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il sistema previdenziale italiano: origine e sviluppi

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il sistema previdenziale italiano: origine e sviluppi
CAPITOLO II
IL SISTEMA PREVIDENZIALE ITALIANO:
ORIGINE E SVILUPPI
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26
Capitolo secondo
§1
comunitario dei sistemi di sicurezza sociale, in Dir. lav., 1993, I, 129; M. CINELLI, Lineamenti generali della riforma previdenziale, in Dir. lav. rel. ind., 1994; L. NOGLER, Quale sicurezza sociale nell’Unione europea?, in Riv. giur. lav., 1994, I, 4;
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1. La questione sociale e la nascita della legislazione sociale
La questione sociale
La nascita e lo sviluppo del complesso di istituti e situazioni giuridiche protette, che va comunemente sotto il nome di previdenza sociale, sono strettamente legati alla vicenda che ha visto la trasformazione in senso sociale dell’organizzazione costituzionale dello Stato
moderno di matrice liberale (cioè l’affermarsi dello Stato sociale).
I fattori che hanno dato alimento a tale importante trasformazione sono plurimi e, talvolta, confliggenti, ma tutti collegati alla cosiddetta questione sociale.
Con tale espressione si allude ai fenomeni sociali, economici ed
etici, conseguenti alle profonde trasformazioni determinate dalla ri-
§1
Origine e sviluppi del sistema previdenziale italiano
27
voluzione industriale, compiutasi, come è noto, in Inghilterra già verso la metà del 1700, ma riflessa in Italia, con ritardo, circa un secolo
dopo: le nuove, estese forme di povertà, indotte dall’inurbamento di
grandi masse di lavoratori, spostatesi dalle attività tradizionali (in
particolare, agricole ed artigianali), perché attratte da quelle emergenti dell’industria; lo sfruttamento delle cosiddette «mezze forze»
(donne e fanciulli) e, in genere, del lavoro umano, senza limiti predeterminati di orario, reso agevole dalla meccanizzazione delle attività produttive; la progressiva ingravescenza, con l’intensificarsi dell’industrializzazione, del problema sociale e umano, indotto dagli
infortuni sul lavoro; il peso assunto dall’opinione pubblica più sensibile ed aperta ai problemi sociali del lavoro e, soprattutto, dal fenomeno spontaneo dell’associazionismo operaio; l’influenza morale
dell’affermazione della dottrina sociale cristiana (la prima enciclica
sociale dei tempi moderni, la Rerum novarum, è del 1891).
Tale complessa vicenda ha indotto (in Italia, come nei principali
Paesi europei) l’introduzione e lo sviluppo della legislazione sociale,
cioè di quell’eterogeneo complesso normativo, con il quale, per la
prima volta, lo Stato ottocentesco, abbandonando a poco a poco la
sua tradizionale posizione di «neutralità» in materia, si è determinato ad intervenire a tutela dei lavoratori e ad arginare le spinte prorompenti del capitalismo.
In concreto, tale intervento si è realizzato sia attraverso misure repressive di utilizzazioni sostanzialmente fraudolente delle regole del
diritto comune 1, sia attraverso norme dirette ad incidere direttamente sul rapporto di lavoro (così, ad esempio, l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni o le leggi sul riposo settimanale), sia attraverso disposizioni più genericamente indirizzate a migliorare le
condizioni di lavoro e di vita del lavoratore (quali quelle sul lavoro di
donne e fanciulli, o sulle industrie insalubri o pericolose). Una correzione necessaria degli eccessi dell’individualismo, secondo i più;
una esigenza di civiltà, per altri; l’ultimo compromesso della borghesia, per gli osservatori di orientamento socialista.
Proprio per tale complessa valenza delle ragioni di intervento normativo, l’ambito della materia – cui è stata successivamente attribuita
1
Così, ad esempio, in Inghilterra, la legge contro il truck system, cioè contro quelle
pratiche contrattuali dirette ad imporre ai lavoratori l’utilizzazione di parte della retribuzione nell’acquisto dei prodotti dell’impresa datrice di lavoro.
Lo sviluppo della
legislazione sociale
L’emersione della
previdenza sociale
28
Legislazione sociale
e ordine pubblico
L’affermazione
dei diritti sociali
Capitolo secondo
§1
la denominazione di «legislazione sociale» – fin dalle origini non si è
identificato in quelle disposizioni che, in prosieguo, sarebbero state riconoscibili come un corpo a sé stante. Sebbene quell’espressione sia
stata frequentemente usata in passato, e lo venga talvolta tuttora, come sinonimo di previdenza sociale, le norme che hanno provveduto alla tutela previdenziale non hanno storicamente rappresentato che uno
dei settori d’intervento della «legislazione sociale»; questa, infatti, come testé ricordato, fin da principio ha compreso anche disposizioni limitative dello sfruttamento del lavoro umano, così come è stata indirizzata a sostenere l’organizzazione in forma associativa dei lavoratori.
In tal senso, anzi, la legislazione sociale rappresenta, nel suo nucleo
storico, la nascita e, insieme, la prima fase dell’evoluzione del diritto
del lavoro: quella nella quale le prime leggi di tutela del prestatore
d’opera hanno prevalentemente rappresentato norme eccezionali rispetto alla disciplina di diritto comune, assai povero, all’epoca, di disposizioni in materia, ma, soprattutto, fondato sul rigoroso rispetto del
principio di parità formale delle parti del contratto di lavoro, individualisticamente inteso, così come qualsiasi altro contratto di scambio.
La tendenziale identificazione (nel comune linguaggio) con la previdenza sociale può spiegarsi, semmai, proprio con la emersione e il
progressivo rafforzamento con caratteri propri della materia del lavoro, affermatasi, poi, come autonoma branca dell’ordinamento giuridico: l’originaria espressione ha finito, così, per restare collegata (per
prevalenti ragioni di vischiosità linguistica) a quella originaria componente che più di ogni altra (se si eccettua, appunto, il «diritto del lavoro») ha mantenuto e sviluppato una autonoma fisionomia e un complesso assetto normativo a sé stante: il diritto della previdenza sociale.
Naturalmente, anche la matrice ideale della legislazione sociale
non può dirsi unitaria, nonostante quell’unitario punto di partenza.
Almeno per una prima fase (o gruppo di leggi), infatti, gli interventi normativi hanno risposto essenzialmente alla logica dell’ordine
pubblico. Lo Stato liberale è intervenuto a «correggere» quelle situazioni di rischio o di sfruttamento del lavoro che la coscienza sociale
avvertiva come non più tollerabili – ed, anzi, potenzialmente lesive
dell’ordine costituito –: ma badando bene a non intaccare le regole
sulle quali quell’ordine si fondava.
La successiva, progressiva trasformazione in senso sociale dell’organizzazione costituzionale dello Stato di matrice liberale e, con essa,
la piena e definitiva affermazione dei diritti sociali ha determinato, in-
§2
Origine e sviluppi del sistema previdenziale italiano
29
vece, l’assunzione di iniziative di intervento pubblico immediatamente dirette alla soddisfazione di quei diritti. All’interno di queste hanno
finito con il prevalere – sia sull’esigenza di tutela dell’ordine pubblico
che sul principio di parità formale – finalità di redistribuzione della ricchezza, in una prospettiva tendente al principio di parità sostanziale.
Una terza (seppure marginale) componente è, infine, rappresentata dal filone parallelo della legislazione di assistenza sociale (erede
delle iniziative benefiche e caritatevoli della società ottocentesca),
che, anche quando si rivolgeva ai lavoratori in maniera specifica (cioè
non alla stregua di qualsiasi altro cittadino), interveniva in via successiva e a fini di mero soccorso o riparazione: senza interferire,
quindi, sulla relazione tra le parti del rapporto o, in generale, sulle
condizioni di lavoro.
2. L’introduzione delle assicurazioni sociali: nell’esperienza tedesca ...
Per far fronte in concreto ai gravi rischi sociali prodotti dall’industrializzazione (essenzialmente, gli infortuni sul lavoro e le conseguenze sulla salute dei lavoratori delle lavorazioni nocive e dei ritmi
intensi e prolungati del lavoro, propri dell’epoca) fu individuato lo
strumento dell’assicurazione sociale.
Favorirono tale scelta, in primo luogo, fattori di ordine tecnicoeconomico.
Tra questi, influì, innanzitutto, il perfezionamento raggiunto, con
l’introduzione del calcolo attuariale, dagli studi statistici dell’epoca
(specie in Inghilterra): divenne, infatti, possibile calcolare, con sufficiente approssimazione e su precise basi tecniche, rischi e premi,
sensibilmente riducendo, così, l’alea strutturalmente insita nel contratto di assicurazione.
Se quanto sopra rendeva più agevole e meno rischiosa la gestione
dello strumento assicurativo da parte dei pubblici poteri, la partecipazione al finanziamento (mediante il versamento dei premi o contributi) degli stessi soggetti interessati alla tutela rendeva tale gestione pubblica economicamente ancora più conveniente.
Inoltre, mantenendo per tal via la tutela sociale sostanzialmente
all’interno delle regole proprie del commercio, si impediva che quella tutela potesse rappresentare una fonte di turbativa della disciplina
economica.
Le ragioni
dello strumento
assicurativo
30
Il modello
bismarkiano
Capitolo secondo
§3
Primario rilievo, tuttavia, a favore dell’adozione di tale scelta hanno avuto ragioni di ordine politico-ideologico.
La convinzione che assicurazioni a fini di tutela sociale avrebbero
potuto essere gestite, con vantaggio, direttamente dallo Stato si fece
spazio innanzitutto in Germania sul finire del 1800.
Fautori di tale intervento furono studiosi aderenti alla cosiddetta
«scuola storica dell’economia politica». In quanto sollecitavano il superamento del dogma liberista e l’adozione di iniziative dello Stato,
dirette alla disciplina eteronoma del rapporto di lavoro e alla istituzione e gestione di assicurazioni a favore dei lavoratori, i sostenitori
della suddetta scuola di pensiero economico vennero denominati
«socialisti di Stato» (o anche «socialisti della cattedra», in considerazione del fatto che molti di essi erano professori delle facoltà giuridiche ed economiche delle università tedesche).
La prima forma di assicurazione sociale (la prima in assoluto) fu
concretamente introdotta durante il regno di Guglielmo I, nel
1883; e il cancelliere Bismarck, che fu il vero artefice dell’importante innovazione, nell’illustrare gli scopi ed i caratteri della riforma
(gestione pubblica, attribuzione dell’obbligo assicurativo e contributivo in capo ai datori di lavoro), ebbe a sottolineare esplicitamente le finalità di conservazione dell’ordine sociale costituito, ad
essa sottese.
Tuttavia, nonostante tale carattere dello strumento prescelto, solidale con le esigenze di un regime autoritario e conservatore (e, dunque, nonostante le conseguenti, originarie diffidenze del movimento
operaio di ispirazione socialista), la legislazione sociale (ed in particolare quella che si è, appunto, espressa con l’introduzione delle assicurazioni sociali) a poco a poco ha finito con il dare voce e sostanza al movimento dei lavoratori ed (ulteriore) impulso al processo di
profonda trasformazione dello Stato liberale.
3. ... e nell’esperienza italiana; in particolare, l’elaborazione del
concetto di rischio professionale
Iniziativa privata
e sussidiarietà
dell’intervento
pubblico
Nell’esperienza italiana, l’adesione alle posizioni della dottrina
tedesca assunse caratteristiche differenti, perché da noi l’intervento dello Stato venne, sì, riconosciuto necessario, ma solo quando si
fosse manifestata l’inefficacia delle iniziative di responsabilizzazio-
§3
Origine e sviluppi del sistema previdenziale italiano
31
ne individuale e dei corpi intermedi: in una prospettiva, cioè, di
sussidiarietà rispetto a quelle dell’intervento pubblico stesso 2.
A determinare tale differenziazione contribuì sicuramente l’esistenza in Italia di una preesistente esperienza di autoprotezione, quale quella rappresentata, da un lato, dalle società di mutuo soccorso, e,
dall’altro, dalle casse di risparmio.
Le prime (diffusesi soprattutto intorno alla metà del 1800, e disciplinate poi con legge n. 3818 del 1886) erano associazioni volontarie
di lavoratori, che, adottando lo schema assicurativo, ma con l’esclusione dell’intermediazione dell’assicuratore, provvedevano a ripartire
all’interno della collettività degli associati i rischi comuni (malattia,
infortunio, inabilità, ma anche disoccupazione, morte, incremento del
carico familiare, ecc.): in una logica, dunque, di solidarietà redistributiva di mero stampo economico, e limitata al gruppo o alla categoria.
Detta funzione mutualistica aveva trovato, poi, il suo complemento nell’azione di promozione e protezione del risparmio dei lavoratori ad opera delle casse di risparmio.
Tuttavia, l’esperienza delle società mutue sarebbe entrata ben
presto in crisi. Innanzitutto, per le loro stesse caratteristiche intrinseche, quelle associazioni potevano essere costituite soltanto dalle
categorie più abbienti, e, quindi, coinvolgere un numero ristretto di
soggetti; tale inevitabile limitazione dei soggetti potenzialmente interessati impediva, a sua volta, la costituzione di risorse finanziarie
adeguate; ingenuità ed approssimazione nel metodo attuariale, da un
lato, e, dall’altro, l’invecchiamento degli associati (con la conseguente convenienza dei giovani a crearsi proprie strutture associative, anziché entrare in quelle già costituite, e pregiudicate), hanno fatto il
resto, accelerando il processo disgregatore di quell’esperienza.
D’altra parte, forte era l’interesse (per le ragioni già dette, ma anche per esigenze di controllo del fenomeno mutualistico in sé) a «statalizzare» il settore.
Per ragioni di maggior urgenza politico-sociale, il primo concreto
intervento statale fu quello rappresentato dalla legge 17 marzo 1898,
n. 80, che rese obbligatoria per i datori di lavoro del settore industriale l’assicurazione contro gli infortuni.
Tale legge, dunque, ufficialmente segna l’introduzione delle assi-
2
3.
V., par. 6, nonché cap. V, par. 7.
Società di
mutuo soccorso
e casse di risparmio
Rischio professionale
e assicurazione
obbligatoria
32
Responsabilità
civile aggravata e
obbligo di sicurezza
Capitolo secondo
§3
curazioni sociali in Italia, e, quindi, l’avvio di quel sistema, che, generalizzato alcuni lustri dopo (con il d.lgt. n. 603 del 1919), ha dato
vita al «diritto della previdenza sociale».
L’espediente concettuale attraverso il quale è stato reso socialmente e politicamente accettabile nel nostro Paese tale primo importante intervento eteronomo (poi destinato ad estendersi), in rapporti fino a quel momento retti esclusivamente sulla base di atti di autonomia privata, è stato quello della teorizzazione del cosiddetto rischio professionale, cioè di un criterio di imputazione della responsabilità civile alternativo a quello tradizionale della colpa e del dolo:
precisamente, del criterio fondato sull’accollo del danno in capo a
chi trae i (maggiori) vantaggi dall’attività economica, in relazione al
cui esercizio il danno si produce (secondo il noto brocardo cuius
commoda eius et incommoda).
L’adozione di tale criterio di imputazione, dunque, si presentava
idonea a far ricadere sull’imprenditore non soltanto i danni dei quali fosse possibile dimostrare (secondo le regole processuali ordinarie)
la sua responsabilità diretta o, eventualmente, «vicaria» (cioè per fatto colposo o doloso di proprio dipendente), bensì tutti quelli comunque subiti dal lavoratore nello svolgimento dell’attività lavorativa, e, dunque, anche se imputabili a caso fortuito o a forza maggiore,
o a colpa dello stesso lavoratore.
In concreto, l’obiettivo venne perseguito, piuttosto che intervenendo sulle regole della responsabilità civile, socializzando il rischio: cioè, imponendo l’obbligo di stipula dell’assicurazione in
questione e di pagamento dei relativi premi (con conseguente ripartizione degli oneri sull’intera categoria).
Dunque, dato che il criterio della responsabilità civile per rischio
professionale, al di là delle teorizzazioni della dottrina, non è mai stato intimamente accettato dall’ordinamento positivo, né prima né dopo l’istituzione delle assicurazioni sociali – nonostante alcune sue
marginali, quanto indirette, espressioni (quali possono essere considerate quelle di cui agli artt. 2049, 2050 e 2110 c.c.) – si può affermare che, nel momento stesso in cui si attribuiva la suddetta giustificazione dell’obbligo di assicurazione contro gli infortuni sul lavoro,
le teorie che sostenevano quel più avanzato criterio di imputazione
della responsabilità trovavano, sì, sostanziale legittimazione, ma venivano, al tempo stesso, neutralizzate nei loro effetti pratici e teorici.
Infatti, poiché il datore restava comunque sollevato dalla respon-
§4
Origine e sviluppi del sistema previdenziale italiano
33
sabilità 3, tramite, appunto, l’assicurazione sociale obbligatoriamente
imposta, almeno sul piano dei principi civilistici l’effetto innovativo
fin dall’origine poteva ritenersi limitato all’imposizione di detto obbligo assicurativo.
Unico mutamento sostanziale può ritenersi essere stato quello
prodottosi per effetto dell’introduzione nel Codice del 1942 dell’imposizione, per mezzo dell’art. 2087 c.c. della specifica obbligazione
di sicurezza, in aggiunta a quelle proprie del rapporto di lavoro: sono stati così ampliati i contenuti dell’obbligazione contrattuale del
datore, estendendoli, appunto, alla protezione della salute, tanto fisica che morale, del lavoratore.
Comunque (e per converso), la soluzione tecnica prescelta (assicurazione obbligatoria) è valsa in qualche modo ad accreditare, con
effetti destinati a perdurare, la concezione degli eventi produttivi di
infortunio sul lavoro o di malattia professionale come costo sociale
necessario ed inevitabile da pagare, in cambio dei benefici dello sviluppo industriale e del progresso tecnologico. Così come la stessa è
valsa a realizzare una sorta di soluzione transattiva, per effetto della
quale i datori di lavoro sopportano, sì (per il tramite della contribuzione all’assicurazione obbligatoria), il rischio del caso fortuito e della forza maggiore, ma i lavoratori, in cambio della maggior tutela, ricevono un ristoro soltanto parziale 4 del danno subito.
4. La previdenza sociale nel periodo liberale e nel periodo corporativo: cenni
Lo Stato liberale non soltanto ha determinato la nascita della assicurazioni sociali, ma ha anche impresso gran parte dei connotati che
hanno caratterizzato di sé gli sviluppi di quelle nell’epoca successiva.
È, soprattutto, nel periodo che va dai primi anni del 1900 all’avvento del regime fascista (la cosiddetta età giolittiana), che hanno visto la luce importanti sviluppi delle forme previdenziali.
Ciò, peraltro, è avvenuto senza una pregiudiziale limitazione – è
3
Ovviamente nei limiti prestabiliti dalla stessa legge speciale: cfr. cap. XII, par. 4.
Tale, in sostanza, è rimasto anche dopo l’estensione della tutela al danno biologico,
ad opera del d.lgs. n. 38 del 2000; si rinvia al cap. XII, parr. 2 e 3.
4
L’età giolittiana
34
Capitolo secondo
§4
bene sottolinearlo – al lavoro subordinato, ma, anzi, con l’attenzione
rivolta alle caratteristiche materiali delle varie attività, più che alla
qualificazione giuridico-formale del rapporto di lavoro, del quale
quelle attività costituivano l’oggetto 5; ma anche curando la promozione della cultura e della pratica della previdenza fin dall’epoca scolastica, come l’esperienza della mutualità scolastica sta a testimoniare 6.
Ed, invero, subito dopo la costituzione dell’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro, con legge n. 350 del 1898 è stata istituita la Cassa nazionale di previdenza per la vecchiaia e l’invalidità degli operai (poi denominata Cassa nazionale delle assicurazioni
sociali: l’antecedente storico dell’attuale INPS), destinata a gestire,
peraltro, per il momento, soltanto un’assicurazione facoltativa.
Ma successivamente, sotto le pressioni a favore di un incremento
della legislazione sociale, concentricamente provenienti da varie direzioni (dalla sinistra, specie dei socialisti riformisti; dai cattolici, fautori della sociologia cristiana; dalla destra «illuminata»), vennero:
riorganizzate, in chiave migliorativa, la legislazione antinfortunistica
(1904) e quella relativa alla tutela per l’invalidità e la vecchiaia degli
operai (1907); istituita (1910) la Cassa nazionale di maternità per la
tutela delle donne in occasione del parto o dell’aborto; estesa all’agricoltura (1917) l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul
lavoro; istituita l’assicurazione obbligatoria contro la disoccupazione
(1919); ampliata e resa obbligatoria (1919) l’assicurazione per l’invalidità e la vecchiaia.
Principi di particolare rilievo, che si sono affermati per la prima
volta in questo periodo, sono: l’assicurazione automatica per il fatto
5
Così, all’interno dell’assicurazione per l’invalidità e la vecchiaia l’elemento qualificante è risultato essere lo svolgimento di attività manuale e materiale dell’«operaio» (come veniva nominato ed identificato allora il lavoratore meritevole di protezione: legge n.
350 del 1898), e, poi, il fatto di attendere «a lavori prevalentemente manuali per conto
terzi o anche per conto proprio» (r.d. n. 376 del 1907), così come, per quanto riguarda
l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro, l’occasione della sua estensione al settore
agricolo (d.l. n. 1405 del 1917) è stata anche l’occasione per riferire la relativa tutela a tutti coloro che svolgevano la medesima attività materiale: «proprietari, mezzadri, affittuari,
loro mogli e figli, anche naturali, che prestano opera manuale nelle rispettive aziende».
6
La «mutualità scolastica» è strumento previdenziale riservato agli scolari, ideato
dall’ordinamento liberale con la legge n. 521 del 1910 e il r.d.l. n. 1088 del 1913, poi rielaborato in periodo corporativo con r.d.lgs. n. 3126 del 1923 e con la legge n. 17 del 1929,
soppresso non molti anni dopo, ma la cui eco si è fatta sentire a distanza di tempo, dando vita ad un ricco contenzioso: cfr. Cass. 10 aprile 1978, n. 167, in Giust. civ., 1978, I,
1005; 4 maggio 1978, n. 2111, in Prev. soc., 1978, 525.
§4
Origine e sviluppi del sistema previdenziale italiano
35
stesso di lavorare (introdotta nel 1917 in materia di tutela antinfortunistica per i lavoratori addetti ad aziende agricole o forestali);
l’estensione dell’assicurazione al lavoratore in quanto tale, cioè anche se non subordinato (sebbene, per il momento, riferita soltanto al
lavoro agricolo, e, ancora, esclusivamente alla tutela antinfortunistica); il concorso dello Stato (un accenno di intervento della solidarietà
generale) nel finanziamento dell’assicurazione (previsto, per la prima
volta, nel 1919, limitatamente, peraltro, all’assicurazione per l’invalidità e la vecchiaia: art. 8, d.lgt. n. 603 del 1919), per il resto fondato
sull’equivalenza attuariale tra contributi e prestazioni.
L’ordinamento corporativo fascista mantenne e sviluppò – sia pur
imprimendo, in alcuni casi, una sua propria fisionomia – quanto ereditato dall’ordinamento liberale.
Accanto all’originaria concezione del rischio professionale – cui,
però, in virtù della estensione nel 1935 a tutta la materia antinfortunistica del principio di automaticità delle prestazioni e di costituzione
del rapporto assicurativo (poi progressivamente esteso anche alle altre
assicurazioni e recepito nel 1942, come norma generale, dall’art.
2116 c.c.), accede, a partire da tale periodo, una prevalente connotazione di ordine pubblicistico – venne teorizzata la concezione
della solidarietà corporativa tra appartenenti al medesimo gruppo o
categoria, e tra datore e prestatore di lavoro.
Tale concetto si prestava a giustificare sia l’estensione della tutela
previdenziale anche ad eventi non (necessariamente) dipendenti dallo svolgimento dell’attività lavorativa – quali l’invalidità e la malattia,
o, comunque, non incerti, come la vecchiaia e la morte – sia meccanismi redistributivi di ricchezza, interni al gruppo 7, ma, nel contempo, a mantenere sostanzialmente indenne la finanza pubblica da oneri economici aggiuntivi.
Si devono alla legislazione del ventennio fascista l’istituzione dell’assicurazione obbligatoria contro la tubercolosi (1927) e quella
contro le malattie per la gente di mare (1929), l’estensione dell’assicurazione contro gli infortuni anche alle malattie professionali
(1929); la creazione (1933) dell’INFPS (Istituto nazionale fascista
della previdenza sociale); il riordinamento nel 1935 sia della legislazione antinfortunistica che di quella in materia di assicurazione per
7
Cfr. ad esempio, art. 63, r.d.l. n. 1827 del 1935; art. 12, r.d.l. n. 636 del 1939.
L’età corporativa
36
Il ruolo del
Codice civile
Capitolo secondo
§5
l’invalidità e la vecchiaia e di assicurazione contro la disoccupazione;
l’istituzione dell’assicurazione contro le malattie comuni (1943).
Né vanno dimenticate le fondamentali disposizioni in materia, dettate dal Codice civile: la ripartizione tra datore e prestatore di lavoro
dell’obbligo contributivo (art. 2115), il principio di automaticità delle prestazioni (art. 2116), il vincolo di destinazione dei fondi speciali
per la previdenza e l’assistenza dei lavoratori (artt. 2117 e 2123).
La tutela assicurativa venne, poi, espressamente estesa a categorie
di lavoratori non subordinati, tra i quali i soci delle cooperative e i soci prestatori d’opera delle società anche di fatto (r.d. n. 1422 del 1924).
La realizzazione della tutela previdenziale, tuttavia, restò essenzialmente un compito degli stessi interessati, come ricordava la stessa Carta del lavoro (1927): «La previdenza è un’alta manifestazione
del principio di collaborazione. Il datore e il prestatore d’opera devono concorrere proporzionalmente agli oneri di essa. Lo Stato, mediante gli organi corporativi e le associazioni professionali, procurerà
di coordinare e di unificare, quanto è più possibile, il sistema e gli
istituti di previdenza».
In altri termini, l’obiettivo finale continuò ad essere, prevalentemente, quello del mantenimento dell’ordine pubblico.
D’altra parte, lo spiccato interessamento dello Stato verso l’organizzazione previdenziale (che si manifestò anche con l’accentramento delle funzioni presso pochi enti rigidamente regolamentati) fu sostanzialmente giustificato dalla ingente quantità di risorse finanziarie, che, per effetto del sistema di gestione fondato sulla capitalizzazione 8, vennero accumulate dagli enti previdenziali: risorse che, infatti, furono ampiamente utilizzate dal regime anche per fini diversi
da quelli propri degli istituti di previdenza (opere pubbliche, bonifiche agrarie, iniziative di credito fondiario, attività belliche, ecc.).
5. Il periodo repubblicano; il principio di solidarietà e l’idea della sicurezza sociale nella Costituzione
Caduto l’ordinamento fascista, l’ordinamento repubblicano ha accolto gli obiettivi della sicurezza sociale, già enunciati, in particolare,
8
Cfr. cap. VI, par. 8.
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