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lavoro a progetto e caso dei call center outbound
La nuova prestazione di lavoro a progetto nei call center: “a passo di gambero” sul tortuoso percorso interpretativo della disciplina speciale. Il ruolo delle parti sociali Sabrina Cassar Sommario: 1. La rilevanza economico-sociale e le peculiarità dei call center. – 2. Dal lavoro autonomo coordinato e continuativo al lavoro a progetto: la prassi amministrativa e l’esperienza concertativa. – 3. La riforma del lavoro c.d. “MontiFornero” e la deroga per gli operatori telefonici, in modalità outbound, per la vendita diretta di beni e servizi. – 4. Presunzione legale di legittimità del progetto o ritorno alle collaborazioni coordinate e continuative senza progetto? – 5. Il pragmatismo delle parti sociali nei primi accordi collettivi post-riforma. – 6. Considerazioni conclusive. 1. La rilevanza economico-sociale e le peculiarità dei call center L’industria (1) che comprende le attività dei call center (2) ha mostrato in questi anni una crescita importante, non tanto per dimensione (3), * Ricercatore presso l’Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”. (1) Con l’uso del termine in parola s’intende sottolineare la proposta di riconoscere i call center come aziende appartenenti ad un unico settore industriale con tutti gli effetti che ne conseguono, a cominciare dalla possibilità di prevedere un’unica classificazione ai fini Inps; cfr. al riguardo Audizione XI Commissione (Lavoro pubblico e privato) Camera dei Deputati Cgil, Cisl, Uil, Ugl, Roma, 5 giugno 2012. (2) Per “centro chiamate”, più comune call center (call centre in inglese britannico), s’intende l’insieme dei dispositivi, dei sistemi informatici e delle risorse umane atti a gestire, in modo ottimizzato, le chiamate telefoniche da e verso un’azienda. L’attività di un call center può essere svolta da operatori specializzati e/o risponditori automatici interattivi IVR. Gli operatori e i risponditori automatici possono offrire informazioni, attivare servizi, fornire assistenza tecnica, offrire servizi di prenotazione, consentire acquisti e organizzare campagne promozionali; cfr. definizione in Sapere.it, Enciclopedia De Agostini. Sempre più comune è l’uso del termine contact center con cui si evidenzia lo sviluppo della multicanalità e quindi l’utilizzo di tecnologie e mezzi innovativi da parte dei call center. Diritto delle Relazioni Industriali Numero 1/XXIV - 2014. Giuffrè Editore, Milano 160 SABRINA CASSAR quanto, soprattutto, per il fatto che è costituita da imprese presenti in moltissimi settori economici. In essa sono racchiusi e convivono aspetti di old e new economy, un crescente impiego di tecnologie innovative ed una consistente presenza del fattore umano. Si tratta di attività, prevalentemente, a basso valore aggiunto o c.d. labour intensive, oggetto di massicci fenomeni di esternalizzazione e, più di recente, di importanti operazioni di delocalizzazione (4). I dati di questo ultimo decennio mettono in evidenza come vi sia stata, per l’Europa e per l’Italia, una crescita senza precedenti dei call center e delle opportunità occupazionali ad essi collegate (5). In particolare, si usa classificare i call center in due grandi categorie a seconda che il centro si trovi all’interno dell’azienda – c.d. in house – oppure, all’opposto, che il lavoro di assistenza venga svolto all’esterno – c.d. in outsourcing. A seconda delle modalità operative con cui si realizza la prestazione, ulteriormente si distingue tra c.d. “attività inbound”, cioè erogata al momento del ricevimento della chiamata, e c.d. “attività outbound”, ovvero fornita attraverso l’effettuazione di chiamate dal centro verso l’esterno (6). Nell’immaginario collettivo, spesso, i call center rappresentano l’emblema di un uso distorto delle forme contrattuali flessibili, in specie autonome, e il simbolo del lavoro precario (7). (3) Si vedano i dati e le stime di Assocontact (Associazione Nazionale dei Contact Center in Outsourcing), ricavabili dal sito www.assocontact.it. (4) Spunti interessanti per comprendere natura e dimensione del fenomeno si possono trarre da G. GAMBERINI, F. PASQUINI, Il futuro dei call center dopo la riforma MontiFornero tra delocalizzazioni e fuga nel sommerso, in Boll. ADAPT, 2012, n. 18. (5) Una conferma, sia pure indiretta, si può ricavare dai dati forniti dalle agenzie di somministrazione, relativamente al primo trimestre del 2012, dai quali emerge un aumento anche del 50% di richieste di lavoratori da parte degli utilizzatori che effettuano attività di contact center; cfr. l’intervista al responsabile dell’Agenzia Randstand Italia che si può leggere in www.linkiesta.it/offerta-lavoro-call-center. (6) Rientrano, nel primo caso, con una certa frequenza, i servizi di custode care e di help desk tecnico; sono, invece, generalmente forniti outbound i servizi di telemarketing e di promozione. La distinzione, si ricorderà, è divenuta di “uso corrente” dalla nota circ. Min. lav. n. 17 del 14 giugno 2006, per cui si rinvia infra. Tale indicazione amministrativa è più volte richiamata in senso adesivo dalle successive circolari che specificamente si occupano di call center – da ultimo, circ. Min. lav. n. 14 del 2 aprile 2013, per cui si rinvia infra – e dalla giurisprudenza di merito (tra le altre, ad esempio, si veda decisione del Trib. Livorno 8 gennaio 2007, in GM, 2007, 11, 2855 ss.). (7) Così come rappresentato dal regista P. VIRZÌ e dalla scrittrice M. MURGIA, solo per citare gli esempi più celebri. LAVORO A PROGETTO NEI CALL CENTER: IL RUOLO DELLE PARTI SOCIALI 161 In effetti, e per quanto qui interessa, occorre richiamare il fatto che – da un lato – questo settore concentra in larga parte lavoratori privi di una specifica professionalità od esperienza e particolarmente deboli dal punto di vista economico-sociale, mentre – dall’altro – proprio in questo settore si è avuto fin dall’inizio uno dei più massicci ricorsi a collaborazioni coordinate e continuative, poi a progetto, che il nostro mercato del lavoro abbia mai registrato (8). Poiché il call center rappresenta una sorta di punta d’iceberg delle trasformazioni organizzative e giuridiche in atto nei processi della produzione e del lavoro (9), l’utilizzazione in questo ambito delle forme di collaborazione autonome, in specie a progetto (10), offre interessanti spunti di riflessione in ordine alla tenuta del tipo e alla relativa evoluzione regolamentare. L’indagine prende così le mosse da un recente e quanto mai inatteso provvedimento del legislatore (11), che dopo aver modificato la disciplina (12) del giovane contratto a progetto interviene, nel giro di pochi (8) Così M. MARAZZA, Il mercato del lavoro dopo il caso Atesia. Percorsi alternativi di rientro dalla precarietà, in ADL, 2007, 2, 328. (9) In tal senso, si veda E. COMO, Neo-taylorismo e organizzazione del lavoro nei call center, in QRS, 2006, 3, 75 ss. (10) Per una richiamo al rapporto tra diritto del lavoro e teoria dell’organizzazione nella regolazione delle relazioni di lavoro, proprio con riguardo alla fattispecie emblematica del lavoro a progetto, si rinvia all’analisi di T.M. FABBRI, M. NERI, Teoria organizzativa e diritto del lavoro nella regolazione del lavoro a progetto, in q. Rivista, 2007, n. 3, 691 ss. (11) Art. 24-bis della l. n. 134/2012, di conversione del d.l. n. 83/2012, come si chiarirà infra. (12) Cfr. le novità introdotte dall’art. 1, commi 23-27, e dall’art. 2, commi 51-57, l. n. 92/2012 (Disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita). In questa sede non sarà possibile affrontare tutti i numerosi aspetti delle modifiche alla tipologia contrattuale a progetto, che saranno richiamate solo per la parte necessaria all’economicità del lavoro; per un approfondimento delle novità e per un primo commento a caldo della riforma dello strumento contrattuale nel suo complesso si rinvia, senza pretesa di completezza, a M. MARAZZA, Il lavoro autonomo dopo la riforma del Governo Monti, in ADL, 2012, 4-5, 875 ss.; G. BUBOLA, F. PASQUINI, D. VENTURI, Il lavoro a progetto, in M. MAGNANI, M. TIRABOSCHI (a cura di), La nuova riforma del lavoro, Giuffrè, 2012; F. CARINCI, M. MISCIONE (a cura di), Commentario alla Riforma Fornero, Ipsoa, 2012; G. FERRARO, Flessibilità in entrata: nuovi e vecchi modelli di lavoro flessibile, in RIDL, 2012, I, 567 ss.; A. VALLEBONA, La riforma del lavoro 2012, Giappichelli, 2012; G. PROIA, Manuale del nuovo corso del diritto del lavoro, Cedam, 2013; G. PELLACANI, Lavoro a progetto nella legge di riforma, in DPL, 2012, 29 ss.; V. PINTO, Prime chiose sulla nuova disciplina delle collaborazioni a progetto, Working Paper C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona”.IT, 2012, n. 151; T. TREU, Flessibilità e tutele nella riforma del lavoro, Working Paper 162 SABRINA CASSAR giorni, a dettare una regolamentazione speciale per le «attività di vendita diretta di beni e servizi realizzate attraverso call center outbound». In questa sede, si propone una sintesi essenziale del quadro giuridico di riferimento, anche al fine di precisare quali siano le condizioni che rendono legittimo l’uso di lavoro autonomo coordinato e continuativo nelle aziende di call center e quale sia la portata delle recenti modifiche specificamente riferite al «luogo all’interno del quale convivono, in attesa di sistemazione, le più significative problematiche del diritto del lavoro» (13). 2. Dal lavoro autonomo coordinato e continuativo al lavoro a progetto: la prassi amministrativa e l’esperienza concertativa La platea dei lavoratori impiegati in aziende di call center e chiamati a svolgere attività riconducibili, in senso ampio, a quella di “operatore telefonico” è composta – si osserva (14) – prevalentemente da donne e da giovani in cerca di prima occupazione. Raramente, peraltro, anche a causa della natura ripetitiva dell’attività, si tratta di un’occupazione che il lavoratore percepisce come definitiva. Trattandosi di attività produttive e di servizi caratterizzati da assai significative voci di costo del personale, è naturale la scelta aziendale a favore di tipi contrattuali di lavoro autonomo. Sicché, la risposta alle esigenze di flessibilità delle imprese del settore (15) è stata, in larga parte, quella di reclutare un consistente numero di consulenti telefonici attraverso contratti di collaborazione coordinata e continuativa – prima dell’intervento del decreto legislativo n. 276/2003 C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona”.IT, 2012, n. 155; A. PERULLI, Il lavoro autonomo tradito e il perdurante equivoco del “lavoro a progetto”, in q. Rivista, 2013, n. 1, 1 ss.; G. SANTORO-PASSARELLI, Lavoro a progetto e partite IVA nella Riforma del lavoro 2012, in LG, 2012, 10, 940 ss. (13) Così M. MARAZZA, Il mercato del lavoro dopo il caso Atesia, cit., 327. (14) Cfr. V. FORTUNATO, R. PALIDDA (a cura di), I call center in Italia. Lavoro, organizzazione tra retoriche e realtà, Carocci, 2012. (15) Come è stato detto «il successo di questo settore è nato dalla possibilità di avere una grande flessibilità rispetto alla rigidità delle aziende committenti, attraverso la velocità del just in time e la possibilità di legare il salario alla produttività», così G. GUALLA, Prospettive delle relazioni industriali nei settori call center, in q. Rivista, 2007, 3, 854-855. LAVORO A PROGETTO NEI CALL CENTER: IL RUOLO DELLE PARTI SOCIALI 163 – e di ricollocare gli stessi lavoratori, ove possibile – dopo la riforma del 2003 mediante contratti di collaborazione a progetto (16). In questa prospettiva, si segnala appena come qui l’applicazione della relativa normativa abbia sollecitato l’azione congiunta degli organi amministrativi, che hanno più volte dettato regole di interpretazione uniforme rivolte ai servizi ispettivi (17), delle parti sociali e dello stesso legislatore. In breve, si ricorda che le circolari ministeriali sostanzialmente ammettono che il progetto (o, secondo la disciplina dell’epoca, programma di lavoro) possa essere individuato nell’ambito delle attività telefoniche di call center offerte in modalità outbound ove, in ogni caso, i compiti assegnati al prestatore siano idonei a configurare un risultato “misurabile” (ad esempio, sulla base dei prodotti venduti o dei contratti telefonici gestiti) che l’operatore telefonico si obbliga a conseguire entro un termine prestabilito e con possibilità di autodeterminazione del ritmo di lavoro (18). All’opposto, le indicazioni ministeriali sottolineano la difficoltà di ricondurre al progetto le attività esercitate prevalentemente in modalità inbound proprio perché, qui, l’operatore rispondendo alle chiamate che (16) Il lavoro autonomo a progetto è particolarmente utilizzato nelle aziende di mediepiccole dimensioni (fino a 200 addetti), che operano in outsourcing e con modalità operativa c.d. in outbound, dove si osserva una percentuale di collaboratori autonomi del 40% in media; cfr. V. FORTUNATO, R. PALIDDA (a cura di), op. cit. (17) Con particolare riferimento all’attività dei call center, “reinterpretano” la disciplina del contratto di lavoro a progetto la circ. Min. lav. 14 giugno 2006, n. 17; la circ. Min. lav. 29 gennaio 2008, n. 4; la circ. Inps 17 dicembre 2008, n. 111, nonché da ultimo, la circ. Min. lav. 2 aprile 2013, n. 14. Per un esame delle diverse interpretazioni della prassi amministrativa della disciplina del lavoro a progetto e delle relative ripercussioni nel definire il complessivo quadro giuridico di riferimento, sia consentito il rinvio a S. CASSAR, Lavoro a progetto: il “dialogo” a distanza tra giurisprudenza e prassi amministrativa (nota a App. Firenze 29 gennaio 2008, n. 100), in LPO, 2009, 2, 257 ss. (18) Cfr. circ. Min. lav. n. 17/2006, tra l’altro precisa che il “progetto” o “programma di lavoro” deve riferirsi ad una singola “campagna” per committente ed avere una durata coincidente con lo svolgimento della prestazione del collaboratore. Come è noto, la circolare individua come indicatori essenziali di autonomia organizzativa dell’operatore, rispettivamente, il fatto che il collaboratore non sia soggetto ad alcun vincolo di orario (anche se «all’interno di fasce orarie prestabilite»), la possibilità che egli possa decidere («nel rispetto delle forme concordate di coordinamento, anche temporale, della prestazione») se eseguire la prestazione ed in quali giorni, nonché la facoltà riservata all’operatore di sospendere la prestazione giornaliera («senza che l’eventuale assenza debba essere mai giustificata ovvero che la presenza possa essere mai imposta»). A queste precisazioni, con espresso richiamo alla indicazione del 2006, fa di nuovo riferimento l’ultima circ. Min. lav. n. 14/2013, 2. 164 SABRINA CASSAR riceve dagli utenti si limita a mettere a disposizione del datore di lavoro le proprie energie psicofisiche per un dato periodo di tempo. Le circolari confermano, dunque, che la scarsa autonomia gestionale dell’addetto telefonico dipende non tanto o non solo dalla “volontà accentratrice” del committente ma soprattutto dalle caratteristiche della prestazione richiesta, tenuto conto che esse possono variare in relazione alla singola campagna o commessa (19). Per la nostra indagine è interessante rilevare come le determinazioni ministeriali, pur fondate su esemplificazioni di massima, abbiano – da un lato – posto le basi per l’emanazione di una disciplina speciale (20) e – dall’altro lato – indotto una modifica della pratica delle aziende. Basti richiamare al riguardo la vicenda contrattuale del più grande gruppo imprenditoriale del settore (21), che prende le mosse dal controllo degli ispettori del lavoro e che, ancora oggi, si può segnalare come un significativo “caso” di concertazione nel sistema delle relazioni industriali del mercato del lavoro italiano. In estrema sintesi, si ricorda che – preso atto della questione della esatta qualificazione dei rapporti di lavoro a progetto, specialmente riferita dalla prassi amministrativa alle aziende dei call center (22) – l’azione (19) È evidente del resto che, da un lato, anche le attività svolte in modalità outbound possono essere ricondotte nell’alveo della subordinazione in mancanza degli elementi che contraddistinguono una prestazione genuinamente autonoma; dall’altro lato, nulla vieta di immaginare, nel concreto, che «attività inbound siano auto sufficientemente pianificate in termini spazio-temporali da parte del collaboratore», così A. MARESCA, L. CAROLLO, Il contratto di collaborazione a progetto nel settore call center, in q. Rivista, 2007, n. 3, 682. Anche il Ministro del lavoro con una nota esplicativa del 7 settembre 2006 si affretta a precisare – e non può fare diversamente – che «l’attività ispettiva si conclude con un verbale di accertamento che rileva la corretta qualificazione del rapporto di lavoro (costituitosi ex ante attraverso la volontà delle parti), che acquista un valore “definitivo” solo a seguito dell’esperimento dei rimedi amministrativi e giudiziari previsti». (20) Così come espressamente dichiara la circ. Min. lav. n. 14/2013, in specie aderendo alle indicazioni della circ. Min. lav. n. 17/2006. (21) Per un rapido richiamo delle fasi principali della vicenda contrattuale si veda la ricostruzione operata da V. SILVESTRI, Le collaborazioni nei call center e l’avviso comune delle parti sociali, in GLav, 2006, 42, 28. Per una lettura “delle carte” si rinvia alla documentazione scaricabile sul sito di ADAPT, www.adapt.it, indice A-Z, voce Call center. (22) Questa considerazione è confermata dai fatti visto che il processo di stabilizzazione in parola è rimasto sostanzialmente un’esperienza contingente alle aziende dei call center (per oltre il 90%). LAVORO A PROGETTO NEI CALL CENTER: IL RUOLO DELLE PARTI SOCIALI 165 combinata delle parti sociali, prima, e del legislatore, poi, fornisce una soluzione che mira a contemperare gli interessi in gioco (23). Allo stesso tempo – come era prevedibile (24) – il processo di stabilizzazione non riduce la propensione delle aziende di call center all’utilizzo del contratto di collaborazione coordinata e continuativa a progetto, come alternativo al lavoro subordinato (25). 3. La riforma del lavoro c.d. “Monti-Fornero” e la deroga per gli operatori telefonici, in modalità outbound, per la vendita diretta di beni e servizi La riconduzione delle collaborazioni coordinate e continuative ad un progetto – secondo la ratio antielusiva delle norme sancite a mente degli articoli 61-69 del decreto legislativo n. 276/2003 (26), che oggi è (23) Da un lato, l’interesse dell’impresa alla “graduale sostituzione” delle collaborazioni a progetto con contratti di lavoro subordinato; dall’altro, l’interesse dei lavoratori e degli istituti previdenziali alla esatta qualificazione del rapporto. Per un approfondimento, sul punto, si veda P. RAUSEI, Emersione dal lavoro “nero” e stabilizzazione delle co.co.co., in DPL, 2007, 19, 1204 ss.; G. SPOLVERATO, Lavoro nero e collaborazioni: sanatoria e mini condono, in DPL, 2007, 4, 284 ss. Più in generale, per un richiamo alle principali questioni applicative emerse dalla procedura di stabilizzazione si rinvia al contributo (e alle relative note bibliografiche) di L. CAROLLO, M. MAROCCO, Gli accordi collettivi per la stabilizzazione dei collaboratori a progetto, in q. Rivista, 2007, n. 3, 855 ss. (24) Come si afferma già all’indomani della l. n. 296/2006; cfr. A. MARESCA, L. CAROLLO, op. cit., 689. (25) In specie, si osserva che il rapporto di lavoro subordinato (peraltro, in larga parte a tempo parziale o a tempo determinato) è offerto dalle grandi aziende, che producono in house, ed è riservato a giovani laureati chiamati ad operare con modalità inbound; cfr. V. FORTUNATO, R. PALIDDA (a cura di), op. cit. Per un esame sull’utilizzo nei call center di tipologie contrattuali flessibili di tipo subordinato, si rimanda a F. ROTONDI, Lavoro flessibile nei call center, in DPL, 2003, 1, 7 ss. In particolare, per quanto attiene le condizioni di stipulazione del contratto di apprendistato, si rinvia a L. CAROLLO, Il contratto di apprendistato nei call center, in q. Rivista, 2011, n. 3, 811 ss. (26) Per un’analisi delle quali si rinvia ai numerosi contributi sul tema ed in particolare, senza alcuna pretesa di esaustività, ai lavori di M. PEDRAZZOLI, Tipologie contrattuali a progetto e occasionali, in M. PEDRAZZOLI (a cura di), Il nuovo mercato del lavoro, Zanichelli, 2004; G. SANTORO-PASSARELLI, Lavoro parasubordinato, lavoro coordinato, lavoro a progetto, in R. DE LUCA TAMAJO, M. RUSCIANO, L. ZOPPOLI, Mercato del lavoro. Riforma e vincoli di sistema, ESI, 2004, 187 ss.; G. PROIA, Lavoro a progetto e modelli contrattuali di lavoro, in ADL, 2003, 3, 665 ss.; V. PINTO, Le collaborazioni coordinate e continuative e il lavoro a progetto, in P. CURZIO (a cura di), Lavoro e diritti a tre anni dalla legge 30/2003, Cacucci, 2005, 431 ss.; D. MEZ- 166 SABRINA CASSAR confermata dalla definizione ancora più restrittiva introdotta dalla legge n. 92/2012 – è come noto diretta ad accentuare il carattere autonomo della prestazione dedotta in contratto al fine di contrastare comportamenti elusivi della disciplina del lavoro subordinato (27). Su tale piano, in specie relativamente agli operatori telefonici di call center, non è sufficiente distinguere tra attività espletata inbound o outbound poiché ciò che rileva è, in ogni caso, il modo con cui il lavoratore esegue la prestazione, in quanto coordinato e, tuttavia, con esclusione dell’assoggettamento al potere di direzione e di controllo del committente (28). ZACAPO, La fattispecie “lavoro a progetto”, Working Paper C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona”.IT, 2004, n. 25, 393 ss.; nonché ai numerosi commentari, tra cui A. PERULLI, Commento artt. 61-63 D.Lgs. n. 276/2003, G. ZILIO GRANDI, Commento artt. 64-65 D.Lgs. n. 276/2003, Commento artt. 66-69 D.Lgs. n. 276/2003, tutti in E. GRAGNOLI, A. PERULLI (a cura di), La riforma del mercato del lavoro e i nuovi modelli contrattuali, Cedam, 2004, 705-791; F. LUNARDON, Lavoro a progetto e lavoro occasionale, in F. CARINCI (coordinato da), Commentario al D.Lgs. n. 10 settembre 2003 n. 276, Ipsoa, 2004, 4-80; L. CASTELVETRI, Il lavoro a progetto: finalità e disciplina, in M. TIRABOSCHI (cura di), La riforma Biagi del mercato del lavoro, Giuffrè, 2004, 137-171; G. VILLANI, Il lavoro a progetto, in M. MAGNANI, P.A. VARESI (a cura di), Organizzazione del mercato del lavoro e tipologie contrattuali, Giappichelli, 2005, 540-591. (27) Cfr. M. TIRABOSCHI, Il lavoro a progetto: profili teorico-ricostruttivi, in AA.VV., Le nuove collaborazioni, in GLav, 2004, 1, 14. Contra, A. PERULLI, Il lavoro autonomo tradito e il perdurante equivoco del “lavoro a progetto”, cit., 12, che definisce, invece, come un «macroscopico errore di prospettiva» il tentativo del legislatore del 2003 di ricondurre le collaborazioni autonome nell’alveo della legalità e di disincentivarne l’uso attraverso la riconduzione delle stesse ad un progetto. (28) Come è noto le forme di coordinamento, anche temporale, devono essere indicate per iscritto nel contratto di lavoro (art. 62, lett. d) ed appaiono compatibili – secondo le prevalenti indicazioni giurisprudenziali – con la presenza di personale di sala (sia pure limitatamente ai fini di assistenza degli operatori telefonici) ovvero con la predisposizione di fasce orarie da rispettare; sul punto, tra le altre, si veda la decisione del Trib. Roma 22 maggio 2006, n. 10116, a quanto consta inedita, per cui si giunge ad affermare che la collaborazione autonoma coordinata è compatibile con l’assoggettamento del collaboratore (addetto ad una centrale telefonica per l’attività di ricerca di clientela, telemarketing e promozioni commerciali) «al potere di direzione del committente, se esercitato soltanto per la soddisfazione dell’esigenza di continuità del servizio e non in senso conformativo alle proprie mutevoli esigenze». Assai rigorosa nella prova del coordinamento è la giurisprudenza di legittimità più recente, che ha precisato come non sia compatibile con il carattere autonomo della prestazione «un controllo particolarmente accentuato ed invasivo» che si può ravvisare nel caso in cui la prestazione di lavoro è sottoposta «ad istruzioni specifiche, sia nell’ambito di briefing finalizzati a fornire informazioni e specifiche in merito alle prestazioni contrattuali» sia «con puntuali ordini di servizio, sia a seguito dell’intervento dell’assistente LAVORO A PROGETTO NEI CALL CENTER: IL RUOLO DELLE PARTI SOCIALI 167 Se il dato normativo, come è ovvio (29), non preclude in assoluto l’utilizzo del lavoro a progetto per le aziende di call center, va sottolineata la rilevanza ai fini qualificatori dell’attività dedotta nel contratto che – anche se priva di un carattere spiccatamente specialistico – deve essere necessariamente finalizzata ad una specifica (30) “commessa” o “campagna”, ovvero ad una precisa attività delimitata temporalmente e collegata ad un obiettivo (31). di sala»; così, da ultimo, Cass. 21 marzo 2012, n. 4476, che si può leggere in www.dplmodena.it; analoga Cass. 14 aprile 2008, n. 9812, che tanto eco ha avuto sugli organi di stampa anche per il pubblico apprezzamento da parte dell’allora Ministro del lavoro, che si può leggere in LG, 2008, 7, 685 ss. (29) In quanto l’individuazione di un progetto non ha valenza qualificativa ai fini della distinzione tra lavoro subordinato e lavoro autonomo, poiché è noto che «qualsiasi attività umana economicamente rilevante può essere oggetto sia di un rapporto di lavoro dipendente, sia di un rapporto di lavoro autonomo»; cfr. Cass. 12 agosto 1997, n. 7498, in GLav, 1997, 6, 25 ss. In dottrina, si può rinviare, per tutti, a R. SCOGNAMIGLIO, Lavoro subordinato, I, Diritto del lavoro, in EGT, 1990. Rileva, tra le altre, Cass. 28 settembre 2006, n. 21028, in Boll. ADAPT, 2007, n. 28, con cui la Suprema Corte, proprio con riguardo alla qualificazione di un rapporto di lavoro di una operatrice telefonica di call center, ammette la natura autonoma del contratto e sottolinea che ove le parti abbiano dichiarato di voler escludere la natura subordinata del rapporto, è possibile pervenire ad una diversa qualificazione solo se si dimostra in concreto l’elemento della eterodirezione. (30) Sulla specificità, in particolare, insiste la circ. Min. lav. n. 4/2008, secondo cui il progetto o programma di lavoro «non può totalmente coincidere con l’attività principale o accessoria» ma deve essere «ad essa funzionalmente correlato». In giurisprudenza, si ricorda appena come prevalga largamente l’orientamento per cui, da un lato, non è richiesta l’individuazione distinta del progetto per ogni singolo collaboratore (così, ad esempio, Trib. Modena 21 febbraio 2006, in LG, 2006, 477 ss., con nota di M. MISCIONE, Lavoro a progetto e libertà di contratto) ma, dall’altro, si esclude la legittimità di progetti standard (cfr. Trib. Torino 15 aprile 2005). Con riguardo agli addetti ai call center, si veda V. ANIBALLI, Il lavoro a progetto nei call center: tra natura autonoma della prestazione e specificità del progetto in relazione all’oggetto sociale, in ADL, 2009, 1, 149 ss., cui si rinvia per un approfondimento, con richiamo agli orientamenti della dottrina e alla elaborazione giurisprudenziale, dei relativi requisiti di legittimità. (31) Sul punto, si richiama il tentativo di una parte degli interpreti di stabilire, proprio con riferimento al termine “risultato” («forse incautamente utilizzato dal legislatore del 2003», così sottolinea S. SPATARO, Il lavoro a progetto nella giurisprudenza, in q. Rivista, 2007, n. 3, 668, il quale rileva, allora, come più accorta sia stata la giurisprudenza che ha prevalentemente usato il termine “obiettivo”), un forte discrimine rispetto alla fattispecie del lavoro subordinato. Senza poter ulteriormente approfondire in questa sede, si sottolinea come, tuttavia, sia in dottrina (per cui, senza pretesa di esaustività, si rinvia alle considerazioni di A. PERULLI, Commento artt. 61-63 D.Lgs. n. 276/2003, cit., 722; A. MARESCA, La nuova disciplina delle collaborazioni coordinate e continuative: profili generali, in GLav, 2004, 4, 9 ss.; A. VALLEBONA, Lavoro a 168 SABRINA CASSAR Questi profili, come detto, appaiono ad una prima lettura della norma rafforzati dalle modifiche apportate alla definizione originaria dell’articolo 61, comma 1, del decreto legislativo n. 276/2003, dalla disposizione introdotta dalla riforma del lavoro c.d. “Monti-Fornero” (32) secondo la quale i nuovi (33) contratti di collaborazione a progetto devono essere, esclusivamente, ricondotti «ad uno o più progetti specifici, determinati dal committente e gestiti autonomamente dal collaboratore». Il legislatore – nel tentativo di eliminare gli equivoci (34) – rimuove dalla formulazione il richiamo alla locuzione “programmi di lavoro o fasi di esso” ed esclude specificamente che il progetto possa consistere «in una mera riproposizione dell’oggetto sociale del committente», ovvero che il progetto possa comportare lo svolgimento di «compiti meramente esecutivi e ripetitivi» (35). Alle correzioni, operanti sul piano della qualificazione del progetto – che è ancorato allo svolgimento di attività connotate dal raggiungimen- progetto: incostituzionalità e circolare di pentimento, in ADL, 2004, 1, 296; M. PERiconduzione a progetto delle collaborazioni coordinate e continuative, lavoro occasionale e divieto delle collaborazioni semplici: il cielo diviso per due, in M. PEDRAZZOLI (a cura di), Il nuovo mercato del lavoro, cit., spec. 703 ss.; contra, G. SANTORO-PASSARELLI, La nuova figura del lavoro a progetto, in ADL, 2005, 1, 95, per il quale l’obbligazione del lavoratore a progetto «si concreta in un’attività qualificata da un risultato»), sia in giurisprudenza (contra, la diversa e isolata opinione di Trib. Modena 21 febbraio 2006) abbia prevalso l’interpretazione secondo la quale l’obbligazione del lavoratore a progetto può essere « tanto di mezzi quanto di risultato a seconda dell’opus concretamente dedotto in contratto». Il richiamo, nei termini essenziali, al dibattito in parola rileva anche perché esso appare “rinvigorito” dalle modifiche operate, in specie al secondo capoverso del comma 1, art. 61, d.lgs. n. 276/2003, dalla riforma del 2012; per ulteriori rilievi si rinvia infra nota 36. (32) Cfr. comma 23, art. 1, della l. n. 92/2012 entrata in vigore il 18 luglio 2012. (33) Cfr. comma 24, art. 1, l. n. 92/2012 per cui le disposizioni di riforma si applicano limitatamente ai contratti stipulati successivamente alla data di entrata in vigore della legge, il che determina – vale appena osservare – la circostanza, densa di implicazioni innanzitutto di carattere pratico, della «coesistenza di due modelli di contratto a progetto, la cui disciplina è sensibilmente differenziata in ragione di un dato meramente temporale», per cui si rinvia a G. FERRARO, Flessibilità in entrata: nuovi e vecchi modelli di lavoro flessibile, cit., 593. (34) In specie, sancendo la netta appartenenza dei contratti a progetto alla categoria dei contratti d’opera regolati dal codice civile; così, sottolinea G. FERRARO, Il lavoro autonomo nella riforma del mercato del lavoro, in MGL, 2012, 12, 986. (35) Corsivo aggiunto per evidenziare l’ulteriore modifica introdotta a mente del d.l. 28 giugno 2013, n. 76, convertito nella l. 9 agosto 2013, n. 99. DRAZZOLI, LAVORO A PROGETTO NEI CALL CENTER: IL RUOLO DELLE PARTI SOCIALI 169 to di un risultato (36) – la novella legislativa aggiunge – non senza contraddizioni – una serie di interventi sul piano sanzionatorio, da un lato, e della disciplina di tutela, dall’altro, che rendono strettissime le maglie della legittima utilizzazione dello strumento (37). Tali limitazioni dovrebbero incidere anche, in linea generale, sull’applicazione di questo tipo contrattuale nei call center (38). Tuttavia, alle nuove rigidità ed incertezze del dato normativo – che non sembrano risolte dalle successive precisazioni amministrative (39) – si affianca un secondo provvedimento (40) per effetto del quale, e stavolta (36) La locuzione ribadita al secondo capoverso per cui «Il progetto deve essere funzionalmente collegato ad un determinato risultato finale» (introdotto da lett. a, comma 23, art. 1, l. n. 92/2012) sembra far trasparire – come già anticipato (vedi supra nota 31) – la convinzione che il lavoro autonomo genuino sia soltanto quello avente ad oggetto «un’obbligazione di risultato, rigidamente predeterminato nel suo contenuto al momento dell’impegno contrattuale»; così G. FERRARO, Il lavoro autonomo nella riforma del mercato del lavoro, cit., 986. Contra, si rinvia alle argomentazioni di A. PERULLI, Il lavoro autonomo tradito e il perdurante equivoco del “lavoro a progetto”, cit., 12-16, che in specie valorizzando il nuovo dato normativo (soprattutto a mente delle modifiche operate dal legislatore del 2012 all’art. 62, lett. b, del d.lgs. n. 276/2003) perviene a conclusioni diverse, sia pure in seconda battuta (si vedano, invece, in termini sostanzialmente adesivi le prime considerazioni dello stesso autore in A. PERULLI, Il lavoro autonomo e parasubordinato nella riforma Monti, in LD, 2012, 544). (37) Cfr. G. FERRARO, Flessibilità in entrata: nuovi e vecchi modelli di lavoro flessibile, cit., 567 ss. Per l’esame approfondito delle modifiche si rinvia ai contributi degli autori citati in nota 12. (38) In quanto l’attività richiesta al collaboratore è generalmente di tipo esecutivo o ripetitivo e non di rado coincidente proprio con l’oggetto sociale (si pensi, ad esempio, alle imprese che esercitano soltanto attività di televendita o telepromozione). Sul vivace dibattito suscitato, già durante l’iter di discussione della riforma delle collaborazioni a progetto, in ordine alle conseguenze per i committenti che gestiscono call center, si veda a titolo esemplificativo A. BIONDI, Allarme dei call center: in pericolo 30mila posti, in Il Sole 24 Ore, 23 aprile 2012. (39) In particolare, circ. Min. lav. n. 29 dell’11 dicembre 2012, che con un sostanziale “pentimento” fornisce una lettura mitigata dei contenuti della l. n. 92/2012, soprattutto con riguardo alle novità introdotte nella definizione di progetto; cfr. R. CAMERA, Collaborazione a progetto: requisiti di genuinità, in DPL, 2013, 5, 333 ss. Dello stesso tenore e sostanzialmente adesiva è anche la circ. Inail 19 febbraio 2013, n. 13, che si può leggere in www.normativo.inail.it. Per un esame approfondito delle modifiche in parola che si è scelto di non compiere in questa sede si rinvia, ancora una volta, ai contributi segnalati in nota 12. (40) Cfr. art. 24-bis (Misure a sostegno della tutela dei dati personali, della sicurezza nazionale, della concorrenza e dell’occupazione nelle attività svolte da call center), inserito nel provvedimento di conversione del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, così come modificato dalla l. 7 agosto 2012, n. 134, che è entrata in vigore a decorrere dal 12 agosto 2012. La successione delle norme in parola pone, evidentemente, un problema 170 SABRINA CASSAR con esclusivo riferimento proprio ad aziende di call center, è sancita una “rimodulazione” (41) della disciplina del lavoro a progetto. L’intervento, di sostanziale retromarcia, risalta subito sia per i tempi della modifica che per la “tecnica” normativa utilizzata. In effetti, a soli pochi giorni dall’entrata in vigore della nuova definizione normativa, il legislatore sancisce un’eccezione con riguardo al contratto a progetto stipulato con committenti che gestiscono call center per la «vendita diretta di beni e servizi» (42), allorquando l’operatore telefonico operi in outbound e il corrispettivo sia «definito dalla contrattazione collettiva nazionale di riferimento». Questa clausola di “salvaguardia” – la cui ratio sembra chiaramente quella, diametralmente opposta rispetto alla linea generale di politica legislativa in materia, di favorire l’utilizzazione del contratto di lavoro a progetto nei call center – pone una serie di questioni applicative. In primo luogo, elementi di criticità del mutato contesto normativo derivano dal richiamo espresso alla definizione – originata dalla prassi amministrativa, cui più volte si è già fatto riferimento – di attività svolte in modalità outbound: definizione che, sia pure ricollegata opportunamente ad un comportamento attivo del lavoratore, non è sempre agevolmente traducibile sul piano pratico (43). Inoltre, l’individuazione delle ipotesi ricomprese nel campo di applicazione della previsione è resa ambigua dal requisito numerico introdotto dal comma 1, articolo 24-bis, della legge n. 134/2012 con riferimento di valutazione della legittimità dei contratti a progetto sottoscritti nel periodo che intercorre tra il 18 luglio e l’11 agosto 2012, per cui trova integrale applicazione la l. n. 92/2012. (41) Così M. MARAZZA, Il lavoro autonomo dopo la riforma del Governo Monti, cit., 895. (42) Secondo la definizione già contenuta nella circ. Min. lav. n. 17/2006. Sono pertanto escluse dalla deroga – sebbene sfugga il senso di una limitazione di tal fatta – le altre attività come quelle finalizzate a ricerche di mercato o al recupero dei crediti; conferma, su tale piano, nonostante l’iniziale tentativo di resistenza a favore di un’interpretazione estensiva capace di ricomprendere anche ogni altra attività svolta in modalità outbound (cfr. l’intervista a M. BIONDI, responsabile del settore call center Federtelservizi, che parla di «refuso del legislatore», in www.oipamagazine.ue/stampa9343) si può trarre dalla stipulazione dei primi accordi tra le parti sociali, per un esame del quale di rinvia infra al paragrafo successivo. Contra, si veda lettera circ. Min. lav. del 12 luglio 2013 che sembra invece notevolmente ampliare il ventaglio delle ipotesi con riguardo in specie alle “attività di servizi”. (43) Si pensi alle attività c.d. multiskin, cioè sia “in” che “outbound”; cfr., sul punto, A. MARESCA, L. CAROLLO, op. cit., 682. LAVORO A PROGETTO NEI CALL CENTER: IL RUOLO DELLE PARTI SOCIALI 171 alla disciplina limitativa dettata in tema di delocalizzazione di call center (44). Al riguardo, sembra preferibile l’interpretazione basata sulla distinzione ed autonomia delle due discipline – relative a situazioni non coincidenti e volte a soddisfare esigenze diverse se non opposte – nel senso che la precisazione per cui le “misure” previste «si applicano alle attività svolte da call center con almeno venti dipendenti» deve intendersi riferita solo alle limitazioni in materia di delocalizzazione dei call center, di cui ai commi successivi (fino al sesto), ma non già al comma settimo (45) della medesima disposizione in materia di esclusione (totale o parziale, è da vedere) delle stesse attività dalla disciplina del lavoro a progetto. In effetti, l’ultimo comma dell’articolo 24 citato, modificando direttamente il comma 1 dell’articolo 61 del decreto legislativo n. 276/2003 (senza alcuna riproposizione, ivi, della limitazione numerica), sembra estendere la disciplina speciale in esame alle aziende di call center indipendentemente dalle loro dimensioni. D’altro canto, l’ambiguo dato letterale della norma rende difficile interpretare sia la portata della previsione speciale che il suo rapporto con la generale disciplina applicabile al contratto di lavoro a progetto. I dubbi, in particolare, nascono dal fatto che la precisazione introdotta con la legge dell’agosto 2012 è inserita in una parte della norma di disciplina del lavoro a progetto in cui – come è noto – è prevista l’esclusione in toto dalla relativa regolamentazione degli agenti e dei rappresentanti di commercio, cui ora sembra aggiungersi (stando alla locuzione “nonché”) la nuova ipotesi. (44) Il provvedimento, rubricato Tutela della concorrenza e dell’occupazione nelle attività svolte da call center, introduce – nei primi sei commi – un insieme di prescrizioni formali e procedurali volte ad evitare o contenere la delocalizzazione delle imprese esercenti call center, indipendentemente dalla tipologia contrattuale di lavoro utilizzata ovvero dall’esercizio delle attività in inbound e in outbound. Per un primo chiarimento dei profili applicativi delle regole in parola si rinvia a circ. Min. lav. n. 14/2013, 3 ss. (45) Vale a dire proprio con riferimento al comma che, inserito con un emendamento “dell’ultima ora” nella disposizione dell’art. 24-bis in sede di conversione del c.d. decreto sviluppo, stabilisce che «All’articolo 61, comma 1, del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, e successive modificazioni, dopo le parole: “rappresentanti di commercio” sono inserite le seguenti: “nonché delle attività di vendita diretta di beni e di servizi realizzate attraverso call center ‘outbound’ per le quali il ricorso ai contratti di collaborazione a progetto è consentito sulla base del corrispettivo definito dalla contrattazione collettiva nazionale di riferimento”». 172 SABRINA CASSAR Nel contempo, sempre sul piano letterale, occorre dar conto del periodo – immediatamente successivo – ove si precisa che per le attività di call center in outbound il ricorso a contratti di collaborazione a progetto è «consentito sulla base del corrispettivo» definito dalla contrattazione collettiva. Stante la collocazione e la formulazione della disposizione in parola sembra condivisibile l’interpretazione per cui il legislatore ha ammesso anche per tali attività l’utilizzo del contratto di lavoro a progetto – in deroga alla disciplina generale (rectius in deroga ai suoi elementi costitutivi) – solo e nei limiti in cui sussista la determinazione negoziale rinviata alla individuata fonte collettiva. In altri termini, la norma in esame non può che avere una natura “autorizzatoria”: di talché, occorre ritenere che la mancata pattuizione di corrispettivi definiti dalla contrattazione collettiva nazionale di riferimento non abilita, senza altra possibilità surrogatoria, la condizione di accesso alla disciplina (speciale) del progetto Peraltro, sul piano della determinazione del compenso, si osserva come qui non sia imposta – come invece dalla attuale regolamentazione del corrispettivo (ai sensi del novellato articolo 63, decreto legislativo n. 276/2003) per la generalità dei collaboratori a progetto – una valutazione temporale o professionale della prestazione, poiché è la «contrattazione collettiva nazionale di riferimento» che da un lato, come già detto, abilita la deroga rispetto al tipo generale e, dall’altro, stabilisce tout court come deve essere determinato il compenso dell’operatore. La stessa ratio (46) dello speciale assetto regolativo a «tutela della concorrenza e dell’occupazione delle attività» di call center, sostanzialmente, esclude che la mancata determinazione del corrispettivo ne im(46) Cfr. sul punto V. PINTO, Prime chiose sulla nuova disciplina delle collaborazioni a progetto, cit., 22, per cui è chiaro che il legislatore al fine di incentivare la permanenza sul territorio nazionale di queste attività labour intensive ha inteso garantire agli operatori economici un duplice beneficio: da un lato, l’esonero dall’obbligo di stipulare il contratto a progetto, e dall’altro, in caso di ricorso al contratto a progetto l’esonero dai parametri di comparazione ora sanciti in via generale. Contra, i dubbi di M. MARAZZA, Il lavoro autonomo dopo la riforma del Governo Monti, cit., 896, secondo cui è necessario interpretare la disposizione in parola nel senso che la legge ha solo autorizzato la contrattazione collettiva a definire il compenso di questi collaboratori in deroga alla disciplina generale «con la conseguenza che, in mancanza di specifiche pattuizioni collettive destinate ai venditori di call center outbound, è alla disciplina generale che le parti devono fare riferimento per la determinazione dei compensi», in quanto altrimenti si arriva alla conclusione della necessità «solo per i venditori» e non per le altre categorie di lavoratori a progetto, di condizionare «l’utilizzabilità del contratto all’esistenza di un preventivo accordo sindacale». LAVORO A PROGETTO NEI CALL CENTER: IL RUOLO DELLE PARTI SOCIALI 173 porti la relativa definizione con applicazione degli elementi di comparazione previsti dal nuovo comma 2 dell’articolo 63. L’ineludibilità della disposizione in esame, tuttavia, appare contraddetta – sia pure solo pro-tempore – dagli interventi amministrativi. In particolare, infatti, una recente indicazione ministeriale – che, vale ricordarlo, ha un’efficacia limitata agli organi ispettivi – specificamente ammette che nelle more della introduzione delle clausole relative da parte della contrattazione collettiva di riferimento, «al fine di non impedire l’utilizzo della tipologia contrattuale, il contratto di collaborazione coordinata e continuativa nell’ambito dei call-center appare comunque consentito nel rispetto di quanto stabilito in via generale dall’art. 63, comma 2, del D.Lgs. n. 276/2003» (47). Questa interpretazione, sebbene ragionevole, è stata accolta con notevole stupore dagli operatori (e non solo) in quanto, sostanzialmente, in contrasto con la lettera della disposizione nonché con la ratio dell’intervento legislativo, che, come evidenziato, sembra invece volto ad assecondare le richieste degli addetti del settore di ricorrere a collaborazioni non subordinate e con la possibilità di corrispondere trattamenti economici di mercato, sia pure con il “filtro” sindacale. 4. Presunzione legale di legittimità del progetto o ritorno alle collaborazioni coordinate e continuative senza progetto? L’esame della deroga in argomento appare sollevare criticità – quantomeno ad una prima lettura – anche con riguardo al rapporto tra detta disciplina speciale e la regolamentazione generale sancita a mente degli articoli 61 e seguenti del decreto legislativo n. 276/2003. In particolare, la previsione di “salvaguardia” inserita nell’incipit dell’articolo 61 non esclude una diversa interpretazione, rispetto a quella finora prevalsa di ritenere, in ogni caso, necessaria (fatte salve solo le eccezioni di carattere definitorio) la riconduzione al tipo generale (lavoro a progetto) delle collaborazione coordinate e continuativa prestate a favore di call center in outbound, per la vendita diretta di beni e servizi. (47) Così, testualmente circ. Min. lav. n. 14/2013, 5, che, allo stesso tempo, contraddice l’affermazione relativa all’inderogabilità della medesima previsione, la cui mancanza determina «l’illegittimità del co.co.pro. e la sua conversione in contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato». 174 SABRINA CASSAR Così si può affermare (48) – ragionando a contrario – che il legislatore opti per l’esclusione dall’ambito di applicazione della disciplina del lavoro a progetto delle attività di vendita mediante call center in outbound e che le conseguenze giuridiche di tale esclusione debbano essere le stesse di quelle valevoli per ogni altra ipotesi di eccezione già sancita dal legislatore del 2003. In altri termini, secondo la lettura proposta, si ritiene che i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa in parola non vengano ricondotti ex lege ad un progetto e che nel caso – in mancanza di una propria regolamentazione (come, invece, prevista per gli agenti e i rappresentanti di commercio) – ad essi si applica la disciplina generale e residuale delle collaborazioni coordinate e continuative (49). Nel contempo, la tesi appena richiamata, fa salva – ma, qui, senza una imposizione di carattere legale (50) – la possibilità di stipulare contratti di lavoro a progetto anche nell’ambito dei call center per la vendita diretta di beni o servizi in modalità outbound ed, in questo caso, con l’applicazione della regolamentazione speciale di deroga agli elementi costitutivi del progetto. Vale sottolineare che tale suggestiva lettura della norma, che pure non è priva di un supporto argomentativo sul piano strettamente ermeneutico (51), sconta il rischio che si determini un irragionevole abbassamento (48) Cfr. V. PINTO, Prime chiose sulla nuova disciplina delle collaborazioni a progetto, cit., 21 ss. In termini adesivi, si rinvia anche alle argomentazioni di P. CHIECO, G. FARINA, I contratti di collaborazione nei call center dopo la riforma Monti-Fornero, in Boll. ADAPT, 2013, n. 1, 4-5. (49) Contra, l’indicazione della Fondazione studi dei consulenti del lavoro dell’8 ottobre 2012, n. 17, scaricabile in www.fondazionestudicdl.it. (50) Stante la locuzione “devono essere riconducibili” che segue e che va riferita a tutte le altre ipotesi rientranti nel campo di applicazione della “norma generale”; P. CHIECO, G. FARINA, op. cit., 4. (51) Soprattutto ove si consideri il testo originario dell’emendamento (recante numero 24.024) proposto e approvato in sede di conversione del d.l. n. 83/2012 che prevedeva che «All’articolo 1, comma 23, lettera a), della legge 28 giugno 2012, n. 92, dopo le parole “rappresentanti di commercio” sono aggiunte le seguenti: “nonché le attività di vendita diretta di beni e servizi realizzati attraverso call center ‘Outbound’ per le quali il ricorso ai contratti di collaborazione a progetto è consentito sulla base del corrispettivo definito dalla contrattazione collettiva nazionale,”»; corsivo aggiunto. In particolare, sul punto rileva come in sede di conversione nel testo di l. n. 134/2012 si legga, invece, «nonché delle attività di vendita diretta di beni e servizi realizzati attraverso call center “Outbound” per le quali il ricorso ai contratti di collaborazione a progetto è consentito sulla base del corrispettivo definito dalla contrattazione collettiva nazionale,»; anche qui corsivo aggiunto. In altri termini, sulla base del testo originario dell’emendamento sembra possibile argomentare più agevolmente la volontà di rife- LAVORO A PROGETTO NEI CALL CENTER: IL RUOLO DELLE PARTI SOCIALI 175 delle tutele per i lavoratori interessati, ancora privi di una diversa sostanziale disciplina. Di talché, sembra preferibile una interpretazione che – nonostante la scarsa chiarezza delle locuzioni utilizzate e la “originale” posizione in cui è stata inserita la nuova disposizione – sul piano sistematico – tenuto anche conto dello spirito complessivo della riforma attuata con legge n. 92/2012 – conduca a ritenere che la precisazione introdotta importi una sostanziale “presunzione di legittimità” del contratto a progetto avente ad oggetto attività di vendita diretta di beni e servizi realizzate attraverso call center. In altri termini, si conviene che le attività di vendita diretta di beni e servizi realizzate attraverso call center rientranti nel campo di applicazione della disciplina speciale (e per ciò autorizzate dall’accordo sindacale) sono validamente, esse stesse, riconducibili ad un progetto senza necessità dei presupposti costitutivi stabiliti in termini generali dall’articolo 61 del decreto legislativo n. 276/2003. Peraltro, sul piano dell’individuazione dei termini dell’eccezione vale appena aggiungere come all’interpretazione più larga – che si preferisce – si contrapponga una diversa lettura per cui la deroga della disciplina speciale è limitata alla determinazione del compenso minimo dovuto, nonché, alla verifica della natura meramente esecutiva o ripetitiva della prestazione (52). Il breve richiamo agli elementi essenziali della nuova regolamentazione manifesta dunque più di una inquietudine a fronte delle differenti posizioni prospettabili. L’unico dato certo appare quello di una complicazione rilevante del quadro normativo che non solo condurrà, con ogni probabilità, ad un aumento del contenzioso ma che, soprattutto, determina il rischio di un effetto contrario alla ratio del “frettoloso” intervento legislativo. rirsi ad una disciplina specifica per le attività in parola ed alla relativa esclusione dal campo di applicazione della disciplina generale. Il testo dell’emendamento nelle diverse versioni è scaricabile sul sito della Camera dei deputati, nel link Elenco delle proposte emendative (36) nelle commissioni riunite VI-X in sede referente pubblicate nel Bollettino delle Giunte e Commissioni del 20/07/2012 (n. 687) riferite al C. 5312, in ordine di pubblicazione. (52) Così M. MARAZZA, Il lavoro autonomo dopo la riforma del Governo Monti, cit., 897, per cui, in ogni caso, resta applicabile, al fine della legittima configurabilità del tipo speciale, la disciplina generale del progetto relativamente all’individuazione del risultato finale e alla non coincidenza con l’oggetto sociale. 176 SABRINA CASSAR 5. Il pragmatismo delle parti sociali nei primi accordi collettivi post-riforma A fronte delle modifiche legislative sopra richiamate, “nervi più saldi” e maggiore pragmatismo rispetto alla “sbrigativa” soluzione del legislatore sembrano dimostrare ancora una volta le parti sociali. Queste ultime – in primo luogo – prendono atto che l’esenzione ad hoc dalla disciplina del lavoro a progetto a favore degli operatori telefonici di call center è limitata esclusivamente alle attività di «vendita diretta di beni e servizi» che sia riconducibile ad un singolo committente e che si realizzi con chiamate all’utenza per un arco di tempo predeterminato. Nel contempo, le parti sociali provvedono a colmare la mancanza di una contrattazione collettiva specifica per gli operatori di call center. In particolare, subito dopo l’entrata in vigore delle nuove disposizioni normative, le associazioni di categoria prevedono ove possibile un percorso di adattamento alle nuove condizioni di legittimità del lavoro autonomo a progetto e, dall’altro, propongono programmi di graduale assorbimento nell’area del lavoro dipendente. Su questo piano, vale il richiamo al protocollo d’intesa Unirec e Filcams, Fisascat e Uiltucs, per il settore dei servizi a tutela del credito (53), e all’accordo quadro raggiunto tra Anasfim e una parte degli stessi sindacati di categoria (54), relativamente al settore del marketing operativo. La prima intesa è diretta a regolamentare per gli operatori telefonici l’applicazione della disciplina delle collaborazioni coordinate e continuative nella modalità a progetto senza deroga (55) e, a tal fine, stabilisce «le linee guida vincolanti» per le aziende del settore. In specie, la previsione contrattuale in esame, che rappresenta la prima regolamentazione collettiva (56) relativa al settore del recupero crediti (53) Stipulato in data 5 dicembre 2012. L’accordo si può scaricare dal sito www.unirec.it. (54) In particolare, alla sottoscrizione dell’intesa – avvenuta in data 7 dicembre 2012 (consultabile online all’indirizzo www.anasfim.it) – si sottrae la Nidil-Cgil. (55) In effetti, si sottolinea che se l’accordo dichiara, in premessa, che il recupero crediti «rientra nel quadro di perfezionamento della obbligazione della vendita» – e, perciò, è ivi richiamato «il regime del 24 bis del decreto sviluppo» – tuttavia, nel proseguo l’accordo stesso non cita più la deroga e ogni altra disposizione in esso contenuta è diretta, appunto, all’utilizzo della disciplina generale del tipo a progetto nel settore ovvero alla stabilizzazione dei rapporti esclusi. (56) Sostanzialmente incardinata nel Ccnl degli Studi professionali (economicamente meno oneroso del Ccnl commercio ma più vantaggioso del Ccnl TLC), il quale – do- LAVORO A PROGETTO NEI CALL CENTER: IL RUOLO DELLE PARTI SOCIALI 177 stragiudiziale, definisce la “Declaratoria”, le caratteristiche e le modalità di esecuzione della prestazione, nonché la determinazione del compenso e dei relativi criteri (57) relativamente alle attività per la tutela del credito affidate all’operatore telefonico outbound a progetto. D’altro canto, per le attività esclusivamente svolte in modalità inbound, allorquando esse consistano in «compiti meramente esecutivi o ripetitivi» (58), le parti dell’intesa in parola convengono espressamente sulla riconduzione del contratto di lavoro degli operatori a rapporti di tipo subordinato sulla base di percorsi di stabilizzazione che consentono il graduale assorbimento dei costi più elevati per le imprese (59). Nella prospettiva evidenziata, nell’ambito delle relazioni industriali in esame appare significativo anche un brevissimo richiamo all’accordo (60) relativo al marketing operativo che, pur esulando dall’analisi specifica delle prestazioni di lavoro nei call center, si segnala come importante intesa che mira a contrastare, alla luce delle modifiche legislative sul progetto, l’utilizzo di contratti di collaborazione autonoma in questo settore. Anche qui, per garantire un passaggio “morbido” da questa condizione alla più costosa area del lavoro subordinato, vengono definite regole particolarmente flessibili, con rinvio (come sancito espressamente nel titolo dell’accordo quadro) alla «contrattazione aziendale di 2° livello». po un’analisi congiunta con Confprofessioni – disciplinerà il comparto del recupero crediti nella sua interezza. (57) Cfr. punto b dell’art. 2. (58) Cfr. punto b dell’art. 1, che specificamente richiama come tali i livelli dal V al VII del Ccnl commercio e terziario e i livelli IV e V del Ccnl studi professionali. (59) Cfr. punto e dell’art. 2, che, in particolare, prevede la possibilità – per un periodo massimo di trenta mesi relativamente al personale da stabilizzare, ovvero per i primi sei mesi in caso di nuove assunzioni – di parametrare la retribuzione al livello più basso (V livello) del Ccnl degli studi professionali. (60) In specie, si osserva trattasi di un’applicazione contrattuale operata ai sensi dell’art. 8 della l. n. 148/2011, che però non viene mai citato! Per un esame del tema, che non si può approfondire in questa sede, si rinvia tra gli altri ai contributi di R. DEL PUNTA, Gli accordi “separati” sono antisindacali? Il sistema sindacale “di fatto” nell’era della disunità sindacale, in RIDL, 2011, II, 690; A. VALLEBONA, L’efficacia derogatoria dei contratti aziendali o territoriali: si sgretola l’idolo dell’uniformità oppressiva, in MGL, 2011, n. 10; G. SANTORO-PASSARELLI, Accordo interconfederale del 28 giugno 2011 e art. 8, d.l. n. 138/2011, conv. con modifiche in legge n. 148/2011: molte divergenze e poche convergenze, in ADL, 2011, 6, 1224 ss.; A. MARESCA, La contrattazione collettiva aziendale dopo l’art. 8 d.l. 13 agosto 2011, n. 138, in www.cuorecritica.it; A. GARILLI, L’art. 8 della legge n. 148/2011 nel sistema delle relazioni sindacali, Working Paper C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona”.IT, 2012, n. 139. 178 SABRINA CASSAR In specie, se da un lato si prevede l’applicazione del Ccnl del terziario della distribuzione e dei servizi, dall’altro si specifica l’intenzione di «utilizzare gli spazi offerti dalla contrattazione e dalla legge, per adattare la disciplina dei rapporti individuali alle esigenze specifiche di questo comparto» (61). Nell’accordo, come detto, le figure professionali del promoter e del merchandiser sono ricondotte esclusivamente nell’alveo del lavoro dipendente, ma collocate (almeno fino a tutto il 2015) in un livello molto basso, il settimo, e con progressioni retributive lente e scaglionate nel tempo (62). D’altro canto – ad un anno dall’entrata in vigore delle nuove disposizioni normative – rileva segnalare che le parti sociali hanno raggiunto importanti intese di carattere nazionale proprio con riguardo al settore dei call center in outbound. Particolarmente significativo è il primo contratto collettivo nazionale di categoria stipulato, il 22 luglio 2013, tra Assocall e Ugl terziario (63) cui ha fatto già seguito un’ulteriore intesa, sul piano nazionale, siglata il 1° agosto tra Assocontact e i principali sindacati di categoria Slc-Cgil, Fistel-Cisl e Uilcom (64). uesti contratti collettivi di lavoro rappresentano senz’altro un’importante novità nel panorama delle relazioni industriali in quanto, per la prima volta, le parti sociali stabiliscono – a livello nazionale – una piattaforma di regole, di diritti e di welfare per i lavoratori operanti come collaboratori autonomi nei call center. (61) Non senza un pizzico di malizia, sul punto, non sfugge il “tempismo” di una recente indicazione ministeriale che fornisce ulteriori istruzioni alla attività ispettiva a seguito delle novità sul progetto proprio con riguardo all’attività dei c.d. promoters. Ci si riferisce a circ. Min. lav. n. 7 del 13 febbraio 2013 che con riguardo al lavoro dei promoters e dei merchandisers richiama le possibilità di regolare tali rapporti, nel rispetto della l. n. 173/2005 (recante la Disciplina della vendita diretta a domicilio e tutela del consumatore dalle forme di vendita piramidali), nell’ambito delle collaborazioni occasionali. (62) Inoltre, sul piano retributivo, è significativa la dichiarazione con cui le parti stipulanti si impegnano a porre in essere «tutte le iniziative più opportune» affinché la retribuzione calcolata secondo le disposizioni dell’accordo venga, in ogni caso, assunta come base per il calcolo dei contributi previdenziali e assistenziali; cfr. punto F dell’accordo. (63) Tale contratto, siglato con la consulenza giuridica della Fondazione studi del Consiglio nazionale dell’Ordine dei consulenti del lavoro, è scaricabile dal sito www.dplmodena.it. (64) L’accordo si può leggere sul sito di Assocontact. LAVORO A PROGETTO NEI CALL CENTER: IL RUOLO DELLE PARTI SOCIALI 179 In particolare, si sottolinea come entrambi i recentissimi accordi siano riferiti, specificamente, a collaboratori telefonici dei call center che svolgono attività di vendita diretta di beni e di servizi (e attività ad esse connesse ed accessorie), in modalità outbound, e come le intese in parola provvedano, in primis, alla determinazione del corrispettivo – composto di una parte minima garantita e di una parte variabile – atto ad abilitare la previsione di “salvaguardia” introdotta dalla legge n. 134/2012, nei limiti sopra evidenziati. Vale anche ricordare come gli accordi collettivi appena richiamati prevedano, tra l’altro, l’attivazione di un ente bilaterale nazionale costituito appositamente per il settore dei call center, cui viene affidato, tra le priorità, il compito di promuovere una serie di importanti tutele inerenti alla formazione professionale, all’integrazione del reddito per i periodi di non lavoro a fronte di particolari prestazioni sociali nonché alla previsione di prestazioni sanitarie integrative. 6. Considerazioni conclusive La strada contrattuale avviata dalle parti sociali sembra capace di facilitare l’individuazione di soluzioni efficienti (65) tese a migliorare la farraginosità della regolamentazione legale, da un lato, ed impedire gli abusi nell’utilizzo delle collaborazioni autonome, dall’altro. Sempre più determinante appare il ruolo che – anche in questo settore – può essere giocato dagli attori sociali, cui è affidato in primo luogo il compito di facilitare il percorso interpretativo della riforma. In particolare, attraverso una «modulazione delle tecniche normative» (66), i soggetti collettivi appaiono in grado di agevolare l’interpretazione della nuova regolamentazione anche attraverso un incremento delle tutele a favore dei collaboratori, tenuto conto che, al netto della tara conseguente al patologico utilizzo improprio delle collaborazioni autono- (65) Cfr. M. TIRABOSCHI, La disoccupazione giovanile in tempo di crisi: un monito all’Europa (continentale) per rifondare il diritto del lavoro?, in q. Rivista, 2012, n. 2, 435; in particolare, ove l’Autore sottolinea l’opportunità di insistere su relazioni industriali cooperative, sulla contrattazione collettiva decentrata e sulla determinazione della retribuzione in maniera flessibile, in quanto si tratta di fattori che hanno già mostrato nei Paesi in cui sono stati attivati che «si può sviluppare un ambiente produttivo maggiormente efficiente e si possono aprire spazi per l’occupazione dei giovani». (66) Cfr. R. PESSI, in AA.VV., Le tecniche normative nella disciplina del lavoro, Atti del convegno 7 maggio 2004, Roma, Giappichelli, 2005, 24. 180 SABRINA CASSAR me, tali tipologie risultano di fatto particolarmente aderenti ai modelli organizzativi richiamati. In buona sostanza, il settore appare oramai maturo per operare un’opportuna “ri-regolazione” del tipo che passi per una riduzione delle condizioni di debolezza economico-sociale del collaboratore nei confronti del committente e del mercato. Sicché, appare condivisibile l’azione collettiva, che, a fronte dell’introduzione di meccanismi di salario flessibile, è finalizzata ad un incremento delle garanzie di protezione – quali quelle della individuazione di specifiche risorse da destinare a forme di assicurazione e di previdenza integrativa, nonché della previsione di tutele in tema di sicurezza e di privacy – e delle misure che nel complesso favoriscano la tutela dell’individuo nella società (67). In questa direzione sembrano, in effetti, essersi avviate le parti sociali con i primi accordi di cui si è dato rapido resoconto, i quali per la prima volta prevedono una serie di importanti garanzie per i lavoratori a progetto del settore (68). L’azione collettiva si rileva, dunque, un interessante campo di prova per accrescere la fiducia nella capacità regolatoria degli attori del mercato e per riprendere quel cammino di “semplificazione sostanziale”, da tempo auspicato (69) quale percorso in grado – senza scorciatoie – di rendere effettive le tutele e, nel contempo, produttivo il lavoro. La nuova prestazione di lavoro a progetto nei call center: “a passo di gambero” sul tortuoso percorso interpretativo della disciplina speciale. Il ruolo delle parti sociali – Riassunto. L’indagine prende spunto da un recente provvedimento del legislatore, che, dopo aver modificato la disciplina del contratto di lavoro a progetto, in(67) In particolare, si condivide l’affermazione per cui «un collaboratore a progetto non può dirsi precario perché privo di un contratto a tempo indeterminato. È precario, invece, se si considera: a) l’assenza di una tutela economica in materia di malattia e gravidanza; b) l’assenza di una tutela previdenziale; c) l’assenza di una tutela che guardi all’individuo ed alla sua posizione nella società, anche oltre il rapporto di lavoro (ad esempio per quanto riguarda l’accesso al credito)»; così M. MARAZZA, Problemi e futuro del lavoro a progetto, dattiloscritto della relazione al convegno Cnel dal titolo Il futuro del lavoro a progetto, organizzato dalla rivista telematica Il Diario del Lavoro, Roma, 29 novembre 2005, 10. (68) In particolare, così gli accordi collettivi di carattere nazionale di cui si è dato rapido conto ma anche specificamente lett. d, art. 1, dell’accordo relativo al settore del recupero crediti stragiudiziale per quanto attiene la previsione della assistenza sanitaria integrativa. (69) Cfr. su tale piano le principali posizioni della dottrina rintracciabili in AA.VV., Le tecniche normative nella disciplina del lavoro, cit. LAVORO A PROGETTO NEI CALL CENTER: IL RUOLO DELLE PARTI SOCIALI 181 terviene (nel giro di pochi giorni) a dettare una regolamentazione di deroga per le «attività di vendita diretta di beni e servizi realizzate attraverso call center outbound». Questa disposizione – la cui ratio appare quella, diametralmente opposta rispetto alla linea generale di politica legislativa in materia, di favorire l’utilizzazione del contratto di lavoro a progetto nei call center – pone una serie di questioni applicative. Il contributo tenta una ricomposizione del nuovo quadro giuridico di riferimento: da un lato, mette in evidenza come la norma lasci aperta più di una soluzione, sia sul piano della definizione delle condizioni di operatività della eccezione, sia su quello dell’individuazione del rapporto di species tra questa disciplina e quella generale applicabile al contratto di lavoro a progetto; dall’altro, segnala l’azione delle parti sociali con un richiamo ai primi accordi collettivi stipulati dopo la novella sul lavoro a progetto e alle prime intese di carattere nazionale raggiunte nel settore dei call center in outbound. Project Work in Call Centres, its Difficult Interpretation and the Role of Social Partners: One Step Forward, Two Steps Back (Article in Italian) – Summary. This paper draws on a recent provision which, after amending the regulation of project work, provides some exceptions for “the direct sell of goods and services made through outbound call centres”. This seems to counter the position of law-makers on this issue, as the new provision favours the use of project work contracts in call centres, although posing some questions in terms of implementation. The paper makes an attempt to review the current legal framework; attention is paid to the fact that the provision gives much latitude when it comes to the definition and the identification of the foregoing exceptions, especially in relation to the general provisions regulating project work contracts. Reference is also made to social partners and early collective agreements concluded in this sector also at national level, following these recent developments.