ha molte protezioni
naturali e sotto questo aspetto
non appare collegato alla violenza.
L’uomo nella sua infanzia è particolarmente debole, vulnerabile
e ha la necessità di essere difeso
e protetto dagli altri. In tal senso
l’olandese sostiene che la natura «ha voluto che l’uomo non le
fosse debitore della vita: ha preferito che egli dovesse la vita alla
28
benevolenza, affinché comprendesse di essere stato concepito per
provare gratitudine e per sentirsi
legato agli altri uomini. Dunque
gli ha dato un aspetto non tremendo e orribile, come alle altre bestie, ma mite e placido, che
dimostra a prima vista l’inclinazione all’amore e all’amicizia»5.
Tutto il corpo, dunque, esprime
uno slancio d’amore: le braccia
sono fatte per abbracciare, le labbra per donare l’affetto con un
bacio e le lacrime sono richiesta
di clemenza e misericordia. Infine,
cosa più importante, «la natura ha
attribuito all’uomo la parola e la
ragione, che più di ogni altra cosa
ha il potere di suscitare e accrescere la benevolenza e di evitare
che gli uomini usino la violenza»6.
Una visione positiva dell’uomo e della sua capacità di essere libero, è quello che emerge
fortemente anche nella diatriba
avuta con Lutero sulla questione
del libero arbitrio e della diversa
maniera di considerare la violenza nuovamente della guerra.
Quando Erasmo deve prendere
posizione rispetto a Lutero, riflette sull’argomento della libertà
per dire che anche dopo il peccato originale, essa non è oscurata
del tutto e l’uomo resta capace di
intravedere il bene e di tentare di
concretizzarlo. Qui è importante
non solo sottolineare la visione
positiva rispetto all’uomo che
viene da tale riflessione, ma anche
il modo di trattare tali questioni
che deve essere equilibrato e non
scatenatore di violenze. Rispetto
a questa maniera di argomentare
c’è una grande distanza tra il parlare forbito ed elegante di Erasmo
e il linguaggio luterano colmo di
profondità teologiche ma “condito” di espressioni violente. Infatti
Lutero riempie Erasmo di oltraggi
definendolo “cimice che puzza da
morto più che da vivo”, “aspro nemico di Cristo” e giunge persino
a maledirlo7. Il massimo di tale
distanza viene raggiunto quando
Lutero, prendendo in giro l’irenico Erasmo, sostiene di vedere
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negli sconvolgimenti violenti che
si andavano attuando, il procedere
della Parola di Dio contro il Regno
di Satana e dice: «Voler sedare
questi tumulti, non significa altro che voler eliminare e proibire
la parola di Dio. Poiché la parola
di Dio, ogniqualvolta viene, viene
per mutare e rinnovare il mondo.
Anche gli scrittori pagani dichiarano che non possono avvenire
mutamenti nello stato delle cose
senza disordine e tumulto, anzi
senza spargimento di sangue. (…)
E io, se non vedessi questi tumulti,
direi che la parola di Dio non è
nel mondo. Ora, dal momento che
li vedo, gioisco nell’animo e non
vi bado affatto, sicurissimo che il
regno del papa con i suoi accoliti
sta per cadere»8.
Questo moto di violenza si
esprime ancora più fortemente
quando il teologo sassone si scaglia contro la rivolta dei contadini invitando i principi tedeschi a
reprimerla nel sangue. Siccome i
contadini con la loro rivoluzione
hanno portato sangue e strage ecco che per “spegnere” l’incendio di
tale sedizione «chiunque lo può
deve colpire, scannare, massacrare
in pubblico o in segreto, ponendo mente che nulla può esistere
di più velenoso, nocivo e diabolico d’un sedizioso, giusto come
si deve accoppare un cane arrabbiato, perché, se non lo ammazzi,
esso ammazzerà te e con te tutto
il paese»9. Contro la protesta dei
contadini che dicono che le cose
sono libere e create per tutti, e
che vi è una uguaglianza basata
sull’aver ricevuto lo stesso battesimo, Lutero replica che Cristo, con
l’espressione “Date a Cesare quel
che è di Cesare”, ci ha consegnati
all’autorità politica a cui si deve
soggiacere. Proprio per questo il
Riformatore giustifica ed auspica un’azione punitrice contro di
loro esprimendosi in questi termini: «non intendo impedire a
quell’autorità, che lo possa e lo
voglia, di punire e colpire questi
contadini, senza neppure offrire
loro in precedenza giustizia ed
prospettiva
•persona•
Studi
equità, anche se essa non seguisse
il Vangelo, perché ha comunque
tutte le ragioni per farlo (…)»10.
Questo atteggiamento non
verrà mai accettato dall’umanista
olandese e imputerà a Lutero l’aver suscitato un movimento che
ha provocato guerre e violenze. In
una lettera inviata al teologo sassone, egli metterà da parte le offese
ricevute dal tedesco e si esprimerà
in questi termini: «Quel che è stato tra noi due non ha importanza,
e tanto meno per me, già prossimo
alla morte; ma quello che suscita
scandalo in ogni uomo dabbene
come in me medesimo, è vedere
che il tuo contegno pretenzioso,
impudente e ribelle distrugge il
mondo intero… e che per volontà
tua questa bufera non giunge alla
soluzione pacifica per cui io ho
combattuto… La nostra contesa
è affare privato; mi turba invece
l’angustia generale, l’inguaribile
confusione, che noi dobbiamo
soltanto alla tua indole indomabile, incapace di lasciarsi guidare
da buoni consiglieri… Vorrei augurarti uno spirito differente dal
tuo, di cui sei tanto soddisfatto, e
tu puoi in cambio augurarmi quel
che ti aggrada, fuorché la tua forma mentale, a meno che Iddio te
la cambi»11.
Qui si desidera sottolineare
l’uso di un linguaggio suscitatore
di violenza e della diversa maniera
di incidere sul popolo: anche questo è una misura indicatrice del
modo più o meno responsabile
di gestire discussioni e problemi di natura religiosa e politica.
Erasmo non abbandonerà mai il
tono equilibrato e mite anche di
fronte ad attacchi virulenti a cui
l’umanista era più che abituato.
In situazioni del genere il senso di
solitudine è grande ed esige una
fortezza psicologica per non rispondere con la medesima violenza a chi aggredisce interrompendo
il discorso o usando un linguaggio
che non dovrebbe avere chi assume cariche pubbliche.
prospettiva
•persona•
Una società senza monopoli e col
senso del perdono sociale
Accanto a queste considerazioni è importante ricordare la
visione sociale erasmiana che non
andava contro la proprietà privata
ma combatteva i regimi di monopolio che generano povertà e affamano la gente. Questo provoca
una situazione in cui pochi ricchi
possiedono e vogliono avere tutto
per sé; mentre la gente comune è
soggetta ai pericoli sociali della
povertà, delle tasse e al rischio di
essere derubati dai briganti. In un
regime simile aumentano i funzionari corrotti per i quali «un’azione non potrà essere indegna,
purché se ne ricavi ricchezza, cioè
purché cresca la disperazione dei
poveri e si impingui la lussuria dei
notabili e dei banditi di cui i principi si circondano»12. Proprio per
questo nel discorso sulle imposte
viene sottolineato che chi governa deve chiedere il meno possibile ai cittadini togliendo le spese
improduttive e astenendosi dalle
guerre. Se è proprio necessaria la
tassazione non deve riguardare
gli “umili” ma piuttosto i ricchi
per richiamarli ad uno stile di
vita più austero: costringere alla
fame e all’indigenza i meno ricchi
è disumano e pericoloso. Anche
in questo discorso si nota l’attenzione erasmiana a non provocare
la violenza né tramite le guerre,
né creando situazioni sociali di
povertà. Per realizzare questo bisogna «fare in modo che non ci sia
troppa disuguaglianza nella società. Non che io immagini di togliere
ad alcuno le ricchezze con la forza:
piuttosto si deve far si che le ricchezze di molti non cadano nelle
mani di pochissimi»13. Tutto questo è generatore di unità. Infatti,
ciò «che è più utile per assicurare
la concordia è che sia riconosciuto
il diritto di conservare e disporre
delle proprie ricchezze a quanti le
posseggono legittimamente, perché ne condividano per carità la
fruizione di tutti»14. Nella linea
di questa logica le tasse devono
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essere minime sui beni utilizzati
abitualmente dalla gente e devono
essere più elevate nei confronti dei
beni di lusso e di piacere.
Intrinseco al discorso sul sociale vi è l’argomento della valenza sociale del perdono: infatti,
le leggi per Erasmo devono avere
uno sfondo educativo che spinge,
anche attraverso riconoscimenti, a
compiere il bene comune. Questo
verrà estrinsecato tenendo conto
dell’animo delle persone proponendo a quelli di animo nobile la
prospettiva della gloria; a quelli
più “materiali” la possibilità di
guadagnare denaro. Questa posizione lascia comprendere perché
«la legge deve essere più incline a
perdonare che a condannare»15.
Senso del percorso
Il senso di questo breve percorso di attraversamento e confronto con alcuni aspetti del
pensiero erasmiano, può essere
estrinsecato in varie linee che
possono diventare una attitudine
relazionale (e dunque anche politica nel senso stretto del termine)
ispirata alla non violenza anche
nel marasma di vicissitudini storiche ed esistenziali che condurrebbero a giustificare l’uso della
forza prevaricatrice.
Si può iniziare con l’argomento, che può apparire di natura
schiettamente filosofica ma che
ha delle ripercussioni notevoli sul
modo di intendere ed estrinsecare
la vita umana, riguardante il fatto che nella vicenda di Erasmo la
libertà non dipende dalla situazione: l’uomo, qualsiasi condizione anche aspra e difficile stia
attraversando, resta pur sempre
libero. Può essere ferito, colpito
dalle tempeste della vita ma rimane fondamentalmente libero.
Credere fino in fondo alla libertà
significa trovare sempre la capacità di reagire senza perdere di vista
la propria umanità e cioè senza
interpretare drammaticamente
la vita come se fosse un cunicolo
29
Studi
che sfocia inevitabilmente nel fallimento e nella morte. Questo è
un atteggiamento esistenziale di
fondo che può esprimersi, a livello
politico e cioè di relazione pubblica e di potere rispetto agli altri,
nella attitudine politica della non
violenza. Una visione siffatta della
libertà e dell’uomo è ciò che aiuta a suscitare il dinamismo della
speranza che nel modo di comunicazione politica e nella gestione delle relazioni pubbliche, è di
fondamentale importanza: vince,
a livello politico, chi è capace di
suscitare la speranza. Se si riflette bene i movimenti politici che
hanno avuto successo è perché,
anche in mezzo a limiti e visioni
ristrette o devianti dal punto di
vista socio-politico, hanno saputo
provocare beneficamente il dinamismo della speranza anche se
l’hanno usata strumentalmente.
Questo è estremante importante
per superare quel senso fatalistico di sentirsi imprigionati dalle
leggi e dai parametri economici
o dalla propria condizione interpretata come tragica necessità e
passività. Riacquistare questo senso di libertà e di forza di speranza
significa giocare con il limite del
senso di schiavitù e di necessità
che imprigiona, trovando in ogni
situazione le vie per generare l’incontro con gli altri partecipando
o proponendo la costruzione di
progetti diversi rispetto a quelli
che sono divenuti mera oppressione. Se non si riacquista questo
spirito di libertà appare naturale
andare verso l’incapacità di indignarsi e di reagire protestando e
proponendo nuove visioni nelle
situazioni che si vivono oggi.
Ciò che esprime in maniera
eclatante la libertà dalla situazione
o il sentirsi e muoversi con libertà
nella situazione, è l’atteggiamento
del perdono. Acquisire l’attitudine
del perdono non è facile perché la
vendetta oltre ad essere una passione irresistibile, è frammista alla
richiesta di legittima giustizia per
il torto subìto. La categoria del
perdono è presa, nell’ambito di
30
questa riflessione, nella sua valenza sociale: quella sottolineata
dallo stesso Erasmo. Perdonare
non è rinnegare il senso di giustizia che nell’ambito delle relazioni
umane ferite va sempre perseguita. È, piuttosto, non ridurre mai
l’altro che ha fatto del male, ad
un “insetto” da schiacciare; ma
significa continuare a fissarlo come persona, come volto umano
che dice deficienza ma che appella
anche al rispetto della sua unicità
e originalità che si estrinseca nel
comandamento interiore di “non
uccidere”. Perdonare è disporsi
ad un confronto con l’altro (anche solo interiore all’inizio) in
cui non si perde il senso della sua
umanità perché se lo si perde o
si decide di gettarlo via per relegarsi nella rabbia, si perde anche
il senso della propria umanità. Il
perdono richiama ad una maturità di rapporto che sa trattenere
il voler rispondere al male generando altro male. Perdonare significa immettere la novità nelle
relazioni umane nell’ansia di voler
confrontarsi col passato nel desiderio di trasfigurarlo e cioè di trasformarlo in limite in cui la libertà
trova la maniera di esprimersi in
termini di equilibrio nonostante
la durezza del male fatto o subìto.
Il perdono immette un dinamismo sociale che rispetta senso di
alterità e giustizia che disconnette
le possibili violenze che si agitano quando cambiano i regimi di
potere e dilaniano tragicamente le
nazioni con conflitti che non sono mai espressione della giustizia
richiesta.
In sintesi ricordare il pensiero e
la figura di Erasmo da Rotterdam
significa pensare possibile, anche
in mezzo all’intolleranza e al non
rispetto della minoranza di ogni
tipo, una modalità espressiva della
politica fondata, nonostante tutto,
su una visione positiva dell’essere
umano che susciti non sentimenti
negativi scatenando le “parti basse” del popolo, ma un dinamismo
di pace basato sulla fiducia e sulla
speranza del confronto e su una
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maniera di affrontare e – quando
è possibile – di risolvere i problemi. Qui l’attitudine spirituale-psichica e sociale che illumina la relazione secondi un regime di pace,
è quello del perdono superando i
sentimenti di vendetta senza che
questo significhi abbandono del
senso della giustizia: il senso alto
dell’alterità e dell’accoglienza è
legato proprio al dinamismo del
perdono. È in questo modo che si
potrà concretizzare, in una unità
di intenti che avvolge e stimola
credenti e non credenti, la civiltà
dell’amore.
Note
1 Si fa riferimento ad una espressione
comparsa sul sito Stormfront da parte di
un utente che si firma Longobard e ha
scritto: «Casseri eroe bianco vittima di
un complotto volto a nascondere la verità…, e cioè che Firenze è ormai contesa
tra bande di sporchi negri criminali. È
ora che qualcuno faccia pulizia di questa
immondizia negra» (Unità del 13 dicembre 2011).
2 Erasmo da Rotterdam, Il lamento
della pace, TEA, Milano 1997, p. 78-79.
3 Erasmo, Adagia, Salerno editrice,
Roma 2010, p. 803.
4 Erasmo, “Utilissimo parere sull’opportunità di muovere guerra ai Turchi”,
in Scritti teologici e politici, Bompiani,
Milano 2011, p. 1593.
5 Erasmo, Adagia, op. cit., p. 699.
6 Erasmo, Adagia, op. cit., p. 699.
7 S. Zweig, Erasmo da Rotterdam,
Fabbri Editori, Milano 2001, p. 153.
8 M. Lutero, Il servo arbitrio, op. cit.,
p. 109.
9 Lutero, Scritti politici, UTET, Torino
1959, p. 485.
10 Lutero, Scritti politici, op. cit., p.
487.
11 Erasmo citato in Zweig, Erasmo da
Rotterdam, op. cit., p. 154.
12 Erasmo, Adagia, op. cit., p. 405.
13 Erasmo, L’educazione del principe
cristiano, edizioni di pagina, Bari 2009,
p. 207.
14 Erasmo, “Sull’amabile concordia
della Chiesa”, in Scritti teologici e politici,
op. cit., p. 779.
15 Erasmo, L’educazione del principe
cristiano, op. cit., p. 243.
prospettiva
•persona•
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