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Capitolo 7. Origini pratiche e concettuali della Matematica.

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Capitolo 7. Origini pratiche e concettuali della Matematica.
Matematiche complementari I – Capitolo 7 Origini pratiche e concettuali della Matematica.
AA. 2009-2010
Capitolo 7. Origini pratiche e concettuali della Matematica.
7.1. Sei domande… senza risposta.
Si intende investigare sulle origini pratiche e concettuali della Matematica, i caratteri del suo
sviluppo, non in senso storico, ma in termini intrinseci.
Il motivo ispiratore è quello di offrire una lettura unitaria delle varie parti
studiate nel corso di Matematica per cercare le origini di tale unità. Mi
avvalgo ampiamente del testo di Mac Lane, Mathematics Form and Function,
Springer, Berlin, 1986, che si pone l'obiettivo di illustrare, a parere dell'autore,
quale sia la funzione della Matematica e quale ne sia la forma. Si tratta di una
Saunders Mac Lane
(1909-2005)
riflessione di carattere filosofico, che però richiede prima l'osservazione di cosa sia la Matematica
oggi. Per questo, prima di affrontare la questione, si passano in rassegna alcuni dei contenuti
matematici fondamentali perché una filosofia della Matematica che non sia fortemente ancorata alla
disciplina stessa rischia di non essere convincente.
Per chiarire origini pratiche e concettuali della Matematica ci si può avvalere di una specie di
‘scaletta’ data dai seguenti sei quesiti:
7.1.1. Origine della Matematica. Qual è l'origine della Matematica? La domanda richiede di andare
a cercare al di fuori della Matematica stessa le ragioni che hanno portato, ad esempio,
all'Aritmetica, all'Algebra, alla Geometria, ai teoremi ed alle teorie matematiche. In questo modo si
mette in evidenza che c’è una componente empirista anche nella Matematica. Non è detto, però, che
le ragioni dello sviluppo siano da cercarsi solo al di fuori della nostra disciplina. Anche
l’immaginazione e l’introspezione possono essere sorgenti di risultati matematici. Ciò conduce
immediatamente alla domanda fondamentale se la Matematica sia scoperta o sia inventata.
7.1.2. Organizzazione della Matematica. Qual è l'organizzazione della Matematica? Oggi si tratta di
un argomento vasto e molto differenziato e di per sé richiede un’organizzazione sistematica assai
estesa. C’è una suddivisione tradizionale in quattro parti, come si può riscontrare anche
dall'organizzazione del corso di laurea: Algebra, Analisi, Geometria, Matematica Applicata. Ci si
rende conto, presto, che si sono forse tralasciati interi campi o che altri sono a cavallo di questi. Ad
esempio, lo studio dell'Analisi complessa è argomento di Analisi o di Geometria. Così la Teoria dei
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numeri viene collocata sia in Algebra che in Analisi. La Geometria algebrica o differenziale in
quale delle suddivisioni va considerata? E il Calcolo delle Probabilità e la Logica matematica?
I quattro grandi campi possono a loro volta essere suddivisi in modo più fine: sono argomenti che
vengono riconosciuti come pertinenti all'Algebra quelli di Teoria dei Gruppi, Algebra commutativa,
Algebra lineare (o è Geometria?).
Ogni suddivisione della Matematica in settori è necessariamente imprecisa e costringe a
sovrapposizioni e ad ambiguità. La soggettazione più recente dei lavori di ricerca matematica
(AMS) presenta numerose difficoltà e ha, ad esempio, introdotto una nuova voce relativa alla
Psicologia della Matematica ed all'Insegnamento della Matematica.
Ma viene da chiedersi se la reale organizzazione della Matematica non possa semplicemente essere
ottenuta mediante un metodo di suddivisione in settori separati (una partizione) o se invece non ci
sono metodi più profondi, più filosofici, che spieghino l'organizzazione della Matematica. L'idea
dell'organizzazione di una scienza è di matrice positivista. Su di essa ha scritto Comte (un
matematico,
era
Polytechnique,
un'organizzazione
esercitatore
prestato
alla
lineare
delle
di
Analisi
filosofia)
scienze
all'École
proponendo
(e
quindi,
implicitamente, anche un ordine ‘temporale’ di ciò che
dovrebbe essere conosciuto prima e cosa invece dopo).
Francesco Speranza
(1932 - 1998)
Questo paradigma però non regge alla prova dei fatti, come
ha mostrato anche Speranza 1. Non è possibile trovare cosa
Auguste Comte
(1798 -1857)
deve essere sviluppato prima e cosa dopo, costruendo un ordine lineare della Matematica. Ci si può
inoltre chiedere se esistono parti della Matematica che non sono importanti o che, al momento,
possono essere non adeguatamente comprese (di queste situazioni la Storia della Matematica offre
diversi esempi!). Se si riuscisse a trovare un’impostazione fondazionale che fornisse una buona
organizzazione della Matematica si potrebbe rispondere a queste domande, pertanto, in modo
indiretto siamo portati a concludere che ogni impostazione fondazionale avrà parti della nostra
disciplina che non si riescono a costringere nello schema proposto.
Per Mac Lane l'idea guida è mostrare come in ogni campo appaiano aspetti che mettono in luce
(oggi) la natura formale. I problemi effettivi richiedono spesso calcoli, ma i calcoli richiedono a
loro volta regole e queste servono ad evitare una continua attenzione ai connotati del problema. Può
essere poi una sorpresa osservare o constatare che i calcoli vanno d'accordo con i fatti (ponendo
così il problema del successo della Matematica).
1
Speranza F.: 1993, 'La classificazione delle Scienze: un problema concreto con fondamenti epistemologici’, Rivista di
Matematica dell'Università di Parma, ser. 5, vol. 2, 159 - 170, ristampato su Speranza F.: 1997, Scritti di Epistemologia
della Matematica, Pitagora Editrice, Bologna, 103 - 112.
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Le dimostrazioni in Geometria hanno un loro fluire logico a partire dagli assiomi, ma i risultati
dimostrati come teoremi poi sono in accordo con il ‘mondo’. Va perciò analizzata la relazione tra
formale e ‘reale’. Questo porta al terzo problema:
7.1.3. Formalismi della Matematica I formalismi della Matematica sono basati sui fatti o derivati
da essi? Per spiegare meglio: c’è un’esigenza intrinseca nel fatto che rende il formalismo necessario
o è la nostra lettura dei fatti che ce lo suggerisce? Se non sono derivati dai fatti, da cosa derivano?
Potremmo prendere la posizione che il formalismo è un modo comodo di trattare le rappresentazioni
dei fatti, così la Matematica diverrebbe un gioco puramente formale, slegato dai fatti. Ma allora
perché le conclusioni formali sono in accordo coi fatti? Si torna in tal modo al problema del
successo della Matematica.
7.1.4. Sviluppo della Matematica. La quarta questione è relativa allo sviluppo della Matematica.
Come avviene tale sviluppo? Esso è motivato dai problemi quantitativi che sorgono nelle
applicazioni alle Scienze ed alla Tecnologia, oppure lo sviluppo è guidato dai problemi difficili che
sono presenti nella tradizione Matematica oppure ancora sono motivati da un
desiderio di comprendere meglio la tradizione? Per esempio, quanto deve la
moderna Teoria dei numeri al Teorema di Fermat? Il risultato ottenuto è da
riguardarsi come una vetta della produzione Matematica o ci deve essere
un'eguale attenzione e valutazione positiva per le opere più sistematiche che
introducono idee nuove ottenute per analogia, generalizzazione o astrazione? Tra
l'altro come viene giustificata l'astrazione e come si può fare per comprendere se
Pierre de Fermat
(1601-1665)
si tratta di un'astrazione utile e corretta?
Questi problemi relativi alla dinamica dello sviluppo della Matematica pongono un'ulteriore
difficile questione di importanza sociologica: come fare a valutare l'importanza e la profondità di
una ricerca matematica? Si pensi al confronto con ricerche in Biologia o Chimica.
La storia ci presenta comportamenti sociali dei matematici molto diversi: metodi accurati e rigorosi
canoni dimostrativi sono stati sviluppati in antichità per la Geometria. In seguito l'Analisi si è ben
sviluppata, senza dimostrazioni accurate, usando nozioni dubbie (agli occhi degli stessi proponenti)
quali gli infinitesimi attuali o l’estensione all’infinito di regole applicabili solo al finito (proprietà
commutativa delle serie). Questi due casi in certo senso paradigmatici ed introducono la quinta
domanda:
7.1.5. Rigore della Matematica. C'è uno standard assoluto di rigore in Matematica? La risposta,
come vedremo, è negativa perché il problema del rigore si intreccia strettamente con la ricerca di
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una fondazione corretta della Matematica in cui sviluppare tale rigore. Ebbene, e questa è storia del
XX secolo, il problema dei fondamenti è stato affrontato da almeno sei scuole di pensiero in netto
contrasto (e da un certo punto di vista, in competizione) tra loro:
7.1.5.1. Logicismo. Frege e poi Russell
asserirono che la Matematica è solo una
parte della Logica, quindi il problema dei
fondamenti
Alfred North Whitehead
(1861-1947)
Bertrand Russell
(1872-1970)
e
dello
sviluppo
della
Matematica è risolto una volta per tutte
sulla base di principi logici correttamente
Gottlob Frege
(1848-1925)
stabiliti. Whitehead e Russell hanno trattato e sviluppato tale approccio in maniera assai vasta nei
Principia Mathematica (1910/12/13). In questa scuola di pensiero, il rigore viene definito come
corretto adeguamento alle leggi logiche.
7.1.5.2. Teoria degli insiemi. Zermelo (e altri), e per certi aspetti, gli Éléments de
Mathématique di Bourbaki (1939), propongono questa soluzione. È rimarchevole
che quasi tutti gli oggetti matematici possano esser costruiti mediante gli insiemi. In
tal modo si fa strada l'idea che la Matematica tratti solo proprietà di insiemi e che
Ernst Zermelo
(1871-1953)
queste possano essere dedotte partendo da una opportuna lista di assiomi, ad
esempio quelli della teoria di Zermelo e Fraenkel, o con l'aggiunta di qualche
altro assioma che possa essere scoperto e conglobato nella lista. Nella Teoria
degli insiemi il concetto di rigore è legato alla corretta dimostrazione di
eguaglianze e relazioni di natura insiemistica.
7.1.5.3. Platonismo. La descrizione insiemistica della
Adolf Abraham Fraenkel
(1891-1965)
Matematica si accompagna spesso con la forte credenza che gli insiemi (ed
eventualmente altri enti) esistano effettivamente in un qualche dominio reale,
aggiornando posizioni già presentate da Platone. Gödel, ad esempio, giunge a
Kurt Gödel
(1906-1978)
supporre l'esistenza di un sesto senso che permetta di percepire il dominio ideale.
Altri platonisti della Matematica limitano ai numeri ed allo spazio
il dominio ideale. In esso esisterebbe il triangolo ideale contro cui
si scagliano Locke e Hume, per mostrare l’insussistenza delle
idee. In ambito platonico, la Matematica opera su nomi e studia
David Hume
(1711 - 1776)
semplici rapporti tra idee, pertanto una dimostrazione è tanto più
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John Locke
(1632 - 1704)
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rigorosa quanto più si approssima a descrivere al meglio i veri rapporti tra gli enti ideali coinvolti.
7.1.5.4. Formalismo. La scuola di Hilbert, soprattutto nei suoi ultimi sostenitori (Circolo di
Vienna), afferma che la Matematica si possa considerare una manipolazione
puramente formale di simboli non interpretati, pensati come le carte di un gioco.
Questa manipolazione la si esegue quando si svolge una dimostrazione rigorosa
dei teoremi a partire da assiomi. Tale posizione è parte del più ampio
David Hilbert
Gerhard
Gentzen
(1862 -1943)
(1909 – 1945)
programma di Hilbert, cioè mostrare che un qualche sistema adeguato per
svolgere la matematica è coerente, nel senso che le dimostrazioni in esso non
porteranno mai ad un assurdo, ad esempio a dimostrare che 0 = 1. Per ottenere
ciò le dimostrazioni vengono studiate come oggetti matematici (e quindi non più come strumenti
per comprovare o validare affermazioni), risultato di manipolazioni finite di simboli; ed i metodi
usati per studiare le dimostrazioni sono i più ‘sicuri’, basandosi solo su metodi strettamente
finitistici. Finora una dimostrazione di coerenza non è ancora stata ottenuta con i metodi detti (con
altri più potenti sì, da Gentzen). Anzi il teorema di incompletezza di Gödel fa fortemente dubitare
che sia possibile ottenere la coerenza con questi metodi. In questa scuola di pensiero il rigore è
sostanzialmente stabilito dagli assiomi logici e specifici, nonché dalle regole di inferenza applicate
correttamente. In certo senso è assai vicino a quanto sostenuto dal Logicismo, con la limitazione
degli aspetti finitistici legati al formalismo.
7.1.5.5. Intuizionismo. La scuola di Brouwer e tutti gli studi che rientrano sotto l'etichetta del
Costruttivismo, affermano che la Matematica è basata su alcune intuizioni
fondamentali; per Brouwer essa è la duità che integra
l'intuizione sintetica a priori del tempo, derivata da Kant.
Questa intuizione porta alla successione dei numeri naturali (e
alla loro considerazione solo come collezione potenzialmente
infinita). Di conseguenza tutte le dimostrazioni di esistenza in
Immanuel Kant
(1724 – 1804)
Matematica devono essere svolte con l'esibizione degli oggetti
Luitzen Brouwer
(1881 - 1966)
di cui si afferma l'esistenza. Per questa ragione i principi della logica, per la quale
Guglielmo di Sherwood (XIII sec.) ha coniato l’appellativo ‘classica’, presentati e
studiati da Aristotele in poi, non sono accettabili. Ad esempio cade il terzo escluso
(p ∨ ¬p) e di lì tante altre proprietà. In questa presentazione dei fondamenti, il
Aristotele
(384-322 a. C.)
rigore è misurato dall'intuizione, non dalla correttezza logica, anzi Brouwer
afferma che i paradossi sono, di fatto, causati dall’accettazione indiscriminata di
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una Logica, che valida solo per il finito, viene applicata anche all'infinito.
7.1.5.6. Empirismo. È l'affermazione che la Matematica è una particolare scienza empirica, pertanto
deve avere una fondazione strettamente empirista, basata esclusivamente sullo spazio e sui numeri.
Tale approccio, che può riscontarsi anche in matematici e filosofi del passato, ha avuto molto
sviluppo in tempi assai più vicini a noi. Ad esempio, sorprendentemente, Russell attribuisce una
origine empirica alla Logica 2. Resta però aperto il problema se è possibile avere un'esperienza
concreta con i numeri; con lo spazio forse ci sono minori problemi. Nella produzione degli attuali
filosofi di stampo empirista viene negata la validità assoluta del rigore e dei teoremi.
Questo elenco non è esaustivo. Tuttavia è da notare che queste ed altre impostazioni hanno in parte
esaurito negli ultimi anni la loro capacità di spiegare i problemi ed i risultati della Matematica.
Resta ancora una domanda da porre, forse la più fondamentale.
7.1.6. Filosofia della Matematica.
Cosa si può chiamare Filosofia della Matematica? Questa è
oggi un intero fascio di questioni. Ci sono problemi ontologici: cosa sono gli oggetti della
Matematica e dove esistono (se esistono)? Ci sono problemi metafisici: qual è la natura della verità
matematica? Questo è un problema tra i più trattati dato che, nelle ricerche dei filosofi sulla verità,
si usa la verità matematica come un primo esempio di verità assoluta. Un altro problema di natura
metafisica riguarda la semplicità. Spesso il matematico affronta un problema e per risolverlo fa
delle ipotesi che semplificano il lavoro. Il criterio della semplicità è solo una prassi basata sulla
‘capacità’ dei matematici o dei metodi matematici disponibili o è una scelta in qualche modo
suggerita dal pensiero umano? L’Empiriocriticismo suggerisce la seconda ipotesi.
Ci sono altri problemi epistemologici: come facciamo ad avere conoscenza delle verità matematiche
o degli oggetti matematici? A questa domanda si può rispondere in più modi perché la risposta
dipende da che tipo di verità o di oggetti matematici si considerano. Questo problema è
evidentemente legato a quello dell'insegnamento, ammesso che sia possibile insegnare la
Matematica, cioè come si possa favorire la concettualizzazione degli oggetti matematici e come far
apprendere le verità matematiche.
Alcune questioni più immediate e pratiche. Se la Matematica è solo un gioco formale oppure se è
solo deduzione logica dagli assiomi, come può essere così irragionevolmente efficiente per gli scopi
della scienza? O, detto in altro modo, perché la Matematica è la disciplina di maggior uso nella
comprensione del mondo?
2
Si veda Speranza F.: 1997, ‘Tendenze empiriste nella Matematica’, su Speranza F. Scritti di Epistemologia della
Matematica, Pitagora Editrice, Bologna, 57 - 64.
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Aggiungerei un altro tipo di riflessione, connesso a quanto precede: secondo alcuni psicologi, in
particolare Philip Johnson-Laird (n. 1936) attualmente docente a Princeton, il pensiero formale
matematico non è ‘naturale’; è quindi frutto di una costruzione umana artificiale. Oppure esso è
frutto di selezione naturale, oppure è semplicemente un talento di ogni uomo, che ha impiegato
migliaia di anni di evoluzione culturale per essere compreso e utilizzato quanto lo è oggi? Il tema è
importante perché il pensiero formale è sicuramente una delle caratteristiche umane. Ma si può
apprendere oppure è necessario un ‘organo’ opportuno, cioè una capacità innata?
Le varie scuole fondazionali hanno tentato risposte ad alcune di queste questioni, e nessuna di esse
vi è stata data in modo soddisfacente. Spesso, soprattutto nei lavori dei filosofi, vengono trattate le
parti più elementari della Matematica, numeri e spazio, tralasciando molto altro ‘sostanzioso’
materiale.
L'approccio di Mac Lane, da lui chiamato Formalismo funzionale, deve molto all'opera di Bourbaki,
da cui, ad esempio, riprende l'idea delle strutture madri.
7.2. Primi passi nell’Aritmetica.
7.2.1. Scienza del numero e dello spazio. La Matematica è stata descritta come la scienza del
numero e dello spazio, o meglio del numero, del tempo, dello spazio e del movimento. Le più
semplici attività umane richiedono una scienza di questo tipo dato che coinvolgono il contare, il
temporizzare, il misurare, usando a tale scopo, numeri, intervalli, distanze e forme. I fatti attorno a
queste operazioni ed idee si sono gradualmente sviluppati e mettendosi assieme hanno portato ad un
esteso corpus di conoscenze basato su poche idee e hanno fornito regole formali per il calcolo. In
certi casi questo corpo di conoscenze si è organizzato come un sistema formale di concetti, assiomi,
definizioni e dimostrazioni. L'assetto dato da Euclide alla Geometria ha avuto una grande e lunga
influenza sul pensiero occidentale (e non solo) ed è stato perfezionato da Hilbert (1899).
Similmente i numeri naturali, nati dal conteggio, in Europa hanno avuto solo
nel XIII secolo una notazione efficiente che ha permesso
regole di calcolo efficaci. Successivamente (verso la fine
del XIX secolo) ad opera di Dedekind e Peano i numeri
naturali hanno avuto una sistemazione formale ottenuta
Giuseppe Peano
(1858 - 1932)
individuando le proprietà del passaggio al successivo. Così
pure le misure di tempo e spazio, le cui origini si possono
191
Richard Dedekind
(1831 - 1916)
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trovare nell'antichità mesopotamica, sono state codificate mediante assiomi che fanno intervenire i
numeri reali. Tutt’oggi, però, esse risentono della antica trattazione e numerazione sessagesimale.
Si è quindi costituita una base formale per presentare e studiare i concetti matematici dedotti dalla
esperienza e dai fatti. Questo sviluppo ha avuto una lunga storia e i punti d'arrivo citati prima sono
stati ottenuti anche in tempi diversi.
7.2.2. Esigenze pratiche che portano ai numeri naturali. Se si vuole elencare, etichettare, contare,
enumerare o paragonare, è possibile fare ciò mediante un unico ‘oggetto’ matematico, un sistema
numerico, o meglio con i formalismi che descrivono il sistema numerico dei numeri naturali. Oggi
siamo talmente abituati alla consueta notazione decimale (con 10 cifre), che talvolta viene voglia di
identificare il numero con la scrittura di esso in tale notazione. Gli stessi numeri, però, possono
essere scritti con altre notazioni, ad esempio usando i numerali romani o usando cifre diverse
(relative alla scelta della base). I numeri sono usati per elencare in ordine gli oggetti di una stessa
collezione, o semplicemente per etichettare questi oggetti, o per contare l'intera collezione o per
confrontare due collezioni. Da queste attività traggono origine diversi concetti matematici: insieme,
numero, etichetta, elenco. Attenzione, qui insieme è un sinonimo di collezione, col significato
dell'uso comune. Ad esempio
(1)
S = {A,B,C},
T = {U,V,W}
sono insiemi, ciascuno di tre lettere, scritti con la notazione convenzionalmente accettata per
denotare insiemi, utilizzando lettere e segni ausiliari specifici (le parentesi graffe e la virgola) .
L'operazione eseguita nell'elencare una collezione quale {A,B,C} comporta l'associare un numerale
(un simbolo ottenuto sulla base del formalismo adottato nella rappresentazione dei numeri) ad ogni
oggetto della collezione, secondo l'ordine regolare, ad esempio iniziando da 1 e procedendo in
ordine. Con l'elencazione si ottiene così {A1,B2,C3}. Se avessimo adottato il modo di rappresentare
proprio degli antichi romani, avremmo scritto {AI,BII,CIII}. Solo se per ogni numero esiste un
numero successivo immediato, s(n) = n+1, i numerali sono adeguati a questo processo, comunque
presa una collezione.
L'operazione che si esegue con l'etichettare una collezione consiste nell'associare agli oggetti della
collezione gli stessi numerali usati nell'elencazione, senza tenere conto del loro ordine come in
{A2,B3,C1}. Si pensi di avere delle etichette adesive da appiccicare alle lettere, le etichette sono
numerate con i numerali 1, 2 e 3 e vengono appiccicate alla rinfusa. Si noti che anche l'elencazione
è una sorta di etichettatura, non è detto il viceversa, anche perché potremmo aver utilizzate delle
etichette diverse, ad esempio {A ,B ,C }, cosa che spesso avviene nei primi approcci alla
Matematica nella scuola Primaria.
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L'operazione di contare una collezione consiste nel determinare quanti numerali (o quali numerali)
sono necessari per etichettare tutti gli oggetti della collezione. A questo proposito si osservi che il
conteggio, fatto in modo corretto anche più volte, fornisce la stessa risposta. In particolare, i
numerali necessari non dipendono dall'ordine con cui vengono contati gli oggetti della collezione
(finita). Ciò avviene ad esempio se si considerano {A1,B2,C3} oppure {B1,A2,C3} o {C1,B2,A3}, il
conteggio termina sempre con 3. Questo fatto pare ovvio, ma se si riflette un attimo, la sua ovvietà
non è basata su un principio matematico, bensì sul principio empirico - psicologico della
conservazione della quantità (Piaget). C'è da chiedersi allora se tale ovvietà fa parte della natura del
numero e dell'insieme, oppure si tratta di un risultato che va provato
matematicamente.
Il confronto di due collezioni quali {A,B,C} e {U,V,W} consiste nell'associare ad
ogni oggetto della prima collezione un oggetto della seconda, finché entrambe le
collezioni sono esaurite, questo avviene, ad esempio scrivendo {A/U, B/V, C/W}
Jean Piaget
(1896 - 1980)
oppure { A,U , B,V , C,W }. Si può vedere questa attività come un’etichettatura
della seconda collezione mediante gli elementi della prima. Ovviamente può
accadere che l'operazione non possa essere portata a termine in modo completo, perché una delle
due collezioni si esaurisce prima dell'altra. In questo senso la collezione che si esaurisce prima è
‘più piccola’ (suvvalente) dell'altra, ai fini del confronto. Il risultato di questo confronto non
dipende dall'ordine in cui gli oggetti vengono associati: qualunque sia l'ordine considerato,
l’insieme{A,B} è più piccolo, nel senso detto precedentemente, di {U,V,W}. Attenzione, quando si
parla di due collezioni non si vuole escludere che le due collezioni siano eguali. In questo caso,
come si vedrà anche nel seguito, c'è sempre una specifica modalità di confronto, quella che si può
rappresentare come {A/A, B/B, C/C}, oppure come { A,A , B,B , C,C } essa viene chiamata
identità.
7.2.3. Corrispondenze biunivoche. Vi sono molte coppie di collezioni che possono essere
confrontate così, ma è ovvio che si ottiene un ‘risparmio’ concettuale confrontando ciascuna
collezione finita con i segmenti iniziali di numeri naturali positivi, che divengono così una sorta di
‘metro’ per questa operazione di confronto: {1,2,3}, {1,2,3,4}, {1,2,3,4,5}, ecc.
In questo contesto si dice che la collezione {A,B,C} ha numero cardinale 3, e si scrive #{A,B,C} =
3. Si noti che ciò equivale al confronto {1/A, 2/B, 3/C} oppure, scritta in altro modo, { 1,A , 2,B ,
3,C }. Ma si può scrivere anche diversamente, utilizzando il concetto di corrispondenza biunivoca 3,
3
Questa dicitura italiana, tra l'altro ben consolidata dalla tradizione, è in sé ‘buffa’. La parola biunivoca richiama due
parole bi che deriva da bis, parola latina che vuol dire due volte, e uni che vuole dire uno. Quindi è
193
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(2)
f: 1
A, f: 2
B, f: 3
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C.
Questo confronto di {A,B,C} con la collezione ‘campione’ {1,2,3} è associata all’elencazione della
collezione nel senso che ripresenta, in altri termini, l’elencazione detta prima. Però c’è una
differenza: quando si elenca si è (apparentemente) all'interno della collezione, considerando i
numerali usati non come oggetti matematici, ma linguistici. Nel confronto con la collezione
standard, si ‘esce’ all'esterno della collezione S = {A,B,C}. La collezione T = {U,V,W} ha lo stesso
numero cardinale, come è provato dalla corrispondenza biunivoca
(3)
g: 1
U, g: 2
V, g: 3
W.
La definizione formale di questo processo di associazione stabilisce che una biezione b (la
corrispondenza biunivoca) dalla collezione S alla collezione T è una ‘regola’ b che associa ad ogni
elemento s di S un elemento b(s) di T, in modo tale che ogni elemento t di T viene ottenuto partendo
da un solo s di S. Ma ciò significa che l'inverso di b (cioè b letto al ‘contrario’) è una biezione da T
a S. Pertanto la biezione inversa della f data dalla (2) è:
f −1 : A
1, f −1 : B
2, f −1 : C
3.
C'è poi il caso particolare dell'identità, discusso prima, che può rappresentarsi come segue
I: A
(4)
A, I: B
B, I: C
C.
La biezione descritta in (2), composta con la biezione g data in (3) fornisce una biezione f −1
seguita da g, che è una biezione (diretta) da {A,B,C} a {U,V,W}:
(g° f −1 ): A
U, (g° f −1 ): B
V, (g° f −1 ): C
W.
Pertanto l'osservazione elementare che due collezioni S e T hanno lo stesso numero cardinale,
#{A,B,C} = #{U,V,W}
suggerisce il processo più generale di composizione di biezioni, una seguita dall'altra.
Queste idee relative alle biezioni possono essere usate per fornire una definizione formale di
numero naturale (cardinale).
Prima di procedere è bene analizzare il rapporto tra corrispondenza biunivoca e biezione. Si tratta di
nomi diversi per la stessa cosa? Anche qui la scelta di fondo di cosa sia la Matematica agisce e
permette risposte differenti. Notiamo che gli attori di una corrispondenza biunivoca tra due insiemi
sono gli insiemi stessi. Questo concetto è presente e palese, anche se non ‘ufficializzato’ da Euclide,
quando scrive:
«Definizione V.5. Si dice che [quattro] grandezze sono nello stesso rapporto, una prima rispetto ad una seconda
ed una terza rispetto ad una quarta, quando risulti che equimultipli della prima e della terza [presi] secondo un
contemporaneamente associata a due ed a uno. Non è una parola di uso corrente e quindi gli studenti possono trovarsi in
imbarazzo nel comprenderne l'uso ed il significato.
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multiplo qualsiasi, ed equimultipli della seconda e della quarta [presi pure] secondo equimultipli qualsiasi, sono
gli uni degli altri, cioè ciascuno dei due primi del suo corrispondente fra i secondi, o tutti e due maggiori, o tutti e
due eguali, o tutti e due minori 4, se considerati nell’ordine rispettivo. »
Euclide non mostra di conoscere il concetto di funzione, neppure nel caso specifico delle biezioni. Il
motivo è che le corrispondenze biunivoche possono essere descritte in termini di infinito in potenza,
mentre la biezione, ente in sé, nel caso come quello di Euclide, in cui sono citate coppie di numeri
naturali (per Euclide) e la quantificazione avviene su tutte esse, richiede l’infinito in atto. Quindi,
secondo l’approccio insiemistico, biezione e corrispondenza biunivoca sono la stessa cosa, per un
approccio costruttivo, come l’Intuizionismo, no.
La presentazione dei numeri naturali come cardinalità (con l’uso delle biezioni o delle
corrispondenze biunivoche) viene spesso utilizzata in molte scuole. Essa, come si vede sotto, può
causare difficoltà di comprensione e di apprendimento. Sicuramente le provoca, se questo è l'unico
approccio al concetto di numero naturale e, in tale senso, i programmi del 1985 della scuola
elementare e le indicazioni per la scuola Primaria del ministro Moratti sono espliciti,
raccomandando una pluralità di interpretazioni di questo fondamentale concetto matematico.
Tale raccomandazione scompare dalle più recenti indicazioni del Ministro Fioroni (Luglio 2007).
L'uso del numero cardinale di un insieme (finito) come numero naturale ha un primo punto di
difficoltà didattica nell'introduzione di zero come il numero cardinale dell'insieme vuoto #∅, questo
perché entrambi gli enti, quello numerico, 0, e quello insiemistico, ∅, vengono spesso
intuitivamente rifiutati (in accordo con l'inesistenza del vuoto che ha avuto come sostenitori
Parmenide, Aristotele, Cartesio, e Kant anzi nella Filosofia Scolastica si
sostiene l'horror vacui). Anche il numero uno pone dei problemi, dato che
richiede un insieme formato da un solo elemento, il singoletto, e spesso non si
comprende che bisogno ci sia di distinguere tra l’elemento e l'insieme
costituito da un solo elemento, visto che quest’ultimo è perfettamente
individuato conoscendone il suo unico elemento. Forse questa difficoltà è
anche un retaggio desunto dai pensatori antichi, per i quali, talora, uno non è
Parmenide
1a metà del V sec.
neppure considerato come numero; il numero infatti dovrebbe essere collegato all'idea di
molteplicità, quindi il primo numero è due. Si esprimono in tal modo Pitagora ed Euclide. Coloro
che pensano che uno non sia un numero, lo ritengono un articolo. La lingua italiana permette la
confusione tra articolo indeterminativo (coniugabile) e l'aggettivo numerale. Ciò non avviene in
inglese, ad esempio, in cui a e one, hanno usi diversi.
4
Cioè: a : b = c : d se, in qualunque modo si scelgano due numeri naturali (di Euclide) m, n, secondo si abbia ma maggiore, uguale o
minore di nb è corrispondentemente mc maggiore, uguale o minore di nd. Da notare che per Euclide 1 non è un numero naturale, per
cui resterebbe escluso da questa definizione il caso a = b e c = d.
195
Matematiche complementari I – Capitolo 7 Origini pratiche e concettuali della Matematica.
AA. 2009-2010
7.2.4. Utilizzazione dei numeri naturali mediante operazioni. Ma qualunque cosa siano i numeri
naturali e comunque essi possano essere definiti, il loro scopo primario è servire per calcolare
somme, prodotti e potenze. In realtà si possono usare anche in altri contesti, ad esempio come
indicatori di un percorso stradale sui mezzi pubblici, sulle targhe automobilistiche, ma in questi casi
possono essere sostituiti da lettere, perché la loro funzione è solo quella di indicare una differenza o
un ordine (temporale), quindi possono essere sostituiti dagli elementi di un qualsiasi insieme
(ordinato).
Tornando alle operazioni tra numeri naturali, se ci si attiene a questo ambito insiemistico, la somma
di due numeri cardinali la si può ottenere come il numero cardinale dell'insieme risultante di una
‘combinazione’ di due collezioni disgiunte aventi i dati numeri cardinali usati come addendi. Così
se #{A,B,C} = 3 e #{U,V} = 2, allora #{A,B,C,U,V} = 5 e 5 = 3 + 2.
Una breve parentesi didattica: su molti testi delle scuole elementari e anche di altre scuole si trova
questa ‘giustificazione’ dell'addizione associata alla operazione insiemistica di unione. Talvolta gli
autori dimenticano di specificare accuratamente che bisogna utilizzare insiemi disgiunti, cioè tali
che non abbiano elementi comuni. Questo uso degli insiemi è stato giustamente criticato dai
ricercatori in didattica, soprattutto perché richiede un concetto, quello di insieme, nonché
l’operazione di unione e la definizione di disgiunzione tra insiemi, concetti che non sono proprio
elementari, visto anche lo sviluppo storico della nozione di insieme, che è esplicitamente presentata
a partire dal XIX secolo come oggetto matematico, ben più tardi dell'Aritmetica, presente già molti
secoli prima che venisse ‘sistematizzata’ negli Elementi di Euclide (Libri VII, VIII e IX).
Inoltre le proprietà degli insiemi dovrebbero essere ‘indipendenti’ dalla natura degli elementi che li
costituiscono, cioè le proprietà insiemistiche sono quelle ‘invarianti’ per biezioni, come appunto
detto prima per il numero cardinale. Ma il fatto che due insiemi siano o no disgiunti non è una
proprietà invariante per biezioni. Ad esempio, riprendendo le notazioni viste in precedenza, tra gli
insiemi S = {A,B,C} e T = {U,V,W} c'è una biezione. Ora gli insiemi S e T sono disgiunti, se i loro
elementi sono le lettere dell'alfabeto, se invece sono altri enti non è così banale affermarlo. Anche
l'identità vista in (4) è una biezione dall'insieme S in sé, ma l’insieme S non è disgiunto da se stesso.
In conclusione sembra che questa introduzione dell'addizione risenta troppo della impostazione
insiemistica, non correttamente intesa.
L’uomo ha introdotto ed utilizzato l'addizione ben prima di aver esplicitato il ruolo degli insiemi e
non è detto che quella proposta qui, usando gli insiemi, sia l’origine genetica dell’operazione. Ad
esempio l’addizione di due segmenti che giacciono sulla stessa retta, si può definire e non credo sia
corretto ricondurla all’unione insiemistica di insiemi disgiunti, proprio perché per ottenere da due
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Matematiche complementari I – Capitolo 7 Origini pratiche e concettuali della Matematica.
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segmenti un segmento bisogna che abbiano un punto (estremo) in comune! Analogamente
l’addizione richiesta per sapere quanto importa il conto del supermercato, solo con molta fatica può
essere ricondotta ad un contesto insiemistico. Viene spontanea la domanda se queste ‘addizioni’
introdotte in modo differente, sulla base di intuizioni diverse, forniscano la stessa operazione
oppure no, ma questo è un problema sicuramente difficile.
Dovrebbe essere ovvio che questa ‘combinazione’ di insiemi è data dall'operazione insiemistica di
unione che permette, dati due insiemi, di ottenerne un terzo avente per elementi quelli che sono
elementi di almeno uno dei due insiemi di partenza.
Per quanto riguarda la moltiplicazione, mediante gli insiemi c'è la possibilità di ricondurre tale
operazione sui numeri alla determinazione del numero cardinale di un insieme ottenuto grazie
all'operazione insiemistica di prodotto cartesiano, il cui nome deriva da Cartesio. Considerati i due
insiemi {A,B,C} e {U,V}, si può costruire l'insieme ({A,B,C}×{U,V}) = { A,U , A,V , B,U , B,V ,
C,U , C,V }. Si può rappresentare il prodotto cartesiano mediante uno schema geometrico
(schieramento):
A,V
A,U
B, V
B,U
C ,V
C ,U
simile al seguente
V
U
• • •
• • •
A B C
Si ha #({A,B,C}×{U,V}) = 6 = 3·2 = #{A,B,C} · #{U,V}. Analizzando lo schema per colonne
(‘raccogliendo’ la prima componente), si ha che l'insieme ({A,B,C}×{U,V}) è dato dall'unione di tre
insiemi disgiunti aventi ciascuno numero cardinale 2: { A,U , A,V }, { B,U , B,V } e
{ C,U , C,V }, quindi 3·2 si può ritenere la somma iterata di 2 come segue: 3·2 = 2 + 2 + 2.
Analizzando lo schema per righe (‘raccogliendo’ la seconda componente), si ha che l'insieme
({A,B,C}×{U,V}) è dato dall'unione di due insiemi disgiunti aventi numero cardinale 3:
{ A,U , B,U , C,U } e { A,V , B,V , C,V }, quindi 3·2 si può ritenere la somma iterata di 3 come
segue: 3·2 = 3 + 3.
Su questo tema ci sono due ‘scuole di pensiero’, quella dell'iterazione del moltiplicando e quella
dell'iterazione del moltiplicatore, termini che risalgono all'Algebra retorica 5. A ben guardare il
5
Si noti che anche per l'addizione è possibile una presentazione come iterazione del passaggio al successivo. In questo
caso le due scuole di pensiero riguardano il fatto se bisogna ripetere 1 tante volte quanto indicato dal primo oppure dal
secondo addendo o fattore. Si noti che il fatto non ci sia un termine specifico per ‘chiamare’ il primo ed il secondo
addendo se non qualificandoli mediante un aggettivo numerale ordinale, in qualche modo fa presentire il problema della
commutatività dell'operazione. Per contro il fatto che i termini della moltiplicazione abbiano nomi diversi fa pensare
197
Matematiche complementari I – Capitolo 7 Origini pratiche e concettuali della Matematica.
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concetto di prodotto cartesiano di due insiemi si basa a sua volta su quello di coppia ordinata. E
mentre c'è ampia convergenza di diversi pensatori sull'interpretazione delle operazioni insiemistiche
di unione ed intersezione, c'è grande varietà su cosa sia una coppia ordinata.
Il problema si può risolvere dicendo che si tratta di un ente primitivo (Peano) oppure di un ente
definibile mediante insiemi. Resta da precisare che tipo di insieme e qui se ne presentano alcune
alternative (le più semplici). Hausdorff, nel 1914 definisce la coppia ordinata x,y come l'insieme
{{x,1},{y,2}}, ma così si assegna un ruolo privilegiato a 1 e 2 e, per particolari valori di x e y
Felix Hausdorff
(1868 - 1941)
Norbert Wiener
(1894-1964)
potrebbero
Kasimierz Kuratowski William Orman Quine
(1908 – 2000)
(1896 - 1980)
Ennio De Giorgi
(1928 – 1996)
nascere delle confusioni. Wiener, sempre nel 1914 definisce la coppia ordinata x,y come l'insieme
{x,{x,y}} ed infine, la definizione che si incontra più spesso sui testi: Kuratowski nel 1921 pone
x,y = {{x},{x,y}} 6. De Giorgi ritiene che ci siano due tipi di coppie ordinate, un tipo dato come
concetto primitivo e l’altro definito come insieme, abitanti di ‘mondi’ diversi tra loro ‘in contatto’.
Gli
elementi
del
prodotto
cartesiano
(S×T),
secondo
Hausdorff,
appartengono
a
( (S∪{1})∪ (T∪{2})), quindi
(S×T)∈ ( ( (S∪{1})∪ (T∪{2})));
per Wiener gli elementi di (S×T) appartengono a (S∪ (S∪T)), quindi
(S×T)∈ ( (S∪ (S∪T)));
ed infine per Kuratowski, gli elementi di (S×T) appartengono a ( (S∪T)), e pertanto
(S×T)∈ ( ( (S∪T))).
Come si vede si tratta di insiemi sostanzialmente diversi e questo fa capire che la non unicità del
concetto di coppia ordinata comporta la non unicità del concetto di moltiplicazione cartesiana di due
insiemi (e di tutti i concetti matematici legati alle coppie ordinate: relazioni, funzioni…). In
sostanza ciò che importa della coppia ordinata è che due coppie ordinate sono eguali soltanto se
che la commutatività della moltiplicazione non sia di per sé ovvia. Sicuramente non lo è, vista l'esistenza di strutture
‘numeriche’ in cui la moltiplicazione è non commutativa: il corpo dei quaternioni di William Rowan Hamilton.
6
Altre e più complesse definizioni sono state date da Nelson Goodmann nel 1941, da Quine nel 1945 e da Wolfram
Schwabhäuser nel 1953. Con queste definizioni aumentano le ‘diversità’ tra gli insiemi ‘prodotto cartesiano’.
198
Matematiche complementari I – Capitolo 7 Origini pratiche e concettuali della Matematica.
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sono eguali le componenti rispettive 7. Le date associate ai nomi degli studiosi che si sono occupati
del problema mostrano che anche se il concetto possa essere stato intuito o
utilizzato da lungo tempo 8, la precisazione è esclusiva del secolo XX e non
ha ancora compiuto 100 anni!
Anche nel caso della moltiplicazione c'è da chiedersi se le operazioni di
moltiplicazione definite mediante il prodotto cartesiano o l'addizione
ripetuta siano la stessa operazione oppure no. Intanto, per potere fare
Claudio Tolomeo
(II sec. d.C.)
un'iterazione è indispensabile che l'addizione 2 + 2 + 2 abbia un senso. Ora, da come si è definita
sopra l'operazione numerica, ciò richiede che l'addizione sia desunta dall'unione di due insiemi
(disgiunti). Cosa succede quando si hanno tre insiemi? A priori sono possibili due risultati diversi a
seconda di come si realizza l'unione di tre insiemi: ((S∪T)∪Z) oppure (S∪(T∪Z)). Già a questo
punto ci si può chiedere se gli insiemi risultanti siano eguali. Ora dati specifici insiemi è forse
possibile verificare direttamente che ((S∪T)∪Z) = (S∪(T∪Z)). Ma, in generale, ci vuole una
proprietà, la proprietà associativa dell'operazione insiemistica di unione, e questa è un'esplicita
richiesta formale. Perché poi queste unioni possano essere utilizzate per l'addizione, bisogna che:
nel primo caso, che S e T siano insiemi disgiunti e pure (S∪T) e Z siano disgiunti; poi che T e Z
siano disgiunti e successivamente che anche S e (T∪Z) siano disgiunti. Tutte queste condizioni
devono essere verificate, sia in un caso particolare di insiemi effettivamente assegnati, sia in
generale. Anche questa è un'ulteriore richiesta di tipo formale perché richiede una dimostrazione
esplicita. Una volta provata a partire dalla definizione, la proprietà associativa dell'addizione si può
scrivere anche senza utilizzare le parentesi, 2 + 2 + 2, intendendo con essa, indifferentemente, (2 +
2) + 2 oppure 2 + (2 + 2). Resta però del tutto ‘scoperto’ il problema di cosa significhi 3·1 (per chi
itera il moltiplicando, 1·3 per chi itera il moltiplicatore) dato che non è possibile sommare 3 con se
stesso una volta e pure 3·0 (rispettivamente 0·3).
Tutto quanto precede comporta una critica alla definizione di moltiplicazione come addizione
ripetuta. Un'altra critica più sottile riguarda il ruolo dei linguaggi coinvolti. Se si vuole definire m·n
come l'iterazione dell'addizione di m con se stesso n volte si osserva che nella scrittura m·n sono
presenti i simboli m e n col ruolo di numeri, mentre nella frase
7
Attenzione, data la coppia ordinata x,y , parlare di x e y come degli elementi della coppia ordinata, fa balenare l'idea
che la coppia ordinata sia {x,y}, ma ciò è scorretto dato che {x,y} = {y,x}. Quali siano gli elementi della coppia ordinata
dipende dalla definizione di coppia ordinata che viene adottata. La nozione di componente della coppia ordinata è
invece indipendente dalla scelta della definizione di coppia ordinata.
8
In un certo senso la trigonometria introdotta da Tolomeo determina le posizioni di una stella sulla sfera celeste
mediante tre coordinate (polari), oppure sul piano, un punto sulla circonferenza mediante due coordinate, il coseno ed il
seno di un angolo. Poi Nicola Oresme (1323 – 1382) in De configurationibus qualitatum et motuum introduce qualcosa
di analogo al piano cartesiano (e di grafico di funzioni in esso). Ovviamente dopo Cartesio, le coppie ordinate
divengono indispensabili, ma l'approfondimento del concetto ha tardato alcuni secoli.
199
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‘l'addizione di m con se stesso n volte’,
solo il simbolo m mantiene il ruolo di numero, mentre n è qui presente non più come numero ma
come un aggettivo numerale cardinale (riferito a ‘volte’).
Questa trasposizione dal linguaggio dell'Aritmetica (i numeri, elementi di un linguaggio oggetto)
alla lingua comune (gli aggettivi numerali cardinali elementi di un metalinguaggio) è stata accusata
da ricercatori in didattica, ad esempio Fischbein, di costituire un ostacolo
epistemologico quando si deve introdurre la moltiplicazione di numeri non
naturali, ad esempio
3 ·(- 2 ), data la preminenza e la permanenza del
modello additivo anche negli adulti colti.
I motivi, però, per chiedersi se le operazioni di moltiplicazione, definite in vari
modi, coincidano non si limita a questi aspetti, seppure matematicamente
importanti.
Efraim Fischbein
(1920-1998)
Si può definire analogamente l'elevamento a potenza come moltiplicazione ripetuta 23 = 2·2·2.
Stavolta non ci sono due partiti, quello che itera la base e quello che itera l'esponente, dato che
l'operazione di elevamento a potenza non è operazione commutativa. Ma ciò spinge a spostare lo
sguardo all'indietro ed a chiedersi se le operazioni di addizione e moltiplicazione siano
commutative. Se si adotta l'interpretazione insiemistica, ciò spinge a chiedersi se l'unione
insiemistica è un'operazione commutativa. Anche questa è una richiesta di carattere puramente
formale, se non la si riferisce a due insiemi esplicitamente assegnati, ma la si richiede per due
insiemi (disgiunti) qualunque. La risposta è affermativa, quindi, a cascata, si può affermare che la
proprietà commutativa vale per l'addizione. Ma per la moltiplicazione è tutta un'altra cosa: se si
considera la moltiplicazione come addizione ripetuta, una volta scelto il ‘partito’ si ha che 3·2 e 2·3
sono diversi, perché forniscono scritture diverse: una 2+2+2 e l'altra 3+3. Dando per buona la
proprietà associativa dell'addizione, come è possibile convincere lo studente più ostinato che gli
(opportuni) insiemi considerati (S∪(T∪Z)) e (X∪Y) forniscono lo stesso risultato? È necessario
pensare al risultato in termini di biezioni, ma questo comporta che anche la definizione di addizione
deve essere data in termini di biezione, mentre ciò non è possibile!
Si può ricorrere al prodotto cartesiano. Anche con questo approccio ci si trova a mal partito:
({A,B,C}×{U,V}) e ({U,V}×{A,B,C}) sono insiemi diversi, anzi se gli elementi degli insiemi
indicati sono le lettere dell'alfabeto diverse, allora sono insiemi disgiunti: ({A,B,C}×{U,V}) =
{ A,U , A,V , B,U , B,V , C,U , C,V }; ({U,V}×{A,B,C}) = { U,A , U,B , U,C , V,A , V,B ,
V,C }. Un grafico mostra tale diversità:
200
Matematiche complementari I – Capitolo 7 Origini pratiche e concettuali della Matematica.
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C • •
B • •
A • •
U V
Forse uno studente degli ultimi anni della scuola Primaria o della scuola Secondaria di 1° grado
V
U
• • •
• • •
A B C
potrebbe dire che si tratta dello stesso rettangolo solo che una volta è sdraiato e la seconda volta è
in piedi. Questa osservazione può essere tradotta in una biezione. Ma la proprietà commutativa della
moltiplicazione viene utilizzata nei primi anni della scuola elementare e non è detto che il bambino
piccolo sia in grado di riconoscere l'esistenza della biezione, anzi si potrebbe affermare che per lui i
due rettangoli non sono lo stesso rettangolo, come mostrano anche esperienze condotte da Medici e
Vighi in classe quarta di scuola Primaria. Solo grazie ad una biezione, quella che scambia le
componenti della coppia ordinata (una sorta di ‘movimento’ rigido), si può cogliere che i due
insiemi, pur sostanzialmente diversi, hanno lo stesso numero cardinale e di qui giungere alla
proprietà commutativa della moltiplicazione.
L'iterazione, stavolta richiesta per definire l'elevamento a potenza mediante la moltiplicazione, pone
i problemi detti prima: serve una proprietà associativa della moltiplicazione che è ancora più
problematica della proprietà commutativa per la stessa operazione. Infatti si devono confrontare gli
insiemi ((S×T)×Z) e (S×(T×Z)). Il primo, con la notazione classica di Kuratowski, ha per elementi
oggetti del tipo
s,t ,z , il secondo s, t,z , oggetti ben diversi. Per quanto detto per essi sono
possibili varie definizioni ben diverse, legate alla nozione prescelta di coppia ordinata. Comunque
non c'è speranza di provare che si tratti dello stesso insieme (tranne che nel caso che almeno uno
degli insiemi S, T e Z sia ∅). Quindi tale proprietà, come, per altro, la commutativa, è definita a
meno di biezioni. A complicare la situazione c'è poi un oggetto matematico nuovo, che potrebbe
essere indicato con (S×T×Z) i cui elementi sono le terne ordinate s,t,z definite (alla Kuratowski, o
meglio alla Quine) come gli insiemi {{s},{s,t},{s,t,z}}. Se si adottasse quest'ultimo approccio per
definire la moltiplicazione iterata, perderebbe di senso postulare la proprietà associativa della
moltiplicazione.
Bisogna, poi, comprendere cosa significhino le scritture 21 e 20, visto che in questo caso lo schema
iterativo non è applicabile.
Anche per la potenza è possibile una descrizione insiemistica, che tra l'altro in questo caso risolve
molti dei problemi detti prima: 23 lo si può considerare come il numero cardinale dell'insieme di
tutte e sole le funzioni aventi per dominio un insieme di tre elementi, ad esempio {A,B,C} e a valori
in un insieme di due elementi, ad esempio {0,1}. Si può usare per questo insieme una delle due
scritture {0,1}{A,B,C} oppure {A,B,C}{0,1}. La prima più vicina alla scrittura consueta per l'elevamento
a potenza; la seconda che serve per ricordare da dove ‘parte’ a dove ‘arriva’ una funzione, elemento
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Matematiche complementari I – Capitolo 7 Origini pratiche e concettuali della Matematica.
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generico di tale insieme. È chiaro che per parlare di questa descrizione insiemistica dell'elevamento
a potenza ci vuole un concetto difficile e raffinato quale quello di funzione che al momento della
presentazione delle operazioni nella scuola Primaria o Secondaria di Primo Grado è prematuro,
anche se poi si utilizzano liberamente biezioni.
Si noti che le interpretazioni insiemistiche della moltiplicazione e dell'elevamento a potenza sono
proprietà insiemistiche nel senso detto, non dipendono cioè dagli insiemi considerati in quanto non
mutano i risultati se si sostituiscono gli insiemi con altri in corrispondenza biunivoca con quelli
dati. Cioè dato che esiste una biezione tra {A,B,C} e {1,2,3} ed una biezione tra {1,2} e {U,V},
allora #({A,B,C}×{U,V}) = #({1,2,3}×{1,2}) e #({1,2}{A,B,C}) = #({A,V}{1,2,3}).
Ancora una volta si noti che #{A,B,C} = #{1,2,3} e #{U,V} = #{1,2}, ma #({A,B,C}∪{1,2}) =
#({A,B,C}∪{U,V})
#({1,2,3}∪{1,2}), cioè non si trovano biezioni tra tali insiemi ottenuti
mediante unione, e ciò a riprova che la definizione di addizione mediante l'unione non si può
ritenere una proprietà insiemistica.
È inoltre interessante osservare che in Aritmetica si studiano altre ‘operazioni’, quali la sottrazione
e la divisione (col resto). Per esse, nella letteratura, non si presentano caratterizzazioni
insiemistiche, che pure sarebbero possibili, ma forse non didatticamente efficaci. In particolare la
sottrazione potrebbe essere associata alla determinazione della differenza di due insiemi, però si può
calcolare la differenza tra due numeri naturali solo se il minuendo è maggiore del sottraendo, ma
questo chiama in causa un altro oggetto matematico: la relazione d'ordine. Invece la differenza di
due insiemi, cioè la costruzione di una collezione costituita da tutti e soli gli elementi del primo
insieme che non appartengono al secondo insieme, è sempre determinabile.
7.2.5. I naturali di Von Neumann. Introduciamo questo tema mediante un’argomentazione con soli
scopi didattici, per mostrare come sia possibile fare in classe per giustificare questo approccio ai
numeri naturali mediante insiemi, sostanzialmente diverso da quello presentato mediante i cardinali.
Non si confonda però la presentazione qui adottata con la ‘natura’ del soggetto matematico.
Nei programmi della scuola Primaria si parla(va) di approccio ordinale al numero naturale, ma
analizzando quello che insegnanti e testi propongono per esso, se ne coglie la debolezza
concettuale, perché legato basato su aspetti linguistici (le filastrocche dei numeri) che difficilmente
si possono ritenere ‘intuitivi’, bensì appresi mediante poesiole e rime, oppure ritmi.
Quello che invece propone Von Neumann è la sostanza insiemistica dell’approccio ordinale,
corretto dalla presenza di possibili paradossi (Paradosso di Cesare Burali-Forti(1861-1931)).
Lo scopo della proposta di Von Neumann è quello di associare ad ogni numero naturale un insieme,
i cosiddetti naturali di Von Neumann. Vediamo come si può procedere didatticamente. La
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Matematiche complementari I – Capitolo 7 Origini pratiche e concettuali della Matematica.
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differenza tra l’approccio didattico e quello originale del matematico ungherese
è che qui partiamo dai numeri naturali e dall’insieme dei numeri naturali come
assegnati, mentre lui arriva a costruirli all’interno della teoria degli insiemi, ma
ammette che in questa teoria è necessario un assioma esplicito di esistenza di un
infinito per garantirsi l’esistenza dell’insieme dei numeri naturali.
Dati i numeri naturali 0, 1, 2, … ed il loro insieme
‘naturale’ su
e la relazione d'ordine
, si può associare, in modo naturale, ad ogni numero naturale un
John Von Neumann
(1903 – 1957)
insieme, ponendo
0 = {x∈
1 = {x∈
2 = {x∈
| x < 0} = ∅;
| x < 1} = {0};
| x < 2} = {0,1}; ecc.
Dovrebbe esser chiaro come fare per associare ad un generico numero naturale n∈ , l'insieme n ⊆
. Alcune proprietà dei numeri naturali si ‘trasformano’ grazie al sottosegno in proprietà espresse
in modo insiemistico. Ad esempio siano n,m∈ , si ha n < m se e solo se n∈m. Inoltre se n,m∈
sono tali che n ≤ m, allora n ⊆ m. Viceversa, se n ⊆ m, allora se n = ∅, allora n = 0, quindi n ≤ m, se
n
∅, si ha (n - 1)∈n, e pure (n - 1)∈m, quindi (n - 1) < m, da cui n ≤ m. In particolare, siccome per
ogni n∈
si ha 0 ≤ n, si ha 0 ⊆ n. Di più si ha n < m se e solo se n ⊂ m. Presi poi p,q∈m, si ha p < q
oppure p = q o ancora q < p, condizioni che possono essere ripresentate in modo insiemistico
scrivendo p∈q oppure p = q oppure q∈p. Ciò mostra che le più semplici proprietà della relazione
d'ordine tra numeri naturali si possono ‘tradurre’ in proprietà insiemistiche che utilizzano
appartenenza e inclusione. Viene voglia di cercare di esprimere altre proprietà dei numeri naturali
mediante relazioni insiemistiche. Questo può essere fatto per la nozione di numero successivo. Dato
n∈ , il successivo di n è il numero che lo segue immediatamente nell'ordine, cioè n+1. Ebbene dal
confronto tra n e (n+1) si ha (n+1) = (n ∪ {n}), infatti n = {0,1,…,(n - 1)}, mentre (n+1) =
{0,1,…,(n-1),n}. Si vede facilmente che, escludendo 0, per ogni n∈ *, esiste m∈
tale che n =
(m ∪ {m}). Inoltre per ogni n,m∈ , si ha, n ∪ m = max(n,m).
Le proprietà fin qui descritte, come semplici proprietà dei numeri naturali, servono per definire
quegli enti, la cui funzione è quella di rappresentare i numeri naturali in termini insiemistici. Per
arrivare a definirli basta riprendere le considerazioni precedenti e… togliere il sottosegno. L'avere
distinto in un primo tempo tra numeri ed insiemi ad essi associati, mediante il sottosegno, è solo un
espediente espositivo. Le proprietà scritte sopra divengono definizioni
0 = { x∈
1 = {x∈
| x < 0} = ∅;
| x < 1} = {0} = {∅};
203
Matematiche complementari I – Capitolo 7 Origini pratiche e concettuali della Matematica.
2 = {x∈
3 = {x∈
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| x < 2} = {0,1} = {∅,{∅}};
| x < 3} = {0,1,2} = {∅,{∅},{∅,{∅}}} ecc.
Inoltre si ha n ⊆ m se e solo se n ≤ m, per cui la relazione d'ordine ‘naturale’ viene definita in modo
insiemistico, divenendo, se possibile, ancora di più ‘naturale’. Inoltre n ⊂ m se e solo se n∈m se e
solo se n < m. La definizione d'ordine stretto mette in risalto che per questi insiemi la relazione di
appartenenza e quella di inclusione stretta sono equivalenti. È importante notare che n∈m se e solo
se n ⊂ m: questa è una particolarità degli ordinali di Von Neumann, la proprietà di transitività. Presi
inoltre due numeri naturali p,q∈m, essi sono sempre confrontabili nell'ordine consueto, cioè si ha
p∈q oppure p = q oppure q∈p, proprietà di connessione.
La nozione di successivo viene espressa dalla scrittura (n+1) = (n ∪ {n}) e si può ancora affermare
che, escludendo il solo caso di ∅, per ogni n esiste m tale che n = (m∪{m}).
7.2.6. Le tavole pitagoriche. Le operazioni aritmetiche di addizione, moltiplicazione ed elevamento
a potenza sono state inventate, o scoperte, poiché hanno ampio uso pratico in calcoli scientifici o
finanziari. Ma attenzione, tali calcoli sono di fatto impossibili se bisogna ogni volta ricondursi alle
definizioni ed al significato ‘intuitivo’ o insiemistico delle operazioni aritmetiche.
Per questo, una volta ‘sbrigata la pratica’ di un’introduzione delle operazioni aritmetiche, mediante
questa oppure un’introduzione alternativa, di fatto si abbandona l'idea di partenza per ridursi alle
tavole pitagoriche, che con Pitagora hanno veramente poco a che fare, dato che il filosofo greco non
aveva a disposizione la notazione posizionale, quella oggi ‘solita’, che fa uso delle cifre arabiche,
introdotte in Europa agli inizi del XIII secolo (ma usate in modo incerto ancora per qualche secolo).
Ho parlato di tavole pitagoriche al plurale, anche se di solito nella scuola elementare se ne fa
studiare una sola, quella della moltiplicazione, perché è indispensabile anche quella dell'addizione.
Esse sono relative al sistema decimale; in esse si possono trovare i risultati dell'addizione e della
moltiplicazione dei numeri naturali tra 0 e 9 compresi. Le riporto qui per comodità del lettore:
204
Matematiche complementari I – Capitolo 7 Origini pratiche e concettuali della Matematica.
9
8
7
6
5
4
3
2
1
0
+
9 10 11 12 13 14 15 16 17 18
8 9 10 11 12 13 14 15 16 17
7 8 9 10 11 12 13 14 15 16
6 7 8 9 10 11 12 13 14 15
5 6 7 8 9 10 11 12 13 14
4 5 6 7 8 9 10 11 12 13
3 4 5 6 7 8 9 10 11 12
2 3 4 5 6 7 8 9 10 11
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10
0 1 2 3 4 5 6 7 8 9
0 1 2 3 4 5 6 7 8 9
9
8
7
6
5
4
3
2
1
0
·
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
AA. 2009-2010
9
8
7
6
5
4
3
2
1
0
1
18
16
14
12
10
8
6
4
2
0
2
27
24
21
18
15
12
9
6
3
0
3
36
32
28
24
20
16
12
8
4
0
4
45
40
35
30
25
20
15
10
5
0
5
54
48
42
36
30
24
18
12
6
0
6
63
56
49
42
35
28
21
14
7
0
7
72
64
56
48
40
32
24
16
8
0
8
81
72
63
54
45
36
27
18
9
0
9
La scelta di ‘girare’ le tavole è dovuta al fatto che didatticamente non è molto corretto presentare le
tavole pitagoriche con il simbolo di operazione in alto e poi introdurre il prodotto cartesiano, come
visto prima, con gli assi nella posizione canonica. Questo vale sia per queste che per altre tabelle.
Bisogna anche abituare gli studenti a pensare che le intestazioni (in basso) delle colonne sono il
primo termine e l'intestazione delle righe, la colonna a sinistra della doppia sbarra, è il secondo
fattore.
In fondo ai miei quaderni a quadretti delle scuole elementari non erano però queste le tavole
riportate. Oltre alla diversa orientazione, erano riportati i risultati della moltiplicazione dei numeri
naturali tra 1 e 10, anzi le più raffinate, portavano l'indicazione dei risultati della moltiplicazione tra
1 e 12. Questo la dice lunga sulla ‘paura’ dello zero, non del tutto debellata neppure oggi. Le tavole
pitagoriche possono esser interpretate in due modi:
1) si tratta di un ‘avvio’, considerando come numeri i simboli che compaiono nelle intestazioni di
righe e colonne e nei quadretti come risultati, poi quando c'è bisogno di eseguire un'addizione con
numeri maggiori, ad esempio di 38 + 75, basta prolungare nelle due dimensioni la tavola, fino a
comprendere i due numeri considerati; lo stesso per eseguire la moltiplicazione. Tali prolungamenti
sono costruiti osservando le regolarità presenti nella tabella di partenza. Lo stesso per eseguire la
moltiplicazione di due numeri che escono da quelli considerati.
2) ciascuna tabella può essere considerata un quadro che ‘racchiude’ in sé tutti i possibili risultati
delle operazioni di addizione e moltiplicazione, considerando cifre i simboli che compaiono nelle
intestazioni di righe e colonne e come numerali, le stringhe di simboli (risultati) che compaiono nei
quadretti. Siccome tra le stringhe di simboli ci sono anche quelle con un solo simbolo, anche le cifre
sono numerali, quindi la tabella è scritta solo con numerali.
Penso ‘giusto’ interpretare le tavole pitagoriche nel secondo modo, notando che il primo non è
sbagliato, solo inopportuno, soprattutto se i numeri da considerare sono quelli che indicano (in Lire)
il debito dello stato italiano. Nel primo modo si ritiene questo schema solo una parte di uno schema
205
Matematiche complementari I – Capitolo 7 Origini pratiche e concettuali della Matematica.
AA. 2009-2010
infinito (potenziale), dato che è comunque ampliabile. Nel secondo modo lo schema è sufficiente
per realizzare ogni addizione e sottrazione, a patto di un’interpretazione finale dei numerali come
numeri.
7.2.7. Due calcoli espliciti. Per comprendere come lo schema sopra indicato sia sufficiente ad
eseguire i calcoli richiesti, analizziamo una somma semplice, quella detta prima: 38 + 75. Se i
numeri fossero stati inferiori avremmo potuto usare le dita delle mani, nostre o di un aiutante
compiacente, o un pallottoliere, e poi contare le dita messe in mostra o le palline utilizzate. Ma con
questi numeri non è possibile. Il primo passaggio per sfruttare le tabelline è quello di riscrivere i
numeri in colonna e poi di eseguire il calcolo:
a38+
.75=
113a
Il lettore tenga presente come ha eseguito il calcolo per confrontare poi quanto viene qui esplicitato.
Per svolgere il calcolo in realtà si sfrutta pesantemente la scrittura posizionale, passando così dal
numero alle cifre. Si ha
38 = (3·101 + 8·100) e 75 = (7·101 + 5·100), quindi
38 + 75 =
(scritt. pos.)
= (3·101 + 8·100) + (7·101 + 5·100) =
(ass. +)
= ((3·101 + 8·100) + 7·101) + 5·100 =
(comm. +)
0
1
1
0
(ass. +)
0
(ass. +)
= ((8·10 + 3·10 ) + 7·10 ) + 5·10 =
0
1
1
1
1
= (8·10 + (3·10 + 7·10 )) + 5·10 =
0
0
= 8·10 + ((3·10 + 7·10 ) + 5·10 ) =
0
0
1
(comm. +)
1
= 8·10 + (5·10 + (3·10 + 7·10 )) =
(ass. +)
= (8·100 +5·100) + (3·101 + 7·101)
Quanto precede serve per giustificare il passaggio che permette di effettuare l'addizione in colonna.
Si passa poi all'esecuzione vera e propria del calcolo, che continuiamo proseguendo con le
eguaglianze:
(8·100 +5·100) + (3·101 + 7·101) =
0
(distr. · rispetto +)
1
= ((8 + 5)·10 + (3 + 7)·10 ) =
0
(tav. pit.)
1
= (13·10 + 10·10 ) =
(scritt. pos.)
= ((1·101 + 3·100)·100 + (1·101 + 0·100)·101) =
(comm. +)
= ((3·100 + 1·101)·100 + (0·100 + 1·101)·101) =
(distr. · rispetto +)
= ((3·100)·100 + (1·101)·100)) + ((0·100)·101 + (1·101)·101) =
(ass. ·)
206
Matematiche complementari I – Capitolo 7 Origini pratiche e concettuali della Matematica.
= (3·(100·100) + 1·(101·100)) + (0·(100·101) + 1·(101·101)) =
0+0
= (3·10
0
1+0
+ 1·10
0+1
) + (0·10
1
1+1
+ 1·10
1
)=
AA. 2009-2010
(prop. pot., ass. ·)
(tav. pit.)
2
= (3·10 + 1·10 ) + (0·10 + 1·10 ) =
(ass. +)
= ((3·100 + 1·101) + 0·101) + 1·102 =
(comm. +)
= 1·102 + ((3·100 + 1·101) + 0·101) =
(ass. +)
= 1·102 + (3·100 + (1·101 +0·101)) =
(distr. ·, +)
= 1·102 + (3·100 + (1 + 0)·101) =
(tav. pit.)
2
0
1
(comm. +)
2
1
0
(scritt. pos.)
= 1·10 + (3·10 + 1·10 ) =
= 1·10 + (1·10 + 3·10 ) =
= 113.
Per esercizio, altrettanto pesante, pensiamo ora come si esegue la moltiplicazione e consideriamo
ancora gli stessi numeri: 38×75. Usiamo appositamente il simbolo di moltiplicazione mediante la
croce (introdotto per esigenza dei tipografi che così riuscivano a realizzare con un solo carattere di
piombo addizione e moltiplicazione), per denotare la moltiplicazione tra numeri e non tra cifre, il
puntino che compare nella precedente tavola pitagorica, interpretata come tavola di cifre e di
numerali. Ad un certo punto del calcolo si uniformerà la scrittura adottando solo il puntino.
a38×
.75=
190°
266aa
2.850a
I primi passaggi della ‘messa in colonna’ li possiamo ricopiare da quelli dell’addizione,
sostituendola con la moltiplicazione.
38 = (3·101 + 8·100) e 75 = (7·101 + 5·100), quindi
38 × 75 =
(scritt. pos.)
= (3·101 + 8·100) × (7·101 + 5·100) =
(distr. × su +)
= ((3·101 + 8·100) × (7·101)) + ((3·101 + 8·100) × (5·100)) =
(distr. × su +)
= (((3·101) × (7·101)) + ((8·100) × (7·101))) + (((3·101) × (5·100)) + ((8·100) × (5·100)))= (comm +)
= (((8·100) × (5·100)) + ((3·101) × (5·100))) + (((8·100) × (7·101)) + ((3·101) × (7·101)))= (comm ×)
0
= (((5·10
) × (8·100)) + ((5·100) × (3·101))) + (((7·101) × (8·100)) + ((7·101) × (3·101)))
L’ultimo passaggio tiene conto del calcolo così come si è eseguito sopra, forse perché si tratta di
una scelta personale, appresa a scuola, ma non rilevante ai fini del procedimento. Si poteva anche
svolgere il calcolo come segue
a38×
.75=
600°
207
Matematiche complementari I – Capitolo 7 Origini pratiche e concettuali della Matematica.
AA. 2009-2010
225aa
2.850a
e con le cifre che compaiono nei numeri assegnati, la moltiplicazione è computata con conti più
semplici, diminuendo, in questo caso, l’uso del ‘riporto’ nella somma finale.
Si passa poi all'esecuzione vera e propria del calcolo, che continuiamo proseguendo con le
eguaglianze e facendo sparire la moltiplicazione a croce:
(((5·100) × (8·100)) + ((5·100) × (3·101))) + (((7·101) × (8·100)) + ((7·101) × (3·101))) =
(ass. )
= ((((5·100) 8)·100) + (((5·100) 3)·101)) + ((((7·101) 8)·100) + (((7·101) 3)·101)) =
(ass. )
0
0
0
1
1
0
1
1
(comm, )
1
(ass. )
1
= ((((5·8) 10 )·10 ) + (((5·3) 10 )·10 )) + ((((7·8) 10 )·10 ) + (((7·3) 10 )·10 )) =
(ass. )
= (((5·8) (100·100)) + ((5·3) (100·101))) + (((7·8) (101·100)) + ((7·3) (101·101))) =
(tav.pit.)
= ((40 (100·100)) + (15 (100·101))) + ((56 (101·100)) + (21 (101·101))) =
(scrit.pos.)
= (((5·(10 8))·10 ) + ((5·(10 3))·10 )) + (((7·(10 8))·10 ) + ((7·(10 3))·10 )) =
0
0
0
1
1
0
1
= (((5·(8 10 ))·10 ) + ((5·(3 10 ))·10 )) + (((7·(8 10 ))·10 ) + ((7·(3 10 ))·10 )) =
0
0
0
1
1
0
1
= (((4 101) (100·100)) + ((1 101 + 5 100) (100·101))) + (((5 101 + 6 100) (101·100)) + ((2 101 +
1 100) (101·101))) =
1
(distr. su +)
0
0
1
0
1
0
0
1
1
= ((((4 10 ) (10 ·10 )) + ((1 10 ) (10 ·10 ))) + ((5 10 ) (10 ·10 ))) + ((((5 10 ) (101·100)) +
((6 100) (101·100))) + (((2 101) (101·101)) + ((1 100) (101·101)))) =
1
0
0
1
0
1
0
0
(ass. )
1
1
= (((4 (10 (10 ·10 ))) + (1 (10 (10 ·10 )))) + (5 (10 (10 ·10 )))) + (((5 (10 (101·100))) +
(6 (100 (101·100)))) + ((2 (101 (101·101))) + (1 (100 (101·101))))) =
(prop. pot.)
= (((4 (101 100+0)) + (1 (101 100+1))) + (5 (100 100+1))) + (((5 (101 101+0)) + (6 (100 101+0))) +
((2 (101 101+1)) + (1 (100 101+1)))) =
(tav.pit.)
= (((4 (101 100)) + (1 (101 101))) + (5 (100 101))) + (((5 (101 101)) + (6 (100 101))) + ((2 (101 102)) +
(1 (100 102)))) =
1+0
= (((4 10
1
(prop. pot.)
1+1
) + (1 10
2
0+1
)) + (5 10
1
1+1
)) + (((5 10
2
0+1
) + (6 10
1
3
1+2
)) + ((2 10
0+2
) + (1 10
))) = (tav.pit.)
2
= ((4 10 + 1 10 ) + (5 10 )) + ((5 10 + 6 10 ) + (2 10 + 1 10 )) =
(comm. +)
= ((1 102 + 4 101) + (5 101)) + ((2 103 + 1 102) + (5 102 + 6 101)) =
(ass. +)
= (1 102 + (4 101 + 5 101)) + (2 103 + (1 102 + (5 102 + 6 101))) =
(ass. +)
= (1 102 + (4 101 + 5 101)) + (2 103 + ((1 102 + 5 102) + 6 101)) =
(distr. su +)
= (1 102 + (4 + 5) 101) + (2 103 + ((1 + 5) 102 + 6 101)) =
(tav.pit.)
= (1 102 + 9 101) + (2 103 + (6 102 + 6 101))
Siamo così giunti alla somma di 190 + 2.660 ed a questo punto si innesta il calcolo dell’addizione,
che qui non si ripete perché trattato in precedenza, per ottenere 2.850.
Da questi passaggi sono chiare alcune conclusioni forse anche sorprendenti.
1. Le tavole pitagoriche sono indispensabili e sufficienti per svolgere il calcolo solo a patto di
integrarle con le proprietà delle operazioni, compresa l’elevazione a potenza.
208
Matematiche complementari I – Capitolo 7 Origini pratiche e concettuali della Matematica.
AA. 2009-2010
2. Senza regole formali per lo svolgimento del calcolo non è possibile neppure ‘mettere in
colonna’.
3. Per eseguire una semplice addizione usando la scrittura posizionale non bastano le regole
formali dell'addizione, ma sono coinvolte contemporaneamente le proprietà della
moltiplicazione e dell'elevamento a potenza.
4. Le stesse proprietà sono coinvolte nel calcolo della moltiplicazione.
5. Eseguendo queste addizione e moltiplicazione con altri strumenti, ad esempio un
pallottoliere, una calcolatrice o un computer, vanno perduti tutti questi aspetti formali, ma
forse si chiamano in gioco altre regole formali.
6. È possibile generalizzare il risultato applicando lo stesso procedimento (e tavole pitagoriche
diverse) a numerazioni in base diversa da 10, come le seguenti relative alla base 8 o sistema
ottale.
7
6
5
4
3
2
1
0
+
7 10 11 12 13 14 15 16
6 7 10 11 12 13 14 15
5 6 7 10 11 12 13 14
4 5 6 7 10 11 12 13
3 4 5 6 7 10 11 12
2 3 4 5 6 7 10 11
1 2 3 4 5 6 7 10
0 1 2 3 4 5 6 7
0 1 2 3 4 5 6 7
7
6
5
4
3
2
1
0
·
0
0
0
0
0
0
0
0
0
7
6
5
4
3
2
1
0
1
16
14
12
10
6
4
2
0
2
25
22
17
14
11
6
3
0
3
34
30
24
20
14
10
4
0
4
43
36
31
24
17
12
5
0
5
52
44
36
30
30
14
6
0
6
61
52
43
34
33
16
7
0
7
Le regole usate sono formali nel vero senso della parola: non si riferiscono al significato delle cifre
o a quello delle operazioni aritmetiche (anche se possono esser dedotte rigorosamente da questi
significati). Piuttosto esse specificano, in modo tutto sommato semplice, ciò che c'è da fare e tale
specificazione è corretta, nel senso che è adeguata al ‘mondo’.
Questi algoritmi, una volta ben appresi, possono essere fonte di errori minori di quelli ottenibili
utilizzando il disegno o anche la calcolatrice. Se poi uno vuole essere ancora più sicuro, può usare
strumenti quali la prova del nove. I numeri scritti in basi diverse dalla base decimale hanno prove
diverse da quella del nove. Ad esempio nel sistema ottale c'è una prova del sette del tutto analoga
(usando le tavole pitagoriche opportune) a quella del nove.
Disegnare due insiemi disgiunti, uno con 38 elementi e l'altro con 75 elementi, per poter verificare
la correttezza del calcolo effettuato lo si può fare una volta, due, ed è estremamente scomodo per
calcolarne il prodotto. Ma se ogni volta che si deve fare un'operazione aritmetica si dovesse
ricontrollarla facendo uso delle interpretazione insiemistica di numeri e operazioni, lo sviluppo e
l'utilizzazione della Matematica sarebbero rallentati. L'uso delle regole ha ‘sveltito’ sviluppo ed
209
Matematiche complementari I – Capitolo 7 Origini pratiche e concettuali della Matematica.
AA. 2009-2010
applicazioni, anzi l'ha in qualche modo indirizzato e favorito, mettendo in evidenza proprio gli
aspetti formali.
Gli esempi mostrati chiariscono un primo significato del termine formale: è data una lista di regole
o assiomi o di metodi di dimostrazione che possono essere applicati senza prestare attenzione al
significato degli enti utilizzati, ma che forniscono risultati che sono in accordo con le interpretazioni
corrette.
7.2.8. Le quattro ‘operazioni’: il caso della sottrazione. Nella scuola Primaria si parla di quattro
operazioni, intendendo, oltre alle operazioni di addizione e moltiplicazione, anche la sottrazione e la
divisione. Ci si rende facilmente conto che le ultime due non sono ‘operazioni’, nel senso in cui si
intende generalmente il termine in Algebra, vale a dire non sono eseguibili sempre, comunque presa
una coppia ordinata di numeri naturali. Per questo, e per quanto visto prima, sarebbe meglio parlare
dei quattro algoritmi, sia perché, grazie alle proprietà formali, (anche) le (vere) operazioni sono poi
ridotte ad algoritmi di calcolo, sia perché un algoritmo è un procedimento finito che può concludersi
oppure no. Un altro modo di presentare correttamente il tema sarebbe quello di introdurre le
operazioni parziali. Se si fa così, per quanto riguarda la sottrazione, è prioritariamente
indispensabile introdurre la relazione d’ordine perché tra i termini della sottrazione, i cosiddetti
minuendo e sottraendo, deve sussistere la relazione che il minuendo sia maggiore o uguale al
sottraendo. Il legame tra sottrazione (nei numeri naturali) e ordine è talmente stretto che si può
assumere la sottrazione come ‘ente primitivo’ e porre per ogni coppia ordinata a,b di numeri
naturali a
b se e solo se esiste a - b, cioè si può calcolare la sottrazione dei due numeri. La
precedente affermazione si può formulare in termini di infinito in potenza. Se si preferisce una
presentazione nel contesto dell’infinito attuale, si può scrivere
⊆ ( × ) e affermare che
è il
dominio della funzione (parziale) ‘sottrazione’. Solitamente il legame tra sottrazione ed ordine non
viene messo in luce in modo così evidente, forse perché si ritiene l’ordine un concetto ancora più
intuitivo delle ‘operazioni’. Però questo mostra un primo aspetto della complessità della sottrazione.
Visto che si parla di algoritmo di sottrazione, allora bisogna fare riferimento alla ‘tavola pitagorica
della sottrazione’.
210
Matematiche complementari I – Capitolo 7 Origini pratiche e concettuali della Matematica.
9
8
7
6
5
4
3
2
1
0
-
0
0
0
1
1
0
1
2
2
0
1
2
3
3
0
1
2
3
4
4
0
1
2
3
4
5
5
0
1
2
3
4
5
6
6
AA. 2009-2010
0
1
2
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4
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7
0
1
2
3
4
5
6
7
8
8
0
1
2
3
4
5
6
7
8
9
9
Questa tabella presenta la metà delle caselle vuote: sono i casi in cui l’algoritmo non fornisce
risultato e ciò mostra che la sottrazione, non può essere commutativa, venendo a mancare
completamente la simmetria rispetto alla diagonale costituita dalle caselle in cui compare 0. A
differenza delle tavole pitagoriche dell’addizione e della moltiplicazione, essa serve, ma non è
sufficiente per eseguire anche semplici calcoli. Ri-prendendo a prestito i numeri visti nel paragrafo
precedente, vogliamo ora calcolare la differenza 75 – 38 (chiaramente non si riesce a calcolare 38 –
75 nei numeri naturali) per mettere in luce i punti cruciali dell’algoritmo. Calcolando in colonna si
ha
A75–
.38=
37a
Nel consueto algoritmo il primo calcolo da fare sarebbe 5 – 8. Ma alla coppia ordinata 5,8 nella
tavola pitagorica della sottrazione corrisponde una casella vuota. Allora si applica il cosiddetto
‘andare a prestito’ che sottintende una procedura di scomposizione, basata sulla proprietà
distributiva della moltiplicazione rispetto all’addizione e poi le proprietà associativa e commutativa
della addizione: invece di considerare 7 101+ 5 100, si scrive 7 come 1+6, in virtù della tavola
pitagorica dell’addizione, usata però in senso diverso a quello utilizzato per costruirla. Di fatto si
pone l’attenzione sulla colonna con intestazione 1 e si va a vedere se la cifra 7 compare in essa,
scoprendo che si trova all’incrocio di tale colonna con la riga di intestazione 6. Si ha allora 7 101+
5 100 = (1+6) 101 + 5 100 = (6+1) 101 + 5 100 =(6 101+1 101) + 5 100 = 6 101 + (1 101 + 5 100) =
6 101 + 15. A questo punto si considerano le sottrazioni di (6 – 3) 101, calcolo che si può fare
utilizzando la tavola pitagorica della sottrazione e di 15 – 8, che si può fare utilizzando la tavola
pitagorica dell’addizione, letta come prima, cioè cercando nella colonna con intestazione 8 e vedere
se in essa compare il numerale 15. La risposta è affermativa perché tale numerale si trova
all’incrocio della colonna con intestazione 8 e della riga con intestazione 7. Questo procedimento di
utilizzare ‘al contrario’ la tavola pitagorica dell’addizione ricorda da vicino una tecnica standard
211
Matematiche complementari I – Capitolo 7 Origini pratiche e concettuali della Matematica.
AA. 2009-2010
nell’ambito delle funzioni: preso un elemento dell’immagine di una funzione, determinare gli
argomenti della funzione stessa che forniscono l’elemento dell’immagine, quindi mediante una
sorta di funzione inversa. Siccome l’addizione è una funzione binaria, il suo grafico è a tre
dimensioni. La tavola pitagorica dunque serve come rappresentazione piana di un grafico
tridimensionale. Per questo si dice che la sottrazione è la ‘operazione’ inversa dell’addizione.
A ben guardare anche la tavola pitagorica della sottrazione è costruita mediante la tavola pitagorica
dell’addizione letta, come detto prima, al contrario. Quindi, visto che comunque la tabellina della
sottrazione ha una applicabilità limitata e che deriva da quella dell’addizione, tanto vale non
introdurla, ma insegnare a leggere in entrambi i modi la tavola dell’addizione.
Facendo così, di fatto si fa sparire la sottrazione, ma ciò mostra anche una difficoltà sostanziale nel
calcolo di tale algoritmo. Dal punto di vista logico, affermare che un elemento appartiene
all’immagine di una funzione, vuol dire utilizzare una quantificazione esistenziale (spesso non
messa in evidenza) e ciò dà una misura della difficoltà del problema.
C’è poi un modo di calcolare la sottrazione per ‘completamento’ che è assai usato dai negozianti: se
devo pagare 14,80 Euro e consegno al negoziante un biglietto da 20 Euro, non mi aspetto che
calcoli la differenza, ma solitamente, procede in questo modo, mi dà 20 centesimi e dice “quindici”
poi un biglietto da 5 Euro e dice “venti”. Io sono soddisfatto e lui anche ma, forse non sa che invece
di calcolare 20 – 14,80, come farebbe un registratore di cassa, ha risolto l’equazione 14,80 + x = 20,
procedendo per tentativi e non mediante il calcolo algebrico, bensì utilizzando la scrittura
posizionale, l’addizione e le sue ‘tabelline’. Anche in questo caso c’è da chiedersi se i due modi
presentati di eseguire la sottrazione diano lo stesso algoritmo oppure no.
7.2.9. Le quattro ‘operazioni’: il caso della divisione. Ancora più complessa è la situazione della
divisione. È noto, dalla letteratura didattica internazionale, che vi sono vari algoritmi per il calcolo
della divisione. È pure noto che vi sono anche simboli diversi: in Italia si presenta la divisione
mediante i due punti, ‘:’. Nei paesi anglosassoni si preferisce usare un altro simbolo ‘÷’ che
suggerisce il rapporto tra divisione e frazioni, in quanto i due puntini sopra e sotto la lineetta sono
variabili da saturare con due numeri naturali per ottenere una frazione.
Nel caso dei numeri naturali si applica un algoritmo di divisione che trova le sue basi in Euclide,
per cui si parla anche di divisione euclidea, o, in modo meno dotto, di divisione con resto. Lo scopo
di tale divisione è il seguente: dati due numeri naturali a e b, determinare altri due numeri naturali q
e r tali che a = b×q + r. Posto il problema in questi termini, è ovvio che la risposta (cioè l’esistenza
di una coppia q e r) può essere negativa oppure positiva e non unica, vale a dire una copia che
soddisfi le condizioni richieste non esiste, oppure ne esiste più d’una, oppure ne esiste una sola. Ad
212
Matematiche complementari I – Capitolo 7 Origini pratiche e concettuali della Matematica.
AA. 2009-2010
esempio, dati a = 15 e b = 7, potremmo risolvere il problema con q = 0 e r = 15, oppure q = 1 e r =
8 oppure ancora q = 2 e r = 1: tutte queste vanno bene allo scopo, in quanto si ha 15 = 7×0 + 15, 15
= 7×1 + 8 e 15 = 7×2 + 1. Siccome noi vorremmo un’operazione, che proprio per la richiesta che
viene fatta, operazione non è, ci disturba di più il fatto che ci possano essere più soluzioni, piuttosto
che possa non esserci soluzione, come insegna il caso della sottrazione. Il fatto di avere trovato
alcune coppie opportune, dati i numeri a = 15 e b = 7, non ci garantisce che per altre scelte di a e b
se ne possano trovare q e r.
Euclide non ha dubbi sull’esistenza di q e r per ogni coppia a e b; inoltre sa di poter imporre una
condizione su r, cioè chiedere che 0
r < b. Ciò comporta, nell’esempio di 15 e 7, che si scartano le
prime due proposte e si considera solamente il caso 15 = 7×2 + 1. Questa scelta ha però un costo
che a Euclide non interessava, ma oggi ha un peso abbastanza importante: il ruolo di b non può
essere preso da 0, sia perché se è vero che q, in questo caso, può essere scelto in molti modi: 15 =
0×5 + 15, 15 = 0×18 + 15 e 15 = 0×1 + 15, in nessun caso si riesce a trovare un numero naturale r
tale che 0
r < 0.
Un po’ di nomenclatura: se, dati i numeri naturali a e b, esistono i numeri naturali q e r tali che
a = b×q + r e 0
r < b, a si dice il dividendo, b il divisore, q il quoziente e r il resto. Questa
nomenclatura mette ancora più in risalto che la divisione non è un’operazione commutativa e che il
‘risultato’ della divisione non è un numero, ma è una coppia ordinata q,r . Inoltre la condizione per
l’unicità del risultato comporta che la divisione non si applica alle coppie ordinate di numeri
naturali in cui il divisore (la seconda componente) sia 0. Si ha, quindi, una funzione di dominio
( × *) e codominio ( × ); pertanto la divisione non è una legge di composizione interna di
in quanto il suo codominio (che poi è anche l’immagine) non è
,
, tutt’al più può essere considerata
un’operazione (parziale) 1-aria su ( × ).
L’affermazione che la divisione sia una funzione è subordinata al fatto che sia ovunque definita e
funzionale. Bisogna cioè provare che per ogni coppia ordinata a,b ∈( × *) esiste una coppia
ordinata q,r ∈( × ) tale che a = b×q + r e 0
r < b, cioè che è ovunque definita. Per il Principio
di Eudosso-Archimede, dati comunque a e b, con b
l’insieme ({0,1,…, n}∩{m∈
0, esiste n∈
tale che a < b×n. Si considera
| a < b×m}): basta controllare tra gli elementi di tale intersezione
(che non è vuota dato che n appartiene ad entrambi gli insiemi, per determinarne il minimo
elemento: sia esso p. Per le ipotesi p
si ha che b×q
0 dato che 0
a. Posto allora r = a - b×q, si ha 0
a < b×p; allora esiste q tale che q + 1 = p. Ma
a - b×q = r. D’altra parte b×q
+ 1), e sottraendo b×q a tutti e tre i membri della ultima catena 0
b×(q + 1 - q) = b.
213
a < b×p = b×(q
r = a - b×q < b×(q + 1) - b×q =
Matematiche complementari I – Capitolo 7 Origini pratiche e concettuali della Matematica.
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La condizione di funzionalità implica l’unicità. Si è detto, prima, che la condizione sul resto prova
l’unicità del risultato. Infatti, dati i numeri naturali a e b, con b
che a = b×q + r e 0
r < b e a = b×q’ + r’, e 0
0, siano q,r e q’,r’ coppie tali
r’ < b. Si procede per casi: r = r’ oppure r
r’.
Se r = r’, allora si avrebbe b×q + r = b×q’ + r, da cui, per la legge di cancellazione dell’addizione,
b×q = b×q’; infine per la legge di cancellazione della moltiplicazione, essendo b
0, q = q’, cioè le
due coppie sono uguali.
Se r
r’ – r. Allora si ha b×q’
r’, si può supporre, senza perdita di generalità, che r < r’, quindi 0
+ r’ = a = b×q + r < b×q + r’, b×q – b×q’ = r’ – r
0, quindi, b×q’ < b×q. Ma 0
d’altra parte b×q - b×q’ = b×(q – q’). Ne consegue che 0
r’ – r
b×(q – q’) < b, con b
r’ < b e
0. Per la
crescenza della moltiplicazione, cioè il fatto che se i entrambi fattori sono diversi da zero il prodotto
è maggiore o uguale a ciascuno dei fattori, si può concludere che q – q’ = 0, vale a dire r = r’,
quindi le due coppie sono uguali.
Una possibile tavola pitagorica per la divisione è la seguente
9
8
7
6
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:
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4
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9
0
9
Siccome la funzione divisione ha per dominio un prodotto cartesiano di due insiemi e per
codominio ancora il prodotto cartesiano di due insiemi, si tratta di un ente di difficile
visualizzazione. Qui si è utilizzato il ‘trucco’ di suddividere ciascuna casella in due parti. Il tutto è
da leggere nel seguente modo:
divisore
:
quoziente
resto
dividendo
214
Matematiche complementari I – Capitolo 7 Origini pratiche e concettuali della Matematica.
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La tavola pitagorica della divisione serve a ben poco. Per effettuare una divisione, quale 75 : 38,
bisogna attivare altre procedure che ricorrono anche alla tabellina delle moltiplicazione letta ‘al
contrario’. Per questo si dice che la divisione è l’operazione inversa della moltiplicazione, ma in
questo caso questa dizione è ancora più scorretta, trattandosi di operazioni che operano tra insiemi
diversi. Ma non basta, bisogna attingere anche al Principio di Eudosso-Archimede, all’addizione,
alla moltiplicazione ed alla sottrazione.
La divisione, cioè la funzione ‘:’ : ( × *) → ( × ), composta con le due proiezioni
1,
2
:( × ) →
, dà luogo a due funzioni qu, re: ( × *) →
, per cui la relazione
fondamentale che individua la divisione euclidea si può ora scrivere a = b×qu(a,b) + re(a,b) e 0
re(a,b) < b.
7.3. Matematica del finito o dell’infinito?
La domanda oggi può sembrare poco rilevante, visto che negli studi universitari l’uso dell’infinito è
assai diffuso, ma è chiaro che il tema ha implicazioni di carattere epistemologico notevole.
La tradizione greca presenta sia il finito che l’infinito, ma da Platone ed Aristotele l’infinito non ha
più avuto grande successo, se non come attributo divino. Inoltre secondo le ipotesi cosmologiche
recenti il numero delle particelle elementari di cui è costituito l’universo (che è finito, ma illimitato)
è variabile, ma in ogni istante finito.
7.3.1. Quantità o qualità? Siamo attorno al VI – V sec. a.C. in Italia meridionale (sulla costa ionica).
Pitagora ha enunciato e dimostrato il suo teorema ed anche la sua filosofia che vede nel numero (naturale) il costituente essenziale dell’universo. Applicando il teorema di Pitagora al pentacolo (la figura ottenuta considerando un pentagono regolare e la stella delle
sue diagonali), figura esoterica, si scopre che il rapporto tra lato
e diagonale del pentagono regolare non è esprimibile mediante
un numero razionale. Secondo altri storici la figura incriminata è
il più consueto quadrato di cui si considerano diagonale e lato,
stando alla tradizione che risale al Menone di
Platone. La leggenda vuole che Ippaso di
Metaponto, avendo scoperto il fatto, sia stato
gettato in mare, per punirlo della scoperta ‘blasfema’.
Poco dopo Zenone di Elea, sempre nella stessa parte d’Italia, ‘confeziona’ i suoi
paradossi, ritenuti da Borges il vero peccato originale dell’umanità.
215
Jorge Luis Borges
(1899 - 1986)
Matematiche complementari I – Capitolo 7 Origini pratiche e concettuali della Matematica.
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Le due scoperte hanno provocato una crisi nella conoscenza: alcuni pilastri della scienza (e del
buonsenso), quali quelli della quantità e dell’infinito in atto, venivano scossi.
Da questa crisi si esce solo attraverso un profondo ripensamento, attorno al IV sec. a.C., grazie
all’opera di Eudosso di Cnido (408 – 355 a.C.), che riesce a riportare al finito, o meglio all’infinito
potenziale, la trattazione della Matematica del tempo, diminuendo, fino a quasi farla scomparire,
l’importanza dell’Aritmetica a favore della Geometria. Molte parti degli Elementi di Euclide si
fanno risalire a Eudosso, in particolare il Libro V (Teoria delle grandezze) e il Libro XII (Metodo di
esaustione).
Da questa impostazione, nella dialettica tra le due categorie aristoteliche della quantità (discreta) e
della qualità (grandezza continua) viene privilegiata la seconda e spostata sullo
sfondo la prima. La scelta influenzerà la Matematica per secoli. Si può dire che
verrà posta in discussione, in termini concettuali, solo a partire dal 1850
(Bolzano), anche se inficiata, nella pratica, da numerosi studiosi, ad esempio gli
algebristi del XV secolo.
Bernard Bolzano
(1781-1848)
7.3.2. L’infinito come metafora. Una recente teoria, sviluppatasi sulla fine del
XX secolo è la teoria della conoscenza incarnata (embodied cognition theory) di Lakoff e Núñez.
Essa si basa su una teoria della conoscenza in cui ha un ruolo
fondamentale la metafora, intesa come un importante strumento
cognitivo.
La ricerca linguistica, e non solo, ha confermato il ruolo
George Lakoff
(n. 1941)
essenziale della metafora nel sistema concettuale, nella percezione
Rafael Núñez
di ciò che ci circonda e nel modo con cui interagiamo con il mondo fisico.
Il nuovo ruolo fondante della metafora ha avuto conseguenze anche sulla natura e le modalità di
apprendimento della Matematica. Il questo nuovo quadro concettuale si suggerisce che la
Matematica sia generata, oltre che dalla nostra lunga storia sociale e culturale, anche dalla struttura
fisica del cervello e del corpo, dalla nostra capacità metaforica di collegare domini diversi e dal
modo non arbitrario in cui ci adattiamo al mondo esterno. Ne discende che le nuove conoscenze
sono costruite sulla base di schemi pre-esistenti e l’interazione con il reale gioca un ruolo
fondamentale nell’apprendimento.
L’affermazione, per alcuni scontata, per altri rifiutata in toto, che la Matematica sia un prodotto
dell’uomo, ha importanti conseguenze e implicazioni nell’ambito dell’insegnamento della nostra disciplina. Se si accetta il punto di vista del ‘prodotto umano’ assieme a quello della conoscenza in-
216
Matematiche complementari I – Capitolo 7 Origini pratiche e concettuali della Matematica.
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carnata, se ne deduce l’importanza della scoperta delle strutture cognitive, e come la conoscenza sia
basata sull’esperienza corporea nonché come le metafore concettuali strutturino le idee.
La metafora (concettuale) viene intesa come una sorta di mappa tra domini concettuali differenti
che permette di trasportare la struttura nota di un dominio concettuale ‘sorgente’ applicandola ad un
dominio concettuale ‘bersaglio’, per ragionare sul secondo come fosse il primo.
Non si tratta, quindi, di un meccanismo ausiliario per visualizzare l’ignoto e per facilitarne
l’apprendimento, ma è parte essenziale del ragionamento, specialmente del ragionamento matematico. Basti pensare a quegli argomenti di Matematica che si avvalgono di un’altra teoria per spiegarne le proprietà (geometria e algebra lineare, aritmetizzazione dell’analisi, interpretazione insiemistica della Matematica).
L’infinito non può essere ricavato da una esperienza diretta, stante la finitezza dell’Universo. Eppure è presente, in vari modi in quasi tutta la Matematica. Ci si chiede quindi come possa essere originata questa ‘visione’ o questa ‘esigenza’ che contraddice l’esperienza.
Una prima ipotesi potrebbe essere che abbiamo la concezione del finito e che produciamo l’infinito
per negazione, solo che se il concetto di finito può essere chiaro e
ovvio, tanto da non avere bisogno di approfondimento, ne discende
che anche l’infinito dovrebbe risultare un’idea chiara e distinta,
come invece non è.
Hegel, preoccupato di non attingere ad aspetti metafisici, riteneva
che nessuna individualità finita possa esprimersi se non in relazione
a qualche cosa altra che la nega. Per lui ogni affermazione sottintende la sua negazione perché, per affermare ciò che una cosa è, biso-
Georg Wilhelm Friedrich Hegel
(1770-1831)
gna chiarire allo stesso tempo ciò che una cosa non è. Quindi il finito è l’infinito e viceversa.
Resta il problema di come si possa concepire l’infinito se non lo si può incontrare direttamente e se
gli stessi sistemi concettuali sono finiti. L’ipotesi di Lakoff e Núñez è che la concettualizzazione
dell’infinito sia il risultato del pensiero metaforico.
Tale metafora è suggerita dalla presenza di azioni iterative, quali il ticchettio dell’orologio o il respiro di una persona che possiamo presumere continui anche se noi non saremo presenti ad ascoltarne la continuazione, oppure di azioni continue, quale il movimento. Certe azioni includono un
punto (stato) iniziale ed uno finale, altre hanno solo un punto (stato) iniziale oppure finale.
In più, certe azioni hanno la loro completezza concettualizzata come parte dell’azione, ad esempio
nel salto ripetuto, il toccare terra fa parte del saltare, altre no (l’atterraggio non fa parte del volare).
Tutto ciò è il terreno in cui si sviluppa la metafora dell’infinito.
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Matematiche complementari I – Capitolo 7 Origini pratiche e concettuali della Matematica.
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Secondo Davis e Hersh
«Vogliamo completare l’incompleto, afferrarlo, metterlo in gabbia.»
Lakoff e Núñez sostengono che l’infinito in atto sia
fondamentalmente un’idea metaforica; ritengono che, grazie ai
meccanismi
della
metafora,
un
processo
che
prosegue
indefinitamente (anche in un tempo o spazio finito, ma di cui noi
Philip J. Davis
(n. 1923)
Reuben Hersh
(n. 1927)
non siamo a conoscenza del termine) sia concettualizzato come avente una fine e un risultato finale.
I due studiosi affermano inoltre che tutte le diverse presenze dell’infinito in atto siano casi speciali
di un’unica metafora fondamentale per cui coniano la sigla BMI (Basic Metaphor for Infinity).
Tale metafora ha un dominio costituito da un processo iterativo (finito) che procede con un numero
indefinito di iterazioni ed il codominio è un processo infinito in potenza.
L’effetto della metafora è quello di concepire un completamento del codominio in modo che questo
venga percepito come il risultato di un processo infinito.
In Matematica sono numerosi i casi in cui questo tipo di processo cognitivo viene applicato: limiti,
serie, compattificazioni.
7.3.3. Insiemi infiniti. Il modo più semplice di pensare ad insiemi infiniti è quello di pensarli in atto.
Sant'Agostino non ha dubbi sull'infinità in atto dell'insieme dei numeri naturali: in La Città di Dio, dice:
«Riguardo poi all'altra loro teoria che neanche con la scienza di Dio può essere rappresentato l'infinito, rimane
loro che osino affermare, immergendosi nell'abisso profondo della irreligiosità, che Dio non conosce il tutto del
numero…Non lo potrebbe dire neanche il più insensato…che razza di omucci siamo noi che pretendiamo di
porre limiti alla sua scienza?»
La concezione dell’infinito attuale non è l’unica, ma, sicuramente, dopo Cantor, la più frequente.
Ad esempio tra le collezioni che vengono considerate in Matematica c'è quella dei numeri naturali,
solitamente indicata col simbolo
, anzi i numeri per antonomasia. A questo proposito vale la pena
di fare alcune precisazioni.
Alcuni autori, anche oggi nei Dipartimenti di Matematica, non considerano 0 un
numero naturale, quindi 0∉ . Per essi c'è bisogno di indicare l'insieme che si
ottiene considerando i numeri naturali e lo zero con un simbolo diverso, ad
esempio
Georg Cantor
(1845–1918)
0.
Per costoro, ogni numero naturale è non nullo. Quelli che considerano
invece 0 un numero naturale, parlano poi dell'insieme
* dei cosiddetti numeri
naturali positivi, termine che non ha molto senso ora, ma lo acquista se si pensano i
numeri naturali come un sottinsieme dell'insieme dei numeri interi relativi. Ci sono stati dei filosofi
che hanno negato a 0 la natura di numero, anzi alcuni altri, come osservato sopra, hanno negata tale
natura anche a 1.
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Matematiche complementari I – Capitolo 7 Origini pratiche e concettuali della Matematica.
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In Arithmetices principia nova methodo exposita (1889) Peano presenta una prima versione dei suoi
postulati in cui non comprende 0 tra i numeri naturali. Secondo alcuni autori, tali assiomi sarebbero
stati desunti, con qualche modifica da Was sind und sollen die Zahlen di Dedekind, pubblicato nel
1888. Nel 1892 Peano pubblica in Sul concetto di numero, una nuova versione con cinque postulati.
Di solito, quando si presentano i Postulati di Peano, ci si riferisce a questa seconda versione o
meglio ancora alla definitiva presentazione con cinque postulati, apparsa sulla seconda edizione del
Formulario di Matematica pubblicata nel 1898, in cui 0 è un numero naturale.
Una seconda osservazione è che l'esistenza della collezione dei numeri naturali come un unico ente,
un insieme, con o senza 0, non è indispensabile, può esser comoda, ma si può sviluppare buona
parte della Matematica anche senza introdurla. Ancora nel XX secolo, è questa la posizione
dell'Intuizionismo, di cui si fa cenno in 7.1.5.5.
Forse un primo esplicito esempio di risultato che utilizza l'infinito è in Euclide, la Proposizione IX.
20,
«I numeri primi sono più di ogni assegnata moltitudine di numeri primi»
in cui si dimostra che esistono infiniti numeri primi, provando semplicemente che presi tre numeri
primi, A, B e C, deve esserci un ulteriore numero primo diverso da quelli considerati dato che il
numero (A·B·C + 1) per la Proposizione VII.31:
«Qualunque numero composto ammette come divisore qualche numero primo»
deve essere divisibile per un numero primo e non può essere diviso né da A, né da B e neppure da C.
C'è quindi la possibilità di costruire una successione (infinita e ordinata) di numeri primi, in cui 2 è
p0, 3 è p1, 5 è p2, ecc. Ad un'attenta analisi la Proposizione VII.31 viene provata da Euclide usando
il metodo della discesa, del tutto equivalente al principio di induzione, che comunque utilizza
l'infinito in potenza. Questo risultato è ‘ingrediente’ essenziale per il Teorema fondamentale
dell’Aritmetica (la fattorizzazione unica dei numeri mediante numeri primi), che è presente allo
stato ‘latente’ in Euclide, ma che non viene enunciato perché richiederebbe l’insieme dei numeri
primi, infinito in atto.
Vi sono infiniti numeri naturali, dato che partendo da 0 è possibile eseguire il passaggio al
successivo tante volte quante si vuole, ma ciò non basta: si pensi all'orologio: c'è sempre un'ora
‘dopo’, ma dodici numeri sono sufficienti per il quadrante. Il fatto che i numeri naturali sono
infiniti, oltre per la presenza del passaggio al successivo, si ha con la garanzia (sarà uno specifico
postulato di Peano) che non esiste un numero il cui successivo sia proprio il numero 0, mentre ciò
accade sull’orologio.
219
Matematiche complementari I – Capitolo 7 Origini pratiche e concettuali della Matematica.
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Ma attenzione, vi è dunque una differenza profonda nell'affermazione che i numeri naturali sono
infiniti 9 e nel dire che l'insieme dei numeri naturali è infinito.
La seconda affermazione richiede un atto mentale di immaginazione, con un unico colpo d'occhio
(mentale), della collezione dei numeri naturali come un tutto unico. Se si accetta l'esistenza dell'ente
matematico dato dalla collezione dei numeri naturali, vuol dire che si accetta l'infinito in atto, cioè
l'esistenza di un unico ente che viene mentalmente considerato assieme a tutti i suoi (infiniti)
elementi. La presentazione insiemistica che oggi permea tutta la Matematica può fare considerare
come banale l'esistenza di un ente siffatto. Si rifletta però che Zenone mostra che l'accettazione
dell'infinito in atto causa i suoi famosi paradossi. Molta Matematica fino al XIX secolo utilizza
l'infinito solo in potenza. Per vedere tornare esplicitamente l'infinito in atto in Matematica, bisogna
attendere Bolzano e più ancora Cantor e i suoi lavori sugli insiemi, ad iniziare dal 1872.
Gli studenti hanno esperienza dell'infinito già nei primi anni della scuola. Il concetto non viene però
approfondito, e neppure viene approfondita questa fondamentale distinzione tra infinito in atto ed
infinito in potenza, pur avendosi una lunga tradizione filosofica e storica sul tema.
L'infinito, anche grazie al complice silenzio del docente, entra così in una specie di zona grigia, in
cui del concetto si può dire tutto e nulla. Così tutti gli infiniti sono eguali e al contempo tutti diversi.
Gli studenti che studiano i limiti, possono avere dell'infinito un concetto ambiguo: l'infinito assume,
anche grazie ai testi ed ai docenti, a volte il significato di elemento massimo o minimo dell'ordine
(dei numeri reali), a volte viene presentata un'identificazione ‘pericolosa’:
= ± , a volte il ruolo
di numero con regole di calcolo estrapolate in modo stravagante: e - = 0, a +
poi tutte le forme indeterminate :
= ,a-
=- ,e
∞
, 0 , ecc. D'altronde, nella tradizione letteraria, filosofica e
∞
teologica, l'infinito è altro ancora.
Si potrebbe ritenere superfluo trattare esplicitamente l'infinito in Matematica, caso mai
confrontandolo con ciò che appare da altre discipline. Ma il silenzio dei docenti (e dei programmi)
forse è giustificabile solo se si accetta l'infinito in potenza; questa interpretazione evidentemente
sopravvive nella tradizione scolastica, a dispetto della generale impostazione insiemistica che oggi è
diffusa, sia nei contenuti che nelle modalità di insegnamento.
È appunto per studiare e trattare l'infinito in atto, sottraendolo dai pericoli di antinomie, che Cantor
inizia la sua opera nel 1872, ponendo le basi della Teoria degli insiemi, quella che Hilbert definirà:
il Paradiso di Cantor.
9
Affermazione di per sé scorretta in quanto potrebbe essere interpretata come il fatto che ciascun numero naturale è un
ente infinito. Meglio sarebbe affermare che esistono infiniti numeri naturali.
220
Matematiche complementari I – Capitolo 7 Origini pratiche e concettuali della Matematica.
7.3.4. I sottinsiemi di
AA. 2009-2010
e il Teorema di Cantor-Schröder-Bernstein. Torniamo all'insieme infinito
. Esso include infiniti insiemi finiti, ad esempio {0,4,3}, {1,2,6}, ecc. Si noti che qui si adoperano
gli aggettivi finito e infinito, generalmente riferiti al sostantivo insieme, in un senso del tutto
intuitivo, non avendo ancora fornito definizioni esplicite di ciò che si intende per tali aggettivi.
Assumendo dunque per intuitivo ciò che si vuole significare con tali termini, la considerazione dei
sottinsiemi finiti di
porta, ovviamente al concetto di sottinsieme e di insieme dei sottinsiemi di un
insieme, operazione insiemistica che finora non era stata presentata esplicitamente, anche se
utilizzata in 6.2.4. e che viene indicata col simbolo . Si può provare che esiste una iniezione ϕ tra
fin(
), la collezione degli insiemi finiti contenuti in
<ω(
), e
stesso. Tale iniezione può essere descritta come segue: considerato un sottinsieme
l'insieme
finito di
, indicata anche col simbolo
, si elencano in ordine crescente gli elementi del sottinsieme. Sia quindi {n0,n1,n2,…,nk}
il sottinsieme considerato; ϕ associa a {n0,n1,n2,…,nk} il numero naturale 2n0 ·3n1 ·5n2 ·…·pknk . Per
provare che ϕ è una iniezione un ‘ingrediente’ fondamentale è il Teorema fondamentale
dell'Aritmetica, utilizzato (senza dimostrazione) già alla scuola media.
Vi sono infiniti insiemi finiti di numeri naturali, dato che ad esempio ci sono tutti gli insiemi {0},
{1}, {2}, ecc., quindi i numeri (diversi) che ϕ associa ai sottinsiemi finiti di
sono infiniti. Per
concludere che esiste una corrispondenza biunivoca tra i numeri naturali e i sottinsiemi finiti di
,
si può applicare il Teorema di Cantor-Schröder-Bernstein, dimostrato da Cantor, sfruttando però
l'assioma di scelta, ed indipendentemente da Schröder, e successivamente da Felix
Bernstein (a 19 anni), senza l'utilizzo dell'assioma di scelta.
Teorema. (Cantor-Schröder-Bernstein). Date un’iniezione f: S →
T ed una iniezione g: T → S, allora esiste una biezione h: S → T.
Felix Bernstein
(1878-1956)
Dimostrazione. La dimostrazione può essere agevolata da un
lemma preliminare.
Lemma di punto fisso. Sia S un insieme e sia ϑ:
(S) →
Ernst Schröder
(1841-1902)
(S) crescente, cioè tale che per ogni
X,Y∈ (S), se X ⊆ Y, si ha ϑ(X) ⊆ ϑ(Y), allora esiste un ‘punto fisso’ per ϑ, cioè un insieme A∈ (S)
tale che ϑ(A) = A.
Si considera infatti B = {X∈ (S) | X ⊆ ϑ(X)}. Si nota che se X∈B, allora è X ⊆ ϑ(X), quindi per la
crescenza di ϑ, ϑ(X) ⊆ ϑ(ϑ(X)), quindi anche ϑ(X)∈B. Si consideri ora A =
X . Per ogni X∈B,
X ∈B
X ⊆ ϑ(X) e, in virtù della definizione di A, X ⊆ A, da cui, per la crescenza di ϑ, si ha X ⊆ ϑ(X) ⊆
221
Matematiche complementari I – Capitolo 7 Origini pratiche e concettuali della Matematica.
ϑ(A). Ciò vale per ogni X∈B, quindi A =
AA. 2009-2010
X ⊆ ϑ(A). Si prova in tal modo che A∈B. Dal fatto
X ∈B
che A∈B e da quanto provato prima, si ha pure ϑ(A)∈B, pertanto ϑ(A) ⊆ A, e così A = ϑ(A).
Con questo Lemma è ora semplice dimostrare il Teorema. Basta infatti definire ϑ:
(S) →
(S)
ponendo per ogni X∈ (S), ϑ(X) = (S - g[T - f[X]]).
Per chiarire: nella scrittura precedente si è utilizzata una notazione forse inconsueta. Se h: X → Y e
A è un sottinsieme di X, allora con h[A] si denota il sottinsieme di Y, dato dall’immagine di A in h,
vale a dire h[A] = {y∈Y | ∃x∈A (y = h(x))}. Nella definizione dell’insieme immagine compare h
seguita da due tipi diversi di parentesi, quadre e rotonde. Le parentesi rotonde sono standard, con le
parentesi quadre si mette in luce che non si sta considerando il corrispondente di un elemento del
dominio di h, ma l’insieme dei corrispondenti in h di un sottinsieme del dominio di f. Questa
distinzione è necessaria in considerazioni di teoria degli insiemi perché esistono insiemi in cui un
elemento può essere anche sottinsieme (situazione tipica per i naturali di Von Neumann), quindi
quando si considerano funzioni tra insiemi è bene distinguere graficamente le due situazioni.
Torniamo alla dimostrazione. La scrittura ϑ(X) = (S - g[T - f[X]]) è sensata in quanto X∈ (S), vale a
dire X ⊆ S, per cui f[X] ⊆ T, ha quindi senso considerare (T – f[X]) e (T – f[X]) ⊆ T. Da ciò g[T-f[X]]
⊆ S ed anche ϑ(X) = (S – g[T-f[X]]) ⊆ S.
Si mostra che ϑ è una funzione crescente, nel senso detto prima, in quanto per ogni X,Y∈ (S), se
fosse X ⊆ Y si avrebbe f[X] ⊆ f[Y], in quanto ogni elemento di f[X] è immagine di un solo elemento
di X, quindi anche di Y. Sfruttando la crescenza delle immagini e la ‘inversione’ dell’inclusione per
differenza insiemistica, si ha (T - f[Y]) ⊆ (T - f[X]), quindi g[T - f[Y]] ⊆ g[T - f[X]] ed infine
(S - g[T - f[X]]) ⊆ (S - g[T - f[Y]]), vale a dire ϑ(X) ⊆ ϑ(Y).
Per il lemma precedente esiste A1 tale che (S - g[T - f[A1]]) = ϑ(A1) = A1. Si ponga, B1 = f[A1] e B2 =
(T - B1) = (T - f[A1]) e A2 = (S - A1) = (S - (S - g[T - f[A1]])) = g[T - f[A1]] = g[T – B1] = g[B2] . Si
noti che A1,A2∈ (S) e B1,B2∈ (T), inoltre A1 e A2 sono una partizione di S (vale a dire disgiunti e la
loro unione è S) e perciò complementari, come pure B1 e B2 sono una partizione di T, per
definizione.
Se si pone h = ((f A1) ∪ ((g-1) A2)), si ha che essendo g iniettiva e A2 incluso nell'immagine di g,
A2 è incluso nel dominio di (g-1). Il fatto che gli insiemi A1 e A2 siano complementari in S,
garantisce che h è una corrispondenza ovunque definita su S. Inoltre le due funzioni considerate
sono disgiunte ed hanno immagini disgiunte, dato che gli insiemi B1 = f[A1] e B2 = (g-1)[A2] sono
complementari in T. Da queste ipotesi si ha che h è funzionale ed iniettiva. Si ha quindi h: S → T.
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Matematiche complementari I – Capitolo 7 Origini pratiche e concettuali della Matematica.
AA. 2009-2010
Inoltre h è sicuramente suriettiva, dato che h[S] = h[A1 ∪ A2] = (h[A1] ∪ h[A2]) = (f[A1] ∪ (g-1)[A2])
= (B1 ∪ B2) = T. Si è così provata l'esistenza di una biezione tra S e T.
Per concludere che esiste una biezione tra
Cantor-Schröder-Bernstein a ϕ:
iniezione ψ:
→
fin(
‘togliendo’ 0, anche
6; ecc., c:
, che è iniettiva ed osservare che ψ: n
) →
12; (c°b): 3
{n} è una
*, ottenuto
, l'insieme dei numeri
dei multipli di 6, ecc. Questi vari insiemi possono essere
→ , ove b: 0
e tra loro mediante biezioni: b:
→ , ove c: 0
stesso, poi
, l'insieme dei numeri naturali pari oppure
0; c: 2
6; c: 4
12; c: 6
0; b: 1
2; b: 2
4; b: 3
18; ecc. A partire da queste due se ne
→ , ove (c°b): 0
può costruire una terza, ottenuta componendole (c°b):
2
) basta applicare il Teorema di
ci sono i sottinsiemi infiniti, ad esempio
naturali dispari, o ancora l'insieme
paragonati con
fin(
).
Oltre ai sottinsiemi finiti di
da
fin(
e l'insieme
0; (c°b): 1
6; (c°b):
18; ecc.
Definizione. Un insieme X si dice numerabile se esiste una biezione f:
Gli esempi precedenti di insiemi infiniti,
,
*, ,
,
questo punto Mac Lane afferma che ogni sottinsieme di
→ X.
sono tutti esempi di insiemi numerabili. A
è o finito o numerabile, ma ciò, almeno
per me, non è banale, perché per provarlo si richiedono risultati quali il Teorema di CantorSchröder-Bernstein. Con
( ) si indica l'insieme dei sottinsiemi numerabili di
.
L'uso delle biezioni permette di dare la seguente
Definizione. Due insiemi X e Y sono equipotenti o hanno lo stesso numero cardinale se esiste una
biezione f: X → Y.
Questa definizione include il caso dei cardinali degli insiemi finiti.
Definizione. Si indica con ℵ0 (da leggersi alef - zero) il numero cardinale di
.
Ovviamente tutti gli insiemi numerabili hanno lo stesso numero cardinale infinito ℵ0. In questo
modo l'attività del contare viene estesa agli insiemi infiniti. Potrebbe venire il sospetto che esistano
sottinsiemi infiniti di
con una ‘infinità’ diversa da quella di
. Così non è, dato che il numero
cardinale ℵ0 è il ‘primo’ dei numeri cardinali trasfiniti, e che si può mostrare che esistono anche
insiemi con numeri cardinali ‘più grandi’ di ℵ0.
C'è quindi una caratterizzazione degli insiemi infiniti (ma qui si parla di insiemi infiniti in atto),
sono quelli che hanno numeri cardinali trasfiniti. Si può anche affermare che un insieme S è infinito
se esiste una funzione iniettiva f:
→ S.
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Matematiche complementari I – Capitolo 7 Origini pratiche e concettuali della Matematica.
Di conseguenza sia S ⊆
(l'inclusione) di S in
AA. 2009-2010
un arbitrario sottinsieme infinito; poiché esiste una iniezione
ed un'iniezione di
in S, dato che S è infinito, per il Teorema di Cantor-
Schröder-Bernstein, esiste una biezione tra S e
, vale a dire S è numerabile.
Una terza caratterizzazione, dovuta a Dedekind, afferma che S è infinito se esiste un sottinsieme
proprio T di S ed una biezione f: S → T (o equivalentemente che esiste una biezione g: T → S, dato
che g-1: S → T è ancora una biezione).
In questo senso l'insieme
definita da s: n
è infinito, dato che
* è un sottinsieme proprio di
e s:
→
*
n+1 è una biezione.
7.3.5. Il Teorema di Cantor e le sue conseguenze. Ora se di tipi di infinito ne esistesse uno solo,
sarebbe possibile ‘identificare’ tutti gli insiemi infiniti tra loro, cioè presi comunque due insiemi
infiniti esisterebbe una biezione tra essi. Ma grazie ad un semplice e profondo risultato di Cantor,
ciò non è possibile.
Teorema (Cantor). Sia A un insieme. Non esiste una biezione tra A e (A), insieme dei sottinsiemi
di A.
Dimostrazione. Si suppone, per assurdo, che esista f: A →
(A) biezione. In realtà si prova un
assurdo supponendo semplicemente che f sia una funzione suriettiva su
(A), cioè che per ogni
elemento di (A), cioè per ogni sottinsieme di A, esista un elemento di A di cui tale sottinsieme è
immagine mediante f. Preso un generico a∈A, si ha f(a)∈ (A), cioè f(a) ⊆ A.
Attenzione, questo è un caso in cui il simbolismo può trarre in inganno. Per la natura della f, ogni
a∈A, ha in f un unico elemento corrispondente appartenente a (A), insieme dei sottinsiemi di A,
quindi la scrittura f(a) ⊆ A è corretta, e non frutto di confusione tra parentesi rotonde e quadre.
Ora possono verificarsi due casi: a∈f(a) oppure a∉f(a). Si considera B = {a∈A | a∉f(a)}. Così
facendo si ha B ⊆ A, quindi B∈ (A). Ma dato che, per ipotesi assurda, f è funzione suriettiva su
(A) esiste b∈A tale che f(b) = B. Deve ora verificarsi uno dei due seguenti casi: b∈B ∨ b∉B. Nel
primo caso b∈{a∈A | a∉f(a)}, quindi b∉f(b), ma f(b) = B e se b∈B si ha b∉B, il che è assurdo. Nel
secondo caso b∉B, cioè b∉f(b) e pertanto b∈{a∈A | a∉f(a)}, vale a dire b∈B, il che è assurdo.
Quindi in ciascun caso si ottiene un assurdo, causato dall'avere assunto l'esistenza di una biezione
tra A e (A) 10.
10
La dimostrazione di Cantor è assai vicina all'argomento usato da Russell per stabilire il suo paradosso relativo alla
collezione degli insiemi che non si appartengono: {x | x∉x}. La differenza è che mentre nel teorema di Cantor si ottiene
un assurdo che permette di escludere l'esistenza della suriezione, il paradosso di Russell presenta un assurdo che
richiede un'analisi più approfondita del concetto di insieme, oppure della logica (classica) utilizzata o ancora sulla
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Matematiche complementari I – Capitolo 7 Origini pratiche e concettuali della Matematica.
Questo risultato, applicato a
, garantisce che
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e ( ), che sono entrambi insiemi infiniti, hanno
numeri cardinali diversi. Così pure avviene tra ( ) e ( ( )) e così via. Ciò permette, assumendo
l'infinito in atto, di costruire una gerarchia infinita di numeri cardinali trasfiniti tutti tra loro diversi.
Resta il problema di determinare il numero cardinale dell'insieme
∞(
) dei sottinsiemi infiniti di
, insieme indicato anche col simbolo ω( ), forse da preferire per evitare l'ambiguità insista in ∞
come numero o simbolo o ‘luogo’ o ‘dimensione’. In base a quanto detto prima, tale insieme è
infinito. Vediamo cosa succederebbe se fosse numerabile, come accade per fin( ) l'insieme dei
sottinsiemi finiti di
e l'insieme
. Poiché fin( ) è numerabile è possibile considerare una biezione tra fin( )
dei numeri naturali pari. L'assunzione che
l'esistenza di una biezione tra questo e l'insieme
ω(
) sia numerabile, comporterebbe
dei numeri naturali dispari. Ma di qui
discenderebbe che l'insieme ( ) = ( fin( )∪ ω( )), unione di due insiemi disgiunti, sarebbe in
corrispondenza biunivoca con l'insieme ( ∪ ) =
, contro quanto provato nel precedente
Teorema di Cantor.
Si può quindi concludere che
infiniti di
ω(
) è infinito, ma non numerabile, quindi esistono sottinsiemi
che non possono venire descritti con frasi della lingua italiana, arricchita da simboli
matematici, dato che le descrizioni di questo tipo, essendo costituite da un numero finito di parole,
sono al più un'infinità numerabile.
I pensatori che in modo diverso si riconoscono nel Finitismo, affermano che gli insiemi infiniti ed
anche le infinità geometriche sono finzioni convenienti, dato che solo il finito è reale,
appoggiandosi anche su ipotesi cosmologiche in base alle quali il numero di particelle elementari
che costituiscono l'universo è un numero finito.
Ancora più restrittivo è l'approccio dell'Ultrafinitismo, la posizione filosofica che sostiene che si
possa parlare solo del finito e che l'infinito sia evitabile, anzi sia giustificabile solo in base ad una
specie di nostra limitazione delle capacità di discriminazione intellettuale.
Ammessi gli insiemi infiniti resta comunque il problema della loro realtà, anzi quello più ampio
della realtà degli insiemi (finiti o no), tema assai dibattuto nel XX secolo, soprattutto data
l'importanza che gli insiemi hanno assunto in Matematica. E se esistono gli insiemi, dove esistono?
liceità della scrittura x∈x. Sulla base dei tentativi di soluzione del paradosso si sono avuti, rispettivamente, le risposte
della Teoria degli insiemi, dell'Intuizionismo e del Logicismo di Russell, con la Teoria dei tipi e del Formalismo.
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