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oscar farinetti
7 mosse
l’italia
con i commenti di giovanni soldini, ugo alciati,
luca baffigo, alessandro baricco, mario brunello,
moreno cedroni, lella costa, luciana delle donne,
guido falck, giorgio faletti, bruno fieno, maria giua,
beatrice iacovoni, riccardo illy, marella levoni,
matteo marzotto, teo musso, paolo nocivelli,
piergiorgio odifreddi, simone perotti, francesco rubino,
davide scabin, antonio scurati, daniel winteler
oscar farinetti
7 mosse
l’italia
un viaggio in barca a vela da genova a new york
con giovanni soldini e un po' di amici
7 mosse per l’italia
© 2011 eataly srl
progetto editoriale:
sintagmagroup srl
darica martino
finito di stampare nel mese di maggio 2011
g. canale & c. spa
–
borgaro torinese (to)
italia
per dimostrare l’impegno alla cura del cliente e per ridurre gli impatti ambientali associati alle
proprie attività, la g. canale & c. spa, presso il suo sito certificato imprim’vert, ha conseguito e
mantiene le certificazioni uni en iso 9001:2008 e uni en iso 14001:2004, applicando quindi un
sistema di gestione qualità e ambiente conforme a queste norme internazionali
«Qui ad Atene noi facciamo così. Qui il nostro governo
favorisce i molti invece dei pochi: e per questo viene
chiamato democrazia. Qui ad Atene noi facciamo così.
Le leggi qui assicurano una giustizia eguale per tutti nelle
loro dispute private, ma noi non ignoriamo mai i meriti
dell’eccellenza. Quando un cittadino si distingue, allora
esso sarà, a preferenza di altri, chiamato a servire lo Stato,
ma non come un atto di privilegio, come una ricompensa
al merito, e la povertà non costituisce un impedimento. Qui
ad Atene noi facciamo così. La libertà di cui godiamo si
estende anche alla vita quotidiana; noi non siamo sospettosi
l’uno dell’altro e non infastidiamo mai il nostro prossimo
se al nostro prossimo piace vivere a modo suo. Noi siamo
liberi, liberi di vivere proprio come ci piace e tuttavia
siamo sempre pronti a fronteggiare qualsiasi pericolo. Un
cittadino ateniese non trascura i pubblici affari quando
attende alle proprie faccende private, ma soprattutto non
si occupa dei pubblici affari per risolvere le sue questioni
private. Qui ad Atene noi facciamo così. Ci è stato insegnato
di rispettare i magistrati, e ci è stato insegnato anche di
rispettare le leggi e di non dimenticare mai che dobbiamo
proteggere coloro che ricevono offesa. E ci è stato anche
insegnato di rispettare quelle leggi non scritte che risiedono
nell’universale sentimento di ciò che è giusto e di ciò che
è buon senso. Qui ad Atene noi facciamo così. Un uomo
che non si interessa allo Stato noi non lo consideriamo
innocuo, ma inutile; e benché in pochi siano in grado di
dare vita ad una politica, tutti qui ad Atene siamo in grado
di giudicarla. Noi non consideriamo la discussione come
un ostacolo sulla via della democrazia. Noi crediamo che
la felicità sia il frutto della libertà, ma che la libertà sia solo
il frutto del valore. Insomma, io proclamo che Atene è la
scuola dell’Ellade e che ogni ateniese cresce sviluppando in
sé una felice fiducia in se stesso, la prontezza a fronteggiare
qualsiasi situazione ed è per questo che la nostra città è
aperta al mondo e noi non cacciamo mai uno straniero.
Qui ad Atene noi facciamo così.»
Pericle
Discorso agli Ateniesi
(461 a.C.)
indice
le ragioni di un viaggio
alla ricerca del marino
7 mosse per l'italia –
9
di luciano bertello
due o tre cose prima di cominciare
11
15
la barca
17
l'equipaggio, di tappa in tappa
19
diario di una traversata
21
di giovanni soldini
i naviganti
7 mosse per l'italia
23
25
di oscar farinetti
meno critica, più autocritica –
prologo
27
meno politici, più politica
31
meno sprechi, più responsabilità
33
meno bombe, più diplomazia
37
Meno invocazioni, più vocazioni
39
meno liti, più accoglienza
45
meno io, più noi
53
meno leggi, più disciplina – meno chiesa, più gesù
57
meno maschile, più femminile –
epilogo
61
la parola ai naviganti
63
7 mosse per l'italia –
meno meteore, più perseveranza
meno merito, più estero
di ugo alciati
di luca baffigo
meno scetticismo, più ingenuità
riflessioni da “i love barolo”
di alessandro baricco
di mario brunello
65
67
71
75
7
meno teoria, più pratica
una mattina mi son svegliata… di
lella costa
innovazione sociale = creatività
applicata al buon senso di luciana delle
meno onde, più mare
donne
di giorgio faletti
meno individualismo, più armonia
l'albero si giudica dai frutti
meno pregiudizi, più umiltà
meno zavorra, più vento
di bruno fieno
di beatrice iacovoni
di riccardo illy
il viaggio, la navigazione, le 7 mosse di
modeste proposte sulle 7 mosse
meno manifestazioni,
più azioni (individuali) di
7 mosse per l'italia –
ringraziamenti
111
di piergiorgio odifreddi
121
125
129
di antonio scurati
di giovanni soldini
di daniel winteler
riassumendo
105
117
di davide scabin
la cultura a milano (e in italia?)
meno pigrizia, più fantasia
103
di paolo nocivelli
di francesco rubino
meno profitto, più coscienza
99
115
simone perotti
meno cervello, più pancia
8
matteo marzotto
di teo musso
meno "status quo", più cambiamenti
95
109
di marella levoni
più terra, meno facebook
87
101
di maria giua
meno velleitarismo, più rigore
83
91
di guido falck
meno leggerezze, più leggerezza
meno parole...
81
di moreno cedroni
131
135
139
143
147
159
le ragioni di un viaggio
Sono state due le ragioni che nella primavera del 2011, dal giorno
della Liberazione (25 aprile) alla festa della Repubblica (2 giugno), hanno spinto un piccolo gruppo di italiani a trasformarsi in
ciurma e ad affrontare l’oceano: 37 giorni per mare, da Genova a
New York, su una barca a vela manuale e con una cambusa rifornita di ottimi cibi e vini italiani, però razionati. è stato un viaggio
vero, avventuroso, e al tempo stesso un viaggio simbolico: la prova che insieme si può ancora fare molto per il nostro Paese e per
noi stessi, e che si può vivere e convivere in armonia.
Il libro che state sfogliando è il frutto di quel viaggio.
7 MOSSE
L’ITALIA
Un navigatore e un mercante, aiutati da 5 velisti, accompagnati da
3 grandi chef e da 15 compagni di viaggio – gente di pensiero e
di azione che si è alternata di tappa in tappa – si sono confrontati
sulle 7 mosse da attuare subito per migliorare il nostro Paese. Nessuna di queste persone fa politica attiva, né desidera farla. Nessuno di loro è pregiudizialmente di destra o di sinistra, lontani anni
luce da beghe partitiche: mai “contro”, sempre “per”.
alla ricerca del marino
È il vento che arriva dal mare. I cibi di grande qualità e tradizione nascono dall’incontro tra venti. L’Italia è particolarmente
fortunata in questo senso, essendo una penisola stretta e lunga al
centro del Mediterraneo. Qui il vento marino che nasce negli oceani, filtrato da Gibilterra e da Suez, diventa brezza e si posa sulle nostre specialità, incontrando l’aria fresca delle colline e delle
montagne. In questo modo le rende uniche. Si pensi ai prosciutti
italiani, al Grana padano, alla pasta di Gragnano, allo stesso Nebbiolo. Durante questa traversata abbiamo portato molti di questi
prodotti con noi, alla ricerca delle origini del vento che li rende
meravigliosi, e ogni giorno sono stati utilizzati da un grande chef
per creare i piatti che hanno dato corpo alla nostra convivialità.
9
alla ricerca del marino
di luciano bertello
antefatto – A righe e a quadretti
Montaldo Roero, 12 ottobre 1963
Una giornata di pioggia sulla collina. La maestra racconta di
eroi-naviganti omerici e di una donna tenace che non rimarrà
sola. Di vele e di venti. Di sentimenti e valori scritti dall’ulissiaca
prua sul quaderno blu del Mediterraneo.
Un bambino, le mani nascoste sotto il banco, costruisce barchette di carta. Barchette a righe e a quadretti. Quando esce, le
affida al rivolo d’acqua che scorre nella ripida strada. Le segue; le
spinge; le rialza; le rimette nella corrente.
Da casa lo cercano. Lo trovano, fradicio, quasi ai piedi della
collina. La mamma, preoccupata, lo interroga. Incredula, lo protegge e lo scalda: cercava la casa dell’acqua e di quel vento che i
grandi chiamano marìn.
andar per langa
Alta Langa, 30 dicembre 2010
In una giornata di azzurro terso, due uomini vanno per Langa
incontro al marìn.
Intorno, colline epiche e silenziose.
L’uno scrive numeri su fogli a righe; l’altro annota pensieri su
fogli a quadretti.
Il primo traccia grafici e architetture di mercati fra Langa, Tokyo
e New York; il secondo viaggia tra i secoli di Langa e Roero, a
caccia di storie di uomini e di terra.
Entrambi sanno di avere il marìn nelle vene. Ma vogliono darsene ragione e, allora, lo inseguono nello spazio e nel tempo per
capire dov’è la sua casa.
Di una cosa sono certi: quel blu che da Mombarcaro si vede
all’orizzonte è il mare.
11
alla ricerca del marino
il marìn
Barolo, 17 marzo 2011
Il marìn è un vento che torna. Incrocia il profumo del mare e del
rosmarino con quello di montagna e di neve. Appassiona e snerva. Accarezza e fa grandi i nebbioli.
Il marìn crea piccoli mulinelli e gioca con le foglie: sembra un
gatto che cerca di mordersi la coda.
Mette languori e voglia di porti. Poi, una volta lontano, diventa
un richiamo irresistibile e voglia di casa.
Il marìn ama la libertà e gli spazi liberi, ridicolizza confini e frontiere, va d’accordo con gli spiriti liberi.
Il marìn è la Langa: libera repubblica e vandea, malora e albero
della cuccagna, collina e altrove, Cesare Pavese e Michele Ferrero,
Beppe Fenoglio e Giacomo Morra.
Il marìn è il balon: piedi ben piantati in terra e cielo, zembo e arcàss, Ghindu e Augusto Manzo, Felice Bertola e Massimo Berutti.
Il marìn è il Barolo: legno e tempo, tannini e carezze, vigna e
mondo, la marchesa Giulia Colbert Falletti e la Bela Rosìn, Bartolo Mascarello e Angelo Gaja.
… ma per seguir virtute e conoscenza
Tra Genova e New York, 25 aprile – 2 giugno 2011
Dal mare di colline al mare, il passo è breve. Basta seguire il marìn.
Da Genova a New York c’è di mezzo il mare. Ma basta inseguire
il marìn.
Sulla barca, due capitani coraggiosi. Esperti di navigazioni in
solitaria. L’uno, omerico, disegna avventure su coordinate geografiche; l’altro, fenicio, ama dare un’anima ai numeri.
Non fuggono: hanno dentro il marìn e stanno bene dentro
al marìn. Si allontanano dalla madrepatria per poterla guardare
meglio. Cercano la giusta prospettiva per immaginare prospettive più giuste. Cercano risposte: nel marìn, l’uno nell’altro, nella
storia, nei libri.
Cercano valori: tra epica e cronaca, tra mito e futuro.
Amici a righe e a quadretti si alternano al loro fianco, per aiutarli
a capire e a dire.
12
7 mosse
l’italia
Il magico 7 è bussola e faro.
La cambusa è stipata con i sapori eccelsi della madrepatria e i
cuochi sono chef.
Due valori li hanno già ritrovati: il tempo e la carezza del marìn.
Gli stessi che sanno trasformare un sapore in saggezza: in Grana
padano, in prosciutto crudo San Daniele, in pasta di Gragnano,
in Barolo.
La rotta procede sicura e la prua è come un sismografo che
registra il respiro del marìn.
Ma il marìn è come il “vento largo” del poeta: «Non soffia mai
nella stessa direzione e di conseguenza disorienta molto… è
come il vento della vita che ti spinge prima da una parte, poi
dall’altra…».
Qualche volta tace.
Certi sono soltanto gli estremi del viaggio: il 25 aprile e il 2 giugno. E il 17 marzo è appena più in là.
13
7 mosse
l’italia
due o tre cose prima di cominciare
lA BARCA
17
l’equipaggio, DI TAPPA IN TAPPA
1
Genova – PALma di maiorca (25 aprile – 29 aprile 2011)
2
PALma di maiorca – Gibilterra (30 aprile – 5 maggio 2011)
3
Gibilterra – madeira (6 maggio – 11 maggio 2011)
4
madeira – new york (12 maggio – 2 giugno 2011)
soldini, farinetti, alciati, baricco, falck, fieno,
iacovoni, illy, levoni, nocivelli, winteler
soldini, farinetti, alciati, brunello, costa,
delle donne, fieno, iacovoni, nocivelli, scurati
soldini, farinetti, baffigo, cedroni, faletti, fieno,
iacovoni, marzotto, musso, nocivelli, odifreddi
soldini, farinetti, baffigo, falck, giua, iacovoni,
nocivelli, perotti, rubino, scabin
19
DIARIO DI UNA TRAVERSATA
di giovanni soldini
Ho partecipato a questo viaggio come capitano della barca, quindi ho avuto la fortuna di navigare con tutti i diversi protagonisti
di questa avventura. Non è stata una crociera, è stato un vero e
proprio viaggio attraverso il Mediterraneo e l’Atlantico.
Non vi nascondo che all’inizio ero un po’ preoccupato: non ero
sicuro che tutte queste persone, abituate a lavorare d’intelletto,
sarebbero state capaci di venire a patti con la legge del mare e di
una barca a vela. Poi è arrivato il giorno della partenza e, come
sempre accade, il mare ha messo a posto tutto.
Tutti i membri dell’equipaggio si sono dati da fare, hanno fatto i
turni di notte al timone, hanno imparato a convivere in 10 su una
barca relativamente piccola, hanno imparato a usare un bagno in
cui – per tirare l’acqua – bisogna pompare con una leva 30 volte,
hanno fatto i turni per lavare i piatti, hanno capito l’importanza
del risparmio dell’acqua dolce, dell’energia e devo dire che tutti
mi hanno veramente stupito per la naturalezza e l’intelligenza con
cui si sono adattati alle regole e alle esigenze della navigazione.
Ho passato interi turni di notte a discutere e a confrontarmi su
temi anche importanti e impegnati con persone completamente
diverse da me che mi hanno a volte affascinato, a volte contrariato, ma sempre arricchito e colpito per il loro spirito positivo.
Non tutte quelle discussioni erano attinenti alle 7 mosse, spesso
si è parlato di altre cose, ma sempre con una grande capacità e
voglia di essere costruttivi.
Penso che ci sia stata per me, come per tutti, una grande sorpresa,
scoprire che uomini e donne così diversi possono apprezzare e vivere in armonia le stesse cose, rispettando le esigenze della natura.
Siamo partiti da Genova, il Golfo del Leone ci ha riservato il
primo colpo di vento (30/35 nodi al traverso) che ha messo alla
prova barca ed equipaggio.
è stato il primo approccio con il mare formato. Anche quella
roccia di Oscar ha accusato il colpo, ho persino pensato che si
sarebbe calmato anche lui. Illusione durata una mattinata perché
21
si è subito ripreso ed è tornato quel vulcano instancabile che è nel
giro di poche ore.
Nella seconda tappa (da Palma di Maiorca a Gibilterra) ci siamo
fermati un giorno ad Alicante per far passare una burrasca forza
nove da Ovest nel mare di Alboran. Saggia decisione che ci ha
permesso di proseguire il viaggio senza particolari stress.
L’arrivo a Gibilterra, con la Rocca che è comparsa d’un tratto
nella nebbia, è stato forse uno dei momenti più suggestivi.
Le prime miglia di oceano della terza tappa sono incominciate
con l’incontro di pericolose spadare alla deriva vicino alle coste
marocchine. Dopo una notte difficile abbiamo agganciato il NordEst e, finalmente lontani dalla costa, abbiamo cominciato a macinare miglia su miglia; 600 per l’esattezza, in tre giorni, con un
record di velocità di 17 nodi che per una barca come l’Elmos Fire
non sono pochi.
Dopo una sosta veloce e un cambio d’equipaggio a Madeira,
siamo ripartiti per la tappa più lunga: 2750 miglia fino a New
York. L’alta pressione delle Azzorre era posizionata molto a Nord
e ci ha regalato giorni di splendido Nord-Est, spinnaker e belle
velocità. Condizioni fantastiche che ci hanno spinto veloci per le
prime 1500 miglia.
Le ultime 1300 miglia sono state le più difficili, c’era la corrente
del Golfo e ci sono state le molte depressioni che nascono davanti alla costa degli Stati Uniti e risalgono verso Nord-Ovest.
Ma a questo punto l’equipaggio era affiatato e pronto a superare anche le ultime difficoltà.
22
i naviganti
ugo alciati
luca baffigo
moreno cedroni
guido falck
alessandro baricco
lella costa
giorgio faletti
mario brunello
luciana delle donne
oscar farinetti
bruno fieno
23
maria giua
beatrice iacovoni
matteo marzotto
piergiorgio odifreddi
davide scabin
riccardo illy
teo musso
simone perotti
antonio scurati
marella levoni
paolo nocivelli
francesco rubino
giovanni soldini
daniel winteler
7 mosse
di oscar
l’italia
farinetti
meno critica, più autocritica…
meno politici, più politica
meno sprechi, più responsabilità
meno bombe, più diplomazia
meno invocazioni, più vocazioni
meno liti, più accoglienza
meno io, più noi
meno leggi, più disciplina
meno chiesa, più gesù
…
meno maschile, più femminile
meno critica, più autocritica
prologo
Siamo in declino, non vi è dubbio. Non è il caso di essere terrorizzati, l’umanità ha avuto ciclicamente periodi di declino da quando
esiste, e così pure il nostro Paese. Periodi che hanno avuto dinamiche e durate diverse tra loro, ma sempre una caratteristica comune: si va in declino quando le posizioni chiave di governo e di
amministrazione delle comunità vengono assunte prevalentemente da persone mediocri, mentre si cresce quando a dirigere vanno
prevalentemente i galantuomini. Per mediocri intendo quelli che,
di fronte a una decisione importante, si pongono innanzitutto la
domanda: «Che figura farò io?». Il galantuomo ovviamente fa il
contrario, pensa subito al bene pubblico. Dell’Italia si potrebbe
dire, forzando un po’ le cose, che siamo in declino da 1700 anni:
ma senza dimenticare, ad esempio, il Rinascimento, o il Risorgimento, o il miracolo economico del Dopoguerra. Quindi, nessun
terrore, ma un po’ di spavento ce lo possiamo permettere. E poi,
la scocciatura di beccarcelo proprio noi il declino. Perché se va
avanti così, con questa lentezza, saranno altre persone a godersi
la rinascita.
Tra declino e rinascita abitualmente avviene qualcosa di traumatico. Una rivoluzione, guerre, eccidi. Anche perché non succede
mai che un mediocre o un dittatore si dimetta: bisogna cacciarli.
Questo, più o meno, dice la Storia. Ma, porca miseria, perché
dobbiamo sempre subirla, questa benedetta (o maledetta) Storia? Possibile che non riusciamo a lavorarci un po’? Possibile che
invece di subire passivamente gli eventi non ci venga in mente
di rimboccarci le maniche in modo da prevenirli con un sano e
ribelle programma a tappe forzate che ci tiri fuori dal declino in
tempi brevi?
Ecco da cosa nasce la mia decisione di dedicare un piccolo pezzo della mia vita a pensare a una soluzione. In fondo è un gesto
egoista, la voglia che ho di godermela ancora un po’.
Prendetela così: un cittadino italiano che non fa né farà la politica, un mercante – accompagnato e guidato da un navigatore con
27
oscar farinetti
cui condivide lo stile della leggerezza proattiva, rifocillato nella
pancia e nella mente da un manipolo di amici, donne e uomini
che nella vita hanno dimostrato di finire ciò che incominciano –
vi offre la propria soluzione.
Una soluzione, quindi, e non polemiche. Rimedi e non solo critiche. Un gesto che non ha niente a che vedere con la destra o la
sinistra, ma che nasce semplicemente da ciò che ho imparato osservando il nostro Paese, con attenzione e passione; un gesto che
mi sembra egoista e altruista nello stesso tempo, dettato com’è
dal desiderio di vivere (io, noi, tutti) in un Paese migliore.
Non si tratta, me ne rendo conto, di una soluzione esaustiva
poiché mancano alcuni capitoli importanti e nodi da sciogliere
in vista di un progetto completo. Inoltre, la parte scientifica dei
vari capitoli non è volutamente approfondita. Troverete di sicuro
imprecisioni e magari anche qualche errore. Tuttavia si tratta di
una visione globale e al tempo stesso precisa di come si dovrebbe
muovere l’Italia. È un indirizzo forte, netto, che traccia una precisa direzione. L’unica, secondo me, che può portarci a risvegliare
il nostro Paese.
Se la critica che vi sorge spontanea è: «Non è corretto gettare
la pietra e poi non scendere in campo», vi prego di perdonarmi,
ma permettetemi di pensarla diversamente. è ora che anche da
parte di noi “laici dilettanti” arrivino suggerimenti in positivo e
non solo critiche. Ci sarà di sicuro qualcuno tra i politici che, invece di guardarmi come rompiscatole, cercherà quel che di bello
e giusto c’è in questa proposta e ne trarrà spunto. Ma anche tante
persone comuni, come me, alle quali verrà voglia di approfondire
e di volgere la propria analisi in una qualche direzione costruttiva.
è soprattutto a loro che, insieme ai miei amici, mi sono rivolto.
In politica si può e si deve partecipare anche senza essere attori
protagonisti.
Se invece vi accadrà di pensare: «Semplicistico, non approfondito, ci saranno tensioni sociali, dove li mettiamo tutti questi nuovi
disoccupati?», fermatevi. Sono d’accordo con voi. L’unica amara
riflessione che vi propongo, una su centinaia, è che prima o poi
buona parte dei 27.000 forestali della Regione Sicilia non potrà
più essere pagata e partiranno le tensioni, per dirvene una.
Forse è meglio prevedere e manovrare una “rivoluzione” più
dolce possibile prima che subirne una cruenta poi. Inoltre, tengo
28
7 mosse
l’italia
a dirvi che la semplicità è l’unica arma possibile per creare un
progetto vincente in tempi brevi.
So anche che alcuni di voi penseranno: «Impossibile, troppo
complicato, troppo veloce, utopie…», e lì mi verrebbe da dire:
allora lasciate perdere. A forza di dire che tutto è complesso, difficile e che occorre tanto tempo il nostro Paese si è ridotto in
questo stato. E poi molto spesso la visione del “difficile”, del
“serve più tempo” nasconde la mancanza di voglia di lavorare
o la strategia di mantenere il potere senza sbattersi per risolvere,
arti che purtroppo si sono diffuse invece con grande rapidità e
semplicità in Italia.
Infine, ci saranno quelli che penseranno semplicemente: «Farinetti ha trovato un altro sistema per far pubblicità a Eataly». Lo
so. Posso dire solo questo: a un mercante conviene sempre non
pronunciarsi. Lui deve vendere a tutti. Con le 7 mosse è sicuro
che io perderò clienti. Il fatto è che io cerco di capirli, certi intellettuali, ma alcuni di loro non capiscono me. Sono quelli per cui
il mercante dovrebbe fare il mercante e basta. Non riescono a
immaginarsi che usi la testa per un fine diverso dal fare soldi. Meglio che si limiti ad affettare salame, pensano. Tanto ci sono loro
a denunciare la cattiva politica. Ma voglio dire che, nel frattempo,
la politica resta cattiva e non sempre sono sicuro che a loro non
vada bene, in fondo, così.
Ancora una cosa. In qualche modo mi sarebbe piaciuto che
questa soluzione venisse firmata da tutti i naviganti che mi hanno
accompagnato nel viaggio da Genova a New York. Ma i temi affrontati sono tanti ed era impossibile pensarla, su tutti, allo stesso
modo. Tuttavia, mi piace qui testimoniare che nella stragrande
maggioranza dei casi ho percepito una precisa idea comune su
cosa sia urgente fare e su quali siano gli scogli da superare. E devo
anche aggiungere che spesso ragionamenti più saggi dei miei mi
hanno fatto cambiare idea. Adoro cambiare idea. Così è stato deciso che tutti i partecipanti a questo viaggio scriveranno un pezzo
in allegato che troverete al termine di queste 7 mosse: il loro apporto personale a questa mia piccola avventura.
Troverete ovunque in questo documento la ferma convinzione, comune a tutti i partecipanti, che occorre tornare alla politica
intesa come servizio, passione, missione. Così come occorre riportare al centro il valore della competenza, affidando i proble29
oscar farinetti
mi a chi, politico o non politico, ha gli strumenti per trovare le
soluzioni. Occorre scegliere donne e uomini di grandi capacità,
ma anche umili, onesti e pronti a farsi da parte quando sbagliano.
Utopia? Ma non è vero! Smettiamola con questa storia dell’utopia. Senza sogni non si va da nessuna parte.
30
oscar farinetti
porto politica e mezzi di comunicazione in un quadro di riforma
complessivo che favorisca il ricambio. In tempi brevissimi si può
mettere a punto la riforma della politica secondo questo schema:
1. rami del parlamento: parlamentari -50%, stipendi -50%, privilegi -50%;
2. regioni: consiglieri -50%, stipendi -50%, privilegi -50%;
3. provincie: abolizione;
4. comuni: consiglieri -50%;
5. nuovo progetto di retribuzioni ai politici che assumono responsabilità (proporzionali alle responsabilità);
6. comunità montane e circoscrizioni: abolizione;
7. camere di commercio: abolizione di quelle provinciali (solo
una per ogni regione);
8. sindacati: -50% sindacalisti;
9. abolizione di qualsiasi immunità per i politici;
10. creazione di un sistema elettorale che consenta ai cittadini di
poter scegliere chi eleggere;
11. favorire il ricambio con una legge che impedisca di fare politica per più di 15 anni in totale, anche passando attraverso diverse
istituzioni, con un massimo di 2 mandati per le più alte cariche;
12. andare in pensione dopo 40 anni di lavoro, come i comuni
mortali;
13. introduzione di un tetto massimo sui contributi elettorali pubblici e privati ai partiti in modo da determinare una soglia massima
invalicabile nelle spese elettorali, allo scopo che non sia favorito chi
possiede ingenti patrimoni;
14. abolizione dei contributi pubblici ai quotidiani o altri media
dei partiti;
15. raddoppiare il numero di firme necessarie per indire i referendum, abbinarli sempre per legge alle più vicine elezioni politiche o
amministrative e abolire il quorum;
16. vietare la politica a chi è proprietario, direttamente o indirettamente, di mezzi di comunicazione di massa;
17. indipendenza dei mezzi di comunicazione (pubblici e privati)
dai partiti.
32
oscar farinetti
to. Questa mossa farà risparmiare un sacco di soldi da spalmare
sulle pensioni minime. Occorre allo scopo ripensare il meccanismo dei versamenti previdenziali su retribuzioni elevate, di cui
una parte importante dovrà essere destinata allo stato sociale. Tasse, argomento spinoso.
Lo Stato incassa circa 700 miliardi per anno attraverso le tasse.
In Italia si evade molto per 3 ordini di motivi. Primo, chi evade è
considerato un furbetto anzichè un furfante. Secondo, le aliquote
sono elevate e sperequate. Terzo, non esiste una politica che favorisca chi investe. Bisogna lavorare su questi 3 fattori demotivanti.
Sul fronte delle aliquote occorre armonizzare il prelievo fiscale
su tutte le categorie di fonte di reddito: profitto aziendale, lavoro
dipendente e reddito da patrimonio. Occorre applicare una tassa
maggiore sui redditi da patrimoni. Si tratta di un sacco di soldi in
nuove entrate e poi, è ingiusto che chi investe in finanza paghi
meno di chi fa impresa. Naturalmente occorre accompagnare a
ciò una politica che impedisca la fuoriuscita dei patrimoni. Chi
non paga le tasse è un delinquente perché fruisce dei servizi comuni senza contribuire come gli altri a mantenerli. Dobbiamo
vivere questo fatto come un’ingiustizia, una vergogna. Dobbiamo
insegnarlo a scuola e poi dobbiamo fare in modo che chi evade
debba essere messo in condizione di vergognarsene. Un uso intelligente di televisione, internet e giornali può attuare un cambio
di mentalità in men che non si dica. È avvenuto alla grande per
evoluzioni negative, perché non può succedere in positivo? Infine, bisogna stimolare chi reinveste, chi decide di intraprendere, chi assume, insomma chi crea nuova ricchezza. Non è giusto che chi lascia tutti i profitti in azienda per finanziare sviluppo
e nuovi posti di lavoro paghi la stessa aliquota di chi se li prende
per godersi la vita. Le mosse 1 e 2 genereranno nuovi disoccupati, l’unico modo
di reagire è quello di creare un ambiente favorevole allo spirito
di impresa. La rinascita può avvenire solo favorendo la voglia
di intraprendere che è congenita in buona parte degli italiani.
Niente di meglio di una sana politica di sgravi verso chi ha voglia di sbattersi. Se da un lato non sarà possibile abbassare le aliquote a breve
termine, dall’altro è necessario introdurre la possibilità di detrarre
dalle tasse molti più costi rispetto a quelli detraibili oggi. Quindi:
34
7 mosse
l’italia
1. stessa aliquota sui redditi da patrimoni rispetto a quelli in
essere sui redditi d’impresa e da lavoro; 2. insegnare che è bello e giusto pagare le tasse nelle scuole elementari e medie attraverso un nuovo programma di educazione
civica vissuta come materia primaria; 3. forte campagna di comunicazione sui media “chi paga le tasse
è bella gente, chi non le paga è brutta gente”, con varie declinazioni legate ai valori positivi come la famiglia, i figli, il futuro ecc.;
4. gli evasori totali e gli evasori gravi (chi fa “nero”, chi esporta
capitali, chi crea sedi nei paradisi fiscali ecc.), devono essere colpiti duramente e su di essi deve essere concentrato il grosso dei
controlli. L’evasore occasionale deve essere educato a non farlo
più, ma colpito duramente in caso di ricaduta; 5. forti sgravi fiscali per chi crea una nuova impresa e assume,
sgravi significativi sugli utili reinvestiti; 6. aumentare il numero dei costi deducibili (tutto ciò che è utile
al lavoro e alla salute).
Questo progetto completo è da affidare a specialisti. Può essere
stilato in un mese di lavoro.
35
oscar farinetti
plomatiche delle nostre ambasciate verso i seguenti obiettivi: la
pace nel mondo, le attività umanitarie e l’esaltazione della qualità
dei nostri beni e servizi esportabili o godibili per chi ci visita.
In un mese di lavoro un gruppo di specialisti può mettere a
punto la riforma delle forze armate e della diplomazia.
38
oscar farinetti
La Scuola deve diventare una delle nostre eccellenze, specializzandosi sulle nostre vocazioni. Non solo. In tutte le mosse noterete la nostra visione della scuola come elemento strategico per
superare i problemi e cambiare in meglio la nostra società. Non
commettiamo l’errore di vedere la scuola come una strategia a
lungo termine che darà frutti solo alla prossima generazione. Un
bambino che torna a casa e domanda alla mamma perché mai ha
comprato le arance in estate farà cambiare le abitudini alimentari
alla sua famiglia.
La nostra industria di precisione manifatturiera è la migliore del
mondo. Conviene investire dove già siamo bravi. Occorre favorire
la ricerca da parte delle nostre industrie attraverso una politica di
incentivi mirati e non dispersi. L’Italia, per la sua particolare posizione al centro del Mediterraneo, può essere favorita nel traffico
delle merci da tutto il mondo verso l’Europa e dall’Europa verso
il mondo. Partendo da ciò che già esiste occorre creare 4 grandi
porti altamente specializzati e di un’efficienza senza pari. Inoltre
sarà necessario creare, partendo da ciò che già esiste, una rete ferroviaria espressamente dedicata che trasferisca rapidamente e a
costi concorrenziali queste merci nel cuore dell’Europa, da dove
altre merci possano raggiungere l’Italia per essere imbarcate verso
il mondo.
Di fronte a una struttura così efficiente l’Asia, l’Africa, ma anche le Americhe, non potranno che scegliere l’Italia.
Questa mossa porterà molti nuovi posti di lavoro e ricchezza
per il nostro Paese. Occorre dirottare investimenti previsti, ma
meno urgenti, verso questo progetto, coinvolgere privati e mettere a capo del processo di sviluppo persone altamente specializzate nella logistica mondiale che in Italia esistono, eccome. Con
un mese di lavoro ostinato il capo progetto può mettere a punto
il piano industriale. Per ciascuno di questi 6 settori va messo a
capo una persona di grande competenza che abbia dimostrato di
saperci fare, di accettare e vincere le sfide. Queste persone si trovano anche nel settore privato, ne abbiamo in abbondanza, anche
giovani. Ciascuno di loro, dopo un mese di analisi, sarà in grado
di definire un programma preciso con le mosse e i tempi per raggiungere l’obiettivo sul quale sarà misurato. Queste persone non
devono occuparsi di politica partitica. Quindi:
1. una forte campagna nel mondo che faccia venir voglia di
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7 mosse
l’italia
visitare il nostro Paese, puntando sui principali punti di forza incontestabili e attrattivi;
2. una politica nazionale che armonizzi con autorevolezza il lavoro delle regioni e che aiuti le infrastrutture a essere a disposizione del turismo in modo proattivo. Alberghi, aeroporti, trasporti
e ristoranti. Un potente portale unico Italia Wellcoming che armonizzi l’offerta delle infrastrutture (già sappiamo che esiste Italia.it,
ma chi lo usa? perché non funziona?); 3. una politica che – censite le strutture, i musei, le città e i
panorami – le metta in condizione di essere considerate le più
suggestive al mondo;
4. inserire giovani leve. Devono essere preparate, colte, attente,
disponibili e sorridenti. A esse va chiesta la massima professionalità e sostituite quando non la mettono in campo. Ma ciò che
più conta è mettere a capo del turismo una persona che capisca di
turismo, che abbia un esperienza mondiale e fortemente specializzata nel settore;
5. censire le eccellenze mondiali di ogni regione italiana. Eliminare l’assistenzialismo e favorire un nuovo spirito di impresa
nei contadini. Le aziende agricole devono ricominciare a pagare le tasse come qualsiasi impresa. Ma quelle che producono
qualità e investono sull’esportazione di eccellenze conclamate
godranno di incentivi attraverso sgravi fiscali e coinvolgimento
in attività di marketing supportate con professionalità e senza
sprechi; 6. creare un marchio 100% italiano su cui investire in comunicazione, da installare sui prodotti che lo sono veramente (dalla materia prima quando è qualitativamente possibile, alla manifattura e
al packaging). Il miglior simbolo è la bandiera italiana. L’Italia che
è proprietaria dell’immagine della sua bandiera deve riservarne
severamente l’uso solo a chi lo merita;
7. semplificare le leggi di controllo sull’agroalimentare. Eliminare istituti inutili. Semplificare le denominazioni. Rivedere le
funzioni e le attività dei consorzi. Oggi non si capisce più niente,
con disposizioni di istituti che si contraddicono tra loro. Ma la
cosa più grave è che è il cliente non capisce più; 8. favorire il packaging povero, biodegradabile ed evidenziare
gli ingredienti. 100% italiano, riportante la bandiera italiana, deve
avere un packaging unico, innovativo e identificativo;
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oscar farinetti
9. inserire l’educazione alimentare e all’agricoltura come materia scolastica primaria nelle scuole elementari e medie; 10. investire nella Scuola. L’Italia deve avere scuole statali efficienti, votate alle proprie vocazioni, con un’autorevolezza mondiale su alcuni temi. La scuola italiana non può essere generica,
si deve specializzare sulle nostre vocazioni. Occorre, allo scopo,
raddoppiare i fondi pubblici dedicati agli investimenti nella Scuola. Nella scuola dell’obbligo vanno inserite 4 nuove materie primarie: Educazione alimentare e all’agricoltura, Educazione al rispetto dello
Stato, Le grandi vocazioni dell’Italia, Energia e ambiente;
11. investire nella cultura e nell’arte italiana. Favorire la grande
prosa, la grande musica e il cinema italiani attraverso nuovi modelli di impulso, lontani dai carrozzoni e dai contributi a pioggia,
anche attraverso l’apertura ai capitali e all’ingegno di privati, i quali potranno portare un approccio nuovo. Questi privati dovranno
essere favoriti da una nuova fiscalità dedicata, dovranno impegnarsi con serietà nel mondo della cultura; 12. raddoppiare gli investimenti nel fus (fondo unico dello spettacolo) senza però aumentare la cifra, in termini assoluti, dedicata
alla lirica che è già elevata. Da dare più spazio alle altre specialità
dello spettacolo italiano che ora sono in difficoltà. Anche in questo settore occorre accorciare la filiera dando la possibilità agli
artisti di essere più vicini possibile al mercato. Importante è, certo, tutelare il patrimonio, salvaguardare la tradizione, ma, anche
in campo culturale, bisogna incentivare la produttività culturale
offrendo spazio a nuova creatività originale e a forme diffuse di
fruizione proattiva;
13. favorire le imprese mercantili e produttive che investono
all’estero su agroalimentare, turismo, design, moda, arte e manifattura di precisione italiana; 14. lanciare i marchi disegnato in Italia e inventato in Italia per contrassegnare i prodotti da lanciare nel mondo. Lo Stato deve aiutare l’attività di ricerca delle industrie e delle aziende in generale che
si occupano delle vocazioni;
15. la mentalità che deve accompagnare tutte queste operazioni
deve essere “noi siamo i più belli del mondo, facciamoglielo vedere”. Questo modo di pensare e agire deve essere trasferito con
energia dai capi di ogni settore fin giù verso l’ultimo degli addetti.
Ben presto contagerà l’opinione pubblica mondiale;
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7 mosse
l’italia
16. individuare il capo progetto di Italia porto d’Europa;
17. censire gli investimenti già approvati sulle grandi strutture
(abrogare quelli meno urgenti da dirottare verso questo progetto);
18. aggiungere le risorse necessarie create con i risparmi effettuati in altri campi e da nuove entrate;
19. coinvolgere società private specialiste, anche straniere;
20. realizzare, partendo da ciò che già esiste, i 4 porti all’avanguardia;
21. realizzare la linea ferroviaria dedicata; 22. mettere in moto una forte campagna mondiale, anche preventiva, per attrarre investitori e clienti.
43
oscar farinetti
cidente, dal Ministero della Giustizia e dal Consiglio Superiore
della Magistratura. L’accorpamento sarebbe una riforma a costo
zero, comporterebbe un aumento di produttività stimato nel 10%
e non provocherebbe alcun “allontanamento” della giustizia dai
cittadini, data l’attuale facilità di spostamenti e, comunque, l’ampia possibilità che il tribunale tenga udienza anche in località diverse dalla propria sede istituzionale;
2. taglio delle spese inutili e recupero delle risorse disponibili.
La quantità di risorse impiegate nella giustizia è insufficiente, ma
anche accompagnata da sprechi che, ove eliminati, consentirebbero un significativo ricupero di fondi. Un esempio per tutti: le
spese per le intercettazioni telefoniche, ingenti pur se inferiori
a quelli indicate sui media. Abolendo, come avviene in diverse
realtà europee, i compensi alle società concessionarie che costituiscono una ingiustificata rendita di posizione (essendo i costi delle
telefonate già sostenuti da chi le effettua) e centralizzando, con
un contratto nazionale, il noleggio degli apparecchi per le intercettazioni si risparmierebbero decine di milioni di euro l’anno destinabili ad altri settori. In parallelo risorse significative possono
essere reperite sia provvedendo all’effettiva riscossione di spese
di giustizia (multe e ammende) – attività oggi del tutto carente –
sia curando, attraverso uffici ad hoc, l’accesso ai fondi comunitari
per il finanziamento di progetti specifici;
3. copertura degli organici dei magistrati e del personale amministrativo. Si parla di coprire gli organici, non di aumentarli. Attualmente mancano oltre 1.000 magistrati su 10.000 e oltre 6.000
unità di personale amministrativo su poco più di 40.000. Se si
considera che, in entrambi i casi, gli organici si collocano nella
fascia europea medio-bassa è agevole cogliere l’effetto di queste
carenze sulla funzionalità del servizio (che, con organici completi, avrebbe un incremento di definizione degli affari almeno del
10%). La copertura dei posti vacanti richiede – soprattutto per
i magistrati – tempi lunghi ma la definizione di un calendario e
l’avvio delle procedure necessarie deve avvenire da subito;
4. definizione di standard organizzativi razionali. Ci sono almeno tre settori che, adeguatamente percorsi, possono determinare
un significativo salto di qualità. L’uso appropriato di tecnologie
informatiche. Oggi è limitato a poche esperienze pilota frutto per
lo più dell’iniziativa di singoli, mentre per il resto l’informatica è
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7 mosse
l’italia
usata poco più che come banca dati e insieme di macchine evolute per scrivere. La formazione del personale amministrativo, da
convertire in figure professionali capaci gestire le nuove tecnologie. La responsabilizzazione per l’organizzazione del servizio, di
funzionari apicali da affiancare ai dirigenti magistrati;
5. affiancamento al giudice di un ufficio per il processo. Oggi al giudice è richiesto, di fatto, un complesso di attività materiali estremamente ampio, a scapito della funzione giurisdizionale in senso
proprio. Tra queste attività, molte possono essere delegate a un
ufficio apposito, con grande vantaggio nei tempi e nella stessa
qualità delle decisioni. Per esempio, la ricerca dei precedenti dottrinali e giurisprudenziali, la redazione della motivazione riassuntiva degli argomenti e richieste delle parti, il rapporto con il pubblico e le stessi parti del processo, la distribuzione delle udienze,
la formazione e la tenuta dell’archivio informatizzato dei provvedimenti emessi. L’onere economico di tale introduzione sarebbe
più modesto di quanto si pensi tenuto conto della possibilità di
impiego, oltre che del personale ausiliario, di giudici onorari, ricercatori, stagisti;
6. riduzione dell’area dell’intervento penale. I processi penali
per reati gravi sono in Italia sei volte quelli dell’Austria, quattro
volte quelli della Spagna, due volte quelli della Francia e della
Germania. A essi deve essere destinata la quota prevalente delle
risorse. Ciò impone una riduzione del carico penale con la rinuncia a perseguire i fatti di minor rilevanza e senza vittima o con
danno di speciale tenuità per la persona offesa. La strada maestra
per tale riduzione è, ovviamente, la revisione del catalogo dei reati, ma in epoca di profonde divisioni come quella attuale ciò appare difficile. Un effetto analogo si può, peraltro, raggiungere in
concreto, aumentando il numero dei reati perseguibili solo se c’è
querela della parte offesa e, soprattutto, introducendo nel sistema
la non perseguibilità dei fatti di scarsa rilevanza sociale. L’effetto deflattivo sarebbe dirompente. Per fare un solo esempio: su
76.000 processi a carico di imputati noti iscritti nel 2010 presso
la Procura di Milano, ben 10.000 (pari al 13%) hanno riguardato
reati “formali” previsti dal testo unico sull’immigrazione;
7. previsione di soluzioni alternative al contenzioso civile. Anche nel settore civile i carichi dei tribunali italiani superano di
gran lunga quelli di altri Paesi europei. Tre volte quelli di Austria e
47
oscar farinetti
Germania, due volte quelli di Francia e Spagna, raggiungendo circa 5.000 cause annue ogni 100.000 abitanti. Inevitabile, in questa
situazione, l’introduzione di un ricorso obbligatorio a organismi
di conciliazione da attivare prima della causa e la creazione di filtri
a livello amministrativo con decisioni semplici e rapide. Si può
così risolvere, con immediatezza e soddisfazione delle parti, una
quota significativa della domanda civile;
8. differenziazione della giustizia del lavoro. L’attesa di anni per
la definizione di controversie in cui è in gioco la tutela o il ripristino del posto di lavoro è uno degli scandali del sistema. La ragione
risiede essenzialmente nel numero esponenziale, in particolare
nel settore della previdenza, delle cosiddette cause seriali (cioè
dei processi – in numero di decine di migliaia – in cui è dedotta
la stessa questione di diritto). Prevedere per queste controversie
la soluzione delle questioni giuridiche comuni in modo anticipato
e definitivo da parte della Corte di Cassazione realizzerebbe un
vero e proprio abbattimento dei tempi di decisione con ricadute
virtuose su tutta la giustizia del lavoro;
9. modifica del sistema delle impugnazioni e sospensione dei
processi nei confronti degli imputati irreperibili. Nel processo penale ci sono due settori riformabili in tempi brevi senza incidere
sul sistema delle garanzie e realizzando un grande risparmio di
tempi ed energie. I processi a carico di imputati irreperibili (sono
il 15% del totale). Si tratta, per lo più, di processi a fantasmi,
destinati, anche in caso di condanna, a restare puramente sulla
carta (sospenderli e riprenderli solo in caso di sopravvenuta materializzazione dell’imputato). L’altro settore è quello delle impugnazioni, il 25% delle condanne di primo grado. È una garanzia
fondamentale che il giudizio sia adeguatamente controllato, ma
è inutilmente dispendioso che il giudice di appello sia reinvestito
dell’intero giudizio. Più garantista e meno dispendioso sarebbe
prevedere che i giudici delle impugnazioni si limitino al controllo, con formalità ridotte, delle conseguenze della affermazione di
responsabilità, in particolare l’entità della pena e della correttezza
del processo di primo grado, disponendo, nel caso in cui siano
accertate gravi violazioni, un nuovo giudizio totale o sui punti che
lo richiedono;
10. introduzione del processo civile telematico e informatizzazione del sistema delle notifiche. Il processo civile è essenzialmen48
7 mosse
l’italia
te curato da avvocati. è dunque possibile e necessario condurlo
interamente in via informatica, limitando la presenza fisica dei
difensori e delle parti alla sola fase della assunzione di testimoni
o di prove orali. Questo meccanismo è estensibile, almeno per
quanto riguarda le notifiche, anche al settore penale.
Secondo punto, l’immigrazione.
Incominciamo col dire che un flusso epocale di persone da sud
verso il nord del mondo nel prossimo decennio è lo scenario più
probabile tra quelli possibili. Il diffondersi dell’informazione e
dei media in generale ha fatto scoprire ai popoli dei paesi poveri
che esiste un pezzo di mondo dove la qualità della vita e le opportunità di crescere sono immensamente più elevate. Da sempre
gli umani migrano e sempre con la stessa motivazione, cercare
condizioni di vita migliori. Il modello di vita che trasmettiamo
attraverso i nostri canali televisivi è dorato, spesso finto e fortemente attrattivo per chi ha difficoltà addirittura a guadagnarsi
da mangiare. Nel nostro Paese già vivono 7 milioni di stranieri,
molti altri arriveranno e, secondo noi, non si potranno fermare.
La stessa cosa accadrà per le altre nazioni ricche dell’Europa. Saranno fortemente avvantaggiate quelle che riusciranno ad attuare
riforme tali da far ripartire la propria economia e creare nuovi
posti di lavoro. I nuovi lavoratori giunti da altre terre giocheranno
un ruolo fondamentale nella crescita del benessere di questi Paesi.
Fino a ora gli immigrati hanno risolto non piccoli problemi in
Italia, dove la demografia è ferma e gli italiani non vogliono più
svolgere i lavori cosiddetti umili. D’altra parte non possiamo non
notare che esistono problemi di integrazione. In particolare in
una nazione che non cresce più, da un lato aumentano gli egoismi, dall’altro il disadattamento.
Sul problema dell’immigrazione è difficile avere una posizione
secca. è uno di quei temi dove il dubbio è più sano delle certezze. L’unica cosa certa è che arriverà un sacco di gente e converrà
accoglierla. Per loro e per noi. Nessuna politica protezionistica
potrà fermare l’impulso irrefrenabile a cercare speranze di vita
migliore. La nostra generazione ha ed avrà a che fare con questo
fenomeno, non potremo fermarlo. Forse conviene incominciare
a parlare di interazione anziché integrazione. La sana convivenza
implica altruismo e reciproca comprensione volta al reciproco mi49
oscar farinetti
glioramento (stare su questa barca in oceano con gente diversa e
non ben conosciuta insegna). Certo non è facile quando non c’è
lavoro per tutti. Ecco perché dobbiamo assolutamente impegnarci
seriamente per far ripartire sul serio l’economia. Tuttavia, in spregio alla nostra chiara incertezza su questo immenso tema, proviamo a proporre alcune cose da fare subito e altre nel tempo: 1. più aperti agli afflitti. Nei momenti di gravi tensioni sociali,
guerre, eccidi occorre essere più larghi nell’accoglienza verso i
popoli interessati da questi fenomeni cruenti. La solidarietà tra
umani deve essere superiore alle difficoltà contingenti. Abbiamo
inoltre il dovere storico di essere ancora più disponibili verso le
nostre ex colonie; 2. accogliamo i migliori. Creiamo una scuola di accoglienza obbligatoria per chi chiede permessi di soggiorno in Italia. Lo scopo è
quello di insegnare a rispettare le nostre leggi. Siamo convinti che
chi si reca in un Paese diverso ne debba rispettare le leggi, come
è libero di esercitare i propri usi e costumi purché non in contrasto con le nostre leggi. Dopodichè, diventandone residente, potrà
concorrere pacificamente a modificarle qualora non le condivida.
L’esito dell’esame finale e del comportamento tenuto nella scuola
di accoglienza darà diritto all’ottenimento o meno del visto. La
scuola non terrà conto solo della cultura generale ma soprattutto
della disponibilità del singolo ad armonizzarsi attraverso il lavoro
e al sano comportamento nel nostro Paese. Immaginiamo una
durata breve di un mese a tempo pieno. Verificando la possibilità
di svolgerne la metà del tempo nella nazione di origine, attraverso
la nostra ambasciata; 3. impariamo a conoscerli. Le religioni e le abitudini degli altri
ci fanno sempre paura. Ecco un’occasione per la nostra scuola
di rendersi utile e aprire i nostri ragazzi alla conoscenza delle religioni e degli usi e costumi delle altre principali popolazioni del
mondo. Se li conosciamo non avremo più stupide paure e saremo
maggiormente pronti a interagire. Capiremo quanto è più sana
l’interazione che non l’integrazione. Nel mondo esistono 24 principali religioni ma, di queste, 4 sono praticate della maggioranza
dei popoli religiosi. Vanno studiate nelle scuole medie insieme ai
principali usi e costumi di quei popoli; 4. diciamo loro chi siamo veramente, comprese la nostre difficoltà. Può succedere che anche un grande altruista non possa
50
7 mosse
l’italia
aiutare certe volte il prossimo perché si trova in un momento di
difficoltà. L’Italia si trova in un momento in cui non può investire
ingenti risorse su questo fronte a causa di forti problemi interni
di economia ferma e disoccupazione. Occorre che le persone in
procinto di espatriare lo sappiano. Rai International può svolgere
un ruolo sensibile su questo fronte. Vorremmo che Rai International fosse più vera e attuale rispetto a come è fatta oggi. Le nostre ambasciate possono trovare anche altri metodi di comunicare
nei Paesi oggetto di forte espatrio; 5. serve un piano europeo. Non dimentichiamo mai che siamo
in Europa. L’Italia è uno dei paesi più importanti e deve farsi
promotrice di un accordo generale sul tema dell’immigrazione
che armonizzi i comportamenti degli Stati membri. Questo accordo deve naturalmente tenere conto delle singole potenzialità,
ma anche del fatto che l’Italia – per la sua particolare posizione
geografica – è la più vocata ad attrarre un certo target di emigranti
dal sud del mondo, anche solo per il transito.
51
oscar farinetti
glio di ogni altra nazione europea il sole, il vento e l’acqua. Incominciamo a farlo con maggiore determinazione.
Oltre l’80% dell’energia in Europa viene prodotta da fonti fossili, petrolio, carbone e metano. Solo il 10% va in elettricità. Il
resto viene consumata soprattutto in trasporti e riscaldamento.
La prima strada da intraprendere è intervenire subito su quel
30% del consumo di energia da fonti fossili destinata al riscaldamento domestico. L’Italia è, tra i Paesi europei, quello che ha le
abitazioni più colabrodo, dal punto di vista energetico. Abbiamo
quindi amplissimi margini di miglioramento. Un’abitazione media
italiana consuma, all’anno, circa 220kwh per metro quadro. Una
casa in classe B, che è lo standard in molte parti d’Europa, ne
consuma 55, cioè un quarto. Occorre mettere in atto una campagna mediatica che informi gli italiani di questa reale possibilità.
Inoltre, bisogna far venir voglia ai cittadini e alle imprese di investire subito in questa direzione attraverso una politica di incentivi
e di sgravi veramente attrattivi. Nel campo delle energie naturali rinnovabili gli incentivi, quelli
sani e cioè proporzionali ai costi, hanno prodotto effetti positivi. Vere e proprie economie di scala e risorse per la ricerca, che
hanno determinato il crollo del costo del silicio di grado solare
e l’ingresso sul mercato di nuove tecnologie a film sottile, con
enormi riduzioni di costi.
Ciò impone un ragionamento. Concentriamo le energie e gli investimenti che avevamo previsto per il gigantesco programma sul
nucleare italiano (che non si farà, non foss’altro che per la sicura
indisponibilità dei Comuni a essere individuati come siti) verso
2 direzioni nel campo delle energie naturali rinnovabili: incentivi
proporzionali ai costi verso il produttore/utilizzatore di energia e
fondi per creare e finanziare un’istituto di ricerca leader al mondo.
Quest’ultimo è un punto determinante. L’Italia può avere questa
netta vocazione di ricerca. La tecnologia corre, tra non molto (e
comunque in tempi più brevi di quelli che erano stati previsti
per l’attuazione del programma nucleare italiano) risolverà alcuni
nodi che faranno finalmente esplodere il mercato delle rinnovabili, come quello dell’intermittenza e la possibilità di accumulo,
oltre che a continuare con velocità esponenziale nella corsa verso
il “più piccolo, più bello e più potente”. Partirà sicuramente una
rete internazionale di approvvigionamento, saranno messi a pun54
7 mosse
l’italia
to nuovi progetti di design e di collocazione paesaggistica per
l’eolico.
L’Italia è ancora in tempo per porsi in una posizione da play
maker su questo fronte, ma deve partire subito. Abbiamo grandi
menti in Italia, altre cerchiamole nel mondo, mettiamole insieme
e creiamo il più innovativo istituto di ricerca sulle energie naturali
rinnovabili del mondo.
Sui trasporti occorre rafforzare pesantemente la ferrovia e il
mare. Portiamo le merci il più possibile con i treni, che possono essere alimentati con elettricità e creano economie di scala
utili ad abbattere i costi. Occorre rafforzare la rete ferroviaria e
obbligare determinati trasporti a ricorrere ai treni. Per i lunghi
tragitti dal nord verso il sud Italia debbono essere rafforzati i
trasporti marittimi. Per quanto riguarda gli scarichi industriali, molti passi sono stati
fatti. Le leggi esistono, bisogna farle rispettare. I rifiuti urbani restano una spina nel fianco per alcune regioni italiane. La strada intrapresa verso la raccolta differenziata e i
termovalorizzatori è quella giusta. I nodi da affrontare sono quello della sensibilizzazione dei singoli (scuola, scuola e poi ancora
scuola), la buona volontà, la competenza, la determinazione e il
coraggio dei politici (riforma della politica), la fermezza nel contrastare la criminalità organizzata (spezzare i legami e le connivenze con la politica). Quindi: 1. inserire nella scuola dell’obbligo Le energie naturali rinnovabili e
la cura dell’ambiente come materia primaria;
2. abbandonare definitivamente il progetto italiano per la costruzione delle centrali nucleari; 3. investire tutto sulle energie rinnovabili favorendo con incentivi tangibili e duraturi, almeno fino a quando non saranno autonomamente convenienti, i singoli produttori/utilizzatori e con
sgravi le imprese produttrici/utilizzatrici; 4. favorire la ristrutturazione di immobili esistenti e la costruzione dei nuovi verso standard di risparmio energetico, almeno
classe b. Incentivi e/o sgravi debbono essere tali da convincere i
proprietari a investire in questo senso;
5. definire un progetto ventennale di costruzione di nuove centrali di energie rinnovabili; 6. puntare sull’eolico, oltre che sul fotovoltaico e sull’idrico, utiliz55
oscar farinetti
zando al massimo i nostri architetti paesaggisti e di design per trovare nuove soluzioni estetiche a minor impatto. Anche per quanto
riguarda la scelta dei luoghi di installazione del fotovoltaico;
7. creare un Istituto di ricerca sulle energie naturali rinnovabili
nazionale ai massimi livelli mondiali, trovando anche il modo di
portare in Italia le migliori menti del mondo in questo campo
8. creare un nuovo progetto per i trasporti che favorisca quelli
ferroviari a consumo elettrico, a scapito di quello su strada a consumo fossile.
56
oscar farinetti
Abbiamo citato il vino ma non c’è inferiore complicazione in
altri settori come la carne o il latte, e così pure in settori non
alimentari o dei servizi come le banche. Occorre creare immediatamente alcuni gruppi di lavoro monotematici per macrocategoria, composti da specialisti di settore, presi anche dal mondo
delle imprese, ai quali affidare il compito di stilare un progetto di
semplificazione delle leggi, armonizzazione nonché diminuzione
degli istituti, velocizzazione delle pratiche. Potremmo chiamare
questi gruppi di lavoro gli sburocrati. In un mese di lavoro serrato,
questi gruppi potrebbero compiere l’analisi e svolgere la costruzione progettuale. Sarà poi compito dei politici scelti dal popolo
riunire i diversi progetti in una riforma completa della burocrazia.
Si potrebbe anche proporre che, in certi settori, per ogni nuova
norma se ne abroghino almeno due.
Altro argomento è quello dei rapporti con la Chiesa cattolica. In
Italia risiede il Papa e la struttura di governo della Chiesa cattolica
mondiale. Ciò implica un rapporto particolare tra Stato e Chiesa
che di certo porta con sé molti benefici, ma spesso danneggia
l’indipendenza della politica. La Chiesa intesa come gerarchia ecclesistica che in molti casi della storia ha dato un contributo forte
al prevalere del bene sul male, come l’azione di molti vescovi durante la Resistenza, a volte dimostra una natura neofoba. Anche
in questo caso la storia lo dimostra, da Copernico al preservativo.
La Chiesa ha naturalmente il diritto di esprimersi sulle questioni
che riguardano l’etica e la morale ma non deve intervenire nella
politica. L’Italia deve poter operare in totale indipendenza, essere
uno Stato laico e totalmente immune dalle visioni di tipo religioso. Per ottenere rapidamente ciò è necessario abolire i privilegi
e le contribuzioni che l’Italia riserva alla Città del Vaticano. Va
assolutamente rimarcato qui il lavoro straordinario svolto da tanti
sacerdoti e suore nel campo dell’accoglienza, della sanità e della
educazione. Queste persone meravigliose vanno sostenute dallo
Stato ma, finché esisterà una relazione economica e assistenziale
tra i due poteri ufficiali, il Vaticano continuerà a incidere nelle
scelte della politica. L’esperienza mondiale e la storia dell’umanità
dimostrano che quanto più le religioni incombono nella politica,
tanto più vi è arretratezza e tensioni. Questa posizione non implica affatto la mancanza di rispetto verso le religioni. La nostra
Costituzione è molto chiara su questo punto e non necessita di
58
7 mosse
l’italia
modifiche, né integrazioni. D’altra parte i valori base della cristianità come la bontà, la generosità, il rispetto del prossimo, il
perdono, l’onestà, la fedeltà, debbono diventare base anche della
sana politica. Ciò che serve è più Gesù e meno Chiesa. Quindi:
1. creare gruppi di lavoro, composti da specialisti, per la semplificazione;
2. armonizzare i progetti di semplificazione dei vari gruppi di
lavoro in una riforma della burocrazia italiana; 3. abrogare il privilegio riservato alla Chiesa cattolica relativo
all’esenzione dall’ici e alle tasse sulla compravendita di immobili;
4. i finanziamenti e i contributi a istituti cattolici per l’educazione e la sanità debbono essere trattati con lo stesso criterio e
richieste di standard degli istituti privati di tipo laico; 5. l’ora di religione deve essere sostituita con Religioni, usi e costumi dei popoli; 6. per quanto riguarda l’8 per mille deve essere rispettata la volontà del contribuente. Alle Chiese devono essere versati solo ed
esclusivamente gli ammontari delle dichiarazioni con la volontà
espressa. In assenza di ciò, i quattrini restano entrate pure dello
Stato.
59
meno maschile, più femminile
epilogo
Non tutte le scimmie sono diventate esseri umani. Già possedevano scienza e conoscenza, ciò che mancava loro era la coscienza.
è stata l’assunzione di coscienza a trasformare parte di loro in
uomini. Questo nostro piccolo lavoro punta a scuotere un po’
proprio questa parte di noi che ci rende umani: la coscienza. Avrete notato temi ricorrenti. Uno di questi è la velocità. Un mese. Un mese per scrivere in barca queste sette mosse. Un
mese per mettere a punto in modo scientifico il progetto di ciascuna mossa.
Questo “mese”, che incombe dovunque in ogni Mossa, vuole
assurgere a emblema della velocità. Abbiamo bisogno di maggiore velocità. Un mese ci sembra un tempo breve per realizzare
cose importanti, ma contemporaneamente ci pare sufficiente, se
vi è impegno, per non sbagliare nel progettarle.
La scuola. Lo strumento della scuola come elemento chiave del
cambiamento. Una nuova educazione ai ragazzi in funzione anche di un virtuoso contagio alla famiglia. La moderazione. La ricerca di un linguaggio moderato, ma determinato. Abbiamo tutti molto bisogno di moderazione. Il dubbio. L’assunzione del valore del dubbio inteso come umiltà, voglia di approfondire e disponibilità a cambiare idea quando
è il caso. Infine i meno e i più. Il nostro modo di semplificare ed esemplificare, pur mantenendo l’emozione.
Abbiamo sempre cercato, non sempre riuscendoci, di mettere
un po’ di infantile innocenza vicino al nostro impegno. Abbiamo
accolto con gioia l’idea di Lella di chiudere con Meno maschile più
femminile. Non confondetela con una rivendicazione femminista.
Prendetela come un invito alla determinazione, alla pervicacia,
alla coerenza, al senso del dovere, allo spirito di sacrificio; insomma, all’impegno. Caratteristica molto più diffusa tra le donne che
nei maschi.
Molte delle proposte qui contenute possono apparire già dette,
61
oscar farinetti
già pensate. Può essere. Qualcuna addirittura già fatta o almeno si
è tentato di farla. Può essere. Tuttavia, siamo certi che la proposta nella sua interezza possa
essere considerata originale e, magari dai più, una grande utopia. Per questo abbiamo scelto di passare le Colonne d’Ercole verso
le Americhe, sullo stesso cammino di un’altra grande utopia che,
molto più ambiziosa della nostra, 500 anni fa si è trasformata in
realtà. Benedette siano le utopie. Ma, in ogni caso, andiamo loro
incontro con leggerezza.
62
7 mosse
l’italia
la parola ai naviganti
meno meteore, più perseveranza
di ugo alciati
Se provo ad andare sul sito stelledelpiemonte.net, il web mi risponde: expired, scaduto. E specifica: sito web non rinnovato. Il
guaio è che non soltanto il sito non è stato rinnovato: è il progetto
– bellissimo e partito con lustrini e fanfare – a essere, oggi, expired: scaduto. La mia domanda è: perché?
Allargando la questione all’intero Paese, non posso non chiedermi (e chiedere): perché un progetto importante, e come questo tanti altri, è solo una meteora di passaggio che finisce in
una bolla di niente? Naturalmente non pretendo di travalicare i
miei confini, e dunque lo domando per quanto mi compete – la
ristorazione e il turismo – anche se temo che un certo, e per me
incomprensibile, vizio italiano a non perseverare, a “mollare”, a
fermarsi sempre un po’ prima del traguardo, non danneggi solo
la mia categoria, ma penalizzi tante altre professioni e altrettanti
comparti produttivi. Ed è qui che il legislatore e l’amministratore pubblico dovrebbero esserci, ed esserci con forza, invece
che latitare.
Per chi non conosce la storia di Stelle del Piemonte, eccone un
promemoria. È la storia di un progetto partito con le migliori
intenzioni e mai portato a termine; ma è anche la metafora di
troppe cose – iniziate e non finite – che rallentano la crescita e lo
sviluppo dell’Italia.
Stelle del Piemonte era un’iniziativa della Regione Piemonte,
nata nel 2005 e realizzata dall’assessorato al Turismo. Riuniva i
“top chef ” del territorio (tra loro, anch’io) allo scopo di promuovere le eccellenze culturali e artistiche regionali attraverso i suoi
tesori enogastronomici.
All’inizio c’è stata tanta buona stampa. Tanti viaggi all’estero, Londra, New York. Tanti applausi. Tanti progetti correlati,
come quello di creare a Costigliole d’Asti una scuola – unica al
mondo – i cui docenti sarebbero stati 40 (e ripeto: 40) Stelle
Michelin piemontesi.
Avremmo attirato ragazzi da tutto il mondo, perché la cucina
65
la parola ai naviganti
italiana non la si può inventare né copiare; però la si può imparare, magari declinandola ciascuno con le proprie attitudini, la
propria storia, la propria manualità e – soprattutto – con le materie prime a disposizione. Avremmo anche attirato più turismo
enogastronomico – che è, poi, cultura – e così anche il mercato
dei piccoli produttori avrebbe ricevuto una domanda che oggi
comincia, drammaticamente, a scarseggiare. Da chef, non posso
non chiedermi dove troverò – tra qualche anno – il cardo gobbo di Nizza Monferrato, peraltro oggi presidio Slow Food. E la
gallina bianca di Saluzzo, il castelmagno delle valli cuneesi, il coniglio grigio di Carmagnola. Se nessuno li chiederà più, nessuno
li produrrà più. E anche la mia cucina ne risentirà, così come ne
risentirà la nostra tradizione e la nostra cultura.
Sarebbe stato così difficile finire quanto iniziato? Far sì che
un’idea, ben partita, e un progetto divenissero prima realtà e poi
consuetudine?
Ricordo che nel nostro vecchio ristorante, Guido a Costigliole,
avevamo dovuto acquistare un frigo in più, destinato ai turisti che
venivano a mangiare da noi: questi, infatti, si presentavano con il
“sacchetto della spesa” pieno di leccornie locali e ci chiedevano
di tenerle al fresco. Ne eravamo contenti, perché i prodotti della
nostra regione sarebbero andati “in giro per il mondo”, alimentando quel circolo virtuoso che è turismo, certo, perciò ricchezza;
ma è anche – come ripeto sempre – cultura. Purtroppo nel nostro
nuovo ristorante, Guido a Pollenzo, quel frigo non ce lo chiede
più nessuno.
Tornando a Stelle del Piemonte, quel progetto avrebbe fatto
circolare di nuovo e ancor più il Made in Italy enogastronomico,
permettendo ai piccoli produttori di continuare a esserlo. Purtroppo, oggi, tutto questo è expired, scaduto. Così come lo sono
tante altre buone intenzioni, che non sono divenute fatti perché
mancano le leggi e – quando queste ci sono – ne mancano le applicazioni da parte di chi amministra la cosa pubblica.
Perciò abbiamo tanti proclami, cioè meteore, mentre stiamo
perdendo la cultura del perseverare. La mia presenza sulla barca
di 7 mosse è stato anche il mio modo per dire, nel mio piccolo:
attenzione, non diamo forfait, andiamo avanti. Non lasciamo che
le cose finiscano come quel sito. Expired, scadute.
66
meno merito, più estero
di luca baffigo
Mi trovo in pieno accordo con il contenuto delle 7 mosse: non
troppo dettagliate per non perdere il dono della semplificazione e
non troppo superficiali per risultare banali.
Ritengo che queste rappresentino una buona base di partenza
per poter poi approfondire i temi nelle sedi opportune.
Ritengo, inoltre, fondata la paura di molti nel vedere la scarsa
applicabilità di molte delle 7 mosse a partire dalla prima.
In questo senso l’unico vero aiuto è l’ampio consenso degli italiani e a loro volontà a vederle realizzate (o comunque a vedere
realizzato un cambiamento) nel più breve tempo possibile, senza
troppi e lunghi compromessi.
A quanto già detto e scritto aggiungerei due suggerimenti, uno
più generale e l’altro più operativo.
Da un punto di vista generale suggerirei maggiore attenzione
sul tema della meritocrazia, seppur già presente in maniera trasversale in tutto il documento.
Da un punto di vista operativo suggerire maggiore apertura della politica al mondo estero, in una sua accezione più “moderna”.
Mi spiego meglio.
Negli ultimi anni la discussione mercato/regole ha spesso partorito forme di salvaguardia degli interessi di pochi a danno della
collettività. A volte richiamando i pericoli di un eccessivo libero mercato, a volte strumentalizzando le liberalizzazioni, sempre
con un supporto bipartisan.
Ci ricordiamo tutti della mancata attualizzazione delle “lenzuolate” di Bersani. Una grande occasione persa a favore di lobby antiche e perlopiù inutili.
Il merito, quello vero, è spesso assente dalle scelte politiche, dal
lavoro dei giovani, dalle regole aziendali. Il merito è alla base di
qualsiasi energia lavorativa; è la luce in fondo al tunnel; è sapere
che la vita è un film a lieto fine; è il sogno di chi non ha e domani
può avere. Il merito è una cultura trasversale che deve impregnare
tutti i livelli della società.
67
la parola ai naviganti
Così sarebbe bello vedere politici che hanno meritato la poltrona
perché eletti dai cittadini; sarebbe bello andare allo sportello delle
poste e dialogare con un “postino” che si è meritato quel posto.
Sarebbe bello avere uno stato che si merita di ricevere le tasse
come cittadini che si meritano la cittadinanza di uno stato, magari
perché pagano tutte le tasse.
Chiediamoci tutti e sempre se stiamo godendo di qualcosa che
ci siamo meritati grazie al nostro impegno.
“L’Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro” e sul
merito. Così potrebbe essere cambiata la Costituzione.
Il tema più operativo riguarda invece il rapporto con l’estero.
Possiamo risanare e sviluppare la nostra economia solo se miglioriamo la bilancia commerciale con l’estero. Questo può essere
realizzato se:
1. rendiamo indipendente la nostra partita energetica che appesantisce molto la bilancia commerciale;
2. aumentiamo le esportazioni dei prodotti interamente realizzati in Italia, quelle delle nostre sei eccellenze;
3. aumentiamo i ricavi del turismo estero, questa è l’occasione
per il nostro paese;
4. aumentiamo gli investimenti esteri nelle nostre società private
e pubbliche, se si vuole apertura bisogna dare apertura.
Sul primo punto è stato detto molto e magari è già stato avviato.
Molto, invece, deve essere fatto sugli altri tre.
Io vedo tre super-ministeri con portafoglio (del Commercio
estero, del Turismo, degli Investimenti esteri) capitanati da ministri seri e competenti, valutati su obiettivi quantitativi chiari e
definiti.
In un maggiore scambio della nostra politica con l’estero, suggerirei anche di “importare” qualche risorsa umana. Penso alla
possibilità di aprire alcune funzioni o ruoli istituzionali, di supporto a quelli principali o cosiddetti tecnici, a persone che vengono da altri paesi. In un mondo globalizzato dove la buona cultura
corre su binari veloci, avere la possibilità di copiare o importare
best practice già avviate da altri è un ottimo modo per risparmiare
tempo e denaro.
Faccio un esempio: la gestione dei trasporti in Giappone è la
migliore al mondo per efficenza e qualità del servizio. Un posto
dove i treni sono numerosi, arrivano puntuali e sempre puliti.
68
7 mosse
l’italia
Perché non portare dei giapponesi nelle sedi opportune a lavorare con noi per insegnarci a fare meglio. Insomma sarebbe bello
avere qualche straniero nella squadra di governo. Avrebbe pochi
amici da salvaguardare e molti meriti da dimostrare.
69
meno scetticismo, più ingenuità
di alessandro baricco
Non userò queste righe per aggiungere qualche mia mossa alle
sette di Farinetti perché, in verità, non ne ho. Avrei giusto da
dire qualcosa sull’unica cosa che conosco abbastanza bene, cioè
il modo che abbiamo di spendere i nostri soldi per educare il
Paese. E so con sufficiente esattezza cosa potrebbe cambiare
le cose. Ma ho già avuto altre possibilità di spiegarmi e d’altra
parte qualche punto significativo nelle 7 mosse c’è, e mi trova perfettamente d’accordo. Dunque soprassiedo e preferisco
dedicare queste poche righe a dire ciò che penso del lavoro di
Oscar Farinetti. Non mi riferisco a quello di ammucchiare soldi
con idee geniali e facendosi un mazzo così, ma quello di provare
a scrivere in sette mosse quel che secondo lui bisognerebbe fare
per salvare questa Italia.
La prima cosa mi è venuta in mente sentendo discutere Oscar
Farinetti e Riccardo Illy in barca. Si parlava di riforma della politica.
Farinetti è per la soppressione dell’immunità parlamentare. Illy gli
ricordava, con la puntigliosa intelligenza che ho scoperto essere
una sua adorabile qualità, che l’immunità è sancita dalla Costituzione è ha un suo senso preciso e condivisibile. In un certo senso
avevano ragione tutti e due. Ma il modo di aver ragione di Farinetti era particolare e mi ha insegnato una caratteristica delle sue
mosse che va compresa. La riassumerei così: le 7 mosse funzionerebbero in un Paese in cui si fossero già attuate le 7 mosse. In questo io riconosco quel miscuglio di illogicità e di feroce determinazione che sempre noto nel pensiero degli utopisti (chiarisco che
utopisti non è per me un eufemismo per fessi, ma un sinonimo
laico di profeti). In genere pensano cose che non si potrebbero
fare nel mondo così com’è ma che, se realizzate, costruirebbero
un mondo in cui cose del genere sarebbe naturalissimo farle. Se
uno pensa ad esempio alla politica come servizio, l’immunità diventa inutile. Ma se uno pensa alla lotta politica di oggi, l’immunità rappresenta una garanzia quasi necessaria. E d’altronde: se si
togliesse l’immunità la politica avrebbe più possibilità di diven71
la parola ai naviganti
tare servizio e basta. Oscar Farinetti tende a proporre soluzioni
che saltano le obiezioni prefigurando un paesaggio in cui quelle
obiezioni non avrebbero più senso. Per usare un gergo contadino che non gli dispiacerebbe, “mette il carro avanti ai buoi”. Per
quel che ne capisco io, è l’unico modo di pensare, se quello che
vuoi ottenere è una qualche rivoluzione. Il sistema, quando è così
marcio, non si modifica registrandone alcune viti un po’ lasse. Lo
si sposta di forza oltre se stesso. Senza violenza, inutile e controproducente. Ma con un’acrobazia del pensiero che salta qualche
passaggio e rimette tuti i pista in un campo da gioco diverso.
La seconda cosa che mi attira delle mosse di Oscar è che capovolgono i termini del problema. I più, oggi, in Italia, credono che
il problema sia politico, di leadership, di mancanza di un progetto politico maggioritario. Le 7 mosse invece partono dal basso:
quelli sono i problemi, queste potrebbero essere le soluzioni. Poi,
semmai, dopo aver lavorato duro, verrà il momento di capire se
quella rete di soluzioni ha un colore politico o addirittura una sua
matrice culturale, se non addirittura ideologica. Ma intanto si tratta di far tornare dei numeri, di risolvere problemi, non di immaginare alleanze elettorali. Forse in un altro momento storico una
posizione del genere mi avrebbe insospettito. Ma qui ci troviamo
a mollo da anni in un dibattito muro contro muro in cui due
italie contrapposte si occupano sostanzialmente di delegittimarsi
reciprocamente, nella quasi completa assenza di programmi che
producano soluzioni e non consenso elettorale: un sano ritorno a
uno sguardo pragmatico non mi suona così male. Con vigilanza,
ma lo sto ad ascoltare.
Terza cosa. Quasi in ogni mossa si invoca un ritorno alla competenza. Facciamo fare le cose a chi le sa fare. E quasi sempre
chi le sa fare è gente che viene dalla società civile e le ha fatte
con successo, rischiando sulla propria pelle. Il famoso “tecnico”,
si dirà. Non so. A me piace la suddivisione dei compiti. I politici
a creare il consenso necessario, a coagulare la sensibilità collettiva,
a salvaguardare gli equilibri istituzionali del Paese, e dei supermanager che per pura passione gestiscono piccole rivoluzioni e poi
se ne tornano a casa. Non è un modello male. Finita la bufala del
premier imprenditore, e del Paese-azienda, nel modo di pensare di
Farinetti si affaccia un modo di impostare le cose che peraltro non
è solo suo e che comunque merita un po’ di attenzione. Una sor72
7 mosse
l’italia
ta di bilanciamento tra il talento politico e quello manageriale. Se
non altro è una soluzione che difende con fermezza il ruolo della
politica, pur smussandone il primato. E crede nelle istituzioni, pur
imponendogli la sponda di una più dinamica società civile.
Ultima cosa. Mi piace che le 7 mosse credano in un Paese moderno. Quando si parla si smilitizzare il Paese, di promuovere una
nuova cultura rispetto ai problemi dell’energia, di affermare il primato della laicità o anche solo quando si esorta a sburocratizzare
il Paese, io leggo di un’Italia che non ho mai conosciuto e che in
fondo era quella che volevo da giovane con una rabbia che adesso
riservo, forse sbagliandomi, ad altre cose. Ci leggo il coraggio di
scegliere scenari dove il futuro non è una malinconica illusione,
ma l’unico terreno possibile dove seminare il presente.
Per tutte queste ragioni leggo le 7 mosse e non è una lettura che
mi lascia indifferente. Riesco pefino a dimenticarmi le tante debolezze che hanno e che nenache Farinetti si nasconde. A me suona
particolarmente imperdonabile l’assenza di un problema come
quello della delinquenza organizzata: come pensare di salvare un
Paese senza incominciare a recuperare la metà di Paese che quelli,
bene o male, tengono in ostaggio? Così come mi sembra pericoloso (non utopistico, quello sarebbe un pregio) il modello di
velocità che si pensa di poter imprimere al Paese. La velocità è
bellissima, ma fa fuori i più lenti e la lentezza non è sempre una
prova di stupidità, ma spesso la conseguenza di una fragilità che
è di molti, a cui sarebbe assurdo farne una colpa. Voglio dire che
un Paese è fatto di milioni di singolarità e pensare di spararlo a
tavoletta su per rivoluzioni che cambiano il mondo in un mese
suona molto bello, ma non necessariamente è il modo migliore di
tenerlo insieme, quel Paese.
Cionondimeno qualcosa resterà, di queste 7 mosse, ne sono convinto. Seminate in questo modo un po’ guascone, da vero mercante di talento, germoglieranno in qualche modo entrando nel
sistema sanguigno di questo Paese, nel momento in cui, come mai
in passato, c’è bisogno di idee, ingenuità, coraggio e ottimismo.
73
riflessioni da “i love barolo”
di mario brunello
prologo
Subisco da sempre il fascino dell’ “imprenditore”, colui che parte
scommettendo su di sé e sulle sue idee. Naturalmente i fini possono essere i più svariati, ma quando sono sani, la figura dell’imprenditore si identifica meglio con la radice del termine impresa.
Così, attratto dall’impresa, ho partecipato alla traversata, al viaggio
verso una sana utopia. Sono salito sulla barca fiducioso di trovare
buona compagnia e due certezze: il comandante Soldini, uno che
sa domare il vento, e il comandante Farinetti che invece di accontentarsi del più o meno cerca il meno e più. Purtroppo solo una breve
tratta, ma abbastanza per capire che c’è veramente tanta voglia di
vivere in un Paese migliore, una voglia che potrebbe diventare contagiosa (se la politica ritornasse ad ascoltare le esigenze dei cittadini
e tornasse a essere un vero servizio per il Paese).
Sulla barca ho portato il mio violoncello perché volevo che la
musica fosse presente anche fisicamente in queste 7 mosse. Ho
condiviso in linea generale tutti gli argomenti delle 7 mosse, perciò non voglio aggiungere niente al documento finale, semmai
qualche puntualizzazione di carattere personale che non sposta il
senso del documento. Penso però di approfittare (mi scuserete)
di questo spazio per insistere sul dare voce alla musica, provando a
inserirla, dove possibile, ed esserne rappresentante anche in questa sorta di progetto per una Italia migliore.
MENO POLITICI, PIù POLITICA
D’accordo su tutta l’analisi della situazione in cui la politica sta
operando, sul fatto che in troppi vivano di politica per fini personali e anche sulle soluzioni di drastico, ma opportuno dimezzamento dei numeri. Rimane una “stonatura” per me, il fatto di
coinvolgere in questo taglio i sindacati. Non posso dimenticare
75
la parola ai naviganti
la storia e il valore di conquista sociale di questa voce in rappresentanza dei diritti del lavoratore. Rimane il fatto che in troppi
hanno abusato anche di questo legittimo diritto. Nel mondo della
musica, di tutta la musica: meno musicanti, più musicisti. Nel senso
che a tutti i livelli dirigenziali del mondo della musica ci vogliono
persone oltre che competenti, anche che amino la musica e che ne
comprendano profondamente il valore di umanità, di universalità,
di ricchezza culturale e non vedano solo il lato esteriore di evento
o, peggio ancora, solo il lato economico.
MENO SPRECHI, PIù RESPONSABILITà
Proprio come si fa in famiglia, e come non essere d’accordo!
Una proposta per la musica: ridurre i cachet. In nessun altro Paese d’Europa si pagano onorari così alti come in Italia. Una giusta
riduzione per allinearsi alla media farebbe risparmiare un bel po’.
Una piccola percentuale dell’onorario dovrebbe poi essere lasciata su un fondo per la diffusione della musica in asili, scuole ecc.
Non è giusto che chi prende soldi pubblici limiti la sua performance a una piccolissima parte della popolazione: tutti i cittadini
hanno pagato con le loro tasse quell’esibizione. è anche per l’artista stesso una sorta di investimento sul suo pubblico futuro. Sulle
tasse: non pagare le tasse deve essere tabù.
MENO BOMBE, PIù DIPLOMAZIA
Aggiungerei un testo da studiare a scuola: Il Disertore di Boris Vian.
In piena facoltà
egregio presidente
le scrivo la presente
che spero leggerà.
La cartolina qui
mi dice terra terra
di andare a far la guerra
quest’altro lunedì
76
7 mosse
l’italia
Ma io non sono qui
egregio presidente
per ammazzar la gente
più o meno come me
Io non ce l’ho con lei
sia detto per inciso
ma sento che ho deciso
e che diserterò.
Ho avuto solo guai
da quando sono nato
i figli che ho allevato
han pianto insieme a me.
Mia mamma e mio papà
ormai son sotto terra
e a loro della guerra
non gliene fregherà.
Quand’ero in prigionia
qualcuno mi ha rubato
mia moglie e il mio passato
la mia migliore età.
Domani mi alzerò
e chiuderò la porta
sulla stagione morta
e mi incamminerò.
Vivrò di carità
sulle strade di Spagna
di Francia e di Bretagna
e a tutti griderò.
Di non partire più
e di non obbedire
per andare a morire
per non importa chi.
77
la parola ai naviganti
Per cui se servirà
del sangue ad ogni costo
andate a dare il vostro
se vi divertirà.
E dica pure ai suoi
se vengono a cercarmi
che possono spararmi
io armi non ne ho.
Si parla di tagli, no? E allora sospendere la produzione e la vendita di tutti i videogiochi di guerra.
Poi va a finire che i nostri ragazzi, una volta cresciuti, giocano
sul serio “alla guerra”.
MENO INVOCAZIONI, PIù VOCAZIONI
Trovo questa mossa la più efficace, è una vera “mossa”, di rapida
esecuzione, efficace perché sorprendente nella sua semplicità.
In barca c’è stata un tentativo di cambiare l’ordine delle vocazioni (cultura per iniziare). Questo non avrebbe cambiato il
contenuto del documento, ma “l’armatore” ha giustamente fatto
valere le sue ragioni.
Al punto 11, una piccolezza: non metterei cultura e arte italiana, lascerei cultura e arte in generale. Penso che la vocazione
non debba essere limitata a un “prodotto” italiano, ma cogliere
l’essenza della cultura, che è dialogo con la modernità e il nostro
tempo ormai non ha frontiere.
Altra cosa sono i beni culturali italiani che vanno promossi sia
dentro sia fuori dal nostro Paese.
La musica, ma tutta l’espressione artistica, dovrebbe essere uno
dei veicoli privilegiati per la valorizzazione di innumerevoli luoghi
legati alla nostra storia, palazzi, chiese, siti, archeologia industriale
e gli interventi a sostegno dell’organizzazione di iniziative dovrebbero essere programmati seriamente, facilitando gli investimenti
per il riutilizzo e l’uso di questi luoghi.
78
7 mosse
l’italia
MENO LITI, PIù ACCOGLIENZA
Sulla seconda parte, l’immigrazione: anche qui la musica (tutta
la musica) dovrebbe entrare come una delle soluzioni all’integrazione. Premiare e sostenere con incentivi chi si adopera per
inserire nelle manifestazioni opere nuove o di tradizione di Paesi
da cui provengono gran parte dei nostri immigrati. Beethoven,
per quanto universale, non può unire tutte le genti con il suo Inno
alla gioia.
MENO IO, PIù NOI
Energia e ambiente. Forse un’attenzione in più sui rifiuti, problema enorme. Si dovrebbe cambiare il termine “rifiuti” con “materiale”. Nell’immaginario i rifiuti sono spazzatura, ma spazzatura
è il miscuglio sporcato dal rifiuto umido. Diamo importanza al
“materiale” come elemento di ricchezza per tutti – se differenziato e riciclato – e non di inutilità, se “sporcato”.
MENO LEGGI, PIù DISCIPLINA
MENO CHIESA, PIù GESù
Spalmerei il testo della prima parte “meno leggi più, disciplina” sulle mosse precedenti per lasciare così tutta l’attenzione su
“meno Chiesa, più Gesù”. Quest’ultima mi sembra una mossa
indispensabile per dare uno slancio vero, libero, al nostro Paese
che, a causa di questa presenza, per ogni progetto di costruzione
del futuro e per ogni adeguamento all’Europa deve subire il peso
di un giudizio preventivo.
EPILOGO
“I love Barolo”, grazie!
79
meno teoria, più pratica
di moreno cedroni
Cari tutti, sicuramente rendo meglio con una padella in mano che
con una penna, ma cercherò di mettere lo stesso impegno nella
scrittura in queste poche righe. All’inizio della mia carriera di ristoratore – quasi ventisette anni fa – quando venivano giornalisti
di guide gastronomiche avrei voluto trasformarmi in un cuoco
bravo dell’epoca. Che so, un Marchesi o un Vissani. Ora vorrei
trasformarmi in un bravo scrittore e quindi penso senza indugio a
Faletti… anzi, Giorgio, se vedi qualche errore correggilo pure!
Da uomo di mare ho scoperto un mio tallone d’Achille soffrendo per una giornata abbondante il mal d’oceano, ma le emozioni
ricevute hanno di gran lunga ripagato il fatto. Senz’altro sono
quello che da questa esperienza ha ricevuto più di quello che ha
dato. Che volete, ho dato alcuni sapori della mia infanzia, ho fatto assaggiare a tutto l’equipaggio il brodetto che mia madre mi
metteva anche nel biberon. Io che nascevo nel famoso chilometro
zero senza saperlo, dove dietro casa la nonna allevava animali da
cortile e coltivava ortaggi e davanti il mare offriva i suoi frutti.
Quello che ho ricevuto è stato veramente intenso e tanto, un
bombardamento sotto ogni aspetto (intellettuale, umano e sensoriale), dove persone mai viste o viste in televisione e sui giornali
sembrava di conoscerle da una vita. Questa la forza della barca, la
foza del mare, la forza della natura, la forza dell’intelligenza.
In questo contesto le 7 mosse rappresentano un modo per lanciare messaggi importanti. Pensando al momento storico sicuramente l’ago della mia bilancia va più verso le difficoltà che verso
le positività, ma dopo aver conosciuto tutti voi e leggendo i commenti di chi non ho avuto la fortuna d’incontrare, dico invece che
è il momento giusto per farci sentire. è il nostro momento!
Per quello che riguarda il mio piccolo, appoggio in pieno il fatto
di istruire fin dalle scuole primarie i nostri figli alle ricchezze della
nostra terra come alle religioni del mondo. Vorrei che i nostri
ristoranti fossero come le botteghe dove una volta si imparava il
lavoro, implementare stage e apprendistato.
81
la parola ai naviganti
Quando mi è stato imposto di fare un corso come tutor per un
apprendista, la perdita di tempo è stata totale. In più il ragazzo era
uscito dall’alberghiero e doveva rifare i corsi appena fatti a scuola.
Che perdita di energie e soprattutto di denari, ma la cosa che mi
aveva segnato era venir tacciato come quello che assumeva un
apprendista per non pagare i contributi. In quei momenti mi sono
sentito veramente uno straccio da pavimento.
Le scuole alberghiere hanno drasticamente ridotto le ore di pratica e gli stage sono ridotti a pochi giorni. Come pensano i nostri
politici che i nostri ragazzi possano imparare il mestiere? Ricevo
come tutti i miei colleghi decine di richieste al giorno di stage, ma
posso accettarne solo il 10% del personale a tempo indeterminato, questa è la triste realtà. Penso a quanti ragazzi potrei motivare
e far uscire dal loro profondo, quello che Ferran Adrià ha fatto
uscire in me, quel talento nascosto che ha bisogno di messaggi
forti per venire allo scoperto e che potrebbe anche per sempre
rimanere nascosto. Ma non lo posso fare perché chi ci governa
non ce lo permette e ci considera come uno dei tanti posti di
ristoro che cercano manovalanza a poco. Mai come in questo momento in Italia c’è un forte gruppo di cuochi tra i 40 e i 50 anni
che si rispettano, che parlano la stessa lingua, che cercano di portare la cucina italiana a rapportarsi alla pari con Francia, Spagna,
Germania, Danimarca. Pensate che esercito di ragazzi potremmo
motivare, e non solo in cucina, perché non dimentichiamoci che
con questa esposizione dei cuochi ci stiamo perdendo i camerieri
che rappresentano il patrimonio dell’ospitalità. Già quando ero
presidente dei jre (Jeunes Restaurateurs d’Europe, ndr) avevo lanciato la domanda “troviamo un nuovo nome ai camerieri”. Ora lo
lancio anche a voi, cari amici, hai visto mai!
Concordo che la politica deve essere come un’azienda, deve
produrre e deve costare il giusto. Tutte le agevolazioni in termini
di stipendi e pensioni che si sono costruiti i politici nel corso degli
anni sono veramente troppo importanti. E poi ognuno nel nostro
lavoro rischia e spesso ha l’ansia da prestazione, loro no!
Grazie Oscar, e grazie Giovanni, spero che le rotte prese e le
rotte che prenderanno le 7 mosse possano smuovere qualcosa. Ne
abbiamo tutti stramaledettamente bisogno.
82
una mattina mi son svegliata...
di lella costa
Una mattina mi son svegliata – o bella ciao, bella ciao, bella ciao
– e ho trovato Farinetti, Oscar Farinetti (da pronunciare con la
stessa intonazione di “Bond, James Bond”). Non mi è apparso in
sogno, non si è fatto teletrasportare come il Capitano Kirk, mi ha
semplicemente mandato una mail, ma è stata comunque un’epifania, una rivelazione. In cinque righe mi raccontava dell’idea delle
7 mosse, del viaggio per mare, e mi chiedeva di esserci.
In cinque righe e altrettanti minuti gli ho risposto entusiasticamente di sì (e d’altra parte, sono o non sono diretta discendente
della Gertrude manzoniana?). Con l’unico rimpianto di non poter
fare anche la traversata oceanica, perché non sembra ma anche
le soubrette come me hanno degli impegni, a volte perfino degli
obblighi. Morali, addirittura. Da non crederci.
Facili, quasi banali i commenti: bella forza, una vacanza gratis, su una barca bellissima, col mitico Giovanni Soldini come
capitano-mio-capitano, una cambusa (e una cantina…) da film di
Ferreri, chef formidabili ma anche simpatici come cuochi, compagni di viaggio vari, eventuali e tendenzialmente stimolanti e in
più anche la causa nobile, l’elaborazione teorica, il think-tank, il
brain storming, il bene del Paese, la difesa dei valori, la riforma
della politica, dell’economia e della giustizia. Mancava giusto il
risanamento delle Ferrovie e di Alitalia. Cialtroni, illusi, patetici,
arroganti, retorici, velleitari, saccenti. Utopisti. Radical-chic.
Eh no. Cioè, a me lo possono anche dire, mi vien da ridere ma
pazienza, in fondo forse me lo merito. E suppongo che anche a
qualche altro navigante delle 7 mosse la definizione possa vagamente calzare. Ma definire radical-chic Farinetti, Oscar Farinetti, è
peggio che un insulto: è una stronzata.
Oscar Farinetti è una delle persone più solari, trasparenti, entusiaste ed entusiasmanti, autentiche, concrete, travolgenti, inarrestabili, generose e incredibili che abbia mai incontrato. Qualcuno
potrebbe forse definirlo naïf e in un certo senso è vero: la sua capacità di stupirsi, di guardare le cose con gli occhi di un ragazzino
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la parola ai naviganti
è assoluta e spiazzante. Poi dai un’occhiata al suo curriculum e ti
domandi se ci è o ci fa. Be’, ci è. Totalmente e per nostra immeritata fortuna.
è lui, e lui soltanto a rendere credibile e condivisibile l’avventura delle 7 mosse. Lui che inesorabile arrivava in piena bolina
con un sorriso: «Ragazzi, scusate ma dobbiamo lavorare un po’».
E via coi meno e coi più, le discussioni e i distinguo, gli stimoli
e le provocazioni. Lui prontissimo ad ascoltare e recepire suggerimenti, ma adamantino nel tener fede al progetto. Lui capace
di cambiare punto di vista in corso d’opera, ma sempre saldo e
coerente nella visione d’insieme.
Per questo credo sia stata giusta la sua scelta di assumersi interamente la responsabilità del documento finale: è tutto spiegato
perfettamente nel prologo e ribadito nell’epilogo che condivido
fin nella punteggiatura. Di più, rileggendo ora a piè fermo (in tutti
i sensi) quelle frasi, ritrovandone non solo il senso ma anche il
profumo e la musica, mi rendo conto che sì, magari qualche dettaglio non mi trova totalmente d’accordo; certi temi sono stati un
po’ “tirati via” e altri, al contrario, hanno avuto troppo spazio, ma
alla fine della fiera io mi ci ritrovo eccome in queste 7 mosse. Soprattutto ci ritrovo un’idea di Italia, di futuro, di progetto comune
che mi assomiglia moltissimo. Mi piacerebbe viverci, in un Paese
così. Mi piacerebbe soprattutto che ci vivessero le mie figlie.
Per questo sono e sarò per sempre grata a Oscar Farinetti e sarò
pregiudizialmente dalla sua parte qualunque cosa faccia, qualunque rotta intraprenda. Per questo e anche per quella sua capacità
di entusiasmarsi senza ritegno, che si trattasse di uno spettacolo
della natura («la più bella stellata che abbia mai visto»), di una
bottiglia di vino («il miglior barolo che abbiate mai bevuto»),
di un’esibizione di Mario Brunello («il miglior violoncellista del
mondo»), di tapas («le più buone d’Europa e probabilmente anche
delle Americhe») o di una manovra ben riuscita («la più straordinaria virata nella storia della vela»).
Grazie, Oscar. Io so far poco ma sono abbastanza brava con le
parole, soprattutto quelle degli altri. Così ti saluto con qualcuna
delle citazioni che mi sono più care. Comincio con Calvino, le
Lezioni americane, ovvero le cinque qualità che lui riteneva indispensabili per il nuovo millennio: rapidità, molteplicità, visibilità, leggerezza, esattezza. Tu le possiedi tutte insieme ed è questo
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7 mosse
l’italia
che ti rende speciale. Perché molteplicità senza visibilità “germina oscuro intrigo, puzza di corridoi dove scorrono giusquìamo e
cicuta come acque nere nelle fognature”, e rapidità e leggerezza
senza esattezza “sono calunnia come bora che spazza, sono innocenti in galera e assassini che cantano vittoria”. Il virgolettato non
è mio, ma di William Shakespeare.
E finisco con un verso di Robert Frost che sembra scritto per
te e per le 7 mosse: «Non bisogna accontentarsi di quello che è a
portata di mano, altrimenti a cosa servirebbe il cielo?».
Hasta siempre, comandante.
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Innovazione sociale
= Creatività applicata al buon senso
di luciana delle donne
Condivido il documento delle 7 mosse per l’Italia, le modalità e
sopratutto la possibilità di sognare. In Spagna, in questi giorni,
durante l’occupazione pacifica delle piazze, uno degli slogan gridato dai giovani è: «Se non ci lasciano sognare non li lasceremo
dormire». Vorrei essere con loro e con i nostri ragazzi italiani,
alimentando i sogni e per un risveglio della democrazia, fonte di
speranza fantastica per il futuro.
Più indignazione, meno omertà
Ecco, dopo i sogni, il risveglio. E noi, non possiamo più dormire sereni. Non dobbiamo, e, se non interveniamo nel raddrizzare la rotta, saremo tutti peccatori e colpevoli di omissione e
di omertà.
Queste 7 mosse nella loro semplicità testimoniano quanto possa
essere facile applicare il buon senso. Sì, perché sono tutti accorgimenti di buon senso, ma bisogna essere d’accordo che lo sviluppo passa sempre dal benessere comune e le leggi, le istituzioni,
devono garantirne l’attuazione. Aggiungerei qualche punto di attenzione, qualche sogno in più, più vicino al nuovo mondo che
frequento da qualche anno e che, in silenzio e un poco in ombra,
cerco di portare avanti; quello dell’inclusione sociale e salvaguardia ambientale. E vorrei ricominciare proprio dalle nuove generazioni (dall’infanzia ai giovani d’oggi).
Più ascolto, meno rumore
Coloriamo il presente e il futuro dei giovani, quelle generazioni
invisibili. Ascoltiamo le loro passioni, ma non sentiremo nulla,
non ne hanno o non si fidano di nessuno.
Restituiamogli allora il presente rubato, come?
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la parola ai naviganti
Più filosofi, meno ingegneri
Creiamo un ambiente sano per il progresso (del poco e del giusto)
dell’individuo. Stimoliamo curiosità alla conoscenza. Realizziamo
una “fabbrica della cultura”, per quella cultura da tutelare e quella
da produrre e utilizziamo al meglio ciò che già abbiamo e, come
già evidenziato nelle 7 mosse, seguiamo le nostre vocazioni, diamo valore al capitale intellettuale, esportiamo i nostri valori e forse anche i nostri giovani parleranno…
Più passione, meno furbizia
Restituiamo la dignità del lavoro a tutti. La nuova frontiera della
ricchezza è il donarsi, il darsi. Il lavoro non deve necessariamente
arricchire, ma deve rendere la vita degna di essere vissuta, stimolata nell’apprendimento, nella crescita e nel raggiungimento
di obiettivi sfidanti. La dignità di essere umano appartiene alle
persone oneste, ma anche a quelle persone disoneste che pagano
l’errore della loro vita in prigione.
Più sole, mai più nucleare
Il cambiamento ha due vie: gesti piccoli e quotidiani (dal basso) o
gesti istituzionali (dall’alto). In tutti e due i casi l’individuo è sempre artefice del cambiamento. Ma il più impegnativo è quello da
compiere dentro di noi. E non è più tempo di aspettare che qualcun altro faccia qualcosa per noi. Cominciamo noi. Cominciamo
a costruire una coscienza di appartenenza a un pianeta vulnerabile. In sintesi: difendiamo il nostro pianeta o si difenderà da solo.
Più coraggio, meno egoismo
Uniamoci, in percorsi che non conoscono ideologie politiche, ma
che, nel rispetto delle individualità di ognuno, operino in iniziative congiunte, stiamo uniti e focalizzati in modelli di sviluppo
sostenibile concreti.
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7 mosse
l’italia
Valorizziamo le diversità femminili, intese come valore (creatività, sensibilità, flessibilità, tenacia, intuito, capacità di creare
sinergie…) e rivolgiamo il nostro sguardo al Mediterraneo, impegnandoci a favorire la nascita di reti culturali, scientifiche, economiche e sociali tra i vari Paesi che si affacciano su questo mare,
attraendo e trattenendo persone di talento – anche con idee e
bagagli culturali diversi – puntando a trasformare questa cultura
in punti vincenti per il cambiamento, con conseguente ricchezza
che si trasferisce sul territorio.
Ecco, ho detto anche io la mia.
Grazie mille per avermi dato la voce.
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meno onde, più mare
di guido falck
Mi sento di scrivere questo alla fine della nostra traversata atlantica, che è stata agitata (le onde) e bellissima (il mare).
Mi sono imbarcato in questa avventura perché sono convinto,
come Oscar, che “senza sogni non si va da nessuna parte”: senza
sogni (e senza Soldini, per essere onesto) non saremmo arrivati
qui, dall’altra parte dell’Atlantico.
Le onde e il mare permettono di pensare. E adesso mi è tutto
più chiaro, in questa notte stellata che ci guida a New York: dipende da noi. Il futuro del nostro Paese dipende da ciascuno di
noi. Non c’è bisogno di essere d’accordo con tutte le proposte
delle 7 mosse: qualcuna è più innovativa, altre meno; qualcuna è
realistica, altre non lo sono. Ma è importante afferrarne lo spirito
generale: siamo ancora in grado, come cittadini italiani, di salvare
l’Italia. Dipende da ciascuno di noi.
Abbiamo una classe politica in gran parte da buttare. Nella
mossa n° 1 si propone in effetti di buttarne via una notevole
quantità. Ma questo non basterà: la classe politica non cambierà
e non cambieranno le politiche, se noi, i cittadini italiani, non
decideremo davvero che il futuro dell’Italia ci interessa. è il nostro futuro.
L’Italia sarà migliore quando ciascuno di noi dimostrerà di
avere a cuore il bene comune e non solo il proprio interesse
individuale. L’eredità dell’America migliore – mentre ci avviciniamo alle coste orientali degli Stati Uniti, è la nostra meta che
si avvicina – spinge le vele in questa direzione: perché un paese
funzioni, deve esistere una relazione positiva fra i progetti individuali e il destino della nazione.
Le 7 mosse sono questo: l’incontro fra i sogni individuali di
un gruppo di persone che vogliono ancora sentirsi italiane e il
sogno della nazione. Un sogno collettivo che dobbiamo reinventare. è il 150° anniversario della nascita del nostro paese. è
il momento giusto per tentare uno sforzo: di ciascuno e di tutti.
Da giovane imprenditore, vedo lo sforzo per salvaguardare il
91
la parola ai naviganti
futuro dell’Italia in una competizione globale sempre più dura,
come una grande joint-venture. La mia definizione di nazione, in
fondo, potrebbe essere questa. Una partnership pubblico/privata, ideale e sostanziale.
Gli italiani potranno viaggiare e potranno vivere nel mondo
globale. Ma non resteranno italiani senza avere alle spalle l’Italia.
Possiamo darci un Paese migliore.
Come? Le 7 mosse dicono tante cose: il punto è che una nazione
è un eterno progetto in costruzione. Una specie di casa comune
che non sarà mai finita. Una casa che deve poggiare su fondamenta molto solide e deve avere un impianto etico: i nostri diritti
e i nostri doveri. Ma verrà poi costruita giorno per giorno. Costruire la casa è un lavoro quotidiano. Quando un paese si “siede”
è finito. Per questo c’è bisogno di onde, di mosse: per liberare le
energie individuali.
è in questa chiave che aggiungo una mia proposta. è una proposta che rientra nella mossa n° 2 (meno sprechi, più responsabilità) e
nella sua logica generale: combattere l’evasione fiscale e migliorare le entrate, per potere pensare a sgravi futuri per chi crea nuove
imprese, creando così posti di lavoro. Uno dei modi essenziali per
reagire alla sindrome del declino, infatti, è di creare un ambiente
favorevole allo spirito di impresa: spirito che è sempre esistito
negli italiani, ma che oggi si scontra con una serie di difficoltà (dai
tempi burocratici per creare una start-up, alla questione della criminalità, allo scarso volume degli investimenti esteri, alla politica
fiscale). Si aggiungono i comportamenti privati: dall’imprenditoria all’arricchimento, il passo è stato breve; si è consumato nello
spazio di un paio di generazioni.
Nella stessa visione della mossa n° 2, ed essendo un giovane
imprenditore, avanzo una proposta molto semplice: prevedere
nuovi aiuti fiscali alle imprese creando un “fattore di virtuosità aziendale”. Questo strumento di agevolazione fiscale sarebbe rivolto alle imprese giovani per definizione; in quanto create
da giovani e appena nate. E ne premierebbe il comportamento
virtuoso. Definisco virtuoso il comportamento di imprese giovani
che non distribuiscano gli utili, ma li reinvestano nella società per
farla crescere, creando posti di lavoro. L’imprenditorialità privata
di una parte dei giovani italiani, incentivata anche dalle politiche
pubbliche, permetterebbe quindi di affrontare uno dei problemi
92
7 mosse
l’italia
più gravi dell’Italia di oggi (e dell’Europa nel suo insieme): i tassi
di disoccupazione giovanile.
A queste condizioni di virtuosità aziendale, l’impresa giovane
non dovrebbe essere equiparata fiscalmente ad aziende che dividono gli utili tra gli azionisti e che hanno un fattore di crescita di
fatturato, di indotto e di occupazione minimo o nullo. Incentivato
fiscalmente, il fattore di virtuosità di un’impresa la renderebbe sostenibile nel tempo e permetterebbe di aumentarne gradualmente
le dimensioni.
Senza questo incentivo fiscale, la crescita di imprese giovani
resta invece molto difficile. Con l’attuale tassazione, infatti, difficilmente un’azienda onesta, ancora piccola e in fase di crescita,
una volta pagate tutte le tasse, può ancora permettersi di investire nel proprio decollo. Il risultato è che si svilupperà molto più
lentamente, contribuendo quindi poco alla ripresa complessiva
del paese.
Il fattore di virtuosità aziendale, come criterio della politica fiscale, permetterebbe anche di distinguere fra imprenditori votati
alla crescita (come bene comune) e persone che puntano solo
sull’arricchimento personale. Gli incentivi fiscali finirebbero per
incentivare il numero degli imprenditori virtuosi; e di diminuire
gli evasori “per necessità di crescita”, con benefici conseguenti
per tutto il Paese.
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meno leggerezze, più leggerezza
di giorgio faletti
Quando ho visto emergere a poco a poco dall’orizzonte la meta e
ho capito che eravamo arrivati, ho realizzato in pieno la bellezza
dell’esperienza che avevo appena vissuto. Siamo stati, a fasi alterne, dei gruppi di persone che hanno viaggiato insieme divertendosi e usufruendo di una buona cucina, pur con i limiti restrittivi
della legge di bordo, la famosa regola dei 4,5 euro. Sono stati
momenti di aggregazione umana molto piacevoli e a tratti, per la
magia della vela e l’arrivo dei delfini, addirittura incantati. Tuttavia, in questa leggerezza, credo che ognuno abbia trovato rimedio
alla superficialità partecipando attivamente e dando il suo contributo creativo alle discussioni sulle famose 7 mosse; quelle che il
professor Odifreddi, genio della matematica e dell’umorismo, ha
sottolineato essere in realtà nove.
Ho letto i commenti finali di alcune persone che ritengo tecnicamente più qualificate di me a trovare delle lacune nel testo
definitivo. Tuttavia, a prescindere da qualunque eccezione possa
essere sollevata, a prescindere da qualunque problema di fattibilità o di incostituzionalità, questo documento ha un indubbio
vantaggio: è l’ulteriore espressione di un disagio che proviene da
differenti direzioni, che persone diverse per estrazione e cultura
sono state a loro modo in grado di raccogliere e testimoniare.
Il nostro Paese si trova indubbiamente in una situazione molto
critica. Non disperata, ma molto critica. Da un punto di vista economico, se da una parte l’Italia si può appoggiare a una solidità
legata al risparmio, dall’altra si ritrova nell’incapacità di crescere.
Francia e Germania lo stanno facendo, forti di una più equa distribuzione della ricchezza. Dal punto di vista politico, non credo
sia necessario sottolineare quanto si sia abbassato il livello dello
scontro, quando basta sfogliare le pagine dei giornali per rendersi
conto che è il clamore del gossip a farla da padrone a discapito
dell’argomentazione e del confronto sui temi e sui programmi.
Ho sempre sospettato che lo scopo prioritario di un uomo politico sia quello di continuare a esserlo e che a questa velleità venga
95
la parola ai naviganti
spesso sacrificato quello che tutti definiscono “il bene del Paese”.
Temo che gli ultimi avvenimenti e il confronto con i miei compagni di viaggio abbiano trasformato quest’ipotesi in una conclamata certezza.
Penso da sempre che la democrazia di un paese, fra le altre cose,
si rivela dalla giustizia del suo sistema fiscale. Questo significa che
ogni cittadino deve, a seconda delle sue possibilità, contribuire
al mantenimento dello Stato. Ma, nello stesso momento, significa che le classi più deboli, grazie al maggior prelievo effettuato
presso le classi più abbienti, possono avere accesso a servizi che
altrimenti sarebbero loro preclusi. Quando questo non succede,
o non succede nella misura in cui sarebbe possibile, allora ci sono
criteri che vanno pesantemente rivisti. Magari prendendo esempio da Paesi dove:
a. la presenza dello Stato è molto più tangibile nell’erogazione
di servizi;
b. le aliquote sono più basse, maggiori le spese detraibili ma
inesorabile la punizione in caso di evasione.
Ad esempio, mi pare di ricordare che in Svezia l’evasione fiscale
sia considerata un reato gravissimo e che non siano previsti sconti di pena per buona condotta in caso di detenzione per questo
motivo. Ricordo che da noi, come risposta, è stato depenalizzato
il falso in bilancio…
Vorrei chiudere questo breve commento ricordando e ricordandomi che i giovani sono la forza a cui si appoggiano le speranze
e il futuro di una nazione. Sono l’unico modo che abbiamo per
truffare il tempo. A loro vanno dedicate cure e attenzioni perché
diventino dei cittadini e non dei pesi per se stessi e per la società.
Questo significa diritto all’istruzione, opportunità uguali per tutti,
una speranza che sia possibile per tutti trasformare in realtà. Ma
soprattutto l’esempio, da chi è demandato a dare tale esempio: la
famiglia, la scuola, la società, le istituzioni.
Aggiungerei, per mia personale inclinazione, due componenti
apparentemente ludiche: la musica e lo sport. Dare ai ragazzi la
possibilità concreta di suonare uno strumento musicale o di praticare uno sport significa mettere loro a disposizione un’ottica
alternativa, una cultura di confronto e non di scontro, il modo di
trasformare un concetto sterile di disciplina che arriva dall’esterno in auto-disciplina. Va da sé che non tutti diventeranno Mario
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7 mosse
l’italia
Brunello o Roger Federer o Alberto Tomba, non tutti arriveranno
a fare di queste pratiche la loro fortuna o semplicemente il loro
mestiere. Ma ci saranno per loro momenti di facile aggregazione
per tutta la vita, nel momento in cui si accorgeranno che molti degli esseri umani che li circondano possono essere persone con cui
suonare invece che litigare e che quello che hanno di fronte su un
campo di tennis o di calcio non è un nemico da distruggere, ma
solo un avversario da battere. La musica e lo sport sono linguaggi
universali, perché un Do maggiore o una schiacciata a pallavolo
sono uguali ed emozionanti in tutte le parti del mondo. E ci sono
concetti che, quando sono veicolati dalle emozioni, nel corso del
tempo si radicano al punto da diventare regole di vita.
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meno individualismo, più armonia
di bruno fieno
Bene, il viaggio è giunto a compimento, le 7 mosse anche. Sono
orgoglioso di aver avuto il privilegio di partecipare a questa iniziativa interessante, complessa, articolata, inedita; e per questo
sorprendente, per l’armonia che si è creata a dispetto delle diverse
anime dei partecipanti.
Il silenzio e la vastità del mare, la lontananza dalla vita di tutti
i giorni hanno favorito la possibilità di riflettere, di discutere, di
approfondire argomenti che, in linea di principio, coinvolgono
ciascuno di noi.
Il senso di questo viaggio è stato anche usare il buon senso
per giungere a delle conclusioni. Forse alcune possono apparire
trancianti ma di fatto intendono essere delle suggestioni, delle
riflessioni, dei punti di partenza intorno a cui lavorare allo scopo
di migliorare la gestione della cosa pubblica – anche attraverso la
riduzione degli sprechi che non possiamo più permetterci –, di ragionare del benessere individuale ma, soprattutto, collettivo, della
socialità a scapito di questo nefasto individualismo dilagante.
Grazie ai compagni di viaggio per questa bella avventura che ha
avuto anche il sapore di una splendida vacanza. E un grazie speciale a chi ha contribuito alla realizzazione di tutto questo stando
dietro le quinte.
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l’albero si giudica dai frutti
di maria giua
Ho iniziato a entrare nel viaggio che mi sta portando da Madeira
a NewYork ben prima della mia partenza. L’invito di Oscar e
Giovanni si è fatto strada dentro di me senza che io me ne accorgessi andando a risvegliare pensieri, domande, desideri che già
vivevano in me e suscitandone altri.
Questa prima settimana di navigazione mi ha permesso anche
altre riflessioni, proprio a partire dalla condizione in cui mi sono
trovata.
Sono partita sapendo benissimo di patire il mal di mare, ma
fiduciosa del fatto che, essendo una lunga tratta, mi sarei abituata. E poi, quando mai mi sarebbe capitata un’altra occasione del
genere?
Così, in realtà, mi sono ritrovata a star male quasi tutti i giorni e
a dover chiedere aiuto quasi tutti i giorni; a fare i conti con la mia
fatica, ma anche con quella degli altri.
Ho capito però una cosa fondamentale: chiedere può essere
una grande occasione per ambedue le parti.
Domanda/offerta: pongo l’accento sull’offerta. Credo sia l’offerta a generare la domanda e questo implica un altro passaggio,
quello del saper ricevere, condizione da cui tutti partiamo.
In questo noi donne possiamo essere avvantaggiate dalla differenza sessuale: il passivo non diventa condizione di mancanza,
ma di capacità di ricevere. La dissimmetria diventa possibilità,
incremento.
Rimettendo quindi al centro di tutto l’individuo in quanto rapporto con l’altro, in quanto capacità di rapporto con l’altro, penso
che, alla base di una reale ripresa economica, sociale, culturale,
politica, ci debba essere questo pensiero: rapporto = amore = lavoro su lavoro (incontro di due lavori) = 1+1 deve fare minimo 3
(e qui mi rifaccio soprattutto a Freud, Gesù e Giacomo Contri).
1+1 = 3 vuol dire applicare un pensiero economico di soddisfazione a tutti i rapporti, di qualsiasi contenuto essi vogliano trattare.
Vuol dire pensare che trattare bene l’altro è conveniente; che
101
la parola ai naviganti
non è buonismo, ma è porre condizioni favorevoli, al fine di trovare partner e collaboratori possibili.
Vuol dire che lavorare al proprio giardino, come diceva Voltaire,
fa rapporto e soprattutto fa pace. Vuol dire pensare che la guerra
non conviene mai; senza andare tanto lontano, a partire dal rapporto con i propri amici, familiari, prossimi.
Vuol dire attenzione alle esigenze proprie e altrui, vuol dire interesse alla conoscenza (la conoscenza rende liberi), vuol dire difesa, tutela del bene comune.
Perché ciò sia possibile bisogna partire da un lavoro personale,
che mai può prescindere dal “ricapitolare una collettività” (Freud
diceva: «L’ontogenesi ricapitola la filogenesi»).
Ho pensato anche a un’altra cosa, che la leggerezza è un frutto
del pensiero, è rimandare la propria bussola a questa massima che
mi pare davvero rivoluzionaria: «L’albero si giudica dai frutti».
Coltiviamo il nostro giardino insieme!
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meno pregiudizi, più umiltà
di beatrice iacovoni
Ho passato gli ultimi 25 anni a portare gente per mare. Come
potete immaginare ne ho viste di tutti i colori. Le reazioni delle
persone non abituate a stare su una barca, che per quanto grande
non può che riservare pochi metri quadri a ciascuno, sono le più
disparate, spesso inconsulte. Confesso che ero molto preoccupata per questa traversata. Nessuno di loro era mai stato in Oceano,
la maggior parte non aveva mai navigato, addirittura due non sapevano nuotare. Tutti venivano da attività di intelletto.
Questa era una barca su cui bisognava lavorare di braccia. A
parte il lavoro tecnico di portarla, che non si può fare in due soli
24 ore su 24, c’era da tenerla in ordine, pulire, cucinare.
Ecco, proprio a proposito del cucinare, volevo proprio vederli
questi cuochi stellati nella nostra microcucina, con il piano cottura basculante, la barca piegata e ondeggiante, a cucinare per 10,
a volte 11 persone. Che poi non si fossero immaginati che avrei
fatto io da sola tutti i lavori domestici per oltre un mese!
Insomma, mi aspettavo il peggio. E poi, francamente, questo
programma di far riunioni in pieno oceano per discutere sostanzialmente di politica, con la velleità di scrivere le nuove regole per
risollevare l’Italia, mi sembrava pura fantasia.
Noi, gente di mare, tendiamo a essere molto pratici e, ammetto,
spesso cinici. è la natura che ci porta a essere così. Vista da fuori,
a suon di foto e filmati di tramonti e delfini che giocano, la natura
del mare appare una meraviglia. In effetti lo è, ma accanto alla sua
bellezza infinita ci sono la forza e l’imprevedibilità, con le quali
non si scherza, non si deve scherzare mai. Il mare esige rispetto,
non si deve mai prendere sotto gamba e debbo ammettere che
questo gruppo di intellettuali, imprenditori e cuochi mi sembrava
una piccola armata Bracaleone di incoscienti e presuntuosi.
Ho dovuto ricredermi. è la prima volta, in 25 anni dicevo, che
non ho visto nessuno andare fuori di testa. Tutti hanno lavorato,
sottoponendosi anche alle attività più umili. Sulla barca ha regnato
un’armonia vera, concreta e poi li ho visti sgobbare come ossessi
103
la parola ai naviganti
su questa loro idea delle 7 mosse, segno che ci credevano sul serio.
La barca si è dimostrata un piccolo catino di varia umanità.
Dall’imprenditore bresciano serio e preciso che ha rispettato
come un’orologio i suoi turni, al cuoco che pativa il mal di mare
ma non si schiodava dalla cucina fino a che tutti erano sazi. Dal
ragazzo figlio d’arte, che rispettava senza brontolare i miei ordini
a volte anche troppo severi, al produttore di birra famoso nel
mondo che lavava piatti e pentole a doppio turno. Dallo scrittore
di gran fama, che mi avevano descritto come un concentrato di
supponenza e che invece si è rivelato un dolce simpaticone, al pittore che non sa nuotare ma ha accettato di buon grado la mia imposizione a doversi trascinare sempre legato come un cagnolino
al guinzaglio. Dal famoso musicista, che diceva di voler suonare il
violoncello in navigazione (già mi veniva da ridere) e poi, cavolo!,
lo ha fatto (una delle più grandi emozioni della mia vita di mare,
sentirlo suonare Bach davanti alla rocca di Gibilterra che spuntava dalla nebbia), al mitico tostatore di caffè pregiato che diceva di
saper navigare, e ho dovuto ammettere che era vero.
Così, potrei continuare per ore a descrivere ciascuno dei 23 che
abbiamo ospitato sulla nostra barca. Tutte persone magnifiche,
alle quali mi sono affezionata.
Permettetemi di chiudere con un appunto personale sulle 7
mosse. Forse sarebbe stato meglio invitare anche un rappresentante del mondo del lavoro più umile, ma non meno importante,
come un operaio, un contadino vero (Farinetti dice a volte di fare
il contadino, ma vorrei sapere quante volte si è piegato veramente
verso la terra, che in Langa mi dicono essere bassa quanto dalle
mie parti in Lazio); o addirittura un disoccupato o un cassaintegrato. In cuor mio penso che una persona così avrebbe dato un
contributo importante, avvicinando maggiormente i contenuti
del documento alla realtà del nostro Paese.
Ne ho parlato con Farinetti, che ha ammesso questa lacuna, e
ha promesso che, alla prossima impresa, il mondo del lavoro sarà
meglio rappresentato.
Oscar non sarà un vero contadino, come a volte sostiene, ma è
una persona speciale. Lui e capitan Soldini sono stati veri maestri
di armonia in questa bellissima traversata.
104
meno velleitarismo, più rigore
di riccardo illy
Cari naviganti, ribadisco che condivido l’obiettivo e l’impostazione generale delle 7 mosse per il rilancio dell’Italia e che è stato
bellissimo discuterne in mezzo al mare, in un contesto amichevole e informale. Dalla lettura del documento finale traggo l’impressione che l’assenza per quattro tappe di Cartesio (come mi
ha ribatezzato Oscar) abbia consentito a Pascal (cioè Oscar, ma
forse non era il solo…) di avere il sopravvento; poi, con qualche
esempio, motiverò l’affermazione.
Credo che il documento 7 mosse, per essere credibile, debba
ispirarsi ai principi della chiarezza, del rigore e della coerenza, con
la realtà e con le norme che regolano il nostra patria. Diversamente, rischiamo di fare come il nostro attuale premier che ci ha regalato una legge elettorale che non solo non ci consente di scegliere
i parlamentari, ma è pure fuorviante o addirittura incostituzionale. Essa prevede, infatti, l’indicazione del nome del candidato
premier sulla scheda elettorale; ma la Costituzione italiana vuole
che i parlamentari non abbiano vincolo di mandato. Se l’avessero, per l’elezione del premier la legge sarebbe incostituzionale.
Siccome non ce l’hanno, ma gli elettori pensano di sì, ecco che la
legge è fuorviante. Un pateracchio, insomma! E noi non abbiamo
bisogno di altri pateracchi. E allora, per ribadire o segnalare, se i
temi sono nuovi, solo le incongruenze più macroscopiche:
1. abolire le province è quasi impossibile. Ne parlò per primo
il ministro La Malfa, una quarantina di anni fa, ne ha discusso la
Commissione bicamerale una decina di anni fa, salvo decidere infine di rinunciare. Ciò che si può fare è copiare dalla Spagna, dove
le province sono amministrate dall’Assemblea dei sindaci, senza
avere quindi organi elettivi. Lo stesso vale per le comunità montane: in montagna, zona altamente (in tutti i sensi…) svantaggiata,
servono! E allora non proponiamo di abolirle, ma lasciamo che
i sindaci le autogovernino, eliminando ogni inutile vincolo o costrizione normativa;
2. i nostri illuminati padri fondatori della Costituzione, se han105
la parola ai naviganti
no previsto l’immunità parlamentare, l’avranno fatto per qualcosa. È, da un lato, vero che sono cambiati (in parte) i tempi e che
oggi il rischio di vendette politiche si è ridotto, ma quell’istituto
serve a garantire il funzionamento indipendente dei poteri dello
Stato, cioè quello legislativo, esecutivo e giudiziario (quello religioso, citato nella mossa sette non è un potere), senza intromissioni
dell’uno nell’altro. Se il potere giudiziario può restringere senza
filtri la libertà dei parlamentari, l’indipendenza va a farsi friggere;
3. abolire il quorum nei referendum significa rischiare, da un
lato, la dittatura legalizzata delle minoranze (ciò che già oggi avviene con lo strumento delle manifestazioni violente) e, dall’altro,
contraddire il principio fondante della democrazia. Infatti, una
minoranza di cittadini potrebbe abrogare una legge approvata
dalla maggioranza dei parlamentari, a loro volta eletti dalla maggioranza dei cittadini;
4. affermare che i mezzi di comunicazione debbano essere indipendenti dalla politica è sacrosanto, ma è un’utopia. Nemmeno
i nostri politici più illuminati (De Gasperi incluso) sono mai riusciti a dire come si fa. Se vogliamo lasciare quel punto dobbiamo
dire come attuarlo;
5. applicando la stessa aliquota fiscale del reddito d’impresa alle
rendite finanziarie, nessuno comprerebbe più i titoli di Stato italiani e l’Italia andrebbe in default, e poi fallirebbe. Aumentare i
tassi d’interesse, per ridare a monte ciò che si toglie a valle, creerebbe una distorsione grave sui mercati finanziari. Applicare una
aliquota fiscale ridotta sui titoli sarebbe incostituzionale. Io non
trovo altre soluzioni; inoltre se vi fossero Tremonti o prima di lui
Visco, che sono molto più preparati di me in materia, le avrebbero già adottate;
6. usare gli oneri previdenziali dei ricchi per aumentare le pensioni minime è incostituzionale. Per fare ciò bisogna usare la tassazione ordinaria e per farlo bisognarebbe aumentarne le aliquote
che sono già molto elevate (43%). Questo incentiverebbe maggiormente l’evasione fiscale;
7. ridurre così drasticamente il numero dei tribunali è certamente efficiente per la giustizia, ma probabilmente non lo è in
termini complessivi. Infatti i cittadini, per difendersi o per fare
una causa, dovrebbero compiere spostamenti e sostenere oneri
molto maggiori;
106
7 mosse
l’italia
8. sospendere i processi agli imputati irreperibili vuol dire fare
un favore ai latitanti, mafiosi e camorristi in testa;
9. non perseguire i reati di scarsa rilevanza sociale credo sia
incostituzionale: la legge è uguale per tutti, non può essere più
uguale per la collettività rispetto al singolo individuo. Direi anche
pericoloso. Già oggi i reati minori contro le persone e il patrimonio, che sono quelli che creano più scontento tra i cittadini,
vengono scarsamente perseguiti per mancanza di risorse;
10. c’è una contraddizione tra proporre la semplificazione da un
lato e sgravi o incentivi fiscali dall’altra. Entrambi aumentano, e di
molto, la burocrazia, sia in sede di erogazione che di controllo;
11. la Chiesa svolge anche un ruolo supplente dello Stato
nell’erogare servizi a persone in condizioni di disagio. Far pagare l’ici alla Chiesa significa, da un lato, aumentare le entrate e,
dall’altro, aumentare, forse più che proporzionalmente, i costi per
questi servizi sociali.
Voglio in conclusione condividere un ultimo pensiero: prima delle 7 mosse si sono occupati di questi problemi tantissimi
politici. Molti erano incapaci, taluni addirittura farabutti, ma un
congruo numero era di valore e senza interessi personali. Se non
hanno trovato o non hanno potuto attuare le soluzioni, è stato un
po’ per il contesto politico della loro coalizione e un po’ perché,
il nostro, è davvero un Paese complicato. Le soluzioni che noi
proponiamo devono essere particolarmente creative e professionali. Bisogna essere consapevoli che le potrà attuare solo una coalizione molto coesa e forte, tale da superare le opposizioni della
struttura e gli inevitabili legami tra componenti della maggioranza
e soggetti che, dalle riforme, verrebbero penalizzati. Per chiudere
con una metafora marinaresca: disincagliare l’Italia sembra facile
ma, come sa Giovanni Soldini per le barche, ci vuole intelligenza,
forza e perseveranza.
107
meno zavorra, più vento
di marella levoni
Una premessa al mio intervento è d’obbligo.
Sono entrata a far parte dell’equipaggio delle 7 mosse pochi
giorni prima della partenza della barca da Genova, attratta soprattutto dalla scritta che si trova su una delle vele: Alla ricerca del
Marino. Il Marino è il vento che soffia dal mare sulle terre della
nostra meravigliosa penisola e che rende uniche numerose delle
sue specialità gastronomiche.
Il mio lavoro e quello della mia famiglia, da 100 anni, si svolge
proprio in questo campo e partire su una barca a vela alla ricerca del
Marino mi è sembrato come il richiamo irresistibile di una sirena.
Prima di aderire al progetto, però, ho valutato anche l’altro, fondamentale, tema che avrebbe accompagnato questa avventura: le
7 mosse per l’Italia.
Non ero e non sono tuttora d’accordo su tutte le sfumature di
queste proposte, ma fin dall’inizio e con sempre maggiore convinzione, concordo pienamente con lo spirito che ha mosso i due
capitani: smettiamola tutti di lamentarci e proviamo a fare qualcosa per aiutare il nostro Paese.
Anzi, valorizziamo questo atteggiamento nella nostra vita di
tutti i giorni e cerchiamo di essere costruttivi in tutto quello che
facciamo.
Avrei potuto focalizzare la mia attenzione sugli aspetti su cui
non ero d’accordo, essere negativa e restarmene a terra. Questo
è il tipo di approccio che, invece, tutti dobbiamo evitare. Senza
essere semplicistici o superficiali, cerchiamo di vedere il positivo
che c’è in ogni cosa e proviamo a moltiplicarlo.
Di proposito non entrerò nel merito delle singole mosse, non
ritengo di avere le competenze per dire se una soluzione sia migliore di un’altra. Lascio questo compito agli esperti di ogni specifico
argomento e mi aspetto che ne traggano degli spunti importanti.
Vorrei piuttosto che il mio suggerimento fosse visto come quello di una cittadina italiana che lavora, ha un marito e due figlie e
si preoccupa di quello che sarà il loro domani.
109
la parola ai naviganti
Vorrei che l’insegnamento delle 7 mosse non fosse considerato
solo come un documento per chi fa politica, per chi dirige o
governa.
Vorrei che fosse uno spunto di riflessione e di rassicurazione
per tutti i cittadini di buonsenso e, soprattutto, che possa contagiare anche chi pensa che: «Tanto, non c’è niente da fare» e si fa
trascinare dalla corrente.
Sulla barca delle 7 mosse abbiamo dimostrato che con una meta
chiara, un buon capitano e una ciurma affiatata (nonostante le
onde e il vento non sempre favorevoli) la barca si può condurre
in un porto sicuro.
110
il viaggio, la navigazione e le 7 mosse
di matteo marzotto
Da anni cerco di capire e di capirmi. Cerco un equilibrio e in
questa ricerca (a tratti quasi disperata) ho capito che mettermi alla
prova è uno strumento efficace. La curiosità, l’umanità, l’etica,
l’imprenditorialità, il coraggio, la paura, la fisicità, la spiritualità, lo
sport, la competitività, l’umiltà. Tutte parole, forse; ma tutte centrali nella mia vita e in questo Viaggio (di questo si tratta nel senso
più filosofico del termine) con la maiuscola, a cui sono felice e
grato di essere stato invitato.
Le 7 mosse sono spesso, volutamente, provocatorie, a tratti forse
velleitarie, non è necessario essere d’accordo su tutto, ma si può
certamente convenire che il momento storico con le sue grida più
o meno forti richieda una sferzata, una consapevolezza, una volontà e possibilmente una posizione. E senz’altro esse generano
una riflessione. Forte, nell’unico modo in cui ci si aspetterebbe da
uno come Oscar Farinetti. Che, secondo me, non è poco in questi
tempi confusi tra eccessi (di democrazia, di velocità, di informazione), qualunquismo e superficialità.
Ho trovato stranamente facile l’amalgama, l’energia che si è creata in un ambiente così particolare qual è una barca a vela che
va fatta navigare (non va certo da sola, grazie Bea, grazie Giò)
sull’oceano, tra donne e uomini così diversi per esperienze e formazione. E questo dice molto sulla visione della vita di Farinetti.
Le mosse affrontano temi che fanno tremare, molti dei quali richedono una formazione e una cultura che io certamente non ho,
ma che sembra proprio non avere la classe politica di oggi e, se
andiamo avanti così, nemmeno di domani. Il nostro è un Paese terribilmente difficile; rimanere ottimisti è però utile, conveniente e
gratis. Nella vita c’è sempre una via alternativa e virtuosa. Sempre.
Le 7 mosse affrontano alcuni temi cui mi sento particolarmente vicino e li affrontano con coraggio: la burocrazia (un mostro
invincibile), la giustizia (centinaia di migliaia di leggi che si accumulano, da interpretare invece che da applicare), la governance (se
vogliamo chiamiamola politica), la sostenibilità ambientale e non
111
la parola ai naviganti
solo. Ma forse quello che mi ha maggiormente entusiasmato è
la scuola, come strumento di formazione ma anche di selezione.
Molto più autorevole con un pizzico di autorità in più mi pare terribilmente necessaria ai nostri giovani. Che formi insegnando da
dove veniamo e dove possiamo aspirare ad andare. Che selezioni
(bello il passaggio sull’immigrazione) perché il merito è sempre in
attesa di essere raggiunto (anche al secondo o al terzo tentativo),
in modo pulito e perché poi l’esempio sarà il più potente degli
strumenti. Che evidenzi le nostre vocazioni che sono lì, davanti
al nostro naso, e che andiamo invece a cercare in mondi e culture
che non ci appartengono. Che torni a dirci e a dire a chi vorrà
vivere da noi, che i diecimila campanili e i loro dialetti sono valore
aggiunto e non un freno allo sviluppo. Che mostri che le regole
ci sono e che è bello osservarle come stile di vita. Che accogliere
sorridendo è meglio (anche turisticamente parlando). Che ambiente e paesaggio non sono una risorsa infinita.
Non tutto di 7 mosse mi ha convinto e qualcosa anche un pò
confuso, come nel caso per esempio degli investimenti nella forza
armata o ancor più sulla Chiesa. Ho amato ascoltare l’acume, la
cultura e l’autoironia del mio amico Piergiorgio Odifreddi, ma
non mi ha persuaso: mi tengo Gesù e la sua forza e influenza, in
tutto ciò che di buono siamo. Anzi, il professore mi ha promesso
di venire con me a Lourdes!
Il nostro è un Paese di individualisti e di criticoni polemici;
perciò, caro Oscar e cari amici, prepariamoci a cannonate da tutte
le parti. Qualcuno disse qualcosa riguardo a chi fa e ai suoi sbagli.
Qui da noi, che tu faccia o non faccia, un modo per dirti che hai
sbagliato lo trovano sempre. E a proposito di faccia mi pare che
mettere la propria non sia poca cosa e nemmeno propriamente
lo sport nazionale.
Se poi fossi colto da un improvviso attacco di cinico pragmatismo, direi che anche solo ottenere il 20 o 30% di quello che
compone le 7 mosse, sarebbe già “tanta roba”.
Abbraccio il capitano, il comandante, il professore, lo scrittoreattore-comico-cantante, il birraio, il cuoco, l’amministratore delegato, e tutti gli altri amici delle 7 mosse ricordando un pensiero
(del 1957) di mio nonno Gaetano, un gigante che mi spinge con
la sua visione e il suo esempio ad andare avanti con coraggio.
Nonostante tutto.
112
7 mosse
l’italia
«Scarpe bone, bel vestito – vito sano – vin sincero – bele case – svaghi
onesti, la fameia, i tosi, i veci – fede in Dio – mutuo rispeto – pace e bona volontà. Lavorar con atension, con impegno, in dignità. Buon guadagno e cuor
contento – vita agiata, ma el risparmio che xe sempre necessario per formar la
proprietà. Sempre usar moderasion, toleranti co la zente, boni amissi solidali
ne la gioia e nel dolor. Andar drio per la so strada, no far ciacole per niente,
no badarghe ai fanfaroni, ai busiari, ai mestatori. Sempre pronti ai so doveri,
far valere i so diriti, e difender tuti uniti, patria, vita e libertà».
Grazie Oscar, grazie amici.
Grazie Italia.
113
più terra, meno facebook
di teo musso
Cari compagni di viaggio, sono rientrato e come avrete capito
dalla mia totale assenza mi sono trovato immediatamente immerso in un altro liquido con tante bolle che più mi è consono.
Questo, in realtà, non è stato sufficiente a staccarmi mentalmente dai momenti trascorsi insieme e soprattutto dalla traversata!
Nella mia vita “nomade” alla ricerca di me stesso, ho fatto diverse esperienze simili, quali i venti giorni di camminata nel deserto, il raggiungimento del campo base Everest e l’Anapurna.
Ma non so se per l’elemento a me non così congeniale (anche se
ci lavoro ogni giorno) o se per una maturità diversa, devo dire che
mi ha segnato!
Forse, se devo rappresentare questa sensazione, posso riassumerla nell’essermi sentito piccolo, ma molto piccolo. Penso
che ogni tanto prendere coscienza di questo non possa fare che
bene.
Sotto l’aspetto della condivisione di un micro-spazio, nel bel
mezzo di questa forza imponente della natura, devo dire che l’aria
che si respirava a bordo era così pulita da non renderla difficile,
ma da fonderci e scoprirci in modo sano. Quindi, mi sento di
dire di avere dei nuovi amici e trovo questo un altro elemento di
riflessione.
Ritorniamo al mio rientro. Ho passato quasi tutto il mio tempo
tra una nuova birra, che sto mettendo a punto, e i campi di orzo e
i filari di luppolo per vedere com’è l’annata, che nella nostra zona
è stata molto arida, ma “grazie a Dio” (citazione dedicata all’amico Odifreddi) ho una parte di colture in Basilicata, dove invece
l’orzo è stupendo.
Sono nato in una famiglia contadina, tra il profumo del fieno,
l’oro del raccolto dei cereali, le giornate passate nei filari e mio
padre che, a 87 anni, segue ancora le sue vigne, una vite dopo
l’altra, ogni giorno come un monaco zen!
I tempi cambiano ma penso che sia fondamentale non dimenticarsi della terra!
115
la parola ai naviganti
Dopo questo preambolo, passiamo alle 7 mosse, discusse e condivise già durante il viaggio. Mi sento di appoggiarle, direi appieno, e soprattutto sotto l’aspetto rimarcato della possibile velocità
di attuazione con figure giuste al posto giusto. Velocità che oggi fa
ormai parte del nostro tempo e del nostro “fare impresa”.
Vorrei portarvi solo a fare una delle tante considerazioni che
mi passano nella testa e che non vuole essere nient’altro che una
riflessione.
Pur essendo un analogico, non disapprovo anzi, penso che il futuro sia tracciato dall’informatica e credo nell’enorme potenzialità di
questo strumento, entrato in modo forte nella nostra vita.
Nella mia vita ho creato locali, fatto bevande, organizzato concerti, spettacoli, mostre, ho fatto una scuola di musica per far conoscere il vero linguaggio internazionale. Tutte queste cose con
un solo pensiero, quello di dare la possibilità di socializzare e di
vivere momenti di condivisione e di confronto.
La mia paura spero infondata è quella di scoprire tutti davanti a
uno schermo disegnando il proprio “profilo sognato”, a condividere e instaurare rapporti virtuali.
Conclusione
E se mettessimo nelle scuole superiori l’obbligo di fare l’orto
per un anno, confrontandosi su chi fa crescere meglio un pomodoro o una patata e vedere sotto un aspetto diverso la possibilità
di abbronzarsi con il sole dell’estate? Non pensate che questo
possa far riflettere sulla distinzione tra vero e virtuale?
Vorrei, in chiusura, aprire una riflessione anche sul femminile.
Appoggio totalmente il punto aggiunto in merito e credo che
nel nostro sistema la distinzione debba fondarsi sui valori e non
sul sesso.
Un abbraccio grande e grazie per avermi fatto vivere questo
momento. Il sentirmi così piccolo mi ha reso più forte.
Viva l’Italia!
116
meno "status quo", più cambiamenti
di paolo nocivelli
Quando il mio amico Oscar mi propose di partecipare a quest’avventura, circa tre mesi fa, subito aderii con grande entusiasmo.
Ero spinto dal desiderio di riscoprire i valori fondamentali del
vivere umano e, da velista, mi affascinava l’idea di attraversare
l’oceano.
Questo era uno dei sogni della mia vita e, in realtà, avevo colto
maggiormente il lato avventuriero di questa impresa.
Mi sono imbarcato a Genova su questa meravigliosa “barca
dei pensieri”. Ora, dopo aver percorso 3.300 miglia per quasi un
mese di navigazione, dopo avere cambiato per tre volte i compagni di viaggio e dopo numerose riunioni sulle 7 mosse, mi rendo
conto che l’essenza del nostro viaggio è stata proprio nella stesura
di questo documento.
Alla sua formazione hanno partecipato con grande impegno
tante persone: donne e uomini di grande ingegno, che ho avuto la
fortuna di conoscere meglio e apprezzare.
Tutti noi, guidati da Soldini e sotto la regia di Oscar – che ha
dedicato a questa impresa tutta la sua capacità e il suo impegno
– e accompagnati da acqua e vento, costretti a condividere spazi
esegui in un ambiente estremamente informale tra una manovra
a vela, un bucato, e il lavaggio dei piatti a fine pasto, siamo giunti
a mettere ordine tra i pensieri e a formulare le nostre osservazioni
su un documento firmato dal nostro comandante.
In questo mio commento vorrei limitarmi ad alcuni punti sui
quali ritengo di poter dare un modesto contributo di libero cittadino e imprenditore, non impegnato politicamente, ma certo non
di sinistra.
Dando per scontato che il nostro Paese sia in declino e che
ci sia bisogno di una svolta, condivido pienamente che un vero
cambiamento non potrà avvenire in mancanza di una profonda
riforma della politica.
Proprio la prima delle 7 mosse (meno politici più politica), per
quanto utopica possa apparire, ritengo sia la colonna portante di
117
la parola ai naviganti
questo cambiamento. La sottoscrivo al cento per cento, in particolare ai punti 10, 11, 12, 15, relativamente a un sistema elettorale
che consenta al cittadino, e non alle segreterie dei partiti, di scegliere; all’abolizione delle posizioni “a vita” dei politici e all’equiparazione del sistema pensionistico dei politici a quello di noi
comuni mortali. Tutto per far sì che il politico sia una missione e
non un mestiere altamente privilegiato.
Infine, circa i referendum, rendere più importante e vincolante
il parere degli elettori. L’esito di un referendum deve obbligatoriamente trasformarsi in legge entro una breve scadenza temporale.
Troppe volte in passato abbiamo visto la classe politica ignorare
gli esiti dei referendum popolari.
Il secondo punto che intendo sottoscrivere (seconda mossa), sia
pure non integralmente, è quello relativo alle entrate dello Stato.
Concordo pienamente sulla lotta all’evasione. è essenziale che
le tasse vengano pagate da tutti ed è altresì essenziale una riforma
che non penalizzi il fare rispetto all’avere. Sono pertanto d’accordo nell’equiparare la tassazione sulle attività finanziarie a quella sulle attività produttive. A proposito di queste ultime, ritengo
opportuno eliminare l’irap (l’imposta regionale sulle attività produttive) una tassa che, calcolata sul costo del lavoro, grava sulle
imprese indipendentemente dal risultato economico, rendendo
ancora più penalizzante il fare impresa in Italia.
Il tema delle tasse è di estrema delicatezza nel nostro Paese.
Purtroppo, l’alto indebitamento dello Stato non consente grandi spazi di manovra, ma tre interventi sostanziali sono possibili:
la lotta all’evasione, l’equiparazione delle aliquote per le rendite
delle attività finanziarie a quelle per le attività produttive e la reintroduzione parziale dell’ici potrebbero rendere disponibili risorse
per migliorare sensibilmente il bilancio dello Stato.
Anche sul tema delle vocazioni del nostro Paese sono sostanzialmente d’accordo: turismo, design e moda, agroalimentare e
cultura sono settori sui quali si può e si deve fare molto di più.
A tal proposito ritengo indispensabile una maggiore salvaguardia
del territorio, meno cementificazione selvaggia, più valorizzazione delle bellezze naturali del “bel paese”.
Per quanto riguarda l’industria, credo che ancora grandi spazi ci
siano, ma sono necessarie meno incombenze normative e fiscali,
più vera flessibilità del lavoro.
118
7 mosse
l’italia
Infine, la mossa relativa all’ambiente e alla produzione di energia. Concordo con la proposta di abbandonare il nucleare: troppi soldi e troppo tempo prima di arrivare all’effettiva produzione di energia. Puntiamo tutto su energie rinnovabili e risparmio
energetico.
Il risparmio energetico va perseguito con determinazione, favorendo inizialmente prodotti con consumi inferiori, fino ad arrivare alla messa al bando di tutti i prodotti che consumano di
più (e ciò sia per gli apparecchi domestici che consumano energia
elettrica o gas, sia per gli automezzi che consumano idrocarburi).
Lo stesso vale per le abitazioni: rendere obbligatorio, in caso
di nuove costruzioni o ristrutturazioni, prima con incentivi e poi
con sanzioni, l’adeguamento agli standard richiesti dalla classe a
o b; più installazione di pannelli solari per la produzione di acqua
calda, più pompe di calore con efficienze elevate, con il duplice
obiettivo di ridurre le emissioni in ambiente e produrre calore
con energia rinnovabile; meno consumi di idrocarburi, gas metano nel caso specifico.
Dal lato della produzione di energia, concordo con le proposte
della sesta mossa, integrandola con incentivi e finanziamenti affinché vengano installati obbligatoriamente, con le dovute eccezioni, impianti fotovoltaici su tutti i tetti dei nuovi capannoni in
costruzione. Più fotovoltaico sui tetti dei capannoni e meno fotovoltaico a terra, ma specialmente più eolico, idrico, geotermico e
nuove tecnologie, meno idrocarburi e nucleare.
119
modeste proposte sulle 7 mosse
di piergiorgio odifreddi
è stato un piacere aver condiviso una tappa del progetto delle 7
mosse e un onore aver dato un piccolo contributo a una grande
idea. Il documento finale, elaborato in una serie di discussioni sospinte dal vento e dal mare, rispecchia in larghissima parte ciò che
penso anch’io. Non tanto perché vi sono confluite le mie idee o le
mie proposte, ma perché spesso ve le ho trovate già enunciate da
altri; a dimostrazione del fatto che Farinetti ha riunito una “ciurma”, come ci chiamava generosamente Soldini, tanto variegata
nella composizione sociale quanto omogenea nella disposizione
intellettuale.
Se mi permetto di aggiungere un paio di considerazioni al documento finale, è per il motivo già espresso da Farinetti nel suo
prologo: l’unanimità è sempre difficile da ottenere, eccetto nei
casi in cui è superflua. La mia prima obiezione è di natura numerica: intitolare 7 mosse un documento che ne presenta nove,
non può che sollevare le ferme rimostranze di un matematico!
Naturalmente, Farinetti conosce perfettamente la differenza tra
sette e nove, se no non sarebbe l’imprenditore di successo che è.
E in fondo, si tratta solo di un’espressione metaforica, come dire
che si partecipa a una tavola rotonda, quando in realtà si è seduti
a un tavolo rettangolare.
Ma visto che di metafore si tratta, io la prenderei come un invito
a sottolineare, con più vigore di quanto non si sia fatto nel documento, la necessità di potenziare la cultura scientifica nel nostro
Paese. Anche la recente riforma scolastica del ministro Gelmini
penalizza questa cultura, continuando ad esempio a proporre e
sponsorizzare un liceo scientifico con “più latino, meno scienze”,
mentre avremmo bisogno esattamente del contrario: più scienza,
meno umanesimo. E non perché l’umanesimo sia anacronistico e da
buttare, ma semplicemente perché l’attenzione che esso riceve nelle scuole e da parte dei media è completamente sproporzionata rispetto a quella che viene prestata alla scienza, che pure costituisce
il fondamento della nostra civiltà tecnologica.
121
la parola ai naviganti
Una particolare incarnazione dell’umanesimo antiscientista è
ovviamente la religione. Il motto precedente andrebbe dunque
specificato, nel caso particolare, in più scienza, meno religione. Inutile
dire che trovo assolutamente insufficiente la mossa meno Chiesa,
più Gesù; così come troverei assolutamente insufficiente una mossa “meno magia, più Harry Potter”. Nel mondo tecnologico non
abbiamo bisogno di maghetti o di profeti, e l’unica cittadinanza
che possiamo loro riconoscere è quella letteraria: leggiamo pure
le loro avventure nei romanzi o nei Vangeli, ma ricordiamoci che
sono opere di letteratura, e non di architettura sociale.
Capisco naturalmente le buone intenzioni della settima mossa,
ma preferirei che la laicità dello Stato venisse affermata in maniera più drastica: libertà di religione per gli individui, in cambio
di libertà dalla religione per lo Stato. In particolare, abolizione
dell’articolo 7 (guarda caso) della Costituzione. Abolizione dell’8
per mille. Abolizione dei privilegi fiscali per le opere religiose.
Abolizione dei finanziamenti statali per le attività gestite da religiosi. Abolizione delle trasmissioni di propaganda o di agiografia
religiosa nella tv pubblica. Abolizione dell’ora di religione nelle
scuole. Eccetera.
Poiché la Chiesa e il Vaticano posseggono un quinto del patrimonio immobiliare italiano, e ricevono finanziamenti dallo Stato
per miliardi di euro l’anno, questa mossa avrebbe utili ricadute sul
nostro bilancio. Ma ancora maggiori ricadute si avrebbero da una
più generalizzata abolizione dei privilegi fiscali a coloro che oggi
ne usufruiscono. In questo campo, credo che la mossa meno sprechi, più responsabilità si sia anch’essa mantenuta molto al di sotto
delle necessità.
Non possiamo infatti dimenticare che, per quanto riguarda i
redditi dichiarati dalle persone fisiche nel 1993, i dipendenti pesavano il 56,2 per cento, i pensionati il 19,7, gli imprenditori il 13,2
e i professionisti il 7,6. Quindici anni dopo, nel 2007 (anno dei
dati più recenti), il peso complessivo delle prime due categorie è
ulteriormente aumentato: i dipendenti pesano il 51,8 per cento,
i pensionati il 26,8, mentre gli imprenditori sono scesi al 5 per
cento e i professionisti al 4,2.
Per quanto riguarda i redditi lordi medi, i lavoratori autonomi
dichiarano 37.124 euro, e le altre tre categorie redditi medi praticamente uguali fra loro: i dipendenti 19.335 euro, gli imprenditori
122
7 mosse
l’italia
18.968 e i pensionati 13.448. Quanto ai redditi medi dichiarati per
categorie professionali autonome, a fronte di una media nazionale di 18.900 euro, pari al reddito di un insegnante di scuola, parrucchieri e barbieri dichiarano solo 10.400 euro, i tassisti 13.600,
i meccanici 15.400, i gioiellieri e gli orologiai 15.800, i dentisti
45,100, gli avvocati 49.100, eccetera.
Un’evasione così sistematica e persistente è, ed è stata, possibile solo con la compiacenza e la connivenza dello Stato, che ha
indebitamente vessato i ceti deboli e produttivi e sistematicamente privilegiato quelli forti e speculativi. è probabile che noi non
siamo le persone adatte a fare le proposte radicali, drastiche, e
magari anche cruente, che sono necessarie per riequilibrare il fisco, con l’obiettivo di far pagare le tasse in maniera direttamente
proporzionale al reddito, invece che inversamente proporzionale
come ora.
Noi, fortunati partecipanti all’avventura delle 7 mosse, siamo
infatti tutti, chi (molto) più e chi (molto) meno, appartenenti al
ceto privilegiato: in particolare, dunque, siamo noi i beneficiari
dei privilegi. Ma, pur con gli inevitabili paraocchi che ci derivano
dalla nostra condizione, dobbiamo e possiamo comprendere e
accettare che la costruzione di un’Italia più giusta e sana passi anche, se non soprattutto, attraverso l’abolizione di questi privilegi.
La perdita di alcuni dei nostri interessi personali sarà ampiamente
compensata dal guadagno degli interessi collettivi, e credo (anzi,
so) che tutti siamo pronti a fare la nostra parte.
123
meno manifestazioni,
più azioni (individuali)
di simone perotti
Ho aderito al progetto di 7 mosse per due motivi. Il primo è l’amore per la vela e l’invito ricevuto da Giovanni Soldini. Il secondo è
la lettura del documento di Oscar Farinetti che ho trovato ruvido,
concreto, diretto, scritto con trasporto. Giovanni e Oscar sono
due uomini trasportati: come dire di no? Con Oscar e gli altri
compagni di viaggio tra Genova e New York, in particolar modo
con il terzo e con il quarto equipaggio, ci siamo confrontati e abbiamo discusso. Quanto al principio ispiratore del documento, lo
condivido integralmente. Stessa cosa per molti dei punti specifici,
in larga parte.
Trovo che manchi, tuttavia, una seria critica al consumismo, a
questo sistema economico, e l’esigenza di una pesante, decisa responsabilizzazione dell’individuo. Nulla cambia senza che il singolo uomo, la singola donna, si muovano:
1. la cultura marxista e cattolica ci hanno sempre portato a “partecipare”. Che fosse alla messa o alle manifestazioni di piazza, siamo
sempre stati invitati, incalzati, a far parte del gregge, che fosse di
fedeli o di lavoratori poco importa. La conseguenza di questo è che
disprezziamo, generalmente, l’azione individuale. La consideriamo
ovvia, utile solo quando fa parte di un disegno collettivo, quando
assume le forme classiche del consenso. Nessuno o quasi, da noi,
pensa che la società è un insieme di individui. Nessuno sente di
dover fare lui per primo quel che è opportuno per cambiare. Con
la conseguenza che, infatti, nulla cambia da troppo tempo;
2. occorre recuperare il concetto di responsabilità individuale. Ogni
individuo è l’elemento eversivo su cui può poggiare ogni rivolta, ogni
processo di cambiamento. Il cambiamento di un individuo che sia
poi in grado di testimoniare la sua differenza, è quel che il sistema del
potere teme maggiormente. è questo il primo passo, il tassello fondamentale e decisivo del processo di modifica dello stato attuale delle cose. La realtà appare immutabile proprio perché chi la dovrebbe
cambiare resta eternamente in attesa di qualcosa che venga dall’alto
(che sia la Provvidenza o la rivoluzione), che mai si verificherà;
125
la parola ai naviganti
3. il primo cambiamento è dunque quello dell’individuo. Nessuno di noi oggi, da troppo tempo, dedica una parte sufficiente
della sua giornata all’auto-analisi, alla comprensione di quanta distanza ci sia tra le sue parole e i suoi fatti, di quanto margine di
lavoro ci sia per tentare, quotidianamente, di avvicinarsi all’idea
che ha di se stesso, cioè alla propria autenticità. Nessuno si sente
malato se non ha una passione, se non ha un sogno a cui lavorare. Tutti si lamentano, sono pronti a sputare su quel che vedono,
sulla società, senza accorgersi che, spesso, loro sono peggio della
società; o ne hanno almeno fattezze, sembianze, comportamenti.
Perfino la nostra pessima politica, in questi decenni, non è stata
peggiore del Paese; anzi, lo ha egregiamente rappresentato;
4. qualunque individuo che voglia partecipare al processo collettivo del cambiamento deve prima cambiare lui, agendo su di
sé, comportandosi secondo le regole del mondo che vorrebbe e
mettendole in pratica, pagando il prezzo della propria differenza,
essendo pronto a dire dei no, uscendo dalle logiche più perverse di
questo sistema fondato sul consumo, sullo spreco, sulla distruzione dell’ambiente, sull’abbattimento delle relazioni, del tempo della vita. Un individuo che non intraprenda questo lungo percorso
perde perfino la prerogativa e il diritto alla lamentela;
5. abbiamo tutti bisogno di occuparci della nostra vita per diventare più saldi psicologicamente, meno coercibili dalla pubblicità e dai sistemi occulti di persuasione commerciale, più capaci di senso critico originale, individuale, avendo dunque diritto
a un’opinione ed essendo finalmente in grado di elaborare un
nostro personale progetto di emancipazione dalla schiavitù dei
simboli economici e dal lavoro come fine. Abbiamo tutti il dovere
di perseguire una nostra, propria direzione “ostinata e contraria”
per disarmare strumenti e uomini dediti alla nostra omologazione, al nostro controllo. Per farlo dobbiamo essere capaci di abbassare la soglia dei bisogni, innalzando semmai quella dei desideri. Uomini con pochi bisogni tendono a una maggiore libertà, e
sono capaci di dire no con maggior coraggio. Non sono ricattabili
dal sistema economico e finanziario, dunque da quello politico e
del consenso;
6. in questo modo sarà possibile rifiutare il consumismo, la vera
piaga del sistema capitalista, dedicarci a quel che è meglio per
noi, vivere in altri luoghi da quelli imposti, frequentando le perso126
7 mosse
l’italia
ne che desideriamo incontrare, ripopolando campagne e borghi
dove le case costano 350 euro a metro quadro, lavorando quanto
serve per i denari di cui abbiamo realmente bisogno, dicendo sì
alla nostra vita in modo originale e autentico. Con questa nuova
solidità e la libertà che consegue alle nostre scelte, vivendo già
oggi in modo diverso, più simile a come vorremmo il mondo,
possiamo partecipare testimoniando, cioè dimostrando che esistono altre vite, altre scale di valori, la cui applicazione non è né
utopistica né folle, solo difficile e lunga. Un buon motivo per
iniziare il prima possibile.
Quel che ho molte volte affermato sui media, nei miei libri e
sulla barca, non ha dunque nulla a che vedere con l’individualismo o il rifiuto di una prospettiva politico-filosofica sociale. Al
contrario. Tuttavia, non può esistere prospettiva politica senza
individui che la pensino, la sentano, la vivano, la incarnino, la testimonino, la rappresentino, se ne facciano emblemi. è avvenuto
per oltre sessant’anni, e il risultato è sotto i nostri occhi.
Il vero individualismo da cui dobbiamo fuggire come la peste
nera è l’ipocrisia di andare alle manifestazioni a urlare il nostro
dissenso e poi tornare a casa e vivere come prima, facendo da
spalla al sistema, sostenendolo con il nostro consumismo, il nostro spreco, la nostra superficialità, il nostro asservimento alle
logiche del profitto smodato. Il vero individualismo è quello di
pensare a un mondo migliore e, al tempo stesso, metterne in pratica uno peggiore. Le persone non devono essere solo una massa
orientabile. Se si vuole fare qualcosa di concreto per il cambiamento occorre sollecitarle individualmente, chiamarle alla loro
responsabilità.
Il nostro Paese è povero, e si è illuso di essere ricco. Noi italiani
siamo deboli, e ci immaginiamo forti. Siamo schiavi che ripetono
uno schema prefissato assai più di quanto non siamo innovatori
che cerchino una soluzione originale. è urgente, se non smettere
di manifestare, urlare, lamentarsi, almeno associare a questi strumenti il lavoro, l’azione, individuale e concreta, che cambi la nostra
vita da subito. Ognuno dentro di sé, poi sulla propria pelle, dunque nel suo perimetro. Per ogni perimetro che cambia, la geografia
del Paese cambia. Per ogni uomo che cambia il mondo cambia.
Occorre lavorare nelle famiglie, nella scuola, nel mondo delle
associazioni, sui luoghi di lavoro, nella politica, e parlare di re127
la parola ai naviganti
sponsabilità individuale. Occorre proseguire la rivolta già iniziata,
quella delle migliaia di persone che si sono tirate fuori, che hanno
detto no, che già oggi vivono in modo diverso, senza paura dei
rischi della disomologazione, col coraggio della creatività. Vite
diverse, ognuno la sua, ma tutte non più a sostegno di questo
sistema. Si può e si deve decrescere, consumare meno, sprecare
meno, essere più liberi. è possibile.
128
meno parole...
di francesco rubino
129
meno cervello, più pancia
di davide scabin
2511. Sono già trascorsi 98 anni dalla terza guerra planetaria per
gli ogm e 132 da quella per la realtà virtuale. I vincitori di quest’ultima si erano alleati con i vincitori della prima; i quali, in seguito,
assunsero il controllo dell’alimentazione mondiale, possedendo
la produzione sia terrestre che lunare dei prodotti agroalimentari.
L’acqua era storia passata, gli uomini impiegarono 75 anni, dal
2196 al 2271 per spartirsi i cinque grandi centri di raccolta. La
rete dei condotti che teneva in comunicazione i bacini d’acqua, di
fatto segnava anche i confini dei cinque grandi distretti in cui era
stato ripartito il mondo.
Il denaro non esisteva più, la moneta di scambio erano dei vc
(virtual credits), con i quali ci facevi le stesse cose che cinquecento
anni prima facevi con l’euro, con la differenza che te li potevi
anche “stampare”, cioè avevi la possibilità di procurarti “denaro”
fatto in casa. Andavi nella tua virtual room e grazie ai “programmi” ricevuti come salario, decidevi se stampare crediti per acquistare beni di consumo o fotterti il cervello di realtà virtuale. I programmi non si esaurivano, quindi continuavano a produrre crediti
all’infinito. Con questo sistema erano state eliminate la fame, la
delinquenza e la malattia; in quanto, avendo a disposizione tutto
ciò che serviva, non si avevano più necessità primarie da soddisfare, se non una: quella di voler il più possibile rimanere all’interno
della propria camera virtuale.
I salari erano retribuiti in base all’iq e all’applicazione che ne facevi, determinando quindi programmi con caratteristiche diverse
che davano accesso a livelli di realtà virtuale, che andavano da un
minimo di uno a un massimo di dieci e determinavano, di fatto, i
dieci livelli di fascia sociale
In quasi 100 anni i “Signori degli ogm”, grazie all’alleanza con i
“Signori del Virtual”, erano riusciti, attraverso continui programmi di convincimento, a portare l’umanità a cibarsi e a poter scegliere tra cinque soli piatti, cinque cibi che riunificavano e, allo
stesso tempo, dividevano il mondo in cinque gusti.
131
la parola ai naviganti
Rimanevi la maggior parte del tempo chiuso nella tua camera
virtuale, senza mai la necessità di uscire se non per cibarti, ma
cibo significava ormai scegliere tra quei cinque piatti, dei pasti
unici, delle sbobbe monocromatiche, che ormai si stavano stabilizzando anche come distribuzione. Cioè, se vivevi nel distretto
del Mediterraneo, difficilmente avresti mangiato il cibo che veniva distribuito nel distretto delle due Americhe: non ne avevi
interesse, curiosità, necessità, provenivi da dieci generazioni che
si erano cibate dello stesso “gusto” e che ormai erano divenute
popolazioni stanziali.
Verso il 2400 i cuochi andavano misteriosamente scomparendo,
si diceva che venissero deportati su di un’isola per essere eliminati in quanto rappresentavano un ostacolo per l’espansione della
World Food Company, la multinazionale che controllava tutti gli
ogm e che iniziava a diffondere i cinque Absolute Food. Di fatto
era vero che venivano deportati; però non per essere eliminati,
ma piuttosto convinti a cucinare per i Signori, in cambio di privilegi che neanche i possessori di “programma10” avevano.
Vivevano con i Signori in isole paradiso coltivate a prodotti naturali e metodi biodinamici da contadini anch’essi deportati decenni prima. Quasi nessuno faceva uso del virtuale e pochi avevano il permesso d’uscita dalle isole, che erano tenute nascoste al
resto del mondo.
C’era un cuoco, particolarmente creativo, che era riuscito ad
avere, tramite sue conoscenze non del tutto raccomandabili, dei
pomodori ogm provenienti dalla Luna, destinati alla preparazione dell’Absolute Food per il Mediterraneo. Preparò una salsa di
pomodoro e basilico che servì su dei fusilli fatti a mano ai suoi
Signori; questi, oltre a non accorgersi che non aveva usato i pomodori del loro orto, furono così colpiti dal piatto che, per ottenere dal cuoco l’impegno di continuare a preparare gli stessi fusilli
una volta alla settimana, gli regalarono in cambio un viaggio fuori
dall’isola.
Il cuoco aveva a questo punto due problemi: svelare la verità,
oppure, in occasione del viaggio offertogli per i suoi fusilli, cercare di scappare e diffondere nel mondo quel gusto della salsa di
pomodoro fatta con gli ogm.
Dopo una settimana di notti insonni, decise, con la complicità
di un suo amico contadino e pescatore, che sarebbero fuggiti in132
7 mosse
l’italia
sieme; lui con il suo libro di ricette di cucina e il contadino con
poche manciate di semenze dei prodotti coltivati sull’isola.
Si dice che riuscirono a fuggire, trovarono un mercante e un
navigatore, e con altre persone libere riuscirono, in 7 mosse, a far
assaggiare a molti uomini quei fusilli al pomodoro grazie ai quali,
in pochi decenni, l’umanità si risvegliò, capì di possedere un gusto
e di poter scegliere il proprio bene.
3011, sono un cuoco che ringrazia tutti quelli che parteciparono
a quelle 7 mosse, perché oggi posso cucinare per tutti un piatto di
fusilli fatti a mano al pomodoro… e non sono ogm!
Il resto lo potrete leggere o vedere nella trilogia che seguirà, dal
titolo… non lo so ancora.
Davide, cuoco in Rivoli
133
la cultura a milano (e in italia?)
di antonio scurati
«Come faccio a far capire a mia moglie che, mentre guardo fuori dalla finestra, sto lavorando?», si chiedeva Joseph Conrad al
principio del XX secolo. Oggi, al principio del XXI secolo, sono
moltissimi, non soltanto i romanzieri, a “lavorare” quando guardano un film, un mostra, un programma televisivo, andando a un
concerto, a un convegno, navigando in internet, affacciandosi alla
nostra finestra sulla proteiforme esperienza metropolitana.
Alla fine del secolo che ci siamo lasciati alle spalle, infatti, si
è verificata una discontinuità epocale con l’affermazione di un
nuovo modello socio-economico, abitualmente definito “post-industriale”, centrato non più sulla produzione di beni materiali ma
di beni immateriali: informazioni, servizi, simboli, valori, estetica.
Tra le più significative conseguenze di questa svolta, vi è il fatto
che le attività culturali divengono il motore di un nuovo tipo di
sviluppo, allineato alla longevità della popolazione, alla perdita
di centralità del lavoro in favore del tempo libero, alla priorità di
bisogni qualitativi, all’ibridazione delle tre dimensioni della vita
attiva – lavoro per produrre ricchezza, studio per produrre conoscenza e gioco per produrre benessere – alla maggiore produttività economica delle prestazioni intellettuali rispetto a quelle
materiali.
Nel mondo contemporaneo – e futuro – la ricchezza si produce
e si produrrà o attorno agli avallamenti della manodopera a basso
costo o attorno ai picchi del lavoro tecnologicamente, cognitivamente e culturalmente evoluto. Nei secondi non possiamo e
non vogliamo essere ricacciati, verso i primi dobbiamo tendere e
ascendere.
Questo quadro inizia, fortunatamente, a essere abbastanza chiaro almeno a una parte politica (e ci auguriamo di cuore che lo
diventi anche all’altra). Ma, probabilmente, sarà il quadro di riferimento di una nuova coscienza politica ancora da venire.
Ne discendono, in estrema sintesi, quattro principi teorici e
quattro correlati concetti pratici:
135
la parola ai naviganti
1. la cultura non è un costo economico ma una risorsa (concezione del finanziamento alla cultura come investimento produttivo);
2. la cultura non è un orpello ma un grimaldello (concezione
strategica della cultura e non estetizzante);
3. la cultura è un diritto di tutti e non un privilegio di pochi
(concezione dell’iniziativa pubblica nel campo culturale in quanto
attinente alla sfera pubblica e non alla sfera privata governata dal
principio di proprietà);
4. la cultura non è un’attività antiquaria/obituaria ma viva e vivificante (concezione proattiva dell’iniziativa culturale, stando alla
quale la salvaguardia del patrimonio culturale e la circolazionetrasmissione-consumo dei beni culturali non devono mai andar
disgiunti dallo sforzo verso una nuova produzione culturale. Detto in altri termini: si dà storia della cultura antica, medioevale e
moderna ma la cultura è sempre e solo contemporanea a se stessa, anche e soprattutto quando si curva riconoscente e amorevole
sul proprio passato).
Proprio in questi giorni, dopo decenni di mefitica bonaccia,
soffia finalmente un vento nuovo. E soffia da Milano. Vorrei,
perciò, circoscrivere un poco (ma non di tanto) l’orizzonte della
mia breve riflessione sulle buone politiche culturali e sulla buona
cultura politica, alla città in cui vivo, sviluppando quelle premesse
in alcune proposte per Milano:
1. Milano capitale dell’editoria. Milano non ha e deve avere un
grande evento culturale adeguato al suo rango di capitale dell’editoria italiana. Lo deve avere per iniziativa pubblica in collaborazione strettissima con i grandi gruppi editoriali privati, e non limitandosi all’editoria del libro ma allargando il raggio al giornalismo
quotidiano e periodico;
2. Milano capitale della moda, del design e della pubblicità. Non
si può e non si deve dimenticare che grande parte della creatività
di Milano è, nella tradizione della contemporaneità, legata a queste tre ambiti. Ma è necessario che realtà di straordinaria eccellenza come, ad esempio, “Il salone del mobile”, sviluppino tutto il
loro potenziale di eventi culturali non settoriali;
3. Milano capitale del finanziamento privato alla cultura. Molti
dei principali, e dei più illuminati, finanziatori e promotori privati
della cultura hanno sede a Milano, e da qui irradiano la loro azione su tutto il Paese, e persino all’estero. Rifuggendo da qualsiasi
136
7 mosse
l’italia
tentazione di dirigismo o di accentramento, questa risorsa deve
essere ulteriormente valorizzata da un dialogo più fitto con le
istituzioni pubbliche;
4. Milano capitale del “terzo settore culturale”. Esistono nella
nostra città, talora poco visibili, una moltitudine di iniziative culturali che provengono “dal basso”, cioè da piccole organizzazioni
che agiscono secondo le logiche culturali più evolute ma non con
la priorità del profitto, e danno già oggi vita a manifestazioni di
assoluto valore artistico. Vanno sostenute, messe in rete tra loro
e con le prestigiose istituzioni culturali quali la Scala e il Piccolo,
elevate alla razionalità di sistema, e, soprattutto, trasformate in
occasioni di lavoro stabile e affidabile per chi le realizza;
5. Milano capitale della televisione (pubblica e privata). Si nota
spesso, e giustamente, che andrebbe rilanciato il centro di produzione Rai di Milano. Lo si deve fare, a mio giudizio, con specifico
riferimento alla programmazione culturale. Si dimentica, però, altrettanto spesso, che Milano è la sede della principali televisioni
private del nostro Paese. I loro dirigenti ricordano che si tratta di
una risorsa dell’Italia intera e non solo di un gruppo imprenditoriale o, peggio, di una parte politica. è giusto. Il modo migliore
per dimostrarlo, secondo me, è di pensare a Mediaset o La7 come
grandi industrie culturali. Perché invece di limitarsi a rimproverare alla Rai di non assolvere più alla sua funzione di servizio
pubblico non cominciamo a pensare a un modo innovativo per
sviluppare e valorizzare lo statuto di azienda privata di pubblico
interesse caratteristico di Mediaset e il suo ruolo implicito di potente produttore di cultura socialmente condivisa?
Mi fermo qui. Non mi rimane che augurare a tutti i naviganti
che questo nuovo vento, come si dice tra chi va per mare, sia un
buon vento.
137
meno profitto, più coscienza
di giovanni soldini
Molti punti delle 7 mosse sono condivisibili. Resto forse perplesso
sull’effettiva possibilità che ci sia qualcuno nel nostro Paese che
abbia veramente l’intenzione di impegnarsi per il bene comune,
e che quel qualcuno sia anche in grado di conquistare il potere
per farlo.
La mia speranza comunque è che questo documento e questo
viaggio simbolico siano un primo passo per il risveglio della coscienza comune.
è ora che la gente incominci a discutere e a partecipare alle
scelte che bisognerà fare.
Rifletto spesso su cosa potrebbe pensare un extraterrestre immortale che osserva la Terra dall’alto della sua postazione. Probabilmente gli apparirebbe chiaro che, dopo migliaia di anni di
storia, il nostro pianeta negli ultimi 100 anni ha subito una specie
di malattia e che una cellula impazzita si sta mangiando ogni cosa,
sta distruggendo gli equilibri e le risorse, senza altro criterio che
continuare a mangiare e a distruggere sempre di più.
Penso veramente che viviamo in un momento difficile e che, se
non saremo in grado di metterci d’accordo tutti per una gestione
più equa e intelligente della terra e delle sue risorse, i prossimi
decenni saranno decenni drammatici.
Abbiamo vissuto per troppi anni con un modello di sviluppo
schizofrenico che ha smesso di farci fare scelte giuste e buone per
il futuro e che ci ha portato a scegliere sempre la strada più redditizia. Abbiamo sostituito la coscienza, la cultura, il buon senso
con il profitto a breve termine. Siamo anche riusciti a esportare
il nostro modello di sviluppo in tutto il mondo. Il dio denaro ha
conquistato culture millenarie, che in molti casi avevano valori
ben più saggi per la vita su questo pianeta.
Dobbiamo partire da noi stessi. Noi singoli, noi come gruppo,
come appartenenti a una nazione come l’Italia, e poi noi come
europei. Solo cambiando tutti insieme possiamo sperare di poter
aggiustare il tiro di questa folle corsa.
139
la parola ai naviganti
Ho partecipato a questa avventura nella speranza che un viaggio
simbolico e un documento del genere possano contribuire anche
solo un pochino al risveglio delle coscienze e a fare in modo che le
persone ricomincino a parlare e a occuparsi delle cose importanti.
Per quanto riguarda le 7 mosse so bene che molti penseranno
che è un progetto utopico e molto difficile da attuare, ma so altrettanto bene che se smettiamo di immaginare e perseguire cose che
ci sembrano irraggiungibili non andiamo da nessuna parte. Siamo
arrivati a un punto di svolta, dobbiamo incominciare a cambiare
rotta se vogliamo lasciare un mondo vivibile ai nostri figli.
Mi dico sempre che una barca è un piccolo mondo e su una barca in mezzo al mare ci si rende subito conto di quali sono le cose
importanti per la sopravvivenza dell’equipaggio e per la buona
riuscita del viaggio.
Come principale priorità metterei sicuramente la gestione intelligente delle risorse, prima di tutto quelle energetiche, poi quelle
alimentari, l’acqua, il cibo. Il risparmio energetico costituisce sicuramente una grande opportunità. è lì che si può fare la differenza
senza troppa fatica, creando anche una enorme occasione di sviluppo. Le energie rinnovabili sono un’altra grande opportunità; in
fondo, l’uomo sino a pochi decenni fa ha vissuto e si è sviluppato
utilizzando solo quelle.
Dobbiamo semplicemente usare la nostra conoscenza per sfruttare al meglio ciò che la natura ci regala, il vento, il sole, l’acqua, la
geotermia e tutto il resto.
Altro tema importantissimo sono le risorse alimentari: smettiamola di pensare che siano infinite. Con la pesca intensiva abbiamo
massacrato i nostri mari e, se non riusciremo a creare delle regole
condivise da tutti e delle zone dove i pesci si possano riprodurre,
finiremo con un pugno di mosche e i mari sempre più deserti.
Dobbiamo imparare a vivere dando il giusto valore alla natura,
al nostro pianeta e alle sue ricchezze. Se non riusciremo a fare un
sistema di regole condivise da tutti finiremo a fare guerre assurde
per accaparrarci le ultime risorse.
Ma alla fine per fare qualsiasi cosa bisogna partire dalla coscienza, dalla riforma della politica e dalla partecipazione impegnata
dei cittadini che con il loro buonsenso, se bene informati, saranno
in grado di scegliere la direzione giusta.
Il tema dell’informazione nelle nostre democrazie moderne è
140
7 mosse
l’italia
sicuramente centrale, se la gente è male informata o addirittura
ingannata dall’informazione ufficiale come fa a fare scelte ponderate?
Un esempio per tutti: in questi anni abbiamo fatto guerre terribili sulla base di informazioni false e i popoli delle più grandi
democrazie del mondo sono stati ingannati.
Condivido in pieno il concetto della centralità della scuola pubblica e laica e di un uso molto diverso della televisione, che deve
smettere di essere la musa che ci spinge a consumi inutili e che
promuove disvalori e modelli negativi. Deve invece diventare il
contrario: la paladina dei valori veri e dei modelli positivi. Serve
una grande rivoluzione culturale.
Una mia grande amica mi ha detto, tempo fa, che Napoli è
come un deserto in cui ci sono due tribù: una ha l’acqua e vuole
la pace, l’altra vuole l’acqua. Be’, io credo che tutto il mondo sia
un po’ come quelle due tribù.
Quelli con l’acqua siamo sicuramente noi, gli occidentali. Abbiamo tutto da perdere e solo la strada dell’equità, della giustizia
e della condivisione potrà garantirci un futuro in cui sia possibile
vivere senza scannarsi, l’uno contro l’altro.
141
meno pigrizia, più fantasia
di daniel winteler
Ho aderito all’iniziativa di Oscar Farinetti e Giovanni Soldini –
che desidero ringraziare per la splendida esperienza vissuta – per
due ragioni principali. Da un lato c’è la sfida affascinante con il
mare: il mare come “mezzo” di conoscenza del mondo, non solo
paesaggio, ma – come lo celebrava Baudelaire – come specchio
dell’anima, riflesso dei turbamenti e dei conflitti dell’individuo e
quindi luogo di ricerca dell’altro e dell’altrove. Inoltre, mi è sembrato un passo in termini di impegno civile, per dar voce ad un
malessere diffuso, che troppo spesso ritrovo anche nel mio lavoro,
quando mi scontro con le sovrastrutture e le lentezze dell’apparato burocratico che governa il Paese, da cui si staglia l’immagine di
uno scenario asfittico, immobile.
Questo quadro impone un cambiamento, ma soprattutto si avverte la necessità di fare qualcosa per riportare l’eccellenza italiana al centro delle scene internazionali, per far emergere la creatività, la bellezza e l’ingegno che ci contraddistinguono e che,
paradossalmente, il mondo ancora ci riconosce perché la nostra
identità è comunque migliore della nostra immagine. Il turismo,
come condiviso in viaggio, è certamente uno dei settori da cui si
può partire per il rilancio del Paese, non solo perché è una risorsa
“a portata di mano” (e questo spesso ha significato più un limite
che un’opportunità, perché non ha spronato all’azione, al fare),
ma soprattutto perché è una straordinaria risorsa occupazionale;
quindi consente di costruire, guarda al futuro.
Affinché queste potenzialità si facciano realtà occorre però partire da una completa riforma della governance, che significa meno
burocrazia ma più responsabilità, meno sprechi, ma più semplificazione. Vuol dire rendere l’Italia un Paese che attrae investimenti, in cui le imprese, italiane e internazionali, scommettono perché
trovano buone condizioni, economiche, sociali e professionali.
Il turismo è una materia complessa, di difficile gestione, per la
molteplicità dei soggetti coinvolti nelle azioni: è un settore, per
sua stessa natura, interdisciplinare; quindi dovrebbe interagire
143
la parola ai naviganti
con tutte le politiche del Paese, dai trasporti alle infrastrutture,
dall’istruzione ai beni culturali. Il turismo è input e output di tutto
il sistema, per questo dovrebbe integrarsi con le altre politiche
italiane, sviluppando una prospettiva coerente ed coordinata.
Troppo spesso si pensa al turismo solo in un’ottica di prodotti
(il volo, il pernottamento in albergo ecc.) dimenticando che il turismo vuol dire principalmente servizio, dialogo, incontro tra le
persone ed è per questo fondamentale formare dei professionisti
capaci di sviluppare la cultura dell’accoglienza, in grado di riconoscere le esigenze di chi viaggia e fornire le risposte adeguate,
andando incontro alle aspettative e ai desideri di un viaggiatore.
Perché il viaggio – che sia un weekend o il giro del mondo – è
fondamentalmente sogno, ricerca, conoscenza ed è in questa direzione che bisogna ragionare quando si parla di offerta turistica.
La parola chiave è esperienza, si parla addirittura di “economia
dell’esperienza”, perché ciò che ciascun individuo sceglie è proprio l’idea di vivere un’esperienza, unica, irripetibile, emotivamente appagante. Abbiamo dibattuto a lungo con i miei compagni di
viaggio su quanto una certa tipologia di vacanza rischi di essere un
prodotto di massa, che toglie spazio alla fantasia. Credo sia vero
solo in parte, nel senso che occorre anche mettere in evidenza
qual è stata la conseguenza più evidente della standardizzazione
di certi servizi, di aver cioè consentito a fasce sempre più ampie
di individui, anche a chi ha budget contenuti, di confrontarsi con
il mondo; quindi, hanno attivato un certo processo di democratizzazione dell’esperienza di viaggio.
La pratica del viaggiare dovrebbe quasi essere un diritto/dovere di tutti, perché è una straordinaria occasione di arricchimento personale e culturale, di abbattimento dei pregiudizi, perché il
viaggio – parafrasando Alain De Botton – è come una “levatrice
del pensiero”. Con la stessa logica si deve sradicare anche un altro
luogo comune, che difficilmente si torna nello stesso posto perché lo si conosce già: ebbene, il vero salto di qualità lo si fa proprio puntando sulle esperienze differenti che ogni destinazione
può realizzare. Forse 20 anni fa si visitavano Roma e Parigi per il
loro patrimonio artistico e culturale; magari oggi, conoscendo già
ciò che di “classico” offrono, le si continua a scegliere attratti da
qualcosa di assolutamente soggettivo: una mostra d’arte, un torneo di tennis, un presidio enogastronomico, un concerto. Motiva144
7 mosse
l’italia
zioni che difficilmente un viaggiatore avrebbe citato anni fa, ma
che oggi sono assolutamente valide e attuali. La vera riflessione
oggi, parlando di viaggi, non è tanto il dove ma il perché, come la
stessa teoria di Marc Augè sui “non luoghi” ci insegna: “Il futuro
del turismo è dove la gente possa riconoscersi”.
145
7 mosse
l’italia
riassumendo
riassumendo
meno critica, più autocritica (prologo)
Siamo in declino, non v’è dubbio. Non è il caso di essere terrorizzati, ma preoccupati sì.
Se devo cercare di capire come sia potuto accadere, mi viene in
mente innanzitutto una cosa che ci insegna la Storia: si va in declino quando le posizioni chiave di governo e di amministrazione
delle comunità vengono assunte prevalentemente da persone mediocri, mentre si cresce quando a dirigere vanno prevalentemente
i galantuomini. Per mediocri intendo quelli che, di fronte a una
decisione importante, si pongono innanzitutto la domanda: «Che
figura farò io?». Il galantuomo ovviamente fa il contrario, pensa
subito al bene pubblico.
Basta questo a spiegare tutto? No, c’è dell’altro. E lo descriverei così: i primi colpevoli siamo noi, la gente d’Italia. Sembriamo
intontiti. Non ci sono più reazioni, emozioni. Critichiamo, protestiamo, questo sì. Ma non proponiamo, non approfondiamo. Ce
lo meritiamo, questo declino, se non ci diamo una mossa.
Sette, ho pensato. 7 mosse per sbloccare l’Italia. E ne è nata questa avventura: l’idea di dedicare un piccolo pezzo della mia vita a
pensare delle soluzioni, più possibile veloci ed efficaci, ai problemi
principali del nostro Paese. In fondo è un gesto egoista, la voglia
che ho di godermela ancora un po’ e di vedere se faccio in tempo
a vivere la rinascita del mio Paese. Prendetela così: un cittadino italiano che non fa né farà la politica (un mercante) accompagnato e
guidato da un navigatore con cui condivide lo stile della leggerezza
costruttiva, rifocillato nella pancia e nella mente da un manipolo di
amici, donne e uomini che nella vita hanno dimostrato di finire ciò
che incominciano, vi offre la propria soluzione.
Una soluzione, non polemiche: rimedi e non solo critiche. Un
gesto che non ha niente a che vedere con la destra o la sinistra, ma
che nasce semplicemente da ciò che ho imparato osservando il
nostro Paese, con attenzione e passione; un gesto che mi sembra
149
riassumendo
egoista e altruista nello stesso tempo, dettato com’è dal desiderio
di vivere (io, noi, tutti) in un Paese migliore.
Ho già in mente le obiezioni, tutte (o quasi) legittime. Lo so, le 7
mosse potrebbero essere più esaustive, più dettagliate, più equilibrate. D’accordo, sono d’accordo con voi. L’unica obiezione che
proprio non condivido è quella che dice: «Impossibile, troppo
complicato, utopistico». A forza di dire che tutto e complesso,
difficile e che occorre tanto tempo, il nostro Paese si è ridotto nello stato che sappiamo. E poi molto spesso la visione del difficile,
del “serve più tempo”, nasconde la mancanza di voglia di lavorare
o la strategia di mantenere il potere senza sbattersi per risolvere,
arti che purtroppo si sono diffuse invece con grande rapidità e
semplicità in Italia. Utopia? Ma non è vero! Smettiamola con questa storia dell’utopia. Senza sogni non si va da nessuna parte!
MENO POLITICI, PIù POLITICA
Non combiniamo niente se non riduciamo e cambiamo una parte
della classe politica. Troppe persone fanno politica e vivono di
essa in Italia. Intendiamo per classe politica non solo gli eletti, ma
tutti coloro che di mestiere assumono decisioni pubbliche, anche
se non vengono retribuite direttamente dallo Stato. Sono troppi,
godono di retribuzioni a volte troppo elevate, e detengono troppi privilegi. Questo sistema fa sì che molti, troppi opportunisti
si mettano in politica. Persone mediocri, impreparate, egoiste,
anche spregiudicate. Bisogna tornare invece a un’idea di politica
come servizio, come impegno civile: cittadini capaci che offrono
al proprio Paese, per un tempo definito e senza interessi privati,
il proprio tempo, la propria competenza e la propria buona volontà. Che fare:
1. tutto a metà. Numero dei politici, stipendi, privilegi. Tutto
ridotto a metà;
2. immunità parlamentare, pensioni di parlamentari e consiglieri regionali, province, comunità montane, circoscrizioni, camere
di commercio: tutto messo in discussione, e, nel caso, abolito o
ridimenzionato;
3. ridurre a metà anche le rappresentanze sindacali;
4. trovare un sistema elettorale che consenta ai cittadini di sce150
7 mosse
l’italia
gliere direttamente i propri rappresentanti;
5. favorire il ricambio con una legge che fissi a 15 anni il tetto
massimo della durata dell’impegno politico.
MENO SPRECHI, PIù RESPONSABILITà
Lo Stato italiano ha entrate per circa 700 miliardi e uscite per 780.
Quindi occorre fare come farebbe una famiglia, incassare di più o
spendere meno, o meglio ancora fare entrambe le cose. Incominciamo dalle entrate, cioè dalle tasse.
In Italia si evade molto per 3 motivi. Primo, chi evade è considerato un furbetto anzichè un furfante. Secondo, le aliquote
sono elevate e sperequate. Terzo, non esiste una politica che
favorisca chi investe. Bisogna lavorare su questi 3 fattori demotivanti. Che fare:
1. i punti 2 e 3 si risolvono con opportune correzioni tecniche
che si possono rendere operative in tempi brevi. Si otterrebbe
un risultato importantissimo: sfumare l’immagine del fisco come
nemico ingiusto, e ricollocarla dove deve stare, uno strumento
della convivenza civile, equilibrato e amico. Questo aiuterebbe
ad affrontare il primo punto, quello davvero difficile, cambiare la
testa agli italiani. Una rivoluzione culturale che implica un tempo
lungo. Ma se non si inizia, non si finirà mai. Quindi è l’ora di
iniziare. Per quanto possa sembrare ridicolo bisogna insegnare
a scuola il valore della correttezza nei confronti dello Stato, e la
fierezza dell’onestà di fronte al fisco. Per quanto possa sembrare
grottesco, bisogna riraccontare, con tutti i mezzi, la semplice verità che chi evade è un delinquente. E per quanto possa sembrare
impopolare, bisogna punire chi delinque e farlo in modo veloce,
trasparente e memorabile. Se state pensando alle manette state
sottovalutando la vostra fantasia.
Poi si tratta di spendere meno. La riforma della politica proposta nell prima mossa già porterebbe a casa un significativo risparmio. Ma non basta;
2. eliminazione drastica di tutti gli enti inutili e ridimensionamento delle spese di quelli utili;
3. abbiamo circa 4 milioni di dipendenti statali. In alcuni settori
è possibile effettuare tagli consistenti;
151
riassumendo
4. mettiamo un tetto massimo alle pensioni. La pensione deve
assicurare la dignità di vita, non la continuazione all’arricchimento. Questa mossa farà risparmiare un sacco di soldi da spalmare sulle pensioni minime. Occorre ripensare il meccanismo dei
versamenti previdenziali, su retribuzioni elevate, di cui una parte
importante dovrà essere destinata allo Stato sociale.
MENO BOMBE, PIù DIPLOMAZIA
Sempre a proposito di sprechi. Abbiamo un esercito dispendioso,
continuiamo ad acquistare armi, navi, elicotteri e aerei per miliardi
di euro e siamo impegnati in diverse missioni militari molto costose
non solo in termini monetari ma anche, e molto più tristemente, in
termini di vite umane. Siamo in Europa, ma non abbiamo ancora
instaurato sinergie in campo militare. Poiché ormai è provato che
nessuna guerra è giusta e che con le guerre non si esporta la democrazia, dovremmo pensare a come smettere di farle, le guerre. Anche alla luce del fatto che le guerre moderne uccidono soprattutto
i civili. Dunque, meno esercito e più diplomazia. Che fare:
1. riduzione delle spese militari del 60% con la sostanziale rinuncia a tutte le attività militari se non la difesa del nostro territorio e l’ordine interno;
2. affidiamo eventuali interventi militari esterni ad un esercito
europeo (da crearsi);
3. riforma della diplomazia con potenziamento delle attività diplomatiche delle nostre ambasciate verso i seguenti obiettivi: la
pace nel mondo, le attività umanitarie e l’esaltazione della qualità
dei nostri beni e servizi esportabili o godibili per chi ci visita.
MENO INVOCAZIONI, PIù VOCAZIONI
Con le prime 3 mosse abbiamo messo da parte un bel po’ di quattrini e creato un bel po’ di nuovi disoccupati. Ora dobbiamo pensare dove investire per creare posti di lavoro e favorire i consumi.
La mossa da fare è concentrarsi sulle nostre vocazioni. Facciamo
quello che sappiamo fare e facciamolo bene.
Sono sei gli ambiti in cui in Italia possiamo fare e spesso fac152
7 mosse
l’italia
ciamo meglio degli altri: turismo, agroalimentare, cultura e beni
cuturali, design e moda, industria manifatturiera di precisione,
logistica. è su questi settori che dobbiamo investire soldi, competenza e lavoro. Che fare: affidare ciascuno dei sei settori a una
persona di grande competenza che abbia dimostrato di saperci
fare, di accettare e vincere le sfide. Queste persone si possono
trovate facilmente nel settore privato, ne abbiamo in abbondanza,
anche giovani. Ciascuno di loro, dopo un mese di analisi, sarà in
grado di definire un programma preciso con le mosse e i tempi
per raggiungere l’obiettivo sul quale sarà misurato. Queste persone non devono occuparsi di politica partitica. Molte mosse sono
già prefigurabili adesso:
1. un unico piano globale, che fissi obbiettivi strategici comuni,
dando gli strumenti legislativi e finanziari per raggiungerli. Un
unico portale Italia Wellcoming che armonizzi l’offerta globale. Una
strategia di comunicazione che promuova con grande efficacia ed
energia, nel mondo, l’immagine dell’Italia. Inserimento delle giovani leve, più motivate e vicine alla sensibilità contemporanea;
2. censire le eccellenze di ogni regione italiana. Per quanto riguarda l’agricoltura, eliminare l’assistenzialsimo e favorire nei
contadini un nuovo spirito di impresa. Creare un marchio 100%
italiano. Semplificare le leggi di controllo sull’agroalimentare. Inserire l’educazione alimentare come materia primaria nelle scuole
elemantari e medie;
3. nvestire nella scuola; deve diventare una delle nostre eccellenze, specializzandosi sulle nostre vocazioni. Investire nella cultura
e nella creatività italiana. Basta contributi, basta assistenzialismo
demagogico e di scambio. Bisogna restituire spirito di impresa e
dignità alla cultura e all’arte italiana. Occorre coinvolgere i capitali
privati i quali, oltreché per spirito sociale disinteressato, devono
anche essere favoriti con una speciale detassazione dei contributi
verso la cultura e le attività di servizio pubblico;
4. per la sua particolare posizione al centro del Mediterraneo,
l’Italia può essere favorita nel traffico delle merci da tutto il mondo verso l’Europa e dall’Europa verso il mondo. Partendo da ciò
che già esiste occorre creare 4 grandi porti altamente specializzati e di una efficienza senza pari. Inoltre sarà necessario creare,
partendo da ciò che già esiste, una rete ferroviaria espressamente
dedicata che trasferisca rapidamente e a costi concorrenziali que153
riassumendo
ste merci nel cuore dell’Europa, da dove altre merci possano raggiungere l’Italia per essere imbarcate verso il mondo. Insomma,
varare un progetto “Italia porto d’Europa” e convogliare su di
esso il grosso dei nostri investimenti relativi alle infrastrutture.
MENO LITI, PIù ACCOGLIENZA
Dove si parla di giustizia e di immigrazione.
Iniziamo dalla giustizia. I cittadini hanno bisogno di una giustizia razionale, rapida, prevedibile, omogenea sul territorio. Oggi
non è così. La crisi del sistema-giustizia è, secondo tutti gli osservatori specializzati (anche internazionali), una crisi di tempi assai
più che di qualità e di contenuti. Il dibattito politico si appunta
sulla asserita necessità di un riequilibrio tra politica e giustizia.
Non è questo di cui hanno bisogno i cittadini che entrano ogni
giorno nei tribunali o che non ci vanno perché sfiduciati. Occorre cambiare radicalmente registro e lanciare la sfida di un anno
della giustizia, finalizzato a darle effettività. In un anno non si
“riscrivono i codici” e neppure le molte leggi organiche che pure
lo richiederebbero. Ma in un mese si può stendere il progetto
e poi un anno è sufficiente per avviare un percorso virtuoso di
cambiamento per raggiungere alcuni significativi risultati. Sempre
che vi siano volontà politica e un progetto di interventi legislativi
e amministrativi. Che fare:
1. riduzione di due terzi dei tribunali e delle procure con costituzione di nuovi uffici dotati di organici non inferiori, rispettivamente, a 20 giudici e 8 sostituti;
2. taglio delle spese inutili e recupero delle risorse disponibili;
3. copertura degli organici dei magistrati e del personale amministrativo (attualmente manca il 10% dei magistrati necessari e la
situazione è anche più critica nel settore amministrativo)
4. definizione di standard organizzativi razionali (un esempio su
tutti: è necessario un uso generalizzato e appropriato delle tecnologie informatiche);
5. affiancamento al giudice di un ufficio per il processo (un aiuto per
tutte quelle attività materiali che non rientrano nelle sue funzioni
giusridizionali in senso proprio);
6. riduzione dell’area dell’intervento penale;
154
7 mosse
l’italia
7. previsione di soluzioni alternative al contenzioso civile;
8. l’attesa di anni per la definizione di controversie in cui è in
gioco la tutela o il ripristino del posto di lavoro è uno degli scandali del sistema. Occorre sveltire i tempi con una regolamentazione ad hoc per le procedure che riguardano la giustiza del lavoro;
9. il 25% delle condanne di primo grado vengono impugnate.
Occorre trovare un sistema che snellisca, senza svuotarlo, il giudizio di secondo grado;
10. introduzione del processo civile telematico.
Secondo punto, l’immigrazione. Sul problema dell’immigrazione è difficile avere una posizione secca. è uno di quei temi dove il
dubbio è più sano delle certezze. L’unica cosa certa è che arriverà
un sacco di gente e dovremo accoglierla. Nessuna politica protezionistica potrà fermare l’impulso irrefrenabile a cercare speranze
di vita migliore e d’altra parte bisogna comprendere che il lavoro
degli immigrati giocherà un ruolo fondamentale nella crescita e
nel benessere del nostro Paese. Forse conviene incominciare a
parlare di interazione anziché integrazione. La sana convivenza
implica altruismo e reciproca comprensione volta al reciproco
miglioramento (stare su questa barca in oceano con gente diversa
e non ben conosciuta insegna). Che fare:
1. solidarietà, sempre e comunque. Dunque tutta l’accoglienza
possibile per chi scappa dalla miseria, dalla guerra, dalla violenza;
2. creiamo una Scuola di Accoglienza obbligatoria per chi chiede
permessi di soggiorno in Italia. Lo scopo è quello di insegnare a
rispettare le nostre leggi. Accogliamo, sempre, ma anche chiediamo di conoscere e accettare le regole del nostro Paese;
3. impariamo a conoscerli. A scuola, da subito. Sapere chi sono
e da dove vengono ci aiuterà a non temerli;
4. diciamo loro chi siamo veramente. Il modello di vita che
trasmettiamo attraverso i nostri canali televisivi è dorato, spesso finto e fortemente attrattivo per chi ha difficoltà addirittura a
guadagnarsi da mangiare. Cerchiamo di comunicare un quadro
della situazione più realistico, per non promettere paradisi che
non potremo mantenere;
5. serve un piano europeo. Prendiamo noi l’iniziativa e portiamo l’Europa a maturare una strategia coerente e condivisa.
155
riassumendo
MENO IO, PIù NOI
Qui si parla di energia. A partire da una convinzione: una politica energetica virtuosa deve portare ogni cittadino a diventare
responsabile e competente. Basta energia passiva che non sai da
dove arriva nè quanto costa (sia in termini monetari sia di inquinamento e pericolosità). Il futuro prossimo, molto prossimo, sta
nella creazione di energia da fonti naturali, sia attraverso centrali
comuni, sia – e soprattutto – attraverso impianti individuali, di cui
la famiglia e l’azienda, divenuti produttori/utilizzatori di energia,
conoscano il funzionamento, le potenzialità, le possibilità di migliorie. Siamo inoltre nettamente contrari all’energia nucleare. Potremmo qui elencare una lunga serie di motivazioni tecniche e di
opportunità Ci limitiamo ad affermare che è arrivato il momento
di smetterla di dedicare tempo e risorse a progetti che, come tutti
ben sappiamo, non si potranno mai realizzare. Il sole, il vento e
l’acqua possono fornirci via via l’energia necessaria a sostituire
quella proveniente da fonti fossili di cui non conosciamo bene le
disponibilità residue, mentre tristemente conosciamo le caratteristiche di inquinamento e pericolosità. Che fare:
1. l’Italia è, tra i Paesi europei, una di quelle ad avere le abitazioni più colabrodo dal punto di vista energetico. Abbiamo quindi
ampi margini di miglioramento. Occorre soltanto convincere gli
italiani a prendere sul serio la faccenda. Quindi sgravi fiscali, incentivi economici e campagne mediatiche per sensibilizzare l’opinione pubblica. Tutto ciò ha un prezzo? Usiamo i soldi che non
spenderemo per il nucleare;
2. puntare sull’eolico, oltre che sul fotovoltaico e sull’idrico, utilizzando al massimo i nostri architetti paesaggisti e designer per
trovare nuove soluzioni estetiche a minor impatto;
3. abbiamo grandi menti in Italia, altre cerchiamole nel mondo,
mettiamole insieme e creiamo il più innovativo istituto di ricerca
sulle energie naturali rinnovabili del mondo;
4. sui trasporti occorre rafforzare pesantemente la ferrovie.
Portiamo le merci il più possibile con i treni, che possono essere alimentati con elettricità e creano economie di scala utili ad
abbattere i costi. Per i lunghi tragitti dal Nord verso il Sud Italia
debbono essere rafforzati i trasporti marittimi;
5. i rifiuti urbani restano una spina nel fianco per alcune regioni
156
7 mosse
l’italia
italiane. La strada intrapresa verso la raccolta differenziata e i termovalorizzatori è quella giusta. I nodi da affrontare sono quello della
sensibilizzazione dei singoli (scuola, scuola e poi ancora scuola), la
buona volontà, la competenza, la determinazione e il coraggio dei
politici, la fermezza nel contrastare la criminalità organizzata.
MENO LEGGI, PIù COSCIENZA
MENO CHIESA, PIù GESù
Siamo diventati un Paese complicato, lento, pieno zeppo di burocrazia. In ogni campo occorre realizzare un progetto di semplificazione delle leggi e una razionalizzazione degli istituti delegati a
controllarne l’attuazione.
Un Paese più agile, dove muoversi sia più facile, è quello che
vogliamo. Che fare: abbiamo bisogno di affidarci a degli sburocrati,
persone che se ne intendono, che conoscono bene il loro settore
e che in un mese di lavoro serrato possono compiere l’analisi necessaria e svolgere la costruzione progettuale. Sarà poi compito
dei politici scelti dal popolo riunire i diversi progetti in una riforma completa della burocrazia. Si potrebbe anche proporre che, in
certi settori, per ogni nuova norma se ne abroghino almeno due.
Infine, quello che vogliamo è un Pese più laico. L’Italia deve
poter operare in totale indipendenza, essere uno Stato laico e totalmente immune dalle visioni di tipo religioso. D’altra parte i
valori base della cristianità come la bontà, la generosità, il rispetto
del prossimo, il perdono, l’onestà, la fedeltà, debbono diventare
base anche della sana politica. Che fare:
1. abrogare il privilegio riservato alla Chiesa cattolica relativo
all’esenzione dall’ici e alle tasse sulla compravendita di immobili;
2. i finanziamenti e contributi a istituti cattolici per l’educazione
e la sanità debbono essere trattati con lo stesso criterio e richieste
di standard degli istituti privati di tipo laico;
3. l’ora di religione deve essere sostituita con Religioni, usi e costumi dei popoli;
4. per quanto riguarda l’8 per mille deve essere rispettata la volontà del contribuente. Alle Chiese devono essere versati solo ed esclusivamente gli ammontari delle dichiarazioni con la volontà espressa.
In assenza di ciò i quattrini restano entrate pure dello Stato.
157
riassumendo
MENO MASCHILE, PIù FEMMINILE (epilogo)
Insomma, ciò che serve è: velocità, incominciare e finire bene le
cose nel minor tempo possibile; scuola, è centrale per ognuno dei
cambiamenti che proponiamo; moderazione, abbinata alla determinazione ci porterà lontano; dubbi, il sano dubbio che fa ascoltare e
migliorare; impegno, è un senso che le donne hanno più sviluppato
dei maschi; utopie, deriva da “eu-topos” e vuol dire luogo bellisimo. Fidatevi. Infine leggerezza: quella musica interiore che ci aiuta
a stare meglio in compagnia.
Oscar Farinetti
158
ringraziamenti
Questo viaggio non sarebbe stato possibile – e non sarebbe stato
ciò che è stato – senza l’impegno e l’aiuto di molte persone.
Il primo grazie va ai nostri main sponsor, com’è consuetudine
chiamarli, ma che per noi sono anche e soprattutto amici: Fontanafredda, Mirafiore, Borgogno e Consorzio Tutela Grana Padano. Grazie anche ai marchi Kappa, Robe di Kappa e K-Way,
che ci hanno vestiti nel migliore dei modi, e a Lumberjack, che
ci ha calzati. Senza Canon, infine, non ci sarebbero stati filmati e
fotografie: cioè memoria.
Grazie ai nostri media partner, Ansa e Sgs Tracking, che hanno
permesso di tenere tutti costantemente aggiornati su dove eravamo e su che cosa stavamo facendo. E grazie alla Mortara Rangoni
Europe: fortunatamente il defibrillatore che ci avevano offerto in
dotazione non è servito.
Grazie a Luca Ghielmetti per averci regalato la bellissima canzone Antes que muda el mar, colonna sonora della nostra traversata;
a Francesco Rubino, autore di tutte le illustrazioni contenute in
questo volume, copertina compresa; ai fotografi Isabella Balena,
autrice dell’immagine della barca di 7 mosse, e Giovanni Gastel,
autore della foto di Matteo Marzotto.
Un grazie speciale alle migliaia di italiani (96.428 utenti unici)
che ci hanno seguiti attraverso il sito www.7mosse.it, spronandoci, sostenendoci e ispirandoci: senza di loro questo progetto non
avrebbe avuto senso. Ma il grazie più grande va a tutti coloro che
hanno lavorato dietro le quinte e ai quali, troppo spesso, dimentichiamo di dire: grazie.
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7 MOSSE
L’ITALIA…
un navigatore e un mercante, aiutati da 5 velisti,
accompagnati da 3 grandi chef e da 15 compagni
di viaggio
–
gente di pensiero e di azione che si è
alternata di tappa in tappa
–
si sono confrontati
sulle 7 mosse da attuare subito per migliorare
il nostro paese. nessuna di queste persone fa
politica attiva, né desidera farla. nessuno di loro è
pregiudizialmente di destra o di sinistra, lontani anni
luce da beghe partitiche: mai
“contro”,
sempre
“per”.
… ALLA RICERCA DEL MARINO
è il vento che arriva dal mare. i cibi di grande qualità
e tradizione nascono dall’incontro tra venti.
l’italia è particolarmente fortunata in questo senso,
essendo una penisola stretta e lunga al centro del
mediterraneo. qui il vento marino che nasce negli
oceani, filtrato da gibilterra e da suez, diventa brezza
e si posa sulle nostre specialità, incontrando l’aria
fresca delle colline e delle montagne. in questo
modo le rende uniche.
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