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Il Piombo in Eta` Imperiale Romana

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Il Piombo in Eta` Imperiale Romana
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Corso di Scienze Applicate ai Beni Culturali AA 2013-2014
Docente Dr. Peana Massimiliano
Il Piombo in Età Imperiale Romana
Francesco Ara; n° matricola: 30047780; e-mail: [email protected]
RIASSUNTO
Il piombo è l’elemento chimico con numero atomico 82 e il suo simbolo è Pb.
Appartiene al 14° gruppo e al 6° periodo della tavola degli elementi. Metallo tenero,
pesante e malleabile, è di colore bianco azzurrognolo appena tagliato e grigio scuro
quando esposto all’aria. Generalmente, non si trova libero in natura, ma è noto fin
dalla più remota antichità. Fu scoperto in epoca molto antica (in Anatolia sono state
rinvenute perle di piombo databili al 6500 a.C.).
Il piombo fu presente in tutte le ere dei metalli e svolse un ruolo importante nel
progresso industriale e scientifico. Le sue proprietà lo hanno reso uno dei metalli più
usati nell’industria nelle epoche greca e romana. A causa della resistenza alla
corrosione e grazie alla sua duttilità è stato ampiamente usato per lavori idraulici e
costruzione di edifici e navi. Il suo basso punto di fusione ne ha fatto materiale per
saldature; inoltre, in molte civiltà, da solo o come lega, venne utilizzato per coniare
monete. L'impiego del piombo nel campo artistico fu sempre limitato e circoscritto, a
causa di difficoltà della lavorazione, per lo più ad oggetti di artigianato minore.
INTRODUZIONE
l suo nome deriva dal latino Plumbum e da questo deriva anche il suo simbolo.
L’utilizzo del piombo era legato in antichità a diversi scopi; la copertura dei tetti delle case
con piombo risale a tempi molto antichi: un notevole esempio era il palazzo di
Costantinopoli, eretto dall’imperatore Costantino. Molto antico anche l’uso del piombo per la
copertura di grondaie, dei pozzi neri o per fissare blocchi di metallo alle pietre. Ma le maggiori
applicazioni del piombo furono, in epoca romana, quelle collegate al rifornimento e distribuzione
dell’acqua nelle città.
Scavi archeologici, presso siti di tale periodo, hanno portato alla luce un vasto assortimento di
recipienti e vasi di piombo dove si conservavano profumi ed unguenti in vasetti in quanto il
piombo, ritenuto un metallo freddo, era quindi adatto al mantenimento, per un lungo periodo di
tempo, delle sostanze profumate. Veniva utilizzato anche per utensili da cucina: pentole,
posateria, contenitori per bevande. Di piombo erano ancora oggetti caratteristici o di uso
comune nella vita degli antichi, come piombi di dogana, sigilli, buoni, gettoni, biglietti di ingresso
ai giochi, tavolette per scrivere, lampade, ami, cassette per profumi e medicinali, urne
cinerarie, bullae (le piastrine di riconoscimento dei soldati), medaglie di devozione dei cristiani,
ancore ecc. Col piombo si facevano le glandes missiles (Fig. 1), che venivano lanciate con la fionda
e recavano a lettere in rilievo i nomi di capi militari, numeri di legioni, apostrofi.
I
Figura 1. Ghianda con scritta “ITAL”
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Il Piombo in Età Imperiale Romana
Di piombo erano le condutture d'acqua, fistulae aquariae (Fig. 2), che recavano i nomi talvolta
di imperatori, di procuratori imperiali, di privati proprietari delle case, dei terreni percorsi dalle
condutture o anche dell'officina e degli operai che lavoravano il piombo (plumbarii). Fu poi
impiegato nell'edilizia fin dai tempi più antichi per legare le grappe nei blocchi delle costruzioni,
nei tamburi delle colonne; nella toreutica (arte di lavorare il metallo con decorazioni, ecc), per
riempire con metallo fuso le cavità dei rilievi o applicare emblemata sui vasi d'argento (plumbare,
adplumbare) e nella lavorazione del vetro. Con il piombo fuso si suturavano le incrinature nelle
statue, nei doli, nelle anfore e nei vasi.
Da alcuni minerali del piombo gli antichi trassero sostanze coloranti quali: per il bianco, la
cerussa o biacca (carbonato basico di Pb); per il giallo, l'antimoniato di Pb e il massicot o litargirio
(protossido di Pb), usato dagli Egiziani, dagli Assiri e dai Babilonesi; per il rosso, il minio (ossido
salino di Pb); per il nero, il solfuro di Pb (conosciuto dagli Egiziani).
Figure 2. Fistulae, tubazioni in piombo per l’acqua.
1. Piombo e Saturnismo
Il saturnismo indica una grave intossicazione da piombo organico e metallico, un
avvelenamento a tutti gli effetti innescato dall’esposizione continua ed assidua del soggetto a
questo minerale. Il saturnismo è causato dal contatto, dall’inalazione o dall’assorbimento del
piombo attraverso le mucose, la cute o l’apparato gastro-enterico. Il termine “saturnismo” deriva
da “Saturno”, appellativo che gli alchimisti attribuivano al piombo. L'avvelenamento acuto
comporta anemia emolitica, nausea, vomito, fortissimi dolori addominali, convulsioni, disturbi
psichici ed insufficienza renale.
I romani conservavano frutta e verdura utilizzando sali di piombo, cucinavano in pentole con
piombo, lo aggiungevano al vino per fermare la fermentazione, lo utilizzavano per verificarne la
qualità, per dare colore o bouquet.
Alcuni storici attribuiscono al piombo, usato per tubazioni da acqua potabile, o all’acetato di
piombo, detto zucchero di piombo e usato per addolcire il vino, una delle cause di demenza che
afflisse molti degli imperatori romani. Solo per riportare dei nomi famosi, è stato ipotizzato che
alcuni imperatori romani come Tiberio, Caligola, Domiziano, Commodo e forse Nerone erano
affetti da saturnismo e per questo motivo si pensa che questa malattia fosse molto diffusa tra i
ricchi romani. Fare un distinguo con i poveri è indubbiamente un elemento importante poiché
secondo gli ultimi studi, la teoria dell’avvelenamento “in massa” da piombo di “tutti” i romani,
non solo quelli più agiati, sembrerebbe non reggere.
L’acqua che bevevano gli antichi romani conteneva una quantità di piombo 100 volte
superiore rispetto a quella presente nelle sorgenti, ma non costituiva comunque una seria
minaccia per la salute. A descrivere esattamente per la prima volta la qualità dell’acqua
dell’antica Roma e’ la ricerca coordinata dall’università francese Lumiere, di Lione, e pubblicata
sulla rivista dell’Accademia delle scienza degli Stati Uniti, PNAS. I ricercatori si sono basati sui
campioni dei sedimenti prelevati dall’antico Canale Romano, che collegava il Tevere alla Fossa
Traiana, nelle vicinanza del Porto di Traiano e del Porto di Claudio, nella zona in cui oggi si trova
Fiumicino. I dati sono stati inoltre confrontati con quelli ottenuti analizzando i sedimenti nella
zona che precede il delta del Tevere e cinque tubature di piombo del periodo compreso fra primo
e secondo secolo. Quello che emerge, scrivono i ricercatori, è ”un diffuso aumento della quantità
di piombo presente nel sistema di distribuzione dell’acqua potabile”. Questo attesta in modo
indiscutibile il generale inquinamento da piombo nell’acqua dell’antica Roma, anche se le
Francesco Ara
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concentrazioni di questo metallo erano a livelli non tali da rappresentare una minaccia per la
salute.
1.1 Inquinamento Romano dell’isola dell’Islanda
Un’importante ricerca effettuata in l’Islanda da una equipe guidata dal geofisico, prof. William
Marshall, docente nella Università di Plymouth, ha mostrato tracce di inquinamento atmosferico
da piombo nei nuclei sedimentari di una palude salmastra, molto probabilmente originato
durante il I e II secolo dell’era cristiana in seguito a lavori sui minerali e su metalli.
La ricerca apparsa nell’aprile 2009 sulla rivista Science of The Total Environment, indicò che il
piombo aveva una lontana origine. Il prof. Marshall, affermò che questo è un esempio di
inquinamento atmosferico proveniente da lontano e mai rilevato in passato. Alcuni esempi di
inquinamento atmosferico da piombo in epoca Romana sono stati trovati in alcuni depositi di
torba in Europa, in vari sedimenti nei laghi Svedesi e in nuclei di ghiaccio antico della Groenlandia
(le fornaci all’aria aperta rilasciavano nell’atmosfera circa il 5 per cento del piombo lavorato; un
totale di quattrocento tonnellate di piombo, avrebbe raggiunto la Groenlandia durante ottocento
anni di attività estrattiva). Comunque questo esempio di sedimenti contaminati raccolti nella
località di Vidarholmi, sulla costa occidentale dell’isola, dimostrò con quale rapidità e quale
distanza possa percorrere una particella inquinante, affermò Marshall. Questo sito tanto remoto
è stata anche la dimostrazione di quanto si sia innalzato il livello dell’Atlantico durante i secoli.
“Sebbene il piombo possa presentarsi in natura come un sottoprodotto della lavorazione
dell’oro, argento, rame e il minerale di stagno, questo metallo duttile e malleabile ha inquinato
l’atmosfera sin dagli albori della metallurgia” ha dichiarato il prof. Marshall. Quest’ultimo e i suoi
colleghi hanno usato gli indicatori isotopici del piombo e i tempi del suo deposito all’interno del
sedimento per determinare il collegamento del campione islandese con la sua probabile
datazione in epoca Romana.
Al culmine dell’Impero, i Romani spedivano lingotti di piombo in grande quantità dalle
miniere di Mendip, in Britannia, di cui la maggior parte veniva impiegata nei lavori di idraulica.
Secondo alcune analisi effettuate sui ghiacci della Groenlandia da parte di un’equipe di
studiosi francesi, gli antichi romani potrebbero essere i principali responsabili del primo caso
d’inquinamento atmosferico del pianeta. I risultati delle ricerche effettuate dimostrano che
l’ammontare di questo elemento chimico presente nell’atmosfera tra il 1500 a.C e il 300 d.C.,
corrispondeva circa al 15 per cento dell’inquinamento da piombo registrato nel nostro secolo ad
opera delle emissioni nocive delle benzine. È dunque emerso che il livello di piombo presente
nell’atmosfera dell’antica Roma era quattro volte superiore al livello che si può rinvenire per
cause naturali. L’inquinamento fu causato dall’intenso sfruttamento a cui erano sottoposte le
miniere, nel corso dei secoli.
Una teoria (di discussa probabilità) afferma addirittura che il declino dell’impero potesse
essere dipeso dall’inquinamento dell’acqua dal piombo contenuto nelle condutture.
2. Centri di produzione e lavorazione del Piombo
I principali centri di produzione del piombo nel mondo antico (μολύβδον μέταλλα,
plumbaria o plumbaria metalla) erano in Attica (miniere di piombo argentifero del Laurion), in
Macedonia, a Cipro, a Rodi, in Gallia, in Britannia (ove, secondo quanto riferisce Plinio se ne
produceva con tanta abbondanza che una legge vietava di fabbricarne più di una certa quantità),
nella Spagna meridionale, nell'Africa, in Etruria, in Sardegna, all'Isola d'Elba, alla Capraia, alle
Baleari, alle isole Cassiteriti.
Le miniere di piombo argentifero di Cartagena occupavano in epoca romana quarantamila
schiavi. L'estrazione avveniva sottoponendo a lungo trattamento il minerale, generalmente la
galena, e il metallo veniva poi messo in commercio in verghe e lingotti, (massae plumbeae Fig. 3)
contraddistinti dalla marca stampigliata dell'officina o da nomi di imperatori, procuratori o
privati. Si comincia a parlare di coppellazione, cioè del procedimento di estrazione dell'argento
dal piombo dai tempi di Strabone, ma forse la si praticava già sin dal III millennio nell'Asia Minore
nordorientale; già all'epoca di Ciro il piombo serviva per affinare l'oro.
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Il Piombo in Età Imperiale Romana
Figura 3. Massae plumbae
Secondo calcoli prudenziali, in epoca imperiale, furono estratte dai sei agli otto milioni di
tonnellate di piombo.
Il piombo e l’argento venivano ottenuti in massima parte dalla fusione della galena (minerale
composto da solfuro di piombo). Le tecniche d’arrostimento e di riduzione che si svilupparono a
tale scopo nell’antico Vicino Oriente si erano, nel periodo miceneo, propagate verso l’ovest: a
Greta, nell’Egeo e nella Grecia continentale. La maggior parte dei piccoli giacimenti insulari di
galena, quali quelli di Taso, nell’era classica risultavano già esauriti o sommersi dal mare. Galena
e argento provenivano anche dall’Ungheria, dal Tirolo, dai monti Harz, dalla Britannia e dalla
Francia. Le miniere d’argento della Sardegna, e soprattutto quelle della Spagna, ebbero una
notevole importanza nell’economia romana.
L’arrostimento trasformava la galena, parte in litargirio e parte in solfato di piombo, mentre con
la fusione, ottenuta aumentando la temperatura, allorché si raggiungeva il giusto grado di
desolforizzazione, si otteneva il piombo. Il trattamento veniva eseguito in forni primitivi costruiti
con argilla e con pietre. In molte località dell’Impero Romano, come ad esempio in Britannia, i
forni venivano costruiti sui versanti delle colline in modo da utilizzare i venti prevalenti per il
tiraggio. Il piombo grezzo, chiamato plumbum, conteneva da 45 a 80 once di argento per
tonnellata. Per estrarre la galena i romani la riscaldavano in un apposito forno con un getto di
aria calda per ossidare il piombo che veniva in seguito separato.
Tale procedimento può essere ripetuto fino a che il contenuto di argento non raggiunga la
percentuale compresa tra l’1 e il 2 per cento. La lega così ottenuta può essere così coppellata per
ottenere l’argento, e il litargirio formatosi può essere nuovamente trasferito al forno di fusione.
Sebbene gli antichi metallurghi fossero in grado di disargentare nel modo più efficace il piombo
grezzo, l’estrazione di quest’ultimo dal minerale risultava molto dispendiosa, dato che una buona
parte d’argento andava perduta con il piombo nelle scorie d’arrostimento e fusione iniziali. Nel
Laurio, ad esempio, per ottenere piombo discretamente puro era necessaria un’elevata
temperatura, in modo da assicurare una completa scorificazione delle impurezze. Per tale
motivo, oltre il 10% del piombo, e più del 33% dell’argento, rimanevano nelle scorie. I Romani
erano ben consapevoli di tali perdite e, con la loro maggiore esperienza, cercarono un metodo di
separazione più efficace.
Poco sappiamo circa la costruzione dei forni che venivano usati. Sembra che quelli del Laurio
fossero abbastanza alti e che la parte superiore servisse per la fusione, mentre quella inferiore
fosse usata per l’ossidazione prima della coppellazione. Ci viene riferito che in Spagna i forni di
fusione del piombo erano dotati di camini “affinchè il gas che si sprigiona dal minerale possa
essere trasportato in alto nell’aria, dato che esso è gravemente mortale.”
I Romani spesso usavano forni a pozzo scavati sul posto, e aventi tuyères per soffiare sulla
superficie in modo da ossidare il piombo e liberarlo dalle scorie durante la coppellazione.
3. Scoperta di una tomba in piombo
È stata annunciata la scoperta recente (2010), di un sarcofago di piombo del IV-V secolo d.C.
trovato nell’antica città di Gabii (18 km da Roma); tra le ipotesi su chi potesse contenere figurano
un gladiatore, un soldato o un vescovo (Fig. 4)
Francesco Ara
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Figura 4. Sarcofago di piombo rinvenuto nell’antica
Gabii (tra Roma e Preneste)
Le sepolture romane col piombo non sono
comuni: se ne conoscono solo poche centinaia.
Ancor più strano, la maggior parte di questi
sarcofagi hanno una base rettangolare e un
coperchio; in questo, invece, i 362 kg di piombo
avvolgono completamente il corpo.
Il piombo era peraltro un metallo di valore
all’epoca, perciò un intero sarcofago di questo
materiale è sicuramente un segno di qualcuno in un
certo modo importante.
Dentro a sepolture di piombo simili, rinvenute in
Europa, finora si erano trovati i resti di soldati,
membri dell’élite della Chiesa cristiana, e persino
gladiatrici – anche se nel IV-V secolo d.C. il periodo
d’oro dei gladiatori era già finito da cent’anni.
Scoprire qualche dettaglio sul defunto sarà difficile.
L’unico indizio, per ora, è un osso del piede “estremamente” intatto che sporge attraverso un
buco. Solitamente le sepolture nel piombo offrono una “preservazione straordinaria” dei tessuti
umani e dei capelli, anche se il buco potrebbe aver accelerato la decomposizione.
4. Piombo da nave romana in Sardegna
Vent’anni fa (1994) venne trovata, da un sommozzatore dilettante al largo della costa di
Oristano, una “navis oneraria magna”, nave romana di 36 metri di oltre 2000 anni fa che, tra l’80
e il 50 Avanti Cristo, trasportava un migliaio di pani di piombo (Fig. 5). La nave proveniva dalla
zona della Sierra di Cartagena, nell’attuale Spagna ed era probabilmente diretta a Roma. Nella
sua stiva erano trasportati, su un pavimento di rame, circa 2000 lingotti di piombo, assieme ad
anfore di vario tipo, quattro ancore, attrezzature di bordo e oggetti di uso quotidiano. La nave
era andata a fondo davanti all’isola che oggi si chiama Mal di Ventre, a un miglio o poco più dalla
riva. Gli archeologi ritengono, data la posizione delle ancore, ancora in posto presso la prua, e dei
lingotti ancora in parte impilati, che la nave sia affondata senza subire particolari traumi e per
cause difficilmente definibili (forse, si dice, per autoaffondamento da parte del comandante). Il
relitto, con tutto ciò che conteneva, è rimasto per due millenni sotto oltre trenta metri d’acqua in
un fondo sabbioso. Ogni lingotto di piombo ritrovato ha un peso di circa 33 kg ciascuno, è lungo
46 centimetri e alto nove centimetri. Il peso corrisponde alle 100 libbra romane, che era il peso
massimo trasportabile per legge da uno schiavo.
L’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare ha ricevuto, nei suoi Laboratori del Gran Sasso, 120
lingotti di piombo provenienti dalla nave. Il piombo è rimasto sotto il mare, assieme alla nave che
lo trasportava, per due millenni e ha diminuito di circa 100.000 volte la pur piccolissima
radioattività di partenza rappresentata da un suo
radionuclide, il piombo-210. Il contenuto di piombo210 si dimezza, infatti, ogni circa 22 anni e tuttora nei
lingotti sardi si è praticamente annullato. Proprio
questa caratteristica lo rende utilissimo per schermare
perfettamente esperimenti di grandissima precisione
come quelli ospitati dai Laboratori sotterranei del Gran
Sasso dell’INFN.
Figura 5 Il recupero dei lingotti di piombo dal relitto.
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Il Piombo in Età Imperiale Romana
Dei lingotti verrà staccata la parte anteriore con i marchi di cui sono adornati: le iscrizioni
verranno conservate, mentre il resto, una volta pulito dalle incrostazioni marine, verrà fuso per
farne lo schermo dell’esperimento internazionale CUORE. Uno studio sui neutrini le cui scoperte
potrebbero avere implicazioni nella conoscenza dell’elusiva particella e dell’evoluzione
dell’Universo.
L’INFN, inoltre, realizzerà nuove, importanti misure di precisione sul piombo ed eventualmente
anche su rame per uno studio comune sul materiale del periodo del bronzo.
La messa a disposizione di questo piombo è il frutto della collaborazione ventennale tra l’INFN, la
sua sezione di Cagliari, e la Sovrintendenza Archeologica di Cagliari, con il parere favorevole
della Direzione Generale alle Antichità.
CONCLUSIONI
Il piombo ha rappresentato per i romani un materiale di grande importanza. Esso fu tuttavia il
meno "attraente" dei metalli dell’antichità, nel periodo antecedente alla dominazione di Roma
antica, a causa della sua limitata durezza e mancanza di brillantezza. L’aumento del suo utilizzo e
produzione fu soprattutto come sottoprodotto del più prezioso metallo argento con il quale era
spesso associato. Dopo quell’epoca divenne merce di uso comune. Esso ebbe diverse
applicazioni: in architettura e ingegneria, nella scrittura (fogli e tavolette in piombo), per
recipienti, vasi e utensili domestici, alimenti e cosmetici. In definitiva, fu un elemento quasi
indispensabile nell’antica Roma.
Accanto però ai benefici e comodità che esso garantì, irrimediabilmente si rivelò, o meglio è
stato rivelato successivamente, un metallo altamente dannoso e causa degli effetti tossici dovuti
alla sua lunga esposizione. Gli svariati utilizzi, tra cui in ambito casalingo e il contatto coi cibi non
assicurarono ai Romani una “salute di ferro”. Un’altra significativa e negativa conseguenza fu
l’inquinamento derivante dalla sua estrazione.
Riferimenti
[1]
wikipedia, Il piombo
[2]
Guida.supereva.it, inquinamento da piombo al tempo dei romani
[3]
Corriere della sera, primo inquinamento da piombo dell’aria, i colpevoli sono gli antichi
romani. 1994
[4]
Enciclopedia Treccani,Piombo (enciclopedia dell’arte antica 1965)
[5]
Marshall WA, Clough R, Gehrels WR. Il record isotopico del piombo atmosferico ricaduta
su una palude di sale islandese dal 50 dC. Sci Total Environ. 2009 Apr 1;
[6]
Hong S, Candelone JP, Patterson CC, Boutron CF. Groenlandia prove nel ghiaccio di
inquinamento atmosferico da piombo due millenni fa, civiltà greca e romana. Science.
1994 Sep 23;265(5180):1841-3.
[7]
INFN (Istituto Nazionale Fisica Nucleare) www.infn.it
Francesco Ara
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