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Mattia Preti - La Venaria Reale

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Mattia Preti - La Venaria Reale
La Venaria Reale nel 2013
UN VIAGGIO IN ITALIA
TUTTO IN UNA REGGIA
Il Cavalier calabrese Mattia Preti.
Tra Caravaggio e Luca Giordano
Sale delle Arti, I piano
Dal 16 maggio al 15 settembre
La Venaria Reale – Comunicazione e Stampa
Piazza della Repubblica 4 – 10078 Venaria Reale (TO) – +39 011 4992300 – [email protected]
www.lavenaria.it
In occasione del quarto Centenario della nascita dell’artista calabrese Mattia Preti,
su iniziativa della Regione Calabria e in accordo con il Comitato per le
celebrazioni del IV Centenario della nascita di Mattia Preti presieduto dal noto
critico e storico dell’arte Vittorio Sgarbi, La Venaria Reale promuove una grande
mostra: Il Cavalier calabrese Mattia Preti. Tra Caravaggio e Luca Giordano.
La mostra, allestita nelle Sale delle Arti della Reggia di Venaria dal 16 maggio al
15 settembre 2013, propone un’importante selezione di opere del pittore calabrese,
uno dei maggiori esponenti dell’arte italiana del Seicento, nominato “Cavaliere di
Malta” da papa Urbano VIII. L’evento apre in concomitanza con il Salone
Internazionale del Libro di Torino, dove la Regione Calabria è ospite d’onore.
La Venaria Reale – Comunicazione e Stampa
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Il percorso espositivo della mostra, ideato da Vittorio Sgarbi e da Keith Sciberras,
professore di Storia dell’Arte all’Università di Malta, si snoda attraverso oltre 40
capolavori provenienti da circa 25 prestigiose collezioni pubbliche e private, italiane,
maltesi e inglesi, presentati insieme ad importanti dipinti di Caravaggio e Luca
Giordano che documentano le fonti, le influenze e gli esiti dell’originale ricerca
pittorica di Preti.
La mostra è infatti aperta da una delle opere più note di Caravaggio: il Riposo
durante la fuga in Egitto, proveniente dalla Galleria Doria Pamphilj di Roma,
datata al 1595-1596. Quest’opera giovanile realizzata dal genio lombardo da poco
arrivato a Roma, di straordinaria novità e qualità inventiva, contiene in nuce il
“naturalismo” che tanta influenza avrà sulla pittura successiva.
In occasione della mostra di Preti, La Venaria Reale è orgogliosa di presentare al
suo pubblico uno straordinario capolavoro di Caravaggio proveniente da una
delle collezioni private più famose al mondo che è stata esposto nella grande
antologica dedicata a Caravaggio tenutasi alle Scuderie del Quirinale nel 2010 per il
quattrocentesimo Anniversario della morte del Merisi.
La mostra si sviluppa in cinque sezioni principali (i primi tre temi seguono lo
sviluppo artistico di Mattia Preti in senso cronologico, mentre gli ultimi due si
riferiscono alla sua maturità artistica):
•
•
•
•
•
Musicisti e Giocatori d’azzardo;
Racconti ed Emozioni;
Volti e protagonisti;
La maniera trionfante;
Eroine e la Virtù Stoica.
Un’intensa e lunghissima avventura pittorica, quella di Mattia Preti che ha tradotto
ogni emozione, ogni tormento, ogni entusiasmo, ogni dolore in immagini nelle quali
si esprime il senso della vita.
Mostra in collaborazione con Regione Calabria e Comitato per le celebrazioni del IV
Centenario della nascita di Mattia Preti. Realizzata dal Consorzio di Valorizzazione
Culturale La Venaria Reale, con il supporto della Repubblica di Malta.
A cura di Vittorio Sgarbi e Keith Sciberras.
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La mostra
La mostra Il Cavalier calabrese Mattia Preti. Tra Caravaggio e Luca Giordano
racconta l’opera di Preti quale straordinario virtuoso del barocco, giustapponendo
alle sue opere i dipinti dei suoi contemporanei, tra cui Manfredi, Le Valentin,
Ribera, Lanfranco, Guercino e Mola.
La mostra illustra il suo modo di lavorare, le sue fonti e le influenze stilistiche. In tal
modo se ne delinea il percorso artistico: partito quale uno degli ultimi esponenti del
Caravaggismo romano, attraverso la sua 'seconda maniera' decisamente più legata
a Guercino e maturata in una teatralità dinamica, il Cavalier Calabrese si trasforma
in uno dei maggiori esponenti del barocco e della sua macchina trionfante, la nuova
corrente artistica elaborata dall’arte italiana nel Seicento.
Con i suoi contrasti e gli affascinanti parallelismi, il Seicento italiano è uno dei
periodi più interessanti della storia dell'arte. Nei primi decenni è stato fortemente
condizionato dall’impatto di crudo naturalismo di Caravaggio e nella seconda metà è
culminato nello splendore teatrale di Luca Giordano. Mattia Preti ricade all'interno di
questa spettacolare evoluzione stilistica. La mostra ripercorre la storia di una delle
più significative correnti stilistiche del Seicento.
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Caravaggio
Riposo durante la fuga in Egitto
Olio su tela
Roma, Galleria Doria Pamphilj
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SEZIONE PRIMA – Musicisti e Giocatori d’azzardo
Giunto a Roma intorno al 1630, il giovane Mattia Preti guarda con curiosità ai vari stimoli
artistici della città papale, caratterizzati dal “naturalismo” derivato direttamente da
Caravaggio e dalla sua scuola. I suoi primi dipinti, alcuni dei quali realizzati ancora in
collaborazione con il fratello Gregorio, mostrano chiaramente l’ammirazione per le opere
della prima generazione degli artisti caravaggeschi come Bartolomeo Manfredi (15821622), Valentin de Boulogne (1591-1632) e Jusepe de Ribera detto lo Spagnoletto (15911652).
Come questi ultimi popola i suoi quadri di scene di genere con musicisti, soldati, giocatori
d’azzardo e concepisce narrazioni religiose caratterizzate da un forte realismo e da
accentuati contrasti chiaroscurali. Il naturalismo che attrae l’artista calabrese è basato
essenzialmente sulla raffigurazione di personaggi reali tratti dall’ambiente circostante, nelle
botteghe e nelle taverne, riprodotti in pose e gesti spontanei e modellati con forti contrasti di
luce e ombra.
Preti è stato uno degli ultimi artisti ad abbracciare la “moda caravaggesca”, seguendola con
forte aderenza per tutti gli anni ’30 del Seicento, chiudendo così la stagione caravaggesca a
Roma.
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SEZIONE PRIMA – Musicisti e Giocatori d’azzardo
Bartolomeo Manfredi
Bacco e un soldato
Olio su tela
Roma, Palazzo Barberini
Mattia Preti
Concerto a tre figure
olio su tela
Firenze, Fondazione di Studi di Storia dell'Arte Roberto Longhi
Valentin de Boulogne
Negazione di Pietro
olio su tela
Firenze, Fondazione di Studi di Storia dell'Arte Roberto Longhi
Mattia Preti
Un soldato
olio su tela
Rende, Museo Civico
Jusepe Ribera
Negazione di Pietro
olio su tela
Roma, Palazzo Corsini
Gregorio e Mattia Preti
Concertino
olio su tela
Torino, Accademia Albertina
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SEZIONE SECONDA – Racconti ed emozioni
Durante il lungo periodo romano e anche a seguito di un presunto viaggio nel Nord Italia,
Preti, artista eclettico ed attento alle novità, si allontana gradualmente dalla “moda
caravaggesca”, per aprirsi alle nuove correnti artistiche che ricercano uno stile più dinamico
e una maniera monumentale, drammatica e in alcuni casi teatrale: il barocco. In particolare
è influenzato dai modi e dalle tecniche degli artisti di scuola emiliana come Giovanni
Lanfranco (1582 - 1647), il Guercino (1591 - 1666) e dall’esuberanza cromatica di Pietro da
Cortona (1596-1669).
L’impronta della maniera di Lanfranco sulla produzione giovanile di Preti è evidente nelle
modalità compositive, nella volumetria delle figure, nel trattamento argenteo degli incarnati
e nell’uso della terra bruna come mezzo tono.
Tuttavia la maggior fonte di profonda ispirazione è il Guercino. Le opere esposte attestano
l’intima connessione tra i modi dei due artisti e in particolare interesse di Preti per le
composizioni caratteristiche del Guercino, i cosiddetti “recitativi”, in cui – con un taglio
d’immagine orizzontale – due o più figure a mezzo busto si fronteggiano nell’atto di
interpretare un episodio di storia sacra, mitologica o allegorica, in un dialogo di sguardi e
gesti che trova affinità col recitar cantato del melodramma lirico. La riproposizione degli
schemi del Guercino anche nelle opere tarde di Preti indusse il critico d’arte settecentesco
Bernardo De Dominici, che conobbe l’artista calabrese ormai anziano a Malta, a ipotizzare
che ne fosse stato addirittura allievo.
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SEZIONE SECONDA – Racconti ed emozioni
Mattia Preti
Il sacrificio di Isacco
olio su tela
Bologna, Pinacoteca Nazionale
Mattia Preti
Susanna e i vecchioni
olio su tela
Firenze, Fondazione di Studi di Storia dell'Arte Roberto Longhi
Mattia Preti
Lot e le sue figlie
olio su tela
Malta, National Museum of Fine Arts - Heritage Malta
Mattia Preti
Agar e Ismaele
olio su tela
Collezione privata, courtesy Robilant + Voena
Guercino
Susanna e i vecchioni
olio su tela
Parma, Galleria Nazionale
Guercino
Confraternita di San Girolamo
olio su tela
Rimini, Confraternita di San Girolamo e della SS. Trinità
Mattia Preti
Benedizione di Tobiolo
olio su tela
Torino, Collezione privata
Giovanni Lanfranco
Rebecca ed Eliazar al pozzo
olio su tela
Torino, Galleria Sabauda
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SEZIONE TERZA – Volti e protagonisti
Preti è essenzialmente pittore di ampi cicli decorativi e autore di centinaia di imponenti pale
d’altare, ma eseguì anche dipinti da cavalletto dalle dimensioni più contenute per
committenti privati. Tali opere, caratterizzate da soggetti a mezzo busto o a tre quarti,
seguono schemi compositivi analoghi a quelli adottati con successo e resi popolari da altri
grandi artisti del periodo, come Ribera, lo stesso Guercino, Pier Francesco Mola (16121666) e Giovanni Battista Beinaschi (1636-1688).
Come emerge dalle opere presentate in questa sezione, i tipi dei personaggi dipinti da Preti
rimangono costanti nel corso di tutta la sua lunga vita artistica fino agli anni della maturità,
conservando la forte modellazione tonale delle figure e le tipologie umane radicate già a
partire dai primi anni romani. Il semplice confronto tra le opere giovanili e quelle mature
mostra, nonostante i cambiamenti nella maniera stilistica, le stesse caratteristiche facciali e
gestuali.
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SEZIONE TERZA – Volti e protagonisti
Mattia Preti
Il Battesimo di Gesù
olio su tela
Malta, Collezione privata
Gregorio Preti
St. Publius
olio su tela
Malta, Collezione privata
Gregorio Preti
Uomo orientale con pipa
olio su tela
Malta, Collezione privata
Mattia Preti
St. Paul the Hermit
olio su tela
Malta, National Museum of Fine Arts - Heritage Malta
Mattia Preti
Christ at the pillar
olio su tela
Malta, National Museum of Fine Arts - Heritage Malta
Giovan Battista Beinaschi
San Giovanni Battista
olio su tela
Malta,Collezione privata Daniel Azzopardi
Jusepe Ribera
Sant'Antonio Abate
olio su tela
Napoli, Collezione Lauro
Guercino
San Francesco
olio su tela
Napoli, Collezione Lauro
Mattia Preti
Cristo e la Samaritana
olio su tela
Palermo - Fondazione Sicilia
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Mattia Preti
Giobbe
olio su tela
Spoleto, Collezione Marignoli
Mattia Preti
Sant'Ambrogio
olio su tela
Vibo Valentia, Collezione Romano Carratelli
Pier Francesco Mola
Poeta filosofo
olio su tela
UK, collezione privata
Mattia Preti
Cristo davanti a Pilato
olio su tela
UK, collezione privata
Mattia Preti
Poeta filosofo
olio su tela
Malta, Collezione privata John A. Gauci Maistre
Mattia Preti
San Francesco Saverio
olio su tela
Malta, St. John's Co - Cathedral, Valletta
Mattia Preti
Daniele che interpreta il primo sogno di Nabucodonosor
olio su tela
Milano, Collezione Nobili
Mattia Preti
Platone e Diogene
olio su tela
Roma, Musei Capitolini - PInacoteca Capitolina
Pier Francesco Mola
Omero cieco
olio su tela
Roma, Palazzo Corsini
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SEZIONE QUARTA – La maniera trionfante
Dalla fine degli anni ’40 le opere di Mattia Preti acquisiscono nuovo pathos e una più
dinamica e drammatica teatralità, abbracciando lo spirito della macchina barocca trionfante
allora prevalente a Roma. Perfeziona il suo stile e, come ogni grande maestro, sceglie di
distinguere nettamente la sua maniera da quella altrui. Ciò è soprattutto evidente nei dipinti
raffiguranti scene di martirii, di grande impatto e violenza, che eseguì alla metà del
Seicento, in particolare durante i suoi ultimi anni romani e poi a Napoli, dal 1653 al 1661.
Rappresentando l’estremo atto del sacrificio in tale maniera trionfante, egli fa emergere
l’eroismo dei personaggi.
A Napoli, e poi a Malta - dove si trasferisce nel 1661 – egli dipinge anche un certo numero
di grandi scene nella maniera trionfante, derivanti dai suoi interessi per la pittura neoveneta.
Infatti in quegli anni a Malta, che aveva giocato un ruolo fondamentale nella vittoria cristiana
sui Turchi nella battaglia dei Dardanelli (1656), l’espressione artistica riflette direttamente il
vittorioso clima politico e militare, manifestandosi in tale maniera trionfante. I Cavalieri
dell’Ordine di Malta trovano in Preti l’artista che meglio riesce a rappresentare nella sua arte
questo spirito “euforico”. La Maniera eroica di Preti ha in sé il potere di coinvolgere lo
spettatore, di deliziarlo con il suo straordinario virtuosismo, il vibrante chiaroscuro, le forme
monumentali e la forte struttura compositiva.
Queste opere, molto intense, confermano appieno la capacità di Preti nel distribuire le
figure su tele di grandi dimensioni in vaste composizioni orizzontali, utilizzando intensi lampi
di luce e vibrante movimento.
Il metodo di lavoro di Preti è veloce e diretto. L'immediatezza di esecuzione e la sua
spontaneità impulsiva sono il segreto del suo successo. Il pennello si posa sulla tela con
un’audace sicurezza di tocco propria dei grandi maestri, lavorando con una competenza
tecnica che dimostra piena padronanza delle potenzialità del mezzo della pittura, sia ad
affresco sia ad olio.
Questa velocità e facilità di esecuzione lo accomuna al più giovane Luca Giordano (16341705), con il quale ha fecondi scambi durante il periodo napoletano, che apriranno la pittura
partenopea al nuovo travolgente linguaggio barocco.
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SEZIONE QUARTA – La maniera trionfante
Mattia Preti
Martirio di San Bartolomeo
olio su tela
L'Aquila, Museo Nazionale d'Abruzzo
Mattia Preti
Feast of Solomon
olio su tela
Collezione privata, courtesy Whitfield Fine Arts London
Mattia Preti
Adorazione dei magi
olio su tela
Napoli, collezione Lauro
Mattia Preti
Cristo precipita Satana
olio su tela
Napoli, Museo di Capodimonte
Luca Giordano
Crocifissione di San Pietro
olio su tela
Venezia, Galleria dell'Accademia
Mattia Preti
Giuseppe spiega i sogni al Faraone
olio su tela
Rende, Collezione privata
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SEZIONE QUINTA – Eroine e la Virtù Stoica
Mattia Preti ha anche dipinto un gran numero di soggetti femminili, traendo ispirazioni dalle
eroine della tradizione biblica e della mitologia classica, inserendole in contesti che ne
esaltano la virtù.
Tali soggetti, realizzati per una committenza molto raffinata, erano anche particolarmente
adatti per i dipinti della maniera trionfante, realizzati da Preti, specialmente a Napoli ed a
Malta. Il pittore raffigura donne come Didone, Rachele, Caterina, Giuditta e Sofonisba
senza indulgere in un sentimentalismo sdolcinato, ma al contrario esprimendo e incarnando
la forza virile insita nel loro stoicismo.
La macchina barocca di Preti, attraverso la monumentalità delle sue forme, il movimento, la
destrezza della pennellata, l'intensità cromatica e la forza tonale esalta la virtù femminile,
anzi ne è un devotissimo omaggio.
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SEZIONE QUINTA – Eroine e la Virtù Stoica
Mattia Preti
Sofonisba riceve la coppa di veleno
olio su tela
Cosenza, Galleria Nazionale
Mattia Preti
Labano cerca gli idoli nel baule di Giacobbe
olio su tela
Cosenza, Galleria Nazionale
Mattia Preti
Clorinda libera Olindo e Sofronia
olio su tela
Genova, Musei di Strada Nuova
Mattia Preti
La Regina Tomiri con la testa di Ciro
olio su tela
Milano, Collezione privata
Mattia Preti
Lucrezia
olio su tela
Collezione privata, courtesy Robilant + Voena
Mattia Preti
La Regina Tomiri
olio su tela
Napoli, Collezione Lauro
Luca Giordano
Santa Lucia condotta al martirio
olio su tela
Napoli, Museo di Capodimonte
Mattia Preti
Giuditta e Oloferne
olio su tela
Napoli, Museo di Capodimonte
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Mattia Preti. Breve biografia
Mattia Preti, pittore e architetto, nasce da famiglia nobile il 24 febbraio 1613 a Taverna,
cittadina della Sila catanzarese in Calabria. Intorno al 1630 si trasferisce a Roma per
raggiungere il fratello Gregorio e completare la formazione accademica. In questa prima
fase realizza per lo più scene di genere all ’insegna del ”manfrediana methodus” ,
codificato dal pittore Bartolomeo Manfredi sull ’esempio di Caravaggio. Giovane ambizioso
alla ricerca di affermazione artistica e sociale, nel 1642 è nominato Cavaliere di
Obbedienza Magistrale dell ’Ordine di Malta, da parte di papa Urbano VIII. Da allora il suo
appellativo sarà il Cavalier Calabrese. Andando maturando, Mattia ha modo di confrontarsi
con la pittura emiliana di Guercino, Lanfranco e Domenichino e allo stesso tempo con
Pietro da Cortona; i suoi interessi per le tendenze più attive nella Roma contemporanea lo
portano verso un raffinato eclettismo facendone uno dei massimi interpreti del barocco. Nel
1650 è incaricato di affrescare la volta della chiesa di Sant ’Andrea della Valle. Tra il 1651
e il 1652 soggiorna a Modena, dove decora la chiesa di San Biagio. Nel 1653 Preti è a
Napoli e vi resta otto anni, entrando in contatto con la potente pittura di Ribera e avviando
un fecondo scambio con il giovane Luca Giordano. Ha accesso a prestigiosi incarichi, come
gli affreschi per le sette porte della città e le tele per il soffitto della Chiesa di San Pietro a
Maiella (1657). Nel 1661 si trasferisce definitivamente a Malta ed è promosso Cavaliere di
Grazia nell ’Ordine di San Giovanni. Qui esegue opere memorabili e trionfanti come
l ’apparato decorativo nella volta della co-cattedrale di San Giovanni a La Valletta e le pale
per le cappelle delle varie nazioni. Negli anni più tardi della sua carriera, tra il 1680 e il 1690
invia numerose opere nella natia Taverna. Mattia Preti muore il 3 gennaio 1699 all ’età di
86 anni, dopo una vita lunga e attiva che gli aveva assicurato prestigio e considerazione,
realizzando più di 500 dipinti su tela e centinaia di metri quadrati di pitture murali.
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Arte e vita fra il pennello e la spada
di Vittorio Sgarbi*
Con un singolare percorso a ritroso, a distanza di pochi anni si torna a celebrare Mattia Preti. Si era
partiti un po’ sinistramente dalla fine con un Comitato per le celebrazioni del III centenario della
morte dell’artista, nel 1999. Per l’occasione si erano organizzate utili ma non troppo frequentate
mostre a Catanzaro e a Napoli. Si era restituita fisionomia al fratello maggiore, ma minore, Gregorio.
Si erano approfonditi gli studi, dopo quelli primitivi del Frangipane, del Mariani, e di Refice Taschetta
e del Carandente lungo l’ombra di un intero secolo, con i moderni saggi di Mariella Utili e la
monumentale, definitiva, monografia, corroborata dalla pubblicazione di fondamentali documenti di
John T. Spike, promossa dalla città natale dell’artista, Taverna.
Divenuto presidente di quel comitato ancora fervente di proposte, nel 2000, pensai di chiudere le
prolungate celebrazioni con una grande mostra in Palazzo Reale a Milano: Caravaggio e l’Europa. I
nuclei di opere più importanti, di apertura e chiusura, erano quelli di Caravaggio e di Mattia Preti.
Ricollegarlo al maestro fondamentale e universalmente amato e ammirato, mi sembrava il migliore
omaggio per Mattia Preti, artista internazionale presente nei grandi musei del mondo.
Con l’idea vincente di portarlo fuori dalla Calabria e anche da Napoli, dove aveva lasciato alcune
delle sue opere fondamentali. La scelta fu premiata, a vedere il grande lombardo e il Cavalier
calabrese a Milano andarono 350.000 persone. Non posso nascondere che l’omaggio forzato,
attraverso l’attrazione di Caravaggio, a Mattia Preti, nascondeva anche un’intenzione sentimentale
come un debito di un’intera generazione: riportare Caravaggio, con la sua larghissima eco in Europa,
in quello stesso palazzo in cui, poco più di cinquant’anni prima, nel 1951, Roberto Longhi l’aveva
rigenerato e portato nel cielo più alto della storia dell’arte. Da quel momento non sarebbe più stata la
stessa cosa, per la storia dell’arte e perfino per il cinema, per il teatro, per la letteratura. È in
quell’occasione che si consolidano (sono gli anni del neorealismo) o si stabiliscono, i rapporti di
Longhi con Pier Paolo Pasolini, con Giovanni Testori, con Mina Gregori. Da lì nascono “i pittori della
realtà”, altra intuizione longhiana (Moretto, Moroni, Ceresa, Ceruti, Baschenis, Fra’ Galgario e anche,
in chiave non “umanistica”, Canaletto e Bellotto); mentre naufragano “i pittori moderni della
realtà” (1949), ai quali non sarebbe bastato neppure Roberto Longhi: Gregorio Sciltian, Annigoni,
Antonio e Xavier Bueno, Giovanni Acci, Alfredo Serri, Carlo Guarienti.
La storia e la grande pittura del Seicento furono più contemporanee dell’arte contemporanea.
Il 1951 fu un anno cruciale per la storia dell’arte, aprì la strada a mille rivoli e a mille percorsi
caravaggeschi. Il grande fiume restava lui e gli altri, da ogni parte d’Europa, suoi emissari.
Caravaggio era il Po e anche il Tevere, entrambi confluiti nel Mediterraneo tra Napoli, la Sicilia e
Malta. Non si può dire lo stesso di nessun altro; ma, certamente, Mattia Preti non è soltanto un
affluente; ed è, a sua volta, un grande fiume che, partito dalla Calabria ha trovato, proprio come
Caravaggio, il suo mare a Malta.
Una connessione non marginale; se è vero che per i tre, quattro, cinque capolavori concepiti da
Caravaggio a Malta, Mattia Preti, con l’orgoglio del Grande Ordine militare, trasformerà il volto
dell’isola con una sterminata quantità di dipinti e di affreschi.
Tutto chiaro, e chiarito,ma non una volta per sempre. Con un monumento aere perennius (la
monografia di Spike), alla fine di un millennio, e una grande mostra all’inizio del nuovo, con gli
approfondimenti, di un valoroso caravaggesco, proprio di Malta: Keith Sciberras. Studioso equanime
di Caravaggio e di Preti. Con il sigillo di una piccola monografia, a margine della mostra milanese
potevo ritenere chiuso il mio compito, e anche fuori tempo massimo: 2005. Non potevo immaginare
che a distanza di pochissimi anni, si sarebbe ricominciato tutto daccapo, e per una occasione più
fausta, in considerazione della longevità di Mattia Preti. A tempo rovesciato, soltanto quattordici anni
separano la celebrata morte dalla nascita: 1613.
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Che fare dunque nel 2013? Ignorare la ricorrenza? Pensarla assorbita nell’ultimo, recente e fortunato
atto della precedente celebrazione? Al quadro occorre aggiungere che, se è difficile pensare che lo
Stato, con il Ministero dei Beni Culturali, avrebbe riacceso il Comitato appena spento o ne avrebbe
promosso un altro, i tempi di spending review (ovvero di scemenza progrediente) avevano suggerito
a cancellare l’Istituto stesso dei Comitati Nazionali. Ma la provvidenza e la potenza del Cavalier
calabrese, con spada e pennello, stavano in guardia perché l’occasione non evaporasse e non
passasse sotto silenzio. Non si deve dimenticare che, per l’arte, Mattia Preti, nonché Cavaliere, è il
più grande pittore calabrese di tutti i tempi. E poco male se quei tempi sono, per il paradosso del
tempo, vicini.
I tempi son questi, e la macchina deve ripartire. Non scherziamo! Non si perda tempo. E se lo Stato
è assente o indifferente, poco importa. C’è la Regione. Così, prontamente, nel 2010 la Regione
Calabria dà vita a un nuovo Comitato, per le celebrazioni del IV centenario della nascita di Mattia
Preti. Il pittore è lo stesso, i margini per nuovi studi rivoluzionari troppo stretti; non ci sono scoperte
clamorose. E come Preti è lo stesso, così anche gli altri attori non possono cambiare. Qualcuno se
ne sarà andato, molti altri sono rimasti. Ed ecco allora che ritornano John Spike, Nicola Spinosa,
Rossella Vodret, Giorgio Leone, Mariella Utili, e il presidente che, per chiara fama e lunga
frequentazione calabrese, torna a essere il qui scrivente, chiamato dall’Assessore alla Cultura Mario
Caligiuri. Pensavo di essermi liberato di Mattia Preti, ma il suo fantasma mi torna davanti; e io, per
quanto era giovane, mi porto dietro con il suo bagaglio di studi, di ricerche e di passioni, Keith
Sciberras, tentando di trovare se non quadri, interpretazioni e documenti nuovi. Intanto porteremo
Mattia Preti più lontano, e nella sede oggi più prestigiosa e più frequentata: Venaria Reale.
Ma la Calabria non perdona e, come innalza, pretende. Così, la serie di iniziative non può solo
trasportare Mattia Preti a Torino, a Roma (Palazzo Braschi), e magari in Brasile o in Cina, o dove il
Comitato, prima di esalare in attesa del prossimo secolo, penserà di portarlo, ma anche ammirarlo
nella sua patria: Taverna. hic Taverna, hic salta. Così deve essere e così è stato.
E, prima della grande mostra di Venaria, dove le opere di Mattia, poco lontane da quelle del
concomitantemente celebrato Lorenzo Lotto, saranno a confronto con capolavori di Caravaggio (e
ovviamente il più lirico e lottesco: il Riposo durante la fuga in Egitto, della collezione Doria Pamphilj);
di Guercino, di Valentin de Boulogne, di Lanfranco, di Pier Francesco Mola, Taverna ha già iniziato,
nel giorno del compleanno del pittore, i suoi festeggiamenti con la mostra che ha tenuto il Comitato
nei suoi confini regionali, che oggi è stata trasferita a La Valletta con opportuno scambio e
riconosciuta considerazione per il Cavalier calabrese: hic Malta, hic salta.
Così il panorama delle manifestazioni appare molto variegato.
Sempre più compiuta, dunque, come abbiamo visto, è la consapevolezza della grande impresa
artistica di Mattia Preti.
L’approfondimento delle ricerche e gli studi di John T. Spike, Luigi Spezzaferro, Rossella Vodret e
Keith Sciberras hanno “aggredito” il Cavalier calabrese da ogni lato, indicandone la straordinaria
sapienza e l’originalità delle invenzioni in quello che potrebbe essere – parafrasando Giovanni
Testori – il “gran teatro” di Mattia Preti. Le vaste composizioni, articolate su più piani, coniugano
l’originale nucleo caravaggesco con le mirabili scenografie dei pittori veneti, da Tintoretto a
Veronese. In taluni momenti i tagli e la celebrazione del racconto hanno addirittura un ritmo
cinematografico che non si limita a cogliere “l’attimo decisivo”, come nelle invenzioni di Caravaggio.
Cinema contro fotografia. Ma può dirsi anche che Mattia Preti, nella sua rapinosa ricerca, stia a
Caravaggio come Tintoretto sta a Tiziano. È, d’altra parte, una questione generazionale, come indica
l’occasione di queste celebrazioni che cadono nel quarto centenario della nascita: il 1613.
Mattia Preti nasce dunque tre anni dopo la morte di Caravaggio, e raggiunge la prima maturità
quando il fuoco del grande maestro è ancora vivo, ma già percepito come “calore di fiamma lontana”.
Eppure Mattia lo riaccende, probabilmente per una scintilla o una folgorazione negli anni
dell’adolescenza. Ed è possibile infatti, che egli arrivasse dalla Calabria a Roma già nel 1624,
quando è documentata la presenza del fratello Gregorio, maggiore di lui di dieci anni. Le sue prove
più antiche, anche in collaborazione con il fratello, sono sapienti concerti, giochi o banchetti nei quali
è evidente la lezione dei caravaggeschi francesi come Valentin de Boulogne, di Bartolomeo Manfredi
e del Ribera giovanile nel quale si è riconosciuto il pittore del Giudizio di Salomone.
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Con queste esplicite fonti, oltre a una simpatia incontenibile per Guercino e un’attenzione particolare
per Lanfranco, e a una attrazione sensuale per i grandi pittori veneziani del Cinquecento, come si
vede e come indica Bernardo De Dominici, Mattia Preti inizia il suo percorso in una continua tensione
sperimentale, potenziando progressivamente la sua dinamica narrativa.
Anche la sua fortuna internazionale e la sua presenza nei grandi musei indicano il riconoscimento
dell’originalità di invenzioni mai ripetitive.
Così apre le danze il Muscarelle Museum of Art, The College of William & Mary diWilliamsburg,
fondato nel 1693, quando l’artista era ancora in vita, con una mostra a cura di John T. Spike che
riunisce i migliori dipinti di Mattia Preti conservati in America, fra i quali il memorabile Banchetto di
Erode proveniente dal Toledo Museum of Art, la drammatica Decollazione di san Paolo del Museum
Fine Arts di Houston e la rutilante Santa Veronica con il sudario del Los Angeles County Museum of
Art; un’occasione importante per confermare la dimensione internazionale raggiunta dall’artista.
Poco dopo, pressoché in coincidenza con il giorno di nascita del pittore, si è inaugurata una mostra
molto puntuale, nella sua città di origine: Taverna, che si renderà, per una seconda edizione, a La
Valletta dove Mattia Preti finì la sua vita.
Il viaggio per risalire alle origini, a Taverna, porta nelle chiese, dove, in epoche diverse, il Cavalier
calabrese ha lasciato importanti capolavori.
La mostra centrale, nelle due sedi prestigiose della Reggia di Venaria Reale e di Palazzo Braschi a
Roma, uscirà dallo schema delle pertinenze territoriali e dei percorsi cronologici per mostrare tutta la
varietà delle invenzioni e delle composizioni, per aree tematiche, esaltando il genio teatrale di Mattia
Preti.
Utili accostamenti e confronti con altri maestri, come abbiamo annunciato, da Caravaggio a
Guercino, da Ribera a Luca Giordano, da Manfredi a Battistello Caracciolo, da Valentin de Boulogne
a Bernardino Mei, da Lanfranco a Beinaschi evidenzieranno l’originalità e la potenza espressiva, in
più dimezzo secolo di attività, del Cavalier calabrese.
Dopo tanto miracol mostrare al mondo e nel mondo, le celebrazioni dovrebbero chiudersi,
naturalmente, in Calabria, a Cosenza in Palazzo Arnone, con una mostra di opere di Gregorio e
Mattia Preti, tutte provenienti da collezioni private, a testimoniare la fortuna del pittore nel mercato
dell’arte italiana e internazionale nel secolo scorso.
E di qui si può ripartire per indicare come il destino di due grandi pittori, Caravaggio e Mattia Preti, e
la loro moderna fortuna siano legate, al di là degli studiosi specialisti, a un solo nome: quello di
Roberto Longhi. Con queste circostanze favorevoli e con le tante mostre e ricerche, Mattia Preti finirà
con l’essere il pittore del Seicento più studiato.
La fortuna critica dei due artisti procede parallela, inizia circa cento anni fa, tra il 1913 e il 1914 (altro
centenario) con gli studi pionieristici di Longhi, che è impegnato con la rivalutazione di molti pittori del
Seicento (prevalentemente caravaggeschi), nella ricostruzione di un tessuto storico lacerato. In quel
momento non è ancora del tutto chiaro che Caravaggio è un pittore infinito e Mattia Preti è un pittore
finito, con un limite temporale e una visione non paragonabile sino in fondo a quella del maestro
lombardo. Si può affermare, con una certa convinzione, che Mattia Preti, benché operoso per un
tempo tanto lungo, non sia grande quanto Caravaggio. È privo della visione filosofica e definitiva che
è invece di Caravaggio.
Quando Longhi intraprende i suoi studi paralleli sui due pittori Caravaggio, è ancora nell’ombra,
soprattutto per ragioni morali, equivocato per via delle vicende relative alla dimensione criminale
della sua vita e della sua morte.
Per queste ragioni, a partire dagli anni cinquanta del Seicento, un grande teorico dell’arte come
Pietro Bellori, (sancendolo nel 1672 con le Vite de’ pittori, scultori e architecti moderni nella sua Idea
del pittore…) lo mette in un angolo, e lentamente Caravaggio sparisce, se non nella memoria e
nell’opera di un suo allievo postumo e durevole, soprattutto fuori Roma: Mattia Preti.
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Singolare, in questo allunnato perpetuo, che anche la loro continuità li unisca, oltre alla concomitante
rinascita nell’interesse della critica. Nel secondo decennio del Novecento, per i due pittori, su diversi
livelli, (ma con una pur sempre altissima considerazione anche Mattia Preti), inizia la riscossa. Quella
di Caravaggio è una vicenda complessa: è stato una fiamma, un fuoco senza limite. A quel fuoco si
sarebbe potuto sottrarre, per ragioni cronologiche e di esistenza, proprio Mattia Preti che nasce
troppo tardi per essere un caravaggesco. A questo proposito, Giovanni Previtali ha affermato, con
efficacia, che essere caravaggeschi non vuol dire essere stati allievi di Caravaggio, ma appartenere
a un gruppo, con un convincimento simile a quello di un’ideologia partitica. Essere caravaggeschi è
come essere marxisti, ha scritto Previtali: equivale a essere seguaci non di un pittore, bensì di una
visione. I seguaci di Caravaggio sono convinti interpreti di un pensiero: portare la pittura dall’idea alla
realtà. Questo gruppo di pittori arriva non molto oltre il 1630.
Caravaggio muore nel 1610 e alcuni artisti, come Ribera, hanno avuto anche il privilegio di
conoscerlo, oltre che di esserne seguaci. Altri ne hanno condiviso e moltiplicato le idee. Rubens, ad
esempio, giunge a Roma in tempo per non poterlo incontrare. Caravaggio è vivo ma è lontano, è
scappato. Siamo nel 1605. Rubens vede le opere nelle chiese e ne negozia una per i Gonzaga: la
Morte della Vergine rifiutata dai preti di Santa Maria della Scala.
Ancora vivo, si profila per i suoi seguaci la possibilità di un rapporto non con Caravaggio ma con la
sua leggenda. Ed essa sopravvive ben oltre la sua morte, ma non valica il quarto decennio del
Seicento.
Mattia Preti nasce nel 1613, a Taverna, e, all’età di vent’anni, nel 1633, è documentato a Roma
insieme al fratello Gregorio, che è il suo primo maestro e lo introduce presso ecclesiastici e
collezionisti: i fratelli Preti si formano nel momento in cui l’intenso fuoco di Caravaggio si va
spegnendo e la sua figura si stinge nel ricordo. In questi anni deflagrano a Roma personalità nuove,
da Domenichino, a Pietro da Cortona, a Giovanni Lanfranco, indirizzate a una visione sempre più
idealizzante della pittura, quella che, parallelamente a Caravaggio, aveva portato Annibale Carracci
in Palazzo Farnese e in Santa Maria del Popolo: l‘anti Caravaggio, appartenente al filone (o partito)
idealista, nel tempo in cui Caravaggio domina ed è visto come un mito. Annibale si riafferma
fondamentale quando Bellori riporta al centro del dibattito teorico il valore in pittura dell’ideale e non
del reale.
Mattia Preti non si sa bene se avesse più amore per la carriera militare e cavalleresca o per la
pittura, tanto è vero che chiede e ottiene di essere nominato cavaliere di Malta e, nei suoi dipinti,
spesso ritrarrà se stesso con i simboli (nel suo pensiero equivalenti) del pennello e della spada.
La stessa considerazione di sé che, sulla rotta di Malta, e anche prima, aveva mostrato Caravaggio.
Il Bellori ci ricorda che “non rimetteva punto le sue inquiete inclinazioni” ed era solito, finito di
dipingere andar per strada “con la spada al fianco” e fare “professione d’armi”.
Con la differenza che, in tutta evidenza, e per la sua straripante produzione, Mattia Preti aveva meno
tempo per la spada.
Mattia è un uomo di pensiero che accetta la sfida della pittura perché vede in Caravaggio l’azione in
cui crede. Caravaggio, a differenza degli altri pittori, non illustra, non rappresenta, non descrive:
pensa. È un militante della pittura, a tal punto da farne ideologia, manifestando e professando l’arte
come pensiero, come possibilità di cambiare il mondo.
Il giovane e ambizioso calabrese arriva a Roma e, piuttosto che immergersi nella dimensione nuova,
ormai post-caravaggesca, e perdersi fra le nuvole, decide di portare indietro le lancette del suo
orologio e sintonizzarsi con il tempo di Caravaggio: nasce così il più caravaggesco dei
caravaggeschi, fuori tempo massimo.
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Vivrà fino 1699, sfiorando il nuovo secolo; ma, in tutta la sua pittura, Caravaggio è presente, sempre,
comunque, sotto traccia, anche quando mostrerà interesse per esperienze e influenze diverse.
Come lui, ma in tempi più ravvicinati, un grande pittore che lavorerà a Napoli come Preti, che ha
certamente conosciuto Caravaggio, gli è stato vicino, per profonda convinzione, è Ribera, di origine
spagnola. Caravaggio è morto, ma certamente Ribera deve avere molto influenzato e stimolato la
fantasia del calabrese, il quale, per certi versi, guarda Caravaggio nelle opere che ha creato, per altri
ha davanti a sé un testimone diretto, Ribera, che conserva viva la figura di Caravaggio attraverso la
memoria delle parole. C’è una parte riberesca molto evidente in Mattia Preti, in cui le due fonti di
ispirazione si miscelano, creando immagini particolarmente scenografiche e teatrali.
La frequentazione, l’amicizia e l’ammirazione per Ribera costituiscono un rapporto sul quale
confrontarsi e commemorare la figura di Caravaggio. Comunque vivente. Come il “Che”. Questo
aspetto di testimonianza, di tramando, è stato ulteriormente rafforzato dagli studi recenti, in
particolare di Gianni Papi, che hanno anticipato la cronologia di Ribera, individuando le sue prime
opere intorno al 1611-1612: immediatamente dopo la morte del grande maestro lombardo. È come
se Caravaggio non avesse fatto in tempo a morire che il suo pennello era già nella mano di uno più
caravaggesco di lui. Ribera, infatti, nelle sue prime opere è ortodossamente caravaggesco. Più
caravaggesco di Caravaggio. Preti, da parte sua, ne esce fortificato, nella convinzione della
grandezza di Caravaggio attraverso la lezione di Ribera, il quale rappresenta la continuità rispetto al
maestro milanese. È come se Mattia Preti ripartisse, a distanza di quasi tre decenni, dalla sua morte.
Verso il 1633, ad esempio, dipinge il Concerto con scena di buona ventura dell’Accademia Albertina
di Torino, forse insieme al fratello Gregorio, mentre intorno al 1635 il Concerto a tre figure della
Fondazione Longhi di Firenze, e qualche anno dopo la Sofonisba che prende la coppa del veleno
della Galleria Nazionale di Cosenza che condivide con i concerti il medesimo taglio: figure di tre
quarti come quelle di Caravaggio nei Bari o nella Buona ventura dei Musei Capitolini. Il giovane Preti
guarda con ammirazione anche i dipinti di Caravaggio degli ultimi anni del Cinquecento,
riattualizzandoli in una pittura che sembra sospendere il tempo, tanto da consentirci di dire che egli è
intimamente anacronista, non perché, come gli anacronisti del Novecento, guarda la pittura
antica,ma perché guarda un momento dell’arte che non è sincronico alla sua vita: egli guarda a un
momento dell’arte contemporanea che sceglie ed elegge in maniera consapevole, con trent’anni di
ritardo.
Questo singolare e prolifico pittore, come si può ben vedere nella mostra a Venaria Reale, ricerca un
Caravaggio perduto. Lo vediamo, ancora negli anni cinquanta, nella Giuditta e Oloferne del Museo di
Capodimonte a Napoli. La meditazione caravaggesca permane in Preti in qualunque decennio della
sua vita, alimentandosi in composizioni sempre più articolate e teatrali. Il Calabrese, infatti, non ha la
sintesi, l’azione e la velocità di Caravaggio. Egli inserisce i soggetti caravaggeschi all’interno di ampi
tableaux vivants, in una rappresentazione teatrale che comprende diverse citazioni da Caravaggio
dentro a un solo quadro. Penso al Concerto con scena di buona ventura di Torino, dove si vedono un
numero cospicuo di personaggi, alcuni suonano, alcuni servono da bere, la zingara legge la mano al
giovane mentre altri assistono incuriositi o pensierosi. Tutto questo in un proliferare di personaggi: è
una enfatizzazione, un potenziamento, una moltiplicazione di Caravaggio.
Mattia Preti, dunque, teatralizza e compone il prototipo di Caravaggio, e lo ripropone, lo attualizza, lo
ridiscute, lo rimette in gioco. D’altra parte ci sono alcune opere, napoletane e maltesi, che fanno
riferimento ad altri modelli nella Roma caravaggesca, come i francesi Simon Vouet e Valentin de
Boulogne, di cui in mostra si vede la bellissima e ricca di personaggi Negazione di san Pietro della
Fondazione Longhi. Quindi va inteso che il caravaggismo di Mattia Preti è filtrato da Ribera, dai
pittori francesi, da Bartolomeo Manfredi e da quanti fanno capo alla Manfrediana Methodus, cioè al
metodo di riproduzione degli schemi, dei modelli, degli archetipi di Caravaggio. In questo mettere in
gioco Ribera, Manfredi e i principali pittori francesi attivi a Roma si vede che il suo caravaggismo non
è soltanto mitologia di Caravaggio, ma è osservare e studiare gli interpreti più fedeli e originali del
caravaggismo.
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Nel tentativo di capire che cosa si agitava nella mente di Mattia Preti, anche considerando opere
molto significative come Clorinda fa liberare Olindo e Sofronia dal rogo di Palazzo Rosso a Genova,
che attesta una incredibile inclinazione al teatro, va ricordato che verso il 1650, dopo l’esperienza
infelice a Sant’Andrea della Valle, dove aveva discusso con i suoi committenti, in una lunga vicenda
che si protrarrà nei decenni successivi, arriva a Modena ed è probabilmente in quel momento che
Mattia Preti, dopo gli affreschi di San Biagio, si avvia verso Venezia. Nella città lagunare rimane
stregato da un pittore lontano da Caravaggio, ma certamente ricchissimo di curiosità e di spirito
d’osservazione: Paolo Veronese. La Cena in casa di Levi, le Ultime cene, i grandi dipinti scenografici
di Veronese con un grande spazio architettonico, con profondità e con una quantità di figure,
sembrano il teatro naturale in cui inserire gli elementi lessicali di Caravaggio, in una miscela fra
Ribera, Manfredi, di cui in mostra si vede Bacco e un bevitore, Vouet e Valentin de Bouologne,
ripetendo la sintassi di Veronese.
Questo è il panorama, questo è il mondo di Caravaggio intorno a cui Mattia Preti si muove curioso e
incantato, creando grandi macchine teatrali spaziose e piene di figure e di contrasti luminosi, di
controluce, di effetti brillanti e argentini sul fondo, di architetture palladiane che sono derivate da
Paolo Veronese. Preti presta grande attenzione anche a Tintoretto, un altro pittore d’azione e di
teatro, a Venezia.
Il Cavalier calabrese ha un’incredibile curiosità per la pittura, è onnivoro, ed è pronto
sperimentalmente, non psicologicamente, a “dimenticare” Caravaggio.
Negli affreschi di Sant’Andrea della Valle, è spinto a guardare verso la visione del concomitante
Lanfranco, che è uno dei pittori emiliani, insieme a Guido Reni e soprattutto Guercino, che lui
osserverà con grande ammirazione, e di cui in mostra si vedono l’inedita mezza figura di San
Francesco della collezione Lauro, attribuita da Spike e datata al 1630, l’imponente San Girolamo di
Rimini, del 1641, ma anche la bellissima Susanna e i vecchioni della Galleria Nazionale di Parma,
della fine degli anni quaranta.
Pochi pittori sono stati così desiderosi e voraci di fonti pittoriche tanto diverse come Mattia Preti: da
Ribera a Guercino, con cui il rapporto fu tanto stretto da essere stato talvolta confuso con lui e da
dipingere un’opera a pendant di una sua per il cardinale Pallotta.
Mattia Preti sente Guercino come suo compagno nell’assorbire gli umori della terra, lui calabrese,
l’altro emiliano, nell’atmosfera delle giornate estive, nella luce del cielo, nelle vibrazioni luminose,
nelle variazioni metereologiche. Certamente la pittura del Guercino è una delle componenti di
maggiore fascinazione, forse quella più affine per sensibilità: entrambi sono eclettici nel gusto e nelle
scelte. Ma nessuno è più eclettico di Mattia Preti.
Mattia Preti è l’ultimo caravaggesco che ha vissuto l’arte con una curiosità e una tensione prensile
eccezionali, continuando a rubare dalle sue fonti per comporre però, sempre, pitture originali. E,
combattendo fino in fondo per la sua visione, è come l’ultimo giapponese. Lo si vede anche nelle
composizioni più tenacemente, insistentemente caravaggesche, come i dipinti meravigliosi che
furono commissionati dal mercante fiammingo van den Eynden a Napoli, e che sono i dipinti forse
più belli, più umorosi e più densi di pittura e di azione. Mi riferisco alla Crocifissione di san Pietro, ora
a Birmingham, la Decollazione di san Paolo ora a Houston e al Martirio di san Bartolomeo ora a
Manchester. Nonostante l’evidenza dei modelli, il Cavalier calabrese rimane inconfondibile, sia per la
fusione di fonti tanto diverse nella creazione di una nuova immagine che diventa la sua, sia per una
pittura quasi veneta, sempre umorosa, dalle luci strisciate, guercinesche, sia per i soggetti che sono
spesso omaggi espliciti a Caravaggio, fino al citazionismo, mai alla copia. Il pittore è tanti pittori.
Sotto il profilo degli studi, dopo Roberto Longhi che lo ha riabilitato in parallelo a Caravaggio, nella
ricostruzione sistematica della pittura del Seicento, Mattia Preti ha avuto grande fortuna, ed è stato
molto rivisitato, approfondito e molti documenti sono stati recuperati.
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Ma quello che è più significativo di Preti è che condivide con Caravaggio un destino: Malta.
Caravaggio c’è nel 1605-1606, Mattia Preti vi si stabilisce a sua volta nel 1660, e dipinge in ogni
dove, dalla Co-Cattedrale di San Giovanni, alla chiesa del Gesù, alla chiesa di Francesco: dovunque
ci sono chilometri di affreschi e tele di Mattia Preti. Anche nello stesso oratorio in cui ha lavorato
Caravaggio ci sono dipinti di Mattia Preti che stabiliscono un confronto impossibile, una inutile ma
cercata sfida, una necessitata sconfitta, una impossibilità a misurarsi con un capolavoro sintetico,
assoluto e teatrale come la Decollazione del Battista. Qui Preti interviene con composizioni
caravaggesche, scenografiche, teatrali, nel soffitto, che sono la lusinga e, allo stesso tempo, la
maledizione di un avvicinamento al fuoco che lo vede sicuramente perdente, nonostante egli, rispetto
a Caravaggio, avesse una molteplicità infinita di stimoli per creare i suoi dipinti.
Caravaggio non ammette nessuna modernità all’infuori della sua, e ogni avanzamento, ogni nuovo
stimolo, a eccezione di Velázquez, è moda. Ribera e la Manfrediana Methodus erano grammatica.
Mattia Preti non capisce che deve stare lontano. Come Fetonte. Vuole volare e cade. Vuole abitare
la battaglia e perde. Tenta, in San Giovanni, l’inferno, accettando, lui Cavaliere, il terribile invito del
Commendatore, e finirà come Don Giovanni.
Nella mostra di Venaria convivono diversi campioni delle tante facce di Mattia Preti, innamorato
perduto di Caravaggio, ma desideroso di continue sperimentazioni.
Un’opera chiave è quel Martirio di sant’Orsola, ora a Napoli che, partire da Ferdinando Bologna,
viene unanimemente riferito a Caravaggio come opera estrema, ma che fu attribuita a Mattia Preti,
perché aveva – oltre all’alterazione dei colori e all’oscurità determinata dalle cattive condizioni di
conservazione – anche un taglio con molte figure a tre quarti che è il modulo compositivo prediletto
da Preti e che ne costituisce forse l’aspetto di maggiore riconoscibilità.
A partire da quell’insuperato modello, la mostra è un lungo percorso in tutta la carriera pittorica di
Mattia Preti, dalla stagione romana a quella modenese, da quella napoletana a quella di Malta, e
propone idealmente una serie di confronti a partire dalla rivoluzionaria Fuga in Egitto Doria Pamphilj.
Ci sono poi opere consonanti di Guercino, Lanfranco, Beinaschi, Ribera.
Tali rimandi ad altri grandi artisti servono a capire come cresce la visione di Mattia Preti, fatta di
continue suggestioni e annessioni, come se la miscela da cui nasce la sua opera si dovesse nutrire
continuamente di una insaziabile sete di opere altri, tentando di riportarle tutte all’unum della sua
visione. Tutto questo appare ancora più evidente nelle opere di Malta, dove il pittore è favorito anche
dagli spazi dell’articolata composizione di cicli che prevedevano molte tele con numerose figure: il
teatro pittorico che egli ha modo di elaborare gli consente di dominare letteralmente la scena di
Malta. Si può infatti parlare, parafrasando Giovanni Testori, di un grande teatro della pittura per
Mattia Preti. Ce ne sono esempi meravigliosi. Come la Clorinda che fa liberare Olindo e Sofronia in
Palazzo Rosso a Genova, uno dei suoi capolavori, suggestionato dal linguaggio veronesiano, e
risolto con una pittura limpidissima e per certi versi ancora guercinesca. O il Cristo che precipita
Satana di Capodimonte, concepito nel 1656 con un diversissimo spirito.
La vita di Mattia Preti fu così lunga da consentirgli una produzione di una sterminata vastità.
La qualità è sempre alta, anche se talvolta alcune composizioni raggiungono una sintesi che le rende
più intense, più espressive, più drammatiche; in altri casi, invece, una minore tensione, o
l’obbedienza al tema iconografico, determina opere più convenzionali.
Fra i suoi capolavori certamente va annoverato il Martirio di san Bartolomeo conservato presso il
Museo Nazionale d’Abruzzo a L’Aquila, databile negli anni cinquanta.
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Le opere del periodo maltese hanno una variante, registrata da Spike e da Sciberras con molta
attenzione, che è quella di un attenuamento della cromia, che si fa più ovattata, cupa, quasi
tendenzialmente monocroma. In molte delle opere di Malta si registra un offuscamento del colore
che è come un’inclinazione psicologica, come una riduzione dello smalto che invece caratterizzava le
opere eseguite a Napoli. E non è un caso che la maggior brillantezza delle opere napoletane di Preti
determinerà effetti evidenti su Luca Giordano, il più euforico dei pittori che partono da Mattia Preti e
che devono a lui, anche attraverso Ribera e Caravaggio, la loro visione. Nella Crocefissione di san
Pietro alle Gallerie dell’Accademia di Venezia, Giordano rende ancora più luminosa un’invenzione
dell’altro: la composizione è integralmente nello spirito di Mattia Preti, ma la pittura è ancora più
smaltata, più scintillante, più vibrante e luminosa.
Come si è detto, si vedono in mostra opere di tutti i periodi e sono consentiti utili confronti con altri
grandi artisti in una straordinaria rappresentazione della varietà dell’offerta pittorica, tra Roma e
Napoli negli anni tra 1635 e il 1660, quando Mattia Preti elabora la sua grande visione che poi
trasferisce a Malta, diventando sull’isola l’autore monocratico, il riferimento unico a partire dagli anni
sessanta del Seicento. È l’occasione per capire quanto complessa sia questa personalità fascinosa,
ma anche estremamente incoerente, instabile, alterna e discontinua, per via dei riferimenti non
prevedibili, in un tempo non lineare ma borgesiano.
Di fronte a un dipinto di Preti si può rivivere un’atmosfera totalmente caravaggesca, ma negli stessi
anni, in un altro dipinto, il pittore si orienta senza contraddizione verso Guercino o verso i pittori
veneziani. È dunque difficile farsi un giudizio stabile e definitivo su Mattia Preti, per via della sua
discontinuità programmatica. Egli è sempre curioso, improvvisamente la sua mente si distrae, e
mentre produce opere che hanno come caratteristica il prevalente caravaggismo, emerge l’attrazione
per altre fonti. Una infedeltà inevitabile.
Il Cavalier calabrese è un pittore travolgente, nella sua produzione, ma non è coerente quanto
all’emozione che trasmette, come convinzione profonda. La sua visione non è legata a un pensiero
unico, ma a un pensiero vario, mosso, turbolento.
E il pensiero turbolento di Mattia Preti genera un’opera molto articolata e complessa di cui tentiamo,
con la mostra di Venaria Reale, di dare una sintesi impossibile.
Il Cavalier calabrese continua a sorridere di noi, rispecchiandosi negli sforzi di chi, come Spike e
Sciberras, ha cercato lui infinito.
*Vittorio Sgarbi è curatore della mostra.
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Mattia Preti. Le ragioni di una mostra
di Keith Sciberras*
La mostra “Il Cavalier calabrese Mattia Preti. Tra Caravaggio e Luca Giordano” presenta lo
straordinario virtuosismo del pittore barocco e ne illustra la maniera, le influenze e le fonti stilistiche
attraverso un raffronto tra le sue opere e alcuni dipinti di contemporanei e antecedenti, tra cui
Caravaggio, Le Valentin, Ribera, Lanfranco, Guercino e Mola.
La mostra si apre con il Riposo durante la fuga in Egitto di Caravaggio (Roma, Galleria Doria
Pamphilj), il che può apparire sorprendente in un’esposizione dedicata a Mattia Preti. Quando
Caravaggio eseguì questo quadro, intorno al 1596-1598, non poteva sapere che ciò che era
impegnato a ricercare e produrre avrebbe cambiato la storia dell’arte italiana. Il naturalismo di cui il
dipinto è imbevuto si sarebbe ben presto evoluto in un potente realismo che, abbinato alla resa
diretta del soggetto e agli effetti di chiaroscuro utilizzati dal pittore, avrebbe indotto molti artisti più
giovani ad adottare la sua maniera. La storia dell’arte del Seicento deve molto a Caravaggio, e la
scelta di esporre qui una delle più notevoli tra le sue opere giovanili vuole essere appunto un
omaggio al genio dell’artista. Le opere della sua maturità sarebbero state del tutto diverse da questo
quadro, e la velocità con cui la sua arte si evolse fu semplicemente straordinaria.
Mattia Preti fu uno dei pochi artisti del Barocco italiano che, al pari di Caravaggio, lavorò a Roma,
Napoli e Malta, e che, come lui, fu insignito del titolo di Cavaliere della Croce dell’Ordine di Malta per
il suo virtuosismo artistico. I dipinti esposti nella presente mostra rivelano come il Seicento italiano
sviluppò un’appassionante diversità, originata dalle sfide che artisti come Caravaggio affrontarono e
superarono sul finire del Cinquecento.
La sezione iniziale del percorso espositivo esamina i primi anni romani di Preti e la sua ammirazione
per i caravaggeschi, che resero popolari i temi delle taverne, dei concertini e del gioco d’azzardo
(talvolta all’interno di narrazioni religiose) in ambientazioni realiste dipinte a chiaroscuro. La sezione
successiva esplora l’influenza di Guercino e Lanfranco sulla “seconda maniera” di Preti, chiarendo
l’interesse di quest’ultimo per le narrazioni eloquenti rese attraverso gesti, sguardi e pose di mani
studiati nei minimi dettagli. La terza sezione si sofferma invece sulle mezze figure e figure a tre
quarti, analizzando il modo in cui Preti ripropose gli stessi modelli umani per tutto l’arco della lunga
carriera. Le ultime sale, infine, espongono i dipinti di grande formato e rivelano la marcata teatralità
dell’artista, proponendo un confronto con l’opera di Luca Giordano. La perfetta consonanza tra lo
stile di Preti e lo spirito del barocco trionfante risulta evidente dai numerosi quadri raffiguranti martiri
e scene di violenza, glorificazione religiosa e virtù stoica eseguiti dall’artista nella parte centrale del
secolo, in particolare durante gli anni napoletani e il primo periodo maltese.
Nato nel 1613 a Taverna, un paesino della Calabria, Mattia Preti si affermò come esponente di
spicco del possente Barocco che dominava in Italia a metà del Seicento, iscrivendosi in una
tradizione che abbinava le caratteristiche del dinamismo monumentale a un’accentuata teatralità.
Disegnatore straordinario e pittore virtuoso dalla pennellata rapida, Preti produsse centinaia di dipinti
nell’arco di una carriera durata settant’anni. La sua vita può essere facilmente suddivisa in fasi ben
distinte: la formazione e la prima acquisizione di uno stile maturo a Roma, il soggiorno a Napoli nel
periodo centrale della sua vita, i quasi quarant’anni trascorsi a Malta tra il 1661 e la morte, avvenuta
nel 1669. Preti fu un artista-cavaliere – in effetti era noto anche come “Cavalier calabrese” – e la sua
vita fu notevolmente condizionata dall’appartenenza all’Ordine di San Giovanni di Gerusalemme, di
Rodi e di Malta.
I primi spostamenti del giovane Mattia dopo la partenza dal paese natale, avvenuta probabilmente
alla fine degli anni venti del Seicento, non sono ben chiari: i suoi biografi menzionano visite a Parma
e a Modena,mentre altri aggiungono Venezia. De Dominici parla anche di un breve soggiorno a
Napoli durante il viaggio verso Roma, citando successive permanenze a Milano e a Genova. Se la
sosta a Napoli lungo il tragitto per Roma risponde a una ragione logica, le visite alle altre città,
ancorché non documentate, risultano giustificate dalla sete di conoscenza del pittore e dalla sua
ricerca di mecenati. L’influenza di Correggio su Preti (particolarmente visibile nei lavori eseguiti a
Modena) rende pressoché indubbia la permanenza a Parma, sebbene non sia stato possibile
identificare neppure un’opera qui eseguita dal giovane artista.
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La data dell’arrivo di Preti a Roma non è stata ancora definita con precisione, e la prima traccia certa
della sua presenza in città risale agli anni 1633-36, quando vi risiedeva sicuramente già da qualche
anno insieme al fratello artista Gregorio. Mattia assorbì i diversi stimoli artistici offerti dalla Roma
papalina, orientandosi verso un “naturalismo” pittorico e perfezionando il suo stile. Non si sa molto di
questa fase giovanile, ma i dipinti mostrano con chiarezza che sviluppò immediatamente
un’ammirazione per la generazione degli artisti caravaggeschi che avevano lavorato a Roma nel
secondo decennio del Seicento, di cui anche suo fratello Gregorio aveva adottato lo stile. Com’è
ovvio, Preti apprezzava in modo particolare le prime opere di Jusepe de Ribera detto Spagnoletto
(la cui produzione romana è stata di recente collegata all’anonimo Maestro del Giudizio di
Salomone), di Bartolomeo Manfredi e Valentin de Boulogne, che a loro volta si erano ispirati alle
opere di Caravaggio a Roma.
A metà degli anni trenta del Seicento, Mattia e Gregorio collaborarono probabilmente all’esecuzione
di alcuni dipinti, e un’analisi della loro opera rivela un interesse per temi di natura simile. L’iniziale
attrazione di Preti per il naturalismo si basava essenzialmente sull’intento di dipingere personaggi
reali tratti dall’ambiente circostante, da modellare attraverso gesti, pose spontanee e netti contrasti di
luci e ombre. Quadri come il Concertino (Palazzo Comunale, Alba), Partita a dama (Ashmolean
Museum, Oxford) e il monumentale Concerto (Galleria Doria-Pamphilj, Roma) rivelano l’adesione di
Mattia a uno stile che divenne noto come Manfrediana Methodus e possono essere facilmente
raffrontati con opere di soggetto simile realizzate da Manfredi e Valentin de Boulogne. La negazione
di Pietro del Valentin (Fondazione Longhi, Firenze) (opera in mostra) e il dipinto omonimo di Ribera
(Palazzo Corsini, Roma) (opera in mostra) sono chiaramente il genere di pitture a cui il giovane Preti
si rifaceva.
Nelle sue opere, Mattia rielaborò i modelli di Manfredi eliminando le allusioni sessuali e la
raffigurazione di prostitute che li avevano resi popolari nel mercato dell’arte. Una delle sue migliori
prove è costituita dal Concerto, una monumentale tela lunga quattro metri con diciassette figure che
oggi si trova alla Galleria Doria-Pamphilj a Roma. Altri quadri raffiguranti concerti musicali più piccoli
e intimi sono conservati al Palazzo Comunale di Alba, al Museo Thyssen-Bornemisza di Madrid,
all’Ermitage di San Pietroburgo e alla Fondazione Longhi di Firenze (opera in mostra), mentre un
altro esemplare fa parte di una collezione privata di Napoli. La struttura compositiva e il carattere
stilistico delle versioni di Madrid e San Pietroburgo presentano a loro volta strette analogie con una
Partita di dama all’Ashmolean Museum di Oxford. Mattia fu uno tra gli artisti più giovani ad adottare
questo stile, che la generazione successiva in effetti abbandonò. I dipinti che egli eseguì tra la fine
degli anni trenta e i primi anni quaranta chiusero dunque il capitolo caravaggesco a Roma.
Anche Gregorio Preti si cimentò in soggetti analoghi. Tra i suoi lavori più riusciti – ancorché meno
noti di quelli di Mattia – ricordiamo l’elaborata Scena della taverna o Allegoria dei cinque sensi
(Circolo Ufficiali delle Forze Armate d’Italia, Roma) e il Concerto (Accademia Albertina, Torino)
(opera in mostra), che sembra far concorrenza all’omonimo dipinto del fratello alla Galleria Doria
Pamphilj. Nonostante la lacunosità del materiale documentario, si può affermare che la metà degli
anni trenta coincise col periodo in cui Mattia iniziò a uscire dall’anonimato e a raffigurare soggetti
religiosi (opera in mostra), distaccandosi solo col tempo dalla maniera del fratello Gregorio. Essendo
un pittore di talento, Mattia non poté comunque fare a meno di aprirsi alle correnti della Roma
contemporanea adottando uno stile d’impronta decisamente più barocca, come appare evidente
nella seconda sala del percorso espositivo. In questi anni, Preti era particolarmente colpito dalle
tipologie e dalla tecnica di Giovanni Lanfranco (opera in mostra), dalla maniera del Guercino (opera
in mostra) e dalla tavolozza di Pietro da Cortona, diventato una figura di spicco nella scena artistica
romana.
Secondo quanto riportato dall’erudito esperto d’arte e collezionista Padre Sebastiano Resta, Preti si
era formato per un breve periodo con Lanfranco – un dato non improbabile, a giudicare
dall’innegabile influenza che l’uso dell’imprimitura e le tonalità degli incarnati di Lanfranco ebbero
sullo stile di Preti. Il fatto che Lanfranco lasciò Roma per trasferirsi a Napoli all’inizio del 1634
farebbe risalire questa ipotetica formazione agli anni immediatamente precedenti, anche se Preti
continuò a studiare da vicino le numerose opere del pittore a Roma. La sua maniera lasciò
un’impronta rilevante sulla produzione giovanile di Mattia, come rivelano in particolare l’ampiezza
delle sue composizioni, il volume e la massa delle figure, la resa argentea dei coloriti e l’utilizzo
dell’imprimitura marrone come mezza tinta. Tale influenza è esemplificata in maniera efficace dal
dipinto di Lanfranco Rebecca e Eliezer al pozzo (Galleria Sabauda, Torino) (opera in mostra).
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L’altra incontestabile e profonda fonte da cui Preti trasse ispirazione fu il Guercino, alla cui maniera il
giovane si avvicinò soprattutto dopo aver abbandonato la Manfrediana methodus. De Dominici
sottolineò con forza l’impatto di Guercino sull’arte di Preti, giungendo persino ad affermare che
quest’ultimo aveva raggiunto il pittore a Bologna per studiare con lui, un’ipotesi che in ogni caso
appare improbabile. La tesi di De Dominici, che pure trova piena giustificazione sul piano stilistico,
era probabilmente legata all’esigenza di spiegare l’intima connessione tra l’opera dei due artisti e
l’interesse di entrambi per una narrazione eloquente resa nei cosiddetti “recitativi” attraverso gesti,
sguardi e pose di mani attentamente studiati.
De Dominici era colpito dall’ammirazione di Preti per i metodi del pittore bolognese, e in particolare
dal “solito modo suo di comporre le storie a imitazione del Guercino”. I quadri in cui Mattia ne adottò
la maniera sono talmente numerosi che l’ipotesi di una formazione presso Guercino avanzata da De
Dominici ne fu quasi certamente condizionata. Questa influenza è testimoniata in maniera evidente
da opere come Giuseppe e la moglie di Putifarre (in precedenza alla Galleria Napoli Nobilissima,
Napoli), l’Incredulità di san Tommaso (Galleria di Palazzo Rosso, Genova, e Kunsthistoriches
Museum,Vienna), Agar e Ismaele (Collezione privata,Milano) (opera in mostra), Giacobbe benedice
Efraim (Collezione privata), Rinaldo nel giardino di Armida (Residenza dell’Ambasciatore americano,
Villa Taverna, Roma) e Cristo e la Samaritana (Fondazione Sicilia, Palermo) (opera in mostra). Un
confronto tra Susanna e i vecchioni del Guercino (Galleria Nazionale, Parma) (opera in mostra) e
l’omonimo dipinto di Preti (Fondazione Roberto Longhi, Firenze) (opera in mostra), entrambi presenti
in mostra, chiariscono al meglio il paragone tra i due artisti.
Secondo quanto riportato dall’erudito esperto d’arte e collezionista Padre Sebastiano Resta, Preti si
era formato per un breve periodo con Lanfranco – un dato non improbabile, a giudicare
dall’innegabile influenza che l’uso dell’imprimitura e le tonalità degli incarnati di Lanfranco ebbero
sullo stile di Preti. Il fatto che Lanfranco lasciò Roma per trasferirsi a Napoli all’inizio del 1634
farebbe risalire questa ipotetica formazione agli anni immediatamente precedenti, anche se Preti
continuò a studiare da vicino le numerose opere del pittore a Roma. La sua maniera lasciò
un’impronta rilevante sulla produzione giovanile di Mattia, come rivelano in particolare l’ampiezza
delle sue composizioni, il volume e la massa delle figure, la resa argentea dei coloriti e l’utilizzo
dell’imprimitura marrone come mezza tinta. Tale influenza è esemplificata in maniera efficace dal
dipinto di Lanfranco Rebecca e Eliezer al pozzo (Galleria Sabauda, Torino) (opera in mostra).
Preti si era specializzato nei cosiddetti “quadri di galleria” e annoverava tra i suoi committenti
cardinali e membri della nobiltà. Verso la fine degli anni quaranta le sue opere acquistarono una
nuova e più dinamica teatralità, abbracciando lo spirito della macchina barocca all’epoca dominante
a Roma. Come rivela il Sacrificio di Isacco (Pinacoteca Nazionale, Bologna) (opera in mostra),
risalente al 1650 ca., Preti perfezionò il suo stile e, al pari di qualsiasi grande maestro, scelse di
contraddistinguere marcatamente la sua maniera (in seguito avrebbe osservato che “mai si vede
valentuomo con maniera di altri solo con la sua”). Ciò appare particolarmente evidente nelle
numerose scene di martiri e violenza che eseguì negli anni centrali del secolo, in particolare tra la
fine del periodo romano e quello napoletano. Dipinti come il trionfale Innalzamento della Croce
(Chiesa di san Martino, Sambughè, Preganziol) (opera in mostra), il drammatico Cristo tentato da
Satana (Museo di Capodimonte,Napoli) (opera in mostra) e il dinamico Giuditta con la testa di
Oloferne (Museo di Capodimonte, Napoli) (opera in mostra) si richiamano appunto a questo stile
eroico.
Nel 1650, il trentasettenne Preti poteva dirsi un artista affermato. Il 9 marzo di quell’anno fu accolto
tra i Virtuosi del Pantheon, mentre nel gennaio 1653 partecipò insieme ad altri due candidati
all’elezione di rettore dell’Accademia di San Luca. Anche se alla fine non fu lui il prescelto, ciò
dimostra come l’artista si fosse conquistato un ruolo di primo piano nella difficile scena artistica
romana. In quel periodo, inoltre, altri artisti con un talento molto più spiccato del fratello maggiore
Gregorio si avvicinarono in modo innegabile al suo stile. Tra le figure più rilevanti, ricordiamo quelle
di Giacinto Brandi e Pier Francesco Mola. Anche quest’ultimo, come Preti, marcava la sua distanza
dalle acclamate complessità teoriche e dalle emozioni controllate dei classicisti vicini a Andrea
Sacchi distinguendosi per il trattamento libero del colore e la maniera naturalistica. Un raffronto tra i
quadri di soggetto filosofico in mostra, segnatamente tra Platone e Diogene (Musei Capitolini, Roma)
(opera in mostra) e Il poeta filosofo (Collezione privata, Malta) (opera in mostra) di Preti, e Omero
(Palazzo Corsini, Roma) (opera in mostra) e il Poeta filosofo (Collezione privata) (opera in mostra) di
Mola, rivela le reciproche influenze tra i due artisti.
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Nel 1653, di fronte all’accanita concorrenza di Roma, Mattia Preti decise di trasferirsi a Napoli. Qui i
suoi concorrenti includevano, tra altri artisti brillanti, il giovane e promettente Luca Giordano, che
dopo aver assimilato la maniera di Ribera adottò ben presto uno stile barocco fortemente originale,
caratterizzato da uno spiccato dinamismo teatrale. Giordano sarebbe diventato il contendente più
pericoloso di Preti al ruolo di artista di riferimento della città. La sua pittura, tuttavia, sarebbe stata a
sua volta influenzata dalle opere di Preti, soprattutto per ciò che riguarda la produzione relativa al
1655 e al periodo immediatamente successivo, quando Giordano prese le distanze dallo stile di
Ribera. La Crocifissione di San Pietro (Galleria dell’Accademia, Venezia) (opera in mostra) e il
Martirio di Santa Lucia (Museo di Capodimonte, Napoli) (opera in mostra) rivelano chiaramente
l’impronta dei quadri napoletani di Preti, diversi dei quali sono esposti in mostra.
Le prime tracce documentate della presenza di Preti a Napoli, dove sarebbe rimasto sette anni,
risalgono al marzo del 1653. In questo periodo egli si impose come uno dei pittori più in vista della
città, attirando l’attenzione dei mecenati napoletani più illustri. La sua produzione straordinariamente
prolifica includeva numerosi dipinti destinati tanto alla Chiesa quanto a collezioni private. Il suo
maestoso naturalismo, di ovvia ascendenza caravaggesca, si adattava perfettamente al gusto
napoletano. Preti guardava anche alle opere napoletane di Ribera, come appare evidente nel
Martirio di San Bartolomeo (Museo Nazionale d’Abruzzo, L’Aquila) (opera in mostra) che riprende
chiaramente l’omonimo dipinto del pittore spagnolo conservato a Palazzo Pitti. I “quadri di galleria”
risultarono a loro volta particolarmente graditi ai committenti napoletani, che gliene ordinarono un
gran numero. I dipinti di Preti riprendevano la maniera dei “recitativi” di Guercino, che aveva eseguito
a Roma negli anni precedenti, ma le sue narrazioni divennero più energiche e trionfali, come si può
dedurre facilmente dalle opere esposte nella parte laterale della mostra. Tra gli esempi più notevoli
risalenti a questo periodo, ricordiamo L’adorazione dei re Magi (Collezione privata) (opera in mostra)
e La regina Tomiri con la testa di Ciro (Collezione privata) (opera in mostra).
Quest’ultimo è uno dei numerosi dipinti in cui Preti ritrasse eroine ed esempi di virtù stoica, soggetti
che rispecchiavano una committenza sofisticata e si adattavano particolarmente alla maniera
trionfante delle opere eseguite dal pittore a Napoli e a Malta. Le sue figure, segnatamente quelle di
Didone, Rachele (opera in mostra), Caterina, Giuditta (opera in mostra) e Sofonisba (opera in
mostra), sono prive di qualsiasi sentimentalismo e incarnano la virilità della natura stoica. In città il
rapporto con i Cavalieri diMalta era invece quasi inesistente, finché il procuratore dell’Ordine a Napoli
ricevette la richiesta da parte di Martin de Redin, Gran Maestro neo-eletto, di un dipinto da far
realizzare al “pennello più famoso della città”. Il nuovo dipinto raffigurante San Francesco Saverio
(opera in mostra), esposto in mostra, era destinato alla cappella di Aragona, Catalogna e Navarra
nella chiesa conventuale di San Giovanni a La Valletta e al procuratore di Napoli era stato
specificamente chiesto “acciò venghi primariamente lavorato dal più accreditato pennello che ha
hoggi sia in Napoli”. La scelta di Preti era quasi ovvia, nonostante il promettente e molto più giovane
Luca Giordano. In tutta onestà, Preti era un Cavaliere di Malta e di certo non poteva rifiutare l’onere
di eseguire un dipinto per il suo Gran Maestro. Questo incarico diede avvio all’interesse di Preti per
l’Ordine e fu l’inizio di un periodo – che sarebbe durato quattro lunghi decenni – di assiduo lavoro per
i Cavalieri.
I dipinti che Preti realizzò e portò nell’isola alla fine degli anni cinquanta colsero di sorpresa i
Cavalieri di Malta. La macchina barocca, la monumentalità delle forme, i movimenti vigorosi, la
pennellata sicura, l’intensità cromatica e la forza tonale suscitarono grande entusiasmo e
assicurarono la sua nomina a Cavaliere nel 1661. A Malta si aprì un nuovo capitolo della vita di Preti,
che lo avrebbe visto raggiungere la maturità e l’età avanzata. I Cavalieri di Malta trovarono degna
celebrazione nel lavoro di Preti il quale dal canto suo si ritirò quasi completamente dalla scena
artistica internazionale di Roma e Napoli. Nondimeno continuò ad inviare i dipinti fuori dall’isola,
anche se una parte considerevole del corpus di opere realizzate tra il 1661 e il 1669 era per lo più
destinata al mercato maltese (CATS?). Nei primi anni trascorsi a Malta, Preti era all’apice della
carriera e produsse alcune delle sue opere più importanti.
Esiste un numero considerevole di grandi dipinti da cavalletto e “quadri di galleria” – la maggior parte
conservati in musei internazionali e collezioni private – databili, sulla base di valutazioni stilistiche,
agli anni sessanta o all’inizio dei settanta del secolo. Essi evidenziano un ulteriore evoluzione della
“maniera napoletana” dell’artista e confermano come Preti riuscisse a soddisfare la richiesta di
questo tipo di opere. Tra vari splendidi esempi citiamo il gioioso e trionfante Convito di Salomone
(collezione privata) (opera in mostra).
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Il metodo di lavoro di Preti era veloce e diretto e l’immediatezza dell’esecuzione insieme alla sua
impulsiva spontaneità furono il segreto del suo successo. Il pennello toccava la tela con i colpi audaci
e sicuri tipici dei grandi maestri e la sua competenza tecnica gli consentiva una piena padronanza
delle potenzialità della pittura a olio. Le sue velature erano squisitamente controllate, mentre a volte
le figure e i drappeggi venivano resi lasciando aree in cui l’imprimitura svolgeva un ruolo
fondamentale come tono medio. I numerosi esempi di pentimenti, cambi di direzione, rielaborazioni e
modifiche offrono una splendida panoramica sul suo metodo di lavoro.
Preti giunse a Malta al culmine della carriera quando la sua arte era a uno stadio di piena maturità e,
forse, immune da significative influenze esterne. Innegabilmente, durante il lungo soggiorno sull’isola
l’artista si isolò dalle correnti stilistiche emergenti nell’Italia di fine Seicento e poco a poco perse il
contatto con i progressi contemporanei. Tuttavia, con l’avanzare degli anni le sue riflessioni
diventarono visibilmente più intime. Nessuno dei grandi maestri dell’epoca fu più incaricato di
eseguire opere significative a Malta, quindi lo stile di Preti si chiuse nell’isolamento.
Intorno alla metà degli anni settanta, l’atmosfera generale delle sue opere iniziò a cambiare, le
composizioni da dinamiche e monumentali si fecero più pacate e le tonalità progressivamente più
scure. Inoltre l’artista abbandonò la maggior parte dei colori più brillanti mostrando maggiore
interesse per le qualità tonali del tenebrismo, eliminando quasi completamente i blu, gli arancio e i
gialli della tavolozza neo-veneziana. Questo cambiamento stilistico, molto significativo nell’arte di
Preti, fu il risultato di una maturazione dovuta all’età ma anche della sua attività in un contesto in cui
non aveva veri e propri concorrenti. I due dipinti con San Paolo Eremita e Cristo alla colonna
(entrambi al National Museum of Fine Arts, La Valletta) (opera in mostra) (opera in mostra) sono
esempi toccanti della sua ultima maniera. Lontano dai rivali, Preti meditava sulla propria arte
mitigandone i contenuti e movimenti forti e limitando la propria tavolozza. La sua creatività rimase
relativamente vigorosa,ma la qualità della sua produzione cominciò pian piano a diminuire a causa
dei problemi fisici legati alla vecchiaia.
Con la morte, sopraggiunta il 3 gennaio 1699, la storia di questo artista-cavaliere ebbe un quieto
epilogo. Per quarant’anni, nonostante la notevole frustrazione del decennio iniziale, Mattia Preti, il
Cavalier calabrese, aveva usato con energia il pennello per servire la croce di grazia che gli era stata
assegnata. questa croce lo aveva attratto a Malta e, per molti versi, fu lei a trattenerlo lì per il resto
della sua vita. Per il suo successo gli fu concesso l’onore della sepoltura all’interno della chiesa
conventuale di San Giovanni, un onore generalmente riservato a gran croci e ad altri cavalieri di
giustizia. Sulla lapide l’amico Camillo Albertini, priore di Barletta, fece incidere il seguente epitaffio:
HIC JACET MAGNUM PICTURAE DECUS
COMMENDATOR FR. MATTHIAS PRETI,
QUI POST SUMMOS HONORES PENNICILLO COMPARATOS
ROMAE, VENETIIS, NEAPOLI
SUB AUSPICIIS EM. M. M. DE REDIN IN MELITAM VENIT,
UBI AB ORDINE HIEROSOL. ENCOMIIS ELATUS,
AC INTER EQUITES V. LINGUAE ITALIAE ADLECTUS,
HANC ECCLESIAM SINGULARI PICTURA EXHORNAVIT.
SEVERIORIS MOX PIETATIS STUDIO INCENSUS
INGENTEM PECUNIAM TABULIS QUAESITAM
EROGAVIT IN PAUPERES,
RELICTO PICTORESQUE EXEMPLO,
QUO DISCERENT PINGERE AETERNITATI,
AD QUAM EVOLAVIT NONAGENARIO MINOR QUATUOR ANNIS
TERBIO NON. JANUAR. 1699.
FRATER CAMILLUS ALBERTINI PRIOR BARULI
AMICO DESIDERATISSIMO HOC MONUMENTUM
POSUIT.
*Keith Sciberras (Professore di Storia dell’Arte all’Università di Malta) è co-curatore
della mostra.
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Il Cavalier calabrese Mattia
Preti
TRA CARAVAGGIO E LUCA
GIORDANO
Reggia di Venaria - Torino
16 maggio - 15 settembre 2013
Un progetto della Regione Calabria
e del Comitato per le celebrazioni
del IV Centenario della nascita di
Mattia Preti
realizzato dal
Consorzio La Venaria Reale
con il supporto della Repubblica di
Malta
in collaborazione con la Regione
Piemonte in occasione del XXVI
Salone Internazionale del Libro di
Torino
Regione Calabria
Presidente
Giuseppe Scopelliti
Assessore alla Cultura
Mario Caligiuri
Direttore generale alla Cultura
Massimiliano Ferrara
Dirigente settore Cultura
Armando Pagliaro
Comitato per le celebrazioni del IV
Centenario della nascita di Mattia
Preti
Vittorio Sgarbi Presidente
Alessandra Anselmi
Paolo Arrigoni
Mario Buhagiar
Giovanna Capitelli
Domenico Romano Carratelli
Fabio De Chirico
Guglielmo De Giovanni Centelles
Riccardo Lattuada
Giorgio Leone
Giuseppe Mantella
Maurizio Marini
Fernando Miglietta
Keith Sciberras
John T. Spike
Nicola Spinosa
Claudio Strinati
Giuseppe Valentino
Rossella Vodret
Alessandro Zuccari
Luigi Tassoni
La mostra è curata da
Vittorio Sgarbi
Keith Sciberras
coordinamento e ricerche
Antonio D’Amico
Comitato di studi
Stefania Bosco
Antonio D’Amico
Fabio De Chirico
Giorgio Leone
Fernando Miglietta
Keith Sciberras
Guendalina Serafinelli
Vittorio Sgarbi
John T. Spike
Nicola Spinosa
Luigi Tassoni
Segreteria
Stefania Bosco
Regione Piemonte
Presidente
Roberto Cota
Assessore alla Cultura
Michele Coppola
Direttore alla Cultura e Turismo
Virginia Tiraboschi
Dirigente alle Residenze e
Collezioni Reali
Raffaella Tittone
Salone Internazionale del libro di
Torino
Presidente
Rolando Picchioni
Direttore
Ernesto Ferrero
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CATALOGO
ORGANIZZAZIONE
Consorzio La Venaria Reale
Presidente
Fabrizio Del Noce
Direttore
Alberto Vanelli
Promozione ed evento inaugurale
Sonia Amarena
Silvia Penna, Luca Naccarato,
Sabrina Repetto
in collaborazione con Agenzia Uno
Organizzazione, segreteria e
coordinamento
Gianbeppe Colombano
Servizi per la Reggia di Venaria:
Segreteria organizzativa
Anonima Talenti
Cesare Bernardi
Massimiliano Pari
Ufficio Attività espositiva
Tomaso Ricardi di Netro
Giulia Zanasi (registrar), Patrizia
Raineri
Allestimento
Open Door sas
Ufficio Allestimenti
Francesco Bosso
Giovanni Tironi (progetto di
allestimento e direzione lavori)
Paolo Armand, Fabio Soffredini
Ufficio Conservazione
Silvia Ghisotti, Donatella Zanardo
Servizi educativi
Silvia Varetto
Amministrazione
Francesca Cassano
Stefania Mina
Grafica in mostra
Bellissimo & the Beast
Trasporti
Crown Fine Arts
Assicurazioni
Arte Assicurazioni
CS Insurance Service
D’Ippolito&Lorenzano sas
Studio Pastore Insurance Broker
Video in mostra
produzione
Fondazione Cosso, Miradolo
esecuzione e montaggio
Roberto e Marco Ventriglia
coordinamento
Antonio D'Amico
Supervisione architettonica e
impiantistica
Francesco Pernice
Giorgio Ruffino, Vincenzo Scarano, Restauri
ReCoop - The Restoration and
Alberto Miele
Conservation Co-op, Malta
Sicurezza e servizi logistici
Servizio di gestione
Gianfranco Lo Cigno, Carlo
ATI La Corte Reale, Telecontrol,
Riontino, Filippo Ronsisvalle
Diamante
Comunicazione e Stampa
Andrea Scaringella
Matteo Fagiano, Cristina Negus,
I curatori e il comitato di studio e
Carla Testore con Elena Alliaudi,
ricerche sono grati a tutti coloro
M.Clementina Falletti, Alessandra
che, a vario titolo, hanno reso
Zago
in collaborazione con Nino Ippolito possibile la realizzazione di questo
progetto espositivo.
Immagine della mostra
Federico Sacco
Curatela
Vittorio Sgarbi
Keith Sciberras
coordinamento
Antonio D’Amico
autori saggi
Stefania Bosco
Giorgio Leone
Fernando Miglietta
Keith Sciberras
Guendalina Serafinelli
Vittorio Sgarbi
John T. Spike
Nicola Spinosa
Luigi Tassoni
autori schede
Piero Boccardo
Jessica Borg
Stefania Bosco
Paola Caretta
Antonio D'Amico
Brigitte Daprà
Sergio Guarino
Giorgio Leone
Francesca Pasculli
Francesco Petrucci
Stefano Saponaro
Keith Sciberras
Xavier Solomon
Nicola Spinosa
David Stone
John T. Spike
Mariella Utili
editore
Silvana editoriale
fotografie
Joe P. Borg, Malta
Midsea Books Ltd, Malta
Attilio Onofrio, Soprintendenza
BSAE Calabria
Coordinamento grafico
Domenico De Gaetano
Chiara Tappero, Anna Giuliano
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Albo dei prestatori
Bologna, Pinacoteca Nazionale
Soprintendenza B.S.A.E. della
Calabria - Galleria Nazionale di
Cosenza
Collezione Neville Agius
Collezione Daniel Azzopardi
Collezione John Gauci-Maistre
Collezione privata, courtesy
Whitfield Fine Arts London
Collezione privata, courtesy
Robilant+Voena
Collezione Romano Carratelli
Firenze, Fondazione di Studi di
Storia dell'Arte Roberto
Longhi
Genova, Musei di Strada Nuova Palazzo Rosso
L'Aquila, Museo Nazionale
d'Abruzzo
Heritage Malta
London-Milano, Robilant+Voena
Milano, Collezione privata
Milano, Collezione Adolfo Nobili
Napoli, Collezione privata
Napoli, Museo di Capodimonte
Napoli, Soprintendenza Speciale
per il patrimonio storico,
artistico ed etnoantropologico
e per il Polo Museale della città
di Napoli
Palermo, Fondazione Sicilia
Parma, Galleria Nazionale
Rende, Collezione privata
Rende, Museo Civico
Rimini, Confraternita di San
Girolamo e della SS. Trinità
Roma, Musei Capitolini Pinacoteca Capitolina
Roma, Galleria Nazionale d'Arte
Antica - Palazzo Barberini
Roma, Galleria Nazionale d'Arte
Antica in Palazzo Corsini
Collezione Marignoli
Torino, Collezione privata
Torino, Galleria Sabauda
Torino, Pinacoteca dell'Accademia
Albertina
Valletta, Malta, The St John's CoCathedral Foundation
Venezia, Gallerie dell'Accademia
UK, Collezione privata
Desideriamo inoltre ringraziare i
prestatori privati che hanno
preferito rimanere anonimi
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BIGLIETTI
La mostra è compresa nel biglietto:
LA VENARIA REALE “TUTTO IN UNA REGGIA” (“tutto compreso”)
Questo ingresso offre:
- Reggia con percorso Teatro di Storia e Magnificenza, eventi espositivi, Musica a Corte
- tutte le Mostre in corso
- Giardini (Parco alto e Parco basso) con Potager Royal, installazioni di arte contemporanea, Fantacasino, Domeniche da Re
- Teatro d’Acqua della Fontana del Cervo
20 euro
39 euro (“PACCHETTO FAMIGLIA”: 2 adulti + massimo 3 minori dai 6 ai 18 anni)
Gratuito per i minori di 6 anni
Con questo biglietto si ha anche diritto al 10% di sconto ai punti ristoro, bottega e bookshop; e al Ridotto per il servizio di Audiopen nella Reggia, il Trenino, Carrozza e Gondole
nei Giardini.
IL CAVALIER CALABRESE MATTIA PRETI. TRA CARAVAGGIO E LUCA GIORDANO
Intero
10 euro
Ridotto
gruppi di min. 12 persone, dai 6 ai 18 anni e maggiori di 65 anni, quanti previsti da conv.
per Ridotti)
8 euro
Scuole
(classi minimo di 12 studenti, ingresso gratuito per 2 accompagnatori ogni 25 studenti)
4 euro
Minori di 6 anni e quanti previsti da conv. per Gratuiti
Gratuito
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ORARI
Reggia e mostre
• Lunedì: chiusura (tranne eventuali giorni Festivi -escluso Natale- che hanno gli stessi
orari della domenica)
• Da martedì a venerdì: dalle ore 9 alle 17 (ultimo ingresso 1 ora prima circa)
• Sabato e domenica: dalle ore 9 alle 20 (ultimo ingresso 1 ora prima circa)
Altri orari da definire durante:
Sere d’Estate alla Reggia (da fine giugno al 15 agosto 2013)
La Reggia è aperta (con gli stessi orari della domenica) nei giorni Festivi:
Capodanno (1° gennaio, ma dalle ore 11), Epifania (6 gennaio), Pasqua e Pasquetta, Festa
della Liberazione (25 aprile), Festa del Lavoro (1° maggio), Festa della Repubblica (2
giugno), Ferragosto (15 agosto), Ognissanti (1° novembre), Festa dell'Immacolata (8
dicembre) e Santo Stefano (26 dicembre). Resta aperta secondo l'orario settimanale anche
il giorno di Sant'Eusebio, Patrono di Venaria Reale (14 agosto).
INFORMAZIONI E PRENOTAZIONI
tel. + 39 011 4992333 - www.lavenaria.it
La Venaria Reale – Comunicazione e Stampa
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LA VENARIA REALE
COMUNICAZIONE E STAMPA
Andrea Scaringella (Resp.)
Matteo Fagiano
Cristina Negus
Chiara Tappero
Carla Testore
con Elena Alliaudi, M. Clementina Falletti, Anna
Giuliano, Costantino Sergi, Alessandra Zago
La Venaria Reale – Comunicazione e Stampa
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