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Obbligo di fedeltà e patto di non concorrenza

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Obbligo di fedeltà e patto di non concorrenza
U.G.L. Credito Informa
diritto del lavoro e divulgazione giuridica
Numero: 13
Anno 2009
Obbligo di fedeltà e
patto di non concorrenza
Il dovere di fedeltà è cosa da non prendere sotto gamba perché la sua violazione
integra la giusta causa di licenziamento.
In costanza di rapporto lavorativo nessun dipendente ignori l’esistenza del divieto di
svolgere attività concorrente con quella del proprio datore di lavoro; divieto che si
ricollega ai generali principi di correttezza e buona fede (artt. 1175 e 1375 c.c.).
Più precisamente, obbligo di fedeltà ricomprende:
- astenersi dai comportamenti espressamente vietati dall'articolo 2105 c.c.3
il prestatore di lavoro non deve trattare affari, per conto proprio o di
terzi, in concorrenza con l'imprenditore, né divulgare notizie attinenti
all'organizzazione e ai metodi di produzione dell'impresa, o farne uso
in modo da poter recare ad essa pregiudizio
- evitare qualsiasi condotta che, per la natura o per le sue possibili conseguenze,
possa risultare in contrasto con i doveri connessi all’inserimento nella struttura
organizzativa dell’impresa;
- non determinare, anche solo potenzialmente, situazioni di conflitto con le finalità
e gli interessi dell’azienda datrice di lavoro.
La violazione dell'obbligo di fedeltà può portare, non solo al licenziamento per
giusta causa, ma può anche determinare una responsabilità disciplinare e l'obbligo
di risarcire il danno subito dall’azienda.
L’obbligo di fedeltà è un dovere assoluto ma connesso alla sussistenza del
rapporto di lavoro. Quando il contratto si estingue (dimissioni, quiescenza…) il
lavoratore riacquista la libertà di prestare qualsiasi attività, anche in concorrenza con
quella svolta presso il suo precedente datore di lavoro.
L’azienda spesso propone il patto di non concorrenza, per estendere tutti o alcuni
dei suddetti doveri oltre la data di cessazione del rapporto di lavoro e per evitare,
così, il rischio di perdere anzitempo un collaboratore che ritiene importante.
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Il patto di non concorrenza è il patto con il quale si limita lo svolgimento
dell'attività del prestatore di lavoro, per il tempo successivo alla cessazione del
contratto.
La stipulazione può avvenire all’atto dell’assunzione, durante il rapporto di lavoro o
alla cessazione dello stesso.
Il Patto di non concorrenza, a pena di nullità, deve:
- risultare da atto scritto;
- prevedere un corrispettivo congruo a favore del prestatore di lavoro;
- essere contenuto entro determinati limiti di oggetto (in relazione cioè ad una data
attività in potenziale concorrenza con quella eseguita dal datore di lavoro),
- limiti di tempo (la durata del patto non può essere superiore a cinque anni per i
dirigenti e a tre anni per gli altri prestatori di lavoro - se è pattuita una durata
maggiore, essa si riduce nella misura su indicata.- ),
- limiti di luogo (deve riferirsi, generalmente, ad una determinata area territoriale).
La valutazione sulla compatibilità delle limitazioni e la congruità del corrispettivo
pattuito, costituiscono oggetto di apprezzamento riservato al giudice di merito.
La contropartita economica: L’importo del corrispettivo concordato per
l’allungamento dei termini di preavviso o per la stipulazione del patto di non
concorrenza, può essere stabilito in misura fissa o in percentuale della retribuzione.
Nel caso di corresponsione mensile o semestrale, come ogni erogazione effettuata in
costanza di rapporto di lavoro, la somma sarà assoggettata a tassazione ordinaria e a
contribuzione previdenziale (art. 12 della legge 30 aprile 1969 n. 153). Quando,
diversamente, l’erogazione pattizia viene corrisposte alla cessazione del rapporto,
l’importo beneficerà del più favorevole regime della tassazione separata.
Spesso nei patti di non concorrenza vengono inserite clausole che attribuiscono al
datore di lavoro la facoltà di recedere unilateralmente in qualsiasi momento dal patto
(e non pagare più la relativa indennità).
Al riguardo, una importante sentenza della Corte d’Appello di Milano (12 aprile 2001
n. 224 ) ha affermato che tale facoltà di recesso non può essere esercitata dopo la
cessazione del rapporto di lavoro; a quel punto infatti, rileva la Corte, il lavoratore ha
già dovuto adempiere al patto di non concorrenza, subendo una limitazione nella
ricerca di un altro lavoro; il datore di lavoro quindi non può più sottrarsi al proprio
obbligo di pagare il compenso pattuito.
Questo numero è stato approntato con la collaborazione del DOTT. ENNIO
DE LUCA, SEGRETARIO PROVINCIALE UGL CREDITO DI UDINE.
Utilizzate l'indirizzo e-mail [email protected] per richiedere la trattazione di
specifici argomenti, proporre collaborazioni e inviare documenti che possano essere di
interesse per la redazione di nuovi numeri. Comunicaci, se vuoi, le tue opinioni e commenti.
La redazione è stata curata dall ' avv.
avv Rosario Francese
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