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carnera, quando la leggenda della boxe incontrò
scelti per voi sul grande schermo Carnera, quando la leggenda della boxe incontrò gli uomini del fuoco A volte una foto diventa un pezzo di memoria che racconta percorsi. Accade in una vecchia posa dei vigili del fuoco, che mostra il campione di boxe Primo Carnera nella sede di Ostiense (via Marmorata 15, a Roma). E’ in visita alla scuola allievi 73° Corpo dei vigili del fuoco. E’ l’aprile 1940: nello scatto in bianco e nero, donato al Museo Storico Roma città del fuoco da Claudio Gioacchini, si nota al centro il gigante di Sequals circondato a sinistra da Di Stefano, Cecchini e l’ing. Oriani, mentre a destra ci sono Cornago, Lazzari, Fracassi. Ma l’obiettivo coglie anche sullo sfondo, attaccati a una parete di mattoni, altri due vigili. Sono appollaiati su una scala di legno, ritratti in baffi e capelli ricci, quasi a non voler perdere quell’istantanea che immortala i loro colleghi mentre fanno corona al campione di 2,05 m, la leggenda del pugilato che è venuto a trovarli in gessato e capelli tirati a brillantina, indossando le sue proverbiali scarpe numero 52. Sette anni prima - era il 29 giugno 1933 - Carnera aveva conquistato sul ring di New York la cintura mondiale dei pesi massimi battendo per ko alla sesta ripresa il detentore del titolo, Jack Sharkey. Aveva fame di vincere, quell’uomo. E l’ha conservata sempre. Scaricava sugli avversari le ingiustizie sofferte in terra d’America dai suoi connazionali sfruttati, partiti dal nostro Paese alla ricerca di un futuro migliore e segnati con una croce di speranza all’isola di Ellis Island. Aveva obiettivo sicurezza Nell’aprile 1940 il campione visitò la nostra sede di Roma Ostiense. Li univa il coraggio e la voglia di lottare. A portare alla ribalta la leggenda del pugilato, il film di Renzo Martinelli 'Carnera - The Walking Mountain' di Giordano Deneri solo la sua forza per lottare e lo fece fino alla fine. Qualcuno racconta che gli legavano un braccio per ridurre lo strapotere che dimostrava sul ring. Tanti altri, i più, hanno narrato di un gigante buono che sorrideva sempre, pur nella vena di tristezza che gli solcava il mento. A portare alla ribalta le imprese sportive e umane di Primo Carnera, la leggenda pugilistica, è una pellicola che ha incontrato sia il favore del pubblico al botteghino sia dei critici: 'Carnera - The Walking Mountain', nelle sale dal 9 maggio scorso per la regia di Renzo Martinelli, distribuito da Medusa Film e coprodotto dalla Rti e dalla Martinelli Film Company International, in associazione con la GMC-Giuseppe Marra Communication. Nella pellicola, la storia di Carnera (Sequals, 25 ottobre 1906 – Sequals, 29 giugno 1967) è stata affidata all’attore Andrea Iaia che per prepararsi a questo ruolo si è costruito un fisico da bronzo di Riace. Il film inizia presentando la figura della maestra elementare di Carnera in- terpretata da Giovanna, che è poi la vera figlia del pugile. Alla lavagna, quella donna scrive: “Oggi 24 dicembre 1915”. L’Italia era entrata in guerra da alcuni mesi, e Sequals, come ogni altro paese, aveva dato i suoi giovani alla patria. Tra questi c’era anche il padre di Carnera. “Oggi è l’ultimo giorno di scuola prima delle vacanze di Natale – dice l’insegnante - Io so che vi sarebbe piaciuto aspettare Gesù Bambino con i vostri papà e le vostre mamme. Ma non è possibile…" mito. In alto, la locandina del film "Carnera - The Walking Mountain". A sinistra, Primo Carnera, al centro, insieme ai vigili del fuoco nella sede di Roma Ostiense 75 UNA VITA A TIRARE PUGNI PER FAR STUDIARE I FIGLI Nell’aula cala un improvviso si- appieno: conquista il tilenzio. Sui visi dei bambini sci- tolo nel ’33, lo perde l’anvola qualche lacrimone. E men- no dopo. Scende dal ring tre qualcuno si asciuga gli occhi sconfitto, con la mascellucidi con la grezza stoffa de- la fratturata, ma con l’onore gli abiti cuciti in casa, la mae- di ricevere la standing ovation stra spiega: “I vostri papà sono di tutto il pubblico del Madison al fronte per difendere la patria, Square Garden. Poi, va in banca e proprio in questo momento io per ritirare la borsa e scopre che sono sicura che stanno pensan- gli hanno spazzolato fino all’uldo a voi”. Tra quei banchi c’è an- timo dollaro. Partito emigrante, che un ragazzino che alla nasci- torna in Friuli con la stessa vata pesava già otto chilogrammi. ligia di cartone con la quale un Ora, divenuto grandicello, la giorno aveva attraversato l’ocemadre lo manda a bottega a ano. Nel film in una scena si comperare il pane, quel pane vede anche Carnera che ritorna che lui – sempre affamato – az- a casa in terza classe della nave, zanna di continuo tra le strade con umiltà, mentre la moglie di pietra del suo paese in Friu- aspetta un bimbo. Si mette a li. Il Carnera di Martinelli rac- giocare con un ragazzino cui reconta a partire da questa scena gala quel libro di figure di boxe di un uomo genuino ed onesto, (da girare velocemente, come le legato ai suoi figli. Mauro Coro- occasioni da cogliere nella vita) na, scrittore di Erto, all’inizio di che gli era stato donato – quanun libro dedicato a Primo Car- do era anche lui bambino – prnera annotò: “Carnera è stato il roprio dalla donna che ora sta mito della mia infanzia, l’uomo per dargli un erede. Arriva il comandante che avrei voludella nave e to avere accan- Carnera scaricava gli dice: “Sito quando avegnor Carnevo paura della sugli avversari le notte, quando ingiustizie sofferte ra, non può stare qui. Lei dovevo portare fasci di fieno o in America dai suoi è il simbolo dell’Itadi legna che mi connazionali lia intera. Ci facevano piegaraggiunga re le ginocchia. Sognavo allora di essere ami- in coperta, le offro la mia cabico di Carnera e che mi potesse na”. Il commovente dialogo-riconoscimento è anche la metadare una mano”. La figura di Carnera è perciò cu- fora di questo film di Martinelli, cita al riscatto italiano, legata a che riporta su un ponte dal quaquella forza da trovare sempre, le si guarda il mare, la leggenda pure sotto una pioggia di pugni. di un campione che attraversò Un mito, il suo, che ha vinto il e vinse profonde crisi umane, tempo, insegnando che è possi- come quando appese i guanbile rialzarsi dal tappeto quan- toni per la morte dell’avversado la vita ti lancia sulle guance rio Scharf, che demolì a forza sberle che non riesci a schiva- di pugni. Fu poi un telegramma re. E lui, Carnera, di pugni tra i della mamma del pugile mordenti ne ha presi tanti. Al tap- to a farlo salire nuovamente sul peto per ben undici volte, in- ring, dandogli la forza di divencassò bordate micidiali contro tare, per sempre, campione del Max Baer quando perse il tito- mondo. Quella cintura era diselo mondiale. Anche se aveva un gnata nella sua stella, come racpiede fratturato, Primo firmò conta un altro spezzone di celcol sangue una serata di boxe luloide, quando Paul Jurnèe va che divenne una scommessa di a trovare Carnera per chiedergli vita. La sua parabola lo descrive di lasciare il circo dove lavorava 76 Primo Carnera (Sequals 25 giugno 1906 – 29 giugno 1967), è una leggenda della boxe italiana. Nella sua carriera disputò 108 incontri, vincendone 88 (70 prima del limite). Alto 2,05m per 115 kg - misurava 122 cm di torace e portava il 52 di scarpe - cominciò la sua carriera in Francia dove emigrò in cerca di lavoro. In un circo, dove si esibiva in numeri di forza fisica, fu notato dall’ex pugile Paul Journée, che lo convinse a salire sul ring. Nel 1929 emigrò negli Stati Uniti. Il 10 febbraio 1933 affronta Ernie Schaaf, che morirà dopo il match. Il gigante è sul punto di appendere i guantoni ma riprende a tirare di boxe. L'exploit della sua vita arriva pochi mesi dopo, con il successo per ko a New York su Jack Sharkey in sei riprese. E’ il 29 giugno 1933 e Carnera è il primo campione mondiale dei pesi massimi italiano. Il 22 ottobre dello stesso anno, a Roma, combatte e vince ai punti contro Paolino Uzcudum. Al match è presente anche Mussolini che lo fa affacciare dal balcone di Piazza Venezia. Il Minculpop (ministero della cultura popolare) fa di lui un modello ideale dell'italiano. Il 14 giugno 1934 viene arrestato il manager di Carnera, proprio quando il pugile deve combattere contro Max Baer. Il campione sale ugualmente sul ring, ma all'inizio dell'undicesimo round Baer manda al tappeto il gigante di Sequals con un diretto al volto che vale allo sfidante la cintura dei massimi. Anche dopo quella sconfitta, Primo Carnera torna a combattere. Incrocerà i guantoni fino al ’46, anno in cui disputerà due match con l'ex-campione europeo dei pesi mediomassimi Musina. Li perde tutti e due. Decide allora di dare l’addio alla boxe ma non al ring. Fa il catcher e riconquista popolarità. Il 18 febbraio 1957 vince il titolo di Claims Heavyweight Wrestling Championship, sconfiggendo King Kong, un lottatore di 228 kg. Nel maggio del 1967, ormai ammalato di cirrosi epatica, torna a Sequals a godersi i suoi affetti. Morirà il 29 giugno dello stesso anno. Nella sua storia il gigante buono è stato anche eroe dei fumetti e interprete di una ventina di pellicole cinematografiche tra cui ‘L'idolo delle donne’ (1933) con Myrna Loy, Jack Dempsey e Max Baer e ‘La corona di ferro’ (1941), con Gino Cervi. Attraverso i suoi sacrifici, fece studiare i suoi figli che oggi sono dottori. e andare a lavorare in palestra. “Guarda – gli dice per convincerlo a infilare i guantoni - Dio ti ha fatto queste mani così grandi perché tu devi boxare. Non puoi andare contro il tuo destino”. Il fascismo lo esalta quando vince e lo molla quando il mito italico della forza virile perde il titolo. Abbandonato da tutti, il campione che nel film fa il saluto romano a dita allargate dal balcone di Palazzo Venezia (qualcuno dice che Mussolini lo fece affacciare da solo per non sfigurare, lui basso, dinanzi alla statura di quel gigante) trova il modo di reinventarsi la vita diventando campione mondiale di lotta libera. Perché nulla è impossibile: questa è la lezione di Carnera. La consapevolez- za che una sconfitta è tale solo se si rimane inchiodati a terra quando qualcun altro ti conta la fine. E’ per questo che nel finale del film, come in una sorta di testamento, Carnera rimarca: “Ho preso tanti pugni nella vita. Veramente tanti… Ma lo rifarei. Perché tutti i pugni che ho preso sono serviti a far studiare i miei figli…”. Chissà se lo avrà detto anche in quell’aprile del 1940 ai vigili del fuoco di Ostiense che gli si stringono intorno ammirati. Di sicuro quell’incontro avrà parlato di una lotta che univa il campione a quei ragazzi che ogni giorno facevano il proprio dovere: quella del coraggio, pur nel fuoco di una vita che non fa sconti. obiettivo sicurezza