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La responsabilità degli amministratori di s.r.l. verso la società

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La responsabilità degli amministratori di s.r.l. verso la società
La responsabilità degli amministratori di s.r.l. verso la società
1. – Introduzione
Scopo di questo articolo è di esaminare la disciplina della responsabilità degli amministratori nella s.r.l. (1) italiana (2), materia regolata dall’art.
2476 c.c. (3). L’art. 2476, comma 1°, c.c. prevede che « gli amministratori
sono solidalmente responsabili verso la società dei danni derivanti dall’inosservanza dei doveri ad essi imposti dalla legge e dall’atto costitutivo
per l’amministrazione della società. Tuttavia la responsabilità non si
estende a quelli che dimostrino di essere esenti da colpa e, essendo a cognizione che l’atto si stava per compiere, abbiano fatto constare del proprio dissenso ». Tre elementi concorrono dunque a fondare la responsabilità dell’amministratore: 1) l’inosservanza di un dovere, vale a dire un atto
o un’omissione in violazione di un obbligo imposto dalla legge o dall’atto
costitutivo; 2) il verificarsi di un danno; 3) il legame fra il comportamento
del gestore e le conseguenze dannose per la società.
2. – I doveri degli amministratori in generale
Non vi è una disposizione che sancisca in modo specifico che gli amministratori di s.r.l. devono comportarsi secondo diligenza (4). L’art. 2476,
(1) Sulla riforma della s.r.l. cfr., fra gli altri, Benazzo, L’organizzazione nella nuova s.r.l.
fra modelli legali e statutari, in Società, 2003, p. 1062 ss.; Racugno-Loffredo, Società a responsabilità limitata, in Giur. comm., 2006, II, p. 209 ss.; Salafia, Il nuovo modello di società
a responsabilità limitata, in Società, 2003, p. 5 ss.; Salvatore, L’organizzazione corporativa
nella nuova s.r.l.: amministrazione, decisione dei soci e il ruolo dell’autonomia statutaria, in
questa rivista, 2003, p. 1342 ss.; Zanarone, Introduzione alla nuova società a responsabilità
limitata, in Riv. soc., 2003, p. 58 ss. Più in generale sulla riforma delle società di capitali v.,
da ultimo, Galgano, Die italienische Reform der Kapitalgesellschaften, in Die Reform des
italienischen Gesellschaftsrechts, a cura di Hilpold, Perathoner e Steinmair, Innsbruck, 2006,
p. 35 ss.
(2) Sulla responsabilità degli amministratori di s.r.l. (GmbH) nel diritto tedesco sia consentito il rinvio a Sangiovanni, Doveri e responsabilità degli amministratori di s.r.l. in comparazione con la GmbH tedesca, in Società, 2006, p. 1563 ss.; Sangiovanni, Responsabilità
degli amministratori di s.r.l tedesca (GmbH) nei confronti della società, in Società, 2005, p.
1571 ss.
(3) Sulla responsabilità degli amministratori nel contesto dei gruppi cfr., in particolare,
Galgano, Direttive della capogruppo e abuso della direzione unitaria: responsabilità degli
amministratori, in Fall., 2000, p. 1096 ss.
(4) Sul principio di diligenza nella regolamentazione delle società cfr., da ultimo, G. Visintini, La regola della diligenza nel nuovo diritto societario , in Riv. dir. impr., 2004, p. 383 ss.
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comma 1°, c.c. si limita a stabilire che gli amministratori sono responsabili per i danni derivanti « dall’inosservanza dei doveri ad essi imposti dalla
legge e dall’atto costitutivo ». Sotto questo profilo la disciplina della s.r.l. si
differenzia dalla regolamentazione della s.p.a. In questo tipo societario si
prevede difatti che gli amministratori devono adempiere i doveri ad essi
imposti dalla legge e dallo statuto « con la diligenza richiesta dalla natura
dell’incarico e dalle loro specifiche competenze » (art. 2392, comma 1°,
c.c.). Questa disposizione non viene richiamata nella disciplina della s.r.l.
La diligenza è peraltro menzionata, nell’ambito della regolamentazione
della s.r.l., all’art. 2489, comma 2°, c.c., ove si stabilisce che « i liquidatori
debbono adempiere i loro doveri con la professionalità e diligenza richieste dalla natura dell’incarico ». Ma se i liquidatori devono essere diligenti
nella fase terminale della vita della società, non si vedono ragioni per cui
non debbano esserlo gli amministratori durante tutto il periodo di funzionamento ordinario della s.r.l.
All’assenza di un richiamo espresso alla diligenza degli amministratori nell’ambito specifico della disciplina dell’amministrazione della s.r.l. la
dottrina non attribuisce alcun peso. È difatti opinione comune che il criterio della diligenza debba comunque rilevare nella valutazione della responsabilità del gestore, pur in mancanza di una disposizione ad hoc (5).
In alternativa si dovrebbe giungere alla conclusione, evidentemente paradossale, che l’amministratore di s.r.l. sia legittimato a comportarsi in modo non diligente. Per risolvere questo apparente dilemma è necessario rifarsi ai principi generali. Si è visto che gli amministratori di s.r.l. sono te-
(5) Abriani, in Diritto delle società, III ed., Milano, 2006, p. 314; Allegri, L’amministrazione della società a responsabilità limitata dopo la recente riforma, in La nuova disciplina della società a responsabilità limitata, a cura di Santoro, Milano, 2003, p. 164; Ambrosini, in Società di capitali, a cura di Niccolini e Stagno d’Alcontres, III vol., Napoli, 2004, p.
1591; Caccavale, in La riforma della società a responsabilità limitata, Milano, 2004, p. 352
s.; Cagnasso, in Il nuovo diritto societario, a cura di Cottino, Bonfante, Cagnasso e Montalenti, II vol., Bologna, 2004, p. 1880; Capo, Il governo dell’impresa e la nuova era della società a responsabilità limitata, in Giur. comm., 2003, I, p. 514; De Angelis, Amministrazione
e controllo nelle società a responsabilità limitata, in Riv. soc., 2003, p. 479 s.; Galgano- Genghini, in Le nuove società di capitali e cooperative, I, in Il nuovo diritto societario, III ed., Padova, 2006, p. 872; Mainetti, in Codice commentato delle nuova società, a cura di Bonfante,
Corapi, Marziale, Rordorf e Salafia, Milano, 2004, p. 1065; Parrella, in La riforma delle società, a cura di Sandulli e Santoro, III, Torino, 2003, p. 124; Pasquariello, in Il nuovo diritto delle società, a cura di Maffei Alberti, III vol., Padova, 2005, p. 1974; Piccinini, Atti gestori dannosi: i “mobili confini” della responsabilità del socio, in Società, 2005, p. 453 s.; Rossi, Deformalizzazione delle funzioni gestorie e perimetro della responsabilità da gestione nella
s.r.l., in Giur. comm., 2004, I, p. 1060; Silvestrini, Responsabilità degli amministratori nella
s.p.a. e nella s.r.l. dopo la riforma societaria, in Società, 2004, p. 695.
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nuti a osservare i « doveri ad essi imposti dalla legge e dall’atto costitutivo
per l’amministrazione della società » (art. 2476, comma 1°, c.c.). L’adempimento di questi doveri è adempimento di obbligazioni, cui trovano applicazione le disposizioni sulle obbligazioni in generale (art. 1173 ss. c.c.). La
diligenza che deve caratterizzare l’operato dell’amministratore è quella
prevista dall’art. 1176, comma 2°, c.c. Non si tratta della diligenza ordinaria del debitore (art. 1176, comma 1°, c.c.), bensì della diligenza richiesta
nell’adempimento di obbligazioni inerenti all’esercizio di un’attività professionale. Il fatto che non ci sia una disposizione specifica in materia di
amministrazione della s.r.l. che si richiama al principio della diligenza non
ha per effetto di escludere l’applicazione delle regole generali in materia
di adempimento. L’amministratore è assoggettato a certi doveri e risponde per l’inosservanza di essi (art. 2476, comma 1°, c.c.). Questi obblighi
vanno adempiuti con diligenza perché lo impone, in via generale, l’art.
1176 c.c.
In realtà esiste anche un’altra strada per giungere alla conclusione che
gli amministratori di s.r.l. si devono comportare secondo diligenza. Si potrebbe difatti ritenere applicabile in via analogica l’art. 2392, comma 1°,
c.c. dettato per la s.p.a.
Il Tribunale di S.M. Capua Vetere ha affrontato questo problema e ha
affermato che, in materia di amministrazione di s.r.l., trova applicazione il
criterio generale di diligenza nell’adempimento stabilito dall’art. 1176 c.c.
(6). Bisogna avere riguardo non alla diligenza dell’uomo medio, quanto alla più elevata diligenza che si può richiedere a un accorto gestore di un patrimonio altrui (art. 1176, comma 2°, c.c.), quale è quello appartenente alla società amministrata (7). L’amministratore di s.r.l. deve dunque essere
diligente e la diligenza che gli è richiesta è quella professionale.
Gli amministratori di una s.r.l. sono responsabili dei danni derivanti
dall’inosservanza dei « doveri ad essi imposti dalla legge e dall’atto costitutivo per l’amministrazione della società » (art. 2476, comma 1°, c.c.). Il
nostro legislatore si avvale di una formulazione ampia (« doveri imposti »).
Una limitazione risulta tuttavia dalle fonti da cui possono risultare questi
(6) Trib. S.M. Capua Vetere, 15 novembre 2004 (ord.), in Società, 2005, p. 477 ss., con
nota di Sandulli.
(7) Un altro principio di carattere generale che trova applicazione in materia di responsabilità degli amministratori è quello fissato dall’art. 1218 c.c. (responsabilità del debitore).
Secondo questa disposizione « il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno, se non prova che l’inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile ».
In questo senso Salafia, Profili di responsabilità degli amministratori di società di capitali,
in Società, 2005, p. 1333.
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doveri: si deve trattare della « legge » oppure dell’« atto costitutivo ». A voler essere pignoli bisogna rilevare che la disposizione in esame parla di legge « e » di atto costitutivo (non di legge « o » atto costitutivo). Sembrerebbe cioè che i doveri debbano essere affermati dalla legge e ribaditi dall’atto costitutivo. Questa soluzione non può tuttavia essere accolta. Se la disposizione di legge è imperativa, l’atto costitutivo non vi può derogare. Sia
che l’atto costitutivo vi deroghi sia che l’atto costitutivo taccia, la norma di
legge si applica. L’amministratore è dunque tenuto a osservare comunque
le disposizioni di legge, perlomeno quando esse sono imperative. Il gestore è inoltre tenuto a rispettare quei doveri, aggiuntivi rispetto alla legge,
che sono fissati nell’atto costitutivo. Vi sono dunque due gruppi di obblighi da osservarsi, quelli di origine legislativa e quelli di origine contrattuale. Sarebbe stato probabilmente corretto che l’art. 2476, comma 1°, c.c. si
esprimesse utilizzando la disgiuntiva: legge « o » atto costitutivo.
Ma quali sono i « doveri » che fanno capo all’amministratore di s.r.l.?
Per individuare questi obblighi basta scorrere le disposizioni di legge. In
questa sede non si può che fare qualche esempio. Un dovere dell’amministratore di s.r.l. è fissato dall’art. 2466, comma 1°, c.c., secondo cui « se il
socio non esegue il conferimento nel termine prescritto, gli amministratori diffidano il socio moroso ad eseguirlo nel termine di trenta giorni ». Oppure, sempre a titolo di esempio, si ponga mente all’art. 2470, comma 5°,
c.c., ai sensi del quale « quando si costituisce o ricostituisce la pluralità dei
soci, gli amministratori ne devono depositare apposita dichiarazione per
l’iscrizione nel registro delle imprese ». L’elencazione potrebbe andare
avanti a lungo, ma non ha senso illustrare qui tutti i possibili doveri degli
amministratori. L’importante è sottolineare che, in tutti i casi in cui la legge richiede un adempimento dei gestori e questi non si attivano, essi rispondono nei confronti della società per i danni che ne derivano.
Il dovere fondamentale dell’amministratore è quello di gestire la società. Si tratta dell’obbligo di svolgere l’attività d’impresa per la quale la
società è stata costituita. Nel diritto italiano questo obbligo è affermato
con maggiore chiarezza per la s.p.a., in relazione alla quale la legge prevede che « la gestione dell’impresa spetta esclusivamente agli amministratori, i quali compiono le operazioni necessarie per l’attuazione dell’oggetto
sociale » (art. 2380 bis, comma 1°, c.c.). Una disposizione identica non si
rinviene in materia di s.r.l. Tuttavia quale sia il compito degli amministratori lo si desume dalla clausola generale di cui all’art. 2475, comma 1°, c.c.,
secondo cui « l’amministrazione della società è affidata a uno o più soci ».
In un caso (s.p.a.) si parla di « gestione dell’impresa », nell’altro di « amministrazione della società » (s.r.l.), ma il contenuto del dovere è lo stesso.
Inoltre, in tema di s.r.l., l’art. 2476, comma 1°, c.c. prevede che gli amministratori sono responsabili dei danni derivanti dall’inosservanza dei do-
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veri ad essi imposti per « l’amministrazione della società ». Infine, sempre
in tema di s.r.l., l’art. 2486, comma 1°, c.c. prevede che al verificarsi di una
causa di scioglimento, gli amministratori conservano « il potere di gestire
la società », anche se ai soli fini della conservazione dell’integrità e del valore del patrimonio sociale. Da questa disposizione si evince che il « potere di gestire la società » sussiste anche prima del verificarsi di una causa di
scioglimento; anzi: prima di tale momento il potere di gestire sussiste in
tutta la sua pienezza. L’obbligo fondamentale che fa capo all’amministratore viene dunque individuato nella gestione dell’impresa. La conduzione
dell’impresa è, ovviamente, un dovere dal contenuto generico. La sua
concretizzazione dipende dalle circostanze del caso. Talvolta si tratta di
compiere azioni, talaltra di omettere qualcosa. Fare un catalogo dettagliato dei comportamenti cui è tenuto l’amministratore diligente è difficile,
perché i fattori di cui bisogna tenere conto sono numerosi. Lo stesso contenuto dell’obbligo di organizzare adeguatamente l’impresa è vago perché
dipende dalla caratteristiche della società governata. È evidente che gestire una piccola attività imprenditoriale in forma societaria richiede comportamenti ben diversi da quelli che deve tenere l’amministratore di una
grossa impresa industriale che dispone di più stabilimenti, magari anche
all’estero, e realizza fatturati milionari.
3. – Il dovere di informarsi e di preparare adeguatamente le decisioni
L’attività di amministrazione di una società comporta dei rischi. Le
decisioni assunte dai quotisti e dai gestori devono tenere conto di numerose variabili. Poiché alcuni di questi fattori possono essere difficilmente
valutabili ex ante in tutta la loro complessità, di fatto non esiste un’attività
imprenditoriale completamente priva di rischi. Di questo il legislatore è
consapevole. Il principio cardine dell’intera regolamentazione della società « a responsabilità limitata » è difatti la limitazione di responsabilità.
La disposizione di riferimento è l’art. 2462, comma 1°, c.c., secondo cui
« nella società a responsabilità limitata per le obbligazioni sociali risponde
soltanto la società con il suo patrimonio ». Se la responsabilità dei quotisti
fosse illimitata, non sarebbe facile trovare persone disposte a rischiare il
proprio patrimonio personale in un’avventura imprenditoriale. Proprio al
fine di incentivare l’attività economica il legislatore ha creato lo strumento della società a responsabilità « limitata ».
Rischi nell’attività imprenditoriale sussistono – direttamente – per i
soci, che hanno investito nella società, ma anche – indirettamente – per
gli amministratori che si trovano a gestire le risorse messe a disposizione
dai quotisti e che, commettendo errori, potrebbero essere chiamati a risarcire il danno. Affinché possa escludersi la responsabilità è necessario
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effettuare appropriate valutazioni dei vantaggi e degli svantaggi derivanti
dalle operazioni che si hanno in progetto di compiere. In altre parole occorre informarsi adeguatamente e preparare bene le decisioni che si vanno a prendere. Nel diritto italiano questo principio trova un riscontro testuale nell’art. 2381, comma 6°, c.c. – dettato per le s.p.a. – laddove si prevede che gli amministratori sono tenuti ad agire in modo informato. Il gestore che non si informa in modo adeguato si rende responsabile. È ragionevole ritenere che questa disposizione valga anche per le s.r.l. (8). La
raccolta di un quantitativo sufficiente d’informazioni deve difatti ritenersi
espressione di quella diligenza che non può non connotare il comportamento dei gestori. Negare questo principio significherebbe dire che gli
amministratori possono amministrare una società (e dunque svolgere un
compito professionale che può risultare anche di notevole difficoltà) senza necessità d’informarsi. Un’interpretazione del genere non è evidentemente accettabile. Diverso è il discorso di stabilire, caso per caso, a che
profondità si debba spingere l’obbligo degli amministratori d’informarsi.
Si deve ritenere che all’amministratore di s.r.l. non sia vietato effettuare operazioni rischiose, a condizione che vi sia consapevolezza del rischio
nonché un ragionevole controllo dello stesso. Consapevolezza del rischio
significa cercare d’identificare ex ante quelle che sono le conseguenze negative delle scelte che si effettuano. Inoltre è necessario chiedersi se sussistano delle alternative meno rischiose. Effettuata una scelta vanno poi
posti in essere gli accorgimenti idonei a ridurre il rischio. Nei contratti
commerciali va fatto il possibile per negoziare clausole vantaggiose per la
società. A seconda delle circostanze può, per esempio, risultare appropriato farsi rilasciare una garanzia bancaria oppure stipulare una polizza assicurativa.
I concetti appena espressi possono essere illustrati facendo ricorso a
un esempio. Si prenda il caso di un’industria che produce e vende macchinari. In questi casi la società, tramite il suo amministratore, pone in essere contratti di compravendita. Quali sono i comportamenti che qualificano come « diligente » l’operato dell’organo amministrativo? Il primo
passaggio da effettuare è quello di assumere le opportune informazioni
sull’acquirente. Un’ipotesi di responsabilità potrebbe realizzarsi nel caso
in cui l’amministratore concluda un contratto con un cliente con cui non
sono state effettuate prima operazioni senza informarsi adeguatamente
sulla solvibilità dello stesso. Accertarsi che la controparte contrattuale è in
buona salute finanziaria può tuttavia non bastare. Soprattutto se l’importo della fornitura è di valore elevato, fa parte di un operato diligente chie-
(8) De Angelis, op. cit., p. 480.
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dere una qualche forma di garanzia per il pagamento del prezzo. Se l’impresa cui viene fornita la merce non paga spontaneamente, la s.r.l. può
avere difficoltà a riscuotere la controprestazione e, nel caso peggiore, subire una perdita.
4. – Il danno e il nesso di causalità
Gli amministratori sono responsabili dei danni derivanti dall’inosservanza dei doveri ad essi imposti (art. 2476, comma 1°, c.c.). Questa disposizione che obbliga a risarcire il danno è di fondamentale importanza per
assicurare una buona gestione dell’impresa. L’amministratore è consapevole che, nel gestire un patrimonio che non gli appartiene (o che al più, se
è socio, gli appartiene pro quota), deve osservare una serie di doveri. Egli
sa, inoltre, che – nel caso violi tali obblighi – risponde nei confronti della
società. L’obbligo di risarcire il danno ha dunque non solo una funzione
« riparatoria », una volta che il nocumento si è verificato, ma anche una
funzione « preventiva »: far sì che l’amministratore adotti tutte le cautele
necessarie per evitare che il patrimonio della società venga intaccato.
Condizione necessaria affinché possa essere fatta valere la responsabilità degli amministratori da parte della società è la sussistenza di un danno. « Danno » è qualsiasi riduzione del patrimonio sociale realizzatasi in
conseguenza di azioni od omissioni poste in essere in spregio degli obblighi che fanno capo agli amministratori. I comportamenti dei membri dell’organo amministrativo non possono invece essere sindacati, anche se
contrari ai loro doveri, se non hanno determinato alcun nocumento.
Fra la violazione del dovere posta in essere dall’amministratore e il
danno deve sussistere un nesso di causalità. Questo legame è espresso
dalla parola: danni « derivanti » dall’inosservanza di doveri (art. 2476,
comma 1°, c.c.). Il nesso fra condotta e danno è dato quando il nocumento non si sarebbe verificato se il comportamento fosse stato conforme agli
obblighi. Se risulta che il danno si sarebbe realizzato comunque (vale a dire indipendentemente dalla condotta illegittima dell’organo amministrativo), il legame di causalità è escluso. L’azione o l’omissione dell’amministratore, per quanto contraria a dovere, non ha difatti influito sulla causazione del nocumento.
In tema di danno e di nesso di causalità è utile menzionare il contenuto di alcune recenti sentenze.
Secondo una pronuncia della Corte di cassazione del febbraio 2005,
all’amministratore di una s.r.l, che si sia reso responsabile di condotta illecita, può essere imputato non ogni effetto patrimoniale dannoso che la società, cui è legato da un rapporto di mandato, sostenga di avere subito, ma
solo quello che si ponga come conseguenza immediata e diretta della vio-
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lazione degli obblighi incombenti sull’amministratore (9). La società deve
fornire la prova non solo di una condotta dell’amministratore contraria ai
suoi doveri nell’esecuzione del mandato, ma anche quella della sussistenza di un danno effettivo e direttamente ricollegabile a tale condotta.
Secondo una sentenza del Tribunale di Milano del novembre 2004 le
mere irregolarità contabili non sono di per sé produttive di un danno e
non costituiscono autonoma fonte di un obbligo, perché la responsabilità
dell’amministratore non deriva dalla sola irregolarità della tenuta dei libri
contabili, se da questo fatto non dipende un pregiudizio economico della
società (10). La prova del danno non può, in mancanza di altri elementi,
essere presunta esclusivamente a causa di inosservanze di obblighi formali ed è onere di chi agisce in responsabilità dimostrare che il comportamento dell’amministratore ha causato, per colpa, un effettivo depauperamento del patrimonio della società. Un bilancio inveritiero non implica
automaticamente un danno al patrimonio degli acquirenti delle quote,
ma incombe sugli attori l’onere di dimostrare che il prezzo è stato determinato in relazione alla rappresentazione della situazione della società
contenuta nel bilancio. In sede di azione sociale di responsabilità incombe sull’attore la prova, articolata su tre elementi: l’inadempimento dell’amministratore a uno o più degli obblighi imposti dalla legge o dall’atto
costitutivo; il nesso causale fra condotta e conseguenze pregiudizievoli; il
danno, riconducibile in via immediata e diretta alla condotta colposa o
dolosa dell’amministratore, inteso sia come danno emergente sia come
lucro cessante, in concreto commisurato al pregiudizio che la società non
avrebbe subito se un determinato comportamento illegittimo non fosse
stato compiuto.
Il Tribunale di Ivrea, nel gennaio 2004, ha stabilito che il curatore è
tenuto a provare il danno subito dalla società mal gestita, nonché il nesso causale diretto e immediato fra la predetta condotta colposa o dolosa
e il pregiudizio (11). Richiamandosi a un precedente della Corte di cassazione (12), l’autorità giudiziaria piemontese ribadisce che il danno che
l’amministratore responsabile è tenuto a risarcire è quello causalmente
riconducibile in via immediata e diretta alla sua condotta colposa o dolosa, ed entro tale limite comprende – secondo i principi generali – sia il
danno emergente sia il lucro cessante. Agli amministratori deve essere
accollato il risarcimento dei danni che si pongono quale conseguenza
immediata e diretta delle commesse violazioni e nella misura equivalen(9) Cass., 23 febbraio 2005, n. 3774, in Giur. it., 2005, c. 1637 ss., con nota di Iozzo.
(10) Trib. Milano, 2 novembre 2004, in Giur. it., 2005, c. 528 ss., con nota di Spiotta.
(11) Trib. Ivrea, 27 gennaio 2004, in Giur. comm., 2005, II, p. 49 ss., con nota di Iozzo.
(12) Cass., 22 ottobre 1998, n. 10488.
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te al detrimento patrimoniale che non si sarebbe verificato se la condotta
illecita degli amministratori non fosse stata attuata. Da ciò derivano, nella maggior parte dei casi, conseguenze concretamente meno gravose per
i responsabili, grazie alla esenzione dal risarcimento di quei danni che
sono provocati da fatti a loro non imputabili.
5. – Il possibile concorso dei soci nella responsabilità (l’art. 2467, comma 7°,
c.c.)
Quando il comportamento degli amministratori è preceduto da una
decisione dei quotisti, si pone la questione della misura in cui i gestori rispondono. La deliberazione dei soci può comportare il dovere in capo agli
amministratori di porre in essere misure attuative. Gli amministratori
hanno la rappresentanza generale della società (art. 2475 bis c.c.). Essi
dunque esprimono all’esterno la volontà della s.r.l. Se nell’attuare la volontà dei quotisti gli amministratori non godono di discrezionalità, la soluzione da doversi prospettare, in linea di principio, è nel senso che la decisione dei soci dispensa da responsabilità i gestori. Ci si trova difatti dinanzi a un’autorizzazione al compimento dell’operazione rispetto alla
quale gli amministratori hanno compiti meramente attuativi. Diverso il
caso in cui i gestori godono di un margine di discrezionalità nell’attuazione della volontà dei quotisti. Laddove questi spazi di libertà vengano utilizzati male dagli amministratori, cagionando un danno, può affermarsi
una loro responsabilità.
Questa distinzione fra presenza e assenza di margini di discrezionalità
nell’attuazione delle decisioni dei quotisti non può peraltro assurgere a
principio assoluto. Occorre andare a vedere quale sia l’oggetto della deliberazione dei quotisti. Si pensi al caso estremo di una decisione sicuramente nulla e atta a cagionare danni. Se l’amministratore dà esecuzione a
tale deliberazione, non pare accettabile ritenere che egli possa schermarsi
dietro il compito meramente attuativo per andare esente da responsabilità. Gli effetti di un meccanismo del genere sarebbero perversi: il quotista decide un atto dannoso e l’amministratore lo esegue; subentrato il
danno, il socio si scherma dietro la responsabilità limitata e l’amministratore dietro la mancanza di responsabilità per attività meramente esecutiva. In dottrina è stato osservato come l’amministratore, al fine di evitare
di essere chiamato a risarcire il danno, debba avere il diritto di rifiutarsi di
eseguire delibere che possono comportare responsabilità (13). Per un caso
del genere si potrebbe coniare l’espressione di « amministratore disobbe-
(13) Piccinini, op. cit., p. 459 s.
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diente ». Con riferimento alla tematica qui in esame la disciplina della
s.p.a. è ferrea: nelle società prive del consiglio di sorveglianza l’assemblea
ordinaria delibera sulle autorizzazioni eventualmente previste dallo statuto per il compimento di atti degli amministratori, ferma restando in ogni
caso la responsabilità di questi per gli atti compiuti (art. 2364, comma 1°, n.
5, c.c.).
Il problema del concorso di responsabilità fra amministratori e quotisti è certamente complesso. Bisogna partire dalla considerazione che i soci hanno effettuato nella società un certo investimento e su di essi incombe costante il pericolo di perdere quanto investito. Il rischio assunto viene
compensato con il potere di definire gli indirizzi fondamentali della società. I quotisti hanno il potere di decidere su una serie di materie: l’art.
2479, comma 2°, c.c. prevede che certe decisioni sono riservate « in ogni
caso » alla competenza dei soci. Si deve ritenere che questa disposizione
non possa essere derogata in minus (14). Nella s.r.l. la distribuzione di competenze fra soci e amministratori è meno netta che nella s.p.a. In questo
ultimo tipo societario vale il principio radicale che « la gestione dell’impresa spetta esclusivamente agli amministratori » (art. 2380 bis, comma 1°,
c.c.). Nella s.r.l. i quotisti possono invece disporre di ampi poteri. Occorre
fare riferimento in particolare, oltre a quanto previsto dall’art. 2479, comma 2°, c.c. a quanto stabilito dall’art. 2468, comma 3°, c.c. e dall’art. 2479,
comma 1°, c.c. L’art. 2468, comma 3°, c.c. sancisce che « resta salva la possibilità che l’atto costitutivo preveda l’attribuzione a singoli soci di particolari diritti riguardanti l’amministrazione della società ». L’art. 2479,
comma 1°, c.c. stabilisce inoltre che « i soci decidono sulle materie riservate alla loro competenza dall’atto costitutivo, nonché sugli argomenti
che uno o più amministratori o tanti soci che rappresentino almeno un
terzo del capitale sociale sottopongono alla loro approvazione ». Può dunque ben capitare che i quotisti si trovino a disporre di ampi poteri, dal cui
esercizio può derivare un danno in capo alla società.
L’art. 2476, comma 7°, c.c. stabilisce che « sono altresì solidalmente responsabili con gli amministratori, ai sensi dei precedenti commi, i soci che
hanno intenzionalmente deciso o autorizzato il compimento di atti dannosi per la società, i soci o i terzi ». Come è stato osservato in dottrina (15),
gli elementi costitutivi dell’art. 2476, comma 7°, c.c. sono numerosi. Per
affermare la responsabilità dei quotisti occorre: 1) un comportamento degli amministratori; 2) un danno alla società (oppure ai soci oppure ai terzi); 3) un nesso di causalità fra il comportamento degli amministratori e il
(14) In questo senso Piccinini, op. cit., p. 451.
(15) Piccinini, op. cit., p. 458 s.
DIBATTITI
703
danno; 4) una decisione o autorizzazione dei soci al compimento degli atti; 5) la corrispondenza fra quanto deciso o autorizzato dai soci e quanto
compiuto dagli amministratori; 6) l’intenzione dei soci di arrecare danno.
La stessa interpretazione letterale dell’art. 2476, comma 7°, c.c. appare
piuttosto difficile. Problemi sollevano la nozione di « socio » e il significato dell’avverbio « intenzionalmente ». L’art. 2476, comma 7°, c.c. stabilisce
espressamente che risponde il « socio ». Non si condivide dunque l’opinione espressa in dottrina secondo cui potrebbe rispondere ai sensi della
disposizione in esame anche un non socio (16). Un discorso diverso è
quello di stabilire quali soggetti possano essere considerati soci. Il problema allora si sposta sulla definizione di socio e sulle condizioni necessarie
per acquisire e per perdere tale qualifica.
Sul significato dell’avverbio « intenzionalmente », utilizzato dal legislatore nell’art. 2476, comma 7°, c.c., sono state avanzate diverse ipotesi
interpretative. La legge dice che i quotisti rispondono se hanno « intenzionalmente » deciso o autorizzato il compimento di atti dannosi. Una
parte della dottrina ha fatto notare che la decisione o l’autorizzazione sono sempre « intenzionali », cosicché l’avverbio « intenzionalmente » sarebbe pleonastico. In realtà è da preferire l’interpretazione secondo cui la
responsabilità dei quotisti sussiste solo in caso di dolo concernente il danno (17). Occorre, in altre parole, che i soci abbiano voluto cagionare un nocumento mediante la decisione o l’autorizzazione del compimento di certi atti. Un’interpretazione diversa avrebbe per effetto di estendere eccessivamente la responsabilità dei quotisti, sino a entrare in conflitto con il caposaldo di tutta la disciplina della s.r.l.: la responsabilità limitata dei soci,
che è espressamente sancita dall’art. 2462, comma 1°, c.c. La disposizione
in esame vuole invece sanzionare casi particolari di responsabilità dei
quotisti che, dolosamente, cagionano danni.
L’art. 2476, comma 7°, c.c. dovrebbe trovare applicazione solo nei confronti dei quotisti che non sono amministratori (18). Se un socio è ammi-
(16) Zoppini, Intestazione fiduciaria e responsabilità per atti di “eterogestione” (art. 2476,
comma 7°, c.c.), in Banca, borsa, tit. cred., 2006, I, p. 585.
(17) In questo senso Ambrosini, op. cit., p. 1604; Irace, La responsabilità per atti di eterogestione, in La nuova disciplina della società a responsabilità limitata, a cura di Santoro,
Milano, 2003, p. 187 s. e p. 190; Parrella, op. cit., p. 133; Piccinini, op. cit., p. 457; Rivolta, Introduzione a un dibattito sulla nuova società a responsabilità limitata, in Le grandi opzioni della riforma del diritto e del processo societario, a cura di Cian, Padova, 2004, p. 300 s.;
Santosuosso, I sistemi di amministrazione e controllo nel nuovo diritto societario, in Vita
not., 2003, p. 643; Zoppini, op. cit., p. 583.
(18) Farenga, La riforma delle società: la responsabilità degli amministratori, in Giur.
merito, 2004, p. 160; Piccinini, op. cit., p. 454.
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CONTRATTO E IMPRESA
nistratore, egli risponde – in virtù di tale qualità – ai sensi dell’art. 2476,
comma 1°, c.c. Se invece un quotista non è amministratore, egli non può
rispondere ai sensi dell’art. 2476, comma 1°, c.c., perché questa disposizione concerne la responsabilità dei soli gestori. Ecco allora che interviene l’art. 2476, comma 7°, c.c.
L’art. 2476, comma 7°, c.c. in esame non pare disciplinare la responsabilità del cd. « amministratore di fatto » (19). La giurisprudenza si è evoluta nel senso che chi, pur in assenza di nomina, svolge di fatto le funzioni
di amministratore può essere qualificato come tale ai fini delle disposizioni sulla responsabilità. Le sentenze indicano che questa responsabilità
può essere addossata a chi svolge con continuità il ruolo di amministratore di fatto. In altre parole occorre distinguere fra due figure di amministratore fattuale: l’amministratore di fatto per così dire « stabile » e l’amministratore di fatto « occasionale » (20). L’amministratore di fatto « occasionale » tende a sfuggire a responsabilità in considerazione della circostanza che la sua ingerenza nella gestione della società ha natura estemporanea. Sullo sfondo di questo indirizzo giurisprudenziale pare però opportuno, nel contesto che qui interessa, distinguere se l’amministratore di
fatto « occasionale » sia o meno quotista. Se l’amministratore è socio, egli
è tenuto a rispettare il dettato dell’art. 2476, comma 7°, c.c. Ecco allora
che la decisione o l’autorizzazione di atti dannosi comporta l’assunzione
di responsabilità. E, si badi bene, è sufficiente avere legittimato anche solo un atto dannoso. Pare tuttavia, anche in una fattispecie del genere, di
potere concludere nel senso che non si può affermare una responsabilità
dell’amministratore di fatto occasionale ex art. 2476, comma 7°, c.c. Questa disposizione sembra difatti regolare una situazione in cui due persone
(e non una sola) concorrono a cagionare il danno: 1) l’amministratore e 2)
il quotista che si ingerisce mediante decisione o autorizzazione. La figura
dell’amministratore di fatto concerne, quantomeno nella sua connotazione classica, una fattispecie diversa: quella della persona che, in assenza di
legittimazione formale, pone in essere da solo determinati comportamenti che causano un danno.
L’art. 2476, comma 7°, c.c. può essere considerata, per certi versi, una
disposizione rivoluzionaria, perché essa sembra intaccare il principio della
responsabilità limitata che è talmente caratteristico della s.r.l. da dare il
nome al tipo societario. La norma in esame non chiarisce peraltro espressamente se la responsabilità dei quotisti, solidale con quella degli ammini(19) Piccinini, op. cit., p. 454. Per uno studio monografico dell’amministratore di fatto
v. Abriani, Gli amministratori di fatto delle società di capitali, Milano, 1998.
(20) Sulla distinzione fra ingerenza « occasionale » e ingerenza « sistematica » cfr. Zoppini, op. cit., p. 578 s.
DIBATTITI
705
stratori, sia limitata oppure illimitata. In linea di principio « nella società a
responsabilità limitata per le obbligazioni sociali risponde soltanto la società con il suo patrimonio » (art. 2462, comma 1°, c.c.). La responsabilità
del quotista è dunque limitata. La responsabilità dell’amministratore non
è invece limitata. Il gestore risponde dell’adempimento delle obbligazioni
con tutti i suoi beni presenti e futuri, secondo la regola stabilita dall’art.
2740, comma 1°, c.c. Appare pertanto esservi il raggiungimento di un equilibrio: alla responsabilità limitata dei quotisti si contrappone la responsabilità illimitata degli amministratori (21). Il richiamo a queste disposizioni
consente una comprensione migliore del significato della responsabilità
solidale di soci e gestori affermata dall’art. 2476, comma 7°, c.c. I quotisti
di s.r.l. sono tutelati contro il rischio d’impresa dalla previsione generale di
responsabilità limitata. Se essi assumono anche la funzione di amministratori, alla responsabilità limitata si aggiunge una responsabilità illimitata per gli atti posti in essere come gestori. Sotto questo profilo ai quotisti
non conviene dunque diventare amministratori. Ai soci conviene invece
avvalersi di altri soggetti che assumono la qualifica di gestori. Il legislatore
è però preoccupato del fatto che i quotisti possano avvalersi di prestanome
per lo svolgimento della funzione amministrativa. I soci potrebbero dare
istruzioni agli amministratori, salvo poi ripararsi dietro lo schermo della
responsabilità limitata della società per sfuggire a qualsiasi sanzione negativa. Il legislatore desidera evitare che si realizzi una situazione del genere
e sancisce la responsabilità del quotista, aggiuntiva a quella del gestore,
quando vi è volontarietà nella realizzazione di atti dannosi.
Quando le decisioni vengono adottate direttamente dai quotisti e non
vi sono atti esecutivi degli amministratori, i soci rispondono da soli (mentre i gestori non rispondono) per le conseguenze dannose che si realizzano. La fattispecie regolata dall’art. 2476, comma 7°, c.c. è diversa. Questa
disposizione prevede un concorso di responsabilità di quotisti e amministratori, situazione che si può realizzare quando i soci hanno contribuito
alla realizzazione di atti dannosi mediante decisione o autorizzazione. Si
tratta della ipotesi in cui il danno è cagionato dall’operare congiunto di
uno o più quotisti e di uno o più gestori.
6. – Il carattere solidale della responsabilità e i diversi regimi di amministrazione
La responsabilità degli amministratori di s.r.l. ha carattere solidale (art.
2476, comma 1°, c.c.).
(21) Cristiano, Azioni di responsabilità contro gli amministratori di s.r.l. nella riforma del
diritto societario, in Società, 2005, p. 1018.
706
CONTRATTO E IMPRESA
La responsabilità solidale sussiste naturalmente solo nel caso vi sia
una pluralità di soggetti investiti del potere amministrativo. L’amministrazione della s.r.l. può essere affidata a uno o più soci (art. 2475, comma 1°,
c.c.). Se vi è un solo amministratore, questi è l’unica persona a rispondere. Non si pongono problemi di solidarietà.
Se è invece nominata una pluralità di amministratori, occorre capire –
sulla base delle circostanze del caso – se la responsabilità è: 1) di uno solo
di essi, oppure 2) di più gestori, oppure 3) di tutti. Il fatto che vi siano più
gestori non significa che essi siano tutti automaticamente responsabili nei
confronti della società. Si deve difatti ritenere che la responsabilità non
discenda dalla semplice circostanza di essere amministratore. La responsabilità del gestore è personale e, in linea di principio, colpisce il solo soggetto che compie l’atto che cagiona il danno. Questo principio è ricavabile dall’art. 2476, comma 1°, frase 2, c.c., il quale prevede che « la responsabilità non si estende a quelli che dimostrino di essere esenti da colpa e, essendo a cognizione che l’atto si stava per compiere, abbiano fatto constare del proprio dissenso ». Due sono i presupposti che consentono a un
amministratore di non rispondere solidalmente con gli altri gestori: 1) essere esente da colpa; e 2) se a cognizione dell’atto, fare constare il proprio
dissenso.
Per quanto riguarda il fatto di essere esente da colpa, si tratta di una
fattispecie che può realizzarsi – per esempio – quando un amministratore
subentra a un precedente gestore (22). Si immagini il caso di un consiglio
di amministrazione composto di tre membri. Ad un certo punto uno dei
tre amministratori rimette l’incarico e viene sostituito da uno nuovo. Se
viene esercitata un’azione di responsabilità nei confronti dei gestori per
violazioni poste in essere prima dell’assunzione dell’incarico da parte del
nuovo amministratore, questi deve ritenersi esente da colpa. Più in generale l’esenzione da colpa può essere affermata quando un gestore non era
a conoscenza dell’inosservanza di dovere, posta in essere da un altro amministratore, da cui è derivato il danno (23). Un gestore ignaro tende a non
essere colpevole. La mancanza di conoscenza può essere dovuta a ragioni
diverse e può dipendere anche dalle caratteristiche del regime di amministrazione prescelto (24). Occorre tuttavia accertare se l’ignoranza non di(22) Così Mainetti, op. cit., p. 1067.
(23) Parrella, op. cit., p. 123.
(24) Sui diversi possibili modelli di amministrazione della s.r.l. dopo la riforma cfr. Rordorf, I sistemi di amministrazione e di controllo nella nuova s.r.l., in Società, 2003, p. 668 s.;
Sangiovanni, Die Neuregelung der Geschäftsführung in der italienischen società a responsabilità limitata, in GmbH-Rundschau (GmbHR), 2006, p. 1316 ss. (cui sia consentito rinviare).
Più in generale in materia di amministrazione e controllo nelle nuove società di capitali v.
DIBATTITI
707
penda dalla violazione di un dovere di vigilare, nel qual caso essa può essere ritenuta colpevole (25).
Il secondo elemento necessario per escludere la responsabilità di un
amministratore è che questi abbia fatto constare del proprio dissenso. Il
dissenso va fatto constare solo quando il gestore era a cognizione che l’atto si stava per compiere. Del resto un dissenso si può esprimere solo se si
è a conoscenza di una progettata operazione.
Vale la pena riassumere le distinzioni che si sono effettuate. Se l’amministratore non era a conoscenza del compimento di un atto dannoso,
non ne risponde. Se invece il gestore era a conoscenza del compimento
dell’atto, ne risponde. Tuttavia l’amministratore va esente da responsabilità se fa constare il proprio dissenso. Non è tuttavia sufficiente fare constare il proprio dissenso, perché bisogna anche essere esenti da colpa, dice la legge. Un’esenzione da colpa non può operare nella misura in cui si
ritenga che gli amministratori abbiano il dovere di controllare l’operato
degli altri e abbiano violato tale obbligo.
Passiamo ora a esaminare i diversi moduli amministrativi attuabili
nella s.r.l. L’art. 2476, comma 1°, c.c. va difatti letto unitamente all’art.
2475 c.c., la disposizione che regola l’amministrazione della s.r.l. Si tratta
di una norma che si ispira al massimo potere dell’autonomia privata, la
quale può creare modelli di amministrazione del tutto differenti. Fra i sistemi attuabili vi è quello del consiglio di amministrazione, sulla falsariga
di quanto previsto nella s.p.a., oppure è possibile orientarsi ai sistemi previsti per le società di persone (ovvero l’amministrazione disgiuntiva o
congiuntiva). Il modello di amministrazione prescelto influenza il regime
di responsabilità degli amministratori.
Quando sono previsti modelli di decisione all’unanimità (vale a dire sistemi in forza dei quali le decisioni richiedono il consenso di tutti gli amministratori), non si pongono problemi di responsabilità dei singoli (26). I
modelli unanimistici sono due: l’amministrazione congiuntiva ex art. 2258
c.c. e la previsione di un consiglio di amministrazione che decide all’unanimità. In entrambi i casi non si pongono problemi di responsabilità di
singoli amministratori. La decisione deve essere presa da tutti e tutti ne rispondono. Non vi può essere un dissenso che viene fatto valere da qualcuno. Se vi fosse dissenso, non vi sarebbe nemmeno decisione, per mancanza di unanimità. Il dissenso di uno impedirebbe che venga assunta la
decisione e che venga compiuto l’atto: non può così subentrare il danno e
Salafia, Amministrazione e controllo delle società di capitali nella recente riforma societaria,
in Società, 2002, p. 1465 ss.
(25) Cfr. Santosuosso, I sistemi, cit., p. 642 s.
(26) Ambrosini, op. cit., p. 1593; Cagnasso, op. cit., p. 1880.
708
CONTRATTO E IMPRESA
non occorre chiedersi di chi sia la responsabilità. A ben guardare, però, anche in un regime che prevede l’unanimità si possono ipotizzare casi in cui
gli amministratori rispondono. Una responsabilità può ipotizzarsi nel caso
di mancato compimento di un’azione dovuta. Si immagini che vi sia un
consiglio di amministrazione composto di tre amministratori che deve decidere all’unanimità. Due gestori ritengono che una certa azione è necessaria nell’interesse della società. Se il terzo amministratore vi si oppone,
non si raggiunge l’unanimità e l’azione non può essere compiuta. Se subentra il danno, il terzo amministratore può essere ritenuto responsabile
perché ha impedito il compimento dell’atto. Gli altri due amministratori
non possono invece ritenersi responsabili perché volevano che l’atto si
compisse.
La questione si complica quando sono previsti modelli di amministrazione per effetto dei quali le decisioni possono essere prese da singoli amministratori, oppure da una pluralità di amministratori, ma comunque
non da tutti insieme e dunque al di fuori dal meccanismo della unanimità
dei consensi.
Il primo caso è quello della amministrazione disgiuntiva, regime nel
quale ciascun amministratore decide da solo per la società. In una situazione del genere risponde esclusivamente il gestore che ha preso la decisione. Una responsabilità degli altri potrebbe tuttavia essere affermata in
caso di omessa opposizione a fronte di un’operazione pregiudizievole (27).
L’art. 2257, comma 2°, c.c., articolo richiamato espressamente dall’art.
2475, comma 3°, c.c., stabilisce che « se l’amministrazione spetta disgiuntamente a più soci, ciascun socio amministratore ha diritto di opporsi all’operazione che un altro voglia compiere, prima che sia compiuta ». Ora
si immagini il caso di una s.r.l. con tre amministratori e con un modello di
amministrazione disgiuntiva. Il gestore Tizio ha in mente di compiere una
determinata operazione (si pensi all’acquisto di un immobile) e, essendo
titolare del potere di amministrazione in via disgiuntiva, può procedervi
senza il consenso degli altri (28). Si supponga ora che Tizio comunichi agli
altri due amministratori che ha intenzione di comprare l’immobile. Se
Caio e Sempronio sanno che l’operazione è dannosa per la società (ad
esempio perché l’immobile viene acquistato a un prezzo più elevato del
suo valore reale), essi devono esercitare il diritto di opposizione (art. 2257,
comma 2°, c.c.). Altrimenti, realizzatasi l’operazione e verificatosi il danno, rischiano di rispondere in via solidale con Tizio. I due amministratori
risponderebbero perché non si sono opposti alla progettata operazione di
(27) Cagnasso, op. cit., p. 1880 s.
(28) Sulla base dell’assunto che tale amministratore abbia la rappresentanza della società. Cfr. l’art. 2266 c.c. per la s.s. e l’art. 2475 bis c.c. per la s.r.l.
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709
Tizio pur essendone a conoscenza. Se però Caio e Sempronio si oppongono, la decisione viene rimessa alla maggioranza dei soci, determinata
secondo la parte attribuita a ciascun socio negli utili (art. 2257, comma 3°,
c.c.). A questo punto i quotisti possono decidere che si debba dare seguito all’operazione oppure esercitare il veto. Se l’operazione viene vietata,
non si può evidentemente realizzare alcun danno. Si supponga invece che
i quotisti autorizzino l’operazione proposta da Tizio, nonostante l’opposizione di Caio e Sempronio. In questo caso Caio e Sempronio, che hanno
esercitato il diritto di opposizione, hanno fatto constare il proprio dissenso ai sensi dell’art. 2476, comma 1°, frase 2, c.c. e vanno dunque esenti da
responsabilità.
Vi è poi il caso dell’amministrazione congiuntiva a maggioranza (cfr.
l’art. 2258, comma 2°, c.c.). In questa ipotesi la decisione viene assunta
dalla maggioranza degli amministratori. Per andare esente da responsabilità il gestore interpellato relativamente a una certa decisione deve, se non
è d’accordo, far constare il proprio dissenso. Nell’esempio fatto sopra di
una s.r.l. con tre amministratori, in caso di amministrazione congiuntiva a
maggioranza basta il consenso di due amministratori. Il terzo gestore, che
non vuole si proceda all’operazione, ha l’onere di far constare il proprio
dissenso. Così facendo può assicurarsi che rispondono solo gli altri due
amministratori nei confronti della società.
Infine vi è il caso del consiglio di amministrazione. Qui le decisioni
vengono prese secondo il modello collegiale. L’amministratore dissenziente deve fare risultare il proprio dissenso.
Si deve poi accennare alla possibilità che, all’interno del consiglio di
amministrazione, certe competenze siano state delegate ad alcuni amministratori. Innanzitutto va osservato che la delega di poteri, pur essendo
espressamente prevista solo nella s.p.a. (art. 2381 c.c.), deve ritenersi legittima anche nella s.r.l. A questa conclusione porta la considerazione di fondo che l’amministrazione della s.r.l. è ispirata alla massima flessibilità e al
dominio pressoché incontrastato dell’autonomia privata. Pare dunque ragionevole ritenere che i quotisti possano decidere nel senso che l’amministrazione operi secondo meccanismi di delega di poteri. Le conseguenze della delega di poteri sono regolate, nella s.p.a., all’art. 2392, comma 1°,
frase 2, c.c., il quale prevede che gli amministratori sono solidalmente responsabili verso la società dei danni derivanti dall’inosservanza di doveri,
« a meno che si tratti di attribuzioni proprie del comitato esecutivo o di
funzioni in concreto attribuite ad uno o più amministratori ». Il principio
espresso dall’art. 2392, comma 1°, frase 2, c.c. dovrebbe essere applicabile
analogicamente alla s.r.l. (29). Ciò significa che i singoli amministratori, in
(29) Ambrosini, op. cit., p. 1593; Cagnasso, op. cit., p. 1881.
710
CONTRATTO E IMPRESA
caso di delega di poteri, rispondono solo per le decisioni assunte nel proprio ambito di competenza. Gli altri gestori non sono responsabili. E tuttavia l’art. 2392, comma 2°, c.c. chiarisce che in ogni caso gli amministratori sono « solidalmente responsabili se, essendo a conoscenza di fatti pregiudizievoli, non hanno fatto quanto potevano per impedirne il compimento o eliminarne o attenuarne le conseguenze dannose ».
Non risolto dal legislatore è il problema di una « ripartizione di fatto »
delle competenze. Potrebbe cioè accadere che, pur in assenza di una formale suddivisione degli ambiti di operatività, un amministratore si trovi a
svolgere costantemente certe mansioni all’interno della società, mentre
un altro gestore si occupa sempre di altri aspetti. Anche per casi del genere si potrebbe ritenere applicabile alla s.r.l. il principio statuito dall’art.
2392, comma 1°, frase 2, c.c., secondo cui gli altri amministratori non rispondono degli atti posti in essere da un amministratore all’interno delle
competenze che gli sono state attribuite (30).
È utile infine accennare alle modalità con le quali gli amministratori
devono fare constare il proprio dissenso. L’art. 2476, comma 1°, c.c. prevede – per le s.r.l. – che l’amministratore faccia « constare del proprio dissenso », senza ulteriori specificazioni. Nelle s.p.a. la legge è più dettagliata
e stabilisce che la responsabilità per gli atti o le omissioni degli amministratori non si estende a quello tra essi che, essendo immune da colpa,
« abbia fatto annotare senza ritardo il suo dissenso nel libro delle adunanze e delle deliberazioni del consiglio, dandone immediata notizia per
iscritto al presidente del collegio sindacale » (art. 2392, comma 3°, c.c).
Nelle s.r.l. non è richiesta né l’annotazione nel libro delle adunanze e delle deliberazioni del consiglio né la comunicazione al presidente del collegio sindacale. La mancata previsione della comunicazione al collegio sindacale si comprende alla luce della circostanza che il collegio sindacale
non è sempre obbligatorio nella s.r.l. (cfr. l’art. 2477 c.c.). Anche relativamente a questo tipo societario non è tuttavia sbagliato porsi la domanda
se una tale comunicazione non debba comunque ritenersi necessaria nei
casi in cui un collegio sindacale è presente perché previsto dall’atto costitutivo (art. 2477, comma 1°, c.c.) oppure perché imposto dalla legge quando il capitale sociale raggiunge una certa soglia (art. 2477, comma 2°, c.c.)
o quando per due esercizi consecutivi sono stati superati due dei limiti indicati dall’art. 2435 bis, comma 2°, c.c. (art. 2477, comma 3°, c.c.). Inoltre
occorre chiedersi perché non è stata riprodotta, per la s.r.l., la disposizione
che impone l’annotazione nel libro delle adunanze e delle deliberazioni
del consiglio. Questo libro è difatti obbligatorio anche nella s.r.l., tipo so-
(30) Cfr. Caccavale, op. cit., p. 358.
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cietario nel quale prende il diverso nome di « libro delle decisioni degli
amministratori » (art. 2478 c.c.). Secondo un’opinione dottrinale l’art.
2392, comma 3°, c.c. è applicabile analogicamente alla s.r.l. (31). Anche in
questo tipo societario sarebbe dunque necessaria l’annotazione nel libro
delle decisioni degli amministratori del dissenso di un gestore, al fine di
andare esente da responsabilità. Secondo un’opinione diversa sarebbe invece sufficiente che il dissenso venga manifestato in altre forme, purché
per iscritto (32).
Se la decisione che ha causato il danno è stata presa da più amministratori, questi rispondono « solidalmente » nei confronti della società. La
nozione di solidarietà è rinvenibile nell’art. 1292 c.c.: « l’obbligazione è in
solido quando più debitori sono obbligati tutti per la medesima prestazione, in modo che ciascuno può essere costretto all’adempimento per la
totalità e l’adempimento da parte di uno libera gli altri ». Se, per esempio, gli amministratori colpevoli sono due e il danno ammonta a 100.000
euro, la società può chiedere l’intera somma a entrambi (come succederà
nella quasi totalità dei casi, per aumentare le probabilità che l’importo
possa essere recuperato almeno da uno di essi) oppure a uno solo di essi (ad esempio perché si ha la certezza della sua solvibilità, mentre si reputa non solvibile l’altro). Una volta ottenuto il pagamento integrale anche da uno solo dei gestori, l’obbligazione risarcitoria nei confronti della
società si estingue. L’amministratore che ha pagato l’intero ha tuttavia diritto di rivalersi pro quota (nell’esempio fatto: 50.000 euro) nei confronti
dell’altro (33).
Valerio Sangiovanni
(31) Ambrosini, op. cit., p. 1592.
(32) Cagnasso, op. cit., p. 1881.
(33) Galgano-Genghini, op. cit., p. 872.
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