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le comunita` familiari ed educative fondamenti pedagogici e
UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI MACERATA
DOTTORATO DI RICERCA – XXIV CICLO - THEORY AND HISTORY OF EDUCATION
SETTORE SCIENTIFICO DISCIPLINARE MPED/03
Triennio 2009/2011
LE COMUNITA’ FAMILIARI ED EDUCATIVE
FONDAMENTI PEDAGOGICI E MODELLI APPLICATI
Relatore : Prof. Piero Crispiani
Dottoranda: Dott.ssa Angela Fiorillo
SOMMARIO
INTRODUZIONE
PARTE PRIMA: IL CONTESTO DELLA RICERCA
Le ipotesi e gli scenari di ricerca.
Dalla metodologia agli strumenti operativi di indagine.
I dati raccolti nel campione delle comunità e il report conclusivo.
PARTE SECONDA: FONDAMENTI PEDAGOGICI, PRATICHE EDUCATIVE E
MODELLI APPLICATI NELLE COMUNITA’
Dall’istituto dell’affido alla comunità.
Il quadro delle comunità familiari ed educative del territorio della provincia di Macerata.
Le interviste ai responsabili delle comunità.
Il focus group con gli attori coinvolti.
I paradigmi pedagogici emersi.
Analisi di alcuni strumenti di valutazione pedagogica.
PARTE TERZA: LA QUALITA’ DEL SERVIZIO NELLE COMUNITA’
La mappatura dei fattori di qualità del servizio.
La rilevazione della soddisfazione degli utenti.
La carta dei valori della comunità.
Riflessioni conclusive e presentazione di un progetto.
ALLEGATI
GLOSSARIO
BIBLIOGRAFIA
2
INTRODUZIONE
Il contributo di ricerca qui depositato si identifica in una analisi delle comunità alla luce dei
principi pedagogici educativi, sul versante della epistemologia delle professioni e su quello
socio-educativo della rete dei servizi educativi alla persona in un sistema di welfare
nell’ambito del sostegno, prevenzione, sussidiarietà, sostegno delle responsabilità familiari.1
L’affidamento del minore alle comunità va letto in chiave sistemica tra famiglia naturale,
istituzioni, società, in cui l’affido è inteso come una modalità di sostegno sociale ed
educativo in una comunità che si pone come strumento per realizzare una forma di rete
sociale.
La prima parte del lavoro è dedicata all’inquadramento del contesto della ricerca prendendo
le mosse dalle ipotesi di partenza sulla attribuzione alle comunità di una connotazione di
spazio educativo per poi definire e disegnare gli scenari indagati e i soggetti coinvolti.
Si è definito, infatti, un campione di comunità educative e familiari del territorio più
prossimo, esemplificativo della realtà esistente intorno al versante delle comunità.
Nella seconda parte è stata posta l’enfasi sulla dimensione educativa, rintracciando, con
l’uso di vari strumenti di indagine, quegli elementi fondamentali che fanno sì che la
comunità realizzino un servizio per i minori, per le famiglie e per tutti i protagonisti delle
relazioni educative.
L’interesse è stato poi orientato ai modelli e alle pratiche educative sviluppate nelle
comunità attraverso azioni e interventi calibrati sulle esigenze dei minori e dei soggetti
coinvolti nei processi.
1
art. 16 L. 328/2000, punto f: servizi per l’affido familiare , per sostenere, con qualificati interventi percorsi formativi,
i compiti educativi delle famiglie interessate. L. 285/1997 Disposizioni per la promozione di diritti e di opportunità per
l’infanzia e l’adolescenza. Art. 3 punto a: Realizzazione di servizi di preparazione e di sostegno alla relazione
genitori/figli (…) , nonché di misure alternative al ricovero in istituti educativo-assistenziali (…); art. 4: affidamenti
familiari diurni e residenziali).
3
Nell’ultima parte si è dato spazio alla costruzione di un sistema di qualità del servizio
comunitario che, nell’ambito della valutazione servizi alla persona e della diagnostica
valutativa, analizza i fattori emersi dalle indagini, dalla somministrazione di questionari e da
altri strumenti di rilevazione, che incidono maggiormente e che caratterizzano le comunità
stesse.
Il lavoro si conclude con la costruzione di una carta dei valori della comunità che enuclea e
sintetizza le riflessioni e le concettualità emerse, al fine di ipotizzare un possibile sviluppo
della ricerca, orientato alla modellizzazione, al profilo di una comunità tipo, con l’auspicio di
una possibile implementazione delle buone pratiche emerse e dei modelli delineati.
Le comunità familiari ed educative si pongono come possibili spazi alternativi alla famiglia
naturale nei casi in cui questa attraversa situazioni temporanee di disagio o problematiche
che rendono difficoltoso garantire le corrette relazioni educative. Le comunità ripercorrono
il “modello familiare” e perseguono le finalità che lo caratterizzano.
Esse assolvono i compiti della famiglia transitoriamente, si sostituiscono, accompagnano il
bambino/ragazzo ripercorrendo il modello familiare e le finalità educative che lo
caratterizzano. Fermo restando che non possibile parlare di famiglia ma di modelli plurali di
famiglie, di costellazione familiare, l’assunto di fondo è che ciascun modello incarna i
paradigmi educativi. Quando subentrano situazioni temporanee di disagio, di impossibilità di
garantire la funzione educativa e la corretta relazione educativa, la comunità si pone come
possibile spazio alternativo e integrativo. E’ necessario evidenziare come oggi non sia
sufficiente parlare soltanto di famiglia, ma sia opportuno fare riferimento a modelli plurali di
famiglie e a costellazioni familiari.
L’assunto di fondo è che ciascun modello di compagine familiare incarna i paradigmi
educativi familiari2.
La ricerca propone una riflessione sulle comunità familiari ed educative attraverso una
analisi teorica e pratica della complessità dell’istituto della famiglia e della pluralità di azioni
ed interventi educativi nelle comunità.
2
Corsi M., Stramaglia M., Dentro la famiglia Pedagogia delle relazioni educative familiari, Armando, Roma
2009.
4
La cornice teorica è rintracciabile nelle dimensioni educative della famiglia e delle comunità,
per approdare successivamente alla comparazione con il paradigma della genitorialità
diffusa, implementato nell’istituto dell’affido e nelle pratiche delle comunità.
Esso è regolato dalla legge n. 184/83, “Disciplina dell’adozione e dell’affidamento dei
minori”, modificata con la legge n. 149/2001, “Diritto del minore ad una famiglia”, che
prevede il diritto del minore a crescere ed essere educato nell’ambito della propria famiglia.
L’affido è attuato quando le difficoltà dei genitori sono provvisorie e recuperabili. La famiglia
affidataria non si sostituisce alla famiglia di origine ma la affianca, supplendo alle sue
funzioni per il tempo necessario a superare le problematiche della famiglia naturale.
E’ considerato un intervento“a termine” di aiuto e sostegno che si attua per sopperire al
disagio e/o alla difficoltà di un bambino e della sua famiglia che, temporaneamente, non è in
grado di occuparsi delle sue necessità affettive, accuditive, educative.
Si ringraziano tutti coloro che hanno apportato un contributo alla realizzazione di questa
ricerca.
5
PARTE PRIMA
IL CONTESTO DELLA RICERCA
6
a. Le ipotesi e gli scenari di ricerca
La ricerca è stata volta a indagare le specificità dei modelli delle comunità familiari e di
quelle educative, per rintracciarne gli elementi distintivi. E’ proseguita con il confronto tra i
modelli delle comunità e quelli familiari per tentare di dare risposta ai seguenti interrogativi:
-
Le comunità costituiscono un contenitore protettivo garante, temporaneamente, dei
paradigmi educativi familiari?
-
Si pongono come valida e significativa alternativa delle relazioni familiari?
-
Realizzano una dimensione di genitorialità diffusa?
L’ipotesi da cui ha origine la ricerca muove, quindi, dalle seguenti affermazioni:
l’affido dei minori nelle comunità familiari ed educative e i relativi servizi da esse offerti,
-
sono calibrati e adeguati alle esigenze e ai bisogni educativi del minore accolto;
il periodo di vita trascorso in comunità assume le caratteristiche di una forma di
-
genitorialità diffusa, con interventi a supporto e a compensazione temporanea della
famiglia naturale;
le comunità promuovono interventi sia nell’esercizio della valutazione educativa che
-
nella realizzazione di interventi educativi3.
Descrivendo il fenomeno e indagando i modelli delle comunità familiari e quelle educative
ci si è interrogati su come e in quale misura esse costituiscono un contenitore protettivo
garante temporaneamente dei paradigmi educativi, ricostruttivo delle relazioni e della
significatività delle esperienze familiari, delle figure parentali, assimilabile a una dimensione
di genitorialità diffusa.
Fa da sfondo l’istituto dell’affido familiare che si declina in affido in famiglia e affido in
comunità
3
Viganò R., Ricerca educativa e pedagogia della famiglia, La Scuola, Brescia 1997.
7
In una prima fase propedeutica all’avvio della ricerca, sono stati tracciati schematicamente
alcune concettualità fondamentali qui di seguito elencate:
Analisi dei presupposti teorici della pedagogia della famiglia, della pedagogia speciale,
-
della famiglia e alla diagnostica pedagogica4.
-
Rilevazione deduttiva dei paradigmi familiari.
-
Comparazione modello comunità educativa/comunità familiare.
-
Comparazione modello famiglia e modello comunità5.
-
Dalla famiglia alla genitorialità diffusa6.
-
Rilevazione degli elementi educativi attraverso una indagine empirica.
-
Analisi delle pratiche educative.
-
Riflessione sulla qualità del servizio7.
4
Crispiani P., Pedagogia clinica, Junior, Azzano San Paolo, 2001.
5
Pati L., (a cura di), Famiglie affidatarie – risorsa educativa della comunità, La Scuola, Brescia 2008.
Ricci S., Spataro C., Una famiglia anche per me: dimensioni e percorsi educativi nelle comunità familiari per
minori, Erickson, Trento 2006.
6
Simeone D., Educare in famiglia. Indicazioni pedagogiche per lo sviluppo dell’empowerment familiare, La
Scuola, Brescia 2008.
7
Crispiani P., Giaconi C., Diogene 2008 – Manuale di diagnostica pedagogica, Junior, Bergamo 2008.
Crispiani P. – Giaconi C., La qualità dell’integrazione scolastica, Erickson, 2009.
8
Sul versante della metodologia si è tentato di coniugare l’elaborazione teorica con la ricerca
empirica sul campo pur con una esigenza di rigore interpretativo8.
Si è intrapresa una impostazione puntuale e rigorosa delle fasi in cui si articola la ricerca. Ciò
anche al fine di permettere un proficuo e sistematico monitoraggio dell’andamento del
lavoro.
Si è dato avvio al reperimento delle fonti e della documentazione necessaria, adottando gli
opportuni criteri per la loro selezione e scelta.
Si elencano le attività effettuate:
-
individuazione dell’ipotesi della ricerca;
-
inquadramento dell’istituto dell’affido e delle tipologie di comunità;
-
intercettazione delle origini storiche dell’istituto dell’affido e delle trasformazioni
subite nel tempo anche in riferimento al processo di assunzione di identità
personale dell’infanzia;
-
individuazione dei paradigmi pedagogici rintracciabili nell’esercizio dell’affido in
comunità;
-
mappatura della legislazione sull’affido e sull’inquadramento normativo delle
comunità;
-
analisi degli indicatori e dei paradigmi pedagogici rintracciati nelle comunità;
-
mappatura delle comunità familiari ed educative costituenti il campione
oggetto di studio;
8
-
costruzione di un sistema di qualità;
-
mappatura di una bibliografia ragionata.
Cadei L., Pedagogia della famiglia e modelli di ricerca, Eum x formazione, Macerata 2008.
Corsi M., Relazione seminario Metodologia della ricerca nelle scienze della formazione, Scienze della
formazione – Macerata, Ottobre 2009.
9
La ricerca sulle comunità ha assecondato due criteri: quello descrittivo, per descrivere e
raccogliere i dati e gli elementi su:
-
tipologia di struttura;
-
destinatari dell’accoglienza;
-
servizio di accoglienza e tempi;
-
risorse attivate;
-
stili educativi;
-
relazioni con i servizi sociali, con le agenzie scolastiche, con il territorio, con la famiglia.
E quello analitico, per analizzare gli indicatori delle azioni e delle pratiche relative a:
-
progetti e azioni promosse in risposta ai bisogni del minore;
-
punti di forza;
-
elementi di criticità.
A garanzia di un maggiore rigore nello sviluppo della ricerca e nella sistematizzazione
concettuale, sono stati tracciati alcuni scenari o piste di lavoro che hanno guidato il percorso
della ricerca.
SCENARIO PEDAGOGICO
In primo luogo, poiché le comunità ripercorrono in parte il “modello familiare” e
perseguono le finalità che lo caratterizzano. E' stato ricostruito lo scenario pedagogico
attingendo alla letteratura sull’istituto della comunità, comparandolo con quello della
famiglia in merito a ruoli, funzioni, organizzazione, finalità.
Si è dato avvio una riflessione sulle comunità familiari ed educative attraverso una analisi
della complessità dell’istituto della famiglia e della pluralità di azioni ed interventi educativi
nelle comunità.
10
Ricercando nella letteratura pedagogica si rintracciano sia le dimensioni dell’educazione in
generale che il quadro dell’educazione in famiglia e nelle comunità. In particolare gli studi e
le ricerche del prof. Corsi, di Pati, Galli vanno in tale direzione9.
Lo scenario pedagogico dell’istituto della famiglia e di quello della comunità ha posto in
evidenza:
-
gli elementi costitutivi della famiglia,
-
la complessità e la dinamicità dei modelli,
-
la continuità e la discontinuità dell’educazione familiare,
-
l’evoluzione sociale e il cambiamento della compagine familiare,10
-
la stabilità affettiva,
-
la genitorialità permanente11,
-
l’organizzazione delle comunità,
-
il progetto di comunità,
-
la relazione di aiuto,
-
la relazione educativa e il progetto educativo personalizzato,
-
l’organizzazione della vita comune,
-
la presenza di una equipe di supervisione,
-
il rapporto con i servizi pubblici,
-
il rapporto con il territorio,
-
il rapporto con le famiglie di origine,
-
la temporaneità dell’accoglienza in comunità,
9
Pati L. (a cura di), Famiglie affidatarie – risorsa educativa della comunità, La Scuola, Brescia 2008.
Corsi M., Famiglia e famiglie: i diritti delle persone il dovere della responsabilità, in Annali Facoltà di Scienze
della Formazione 2005.
Galli N., La famiglia, un bene per tutti, La Scuola, Brescia 2007.
10
11
Cadei L., Pedagogia della famiglia e modelli di ricerca, Eum x formazione, Macerata 2008.
Corsi M., Stramaglia M., Dentro la famiglia Pedagogia delle relazioni educative familiari, Armando, Roma 2009.
11
-
gli strumenti di progettazione,
-
gli strumenti di valutazione dell’attività.
SCENARIO STORICO
Sono stati presi in esame:
gli antefatti storici sui differenti modelli di accoglienza che si manifestano dagli ultimi
-
decenni dell’800 alla prima metà del 900 ( gli istituti religiosi, i brefotrofi, i dispensari, le
forme di assistenza per le madri e i bambini)12.
il passaggio graduale dagli istituti alle comunità.
-
Gli antefatti storici più prossimi relativi all’istituzionalizzazione, attingendo dalla ricerca di
Anna Freud in Bambini senza famiglia, danno interessanti spunti di riflessione. L’autrice
poneva in luce e si interrogava su quanto l’istituto potesse surrogare la famiglia e in
particolare il ruolo della madre con riferimento in particolare alla teoria dell’attaccamento,
ai principi della base sicura. Analizzerò anche il graduale passaggio dall’istituzionalizzazione
alla apertura delle comunità avveratosi negli ultimi decenni.
SCENARIO METODOLOGICO
Fondamentali piste di lavoro e di riflessione provengono da un seminario sulla metodologia
della ricerca organizzato dalla Facoltà di Scienze della formazione nel 2010. I relatori hanno
proposto delle piste di riflessione sulla dinamicità del binomio teoria-pratica e sui possibili
sviluppi in una ricerca. La scelta del metodo si è rivolta a privilegiare la coniugazione della
teoria con la pratica pedagogica, in un rapporto circolare. La riflessione teorica ha
contribuito ad orientare l’azione e a prospettare possibili vie e percorsi educativi,
focalizzando l’attenzione sulla letteratura scientifica e sull’osservazione dei contesti pratici e,
in particolare, sulla analisi delle pratiche, utilizzando vari strumenti di indagine(intervista,
focus group, questionari). L’integrazione dei risultati emersi ha permesso di mettere in luce
12
Burlingham D., Freud A., Bambini senza famiglia, Astrolabio 1944 – 1964.
12
gli aspetti positivi e quelli più problematici. Questi sono stati comparati con quanto emerso
dalla letteratura scientifica sul tema.
Si è proceduto quindi con le seguenti azioni:
1. Proporre interviste alle comunità del campione di indagine,
2. Sistematizzare i dati emersi,
3. Realizzare un focus group destinato a un gruppo campione, costituito da educatori,
assistenti, volontari, membri delle famiglie.
4. Raccogliere, tabulare e commentare i risultati.
5. Costruire un quadro di fattori di qualità.
6. Costruire un questionario di soddisfazione degli attori coinvolti.
7. Definire un sistema di qualità del servizio.
SCENARIO OPERATIVO
La ricerca si è avvalsa di diversi strumenti di indagine, nel tentativo di coinvolgere l’intero
sistema delle comunità e i suoi attori13. Si è iniziata la ricognizione e la ricerca sul campo
attraverso:
-
la visita ad alcune comunità familiari/educative di Macerata e della provincia,
-
l’osservazione del contesto,
-
l’intervista ai dirigenti delle comunità campione per descrivere e raccogliere i dati e gli
elementi su:
-
tipologia di struttura;
-
destinatari dell’accoglienza;
-
servizio di accoglienza e tempi;
-
risorse attivate;
13
Mantovani S. (a cura di), La ricerca sul campo in educazione I metodi qualitativi, Mondadori, Milano 1998.
Mantovani S., Relazione seminario Metodologia della ricerca nelle scienze della formazione, Scienze della
formazione – Macerata, Ottobre 2009.
13
-
stili educativi;
-
relazioni con i servizi sociali, con le agenzie scolastiche, con il territorio, con la famiglia
naturale.
-
sistematizzare i dati emersi.
-
realizzare il focus group destinato a un gruppo campione, costituito da educatori,
assistenti, volontari, membri delle famiglie.
raccogliere, tabulare e commentare i risultati.
14
b. Dalla metodologia agli strumenti operativi di indagine
Nel tentativo di coniugare l’elaborazione teorica del senso e del valore della comunità con la
ricerca qualitativa ed empirica, il lavoro è proceduto in modo sistematico, cercando di
rispondere a quell’ atteggiamento che R.Viganò definisce di rigore nella ricerca14.
Il percorso ha seguito un criterio deduttivo-induttivo, garantendo un apporto circolare,
aperto e continuo tra la storia della teoria e della pratica, congiuntamente con la teoria e la
pratica pedagogica15.
La riflessione teorica ha contribuito ad orientare l’azione e a prospettare possibili vie e
percorsi educativi, focalizzando l’attenzione sulla letteratura scientifica e sull’osservazione
dei contesti pratici.
Gli scopi perseguiti consistono in una molteplicità di prospettive di analisi e studio:
-
individuazione e classificazione delle tipologie delle comunità esistenti in base alle
caratteristiche di struttura, di organizzazione, di soggetti accolti e di finalità che
perseguono.
-
Indagine sui servizi resi dalle comunità in questione.
-
Progetto di indagine e valutazione di qualità delle comunità in questione.
Fa da sfondo l’istituto dell’affido del soggetto minore e del ventaglio di modelli che
ne derivano tra cui quello dell’affido nelle comunità familiari e educative percorrendo il
paradigma della genitorialità diffusa e le buone pratiche con cui questo si applica e si
implementa nelle comunità stesse. Si sono analizzati i principi educativi e pedagogici
perseguiti in base alle variabili del contesto e in particolare con riferimento alle fasce di età
dei minori accolti, alle tipologie di affido, alle relazioni interpersonali e di gruppo implicate.
14
Viganò R., Ricerca educativa e pedagogia della famiglia, La Scuola, Brescia 1997.
Corsi M., Intervento in Seminario Metodologia della ricerca nelle scienze della formazione, Macerata 29-31 ottobre
2009.
15
15
Si è avviata una riflessione sulle diverse figure professionali coinvolte e corresponsabili nelle
comunità, sulle modalità di lavoro adottate e sugli stili educativi promossi.
E’ emerso il profilo del ruolo educativo del pedagogista all’interno delle strutture di
accoglienza dei minori e alle azioni dirette e indirette che può promuovere.
Ha assunto particolare rilevo la ricerca di elementi pedagogici nelle relazioni di aiuto
instaurate, di interventi rivolti al singolo e interventi ecologici rivolti ai contesti di
riferimento quali famiglie, gruppi, scuole.
In questa fase della ricerca, sono stati analizzati alcuni strumenti diagnostici quali
questionari, interviste semi-strutturate, tracce per la stesura di autobiografie, anche allo
scopo di costruire un sistema di apprezzamento di qualità dei servizi resi dalle Comunità,
come espressione di esercizio della “diagnostica pedagogica” riferita ai servizi educativi,
definibile come “diagnostica pedagogica educativa”16.
Inoltre la ricerca è stata completata con la declinazione di una lista di indicatori qualitativi
che costituiranno la base per la costruzione di alcuni modelli delle comunità
familiari/educative17.
L’enfasi è stata posta sulle potenzialità educative attribuite alle comunità educative e
familiari e sulle loro specifiche modalità di accompagnamento e sostegno all’educazione dei
minori in condizione di affido temporaneo all’interno del quadro normativo che disciplina
tale istituto.
L’intento principale si realizzava nella conoscenza dell’organizzazione, delle finalità educative
perseguite e delle modalità di realizzazione degli interventi promossi. Il mio è stato anche un
tentativo di comparazione tra le diverse realtà analizzate anche in riferimento alle azioni
adottate per l’attivazione di interventi educativi e di relazione di aiuto in risposta ai bisogni
educativi dei minori accolti nelle comunità.
Si è generata una riflessione sulle diverse figure professionali coinvolte e corresponsabili
nelle comunità, sulle modalità di lavoro adottate e sugli stili educativi promossi.
16
Crispiani P., Giaconi C., Diogene 2008 – Manuale di diagnostica pedagogica, Junior, Bergamo 2008.
17
Crispiani P. – Giaconi C., La qualità dell’integrazione scolastica, Erickson, 2009.
16
Di conseguenza, è stata conferita centralità al possibile ruolo educativo del pedagogista
all’interno delle strutture di accoglienza dei minori e alle azioni dirette e indirette che può
promuovere.
Ha assunto particolare rilevo la ricerca di elementi pedagogici nelle relazioni di aiuto
instaurate, di interventi rivolti al singolo e interventi ecologici rivolti ai contesti di
riferimento quali famiglie, gruppi, scuole18.
18
Pati L., (a cura di), Famiglie affidatarie – risorsa educativa della comunità, La Scuola, Brescia 2008.
17
3. I dati raccolti nel campione delle comunità e il report conclusivo
Le comunità assumono varie denominazioni (casa famiglia, comunità familiare, comunità
educativa) e diverse configurazioni per:
-
Tipologia di utenza:
-
età,
-
provenienza,
-
storie personali,
-
bisogni educativi,
-
contatti con la famiglia,
-
scopi.
-
Tipologia di problematiche familiari:
-
assenza di famiglia
-
famiglia problematica
-
famiglia problematica con patologia
-
famiglia problematica e soggetta a restrizioni giudiziarie.
-
Progettualità educativa:
-
assolvimento obbligo scolastico,
-
frequenza scolastica,
-
autonomia personale,
-
progetti di messa alla prova,
-
relazioni con la famiglia,
-
continuità con il territorio,
-
tempo libero,
-
volontariato,
-
impegni, compiti, responsabilità in comunità,
-
alfabetizzazione culturale,
18
-
avvio all’inserimento lavorativo e alla formazione professionale.
Esiti del percorso educativo:
-
rientro in famiglia,
-
passaggio ad altre comunità,
-
affido familiare,
-
adozione,
-
raggiungimento maggiore età e autonomia personale (residenza, casa, vita privata),
-
autonomia lavorativa,
-
permanenza in comunità oltre la maggiore età.
Dalla sistematizzazione dei dati da cui emerge quanto segue:
-
Dalle comunità familiari si delinea un profilo abbastanza omogeneo in merito a:
-
organizzazione della struttura,
-
organizzazione del servizio,
-
stili educativi,
-
modelli,
-
progetti educativi individuali,
-
bisogni educativi dei minori,
-
bisogni educativi speciali,
-
strategie per la continuità con la famiglia,
-
strategie per la continuità con i servizi sociali,
-
collaborazioni con organi di giustizia.
Tale uniformità non è riscontrabile invece nelle comunità educative per una serie di fattori:
-
età diverse dei minori accolti,
-
presenza di sedicenti minorenni,
-
provenienze da paesi diversi,
-
presenza di stranieri non accompagnati,
-
presenza di minori sottoposti a misure speciali (custodia cautelare, messa alla prova),
19
-
presenza di minori che raggiungono la maggiore età durante il periodo di accoglienza in
comunità,
-
presenza di minori che frequentano diversi gradi di istruzione scolastica per l’assolvimento
dell’obbligo scolastico,
-
presenza di minori che frequentano scuole serali,
-
necessità di alfabetizzazione nella lingua italiana,
-
prospettive di alternanza scuola-lavoro,
-
avvio alla formazione professionale.
Dai dati emergono i seguenti elementi :
-
Pluralità di stili e modelli educativi.
-
Pluralità di approcci.
-
Pluralità di piani educativi individualizzati.
-
Pluralità di bisogni educativi espressi dai minori.
-
Complessità sul piano della collaborazione con i servizi.
-
Complessità nella organizzazione e nella realizzazione della continuità educativa con le
famiglie.
-
Complessità nella continuità educativa con i servizi sociali.
20
PARTE SECONDA
FONDAMENTI PEDAGOGICI, PRATICHE EDUCATIVE E MODELLI APPLICATI NELLE
COMUNITA’
21
1. Dall’istituto dell’affido alla comunità
Da una breve e sintetica ricostruzione storica di alcuni interventi a favore dell’ ospitalismo e
dell’ accoglienza privata dei minori abbandonati nell’Italia dell’800 e del 900 si risale all’
origine all’istituto dell’affido. Processo a cui si accompagna un progressivo incremento di
attenzione e di acquisizione di identità e di titolarità di diritti, di dignità personale, di
riconoscimento di tutela del bambino19. I precedenti storici sono rintracciabili nei seguenti
fenomeni dell’800:
-
l’abbandono e gli esposti;
-
la mortalità infantile;
-
il baliatico.
Dagli ultimi decenni dell’800 alla prima metà del 900 si realizza il passaggi ad altre modalità
di accoglienza e si impongono differenti modelli come ad esempio:
-
gli istituti religiosi;
-
i brefotrofi;
-
i dispensari;
-
forme di assistenza per le madri e i bambini.
La seconda metà del 900 apre la strada a una lenta e graduale frantumazione del processo di
istituzionalizzazione che ha aperto il varco a una progressiva trasformazione degli istituti in
comunità.
Oggi l’istituto dell’affido20 è regolato dalla legge. Le tipologie rientrano nelle seguenti
categorie:
consensuale quando i genitori o chi esercita la potestà genitoriale sono concordi con
-
l’intervento;
19
Burlingham D., Freud A.,Bambini senza famiglia Astrolabio 1944 – 1964.
20
Campa A., Ciccotti E. (a cura di), Ogni bambino ha diritto a una famiglia: lo stato di attuazione della legge
149/2001, Istituto degli Innocenti, Firenze 2006.
22
giudiziale quando non vi è consenso e l’affidamento è disposto con decreto del
-
Tribunale per i Minorenni.
L’affidamento può essere distinto in:
residenziale: quando il bambino va ad abitare stabilmente con la famiglia affidataria
-
o nella comunità, mantenendo rapporti regolari con la sua famiglia di origine;
a tempo parziale: diurno con rientro per il pernottamento presso la famiglia di
-
origine, oppure per i week end o per un periodo di vacanza.
Le comunità familiari ed educative esercitano interventi rivolti a fasce di età che
coprono l’intero arco di vita dell’uomo e/o in risposta a specifiche esigenze dettate da
condizioni di disabilità, di fragilità e di difficoltà temporanea o permanente, o di necessità di
assistenza. Il criterio della maggiore o minore intensità assistenziale dà origine a una
classificazione delle tipologie di strutture esistenti21.
Nell’ambito della tutela del minore e della promozione dei diritti personali esistono
molteplici forme e modalità di intervento che contribuiscono alla effettiva realizzazione e
all’esercizio di tali diritti.
Sia la normativa che la giurisprudenza più recenti si orientano verso l’individuazione e
la ricerca di risposte calibrate rivolte ai minori specialmente in quelle situazioni di
disadattamento, di temporanea non corrispondenza tra riconoscimento dei suoi diritti e
effettivo esercizio degli stessi.
Da un sistema orientato alla cura e alla protezione si è progressivamente curvata la
centralità del minore, titolare di diritti personali.
Già la Convenzione di New York del 1989, ratificata in Italia nel 1991, aveva affermato e
proclamato tali principi ponendo l’accento sulle situazioni in cui il minore, soggetto debole e
fragile, è esposto a vicende che ne alterano l’equilibrio fisico-psichico22. Vi si accenna al
diritto all’identità, alla privacy, alla tutela del nome, alla dignità in genere.
21
Gregorio D., Tomisich M. (a cura di), Tra famiglia e servizi: nuove forme di accoglienza dei minori, F. Angeli,
Milano 2007.
22
Convenzione sui diritti del fanciullo, New York, 10 novembre 1989, art. 6 e seguenti.
23
In tal senso, maggiore interesse e attenzione la dimostrano le numerose azioni di
tutela nell’area della giurisdizione civile e penale che confermano quanto sia fondamentale e
necessario promuovere e proteggere con misure effettive e continuative le fasce di
popolazione più deboli e perciò maggiormente esposte.
Centralità dei diritti confermata e sostenuta anche nel quadro delle disposizioni in
materia di separazione dei genitori e affidamento dei figli: il diritto del figlio alla
bigenitorialità proclamato dalla Legge del 2006 n. 54, che parzialmente modifica l’art. 155
c.c.23.
Di medesimo orientamento anche le disposizioni in materia di audizione del minore
nei procedimenti civili in materia di separazione de coniugi, ad esempio, o in forme di
mediazione familiare. L’enfasi è posta, infatti, sulla relazione mediata e protetta tra l’adulto
e il minore per raccogliere le sue esigenze e aspettative con lo scopo di salvaguardare i suoi
interessi24. Ne consegue l’esigenza di figure professionali altamente specializzate che
attivino durante il colloquio con i minori, modalità relazionali attente e rispettose con un
atteggiamento di ascolto partecipe e di rispetto empatico. Anche nel raggio di azione dei
procedimenti penali si delinea il ricorso a strategie di ascolto e di mediazione tra gli attori
che, se soggetti minorenni, si avvantaggiano di provvedimenti propositivi connotati da
un’intenzionalità educativa, di recupero e adattivi. In sintesi, dunque, centralità della
persona che si coniuga con la rilevanza dei bisogni propri del soggetto minore e per i quali il
bisogno di tutela si rafforza e si impone.
Il contesto sociale, quindi, fa proprie e riflette l’esigenza di risposte adeguate ad assecondare
tali esigenze realizzando interventi pertinenti.
Le comunità familiari ed educative
nascono dalla urgente necessità di tutela dei minori. Esse esercitano interventi rivolti a fasce
di età che coprono l’intero arco di vita dell’uomo e/o in risposta a specifiche esigenze
dettate da condizioni di disabilità, di fragilità e di difficoltà temporanea o permanente, o di
necessità di assistenza.
Il criterio della maggiore o minore intensità assistenziale dà origine a una classificazione delle
tipologie di strutture esistenti.
23
24
Legge 8 febbraio 2006, n.54 “Disposizioni in materia di separazione dei genitori e affidamento condiviso dei figli”.
Art. 155 sexies, L. 08/02/06, “Poteri del giudice e ascolto del minore”
24
Il contesto della Regione Marche
La legge regionale Marche n. 20 del 2002, ad esempio, garantisce la qualità delle
prestazioni socio-assistenziali e sociosanitarie erogate, rivolte ai minori, agli anziani, ai
disabili e a persone con problematiche psico-sociali25.
In relazione alla natura del bisogno, all’intensità assistenziale e alla complessità
dell’intervento la legge individua le tipologie di strutture consone al perseguimento delle
finalità indicate.
Con riferimento alla posizione del minore e alle attività di accoglienza e tutela, si elencano
quattro tipologie di strutture:
-
la casa famiglia o comunità familiare, con funzione abilitativa e di accoglienza
educativa caratterizzata da bassa intensità assistenziale, destinata a soggetti
autosufficienti privi di un valido supporto familiare;
-
la comunità educativa in cui si esercita una media intensità assistenziale destinata a
soggetti fragili e a rischio di perdita di autonomia, privi di un valido supporto
familiare;
-
la comunità di pronta accoglienza per accogliere e proteggere i soggetti che
attraversano temporanei periodi di rischio e di bisogno di aiuto e di supporto;
-
la comunità alloggio rivolta ad accogliere gli adolescenti per i quali si pongono in
essere bisogni educativi più complessi rispetto a quelli dei bambini26.
Indipendentemente dalla tipologia della struttura, lo stile operativo nelle comunità è quello
educativo e di accoglienza che si realizza attraverso la quotidianità dei gesti, degli interventi.
Inoltre è fondamentale la proposizione di uno stile familiare.
Abbandonati i vecchi stereotipi legati al concetto di assistenzialismo che vedeva negli istituti
l’unico modello per la sua realizzazione, quella delle comunità è una realtà diffusa nel
25
Legge regionale 6 novembre 2002, n. 20.”Disciplina in materia di autorizzazione e accreditamento delle strutture e
dei servizi sociali a ciclo residenziale e semiresidenziale”.
26
Legge regionale 6 novembre 2002, n. 20, Artt. 3-4.
25
territorio nazionale che coniuga la forte motivazione e spinta degli operatori che vi prestano
servizio con una notevole professionalità unita a un virtuoso lavoro in equipe.
La comunità familiare
E’ una struttura educativa residenziale, una casa, un appartamento abitato da una
famiglia che si rende disponibile all’accoglienza temporanea di minori. Il numero di ragazzi
accolti varia a seconda della disponibilità della famiglia e degli spazi così come può variare la
fascia di età dei minori ospitati.
La famiglia è presente e sostituisce temporaneamente quella naturale, si avvale del supporto
di figure professionalmente qualificate quali pedagogisti, psicologi, educatori.
Nella comunità familiare si offre un ambiente di vita alternativo al nucleo familiare di origine
garantendo il rispetto dei bisogni dei ragazzi, della loro individualità, della cultura e dei
vissuti di ciascuno di essi.
Il rapporto con i servizi sociali del territorio per la stesura del progetto educativo
individualizzato e per la attivazione di interventi pertinenti che garantiscano la realizzazione
delle finalità perseguibili assume notevole rilevanza.
Si giunge in comunità attraverso una segnalazione dei servizi sociali e una presa d’atto della
situazione di disagio temporaneo della famiglia naturale. Ne consegue l’intervento del
tribunale dei minori che emana un decreto di affido temporaneo di una durata biennale .
Al termine del percorso di affido si aprono varie possibili soluzioni: dal rientro nella famiglia
di origine alla prosecuzione dell’affido anche presso altre famiglie affidatarie o in comunità
educative e, in ultima ipotesi, se ricorrono le condizioni per la dichiarazione di adattabilità,
anche l’adozione.
La comunità educativa
La Comunità educativa è una struttura residenziale che accoglie minori in difficoltà il più
delle volte caratterizzati da deprivazioni affettive, cognitive e sociali, di ambo i sessi e di età
compresa tra i 3 ed i 16 anni al momento dell'ammissione. Lo scopo della Comunità è quello
di sostituire temporaneamente la famiglia di origine per il tempo necessario al superamento
delle difficoltà dei genitori, all'individuazione di soluzioni alternative quali affido ed
adozione, al raggiungimento di una autonomia della persona. Il contatto quotidiano è
26
finalizzato allo sviluppo, per il minore, di quelle funzioni genitoriali che il più delle volte, nella
sua precedente esperienza di vita, sono risultate assenti o inadeguate. Nell'intento di
limitare le carenze derivanti da una struttura con operatori turnanti è preponderante la
stabilità del personale educativo in modo da offrire al minore la possibilità di una relazione
privilegiata e continua con lo stesso adulto dal momento d'ingresso all'uscita dalla Comunità.
L'accoglienza di minori in situazioni particolari che esulino da un intervento solo educativo è
attentamente valutata in fase di ammissione.
27
2. Il quadro delle comunità familiari ed educative del territorio della provincia di Macerata
Attivati i contatti con le comunità e , in particolare con i referenti, i coordinatori e i
responsabili delle stesse, si è intrapreso il percorso operativo della ricerca consistente, in
prima battuta, nell’effettuazione delle visite alle comunità scelte. Il campione delle comunità
non è molto ampio ma rispecchia le caratteristiche, i profili e le configurazioni della
complessità del sistema delle comunità.
Nella tavola 1 sono elencate le comunità del campione esplorate e la loro localizzazione
territoriale:
COMUNITA’
LOCALITA’
COMUNITÀ FAMILIARE “LA STELLA”
MACERATA
COMUNITA’ FAMILIARE “LA GOCCIA”
MACERATA
COMUNITÀ EDUCATIVE DELL’ASSOCIAZIONE
MACERATA
PIOMBINI SENSINI
COMUNITA’ EDUCATIVA “SAN GIULIANO”
MACERATA
COMUNITA’ FAMILIARE “BEATO GIOVANNI
CORRIDONIA (MC)
DELLA VERNA”
COMUNITA’ EDUCATIVA PER MINORI
CAMPOROTONDO (MC)
“CAMPOROTONDO”
COMUNITA’ EDUCATIVA “MONDO MINORE”
CAPODARCO DI FERMO (FM)
COMUNITA’ EDUCATIVA “ICARO” -
CIVITANOVA MARCHE (MC)
COOPERATIVA SOCIALE PARS
COMUNITA’ EDUCATIVA “ASSOCIAZIONE
CORRIDONIA (MC)
SCUOLA DI DISCUSSIONE”
COMUNITA’ EDUCATIVA “IL GAMBERO” E
PIORACO (MC)
“LA GEMMA”
28
COMUNITA’ EDUCATIVA “FIGLIE
PORTO POTENZA PICENA (MC)
DELL’ADDOLORATA”
COMUNITA’ EDUCATIVA PER MINORI
POTENZA PICENA (MC)
“L’ALVEARE”
COMUNITA’ EDUCATIVA “LA CASA SUL
TOLENTINO (MC)
COLLE”
Tav. 1 Le comunità
29
3. Le interviste ai responsabili delle comunità
Sula base delle conoscenze possedute riguardo all’organizzazione delle comunità, è stata
costruita una intervista che rappresenta una traccia per l’incontro con i responsabili della
comunità. Di conseguenza, non è stata seguita in modo ordinato la sequenza delle domande
e, in alcuni casi, sono state date risposte indirette ad alcune domande e comprensive di
altre.
Alle informazioni sull’operatività, le esperienze in corso e l’andamento degli interventi sul
campo, emerse dai resoconti narrativi degli intervistati, sono state aggiunte, ad integrazione
delle stesse, le informazioni ricavate dai progetti pubblicati nei siti di ciascuna associazione
che, in modo sintetico, forniscono delle informazioni sulla loro tipologia organizzativa, sui
servizi e sui progetti promossi.
Le domande delle interviste hanno costituito una traccia per il colloquio più che una
puntuale ricerca di risposte limitate. Si riporta una sintesi delle conversazioni. In corsivo sono
riportatele parole chiave e le frasi maggiormente significative riferite dagli intervistati e che
esprimono il senso e la ricchezza dell’accoglienza, la gratuità delle relazioni educative
coniugate con atteggiamenti di ascolto, di osservazione dei comportamenti di cura e
responsabilità degli interventi27.
Per alcune delle strutture selezionate per questo lavoro di ricerca non ci sono pubblicazioni
che raccolgano le informazioni sulla loro progettualità, sui servizi offerti, sulla loro storia,
sulla peculiarità e specificità su cui poggia la qualità degli interventi promossi. Lo scopo della
ricerca assolve, quindi, anche alla funzione di diffusione e conoscenza delle strutture
associative descritte e delle attività di servizio alla persona che espletano.
I modelli organizzativi e le strutture che assolvono alle finalità di tutela dei minori in tutte
quelle condizioni in cui risulta parzialmente, temporaneamente o complessivamente e
permanentemente compromessa la naturale cura e protezione ad opera della famiglia e, in
27
Mortari L., La pratica dell’aver cura, Mondadori, Milano 2006.
30
particolare, della coppia genitoriale, sono svariati sia per quanto attiene gli aspetti
organizzativi che le finalità perseguite.
Tale pluralità delle realtà è attribuibile, inoltre, alle diverse fasce di età dei minori bisognosi
di tutela e, conseguentemente, alle differenti tipologie di intervento che vanno dalla cura
fisica in risposta a bisogni primari, a interventi educativi, nonché a quelli di orientamento e
continuità relazionale, sociale e lavorativa.
Nell’ambito della ricerca sulle strutture di accoglienza ai minori nel nostro territorio, si
propone una indagine allo scopo di conosce l’organizzazione delle comunità familiari, delle
comunità educative e di pronto intervento, per comparare le finalità perseguite, i sevizi
attivati, gli interventi promossi, elementi che assumono connotazioni diversificate in base
alla tipologia di struttura e, in particolare, alla fascia di età dei minori che accoglie 28.
Sono state effettuate delle interviste strutturate con una lista di domande a risposta aperta;
esse hanno costituito una base di partenza per avviare il colloquio con gli operatori e i
responsabili delle comunità, al fine di conoscere principalmente le informazioni essenziali in
merito a:
o tipologia di struttura;
o destinatari dell’accoglienza;
o servizio di accoglienza e tempi;
o risorse attivate;
o stili educativi;
o progetti e azioni promosse in risposta ai bisogni de minore;
o punti di forza;
o elementi di criticità.
28
De Leo G., Bussotti B., Josi E., (a cura di), Rischi e sfide nel lavoro di comunità di tipo familiare: esperienze di
progettazione, metodologie dell’intervento e supervisione, Guffrè, Milano 2000.
31
La tavola 2 contiene le domande – guida utilizzate per l’intervista. I responsabili e le persone
incontrate nel corso della somministrazione dell’intervista hanno riconosciuto valida e utile
la traccia, nonché esaustiva rispetto alle informazioni da fornire al fine di presentare un
quadro completo della comunità29.
1. Quanti ragazzi possono essere accolti nella comunità?
2. Attualmente quanti ne accoglie?
3. A quale fascia di età appartengono?
4. Chi stabilisce le modalità dell’affido e la destinazione nella comunità?
5. Per quanto tempo viene accolto un ragazzo nella comunità?
6. Quanti e quali operatori agiscono?
7. Quali ruoli ricoprono?
8. Quali sono le finalità che si intende perseguire?
9. In quali forme e con quali modalità si realizza l’accoglienza?
10. Come si svolge una giornata tipo nella comunità?
11. Quali reazioni si instaurano tra i componenti della comunità?
12. Quali relazioni con il territorio?
13. Quali elementi di continuità educativa con la scuola, la famiglia, i servizi sociali,…?
14. Qual è il ruolo dell’equipe di consulenza o supporto ….?
15. Quali progetti si promuovono e per quali scopi?
16. Quali risorse economiche sostengono la comunità?
17. Quale sostegno all’educazione?
18. Con quali modalità si realizza la formazione del personale?
19. Dopo l’affido quale destinazione per il ragazzo?
29
Le interviste e le relative viste sono state realizzate nel periodo febbraio 2010 – maggio 2011.
32
20. E’ possibile accompagnare il suo successivo percorso? In quale modo?
21. Esiste una rete di collaborazione, confronto, sostegno?
Tav. 2 L’intervista
33
1. COMUNITÀ FAMILIARE “LA STELLA” - MACERATA30
All’interno dell’Associazione Onlus “La Goccia” di Macerata e, in particolare, dell’area
dell’accoglienza, ci sono due comunità familiari parallele: La Goccia fondata nel 2001 e La
Stella nel 200631. Le finalità della comunità La Stella consistono nella promozione della vita
attraverso la valorizzazione della famiglia, dell’affido e dell’adozione, del servizio di
comunità, della solidarietà sociale e dello sviluppo. Una delle fasi fondamentali consiste
nell’accoglienza, momento assai delicato, che dipende dalla storia di cui il bambino è
portatore. Si cerca di capire i suoi problemi, di conoscerlo e di capire la sua situazione. Tutto
avviene in modo naturale, perché la comunità è una famiglia e l’approccio è quello della
normalità che asseconda lo stile familiare. Uno dei punti di forza consiste nel dare risposte
adeguate e far vivere serenamente le fasi della crescita normale. E’ la famiglia che accoglie
il bambino, considerato come un altro figlio proprio. Con il tempo poi si danno al bambino le
regole della famiglia. Prima si cerca di capirlo, poi di generare in lui fiducia nell’adulto che
deve diventare un punto di riferimento. I bambini si adeguano progressivamente agli altri,
accettano le regole. E’ importante la presenza dei figli naturali perché fanno da cuscinetto e
da ponte. Anche essi si mettono in discussione, cercano soluzioni. Le operatrici fanno parte
del nucleo familiare, si sentono parte della famiglia, ma lasciano la libertà, non entrano nel
merito dei problemi della famiglia. Capita che il bambino accolto sia all’inizio scettico,
accorto, titubante, poi quando vede nella famiglia un punto di riferimento comincia a
raccontare la sua storia, si apre e l’adulto lo ascolta. Significa che il bambino sta bene. Si
instaurano così sane relazioni di tipo familiare. Ognuno porta avanti il suo ruolo, la
responsabilità è, però, della coppia. Non si raccontano tutti i particolari relativi all’affido ai
figli. Viene fatto capire che quel bambino ha bisogno di aiuto. Nel caso in cui emergano dei
-
30
La Comunita’ familiare “La goccia” e la Comunita’ familiare “La stella” fanno parte della Associazione La
Goccia ONLUS, istituita nel 2001 a Macerata che accoglie bambini in età pre-scolare (da 0 a 6 anni) in due
strutture educative residenziali, caratterizzate dalla presenza di due famiglie, supportate da figure
professionalmente qualificate, che offrono un ambiente di vita temporaneamente alternativo al nucleo
familiare di origine, garantendo il rispetto delle individualità, della cultura e dei vissuti di ciascun bambino.
Inoltre, una rete di famiglie che attraverso percorsi formativi e un gruppo di auto-aiuto si formano e si
sostengono nel vivere la complessa esperienza dell’accoglienza.
31
La sede legale è in via Cosimo Morelli, 53 - 62100 Macerata.
La sede operativa delle comunità familiari è in via Luigi Pirandello, 29/a - 62100 Macerata.
34
problemi si cerca di spiegare l’essenziale e di non dire tutto. La famiglia, comunque, entra
nel meccanismo dell’accoglienza.
In comunità si instaurano buone relazioni con il territorio, sia nelle strutture frequentate dai
figli o in altre, a seconda delle esigenze. Anche con la scuola si intrecciano dei rapporti di
reciproca collaborazione, fondamentale per la crescita armonica del bambino. La prima fase
di accoglienza è dedicata alla presentazione dei minori e, per sommi capi, della loro storia
pregressa. Si attivano rapporti anche con la famiglia di origine, ma questa possibilità
dipende da quanto è previsto nel progetto educativo, redatto dai Servizi sociali. La famiglia
di origine, quindi, collabora con la comunità anche se non conosce il progetto educativo nei
dettagli. Si dovrebbe lavorare insieme ai servizi affinché il progetto si realizzi, ma ciò talvolta
incontra qualche ostacolo. Il progetto educativo dovrebbe essere condiviso con la comunità
ma i servizi stabiliscono gli incontri con le famiglie e li comunicano alla comunità e al
tribunale. Responsabile è la famiglia, i bambini escono dalla comunità soltanto con
l’autorizzazione dei servizi e del tribunale. I progetti predisposti dai servizi sociali
prospettano varie modalità di risoluzione dell’affido in comunità prevedendo: il ritorno del
minore nella famiglia di origine, l’adozione mite (per la quale non c’è un decreto finale di
adozione perché la famiglia non dà l’assenso, ma soltanto la disponibilità all’accoglienza a
lungo termine di una famiglia), l’adozione o l’affido a una famiglia in cui la coppia dà la
disponibilità con la possibilità che questo si trasformi in un’adozione. La comunità familiare
non può prendere in adozione un bambino, ma la coppia genitoriale può farlo se ha
l’idoneità all’adozione. Al termine dell’affido, per il successivo percorso del minore, la
comunità familiare potrebbe ancora assolvere la funzione di accompagnamento e di
sostegno verso ulteriori periodi di affido in altre comunità, ad esempio, o per un graduale
reinserimento in famiglia. Una difficoltà che si riscontra è la possibilità di realizzare forme di
scambio e circolarità delle esperienze, per dare la disponibilità di sapere e conoscere, per
creare una rete di servizi.
Nel Quadro sinottico della Tavola 3 vengono elencati gli elementi emersi dall’intervista:
STILE EDUCATIVO DELLA COMUNITA’
-
Approccio per la normalità
35
FAMILIARE
-
Stile familiare
-
Dare risposte adeguate
-
Far vivere la serenità e la crescita
normale
-
Generare nel bambino fiducia
nell’adulto che deve diventare un punto
di riferimento
AZIONI PROMOSSE
-
Promuovere l’ affido e l’adozione per
sensibilizzare il territorio con delle
iniziative
-
Coinvolgere le scuole, le famiglie in un
percorso di formazione, di
sensibilizzazione e di riflessione sul valore
della famiglia
BISOGNI DEL MINORE
PUNTI DI FORZA
-
Accoglienza
-
Essere ascoltato
-
Normalità
-
Buone relazioni con il territorio e con le
scuole
PROBLEMI APERTI
-
Ottimo lavoro di equipe
-
Qualità del servizio
-
Difficile possibilità di realizzare forme di
scambio e circolarità delle esperienze.
-
Qualche ostacolo nella
collaborazione con i servizi
Tav. 3 Quadro sinottico
36
2. COMUNITA’ FAMILIARE “LA GOCCIA” - MACERATA
All’interno dell’Associazione Onlus La Goccia di Macerata e, in particolare, dell’area
dell’accoglienza, ci sono due comunità familiari parallele: La Goccia fondata nel 2001 e La
Stella nel 200632.
La comunità familiare La Stella può accogliere fino a 4 bambini in età da 0 a 6 anni. I
responsabili attualmente accolgono due bambini di due anni circa.
Le modalità dell’ affido sono quelle standard: decreto del tribunale, tranne che per la pronta
accoglienza che viene direttamente disposta dal comune con decreto del sindaco e ratifica
successiva del tribunale .
Il tribunale, su segnalazione di un servizio sociale, interviene o allontana dalla famiglia e
destina il minore a una comunità o a una famiglia.
L’affido dura due anni ma prorogabili fino a 4 quando il progetto educativo non viene
terminato.
Se si prevede un ritorno in famiglia per esempio, deve essere verificato il raggiungimento di
uno stato di equilibrio della famiglia naturale o potrebbe essere stata vagliata una soluzione
alternativa compreso la disponibilità di una famiglia per l’adozione.
Nella comunità intervengono, a supporto della coppia responsabile, due operatori ma c’è
anche un terzo educatore che viene coinvolto nell’accoglienza e sostituisce i due educatori
stabili nei giorni di riposo.
Gli operatori sono educatori professionali che trascorrono da 6 a 8 ore al giorno nella
casa. Il loro compito principale consiste nella collaborazione con i responsabili per l’effettivo
sviluppo degli obiettivi del progetto. Essi fanno una lettura dei bisogni del bambino, ne
osservano i comportamenti33.
32
La sede legale è in via Cosimo Morelli, 53 - 62100 Macerata.
La sede operativa delle comunità familiari è in via Luigi Pirandello, 29/a - 62100 Macerata.
33
In corsivo gli stralci delle interviste rilasciate dai responsabili delle comunità nell’ambito di un lavoro di ricerca
oggetto di una tesi di laurea Università degli studi di Macerata – Facoltà di scienze della formazione.
37
L’equipe interna è, quindi, composta dai due responsabili, ossia la coppia affidataria e gli
operatori. Si riunisce ogni 15 giorni per discutere sull’andamento dell’affido e capire le
problematiche, per concordare le linee, per cercare soluzioni anche a eventuali problemi
nelle relazioni con i figli naturali della coppia responsabile, per chiarire come intervenire.
Si conduce una osservazione quotidiana nella comunità per capire se e come i bambini
interagiscono tra loro, per osservare i comportamenti nel contesto familiare e in altri ambiti.
L’andamento scolastico è seguito dai responsabili.
Le finalità della comunità34 sono di promozione della vita attraverso la valorizzazione della
famiglia, dell’affido e dell’adozione, del servizio di comunità, della solidarietà sociale e dello
sviluppo.
L’accoglienza
L’accoglienza è un momento assai delicato: dipende dalla storia di cui il bambino è
portatore. Si cerca di capire i suoi problemi, di conoscerlo e di capire la sua situazione.
Tutto avviene in modo naturale, perché la comunità è una famiglia e l’approccio è quello
della normalità, con lo stile familiare. Altro punto di forza consiste nel dare risposte
adeguate, far vivere serenamente le fasi della crescita normale.
E’ la famiglia che accoglie il bambino, considerato come un altro figlio proprio. Con il tempo
poi si danno al bambino le regole della famiglia, quindi prima si cerca di capirlo, poi di
generare in lui fiducia nell’adulto che deve diventare un punto di riferimento. Poi i bambini si
adeguano agli altri, accettano le regole. E’ importante la presenza dei figli propri perché
fanno da cuscinetto e da ponte.
Gli adulti sono visti come nemici a volte, invece il rapporto con altri bambini aiuta.
Anche i figli propri si mettono in discussione, cercano soluzioni. Quando va via un bambino si
chiedono quando ne torna un altro.
34
Art. 3 dello Statuto dell’Associazione La Goccia: “L’associazione non ha scopo di lucro. Il suo scopo è esclusivamente
quello di perseguire fini di solidarietà sociale nella Provincia di Macerata; di promuovere lo sviluppo integrale della
persona con particolare attenzione ai minori e la rimozione di ogni ostacolo alla salute fisica e psichica delle persone, il
pieno sviluppo della loro personalità nel rispetto della cultura, dei valori e dello spirito creativo di ciascuno.
L’associazione si propone di svolgere attività di intervento e di sostegno, nei confronti dei minori in difficoltà in
ragione delle condizioni fisiche, psichiche, economiche, sociali e familiari”.
38
Le operatrici fanno parte del nucleo familiare, si sentono parte della famiglia, ma lasciano la
libertà, non entrano nel merito dei problemi della famiglia.
Capita che il bambino accolto sia all’inizio scettico, accorto, titubante, poi quando vede nella
famiglia un punto di riferimento comincia a raccontare la sua storia, si apre. L’adulto allora
ascolta. Significa che il bambino sta bene. Si instaurano relazioni di tipo familiare. Ognuno
porta avanti il suo ruolo, la responsabilità è però della coppia.
La giornata segue il ritmo della famiglia: scuola o asilo al mattino, pomeriggio dedicato ai
compiti e ad attività manuali. Si cerca di fare interfacciare i bambini con quelli dell’altra
comunità. Le due comunità si incontrano per molte attività, è una famiglia di famiglie.
Pur rimanendo due entità distinte di famiglie, c’è fusione ma non confusione.
Alcuni momenti spontanei o organizzati in base all’età dei bambini e di festa. li trascorrono
insieme.
Si fa il punto della situazione, una revisione di tutto quello che è successo e una valutazione
dell’andamento quasi tutti i giorni, dopo cena.
La lettura che una coppia può dare della realtà all’altra è importante, per il vivere a contatto
con le problematiche anche con quelle con gli operatori.
Non si raccontano tutti i particolari relativi all’affido ai propri figli. Viene fatto capire che
quel bambino ha bisogno di aiuto. Nel caso in cui emergano dei problemi si cerca di
spiegare l’essenziale e di non dire tutto. La famiglia, comunque, entra nel meccanismo
dell’accoglienza.
Si instaurano buone relazioni con il territorio, sia nelle strutture frequentate dai figli o in
altre, a seconda delle esigenze.
Con la scuola si instaurano rapporti di reciproca collaborazione, fondamentale per la crescita
armonica del bambino.; la prima fase di accoglienza è dedicata alla presentazione dei minori
e, per sommi capi, della loro storia pregressa.
Si attivano rapporti anche con la famiglia di origine, ma questa possibilità dipende da quanto
è previsto nel progetto educativo. La famiglia di origine, quindi, collabora ma non conosce il
progetto educativo.
39
I servizi sociali stendono il progetto e lo comunicano. Si dovrebbe lavorare insieme ai servizi
affinché il progetto si realizzi, ma ciò talvolta incontra qualche ostacolo.
Il progetto educativo dovrebbe essere condiviso con la comunità ma i servizi stabiliscono gli
incontri con le famiglie e li comunicano alla comunità e al tribunale. Responsabile è la
famiglia, i bambini escono dalla comunità soltanto con l’autorizzazione dei servizi e del
tribunale.
Il lavoro in equipe
Una volta al mese in genere si riunisce l’equipe allargata, composta da una psicologa
esterna che funge da supervisore, la famiglia e gli operatori.
Lo scopo consiste nella lettura delle problematiche dei bambini ma soprattutto per offrire
sostegno alla comunità nella gestione dei problemi, delle relazioni tra operatori e
responsabili.
I progetti predisposti dai servizi sociali prospettano varie modalità di risoluzione dell’affido in
comunità prevedendo: il ritorno del minore nella famiglia di origine, l’adozione mite (per la
quale non c’è un decreto finale di adozione perché la famiglia non dà l’assenso, ma soltanto
la disponibilità all’accoglienza a lungo termine di una famiglia), l’adozione o l’affido a una
famiglia in cui la coppia dà la disponibilità con la possibilità che questo si trasformi in
un’adozione.
La comunità familiare non può prendere in adozione ma la coppia sì, se ha l’idoneità
all’adozione.
Al termine dell’affido, il successivo percorso del minore la comunità familiare potrebbe
ancora assolvere la funzione di accompagnamento e di sostegno verso ulteriori periodi di
affido in altre comunità, ad esempio o per un graduale reinserimento in famiglia.
L’associazione è una risorsa per la comunità e viceversa, per la consulenza reciproca che le
arricchisce.
Una difficoltà che si riscontra è la possibilità di realizzare forme di scambio e circolarità delle
esperienze, per dare la disponibilità di sapere e conoscere, per creare una rete di servizi.
40
In prospettiva, l’associazione sta per ottenere l’ approvazione di un progetto di notevole
spessore per la predisposizione di un tavolo di lavoro regionale per fornire buone prassi.
Esiste, inoltre, un progetto per un tavolo di lavoro provinciale per comunità familiari, al fine
di redigere un protocollo di buone prassi per definire l’affido.
L’associazione La goccia, inoltre sta predisponendo un progetto per promuovere l’ affido e
adozione e per sensibilizzare il territorio con delle iniziative per coinvolgere le scuole, le
famiglie di Macerata in un percorso di formazione, di sensibilizzazione e di riflessione sul
valore della famiglia.
La tavola 4 riassume gli elementi maggiormente significativi:
RISORSE
Psicologi
1 operatore per le sostituzioni
1 psicologa per la supervisione
Comunità familiare La goccia
Associazione La goccia
Operatori stabili
NUMERO MASSIMO DI MINORI ACCOLTI
4
TEMPI DI ACCOGLIENZA
Il decreto stabilisce un affido minimo di due anni
Il progetto individuale stabilisce la durata dell’accoglienza
STILE EDUCATIVO DELLA COMUNITA’
Approccio per la normalità,
Stile familiare
Dare risposte adeguate
41
Far vivere la serenità e la crescita normale
Generare nel bambino fiducia nell’adulto che deve diventare un punto di riferimento
AZIONI PROMOSSE
Approccio per la normalità,
stile familiare
dare risposte adeguate
far vivere la serenità e la crescita normale
Generare nel bambino fiducia nell’adulto che deve diventare un punto di riferimento.
BISOGNI DEL MINORE
Accoglienza
Essere ascoltato
Normalità
PUNTI DI FORZA
Buone relazioni con il territorio e con le scuole
Ottimo lavoro di equipe
Qualità del servizio
PROBLEMI APERTI
Difficile possibilità di realizzare forme di scambio e circolarità delle esperienze.
Qualche ostacolo nella collaborazione con i servizi.
Tav. 4 Gli elementi maggiormente significativi
42
3. COMUNITÀ EDUCATIVA DELL’ASSOCIAZIONE PIOMBINI SENSINI35
Il responsabile della comunità, il dott. Andrea Marangoni, illustra sia l’organizzazione che la
mission specifica. La comunità ha sede a Macerata36 e persegue le seguenti finalità:
o
accoglienza integrale della persona in difficoltà: garantire il rispetto dei diritti
fondamentali e la sua tutela, contribuire al raggiungimento di un appropriato livello di
autonomia e di maturità.
o
proposta di uno stile di vita familiare che dia a tutti gli ospiti la certezza di essere
accolti in un ambiente morale, umano e fisico che li protegge, li rassicura e permette
loro di realizzarsi serenamente nei tempi e con le modalità proprie di ciascuno.
o
restituzione della piena dignità di esistenza al minore con l’offerta di nuove
modalità relazionali e comportamentali.
o
costruzione delle condizioni di benessere della persona accolta assicurando il
mantenimento, l’educazione e l’istruzione in un ambiente di vita appositamente
predisposto per rispondere ai suoi specifici bisogni religiosi, cognitivi, affettivi,
relazionali e sociali.
o
coinvolgimento e valorizzazione della famiglia d’origine e, quando non possibile,
della famiglia affidataria e adottiva.
o
offerta di opportunità educative, didattiche e formative, mediante percorsi e
consulenze interne ed esterne all’Associazione.
Nel pronto intervento l’accoglienza è accordata in base al numero di posti disponibili. Il
primo momento di avvio è molto curato dagli operatori insieme al coordinatore. E’ la fase
più difficile, dà l’impronta sullo stile di accoglienza della comunità. Nel pronto intervento la
35
Comunita’ educativa “Il girasole” e Comunita’ di pronto intervento: Fanno parte della Associazione Piombini35
Sensini ONLUS con sede a Macerata, già denominata Istituto La Pietà, riconosciuta Ente Morale, è stata
costituita nel 2000 come organizzazione non lucrativa di utilità sociale e iscritta nel registro delle persone
giuridiche della Regione Marche. L’associazione persegue finalità di solidarietà sociale, attraverso attività a favore
di minori, anziani o altri individui che si trovano in situazione di bisogno.
36
La sede è in via Morbiducci,20 – 62100 Macerata.
43
richiesta proviene dalle forze dell’ordine, per cui l’ accoglienza è immediata. Esiste un
protocollo di accoglienza che regolamenta questa complessa fase. Nella comunità educativa
c’è prima una conoscenza del caso e quando si è certi di poter dare una risposta ai bisogni
del minore si decide di accogliere. Si valuta se c’è compatibilità con gli altri ragazzi presenti
nella casa, si prendono in esame i bisogni del ragazzo e se la struttura può dare risposte
valide. Inoltre non è escluso che l’accoglienza si prepari attraverso la visita della comunità da
parte del minore accompagnato dai suoi familiari, per favorire un approccio condiviso. Al
momento dell’ingresso si imposta una fase iniziale destinata a una chiarificazione sui motivi
che hanno portato all’inserimento. Spesso si permette al ragazzo di leggere il decreto di
affido nella sua interezza. Ciò favorisce la consapevolezza della necessità di tale scelta.
L’allontanamento dalla propria famiglia rappresenta un momento traumatico per il ragazzo.
L’impegno della comunità consiste nel lavorare per ridurre il trauma. Al bambino piccolo,
per esempio, in questa prima fase di accoglienza, vengono letta delle storie illustrate che
aiutano e favoriscono l’accettazione della sua nuova e temporanea condizione di vita. In
questa fase è importante che il bambino abbia modo di esprimere le sue emozioni. Quindi, si
lavora per la riduzione del trauma da allontanamento, non per demonizzare la famiglia. E’
fondamentale anche ridurre il senso di colpa del bambino che spesso si sente responsabile
dei problemi della sua famiglia. Curare la continuità con la famiglia rappresenta una delle
priorità nelle scelte della comunità educativa. Si realizza, ad esempio, organizzando in modo
razionale le visite dei genitori ai rispettivi figli, favorendo quelle situazioni di maggiore
disponibilità dei genitori ad accompagnare il bambino in comunità, garantendo una presenza
costante, un punto di riferimento per il bambino. Si pianifica un progetto personalizzato per
ogni ragazzo che prevede le attività e gli impegni di ciascuno di essi. Infatti, oltre alla
frequenza scolastica, sono previste delle attività pomeridiane extrascolastiche da svolgersi in
strutture esterne alla comunità. Lo scopo principale è rappresentato dall’opportunità di
costruire delle sane relazioni con i coetanei e promuovere amicizie e conoscenze. Nella
comunità si instaurano buone relazioni tra i componenti e discrete relazioni di amicizia, di
condivisione della “sfortuna”. Qualche volta si verificano delle situazioni conflittuali o, al
contrario, di eccessiva vicinanza empatica. Le relazioni con il territorio sono buone rispetto
all’organizzazione delle attività ricreative, sportive, parrocchiali. Nelle relazioni con il
contesto scolastico a volte si evidenziano alcune difficoltà nella collaborazione reciproca.
44
Alcuni ragazzi vengono supportati nell’apprendimento scolastico dagli insegnanti di
sostegno. Le difficoltà principali che emergono a scuola e che ostacolano l’apprendimento
risalgono a cause di deprivazione socio-ambientale vissute. Generalmente per l’inserimento
scolastico si adotta un criterio di distribuzione in varie scuole, per evitare la concentrazione
dei ragazzi nelle stesse classi e favorire la socializzazione con altri coetanei esterni alla
comunità. Si impatta con il problema dell’accettazione che dipende dalle persone e dalla
predisposizione all’accoglienza dei singoli. Sia la scuola che le altre agenzie educative sono
consapevoli, però, della rilevanza del servizio reso in comunità e della complessità del suo
dispiegarsi.
Bisogna assumere una nuova prospettiva culturale di promozione dell’affido e una visione
prospettica della cultura dell’accoglienza. Necessario risulta, inoltre, il tentativo di
recuperare il rapporto con la famiglia di origine. Si esce da queste situazioni problematiche se
c’è un recupero delle relazioni affettive. La comunità trae vantaggio dalla collaborazione con
una rete di professionisti esterni che supportano gli interventi educativi e offrono un
sostegno alla realizzazione delle finalità del progetto personalizzato. Inoltre è previsto un
servizio di consulenza di esperti nella fase valutativa di ciascun ragazzo. Questo contesto di
supervisione offerto, così come le occasioni di seminari specifici di formazione o gli incontri
dell’equipe interna stessa, costituiscono momenti di valide opportunità per la formazione
professionale degli operatori della comunità.
E’ fondamentale curare la fase seguente al periodo di affido promuovendo un lavoro di
mediazione per seguire la fase di passaggio. A volte gli interventi di accompagnamento e
orientamento vengono richiesti dal giudice del tribunale dei minori, dai servizi sociali o
dall’associazione stessa. Un ulteriore supporto a garanzia della promozione della continuità
educativa è costituito dalla realizzazione di momenti di incontro e di festa con le famiglie. Le
tre situazioni possibili che si ravvisano al termine dell’esperienza vissuta all’interno della
comunità sono:
-L’affido etero familiare
-Il rientro in famiglia di origine
-L’autonomia
45
E’ difficoltoso tessere una rete di collaborazione con il territorio e con gli enti in genere; c’è
stato un tentativo di “censire” e dare omogeneità a queste realtà nella provincia allo scopo
di trovare criteri comuni. Discrete sono le collaborazioni con altre strutture di comunità del
territorio. La difficoltà di più difficile realizzazione consiste nel lavorare in rete con gli altri
soggetti coinvolti nell’affido e nel lavorare per progetti. Ogni situazione meriterebbe un
approccio multidisciplinare, di condivisione dei progetti. Necessaria anche la distribuzione
razionale delle risorse e il raccordo in rete dei vari elementi verso un unico obiettivo. Un
altro problema consiste nella carenza di una politica dell’affido seria delle istituzioni, fatti
salvi alcuni tentativi individuali delle comunità. Oggi il bisogno di strutture, di supporti è
urgente e cresce in modo proporzionale alla destrutturazione della famiglia attuale, alla sua
fragilità e alla mancanza di risposte valide al suo interno. Le motivazioni di richiesta di aiuto
sono molteplici. La vita nella comunità educativa costituisce una fase di riflessione ma
bisogna aiutare e coadiuvare effettivamente le famiglie dei ragazzi così come quelle disposte
all’accoglienza e all’affido. Occorrono valide strategie per evitare che le situazioni diventino
croniche e debordino in forme di assistenza permanente. Le comunità e l’associazione
sperimentano quotidianamente un notevole senso dell’accoglienza e della gratuità che
fanno parte del suo bagaglio di tradizioni. Un aspetto di eccellenza dell’associazione consiste
nella qualità della sua organizzazione. E’ evidente che per mantenere degli standard
qualitativi i costi sono alti. Lo sforzo per mantenere questi standard è notevole. Un segnale
di apprezzamento del servizio consiste numerose richieste di accoglienza nelle comunità. Il
quadro sinottico della Tavola 5 ripercorre i passaggi principali:
STILE EDUCATIVO DELLA COMUNITA’ EDUCATIVA
-
Accoglienza
-
Osservazione e definizione dei bisogni
-
Riduzione del trauma da allontanamento,
-
Non demonizzazione della famiglia,
-
Riduzione del senso di colpa del bambino,
-
Sostituzione la famiglia per un periodo di tempo in attesa di una prognosi sulle
46
competenze genitoriali.
AZIONI PROMOSSE
-
Chiarificazione sui motivi che hanno portato all’inserimento
-
Progetto personalizzato per ogni ragazzo
-
Terapia occupazionale, collaborazioni con artigiani, manifatture, per avere
visibilità nel territorio
-
Recupero del rapporto con la famiglia
-
Recupero delle relazioni
Organizzazione visite dei genitori.
BISOGNI DEL MINORE
-
Relazioni di amicizia, condivisione della sfortuna,
-
Autonomia
-
Percorso scolastico
-
Alfabetizzazione
-
Relazione affettiva con la famiglia d’origine
PUNTI DI FORZA
-
Senso dell’accoglienza e della gratuità
-
Qualità della organizzazione
-
Continuità degli operatori
-
Centralità ai bisogni del bambino
-
Formazione degli operatori
-
Consulenza di esperti per la fase valutativa
PROBLEMI APERTI
-
Difficile rete di collaborazione con il territorio
47
-
Risposte poco condivise e calibrate dei servizi sociali
-
Scarsa distribuzione razionale delle risorse
-
Necessità di approcci multidisciplinari
-
Assenza di una politica dell’affido
Tav. 5 Quadro sinottico
48
4. COMUNITÀ EDUCATIVA “SAN GIULIANO”37
La responsabile della comunità38 ha illustrato le caratteristiche della comunità e le finalità
perseguite.
Le modalità di affido coincidono con quelle delle altre comunità, familiari o educative. I
servizi sociali e il tribunale si assumono la responsabilità di proporre e di definirne le
modalità. Il servizio propone l’affido e la comunità fa una valutazione in base alla storia del
ragazzo e al tipo di intervento, al fine di valutare se la comunità è in grado di soddisfare le
esigenze del ragazzo e della famiglia.
Il ragazzo è accolto fino alla maggiore età, nella maggior parte dei casi.
Poiché ci sono molti ragazzi stranieri si aspetta che vengano affidati ai parenti. Spesso i
ragazzi arrivano in Italia da soli per cui non sono previsti incontri con la famiglia di origine.
Diversamente, se è possibile, si concedono i permessi per incontrarsi con i parenti. Dipende
dalle etnie: quelle di origine albanese, macedone, spesso hanno la famiglia.
Si favorisce il rapporto con i familiari anche se sono in affido per disagio familiare.
Se il progetto quindi è per dare tempo alla famiglia di origine di adeguarsi, si concorda con i
servizi la modalità per l’approccio con le famiglie.
L’obiettivo, comunque, è l’autonomia. L’80% dei progetti è orientato ad aiutare i ragazzi a
essere autonomi, con documenti in regola e con i permessi per motivi di lavoro.
Se vengono in comunità è perché le situazioni familiari spesso sono multi problematiche.
Quindi bisogna dare più strumenti per “tenere le distanze”, per non lasciarsi coinvolgere da
quei problemi. I ragazzi provengono sia dalla famiglia d’origine che da altre comunità o
famiglie affidatarie.
Hanno già vissuto il trauma dell’abbandono e del rifiuto o situazioni di controllo del loro
comportamento molto scarso e con poche regole da rispettare.
37
Fa parte della Associazione Mondo Minore - ONLUS, nata nel 1999 all’interno della Comunità di Capodarco di
Fermo. E’ una struttura autorizzata per la seconda accoglienza di adolescenti di sesso maschile in una fascia di età tra i
15 e i 18 anni non compiuti. Nonostante sia autorizzata anche alla pronta accoglienza, non viene praticata.
Attualmente accoglie prevalentemente adolescenti stranieri.
38
La dottoressa Cinzia Bonifazi
49
Gli stranieri arrivano in Italia con l’obiettivo di andare a lavorare ma non in modo stabile in
quanto hanno intenzione di ritornare nel loro paese.
Sono i minori stranieri non accompagnati, arrivano senza documenti, senza adulti.
Vengono presi in carico dai servizi sociali. Il tribunale li affida ai servizi sociali con decreti
evitando l’espatrio. La famiglia non è idonea ad accoglierli. Quelli di origine afgana o iraniana
sono spesso soli, senza famiglia.
Quelli provenienti dal centro Africa non hanno intenzione di portare i familiari, a differenza
di quelli del nord Africa.
Alcuni ragazzi sono stati già in prima accoglienza in strutture di pronta accoglienza (a livello
regionale siamo in collegamento).
Gli educatori rispettano una turnazione che garantisce una organizzazione più strutturata.
Sono sei, dormono anche in comunità, si alternano. Uno è garantito nelle ore notturne.
Dalla tarda mattinata al dopo cena il turno prevede la presenza di due educatori. Essi
generalmente hanno una formazione a carattere sociale e pregresse esperienze di lavoro nel
sociale come operatori di comunità.
Il personale è quasi esclusivamente maschile (c’è solo una educatrice e la responsabile).
La giornata è diversificata: essendo una comunità di tipo familiare,caratterizzata da
specifiche modalità educative, non è una comunità strutturata, si dà rilievo alla singolarità e
alla quotidianità, anche se sono previste delle attività da svolgere insieme. Il rapporto è
diversificato in base ai bisogni. Per esempio, c’è il ragazzo che vuole lavorare, il ragazzo che
vuole andare a scuola ma non ha competenze particolari.
Quindi bisogna individualizzare i progetti in base alle possibilità del ragazzo. Poi ci sono gli
aspetti di vita comunitaria con la famiglia. Per esempio, per scelta non è previsto un aiuto
per i lavori domestici, sia per una questione economica ma anche per responsabilizzare i
ragazzi insieme agli educatori per condividere, compartecipare alla quotidianità delle attività
della casa.
Gli educatori non sono i genitori o i fratelli, sono adulti di riferimento.
50
Gli schemi rigidi danno sicurezza ai ragazzi e agli educatori, però sono gabbie che rischiano di
non dare autonomia.
Ci sono regole base, poche, su quelle non si transige: il rispetto reciproco, il vivere in
comunità senza individualismi, lavorare per progetti condivisi. Si stipula un contratto che
aiuta a dare una direzione. I ragazzi possono uscire da soli (dopo un periodo di
osservazione). Se sbagliano c’è la punizione dell’educatore.
Le attività e il progetto educativo
La difficoltà maggiore si ravvisa con gli stranieri a causa della discrepanza nei tempi: i ragazzi
hanno 16 o 17 anni per cui vi è solo la possibilità di inserirli a scuola (perché il permesso di
soggiorno non permette di inserirli nel mondo del lavoro; è un permesso di soggiorno per
minore età di prassi, che non permette di avviare a un contratto di lavoro).
Ciò fino a quando il tribunale non emette il decreto, poi si inoltra alla questura il permesso di
modificare il permesso per lavoro.
Si dovrebbe appurare anche che abbia assolto l’obbligo scolastico, ma i ragazzi stranieri non
hanno fatto questo percorso. Se l’hanno fatto occorre una dichiarazione in lingua originale
della scuola e la traduzione in italiano.
Quindi occorre un percorso individualizzato: se c’è un ragazzo non secolarizzato, l’obiettivo
consiste nell’ inserimento in attività lavorative ma occorre un nulla osta di avviamento al
lavoro in deroga all’obbligo scolastico.
I lavori che si trovano sono quelli di piccolo artigianato, attività di elettricisti, idraulici, operai
nel settore edile.
L’ ostacolo principale si ravvisa nell’essere minorenni. I ragazzi vengono assunti come
apprendisti ma non possono svolgere determinate mansioni. L’azienda deve essere
autorizzata ad assumere minorenni.
Le maggiori difficoltà riguardano i tempi burocratici molto lunghi.
Dal decreto di affido al permesso di soggiorno richiesto alla questura trascorre quasi un
anno, per cui il ragazzo vive una situazione di attesa e di sospensione.
51
In comunità c’è un ragazzo che frequenta la scuola secondaria di primo grado e uno il corso
serale per il titolo di scuola secondaria di primo grado.
Per apprendere l’italiano ci si avvale dei corsi di alfabetizzazione lingua italiana esterni.
Nella comunità si lavora tutti i giorni per l’apprendimento della lingua utilizzando diversi
materiali didattici: al mattino si fanno due ore di attività di italiano.
I ragazzi praticano le attività sportive, utilissime per creare degli impegni e generare
motivazione. Essi, infatti, hanno nostalgia, pensano alla famiglia, partono con aspettative ma
poi si rendono conto che non è facile, pensano di iniziare subito a lavorare, sanno che
andranno in comunità ma pensano che sia soltanto per un periodo di due o tre mesi, si
sentono inutili. Anche se hanno soltanto17 anni hanno già lavorato e nel loro paese erano
autonomi, ora si sentono inutili, alcuni sono molti orgogliosi e non accettano questo stato di
inattività.
Le attività sportive sono diversificate(calcio, pugilato, arrampicata, danza, musica …), in
squadre diverse per far in modo che conoscano altre persone
Hanno una paghetta mensile per le loro spese. Generalmente mettono da parte i soldi per
acquistare il cellulare.
Alcuni si adattano e subiscono, altri hanno entusiasmo e speranza. Per alcuni di loro è
influente anche la questione religiosa. Generalmente preservano la loro cultura e la loro
tradizione. Se ci sono 3 o 4 ragazzi di religione musulmana nascono i confronti su come
stanno vivendo la religione. Il gruppo etnico è ricercato, si sentono forti ma allo stesso
tempo è limitativo. I confronti non sono facili tra loro. Essi vivono una distorsione a livello
socio-culturale: si intrecciano e si confrontano abitudini e tradizioni diverse.
Un obiettivo importante della comunità consiste nel dargli tutte quelle possibilità di una vita
dignitosa, dargli opportunità e far in modo che siano orgogliosi di stare in comunità.
Le relazioni con il territorio sono fondamentali per creare reti aggregative, reti di contatto
per lo svolgimento delle attività ludiche (ad esempio: vanno in discoteca una volta al mese o
al cinema). La comunità usufruisce di convenzioni e di sconti. Si favorisce la possibilità di
stringere amicizie con ragazzi esterni e con ragazzi di altre comunità (ad esempio si
organizzano dei tornei di calcetto, delle sfide e si tessono le reti per inserirli nel territorio).
52
Le reti per l’inserimento lavorativo sono fondamentali. Esse funzionano con il sistema del “
passa parola” con l’associazione. Si fa riferimento anche a “Il centro di ascolto” che cura
l’accoglienza e il sostegno agli adulti e quindi mantiene i contatti con il territorio.
Tutti i giorni i ragazzi sono impegnati in attività di volontariato presso la mensa della
“Caritas”:aiutano in cucina, servono a tavola, apparecchiano.
Le risorse economiche della comunità consistono nelle quote date dai servizi sociali. I costi
dell’ affitto, le spese di utenza, dei generi alimentari, e di abbigliamento, però, sono molto
alti. Incidono in modo significativo i costi dei dipendenti. Ogni mese si presentano delle
spese extra, come ad esempio quelle sanitarie.
I servizi sociali sotto questo aspetto sono tassativi e non danno degli extra. A volte si ravvisa
la necessità di un sostegno psicologico o psichiatrico e si ricorre a personale esterno. Esiste
anche una convenzione con degli operatori e la possibilità di fare riferimento alle reti di
amici e conoscenti che possano intervenire.
La comunità, inoltre, usufruisce della collaborazione di un supervisore esterno e di un
formatore che, periodicamente, incontra il personale di tutte le comunità educative.
Inoltre è prevista una supervisione interna in quanto una persona esterna, rappresentata dal
responsabile dell’associazione “Mondo minore” di un’altra comunità, a volte partecipa alle
riunioni di equipe. E’ questa una modalità funzionale in quanto consiste in un “occhio
esterno” che osserva e valuta senza condizionamenti.
La continuità del percorso
La rete dei servizi territoriali rappresenta una fonte di ricchezza professionale per garantire la
giusta calibratura del servizio reso in risposta alla specificità di ciascuna situazione.
Funzionale, ad esempio, l’opportunità di effettuare dei “passaggi interni”: dalla comunità
familiare a quella educativa per tempi brevi, per vivere in modo non traumatico
l’inserimento del ragazzo.
Inoltre, se la famiglia affidataria conosce e vive la comunità il passaggio è meno traumatico.
Un’altra possibilità sperimentata consiste nell’accompagnare il ragazzo che, nonostante
abbia compiuto 18 anni e, per legge, dovrebbe essere allontanato dalla comunità,
53
proseguendo l’accoglienza se non ha ancora trovato un lavoro. In alternativa si propone il
passaggio nell’associazione per gli adulti. Questa garantisce un alloggio, per un periodo di
tempo concordato. Si offre al ragazzo la possibilità di cercare il lavoro o una casa in affitto,
in base alle sue possibilità concrete.
Questa fase di “sgancio” non è riconosciuta economicamente, né supportata e riconosciuta.
Inoltre, se il ragazzo è semi autonomo perché ha già un lavoro che gli consente di far fronte
alle sue necessità, non può essere allontanato dalla comunità se non ha compiuto 18 anni.
E’ questa una grande incongruenza del sistema. A volte accade che i ragazzi sono già
maggiorenni ma preferiscono dichiararsi minorenni perché temono di dover lasciare la
comunità, oppure non hanno i documenti per stabilire l’età anagrafica ma sono già
maggiorenni.
Gli obiettivi
Si lavora per la costruzione del senso di fiducia e della sincerità reciproca.
Bisogna offrire ai ragazzi un’alternativa, dare affetto e sperare che a un certo punto si
“accenda la lampadina”.
Devono sperimentare di non sentirsi giudicati, bisogna credere in loro e nella possibilità di
cambiare.
Spesso si sentono spacciati, impotenti e destinati a delinquere. Sono abili a dire che tutte le
loro azioni dipendono e sono conseguenza della condizione di vita in cui versano.
L’obiettivo consiste nel far scoprire di avere le potenzialità positive per realizzarsi e per
crescere.
Occorre che gli educatori assumano un atteggiamento di accettazione e di stima astenendosi
dal giudicare.
La responsabile della comunità, infine, afferma che non bisogna camminare davanti al
ragazzo e dirgli di seguire la nostra strada e neanche seguirlo e coprire gli errori che
commette, ma occorre camminare al suo fianco e vigilarlo affinché trovi il suo spazio, la sua
giusta strada e tiri fuori le sue risorse.
54
Ciò vale anche per quei ragazzi che fanno uso di droghe o che hanno commesso dei piccoli
reati.
RISORSE
NUMERO
TEMPI DI ACCOGLIENZA
MASSIMO
DI MINORI
ACCOLTI
6 educatori
10 dai 15 ai
Fino al raggiungimento della
18 anni
maggiore età
Collaborazione
di un
supervisore
esterno e di
un formatore
Rette di
mantenimento
Convenzioni
Reti per
l’inserimento
lavorativo
Caritas
Centro di
ascolto
55
STILE EDUCATIVO
AZIONI PROMOSSE
DELLA COMUNITA’
Costruzione del
BISOGNI DEL
MINORE
Progetti individualizzati
Autonomia
Aspetti di vita
Stabilità
comunitaria
Fiducia
Stipula un contratto
Cambiamenti
educativo
positivi
Aiuto per far emergere
Occupazione
le potenzialità
lavorativa
senso di fiducia.
Possibilità di una
vita dignitosa, dare
opportunità
far in modo che i
ragazzi siano
orgogliosi di stare
in comunità.
Rispetto reciproco,
vivere in comunità
senza
individualismi,
lavorare per
progetti condivisi
Atteggiamento di
accettazione e di
stima
PUNTI DI FORZA
PROBLEMI
APERTI
Valutazione
Tempi burocratici
56
esterna periodica
molto lunghi
Rete dei servizi
Difficoltà di
territoriali
copertura dei
costi
Accompagnamento
del minore in una
fase di “sgancio”
Attività di
volontariato
Tav. 6 Tabelle sinottiche
57
5. COMUNITA’ FAMILIARE “BEATO GIOVANNI DELLA VERNA”39
La famiglia responsabile di questa comunità ha assunto ormai da diversi anni lo stile di
accoglienza e di sostegno, aprendo la sua casa all’ospitalità e all’accoglienza di soggetti in
minore età.
Attualmente accoglie 3 ragazzi in età compresa tra i 6 e i 12 anni al momento in cui sono
stati inseriti in prima accoglienza e che attualmente hanno rispettivamente 9-15 e 17 anni.
Lo stile educativo che caratterizza la comunità consiste nel predisporre una situazione il più
possibile simile a quella della famiglia naturale.
I bambini e i ragazzi accolti esprimono il bisogno di normalità e necessitano di relazioni
umane significative concorrenti alla costruzione della personalità. La finalità principale
all’interno di tale situazione di accoglienza e protezione consiste nel sostenerne la
strutturazione dell’autostima, del sé e nell’ accompagnare i ragazzi in questo percorso.
Accogliere, dunque, e dare la possibilità di crescere.
Nell’ offrire le giuste opportunità in una condizione familiare naturale, spontanea in cui il
ragazzo percepisce di stare dentro a una famiglia, con i ritmi familiari quotidiani,
condividendone gli spazi, le regole e i ritmi.
Con i bambini piccoli è più immediata la soddisfazione, più difficile con
l’adolescente che attraversa una fase delicata del suo percorso di vita e che spesso manda in
crisi, assume atteggiamenti di sfida, cerca spazi di libertà, contesta le regole. A volte con loro
si può sperimentare l’insuccesso. Si crea comunque un legame affettivo. Occorre tempo,
indugio, pazienza, cura nelle relazioni. Bisogna osservare i comportamenti, essere vigili,
notare i piccoli cambiamenti. Quella dell’accoglienza si rivela una scommessa, una ricchezza
a lungo termine.
Per i propri figli, quando sono piccoli, accogliere un nuovo bambino costituisce un momento
di festa, una novità rispetto alla quotidiana routine. Da grandi diventano diffidenti, dubbiosi
-
39
Comunita’ familiare “Beato Giovanni della Verna”: fa parte della Associazione Mondo Minore - ONLUS,
nata nel 1999 all’interno della Comunità di Capodarco di Fermo per promuovere l’accoglienza dei minori in
difficoltà attraverso l’affido familiare, le comunità familiari e le comunità educative.
58
e meno entusiasti perché, essendo cresciuti, hanno acquisito maggiore consapevolezza delle
difficoltà che l’accoglienza può comportare, della necessità di una maggiore
responsabilizzazione e di condivisione. Il momento iniziale della prima accoglienza, infatti, è
difficoltoso, limita, comporta una riorganizzazione dei rapporti, degli spazi, dei tempi e dei
ritmi.
Quello dell’accoglienza è uno stile che mette in discussione.
Se, quindi, all’interno del nucleo familiare, seppure con le difficoltà quotidiane che ogni
famiglia incontra nel suo naturale ciclo di vita, si predispongono le condizioni affinchè il
minore sperimenti relazioni familiari sane e autentiche, più delicate e complesse sono quelle
fuori dal gruppo familiare, con l’esterno, con la scuola, nei contesti in cui il ragazzo si
relaziona. La prima relazione affettiva da tenere in adeguata considerazione è quella con la
famiglia di origine. I ragazzi hanno occasioni di visita e di incontro con la famiglia naturale in
occasione delle festività, delle domeniche. Il rispetto delle relazioni affettive familiari è
assolutamente necessario. Quello che manca ai ragazzi accolti è la continuità degli affetti, la
quotidianità della loro manifestazione. La comunità tende alla compensazione delle carenze
e si adopera per la costruzione di un patrimonio dei bei ricordi per mezzo di una terapia
familiare, con gli stessi progetti e gli stessi interventi promossi per i figli naturali.
Per quanto riguarda l’inserimento scolastico, è più semplice tessere una rete di rapporti
positivi e proficui nelle scuola frequentate o che sono state frequentate dai figli naturali, in
quanto le relazioni sono già avviate, i soggetti coinvolti conoscono i reciproci stili di lavoro. Si
predispongono, così, le condizioni per una migliore ed effettiva continuità degli interventi
educativi.
Nei rapporti con i coetanei, i ragazzi della comunità hanno problemi quando vengono
etichettati, quando si sottolinea la loro condizione divergente rispetto a quella vissuta in una
“normale” famiglia. Riuscire a “confonderli” garantisce la possibilità di tessere rapporti
autentici e sani.
Il progetto individualizzato
Il Tribunale per i minorenni, accertata la necessità di allontanamento del minore dalla
famiglia, con la collaborazione dei servizi sociali del territorio di residenza del minore e in
59
base agli elenchi delle famiglie disponibili all’adozione e all’affido, emana un decreto di
affido della durata di due anni. In altre situazioni, quando si determina uno stato di urgenza
nell’allontanamento, il servizio sociale segnala la situazione al tribunale e propone una
soluzione. A volte c’è un provvedimento di urgenza del servizio poi ratificato dal tribunale.
I servizi sociali e la famiglia accogliente, coinvolgendo anche le famiglie di origine, redigono
un progetto annuale che predispone un piano educativo e che stabilisce i tempi
dell’accoglienza.
Le finalità consistono nella promozione e nel raggiungimento dell’autonomia del minore,
della costruzione della personalità e dell’autostima. Per quanto riguarda il percorso
scolastico, l’obiettivo consiste nel terminarlo nei limiti dell’obbligo scolastico.
Nel progetto generale si inserisce poi quello specifico e orientato alla ricerca di soluzioni ai
problemi personali, scolastici, psicologici del ragazzo.
Il progetto finisce quando il ragazzo diventa maggiorenne o quando è pronto per una vita
autonoma. (Decisione presa con decreto del tribunale).
A volte i ragazzi ritornano spontaneamente a trovare la famiglia che li ha accolti. Capita
anche che nelle comunità familiari l’affido si trasformi in adozione se il minore è in stato di
abbandono.
Rete e risorse
La famiglia viene supportata dai servizi sociali di residenza del minore con alcune figure
professionali come una psicologa che si occupa della supervisione del progetto, di un
operatore che lavora 5 giorni a settimana nel pomeriggio e aiuta nell’esecuzione dei compiti,
si occupa di accompagnare i ragazzi per lo svolgimento delle attività extrascolastiche nelle
varie sedi: palestre, scuole, parrocchie.
Se si verifica la condizione di sospensione della patria potestà viene nominato un tutore.
Il servizio stabilisce i rapporti con la famiglia di origine, le visite e i contatti.
Il Comune di residenza del minore contribuisce alle spese con una quota variabile,
l’associazione dispone, così, di una retta giornaliera e la famiglia affidataria percepisce un
rimborso spese giornaliero, la disponibilità del personale, dell’operatore pomeridiano, in
60
questo caso, retribuito dall’associazione. Se occorre contribuisce alle spese di affitto della
casa.
La comunità opera in sinergia con una rete di famiglie composta da 3 famiglie affidatarie e
da 5 famiglie disponibili all’affido, con le quali condivide lo stile educativo.
Problemi
Si lavora bene con il servizio se c’è una presa in carico e se vengono date delle indicazioni.
Spesso, però, si lavora poco sulla famiglia di origine e i problemi rimangono. Le famiglie,
infatti, sia quelle naturali che quelle affidatarie, dovrebbero essere sostenute,
accompagnate e aiutate.
A volte non si ricostruiscono le condizioni perché il progetto si realizzi pienamente.
A livello preventivo si interviene poco e si lavora soltanto sull’emergenza.
Nella tavola 7 sono riportati in modo sintetico i dati emersi:
RISORSE
NUMERO
TEMPI DI ACCOGLIENZA
MASSIMO
DI MINORI
ACCOLTI
Un supervisore:
4
Il decreto stabilisce un affido
psicologa
minimo di due anni
Un operatore per 5
Il progetto individuale stabilisce la
giorni a settimana nel
durata dell’accoglienza
pomeriggio
Rete di famiglie (3
famiglie affidatarie e 5
famiglie disponibili
all’affido)
Servizi dei comuni o dei
consultori dell’ASL del
61
territorio di residenza
del minore
rimborso spese
giornaliero
una unità di personale
ausiliario
STILE EDUCATIVO DELLA
AZIONI PROMOSSE
COMUNITA’
BISOGNI DEL
MINORE
Presa in carico totale della
Tessere rapporti
Normalità
situazione
Offrire situazione il più
Autonomia
Accoglienza
possibile simile a quella
Autostima
Terapia familiare
della famiglia
Costruzione della personalità
Dare la possibilità di
crescere
Rispetto della famiglia di
origine
Finire la scuola
Relazione
affettiva con la
Condividere spazi e
affetti
famiglia d’origine
Percepire di
Dare opportunità
stare dentro a
Costruire un
una famiglia
patrimonio dei bei
Confondersi tra
ricordi
gli altri coetanei
senza etichette
PUNTI DI FORZA
PROBLEMI APERTI
Patrimonio di ricchezza a lungo termine
Limitato funzionamento dei servizi
62
per la famiglia accogliente
sociali
Costruzione di legami affettivi
Difficoltà nella ricostruzione delle
Cambiamenti di stili individuali
condizioni perché il progetto si
realizzi
Scarso lavoro a livello preventivo
Lavoro limitato alla gestione dell’
emergenza
Allontanamento dei ragazzi grandi
Tav. 7 Quadri di sintesi
63
6. COMUNITA’ EDUCATIVA PER MINORI – CAMPOROTONDO (MC)40
La struttura alla sua nascita, era gestita dal GLATAD e così fino al 2008; ora la gestione è
passata alla cooperativa ASCOT. Si usufruisce della autorizzazione della comunità montana.
E’ una comunità mista che accoglie ragazzi dai 6 ai 18 anni. Al raggiungimento della
maggiore età, però, se il progetto non è ancora giunto a termine, gli ospiti possono
continuare a soggiornare in comunità.
Sono disponibili 7 posti e 1 per l’emergenza
Ci sono attualmente 5 ragazzi. (1 fa un progetto di rientro in famiglia). In passato sono stati
accolti dei ragazzi stranieri non accompagnati.
Prendendo in considerazione il periodo degli anni 2008/09, nella comunità erano accolti i
seguenti ragazzi:
1 francese
3 rumeni
2 albanesi
1 indiana
1 croata
1 irakena
2 afgane
1 cinese
1 keniana
+ ragazzi italiani
40
La struttura alla sua nascita, era gestita dal GLATAD e così fino al 2008; ora la gestione è passata alla
cooperativa ASCOT. Si usufruisce della autorizzazione della comunità montana.
64
Oggi, tra i 5 ospiti, 3 sono italiani e 2 rumeni (4 femmine e 1 maschio). La comunità è,
attualmente, prevalentemente femminile.
La comunità è piccola, gli ambienti sono aperti, a vista, per favorire l’incontro tra i ragazzi.
La diversità, rappresentata dal fatto di essere una comunità mista, è ben gestibile.
Generalmente ci sono ragazzi grandi (in passato sono stati accolti 5 bambini al di sotto dei 5
anni ma in emergenza).
Solitamente soggiornano i ragazzi grandi tra i 15 e i 18 anni.
Le risorse umane consistono in 8 educatori di cui 2 per sostituzioni a tempo determinato.
Sono laureati in psicologia o in servizi sociali. È una equipe giovane.
L’assistenza copre l’intera giornata, garantisce una presenza continua e la compresenza nel
pomeriggio. Spontaneamente emergono preferenze tra ragazzi e educatori. Si creano
situazioni favorevoli. In sintesi la composizione della equipe:
educatori
psicologo
coordinatrice (psicologa)
non c’è una supervisione esterna.
Il gruppo di educatori è stabile, l’organizzazione e la turnazione rispondono alle loro
esigenze. La rotazione funziona con il turno al mattino e notte, 2 giorni di riposo e il rientro
nel pomeriggio.
L’equipe si riunisce generalmente al mattino con un incontro a settimana. Si attiva, inoltre,
un incontro di equipe allargata, con la presenza dei ragazzi oppure si svolgono degli incontri
individuali.
Gestione dell’accoglienza:
-
in emergenza tramite assistente sociale (Spesso in emergenza il ragazzo viene accolto
accompagnato dalla polizia).
65
-
con ingressi preventivati con incontri con i servizi (La maggior parte degli ospiti proviene da
zone o comuni limitrofi, buoni i rapporti di confronto, scambio e collaborazione con la
regione Emilia Romagna).
In comunità si pone molta attenzione ad accogliere i giovani in un ambiente che dia stabilità
e continuità.
Trascorsi i primi due mesi di osservazione, inizia il percorso individualizzato.
Si redige il PEI, suddiviso in aree e condiviso con i servizi. Le aree su cui insiste sono quelle di:
-
Autonomia
-
Responsabilità
-
Livello scolastico
-
Rapporto con i pari/adulti/famiglia di origine
Il progetto viene aggiornato ogni semestre.
Tutti i ragazzi accolti frequentano la scuola (2 la scuola serale, gli altri gli istituti tecnici e le
scuole professionali). Anche se non c’è una comunità “sgancio” che cura l’uscita del
ragazzo e l’inserimento sociale, la comunità organizza delle attività finalizzate a ciò. Per le
ragazze attualmente vicine all’uscita dalla comunità, infatti, si sta cercando un’attività
professionale (tirocinio formativo della provincia). Generalmente la destinazione dei giovani
che escono dalla comunità è rivolta a un percorso di autonomia, consistente nel’avvio di una
attività lavorativa, o nel rientro in famiglia. Soltanto in casi di emergenza è previsto
l’ingresso in un’altra comunità.
La giornata tipo
Accompagnamento a scuola in pullman o pulmino
Impegni extrascolastici
Uscite per spese personali
Piccoli incarichi (pulizia, esterni, pulmino)
Aiuto in alcune mansioni di cucina.
66
Compiti pomeridiani
Attività di teatro: inteso anche come terapia con educatori specializzati. (i ragazzi hanno
realizzato uno spettacolo con invito a persone di riferimento personale).
Gli ospiti della comunità possono frequentare amici, invitarli o stare in paese a giocare a
biliardino.
Alcuni assumono un atteggiamento di pretesa rispetto alle loro autonomie, altri hanno
bisogno di essere spronarti ad attivarsi. I ragazzi gestiscono una piccola paghetta oppure gli
educatori comprano le sigarette per loro o altre cose. E’ nel contesto dell’equipe che essi
avanzano le richieste, valutate poi dall’equipe stessa. Anche i premi e le punizioni sono
presi in considerazione in base alla necessità e alle situazioni. L’area educativa si configura
come una azione di sostegno e di supporto. Le azioni non sono formalizzate in modo rigido
ma si sfruttano le occasioni che quotidianamente si presentano. I rapporti tra i ragazzi sono
ottimi, il gruppo è compatto, le relazioni che si instaurano sono forti e intense.
Per quanto riguarda il rapporto con le istituzioni scolastiche si organizzano degli incontri e
colloqui, oppure ci si avvale di contatti telefonici per le informazioni e gli scambi
comunicativi necessari.
Il rapporto con le famiglie di origine rappresenta un momento molto delicato. Esso viene
gestito con incontri tra i ragazzi e le famiglie organizzati all’interno della comunità. Gli
incontri con la famiglia sono previsti nel progetto e vengono curati e monitorati
dall’assistente sociale.
Si gestiscono anche i rientri; nel primo periodo di accoglienza si cura anche il sostegno alla
famiglia con il supporto dei servizi. Durante i periodi di vacanza e festività i ragazzi rientrano
a casa oppure, se il tribunale non autorizza il rientro, rimangono in comunità.
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7. COMUNITA’ “ MONDO MINORE” – CAPODARCO DI FERMO41
La comunità ha 8 anni, è stata aperta nel settembre 2001. E’ di tipo residenziale, maschile ed
accoglie u numero massimo di 10 ragazzi. (8 + 2 per la pronta accoglienza). In questo periodo
accoglie 9 ragazzi la cui fascia di età oscilla tra i 15 e i18 anni. Sono presenti anche i minori
stranieri non accompagnati ( 8 stranieri in questo momento)42.
Nel corso dei primi otto anni la comunità ha accolto ragazzi provenienti da:
Albania (in diminuzione negli ultimi anni) n. 16
Afghanistan n.15
Italia n. 11
Senegal n. 5
Rom n.4
Bangladesh n.3
Marocco n.2
Pakistan n.3
Sudan n.2
Algeria n.1
Egitto (in aumento) n.3
Totale 65 ragazzi (dal 2005 sono in aumento gli stranieri)
Attualmente gli ospiti provengono da: Afghanistan, Pakistan, Bangladesh, Albania. I ragazzi
sono destinati in comunità su segnalazione dei servizi sociali e del tribunale. Il ragazzo
41
Si veda Organigramma della Comunità di Capodarco di Fermo, p. 11 in Giaconi C., Nella comunità di
Capodarco di Fermo. Dalle pratiche all’assetto pedagogico condiviso. Armando, Roma 2012.
42
Sbraccia A.- Scivoletto C., Minori migranti: diritti e devianza – Ricerche socio-giuridiche sui minori non
accompagnati, L’Harmattan Italia, Torino 2004.
68
straniero in comunità conosce già il percorso comunitario e sa già che è destinato ad entrare
in una comunità.
Gli stranieri vengono con permessi per minore. Per i ragazzi italiani il percorso è simile ma
c’è un parte integrata. Hanno tutti il tutore. Il tempo di accoglienza è variabile.
Generalmente si attesta al raggiungimento dei 18 anni per i ragazzi stranieri e a
conclusione del progetto per quelli italiani. Per questi ultimi, in genere, si tratta di un
periodo di sviluppo di un progetto rieducativo. Gli ospiti rimangono in comunità da un
minimo di pochi giorni fino a 4-5 anni. In media la permanenza si assesta intorno ai 2 anni.
Hanno problemi con la famiglia, percorso esterno della famiglia e interno del ragazzo.
L’equipe di lavoro è composta da varie figure di operatori: 6 educatori e 1 responsabile, 1
assistente per le pulizie, 1 psicologo per necessità di supporto individuale a i ragazzi, 1
supervisore per gli educatori.
Giornata tipo:
I ragazzi che frequentano la scuola vengono accompagnati con pulmino o prendono l’
autobus.
Se non hanno i documenti rimangono a casa, fanno i lavori a turno e turni per le pulizie,
piccoli lavori, faccende.
Il sabato studiano italiano con un insegnante.
Le attività pomeridiane consistono in: studio e attività di inserimento sociale, esterne alla
comunità: sport, volontariato (per dargli opportunità di fare), iscrizione alla scuola guida,
contatti con l’esterno. I ragazzi vengono accompagnati e poi ripresi dopo le attività. Ciascun
ragazzo ospite della comunità può scegliere le attività da svolgere all’esterno, in modo
individuale, allo scopo di favorire l’inserimento personale del ragazzo e di assecondare le sue
preferenze.
Anche il servizio di volontariato o qualsiasi altra attività è scelta in base alle loro
predisposizioni.
Se i ragazzi lavorano una parte dello stipendio la tengono l’altra la depositano in conto
corrente.
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Progetto educativo
Si lavora per creare un rapporto di fiducia. Dopo il primo periodo di accoglienza e di un
mese di osservazione in cui il ragazzo rimane a stretto contatto con l’educatore, si avvia il
progetto individuale. Le finalità del percorso di accoglienza in comunità consistono nel
raggiungimento dell’ autonomia, nell’ inserimento sociale, nella conoscenza della lingua e
della cultura italiana. Lavoro, scuola e alfabetizzazione culturale sono, infatti, le parole che
accompagnano i progetti educativi dei ragazzi. I progetti per l’autonomia hanno come
obiettivi la conoscenza del paese, del territorio, la frequenza scolastica, che varia da almeno
2 anni di scuola o serale o media o frequenza dell’istituto IPSIA o dell’alberghiero o di un
tirocinio lavorativo.
Si predispongono gli incontri con la famiglia di origine. I ragazzi chiedono di effettuarli. A
volte prendono coscienza del fallimento di questi per motivi vari, altre volte entrano in
competizione con la famiglia. Bisogna lavorare per cercare la collaborazione con la famiglia.
Le problematiche sono diversificate, così come le azioni da intraprendere.
In un primo periodo esisteva una comunità di sgancio, ora si preferisce intraprendere un
lavoro di educazione all’accoglienza del diverso fuori dal contesto comunitario.
Ad esempio, i ragazzi che sono stati in comunità accolgono nelle loro case un ragazzo che ne
è uscito da poco. Un ragazzo di 18 anni che esce dalla comunità va a vivere in un
appartamento con altri ragazzi che possono aiutarlo nell’inserimento esterno. La comunità
possiede un appartamento occupato da 2 ragazzi afgani e 1 pakistano; ha anche un altro
appartamento a Fermo con 1 ragazzo bengalese, 1 sudanese, 1 algerino. I ragazzi ormai
maggiorenni hanno imparato a convivere in comunità. A loro volta diventano accoglienti,
autonomi perché lavorano e in grado di sostenere e aiutare gli altri. In altri casi i ragazzi
usciti dalla comunità costruiti una famiglia (coppie miste).
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8. COMUNITA’ “ICARO” – COOPERATIVA SOCIALE PARS – CORRIDONIA (MC)43
La comunità dispone di 10 posti (8+ 2 per la pronta accoglienza) . È una comunità mista.
Attualmente sono presenti 8 ragazzi (7+1), la cui età varia dagli 8 ai 17 anni. Sono tutti nati
in Italia ma con genitori stranieri. Soltanto 2 sono italiani. 5 provengono da allontanamento,
2 da altre comunità.
In questo periodo tra gli ospiti sono presenti due fratelli di 14 e 17 anni.
In questi anni la comunità ha accolto dei ragazzi stranieri in pronta accoglienza provenienti
dal comune. Quelli allontanati provengono da fuori provincia.
Gli stranieri non accompagnati li abbiamo in pronta accoglienza.
Si fa il permesso di soggiorno per minore età.
La pronta accoglienza si può tramutare in comunità educativa.
L’equipe
E’ composta da 1 responsabile e 4 educatori ( con turni di 8 ore ciascuno).
Si effettua un incontro di equipe settimanale con educatori, coordinatore, responsabile che
fa anche da supervisore. L’ incontro ha carattere educativo, finalizzato a parlare dei
problemi, delle dinamiche, a confrontarsi e a formare un gruppo coeso. Ogni 15 giorni si
svolgono i colloqui tra i ragazzi e la psicologa.
Si attivano anche gli incontri in comunità con la famiglia nel primo periodo.
Poi vere e proprie visite dopo 6 mesi, nel fine settimana.
Ogni ragazzo ha il suo educatore di riferimento scelto da noi ma si chiede anche al ragazzo
chi vuole. È il riferimento per organizzarsi.
43
Aperta dal 2007, comprende anche un centro diurno con il supporto di una assistente sociale.
71
Se i ragazzi hanno bisogno di aiuti esterni, si organizzano dei colloqui con il neuropsichiatra
dell’età evolutiva.
Giornata tipo
I ragazzi frequentano la scuola e vengono accompagnati ( 3 alle medie, 1 scuola
professionale per estetista, 1 liceo socio-pedagogico), 2 ragazzi lavorano con contratto di
apprendistato. I rapporti tra la comunità e la scuola buoni. Alcuni frequentano un corso di
italiano per stranieri in una scuola.
Nel pomeriggio svolgono i compiti, praticano attività, sport, calcio, piscina, catechismo.
Hanno degli incarichi e delle regole da seguire: devono cucinare, stirare, lavare.
Ci sono delle mansioni settimanali per un ragazzo a turno a settimana (piatti, apparecchiare,
bagni, cucina, pulizia casa). Mensilmente o ogni 2-3 mesi, ci sono responsabilità più grandi:
bucato, lavanderia, responsabilità della casa, dell’esterno.
Ogni ragazzo la mattina fa il letto. Alle 7 di sera la camera deve essere in ordine: armadio,
letto.
Se la stanza non è a posto si dà un richiamo e se alla fine della settimana ci sono molti
richiami, scatta una punizione. (tipo: una sigaretta meno, non mangi il dolce, non vedi la tv).
Non si usa il cellulare, soldi, non si dà la paghetta, non si permette l’uso di internet. Si
leggono le mail in presenza dell’educatore.
Sono concesse 5 sigarette al giorno e 2 telefonate da 10 minuti a settimana con i familiari.
Il progetto educativo
L’ accoglienza iniziale è seguita da un primo periodo di osservazione e di conoscenza
reciproca.
Il ragazzo quando entra in comunità, firma un patto di corresponsabilità. A i ragazzi a rischio
viene fatto sempre il controllo delle urine. Ogni ragazzo ha il Pei consono alla sua
situazione.
Per ciascun ragazzo si stila un progetto personalizzati anche per più di due anni.
72
I ragazzi sono ben integrati nel territorio. C’è una buona rete di volontari che supporta il
lavoro della comunità. Inizialmente i ragazzi non dicono mai dove vivono, con il tempo si
rasserenano.
Ad esempio invitano amici in comunità. Le uscite vanno conquistate con il tempo. All’inizio
non possono uscire, dopo 6/7 mesi se si comportano bene possono uscire (non tutti i giorni).
Inizialmente qualcuno sceglie la fuga, ma con il tempo si abituano e accettano la loro
condizione. I ragazzi che vengono in questa comunità, in genere vogliono rimanerci per
molto tempo. Gli attuali ospiti sono ragazzi che stanno qui da quasi 2 anni o che arrivano da
altre comunità.
Gli obiettivi su cui lavorare ripercorrono l’ area dell’autonomia, dell’indipendenza, della
responsabilità per affrontare il rientro a casa. I servizi lavorano con la famiglia ma il lavoro di
collaborazione è difficile. Il rientro a casa è abbastanza frequente.
Altre aree del PEI sviluppano la frequenza e la permanenza a scuola, il lavoro, le borse
lavoro.
La comunità ha attivato una rete con dei parrucchieri, con un centro sportivo, con negozi.
Quando i ragazzi compiono 18 anni sono liberi di scegliere se uscire dalla comunità o
rimanere.
Con quelli che escono si cerca di mantenere un contatto telefonico. L’autonomia economica
e il progetto di vita in autonomia è un percorso di difficile realizzazione.
73
9. COMUNITA’ – ASSOCIAZIONE SCUOLA DI DISCUSSIONE – CORRIDONIA (MC)44
La comunità è molto grande e ne comprende 3, di cui 2 per minori. Una si configura come un
alloggio per gestanti.
Una comunità è destinata agli adolescenti ed è femminile. La fascia di età va dai 13 ai 18
anni.
L’altra comunità è mista e ospita bambini da 0 a 10 anni.
La provenienza è quella standard, cioè dalla segnalazione dei servizi sociali, sulla base di un
provvedimento del sindaco. La maggior parte dei minori proviene dalla segnalazione del
tribunale.
Attualmente sono accolte 7 ragazze nella comunità femminile, 4 nella comunità per piccoli,
senza madri e ci sono alcune mamme con figli: 2 mamme con 3 figli.
I minori frequentano l’asilo, la scuola materna, la primaria, le medie e le superiori. I
rapporti con la scuola sono buoni. A scuola sentono la necessità di confondersi tra gli altri, e
di non essere etichettati come “i ragazzi della comunità”.
Nel periodo scuola media è più frequente l’etichettamento, mentre non succede all’asilo e
alla scuola materna.
Il progetto educativo
Ogni minore accolto ha un progetto educativo individualizzato, in cui sono stabilite le regole
di convivenza e gli interventi di cura da tutti i punti di vista: personale, psicologico,
relazionale.
Il periodo di accoglienza inizia con un mese di osservazione a cui segue la redazione del PEI,
in collaborazione con il servizio sociale.
Il Piano Educativo Individualizzato è suddiviso in aree: dell’autonomia, dell’ inserimento a
scuola, delle attività pomeridiane, dell’autonomia.
44
La responsabile è Suor Domitilla.
74
Ciascun ospite della comunità assolve alcuni compiti, turni di pulizia, apparecchiare, ecc.
Sono predisposte delle regole di comportamento o che riguardano le uscite (in base al
progetto e con orari stabiliti), i rientri a casa se i ragazzi possono effettuarli.
Per molti minori accolti si predispone un affiancamento alle famiglie di sostegno, dalle quali
il minore può trascorrere il fine settimana. In passato qualche famiglia di sostegno è
diventata poi affidataria. La comunità decide per la famiglia di sostegno, se il minore la
accetta.
L’equipe
L’equipe è composta da 2 coordinatori psicologi, dagli educatori, da 1 responsabile legale
Si organizza una riunione di equipe settimanale per monitorare e seguire il processo
educativo.
Si effettua una riunione con le ragazze una volta a settimana per discutere delle difficoltà,
dei problemi e delle decisioni prese per loro. Si cerca di responsabilizzare le mamme, con le
quali si fanno dei colloqui individuali per attuare una collaborazione, per promuovere in loro
la responsabilità nella funzione materna e per definire il loro ruolo educativo.
Infatti, anche s e è sospesa la patria potestà, le mamme sono coinvolte nell’educazione.
Le mamme più autonome possono andare da sole ai colloqui scolastici, alle visite mediche,
altrimenti vanno con la psicologa.
La continuità del percorso
A 18 anni in collaborazione con il ragazzo creiamo occasioni per l’autonomia, si cerca un
appartamento, un lavoro e altre occasioni di svincolo e di autonomia.
Per i ragazzi che studiano si chiede un aiuto alla famiglia di origine o a quella di appoggio.
Il percorso dell’autonomia si costruisce individualmente anche con la collaborazione dei
servizi.
Molti giovani rientrano nella loro famiglia di origine. Se si aprono le possibilità dell’affido
eterofamiliare, la comunità fa riferimento ai centri per l’ affido, ai servizi sociali che
75
reperiscono la famiglia. Si favoriscono gli incontri anche dopo l’uscita dalla comunità, ma
generalmente se si è avviato l’ affido, i ragazzi si allontanano spontaneamente.
Dopo i 18 anni i ragazzi possono usufruire di una proroga, per permanere in comunità, solo
se con handicap o per gravi casi.
76
10. COMUNITA’ “ IL GAMBERO” e “ LA GEMMA” - PIORACO (MC)45
Attualmente questa comunità ha risentito di un decremento del numero di ragazzi accolti.
La comunità attualmente accoglie quasi esclusivamente i ragazzi stranieri non
accompagnati,
Non ci sono mai stati invii in comunità di minori allontanati dalla famiglia.
È una struttura caratterizzata oggi per l’accoglienza dei minori stranieri non accompagnati e
dal 2008 ragazzi che hanno commesso un reato penale, e con processi di messa alla prova.
Ce ne sono 3 in una struttura e 3 nell’altra.
L’età oscilla dai 16 ai 18 anni. Sono stati accolti in passato anche dei ragazzi in misura
cautelare che hanno commesso il reato quando erano minorenni,e che, divenuti
maggiorenni, hanno avuto la pena trasformata in misura cautelare.
Attualmente è accolto un ragazzo di 19 anni con un progetto di messa alla prova, per cui
rimarrà in comunità fino alla fine del progetto stesso.
C’è anche un ragazzo minorenne con il progetto di messa alla prova. Il progetto comprende
l’assolvimento dell’obbligo scolastico e la frequenza a scuola. Nel caso di un ragazzi accolto
in passato, l’obbligo scolastico era sostituito con la frequenza di una scuola serale e poi di
una scuola di formazione per parrucchieri.
I ragazzi svolgono anche attività di volontariato: per 2 ragazzi al canile di Camerino e per un
altro alla casa di riposo.
Un ragazzo va a scuola al mattino, gli altri la sera (terza media) a Matelica, con un corso
serale organizzato dal CTP. Il centro territoriale offre anche il corso di italiano per stranieri e,
45
Comprende due comunità: Il gambero che accoglie 10 ragazzi maschi (8+2 per la pronta accoglienza) e La
gemma che accoglie 9 ragazze (8+1 per la pronta accoglienza). Questa distinzione era più netta fino a qualche
anno fa, adesso, vista la richiesta di più posti al maschile, si accolgono prevalentemente ragazzi maschi. (2
ragazze nel 2008, 1 e 1 per 1 settimana in emergenza).
77
su richiesta dei ragazzi, dei corso di informatica, di lingua inglese (per perfezionare l’inglese
o per apprendere una lingua nuova).
Generalmente i ragazzi afgani amano studiare e sono molto motivati ad imparare le lingue,
invece i ragazzi di origine albanese hanno qualche difficoltà in più nell’impegno scolastico.
Attualmente la comunità ospita:
1 ragazzo afgano (in uscita perché maggiorenne e ha chiesto l’asilo)
4 albanesi (3 minori non accompagnati e 1 in messa alla prova)
1 indiano (in misura cautelare)
1 senegalese.
In passato sono stati accolti dei ragazzi più piccoli, di 10 anni, di origine afgana e altri due di
cui uno di 12 e uno di 13 anni. Il più piccolo è stato inserito in prima elementare e l’anno
scorso è stato collocato presso una famiglia affidataria.
Qualche volta si verificano delle fughe di alcuni ragazzi. Fuggono in concomitanza con fughe
da altre comunità. I ragazzi che fuggono sanno dove andare, perché sono in contatto tra loro
e con i ragazzi che vivono fuori dalle comunità. La comunità ha l’obbligo di denunciare la
fuga all’autorità giudiziale. La percentuale di ragazzi che ha superato i 6-8 mesi di
permanenza in comunità è minima perchè quando entrano qui sono già abbastanza grandi.
Pochi di loro soggiornano in comunità per più di un anno.
L’equipe
E’ composta da 12 educatori che effettuano i turni. La compresenza è prevista nel
pomeriggio.
In sintesi prestano servizio 2 educatori per ciascun turno (7 ore di giorno, 10 di notte).
C’è stato un turn over non esagerato. in 4 anni sono andati via pochi educatori. Infatti il
gruppo è molto stabile.
78
Il rapporto con gli educatori è particolare. È necessario avere operatori maschi. I ragazzi
hanno bisogno di riferimenti maschili.
Il personale educativo generalmente ha una laurea in psicologia o altre lauree, oppure ha
la qualifica di assistente sociale o di educatore professionale.
I rapporti con le amministrazioni comunali sono buoni e anche quelli con la scuola. La
comunità riceve delle donazioni di indumenti nuovi dall’ Unicef.
Il progetto educativo
Ha inizio con la fase di accoglienza che è legata all’età o al progetto di messa alla prova o
alla misura cautelare.
Il CGM gestisce la misura cautelare e l’USM si adopera per trovare la struttura.
Il centro di gestione della mediazione penale del tribunale chiama se c’è possibilità di
mediazione.
La procura chiede ogni 6 mesi una relazione sui minori. Il tribunale la chiede ai servizi sociali.
Per gli stranieri è chiesta ogni 3 mesi o si fissa un appuntamento con il ragazzo.
In definitiva ci sono due forme di accoglienza: quella programmata, che rappresenta la
modalità ideale e più proficua e l’accoglienza in situazioni di emergenza, gestita
dall’educatore in turno.
Si redige un progetto particolare per gli stranieri non accompagnati: lo studio dell’italiano e
la frequenza di corsi professionalizzanti, corsi di informatica e altro.
Per i ragazzi che hanno commesso un reato, se si trova nella situazione della misura
cautelare, nel progetto si propone o la frequenza della scuola o di un corso. Se il ragazzo ha
un percorso di messa alla prova, il progetto è redatto dalla comunità, in accordo con i
servizi.
La giornata tipo
Oltre alla frequenza della scuola, i ragazzi sono impegnati in varie attività da svolgere nella
struttura, come ad esempio sistemare gli spazi comuni e quelli personali.
79
Settimanalmente gli ospiti trascorrono un’ ora con gli educatori che seguono i ragazzi per
effettuare le pulizie in modo approfondito.
Inoltre si predispongono i turni per apparecchiare e sparecchiare la tavola. Il gruppo
attualmente ospitato nella comunità collabora molto.
Nel pomeriggio i ragazzi dedicano almeno un’ ora allo studio.
I ragazzi praticano delle attività sportive. C’è un accordo con le piscine comunali di Camerino
Alcuni ragazzi fanno richiesta di effettuare le attività calcistiche (il problema è che
frequentando la scuola serale non possono andare agli allenamenti). Il ragazzo con il
progetto di messa alla prova frequenta un corso di breakdance.
I ragazzi possono uscire dalla comunità nel pomeriggio, dapprima con l’educatore poi in
autonomia. Molti di loro chiedono di andare al CAG. Possono usare internet e il cellulare,
così come il computer per imparare a usarlo. Hanno una piccola paghetta (o scheda
telefonica o in euro). Si favoriscono i contatti con i coetanei, previsti in struttura o a casa. La
misura cautelare prevede anche le visite a casa. Si organizzano delle attività di laboratorio,
tornei di calcetto, vendita di prodotti realizzati dai ragazzi, per autofinanziarsi, allestendo un
mercatino.
Si organizzano anche delle gite.
Destinazione
I minori extracomunitari che hanno parenti in Italia se hanno chiesto l’affidamento prima
dei 18 anni, sono destinati a rientrare a casa dai familiari. Molti ragazzi, raggiunti i 18 anni
raggiungono i parenti.
Gli afgani chiedono l’ asilo politico oppure si inseriscono nel mondo del lavoro con delle
borse lavoro, per cui vengono pagati o si orientano nel tirocinio formativo.
Se sono di altre nazionalità, si pratica frequentemente l’ inserimento nel mondo del lavoro.
La comunità segue il percorso successivo all’uscita del ragazzo. Quelli che rimangono in zone
vicine alla comunità continuano a fare riferimento ad essa ad esempio per rinnovare il
permesso di soggiorno, oppure mantengono dei contatti con gli educatori attraverso le
telefonate o le visite.
80
In questa comunità in 4 anni sono stati accolti più di 50 ragazzi.
11. COMUNITA’ “FIGLIE DELL’ADDOLORATA” - PORTO POTENZA PICENA (MC)
E’ una comunità complessa perché composta da una comunità educativa che può ospitare 4
minori nella fascia di età tra 0 e 18 anni (per i maschi da 0 a 11 anni, per le femmine fino a
18 anni), inoltre vi è una casa famiglia per 4 persone e 2 posti di pronta accoglienza.
Attualmente la comunità ospita 3 bambini e una mamma. In passato sono stati accolti i
ragazzi stranieri non accompagnati che ora sono diminuiti. La provenienza dei minori è
riconducibile alla provincia di Ancona, a quella di Macerata o, in alcuni casi, da altre regioni.
L’accoglienza
I minori giungono in comunità accompagnati dalle forze dell’ordine, dai carabinieri oppure,
se c’è l’allontanamento dalla famiglia, vengono con il tutore o con l’ assistente sociale. La
richiesta dei servizi sociali è rivolta all’inserimento nella casa famiglia o nella comunità
educativa. Nella casa famiglia c’è una coppia che aiuta e supporta, però non c’è
coabitazione.
Si effettua un primo periodo di inserimento, 2-3 mesi di conoscenza, senza contatti con la
famiglia di origine. Ciò perché spesso la valutazione delle competenze genitoriali inizia in
ritardo rispetto all’allontanamento dei figli.
Poi inizia il percorso educativo. I ragazzi frequentano la scuola. All’interno della comunità c’è
la scuola materna e l’asilo nido. I bambini vengono subito inseriti a scuola, con la quale si
instaurano ottimi rapporti di collaborazione. Gli educatori si recano a i colloqui e vengono
accompagnati dai genitori dopo un anno e mezzo di permanenza qui in comunità.
Nel paese non c’è etichettamento. I bambini e i ragazzi fanno amicizia, partecipano a feste,
invitano qui in comunità. C’è una rete spontanea di famiglie che aiutano così come le
insegnanti. Le maestre e gli insegnanti si informano, partecipano. E’ attivo un servizio di
doposcuola per i bambini e i ragazzi a rischio devianza. C’è anche un centro di aggregazione.
L’equipe
81
E’ composta da 3 educatori che prestano servizio al mattino, 1 psicologa, 1 assistente sociale
e le suore dell’addolorata. Ci si avvale anche di interventi esterni per le consulenze.
Si organizza un incontro di equipe settimanale per discutere i problemi che emergono e le
situazioni. Gli educatori hanno dei colloqui quotidiani con i bambini.
La giornata tipo
I ragazzi più grandi vanno a scuola da soli con il pullman. Nel pomeriggio i ragazzi fanno i
compiti con 3 educatori che li seguono insieme alle suore.
Oltre alla frequenza della scuola i bambini e i ragazzi svolgono delle attività extrascolastiche,
come ad esempio i corsi di pallavolo, di calcio. La comunità ha una convenzione con la
scuola di danza.
Si attiva anche la colonia estiva aperta a tutti.
I ragazzi soggiornano in camere autonome a 2 letti con bagno. La casa ha un ampio spazio
verde, una sala giochi e spazi aperti per i bambini.
In comunità si osservano delle regole: la collaborazione reciproca, il dovere di ordinare la
camera, di aiutare ad apparecchiare.
Il progetto educativo
E’ individualizzato. Si cerca di rendere partecipi i più grandi al progetto. La comunità attiva
un coinvolgimento dei servizi e dell’Asur. Il progetto è suddiviso in aree: quella
dell’autonomia, delle regole, della cura personale e dell’ igiene, del rispetto degli operatori e
degli ospiti, della costruzione dell’identità, dell’ inserimento in attività sportive, della
frequenza scolastica e dello studio. A volte si attiva anche un supporto psicologico ( in alcuni
casi gestito anche dall’Asur).
Si cura il rapporto con la famiglia di origine attraverso dei colloqui protetti in strutture, le
telefonate 1-2 volte a settimana, le visite alla famiglia il fine settimana, che si effettuano
soltanto dopo un certo periodo di permanenza in comunità. Gestire i rapporti con le famiglie
è un aspetto problematico perchè la famiglia ha un altro approccio rispetto alla comunità e
non è sempre facile dialogare. I bambini soffrono quando ritornano in comunità dopo le
visite perché vivono un senso di smarrimento.
82
Dopo la comunità
Dopo i 18 anni i ragazzi possono uscire per cui la comunità segue un percorso di
accompagnamento per l’ inserimento nel lavoro, offre anche un appartamento e un servizio
residenziale per i ragazzi più autonomi. La maggior parte rientra a casa ma sulla famiglia si
lavora poco. Alcuni ragazzi hanno paura di tornare a casa perché lì trovano instabilità.
Alcuni finito il periodo vogliono tornare in comunità perché si sentono protetti e sicuri.
Le ragazze che vengono dalla vita di strada vogliono tornare lì e fuggono dalla comunità
perché scelgono di prostituirsi per guadagnare.
83
12. COMUNITA’ EDUCATIVA PER MINORI – “L’ALVEARE” – POTENZA PICENA (MC)46
La comunità ospita 5 bambini + 1 in pronta accoglienza, è mista. L’età va dai 3 ai 12 anni. In
passato sono stati accolti 2 bambini stranieri di paesi dell’est.
Si accolgono bambini sotto i 3 anni soltanto in casi particolari (eccezioni del tribunale, anche
bambini piccoli con mamme). Sopra i 12 anni se in comunità ci sono i loro fratelli. I bambini
generalmente hanno il tutore perché la potestà è sospesa. Il tutore generalmente collabora
se c’è bisogno, ciò dipende dai casi. A volte non viene nominato il tutore o può essere
necessario nominare un curatore.
Le provenienze sono anche da fuori regione, a causa di allontanamento del tribunale dalla
famiglia stabilito con decreto. (Ci sono stati 2 rientri a casa o passaggi in altre comunità o
affido etero familiare, anche separando i fratelli). Si sono verificati soltanto dei brevi periodi
a pieno regime. Attualmente la comunità ospita 2 bambini: uno di 11 anni e uno di 4 mesi. Il
primo mese di permanenza in continuità non permette gli incontri tra minori e famiglie, poi li
stabilisce il tribunale. Oppure si organizzano degli incontri nel comune di residenza del
bambino (nel consultorio, anche per valutare la capacità genitoriale). All’ingresso a scuola
gli educatori si occupano della presentazione dei bambini alle insegnanti. Alcuni bambini
dicono di vivere in comunità, altri no e evitano di parlarne. Si cerca di non etichettare. Nel
fine settimana si fanno uscite, si va al cinema, al mare d’estate, si frequenta il catechismo.
Una volta usciti dalla struttura, si perdono i contatti a meno che i bambini e i ragazzi
spontaneamente chiedano di mantenere i contatti con la comunità.
Obiettivi:
Rielaborare la situazione difficile
Garantire benessere fisico- psichico
Frequentare la scuola, svolgere i compiti
Praticare le attività extrascolastiche anche con convenzioni con attività sportive
46
Fa parte dell’Associazione L’Alveare e d è stata autorizzata dal 2006.
84
L’equipe
Ci sono 4 educatori (3 ragazze e 1 ragazzo) e 1 coordinatore. Effettuano il turno in
compresenza a pranzo e cena. I bambini hanno come riferimento tutti gli educatori, ognuno
con il proprio stile.
Le riunioni di equipe hanno cadenza quindicinale. Il direttore coordina per le consulenze o
per la supervisione esterna (c’è anche un centro di terapia familiare,usato anche per gli
incontri protetti con i genitori). Le riunioni si distinguono in due tipologie:
-
Equipe organizzativa: per la gestione del bambino, le regole interne della comunità;
-
Equipe formativa: per le dinamiche educative degli educatori.
Si possono verificare anche casi di richiesta di CTU. Si organizzano anche dei colloqui in
piccolo gruppo o individuali. Si ricavano momenti per elaborare il vissuto, le emozioni e lo
spazio della dimensione psicologica.
85
13. COMUNITA’ “LA CASA SUL COLLE” – TOLENTINO (MC)47
E’ una comunità educativa che può ospitare 10 ragazzi dai 6 ai 17 anni (8+2 per la pronta
accoglienza). Si avvale di risorse esterne come le rette comunali, le donazioni.
Attualmente sono accolti in comunità 7 ragazzi nella fascia di età tra i 15 e i 17 anni.
La fascia prevalente è quella degli adolescenti, in affido con decreto; alcuni ragazzi entrano
in comunità con il decreto o con l’ ordinanza comune o su invio del tribunale.
Le tipologie più frequenti sono tre:
-ragazzi in comunità per problematiche legate alla famiglia (comportamenti devianti) affidati
dal tribunale.
- minori stranieri non accompagnati (attualmente 2) con decreto tribunale.
- invii dal centro di giustizia minorile (ragazzi che hanno commesso reati in fase GIP o con
disposizione di messa alla prova (il soggetto inviante è ilo ministero giustizia) da AbruzzoLazio- Molise e dal Servizio minorenni di Ancona.
Ci sono quelli in misura cautelare (cautela che può decadere dopo 6 mesi o con un
procedimento amministrativo)
Attualmente ce ne sono quattro: 2 con progetto di messa alla prova, 2 che arriveranno alla
messa alla prova per aggressione, violenza, spaccio, detenzione. Si richiede anche un
percorso di mediazione penale gestito dai servizi sociali e la comunità accompagna il
minore.
Se termina la messa alla prova (a 18 anni) i ragazzi possono proseguire la presenza in
comunità.
-
L’accoglienza in comunità dura 2 anni ma in media i ragazzi vi permangono 18 mesi. Essi
provengono :
-
da altre comunità( dalla pronta accoglienza che dura1/2 mesi, o perché c’erano problemi in
altre comunità, o i servizi sociali decidono di continuare il soggiorno in comunità o per
episodi di violenza, di fuga o trasgressioni o perché la comunità di provenienza accoglie una
fascia di età non più adeguata al ragazzo).
47
Fa parte dell’associazione GLATAD.
86
-
da casa, da affido familiare, da adozioni o dalla loro famiglia che sta attraversando un
periodo di disagio per una grave situazione familiare che provoca difficoltà nel gestire
l’educazione.
-
dal circuito dell’Asur che invia il ragazzo o da un consultorio o da una equipe con il
coinvolgimento della famiglia. Ci sono anche famiglie che richiedono la comunità.
La famiglia è difficile, non riconosce il fallimento. Il rapporto però è collaborativo.
PROGETTO EDUCATIVO INDIVIDUALIZZATO
Ha inizio con la fase di accoglienza in cui si dà lettura della relazione dai servizi, si ha un
incontro con il ragazzo o qui in comunità o si va a prendere o i servizi lo accompagnano, si fa
un patto di assunzione di responsabilità. Si danno le indicazioni al minore sulla vita in
comunità, sul regolamento che dovrà firmare per l’ accettazione delle regole. Poi si avvia un
periodo di conoscenza del minore.
Dopo un periodo di osservazione si elabora il progetto di concerto tra comunità e servizi.
Poi si definiscono le tappe, i tempi, la verifica e le modalità di contatto con la famiglia con le
visite esterne o i comunità o a casa se autorizzate dal tribunale. Anche le telefonate sono
regolamentate. Si organizzano incontri con la famiglia per sostenerla.
Quello della comunità è un luogo di passaggio che offre un accompagnamento in vista di
una uscita legata a una condizione esterna favorevole.
Le finalità consistono nel trovare uno spazio per mettersi in discussione e cogliere il
problema. La comunità è un luogo di accoglienza ma anche di sofferenza. Si crea un forte
legame tra gli educatori e i ragazzi che permette di far venire fuori i problemi, di accoglierli e
di trovare soluzioni. Essendo una fase di crescita l’obiettivo è quello di far venire fuori gli
obiettivi, il progetto di vita del ragazzo, i suoi bisogni, i suoi interessi. Ci sono alcune
condizioni da rispettare: la cura di sé, degli spazi, della salute, della scuola, del lavoro, dello
sport e la gestione del tempo libero. Nel decreto per minori è prevista l’iscrizione al centro
per l’impiego. Si chiede al ragazzo di proporsi, di fare qualcosa di socialmente utile (per
esempio uno dei ragazzi con il progetto di messa alla prova, devolverà una parte il suo
guadagno al comune in cui ha procurato il danno).
L’equipe
87
E’ composta da 6 educatori e 1 sostituto, da 1 coordinatore di comunità, da 1 coordinatore
dell’associazione GLATAD, dal presidente dell’ associazione che si occupa dei colloqui con i
ragazzi, da 1 supervisore esterno psicoterapeuta.
Gli educatori sono presenti a turno con la presenza di 2 alla volta e di un tirocinante.
I ragazzi effettuano dei colloqui individuali e di gruppo con lo psicologo (psicodramma
analitico)
C’è un incontro settimanale per l’organizzazione delle attività, un incontro settimanale tra
ragazzi con un supervisore. Siccome quella della struttura è una forma di vita comunitaria, si
agevolano anche momenti spontanei, informali.
La giornata tipo
La mattina è dedicata alla frequenza a scuola, a seguire c’è il pranzo, l’esecuzione dei
compiti, le attività pomeridiane. Si effettua un contatto settimanale con la scuola e i
coordinatori per un supporto reciproco sulle problematiche emerse, per controllare se il
ragazzo frequenta con regolarità, se fa i compiti e se si comporta bene. Alcuni hanno un
rendimento altalenante.
Le scuole preferite sono quelle professionali o la scuola media. I ragazzi stranieri
frequentano un corso di alfabetizzazione linguistica e la scuola serale.
I ragazzi sono impegnati nelle attività di pulizia delle camere, degli spazi comuni, nel
preparare la colazione, nell’apparecchiare, sparecchiare e in lavori di piccola manutenzione.
Lo scopo consiste nello sviluppo del senso di responsabilità e di appartenenza.
Si svolgono anche delle attività esterne di sport, volontariato (canile, croce rossa), frequenza
di corsi. C’è una rete di supporto e di accordi. In queste situazioni ci si comporta
normalmente. Si evitano etichette, è una comunità, vita normale. Il problema maggiore è
per i ragazzi locali perché sono conosciuti all’esterno.
La finalità di fondo consiste nell’impegnare il tempo e stimolare il ragazzo a partecipare e a
fare. Quello della cena e del dopo cena è un momento di incontro informale in cui si guarda
la tv, ci si riposa e si va a dormire alle ore 22.30 circa.
88
La comunità partecipa ad eventi esterni come ad esempio a Musicultura, a Macerata, ai
concerti, ecc.
I ragazzi manifestano dei desideri o la sofferenza, si pongono degli interrogativi. L o scopo
principale consiste nell’accompagnarlo specialmente se proviene da una situazione sociale di
disagio e esprime un malessere . E’importante che il minore divenga consapevole del suo
problema. In comunità è importante il fare insieme le cose, avere senso di responsabilità, di
condivisione e di creazione del gruppo.
Dopo la comunità
Per i ragazzi ormai maggiorenni è previsto il completamento del progetto o l’avvio di misure
cautelari, o il rientro a casa che avviene quasi per tutti loro. Dopo il diciottesimo anno di età
si può avviare un progetto ponte, approvato dai servizi. Si prevede anche
l’accompagnamento domiciliare in famiglia con una data prestabilita, finalizzato a cercare
un lavoro, a produrre i documenti necessari, a gestire le dinamiche familiari. Si crea una continuità con i servizi di assistenza domiciliare del Comune. Lo scopo consiste nel
raggiungimento dell’ autonomia per il lavoro, per l vita in un appartamento fuori dalla
comunità. Alcune di queste opportunità sono particolarmente necessarie per i giovani
stranieri.
89
4. Il focus group con gli attori coinvolti
La predisposizione di un’attività di incontro-confronto tra attori responsabili dei processi
educativi all’interno della comunità ha dato l’oppportunità di coinvolgere sia i referenti
responsabili delle comunità, che gli educatori e i professionisti che compongono l’equipe.
Si è realizzato un focus group48 destinato a un gruppo campione, rappresentativo dei vari
soggetti coinvolti. Esso ha permesso di avviare una analisi delle pratiche educative49 per
evidenziarne gli aspetti rilevanti. Il focus group ha agevolato il confronto nel gruppo sulle
esperienze, da cui sono emerse alcune tendenze:
-
Sia gli educatori che gli altri membri dell’equipe (psicologi, pedagogisti, assistenti)
sottolineano i seguenti aspetti:
complessità organizzativa della comunità,
somiglianze con il modello familiare,
raccordo con stile familiare,
raccordo con stili genitoriali di ogni singolo ospite,
necessità di formazione degli operatori,
necessità di corroborare il lavoro dell’equipe,
ruolo della supervisione.
48
49
Tecnica qualitativa utilizzata nelle ricerche delle scienze umane e sociali.
Giaconi C., Nella comunità di Capodarco di Fermo. Dalle pratiche all’assetto pedagogico condiviso. Armando,
Roma 2012.
90
-
I punti di forza condivisi sono:
-
consapevolezza della rilevanza di un progetto educativo realizzato dalle comunità,
-
notevole responsabilità educativa,
-
riflessione sulla opportunità dell’accoglienza,
-
relazione di aiuto e servizio alla persona,
-
intervento globale sulla persona, sulle famiglie, sul territorio.
-
Le criticità emerse riguardano:
-
difficile rapporto autorità/autorevolezza,
-
difficoltà nella continuità degli interventi,
-
difficoltà nel raccordo con i servizi sociali,
-
necessità di risorse umane e materiali,
-
rischio del burnout degli operatori.
La riflessione è proseguita sulla dimensione pedagogica e, in particolare, ponendo l’enfasi
sulla presenza del pedagogista nelle equipe di lavoro all’interno delle comunità o nella
supervisione esterna e sulla riflessione sul ruolo e sulle funzioni del pedagogista nelle
comunità familiari/educative.
A tal fine l’indagine ha assunto una duplice configurazione:
-
raccolta di informazioni sullo stato dell’arte,
-
senso dell’opzione in merito alla possibile presenza del pedagogista nella equipe di lavoro.
Si è messo in luce quanto segue:
-
le dimensioni educative vengono promosse nelle comunità attraverso un lavoro di rete con
il coinvolgimento di molteplici attori.
-
A fondamento degli interventi rivolti ai soggetti accolti vi è una fervida progettazione
educativa destinata alla realizzazione di interventi per il miniore che siano calibrati sulle sue
91
esigenze e che garantiscano il suo sviluppo armonico in tutte le dimensioni della
personalità50.
-
È richiesto, a ciascuna comunità, la mobilitazione di un ventaglio di figure specializzate che
interagiscono in modo coordinato, garantendo continuità al percorso tracciato.
Dall’indagine emergono dati significativi che corroborano l’ipotesi di partenza di questa
ricerca secondo la quale le comunità assolvono le seguenti funzioni:
-
Sul versante dei minori accolti:
o
educativa compensatrice, nei casi di temporanea impossibilità della famiglia del minore
accolto,
o
di sostegno e supporto allo sviluppo formativo,
o di raccordo e collaborazione con le altre agenzie educative del territorio,
o di sinergia con gli enti, le associazioni, i servizi sociali, i tribunali dei minorenni, che
concorrono all’esercizio della tutela e della protezione dei minori accolti nelle comunità,
o di condivisione con le famiglie dell’impegno educativo nei confronti dei minori,
o di promozione della qualità della vita e del benessere.
-
Sul versante del personale e degli attori coinvolti:
o di promozione di interventi di formazione del personale,
o di sviluppo di esperienze professionali variegate,
o di promozione di interventi multidisciplinari.
-
Sul versante della comunità allargata:
o Di sostegno alle famiglie,
o Di partecipazione attiva e di apertura alla comunità sociale,
o Di solidarietà sociale.
Dalle riflessioni sollevate dei partecipanti al focus group emerge l’esigenza, espressa a più
voci, che la comunità rappresenti uno spazio educativo riconosciuto dal contesto sociale, di
effettivo supporto educativo che esula da impostazioni assistenzialistiche.
50
Franzoni F., Anconelli M., La rete dei servizi alla persona. Dalla normativa all’organizzazione, Carocci Faber,
Roma 2003.
92
A tal fine, si avvale di varie figure professionali specializzate51 e di uno stile di lavoro
partecipativo che si esprime nelle attività di equipe, con il coinvolgimento di numerose
differenti risorse umane, nei vari incontri programmati durante un anno di attività.
La composizione delle equipe è variegata. Si distinguono diverse forme organizzative di
equipe in base alle finalità per cui sono attivate. La tipologia della equipe può essere:
Interna: composta dai coordinatori, referenti, educatori della comunità;
Interna: composta dagli educatori e dai minori,per fasce di età, oppure collettive, durante
l’anno di lavoro;
Esterna: con la presenza anche del supervisore esterno, dello psicologo, dei servizi.
La ricerca condotta in merito ha cercato di evidenziare la presenza del pedagogista nelle
equipe di lavoro all’interno delle comunità o nella funzione di supervisione esterna e sulla
riflessione sul ruolo e sulle funzioni del pedagogista nelle comunità familiari/educative.
A tal fine l’indagine ha assunto una duplice configurazione attraverso due azioni poste in
campo:
-
Raccolta delle informazioni sullo stato dell’arte, sulle realtà esistenti e sulle comunità
oggetto del campione di indagine.
-
Riflessioni in merito alla possibile presenza del pedagogista nella equipe di lavoro.
La prima azione ha messo in evidenza che:
-
tutte le comunità, sia familiari che educative, hanno una organizzazione per gruppi di
lavoro;
-
La maggior parte di esse ha un supervisore interno che assolve il ruolo di supervisore.
Generalmente si tratta di un professionista specializzato in psicologia;
-
Alcune comunità si avvalgono della collaborazione di un supervisore esterno, generalmente
uno psicologo o il responsabile di un’altra comunità appartenente alla stessa rete,
associazione di quella in cui dà il suo contributo di supervisione;
51
Ascenzi A. – Corsi M.(a cura di), Professione educatori/formatori,Vita e Pensiero 2005.
93
-
Poche comunità prevedono, nella composizione delle loro equipe di lavoro o nella
supervisione, la presenza di un pedagogista.
L’indagine ha proseguito il suo percorso nel tentativo di individuare e sistematizzare i ruoli e
le funzioni attribuite ai membri dell’equipe per evidenziare se:
-
Le funzioni sono esplicite, chiare, condivise;
-
si promuove un effettivo coordinamento tra esse;
-
le decisioni assunte in equipe hanno una ricaduta operativa sul gruppo, sugli interventi;
-
il contributo del supervisore o del coordinatore dell’equipe assolve un ruolo di conduzione,
guida, promozione.
A tal fine sono stati analizzate alcuni documenti messi a disposizione:
-
organigramma,
-
funzionigramma,
-
descrizioni dei ruoli e degli interventi specifici di ogni attore,
-
carta dei servizi,
-
bilancio sociale (se previsto).
Dall’esame dei suddetti elementi si riscontra una generale suddivisione dei ruoli e delle
funzioni e, soprattutto, la convergenza verso finalità comuni. Ciascun attore del processo
contribuisce, infatti, con la sua specificità, al perseguimento degli obiettivi del progetto
individualizzato di ciascun minore e anche delle finalità generali educative della comunità.
Confrontando i dati di una comunità in cui è presente il pedagogista nella composizione
dell’equipe, con quelli di una comunità in cui invece non è contemplato, emerge che:
-
nella prima comunità è ben definito il ruolo educativo del pedagogista sia come coordinatore
dell’equipe come soggetto propulsore, che nel servizio di trattamento educativo di gruppo o
individuale svolto dal pedagogista;
-
nella seconda comunità quelle stesse funzioni sono svolte da altre professionisti.
94
Due interrogativi si pongono in evidenza: il pedagogista può rappresentare un valore
aggiunto nella comunità? Possono implementarsi fruttuose sinergie tra differenti
professionisti all’interno della comunità?
95
5. I paradigmi pedagogici emersi
Dalla ricerca sull’organizzazione e sulle attività educative svolte nelle comunità, si rileva che
i progetti in atto relativi all’accoglienza e alla cura dei minori sono molto complessi e
variegati52. Emergono, però, vari elementi in comune sia alle comunità familiari che a quelle
educative.
Per quanto riguarda lo stile educativo e le azioni promosse ricorrono, infatti alcuni elementi
significativi, dichiarati dagli intervistati e riportati nella tavola 3 sottostante:
STILE EDUCATIVO
AZIONI PROMOSSE
Accoglienza
Tessere rapporti
Costruzione della
Offrire situazione il
personalità
più possibile simile a
Costruzione del
quella della famiglia
senso di fiducia
Condividere spazi e
Rispetto della
affetti
famiglia di origine
Dare opportunità
Stile familiare
Progetto
Osservazione e
personalizzato per
definizione dei
ogni ragazzo
bisogni
Recupero del
Rispetto reciproco
rapporto con la
Atteggiamento di
accettazione e di
52
famiglia
Aspetti di vita
Scarabini E., Rossi G. (a cura di), Le comunità familiari in Le parole della famiglia, Vita e Pensiero, Milano
2002.
96
stima
comunitaria
Far emergere le
potenzialità
Tav. 3. Stili educativi e azioni promosse
Tra i bisogni formativi espressi dai minori e riconosciuti dalle comunità come rilevanti e
degni di risposte adeguate, i più frequenti risultano essere quelli elencati nella tavola 4 :
-
NORMALITÀ
-
AUTONOMIA
-
AUTOSTIMA
-
RELAZIONE AFFETTIVA CON LA FAMIGLIA D’ORIGINE
-
RELAZIONI DI AMICIZIA
-
STABILITÀ
-
FIDUCIA
-
BENESSERE
Tav. 4 Bisogni formativi
Anche se le fasce di età accolte e tutelate nelle comunità sono differenti, ricorre in modo
continuativo il bisogno dei minori, sia che si tratti di bambini sia di ragazzi e adolescenti, di
essere ascoltati, accolti e accettati.
La costruzione di un equilibrato senso di sé, di autostima e di accettazione è fondamentale,
così come la costruzione di una rete di relazioni affettive stabili, sicure e positive53. L’altro
53
Franchini R., Costruire la comunità che cura. Pedagogia e didattica nei servizi di aiuto alla persona, Franco
Angeli, Milano 2001.
97
fattore prioritario consiste nel dare opportunità per un percorso di crescita armonica e
equilibrata al fine di costruire un progetto personale che apra nuove prospettive di vita e di
realizzazione sia in termini di autonomia, di affettività e di stabilità54.
Per i più grandi si aggiunge la necessità dell’avvio di un percorso di inserimento lavorativo e
di indirizzo per affrontare la vita adulta.
Considerevole e necessario per tutti, infine, una soluzione di stabilità affettiva familiare che
si realizza in diverse modalità: dall’affido familiare all’adozione, dal reinserimento nella
propria famiglia naturale all’avvio della costituzione di un nuovo nucleo familiare per i più
grandi.
Sono emersi delle criticità rispetto all’organizzazione, alle finalità, alla difficoltà nel percorso
e nel raggiungimento degli scopi che le comunità si prefiggono. In sintesi le criticità e i nodi
problematici sono elencati nella Tavola 5:
-
Transitorietà/permanenza dell’affido in comunità;
-
Continuità degli interventi educativi dopo l’affido;
-
Reinserimento nella famiglia di origine;
-
Frequenza del transito da una comunità a un’altra al termine di un periodo di affido;
-
Raggiungimento della maggiore età;
-
Accompagnamento e progetto di vita;
-
Minori stranieri non accompagnati.
Tav. 5 Nodi problematici
54
Greco O., Iafrate R., Figli al confine. Una ricerca multi metodologica sull’affidamento familiare, Franco
Angeli, Milano 2001.
98
Paradigmi pedagogici
Alla luce delle considerazioni scaturite dalla ricerca e dall’indagine, i paradigmi pedagogici
che prendono forma, possono essere rintracciati nel dominio di lavoro della pedagogia e, in
particolare, della pedagogia in assetto clinico, nel versante della relazione di aiuto e
dell’adattamento/disadattamento della persona.
Gli interventi professionali che possono essere di pertinenza del pedagogista, all’interno
delle comunità familiari o educative sia in funzione di consulente interno nell’equipe
multidisciplinare, che di supervisore esterno assolvono diverse funzioni.
Si configurano, infatti, come azioni di osservazione e studio delle situazioni e dei loro
processi evolutivi per:
-
l’osservazione clinica del bambino/ragazzo,
-
il monitoraggio dei comportamenti,
-
l’osservazione e la valutazione dell’inserimento in comunità,
-
l’osservazione e la valutazione dei servizi resi dalla comunità.
Il pedagogista può attivare le relazioni di aiuto mediante azioni dirette, sul soggetto, sul
minore, e indirette, sulle persone che costituiscono la rete della comunità, di:
-
mediazione familiare,
-
parent training,
-
consulenza e orientamento familiare,
-
consulenza e orientamento degli operatori/educatori,
-
monitoraggio dell’apprendimento scolastico,
-
trattamento educativo,
-
orientamento scolastico e lavorativo,
99
-
mediazione con la scuola e con i servizi socio-sanitari,
-
promozione di iniziative di formazione.
Gli strumenti diagnostici più efficaci per l’intervento del pedagogista si rintracciano in quelli
della diagnostica pedagogica55:
-
osservazione clinica, per comprendere le condotte e le dinamiche sottese;
-
storia del caso, per ricostruire le vicende pregresse e attuali;
-
colloquio clinico, in particolare quello per l’accoglienza, per la relazione di aiuto, per la
mediazione familiare
questionario, per raccogliere le informazioni necessarie;
-
intervista, per ricercare elementi significativi e funzionali alla situazione.
Ruolo e funzione del pedagogista: prospettive di intervento e strumenti professionali
Gli interventi professionali che possono essere di pertinenza del pedagogista, all’interno
delle comunità familiari o educative sia in funzione di consulente interno nell’equipe
multidisciplinare, che di supervisore esterno assolvono diverse funzioni. Si configurano,
infatti, come azioni di osservazione e studio delle situazioni e dei loro processi evolutivi56
per:
-
l’osservazione clinica del bambino/ragazzo.
-
il monitoraggio dei comportamenti.
-
l’osservazione e la valutazione dell’inserimento in comunità.
-
l’osservazione e la valutazione dei servizi resi.
Le finalità dell’intervento pedagogico possono essere riferite a:
55
Crispiani P., Giaconi C., Diogene 2008 – Manuale di diagnostica pedagogica, Junior, Bergamo 2008.
56
Crispiani P., Pedagogia clinica della famiglia con handicap, Junior, Bergamo 2008.
100
-
Favorire la realizzazione del progetto educativo.
-
Favorire incontri con la famiglia naturale.
-
Individuare i bisogni educativi del bambino/a ragazzo/a.
-
Offrire consulenza alla coppia responsabile della comunità familiare.
-
Offrire consulenza agli operatori/educatori della comunità educativa
-
Sostenere il percorso scolastico.
-
Orientare il percorso scolastico.
-
Curare i colloqui e gli incontri con gli insegnanti.
-
Rilevare eventuali difficoltà di apprendimento.
-
Promuovere sinergie con altre strutture educative/ricreative del territorio.
-
Progettare e accompagnare la prosecuzione dell’accoglienza.
-
Avviare all’autonomia lavorativa.
101
6. Analisi di alcuni strumenti di valutazione pedagogica
Per promuovere un percorso valutativo e un monitoraggio interno, viene qui di seguito
proposto un kit di strumenti professionali volto a coniugare le dimensioni conoscitive e
comportamentali, prospettiche e di intervento57 che costituiscono un piano di intervento del
pedagogista nelle comunità educative e familiari.
Si tratta di interventi:
cognitivi, mirati alla conoscenza delle situazioni e all’autoregolazione dei
-
comportamenti;
clinici, individuali e portati sulla singolarità di ciascuna situazione e sull’interezza della
-
situazione;
educativi, centrati sulla relazione di aiuto e su approcci ecologici del Sistema
-
CO.CLI.T.E.(Cognitivo – Clinico – Trattamento – Educativo),58.
Gli strumenti possono essere somministrati in modalità individuale in sede di colloquio
clinico o in modalità di gruppo nel corso delle riunioni dell’equipe allo scopo di monitorare il
percorso educativo personale di ciascun bambino/a ragazzo/a accolto e le linee di intervento
progettate dalla comunità stessa per garantire una buona accoglienza e per favorire
l’integrazione sociale del soggetto nei contesti a lui prossimi.
Composizione del kit59
A) Uno strumento per la storia del bambino/a ragazzo/a: Notizie utili (soggetti coinvolti:
responsabile/i della comunità).
B) Tre strumenti per l’osservazione clinica:
Osservazione dei comportamenti del bambino in comunità familiare (soggetti
-
coinvolti: responsabile/i della comunità).
57
58
59
Ibidem, p. 60
Crispiani P.-Giaconi C., Hermes 2008 –Glossario pedagogico professionale, p. 50.
Il kit proposto costituisce una esemplificazione.
102
-
Osservazione dei comportamenti del bambino/ragazzo in comunità educativa
(soggetti coinvolti: responsabile/i della comunità).
-
Osservazione dei comportamenti a scuola (soggetti coinvolti: gli insegnanti).
C) Un Diario metacognitivo (soggetto coinvolto: bambino/a- ragazzo/a).
D) Un Questionario semi-strutturato per il colloquio clinico (soggetto coinvolto: bambino/aragazzo/a).
E) Due Questionari strutturati per il colloquio clinico (soggetti coinvolti: responsabile/i della
comunità).
A) STORIA DEL BAMBINO/A - RAGAZZO/A: NOTIZIE UTILI
Il bambino/a –ragazzo/a ha l’età di: anni….mesi…..
E’ stato accolto in questa comunità il giorno…… mese ………….. anno ….…
Le motivazioni per cui è arrivato in comunità sono:
…………………………………………………………………………………………………………………………………………………
La prima accoglienza si è rivelata:
…………………………………………………………………………………………………………………………………………………
Ha i genitori:
…………………………………………………………………………………………………………………………………………………
Ha fratelli/sorelle:
…………………………………………………………………………………………………………………………………………………
Proviene da un altro paese/città.
…………………………………………………………………………………………………………………………………………………
I rapporti con i genitori sono:
…………………………………………………………………………………………………………………………………………………
I rapporti con gli altri parenti sono:
…………………………………………………………………………………………………………………………………………………
103
Il progetto educativo prevede la permanenza in comunità fino a:
…………………………………………………………………………………………………………………………………………………
Altro: …………………………………………………………………………………………………………………………………………………
B) OSSERVAZIONE DEI COMPORTAMENTI DEL BAMBINO IN COMUNITA’ FAMILIARE
SEMPRE
QUASI
QUALCHE
QUASI
SEMPRE
VOLTA
MAI
MAI
Si relaziona con
i fratelli
Si relaziona con
gli adulti
Rispetta le
regole della
comunità
E’ autonomo/a
nella cura di sè
Racconta le
esperienze
scolastiche
Parla della sua
famiglia
Gioca con i
fratelli
Prende
iniziative nel
gioco
Accetta gli
impegni
Partecipa alle
104
attività della
comunità
Riordina i suoi
giocattoli
Apprezza il
gioco
Mangia
regolarmente
durante i pasti
Ha un ritmo
sonno/veglia
regolare
B) OSSERVAZIONE DEI COMPORTAMENTI DEL BAMBINO/RAGAZZO IN COMUNITA’ EDUCATIVA
SEMPRE
QUASI
QUALCHE
QUASI
SEMPRE
VOLTA
MAI
MAI
Si relaziona
con i
compagni
del gruppo
Si relaziona
con gli
adulti
E’
autonomo
nei compiti
Porta a
termine
piccole
105
consegne
Rispetta le
regole della
comunità
Partecipa
alle attività
Mostra
atteggiame
nti di
chiusura e
rifiuto
Esegue
semplici
lavori
Prende
iniziative
E’ leale e
sincero/a
Parla della
sua famiglia
Accetta gli
impegni
Racconta le
sue
esperienze
106
B) OSSERVAZIONE DEI COMPORTAMENTI A SCUOLA
Scuola: …………………………………………… Sezione/classe frequentata: ………………………………
SI
IN PARTE
NO
Rispetta le regole
E’ attento/a
Si impegna nel lavoro
Ascolta gli insegnanti
E’ motivato/a al lavoro
Porta a termine il lavoro
Chiede aiuto
Instaura buoni rapporti con gli
insegnanti
Instaura buoni rapporti con i
compagni
Mostra delle difficoltà di
apprendimento
C) DIARIO METACOGNITIVO
Quando sono arrivato/a in comunità mi sono comportato/a così:
…………………………………………………………………………………………………………………………………………………
Ora penso che:
…………………………………………………………………………………………………………………………………………………
Le persone che mi aiutano sono:
…………………………………………………………………………………………………………………………………………………
Le attività in comunità che preferisco sono:
…………………………………………………………………………………………………………………………………………………
107
Le attività in comunità che non mi piacciono sono:
…………………………………………………………………………………………………………………………………………………
Racconta un episodio della vita in comunità:
……………………………………………………………………………………………………………………………………………………………
……………………………………………………………………………………………………………………………………………………………
………………………………………………………………………………………………………………………
D) QUESTIONARIO SEMI-STRUTTURATO
Incontri la tua famiglia:
 Molto spesso
 Spesso
 In occasione di feste e vacanze
 Qualche volta
 Mai
Il rapporto con la tua famiglia è:
 Ottimo
 Buono
 Sereno
 Conflittuale
 Di indifferenza
Perché?
…………………………………………………………………………………………………………………………………………………
Gli educatori mi aiutano?
 Nei compiti
 Nelle attività quotidiane
 Nei momenti di difficoltà
 Quando devo affrontare un impegno
108
Come? …………………………………………………………………………………………………………………………………………………
Cosa ti piacerebbe fare dopo l’esperienza in comunità?
 Vivere in famiglia
 Tornare nel mio paese
 Trovare un lavoro
 Continuare a studiare
 Avere una casa
 Altro ………………………………………………………………………………………………………………………………………
Perché?
…………………………………………………………………………………………………………………………………………………
E) QUESTIONARIO PER LA COPPIA RESPONSABILE DELLA COMUNITA’ FAMILIARE
SI
IN PARTE
NO
L’esperienza dell’affido comporta
un notevole senso di responsabilità.
Il supporto degli
educatori/collaboratori è
indispensabile.
I figli propri costituiscono una
risorsa per la comunità
La prima fase di accoglienza nel
primo periodo è quella più difficile
da gestire.
Ogni volta che viene accolto un
bambino/a bisogna trovare nuove e
diverse soluzioni per garantire una
buona accoglienza.
Il supporto di altre comunità e dei
servizi è fondamentale.
109
Nei momenti di difficoltà è
necessario il sostegno di un
supervisore o di un soggetto
esterno.
Le conquiste e i buoni risultati nella
accoglienza ci aiutano a proseguire
con nuove energie.
E)
QUESTIONARIO PER I RESPONSABILI DELLA COMUNITA’EDUCATIVA
SI
IN PARTE
NO
L’esperienza dell’accoglienza
comporta un notevole senso di
responsabilità.
La collaborazione degli educatori è
indispensabile.
Le buone relazioni tra i
bambini/ragazzi sono fondamentali.
La prima fase di accoglienza nel primo
periodo è quella più difficile da
gestire.
Ogni volta che viene accolto un
bambino/a bisogna trovare nuove e
diverse soluzioni per garantire una
buona accoglienza.
Il supporto dei servizi e del territorio
è fondamentale.
E’necessario il sostegno di un
supervisore o di un soggetto esterno.
110
Le conquiste e i buoni risultati nella
accoglienza ci aiutano a proseguire
con nuove energie.
111
PARTE TERZA
LA QUALITA’ DEL SERVIZIO NELLE COMUNITA’
112
1. La mappatura dei fattori di qualità del servizio
Dalle indagini e dal focus group
Riprendendo in considerazione gli elementi rilevati, questi costituiscono degli indicatori su
cui lavorare sul piano di valutazione di qualità del servizio e nell’ottica del miglioramento
dello stesso. Si riportano i dati emersi dalle interviste e quelli rilevati nel focus group.
Dapprima l’attenzione è rivolta agli elementi estrapolati dalle interviste, riportati nella
Tavola 8.
STILE EDUCATIVO
AZIONI
BISOGNI DEI
PROMOSSE
MINORI
Accoglienza
Tessere
Normalità
Transitorietà/p
Costruzione della
rapporti
Autonomia
ermanenza
personalità
Offrire
Costruzione del
situazione il
senso di fiducia
più possibile
Rispetto della
famiglia di
origine
Stile familiare
Osservazione e
definizione dei
simile a
quella della
famiglia
Condividere
spazi e affetti
Autostima
Relazione
affettiva on
la famiglia
d’origine
Relazioni di
amicizia
reciproco
Atteggiamento di
dell’affido in
comunità;
Continuità
degli interventi
educativi dopo
l’affido;
Reinserimento
nella famiglia di
Stabilità
origine;
opportunità
Fiducia
Frequenza del
Progetto
Benessere
transito da una
Dare
bisogni
Rispetto
CRITICITA’
personalizzat
comunità a
o per ogni
un’altra al
termine di un
113
accettazione e di
ragazzo
periodo di
stima
Recupero del
affido;
rapporto con
Raggiungiment
la famiglia
o della
Aspetti di
maggiore età;
vita
Accompagnam
comunitaria
ento e progetto
Far emergere
di vita;
le
Accoglienza
potenzialità.
minori stranieri
non
accompagnati.
Tav. 8 Sintesi dalle interviste
Nella Tavola 9, inoltre, si riassumono gli elementi estrapolati dal focus group:
STILE
PUNTI DI FORZA
CRITICITA’
Complessità
Consapevolezza della
Difficile rapporto
organizzativa della
rilevanza di un progetto
autorità/autorevolezza.
comunità.
educativo realizzato
Difficoltà nella continuità
Somiglianze con il
dalle comunità.
degli interventi.
modello familiare.
Notevole responsabilità
Difficoltà nel raccordo
Raccordo con stile
educativa.
con i servizi sociali.
familiare.
Riflessione sulla
Necessità di risorse
Raccordo con stili
opportunità
umane e materiali.
genitoriali di ogni singolo
dell’accoglienza.
ospite.
Relazione di aiuto e
Necessità di formazione
servizio alla persona.
degli operatori.
Intervento globale sulla
Rischio del burnout degli
operatori.
persona, sulle famiglie,
114
Necessità di corroborare
sul territorio.
il lavoro dell’equipe.
Ruolo della supervisione.
Tav. 9 Elementi emersi dal focus group
I fattori della qualità del servizio
Dalla sintesi di tali elementi raccolti e rintracciati trasversalmente in tutte le comunità prese
in esame, si delinea un quadro sinottico che definisce un modello del servizio delle
comunità.
Esso è costituito da un ventaglio di azioni e di interventi di pratiche educative 60 promosse
dagli attori delle comunità e dai servizi a corollario di esse. Tali buone pratiche educative
contribuiscono all’implementazione dei servizi alla persona in una prospettiva educativa e
pedagogica. Esse si prestano ad essere esaminate affinchè, dalla riflessione sulla loro
efficacia, si traggano dei paradigmi assumibili a modello pedagogico delle comunità.
Inoltre, tali pratiche educative, connesse a un ventaglio di stili educativi, si prestano a essere
apprezzate e valutate61.
Si è, quindi, avviata una indagine sulla qualità del servizio offerto dalle comunità62,
raccogliendo gli elementi - chiave in una lista di fattori secondo un criterio classificatorio che
li raggruppa in indicatori di:
-
Struttura/organizzazione
-
Processi
-
Risultati
-
Soddisfazione
60
Mortari L., Cultura della ricerca e pedagogia. Prospettive epistemologiche, Carocci, Roma 2007.
61
Demetrio D., Micropedagogia. La ricerca qualitativa in educazione, La Nuova Italia, Firenze 1992.
62
Fabbri L., Comunità di pratiche e apprendimento riflessivo. Per una formazione situata, Carocci, Roma 2007.
115
Si evidenziano quattro macro categorie fattoriali da tenere in considerazione. Essi attengono
all’area dell’organizzazione e della struttura interna della comunità, all’area che riguarda gli
elementi emergenti dai processi educativi attivati. Concludono l’elenco gli elementi rilevatori
dei risultati ottenuti e del grado di soddisfazioni degli utenti a cui sono rivolti i servizi.
Nella Tav. 10 sono descritti i singoli fattori:
A) Fattori strutturali e organizzativi: Riguardano la struttura della comunità,
la collocazione, l’organizzazione interna della comunità, l’attivazione di risorse
umane, la predisposizione dell’equipe di lavoro, il supporto dei servizi sociali, i
rapporti di collaborazione con il territorio e con il tribunale.
B) Fattori dei processi educativi: Riguardano gli interventi promossi, la
predisposizione dei progetti educativi personalizzati, le scelte educative,
l’orientamento, il progetto di vita.
C) Fattori di risultato: Riguardano le opportunità che si prospettano al
termine dell’accoglienza in comunità, dal rientro a casa all’ingresso nel mondo
del lavoro, alla prosecuzione degli studi, alla scelta di vita in autonomia.
D) Fattori dei soddisfazione: Riguardano la rilevazione della soddisfazione
degli utenti, delle famiglie, dei servizi, degli osservatori esterni.
Tav. 10 La lista dei descrittori dei fattori
I descrittori di ciascun fattore specificano meglio le categorie prese in considerazione. Nella
tavola 11 sono elencati i descrittori specifici di ciascuna area.
A) Fattori strutturali e organizzativi: Somiglianze e raccordo con il
modello e con lo stile familiare. Raccordo e collaborazione con i servizi
sociali. Formazione degli operatori. Presenza di una equipe operativa.
B) Fattori dei processi educativi: Osservazione e definizione dei bisogni.
Atteggiamento di accettazione, di stima e di rispetto reciproco.
Responsabilità educativa condivisa. Relazione di aiuto e servizio alla
persona. Intervento globale sulla persona, sulle famiglie, sul territorio.
Sostegno alla famiglia di origine. Continuità con la scuola e le altre agenzie
116
educative. Risposta ai bisogni educativi di normalità, autonomia, autostima,
relazione affettiva con la famiglia d’origine, relazioni di amicizia, stabilità,
fiducia, benessere.
C) Fattori di risultato: Continuità degli interventi educativi dopo l’affido.
Reinserimento nella famiglia di origine. Promozione dell’autonomia
personale. Inserimento nel mondo del lavoro. Orientamento al progetto di
vita.
D) Fattori dei soddisfazione: Qualità del servizio reso dalle comunità
rispetto alle aspettative e alle richieste e ai bisogni degli utenti e dei soggetti
coinvolti: minori, famiglie di origine, associazioni, reti di famiglie affidatarie,
servizi sociali, territorio, scuola, tribunale.
Tav. 11 I descrittori
117
2. La rilevazione della soddisfazione degli utenti
La rilevazione della soddisfazione viene realizzata attraverso la somministrazione agli utenti
e agli attori coinvolti nei processi che riguardano il servizio delle comunità, di questionari
strutturati costruiti con il riferimento agli indicatori emersi e ai fattori di qualità
sottolineati.63
I soggetti destinatari dei questionari sono quelli che si configurano come protagonisti dei
processi. Essi sono:
-
Gli ospiti della comunità, ossia i minori e i giovani accolti temporaneamente.
-
Gli operatori interni e quelli dei servizi sociali che accompagnano e supportano il
lavoro comunitario.
-
Le famiglie in genere, cioè quelle di origine dei ragazzi ma anche quelle di appoggio o
quelle che esercitano l’accoglienza dei minori attraverso l’affido.
-
Gli osservatori esterni, il territorio, le altre agenzie educative che partecipano e
condividono insieme alle comunità la progettualità e la relazione educativa.
Il questionario di rilevazione della soddisfazione del servizio
Il questionario, costruito sulla base degli indicatori elencati,è suddiviso in dieci item che
riprendono gli indicatori emersi nella ricerca. E’ uno strumento di rilevazione della
soddisfazione degli utenti che richiede le risposte ai quesiti in base a una scala di
soddisfazione che oscilla da 1 a 5 in cui:
1 corrisponde a “Non soddisfatto” – 2 corrisponde a “Poco soddisfatto” – 3 corrisponde a
“Sufficientemente soddisfatto” – 4 corrisponde a “Pienamente soddisfatto” – 5
corrisponde a “Molto soddisfatto”.
Il questionario può essere uno strumento utile a monitorare la qualità del servizio offerto
dalle comunità educative e viene somministrato da un soggetto valutatore esterno ad esse
63
Il modello preso come riferimento per costruire questo sistema di valutazione è quello descritto in Crispiani P. –
Giaconi C., La qualità dell’integrazione scolastica, Erickson 2009.
118
agli attori e protagonisti del processo educativo sopra elencati. I risultati vengono raccolti e,
in base ai punteggi ottenuti in ciascun item, segnalano i punti forti e le criticità del servizio.
Struttura del questionario:
Indicare con la scala da 1 a 5 se è soddisfatto:
1
2
3
4
5
ORGANIZZAZIONE - STRUTTURA
1)Dell’organizzazione della comunità
(struttura, ambienti, spazi).
2)Della professionalità del personale che vi
presta servizio (educatori, equipe,
responsabili).
3)Delle attività che si organizzano.
PROCESSI EDUCATIVI
4)Del progetto educativo individualizzato
promosso dalla comunità.
5)Degli interventi proposti in risposta ai
bisogni educativi dei minori.
6)Delle azioni promosse per garantire il
raccordo con la famiglia e con il contesto
sociale.
RISULTATI
7)Della continuità e sinergia degli interventi
con le altre agenzie educative (scuola, gruppi
sportivi, associazioni).
8)Delle opportunità che si prospettano al
minore al termine dell’accoglienza in
119
comunità.
SODDISFAZIONE GENERALE
9)Delle modalità di accompagnamento e
sostegno offerto ai ragazzi in uscita dalla
comunità.
10)Della qualità del servizio offerto dalla
comunità rispetto alle aspettative e alle
richieste espresse.
Tav. 12 Questionario di rilevazione della soddisfazione del servizio
La tavola di comparazione e il report di sintesi
Con la somministrazione del questionario ad almeno tre differenti categorie dei soggetti
protagonisti del processo educativo, si ottengono dei dati differenti che vengono raccolti in
un report di sintesi in cui si riportano le somme dei punteggi per ciascun item per ciascuno
dei tre soggetti. In questo modo si rendono visibili immediatamente sia gli elementi positivi
che quelli critici ed inoltre si evidenziano i diversi punti di vista in base ai risultati di ciascun
soggetto coinvolto nell’indagine.
E’ stata coinvolta una delle comunità del campione della ricerca al fine di testare lo
strumento di indagine: il questionario, e gli strumenti di raccolta dei dati: il report e la tavola
di comparazione.
I soggetti a cui il questionario è stato presentato e somministrato appartengono alle
categorie individuate:

Ospiti

Operatori interni

Operatori esterni

Famiglie

Servizi
120

Osservatori esterni

Agenzie educative
In particolare, poiché l’indagine in questa fase ha assunto un carattere esemplificativo, si è
scelto di limitare a tre i soggetti coinvolti per semplificare la raccolta dei dati e per valutare
l’efficacia dello strumento di indagine. I soggetti a cui è stato presentato il questionario
sono:
-
SOGGETTO A: un minore, ospite della comunità
-
SOGGETTO B: un operatore interno che svolge il ruolo di educatore
-
SOGGETTO C: un insegnante della scuola frequentata dal minore
Presentato il questionario e le finalità che esso assolve, è stato chiesto ai soggetti di
compilarlo nel modo più autentico possibile ed obiettivamente, alla luce delle loro
esperienze e dei ruoli assolti. I punteggi ottenuti sono stati raccolti in una tabella sinottica:
ITEM
VALUTAZIONE
SOGGETTO A
SOGGETTO B
SOGGETTO C
TOTALE
DEI
PUNTEGGI
1
4
3
5
12
2
3
5
5
13
3
4
4
4
13
4
3
5
5
13
5
4
2
4
10
6
5
5
4
14
7
4
4
3
11
121
8
4
5
3
12
9
4
3
5
12
10
5
3
4
12
40
39
42
121
Tav. 13 Il report
La media dei punteggi
Si è calcolata la media delle valutazioni per ciascun soggetto e sui totali dei punteggi di valutazione:
MEDIA PUNTEGGIO PER
MEDIA PUNTEGGIO SUL
CIASCUN SOGGETTO
TOTALE DEI SOGGETTI
A
4
B
3,9
C
4,2
4,03
Si esaminano anche i risultati della valutazione per ciascuna delle aree dei fattori per ciascuno dei tre
soggetti coinvolti:
SOGGETTO A
MEDIA
VALUTAZIONE
FATTORI STRUTTURALI
3,6
/ORGANIZZATIVI (ITEM 1 – 3)
FATTORI EDUCATIVI
4
(ITEM 4 – 6)
FATTORI DI RISULTATO
4
122
(ITEM 7 – 8)
FATTORI DI SODDISFAZIONE
4,5
(ITEM 9 – 10)
SOGGETTO B
MEDIA
VALUTAZIONE
FATTORI STRUTTURALI
4
/ORGANIZZATIVI (ITEM 1 – 3)
FATTORI EDUCATIVI
4
(ITEM 4 – 6)
FATTORI DI RISULTATO
4,5
(ITEM 7 – 8)
FATTORI DI SODDISFAZIONE
3
(ITEM 9 – 10)
SOGGETTO C
MEDIA
VALUTAZIONE
FATTORI STRUTTURALI
4,06
/ORGANIZZATIVI (ITEM 1 – 3)
FATTORI EDUCATIVI
4,02
(ITEM 4 – 6)
FATTORI DI RISULTATO
3
(ITEM 7 – 8)
FATTORI DI SODDISFAZIONE
4,5
(ITEM 9 – 10)
123
La tavola di comparazione
I punteggi possono essere mostrati in un grafico che evidenzia l’andamento di ciascun item
in relazione ai tre soggetti. Le tre linee curve mostrano se e in quali item si verificano delle
sovrapposizioni e omogeneità dei risultati o delle disomogeneità, intese come
discostamenti delle linee curve, la cui ampiezza è visualizzata nel grafico.
Nel grafico si trovano in orizzontale le 4 categorie di fattori:
STRUTTURALI/ORGANIZZATIVI: “STR/ORG.”
EDUCATIVI: “EDU”.
DI RISULTATO: “RIS.”
DI SODDISFAZIONE: “SOD.”
In verticale si trovano i punteggi medi di ciascuno dei tre soggetti: A; B; C, nel ventaglio di
possibili risposte da 1 a 5.
124
-
Dalla lettura del grafico si evidenzia che:
-
il soggetto A, un minore, ospite della comunità, ha attribuito un punteggio molto
alto agli indicatori di soddisfazione (4,5); assegna il punteggio minore ai fattori strutturali e
organizzativi(3,5 ).
-
Il soggetto B, un operatore interno che svolge il ruolo di educatore, assegna il
punteggio più basso agli indicatori di soddisfazione (3), mentre è molto soddisfatto in merito
agli indicatori di risultato (4,5).
-
Il soggetto C, un insegnante della scuola frequentata dal minore, attribuisce il
punteggio minore agli indicatori di risultato (3), mentre assegna punteggi alti agli indicatori
strutturali e organizzativi e alla soddisfazione generale (4,5).
Dall’andamento delle linee si evince, quindi, che i fattori di maggiore disomogeneità sono
quelli “di risultato” e in parte quelli di “soddisfazione generale”. C’è una perfetta
convergenza dei punteggi nei fattori “educativi”. Ciò dimostra che il servizio offerto dalle
comunità si connota con uno spessore educativo molto forte e condiviso dagli utenti.
Le criticità maggiori, quindi, sono rappresentate dalle opportunità di realizzazione delle
finalità a causa di ostacoli, difficoltà nel percorso e criticità di vario genere. Sarà questa l’area
su cui direzionare i progetti di miglioramento del servizio.
La scala dei livelli di qualità del servizio
I punteggi, considerandoli sia nei loro valori assoluti che in quelli ottenuti calcolando la
media di ciascuno di essi o dei loro totali, vengono confrontati con una scala pentenaria in
cui, a ciascun livello, corrisponde una descrizione esplicativa delle azioni e degli elementi
che caratterizzano ciascun livello. Si tratta, quindi, di uno strumento qualitativo che
valorizza gli aspetti descrittivi e che orienta i soggetti nella valutazione e nell’apprezzamento
della qualità del servizio offerto dalla comunità.
La scala è utile nell’esercizio di azioni e di processi di monitoraggio e controllo della qualità
del servizio reso dalle comunità.
125
SCALA DEI LIVELLI DI QUALITA’ DEL SERVIZIO64
DESCRITTORI DEI LIVELLI
SCALA
Punteggio
OTTIMO/AVANZATO
A
5
B
4
C
3
D
2
Elevata qualità dell’organizzazione della comunità e delle
risorse adoperate. Ottima progettazione di interventi educativi
promossi in risposta ai bisogni dei minori. Ampio ventaglio di
opportunità offerte al termine del percorso comunitario.
BUONO/PROGREDITO
Buona qualità dell’organizzazione della comunità e delle risorse
adoperate. Valida promozione di interventi educativi promossi
in risposta ai bisogni dei minori. Buon ventaglio di opportunità
offerte al termine del percorso comunitario.
SUFFICIENTE/COMUNE
Discreta qualità dell’organizzazione della comunità e delle
risorse adoperate. Apprezzabile progettazione di interventi
educativi promossi in risposta ai bisogni dei minori e sufficiente
ventaglio di opportunità offerte al termine del percorso
comunitario.
PARZIALE / INSUFFICIENTE
Insufficiente qualità dell’organizzazione della comunità e delle
risorse adoperate. Progettazione limitata di interventi educativi
promossi in risposta ai bisogni dei minori. Insufficiente
ventaglio di opportunità offerte al termine del percorso
comunitario.
64
E’ una scala pentenaria che affianca agli indicatori dei livelli, la descrizione ei comportamenti, delle azioni e degli
interventi, per permetterne l’apprezzamento e la valutazione qualitativa.
126
MINIMALE / SCARSO
E
1
Scarsa qualità dell’organizzazione della comunità e delle risorse
adoperate. Progettazione minimale di interventi educativi
promossi in risposta ai bisogni dei minori. Poche opportunità
offerte al termine del percorso comunitario.
Tav. 13 Scala dei livelli di qualità del servizio
127
3. La carta dei valori della comunità
A conclusione del percorso seguito si elencano delle parole chiave che sono a fondamento
dell’identità delle comunità e che ne costituiscono, nel loro insieme, un manifesto
identificativo.
Nel primo riquadro sono elencate le parole-chiave riguardanti la dimensione educativa e
formativa. Nel secondo riquadro si rintracciano le dimensioni operative e progettuali che si
sviluppano in un ventaglio di linee educative65.
Dimensione educativa
-
ACCOGLIENZA
-
ASCOLTO
-
ORIENTAMENTO
-
PROGETTAZIONE
-
SOSTEGNO
-
SUPPORTO
-
CURA
-
PERCORSO
-
CONDIVISIONE
-
PRESA IN CARICO
-
RELAZIONE DI AIUTO
Dimensione operativa e progettuale
-
FAMIGLIA E DIMENSIONE DI GENITORIALITÀ ALLARGATA
-
RETE DI SOLIDARIETÀ FAMILIARE E SOSTEGNO
65
Laneve C., Analisi della pratica educativa, La Scuola, Brescia 2005.
128
-
EMPOWERMENT DELLE RISORSE FAMILIARI
-
INTERVENTI A SUPPORTO DELLA FAMIGLIA A CAUSA DI DISAGI, FRAGILITÀ SUL PIANO
ECONOMICO, ESISTENZIALE, RETE DI FAMIGLIE, COMMUNITY CARE
-
CULTURA DELL’AFFIDO
-
FORMAZIONE ALL’AFFIDO
-
PROSPETTIVA VICARIANTE, SUSSIDIARIA, DI SOSTEGNO, ORIGINALE
-
NUOVE PROFESSIONI/EDUCATORI
-
DIMENSIONE PEDAGOGICA DEI PROGETTI DELLE COMUNITÀ
-
STILI EDUCATIVI
-
AFFIANCAMENTO DI SPECIALISTI NELLE PRATICHE DIAGNOSTICHE
-
SISTEMI DI COMUNICAZIONE CON LE FAMIGLIE
129
Riflessioni conclusive e presentazione di un progetto
A conclusione di questo percorso di ricerca che ha tentato di porre in luce la realtà delle
comunità familiari e educative sul versante della loro dimensione educativa, si è ipotizzato
un modello comunitario che possa assolvere a tale compito. Esso si evince dal quadro
sinottico conclusivo definito come “Carta dei valori della comunità”. Si auspica che questo
lavoro possa contribuire alla diffusione delle buone pratiche di accoglienza reso dalle
strutture comunitarie e per l’implementazione delle azioni che esse pongono in atto nel
periodo in cui prendono in cura i minori accolti.
L’ipotesi da cui ha preso le mosse questa ricerca ha trovato delle risposte. Le comunità
assolvono le funzioni educative sostituendosi temporaneamente alla famiglia naturale e
ricalcandone la dimensione educativa.
Non va dimenticata, però, la possibile alternativa alle comunità, rappresentata dall’affido
familiare. A questo proposito, la riflessione conclusiva è dedicata all’affido attraverso la
presentazione di un progetto di promozione e di valorizzazione di questo istituto.
Il progetto “TI FIDI DI ME”? - Famiglie per l’affido familiare
PREMESSA
Nello scenario nazionale si ravvisa un notevole incremento di situazioni di disagio familiare
che rendono insostenibile la cura e il giusto rispetto dei diritti fondamentali dei figli minori.
Sembrerebbe un paradosso che in questa società industrializzata e opulenta permangano,
anzi aumentino tali situazioni di emergenza determinate da molteplici cause.
Eppure i dati raccolti testimoniano il dilatarsi di situazioni economiche e sociali difficoltose
che generano disagio nelle famiglie.
Le azioni di intervento per la tutela dei minori consistenti, prevalentemente, nelle
disposizioni di allontanamento temporaneo dal nucleo familiare e l’affido nelle comunità
familiari e/o educative, divengono indispensabili. Si tratta di interventi che dovrebbero
rivestire carattere di provvisorietà nel tempo. Si assiste, invece, al prolungamento dei tempi
130
di accoglienza dei minori nelle comunità e ad un difficoltoso percorso di reinserimento nella
famiglia naturale.
Spesso poi per il minore, trascorso un primo periodo in comunità, prosegue l’accoglienza in
un’altra, fino al raggiungimento della maggiore età.
Tale meccanismo è rilevatore della parziale applicazione della legge 149 del 2001 che
prevede, in alternativa alla comunità, l’istituto dell’affido familiare. La percentuale di
bambini che viene accolta in famiglia in situazione di affido è ridotta, rispetto a quella dei
minori presenti nelle comunità. Generalmente sono i ragazzi nella fascia 12-16 anni a
risentirne maggiormente poichè la disponibilità ad accogliere un bambino più piccolo,
generalmente è maggiore.
Le cause della difficoltà di apertura all’accoglienza sono molteplici. Le sintetizziamo in:
-
assenza di una cultura dell’affido;
-
mancanza di iniziative di sensibilizzazione delle famiglie;
-
scarsa valorizzazione, diffusione e condivisione delle esperienze di affido;
-
limitati interventi di sostegno alla famiglia.
LE FINALITA’
Il progetto intende perseguire le seguenti finalità:
- Far conoscere la legislazione e le modalità dell’istituto dell’affido familiare;
- Promuovere la cultura dell’affido, valorizzando le esperienze già in corso;
- Avviare un percorso di sostegno alle famiglie accoglienti e di supporto pedagogico a quelle
che intendono realizzare esperienze di affido familiare.
DESTINATARI
Le famiglie e la comunità sociale del territorio in cui sono presenti le comunità familiari e/o
educative.
METODOLOGIA
131
-
Incontri di sensibilizzazione, conoscenza e divulgazione rivolti al gruppo dei partecipanti
con modalità interattiva;
-
Laboratori per l’attivazione di esperienze, confronto, consulenza.
-
Questionari
PERCORSO
- I fondamenti pedagogici della relazione di aiuto.
- Il ruolo educativo della famiglia.
- Il sostegno alla genitorialità.
- La legislazione sull’affido in Italia
- La tutela dei minori nella legislazione nazionale e internazionale
- Minori in stato di abbandono
-La Carta di Cervia
-
L’affido: Percorsi di pedagogia dell’accoglienza
-
Il sostegno alla genitorialità diffusa
-
Il ruolo dei servizi sociali
-
La rete delle famiglie affidatarie: esperienze, problemi e prospettive
-
Dalla comunità alla famiglia:un percorso in continuità
- Le esperienze: riflessioni sulle esperienze delle famiglie affidatarie.
132
ALLEGATI
MAPPATURA DELLA LEGISLAZIONE
Si elencano i principali riferimenti normativi in materia di affido e di regolamentazione delle
comunità:
-
Convenzione sui diritti del fanciullo di New York del 20 novembre 1989, ratificata
dall’Italia con Legge 27 maggio 1991. Rappresenta il primo documento internazionale a cui fa
risalire l’avvio dell’interesse e dell’attenzione verso la titolarità di diritti del minore poichè:
- si occupa unitamente di diritti civili e politici, economici e sociali e culturali;
- dà una precisa definizione di bambino;
- è ratificato da quasi tutti gli stati;
- dà importanza ai bisogni materiali, alla cooperazione internazionale.
-
Legge 4 maggio 1983 n. 184 "Disciplina dell'adozione e dell'affidamento dei minori"su:
diritto alla famiglia, all’educazione familiare intervento a salvaguardia dei dritti e affidamenti
temporanei.
-
Legge n. 149/2001, ha apportato alcune modifiche alla precedente e ribadisce che: Il
minore ha diritto di crescere ed essere educato nell'ambito della propria famiglia.
Le condizioni di indigenza dei genitori o del genitore esercente la potestà genitoriale non
possono essere di ostacolo all'esercizio del diritto del minore alla propria famiglia. A tal fine
a favore della famiglia sono disposti interventi di sostegno e di aiuto.
Lo Stato, le regioni e gli enti locali, nell'ambito delle proprie competenze, sostengono, con
idonei interventi, nel rispetto della loro autonomia e nei limiti delle risorse finanziarie
disponibili, i nuclei familiari a rischio, al fine di prevenire l'abbandono e di consentire al
minore di essere educato nell'ambito della propria famiglia.
-
Legge n. 839/1935 - Istituzione del Tribunale dei minorenni
-
Legge regionale Marche 6 novembre 2002, n. 20 sulla Disciplina in materia di
autorizzazione e accreditamento delle strutture e dei servizi sociali a ciclo residenziale e
semiresidenziale. La Regione, mediante l'autorizzazione e accreditamento delle strutture e
dei servizi sociali a ciclo residenziale e semiresidenziale garantisce la qualità delle prestazioni
133
socio-assistenziali e socio-sanitarie erogate.
134
Legge regionale 6 novembre 2002, n. 20
Disciplina in materia di autorizzazione e accreditamento delle strutture e dei servizi sociali a
ciclo residenziale e semiresidenziale.
Il Consiglio regionale ha approvato;
il Presidente della Giunta regionale promulga
la seguente legge regionale:
Art. 1
(Finalità e oggetto)
1. La Regione, mediante l'autorizzazione e accreditamento delle strutture e dei servizi sociali
a ciclo residenziale e semiresidenziale garantisce la qualità delle prestazioni socioassistenziali e socio-sanitarie erogate.
2. La presente legge, ai sensi dell'articolo 11, comma 1, della legge 8 novembre 2000, n. 328
(Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali) e del
decreto del Ministro per la solidarietà sociale 21 maggio 2001, n. 308, disciplina i requisiti
per il rilascio dell'autorizzazione all'esercizio e per l'accreditamento delle strutture e dei
servizi a ciclo diurno e residenziale.
Art. 2
(Soggetti destinatari)
1. Le strutture di cui alla presente legge sono gestite dai soggetti pubblici o privati di cui
all'articolo 1, commi 4 e 5, della legge 328/2000, nel rispetto di quanto stabilito nel decreto
del Presidente del Consiglio dei Ministri 14 febbraio 2001 (Atto di indirizzo e coordinamento
in materia di prestazioni socio-sanitarie), e sono rivolte a:
a) minori per interventi socio-assistenziali ed educativi integrativi o temporaneamente
sostitutivi delle famiglie;
b) disabili, per interventi socio-assistenziali e socio-sanitari finalizzati al mantenimento ed al
recupero dei livelli di autonomia della persona e al sostegno delle famiglie;
c) anziani, per interventi socio-assistenziali e socio-sanitari, finalizzati al mantenimento ed al
recupero della capacità di autonomia della persona e al sostegno delle famiglie;
135
d) persone con problematiche psico-sociali, che necessitano di assistenza e risultano prive
del necessario supporto familiare o per le quali la permanenza nel nucleo familiare sia
temporaneamente o definitivamente impossibile o contrastante con il progetto individuale.
Art. 3
(Tipologie delle strutture)
1. Le strutture di cui alla presente legge sono articolate per tipologie funzionali in relazione
alla natura del bisogno, all'intensità assistenziale ed alla complessità dell'intervento e
vengono distinte ai sensi dei commi 2, 3 e 4.
2. Le strutture con funzione abitativa e di accoglienza educativa, caratterizzate da bassa
intensità assistenziale, sono destinate a soggetti autosufficienti privi di un valido supporto
familiare e distinte in:
a) strutture per minori: comunità familiare;
b) strutture per disabili: comunità alloggio;
c) strutture per anziani: comunità alloggio e casa-albergo;
d) strutture per persone con problematiche psico-sociali: comunità alloggio, comunità
familiare, alloggio sociale per adulti in difficoltà e centro di pronta accoglienza per adulti.
3. Le strutture con funzione tutelare; caratterizzate da media intensità assistenziale, sono
destinate a soggetti fragili e a rischio di perdita di autonomia, privi di un valido supporto
familiare e distinte in:
a) strutture per minori: comunità educativa, comunità di pronta accoglienza, comunità
alloggio per adolescenti;
b) strutture per disabili: comunità socio-educativa-riabilitativa;
c) strutture per anziani: casa di riposo;
d) strutture per persone con problematiche psico-sociali: casa famiglia, centro di accoglienza
per ex detenuti o per soggetti comunque sottopostl a misure restrittive della libertà
personale da parte dell'autorità giudiziaria, casa di accoglienza per donne, anche con figli
minori, vittime di violenza o vittime della tratta a fine di sfruttamento sessuale.
4. Le strutture con funzione protetta, caratterizzate da un alto livello di intensità e
complessità assistenziale, sono destinate a soggetti non autosufficienti che necessitano di
protezione a ciclo diurno o di residenzialità permanente e temporanea con funzione di
136
sollievo alle famiglie e sono distinte in:
a) strutture per disabili: residenza protetta e centro diurno socio-educativo-riabilitativo;
b) strutture per anziani: residenza protetta e centro diurno.
Art. 4
(Strutture per minori)
1. La comunità familiare di cui all'articolo 3, comma 2, lettera a), e una struttura educativa
residenziale caratterizzata dalla convivenza continuativa e stabile di un piccolo gruppo di
minori con due o più adulti che assumono le funzioni genitoriali.
2. La comunità educativa di cui all'articolo 3, comma 3, lettera a), e una struttura educativa
residenziale a carattere comunitario, caratterizzata dalla convivenza di un gruppo di minori
con un'équipe di operatori che svolgono la funzione educativa come attività di lavoro.
3. La comunità di pronta accoglienza di cui all'articolo 3, comma 3, lettera a), è una struttura
educativa residenziale a carattere comunitario, caratterizzata dalla continua disponibilità e
temporaneità dell'accoglienza di un piccolo gruppo di minori con un gruppo di educatori che
a turno assumono la funzione di adulto di riferimento.
4. La comunità alloggio per adolescenti di cui all'articolo 3, comma 3, lettera a), è una
struttura educativa residenziale a carattere comunitario, caratterizzata dalla convivenza di
un gruppo di ragazzi e ragazze con la presenza di referenti adulti.
Art. 5
(Strutture per disabili)
1. La comunità alloggio di cui all'articolo 3, comma 2, lettera b), e una struttura residenziale
parzialmente autogestita destinata a soggetti maggiorenni in condizioni di disabilità, privi di
validi riferimenti familiari, che mantengono una buona autonomia tale da non richiedere la
presenza di operatori in maniera continuativa.
2. La comunità socio-educativa-riabilitativa di cui all'articolo 3, comma 3, lettera b), è una
struttura residenziale a carattere comunitario rivolta a persone maggiorenni in condizioni di
disabilità, con nulla o limitata autonomia e non richiedenti interventi sanitari continuativi,
temporaneamente o permanentemente prive del sostegno familiare o per le quali la
permanenza nel nucleo familiare sia valutata temporaneamente o definitivamente
137
impossibile o contrastante con il progetto individuale.
3. La residenza protetta di cui all'articolo 3, comma 4, lettera a), è una struttura residenziale
destinata a persone, in condizioni di disabilità con gravi deficit psico-fisici, che richiedono un
elevato grado di assistenza con interventi di tipo educativo, assistenziale e riabilitativo con
elevato livello di integrazione socio-sanitaria.
4. Il centro diurno socio-educativo-riabilitativo di cui all'articolo 3, comma 4, lettera a), è una
struttura territoriale a ciclo diurno rivolta a soggetti in condizioni di disabilità, con notevole
compromissione delle autonomie funzionali, che abbiano adempiuto l'obbligo scolastico e
per i quali non è prevedibile nel breve periodo un percorso di inserimento lavorativo o
formativo.
Art. 6
(Strutture per anziani)
1. La comunità alloggio di cui all'articolo 3, comma 2, lettera c), è una struttura residenziale,
totalmente o parzialmente autogestita, consistente in un nucleo di convivenza a carattere
familiare per anziani autosufficienti che scelgono una vita comunitaria e di reciproca
solidarietà.
2. La casa albergo di cui all'articolo 3, comma 2, lettera c), è una struttura residenziale a
prevalente accoglienza alberghiera destinata ad anziani autosufficienti, costituita di spazi
abitativi individuali o familiari di varia tipologia e di servizi collettivi a disposizione di chi li
richiede.
3. La casa di riposo di cui all'articolo 3, comma 3 lettera c), è una struttura residenziale a
prevalente accoglienza alberghiera destinata ad accogliere, temporaneamente o
permanentemente, anziani autosufficienti che per loro scelta preferiscono avere servizi
collettivi o che per senilità, per solitudine o altro motivo, richiedono garanzie di protezione
nell'arco della giornata e servizi di tipo comunitario e collettivo.
4. La residenza protetta di cui all'articolo 3, comma 4, lettera b), è una struttura residenziale
con elevato livello di integrazione socio-sanitaria, destinata ad accogliere, temporaneamente
o permanentemente, anziani non autosufficienti, con esiti di patologie fisiche, psichiche,
sensoriali o miste, non curabili a domicilio e che non necessitano di prestazioni sanitarie
138
complesse.
5. Il centro diurno di cui all'articolo 3, comma 4, lettera b), è una struttura a regime
semiresidenziale, con un elevato livello di integrazione socio-sanitaria, destinata ad
accogliere anziani non autosufficienti, con esiti di patologie fisiche, psichiche, sensoriali o
miste.
Art. 7
(Strutture per persone con problematiche
psico-sociali)
1. La comunità alloggio di cui all'articolo 3, comma 2, lettera d), distinta per persone con
disturbi mentali, per ex tossicodipendenti, per gestanti o per madri con figli a carico, è un
servizio residenziale a carattere temporaneo o permanente per persone che, prive di validi
riferimenti familiari o per le quali si reputi opportuno l'allontanamento dal nucleo familiare,
necessitano di sostegno nel percorso di autonomia e di inserimento o reinserimento sociale.
2. La comunità familiare di cui all'articolo 3, comma 2, lettera d), è una struttura residenziale
che accoglie, in via temporanea o permanente, soggetti svantaggiati, sia minori che adulti,
anche con limitata autonomia personale, caratterizzata dalla convivenza continuativa, stabile
ed impostata sul modello familiare, con persone adulte che svolgono la funzione di
accompagnamento sociale ed educativo.
3. L'alloggio sociale per adulti in difficoltà di cui all'articolo 3, comma 2, lettera d), è una
struttura residenziale che offre una risposta, di norma temporanea, alle esigenze abitative e
di accoglienza alle persone con difficoltà di carattere sociale, prive del sostegno familiare o
per le quali la permanenza nel nucleo familiare sia valutata temporaneamente o
permanentemente impossibile o contrastante con il progetto individuale.
4. Il centro di pronta accoglienza per adulti di cui all'articolo 3, comma 2, lettera d), è una
struttura residenziale a carattere comunitario dedicata esclusivamente alle situazioni di
emergenza.
5. Il centro di accoglienza per ex detenuti o per soggetti comunque sottoposti a misure
restrittive della libertà personale, da parte dell'autorità giudiziaria, di cui all'articolo 3,
comma 3, lettera d), è una struttura residenziale a carattere comunitario che offre ospitalità
139
completa o diurna ai medesimi.
6. La casa famiglia, di cui all'articolo 3, comma 3, lettera d), è una struttura residenziale
destinata ad accogliere soggetti temporaneamente o permanentemente pivi di sostegno
familiare, anche con età e problematiche psico-sociali composite, improntata sul modello
familiare e con la presenza stabile di adulti che per scelta svolgono funzioni educative e
socio-assistenziali.
7. La casa di accoglienza per donne di cui all'articolo 3, comma 3, lettera d), è una struttura
residenziale a carattere comunitario che offre ospitalità e appoggio a donne vittime di
violenza fisica o psicologica, con o senza figli, e a donne vittime della tratta e dello
sfruttamento sessuale, per le quali si renda necessario il distacco dal luogo in cui è avvenuta
la violenza e l'inserimento in una comunità.
Art. 8
(Autorizzazione)
1. Tutte le strutture e i servizi di cui alla presente legge sono soggetti ad autorizzazione.
2. Sono, altresì, soggette ad autorizzazione le modificazioni delle strutture e dei servizi, già
autorizzati ai sensi della presente legge, che comportano variazione dei requisiti stabiliti dal
regolamento previsto all'articolo 9, comma 1.
Art. 9
(Requisiti delle strutture e dei servizi
soggetti ad autorizzazione)
1. I requisiti, nonché le procedure e le modalità per il rilascio dell'autorizzazione delle
strutture e dei servizi previsti dalla presente legge, sono definiti dalla Giunta regionale con
regolamento, sentita la Commissione consiliare competente, entro centoventi giorni
dall'entrata in vigore della presente legge, tenuto conto dei requisiti minimi fissati dalla
normativa statale vigente.
2. I requisiti per l'autorizzazione delle strutture e dei servizi previsti dalla presente legge
sono aggiornati, ogni qualvolta l'evoluzione tecnologica o normativa lo renda necessario, con
le stesse modalità di cui al comma 1.
140
Art. 10
(Procedura per il rilascio dell'autorizzazione)
1. La domanda di autorizzazione è presentata dal soggetto titolare delle strutture e dei
servizi al Comune nel cui territorio è ubicata la struttura. Nel caso di più tipologie, previste
all'interno della stessa struttura, il soggetto titolare richiede l'autorizzazione per ciascuna
tipologia.
2. Il Comune, accertata la sussistenza dei requisiti, rilascia l'autorizzazione entro novanta
giorni dalla presentazione della domanda.
3. I Comuni inviano periodicamente alla Giunta regionale i dati informativi relativi alle
strutture e ai servizi autorizzati e accreditati ai sensi della presente legge.
Art. 11
(Sospensione, revoca e decadenza
dell'autorizzazione)
1. Nel caso di violazione delle norme della presente legge, del venir meno dei requisiti o di
altre disfunzioni, il Comune diffida il soggetto autorizzato a provvedere alla regolarizzazione
o a presentare eventuali giustificazioni o controdeduzioni entro un congruo termine.
2. II Comune, qualora non ritenga sufficienti le giustificazioni addotte o nel caso in cui sia
trascorso inutilmente il termine di cui al comma 1, ordina la sospensione dell'autorizzazione
fino a quando non siano rimosse le cause che hanno determinato il provvedimento.
3. Nel caso di gravi e ripetute infrazioni alle norme della presente legge e del regolamento ad
cui all'articolo 9, comma 1, nonché nel caso di mancato rispetto delle condizioni apposte nel
provvedimento di autorizzazione o di gravi e ripetute disfunzioni, il Comune dispone la
revoca dell'autorizzazione.
4. L'autorizzazione decade nei casi di:
a) estinzione della persona giuridica autorizzata;
b) rinuncia del soggetto autorizzato;
c) decesso della persona fisica autorizzata, fatto salvo l'esercizio provvisorio degli eredi ai
sensi delle disposizioni vigenti.
141
Art. 12
(Verifica periodica dei requisiti e vigilanza)
1. Il Comune, anche avvalendosi dei servizi del dipartimento di prevenzione dell'Azienda ASL
competente per territorio e tenuto conto di quanto stabilito dal regolamento di cui
all'articolo 9, comma 1, precede a verifiche rispettive tese all'accertamento della
permanenza dei requisiti delle strutture e dei servizi di cui alla presente legge.
2. I soggetti titolari delle strutture e dei servizi di cui alla presente legge inviano al Comune,
con periodicità annuale, una dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà concernente la
permanenza del possesso dei requisiti.
3. La Giunta regionale può disporre verifiche e controlli sulle strutture autorizzate e
accreditate ai sensi della presente legge.
Art. 13
(Accreditamento)
1. L'accreditamento delle strutture e dei servizi previsti dalla presente legge e condizione per
instaurare rapporti con i soggetti pubblici, secondo le modalità previste dalla normativa
vigente, e presuppone il possesso dei requisiti di qualità definiti ai sensi del comma 2.
2. I requisiti, le procedure e le modalità per l'accredita- mento sono definiti dalla Giunta
regionale con regolamento, sentita la Commissione consiliare competente, entro
centottanta giorni dall'entrata in vigore della presente legge.
3. I requisiti per l'accreditamento delle strutture e dei servizi previsti dalla presente legge
sono aggiornati, ogni qualvolta l'evoluzione tecnologica o formativa lo renda necessario, con
le stesse modalità di cui al comma 2.
4. I Comuni provvedono all'accreditamento delle strutture e dei servizi previsti dalla
presente legge, previa verifica dei requisiti e secondo le procedure e le modalità stabiliti con
il regolamento di cui al comma 2.
5. La Giunta regionale, entro centottanta giorni dall'entrata in vigore della presente legge,
stabilisce i criteri per la definizione delle tariffe da corrispondere ai soggetti accreditati con i
quali sono instaurati i rapporti di cui al comma 1.
142
6. La Giunta regionale, sentiti gli enti locali e la Commissione consiliare competente, in
armonia con la programmazione sanitaria e sociale, determina, entro centottanta giorni
dall'entrata in vigore della presente legge, il fabbisogno delle strutture protette per anziani e
disabili.
Art. 14
(Norme transitorie e finali)
1. Le strutture già operanti alla data di entrata in vigore della presente legge, comprese
quelle autorizzate provvisoriamente ai sensi delle deliberazioni consiliari n. 272 dell'8 marzo
1995 e n. 54 del 20 marzo 1996 e della deliberazione della Giunta regionale n. 25 del 10
gennaio 2000, devono adeguarsi alle disposizioni della presente legge, secondo quanto
previsto dal regolamento di cui all'articolo 9, comma 1.
2. Le strutture di nuova istituzione già previste dalla programmazione regionale possono
essere provvisoriamente autorizzate ai sensi delle deliberazioni di cui al comma 1.
3. Le case di riposo che hanno presentato domanda di autorizzazione per Nuclei di assistenza
residenziale (NAR), presentano la domanda per residenza protetta per anziani, secondo
quanto previsto dal regolamento di cui all'articolo 9, comma 1.
4. In sede di prima applicazione della presente legge, le procedure di accreditamento per le
residenze protette non possono essere avviate dai Comuni in assenza dell'atto di fabbisogno
di cui all'articolo 13, comma 6.
5. Sono abrogati gli articoli 9 e 41, comma 2, della l.r. 5 novembre 1988, n. 43 e il
regolamento regionale 10 maggio 1989, n. 21.
6. Fino all'entrata in vigore del regolamento di cui all'articolo 9, comma 1, continuano ad
applicarsi le norme abrogate dal comma 5 e le corrispondenti disposizioni emanate ai sensi
della l.r 43/1988.
La presente legge sarà pubblicata nel bollettino ufficiale della Regione. È fatto obbligo a
chiunque spetti, di osservarla e di farla osservare come legge della Regione Marche.
Data ad Ancona, addì 6 novembre 2002
IL PRESIDENTE
(Vito D'Ambrosio)
143
GLOSSARIO
ACCOGLIENZA
Atto di corrispondenza ai bisogni del minore che si manifesta nell’offerta di cure, attenzione,
risposte a bisogni educativi in una struttura residenziale familiare o educativa in cui i soggetti
responsabili possono garantire interventi adeguati.
ADOZIONE
Provvedimento in favore del soggetto minore previsto dalla Legge 4 maggio 1983 e
successive modifiche con il quale si garantisce un nucleo familiare al minore la cui famiglia
non sia in grado di provvedere alla sua crescita ed alla sua educazione, non per cause legate
alla sola condizione di indigenza.
I minori, per i quali sia accertata la situazione di abbandono, vengono dichiarati in stato di
adottabilità dal Tribunale per i minorenni.
Accertato che il minore è in stato di abbandono, inizia la procedura adozionale che ha come
obiettivo quello di individuare la coppia genitoriale che meglio possa rispondere alle
esigenze del minore.
Al termine del procedimento dichiarativo di adozione, l'adottato acquista lo stato di figlio
legittimo degli adottanti e riceve uno status giuridico stabile e definitivo di figlio a tutti gli
effetti del nuovo nucleo familiare.
L'adozione è consentita a coniugi uniti in matrimonio da almeno tre anni, o per un numero
inferiore di anni se i coniugi abbiano convissuto in modo stabile e continuativo prima del
matrimonio per un periodo di tre anni, e ciò sia accertato dal Tribunale per i minorenni.
AFFIDO
Provvedimento stabilito per il minore qualora si ravvisino le condizioni di impossibilità dei
genitori di provvedere temporaneamente ai bisogni del figli. Per questo l'affidamento può
essere di tipo diverso. Un bambino può essere affidato ad un'altra famiglia:
144
-
per parte della giornata o della settimana: quando i genitori sono nella impossibilità di
una presenza costante accanto ai figli;
- per un tempo breve e prestabilito, quanto c'è una necessità transitoria dei genitori, come
ad esempio il ricovero in ospedale. Il bambino, quindi, sarà affidato ad un'altra famiglia,
possibilmente già conosciuta dal minore; superata la necessità il minore rientrerà nella sua
famiglia e per tutto il periodo dell'affidamento manterrà un rapporto costante con la sua
famiglia d'origine;
- per un tempo prolungato. E' la situazione di affidamento più comune ma anche più
problematica, in quanto non si può stabilire in anticipo la durata precisa: è possibile solo fare
un progetto di affidamento per un certo tempo e verificare, di volta in volta, se è attuabile il
rientro. Queste situazioni, che sono generalmente più complesse, richiedono un costante
sostegno da parte degli operatori dei servizi assistenziali.
Non sempre l'affidamento può concludersi con il rientro del minore in famiglia, talvolta si
protrae oltre la maggiore età, fino al suo autonomo inserimento sociale.
AFFIDAMENTO CONDIVISO
Condizione secondo la quale si esercita la potestà genitoriale di entrambi i genitori prevista
dalla legge 8 febbraio 2006 n. 54 “Disposizioni in materia di separazione dei genitori e
affidamento condiviso dei figli”, art.1. (vedi bigenitorialità).
AFFIDAMENTO ESCLUSIVO
Situazione in cui si deroga al principio generale di affidamento condiviso previsto dalle
modifiche all’art.155 codice civile contenute nella legge n.54 del 2006: Art. 155-bis
(Affidamento a un solo genitore e opposizione all'affidamento condiviso). - Il giudice può
disporre l'affidamento dei figli ad uno solo dei genitori qualora ritenga con provvedimento
motivato che l'affidamento all'altro sia contrario all'interesse del minore.
AFFIDAMENTO PRE ADOTTIVO
Provvedimento previsto nelle modifiche all’art.22 della legge n.184/83: Coloro che
intendono adottare devono presentare domanda al tribunale per i minorenni, specificando
l'eventuale disponibilità ad adottare più fratelli ovvero minori che si trovino nelle condizioni
indicate dall'articolo 3, comma 1, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, concernente
145
l'assistenza, l'integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate. È ammissibile la
presentazione di più domande anche successive a più tribunali per i minorenni, purché in
ogni caso se ne dia comunicazione a tutti i tribunali precedentemente aditi. I tribunali cui la
domanda è presentata possono richiedere copia degli atti di parte ed istruttori, relativi ai
medesimi coniugi, agli altri tribunali; gli atti possono altresì essere comunicati d'ufficio. La
domanda decade dopo tre anni dalla presentazione e può essere rinnovata.
ASSISTENZA
Azione di sostegno alla persona anche in condizioni di parziale autonomia o autosufficienza,
in risposta a bisogni primari e secondari.
BIGENITORIALITA’
Principio sancito dalla legge n.54/2006 che modifica l’art.155 c.c., secondo il quale il minore
ha diritto a mantenere un rapporto equilibrato con ambedue i genitori, di ricevere cura,
educazione e istruzione da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e
con i parenti di ciascun ramo genitoriale.
BISOGNI EDUCATIVI
Esigenza di interventi formativi che realizzano le dimensioni di protezione, cura, tutela,
istruzione, educazione.
CASA/COMUNITA’ ALLOGGIO
Struttura educativa residenziale a carattere comunitario, caratterizzata dalla convivenza di
un gruppo di ragazzi e ragazze con la presenza di referenti adulti.
CASA FAMIGLIA/COMUNITA’ FAMILIARE
Struttura educativa residenziale caratterizzata dalla convivenza continuativa e stabile di un
piccolo gruppo di minori con due o più adulti che assumono le funzioni genitoriali.
COMUNITA’ EDUCATIVA
Struttura educativa residenziale a carattere comunitario, caratterizzata dalla convivenza di
un gruppo di minori con un'équipe di operatori che svolgono la funzione educativa come
attività di lavoro.
DECRETO TRIBUNALE MINORI
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Documento redatto dall'autorità competente e/o dal servizio sociale e controfirmato dalla
famiglia affidataria prima dell'accoglienza del bambino e/o adolescente ad essa affidato. Tale
accordo concerne le modalità attraverso le quali si espleta il periodo di affidamento e la
regolamentazione dei rapporti tra servizi, famiglia affidataria e famiglia naturale
dell'affidato.
EQUIPE MULTIDICIPLINARE
Gruppo di operatori individuati dall'autorità competente e/o dal servizio sociale che
assicurano attraverso modalità di lavoro integrate la realizzazione degli scopi
dell'affidamento.
FAMIGLIA NATURALE
Nucleo costituito dalla coppia genitoriale e eventualmente dai figli legati da u rapporto
reciproco stabile e duraturo. Per la definizione di famiglia si rimanda ala Costituzione della
Repubblica Italiana che all’art. 29 recita: “La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come
società naturale fondata sul matrimonio”. Si evidenziano due aspetti concorrenti: la famiglia
come istituzione sociale e come realtà dinamica all’interno dei contesti e l’essenza della
famiglia consistente nell’intenzionalità educativa e nella relazionalità tra i componenti di
essa.
FAMIGLIA AFFIDATARIA
Nucleo familiare costituito da una coppia e dai propri figli naturali che accoglie il minore in
difficoltà temporanea e si sostituisce temporaneamente alla famiglia naturale.
PEDAGOGISTA GIURIDICO
Branca della pedagogia giuridica il cui dominio di lavoro si esercita nell’ambito dei servizi alla
persona coniugando i paradigmi dell’adattamento, della relazione di aiuto e della tutela
giuridica.
Interviene nell’area della giurisdizione civile (adozioni, affidi, separazioni, divorzi) e della
giurisdizione penale( misure alternative alla detenzione, processi di messa alla prova,
relazioni di aiuto).
147
Esercita interventi nell’ambito della mediazione penale, familiare, scolastica e della
consulenza in qualità di esperto in procedimenti penali e civili.
POTESTA’ GENITORIALE
Esercizio di diritti/doveri del genitore sul figlio naturale.
PROGETTO EDUCATIVO
Piano di interventi contenente le finalità per la realizzazione di un percorso di aiuto alla
persona, di sostegno, di accoglienza e orientamento. Copre un arco di vita temporaneo e
prevede azioni che si dispiegano mettendo in campo interventi di professionalità
multidisciplinari. Prevede una fase di diagnosi della situazione, di interventi e di
monitoraggio dei risultati, di valutazione conclusiva e di eventuali adeguamenti.
PRONTO INTERVENTO
Struttura educativa residenziale a carattere comunitario, caratterizzata dalla continua
disponibilità e temporaneità dell'accoglienza di un piccolo gruppo di minori con un gruppo di
educatori che a turno assumono la funzione di adulto di riferimento.
SERVIZI SOCIALI TERRITORIALI
Strutture tecnico-amministrative preposta al servizio di tutela dell'infanzia e della famiglia
d'origine.
TRIBUNALE PER I MINORENNI
Tribunali che, in ogni corte d'appello, hanno giurisdizione in materia penale, civile e
amministrativa sui minorenni.
TUTELA GIURIDICA
Consiste nella promozione di interventi che si rendono necessari in tutte quelle situazioni in
cui non è garantita sufficiente protezione, sicurezza della persona per cause esterne
sopraggiunte. Inoltre quando risultano compromessi sia il riconoscimento, che la
promozione dei diritti della persona, così come l’esercizio dei diritti individuali.
148
BIBLIOGRAFIA
La bibliografia è suddivisa in sezioni, sulla base agli scenari a fondamento della ricerca.
Scenario metodologico
Baldacci M., Relazione seminario Metodologia della ricerca nelle scienze della formazione,
Scienze della formazione – Macerata, Ottobre 2009
Cadei L., Pedagogia della famiglia e modelli di ricerca, Eum x formazione, Macerata 2008
Corsi M., Relazione seminario Metodologia della ricerca nelle scienze della formazione,
Scienze della formazione – Macerata, Ottobre 2009
Demetrio D., Micropedagogia. La ricerca qualitativa in educazione, La Nuova Italia, Firenze
1992
Fabbri L., Comunità di pratiche e apprendimento riflessivo. Per una formazione situata,
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