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ESSERE DONNE LIBERARSI DAGLI SCHEMI

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ESSERE DONNE LIBERARSI DAGLI SCHEMI
geniodonna
www.geniodonna.it • www.geniodonna.ch
Poste Italiane Spa - Spedizione in A.P. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1 comma 1 - DCB Como
Periodico di fatti e di idee di Como e del Cantone Ticino - Anno I - N. 3 -Dicembre 2009/Gennaio 2010
ESSERE DONNE
LIBERARSI DAGLI SCHEMI
Ticino
La carta dei servizi
per l’infanzia
Como
La storia: uomo nel corpo
donna nel cuore
Finanziato dall’UE - progetto Geniodonna I.D. 7671128 - Interreg Italia/Svizzera Fondo Fesr
La sorellanza
il punto
U
na donna su tre ha subito o subisce violenza. Una su tre.
A chi sarà toccato? Alla biondina là in fondo o alla mia vicina
di casa?
E i dati riportano solo la violenza fisica, terribile, sempre. Figlia di
tante ragioni, nessuna giustificabile, ma figlia forse anche di una
cultura con un occhio solo, che vede la donna come un corpo,
un oggetto e come tale va controllato, esibito, posseduto. Priva di
volontà, non libera di dire basta a un modello imperante che forse
non condivide, ma a cui troppo spesso si assoggetta e che alimenta,
a sua volta, con l’ossessione dell’essere in forma, del piacere e del
conformarsi ai canoni consueti.
Questa società scusa ogni eccesso, tranne l’originalità e la libertà
autentica. Il rischio è farsi affibbiare l’epiteto di vetero femministe
dai più evoluti, di zitelle inacidite (a prescindere dalle reali
condizioni anagrafiche) dai soliti elegantoni che hanno imparato la
galanteria alla scuola militare.
Qui occorre una rivoluzione silenziosa ma concreta che comincia
ancora una volta da noi: primo, non tacere mai, anche se è difficile
e doloroso; secondo non perdonare mai la prima mano alzata, la
seconda arriverà e sarà ancora più pesante; terzo aver il coraggio
della propria identità.
Disegno (1953) di Saul Steinberg
E infine scopriamo (o è riscoperta?) la solidarietà femminile.
Una “sorellanza” di cui si avverte un’impellenza non rinviabile.
Non consentiamo nessun sorriso sarcastico a chi ci crede “più belle
che intelligenti”, “più disponibili che oneste” perché si incomincia
così a solidarizzare con quell’atteggiamento da “maschietti” che
ci vorrebbe sempre e solo “a disposizione”. Siamo donne, mogli,
mamme, amanti, sorelle, amiche abbiamo diritto alla nostra identità
e alla nostra forza. Con o senza tacchi a spillo.
Chiara Ratti
GENIODONNA
Direttore responsabile: Maurizio Michelini. Art director: Graziella Monti. Redazione Como ([email protected]): Guido Boriani, Cristina Sonvico, Idapaola Sozzani.
Segretaria: Giulia Pelizzari. Foto di copertina di Manuela Masciadri; nell’immagine: Ksenia, 26 anni - Ufficio Marketing Garmin Italia.
Illustrazioni: Giuseppe Bocelli, Jerry Kramsky, Carlo Mango, Elena Nuozzi. Fotografie: Anna Bernasconi, Bruno Maria Campagna.
Como - Viale Giulio Cesare 7 - tel. 0312759236/0312499829 - Fax 0312757721 • www.geniodonna.it
Redazione di Lugano-Massagno: Antonella Sicurello • [email protected] - via Foletti, 23
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Editore: Senato delle Donne, presidente: Cristina Sonvico - via don Minzoni, 12 - Como - tel. 334.2308707 - p. Iva e c.f.: 03145230136 - E-mail: [email protected]
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gd
occupazione
Usa: nel lavoro
primato alle donne
In due anni persi 6,4 milioni di posti, mentre la presenza femminile nei prossimi mesi raggiungerà il 50% degli occupati – Forte incremento del part-time
di Sergio Masciadri
N
egli anni Quaranta il governo americano aveva
organizzato una campagna per
convincere le donne a impegnarsi
in prima persona nel mondo del
lavoro, un mondo che era quasi
totalmente riservato agli uomini.
La recente e devastante crisi che
ha colpito i mercati della finanza mondiale ha mischiato le carte. Quella campagna avviata oltre
mezzo secolo fa, per convincere le donne a scendere in campo, ha cominciato a imprimere
un significativo cambio di rotta
nel mercato del lavoro. Grazie o
per colpa della crisi, l’America di oggi ha raggiunto un
importante traguardo: il numero di donne titolari di un
posto di lavoro ha superato
quello degli uomini. La notizia è apparsa sul quotidiano nazionale Usa Today in
un articolo che, analizzando gli ultimi dati sul mercato interno del lavoro forniti
dall’Institute for Women’s
Policy Research, mostra il
grande cambiamento in atto nella società americana e
che è destinato a rivoluzionare tutto il mercato del lavoro: il 49,83% degli attuali
132 milioni di posti di lavoro è occupato dalle donne e,
dicono le previsioni, questa
percentuale salirà fino raggiungere il 50% entro i primi mesi del
2010. Queste previsioni assumono particolare significato in un
periodo in cui la disoccupazione
è in costante aumento, come rileva l’Institute for Women’s Policy Research: dal dicembre 2007
al giugno 2009, negli USA sono
stati persi 6,4 milioni posti di lavoro di cui il 74% ha colpito l’occupazione maschile.
Una tendenza che non sembra
modificarsi anzi, gli effetti della
crisi continua ad espellere mano d’opera spingendo il tasso di
disoccupazione al di sopra del
12%. Di segno opposto sono i
dati che arrivano dal mondo del
lavoro dove maggiore è la presenza femminile e in particolare nei settori sanità, istruzione
e pubblico impiego. In questi
comparti, non solo non vi sono
espulsioni, ma l’occupazione è in
lieve e costante crescita.
Sono cifre da record quelle delle donne occupate negli USA, e
il part-time sta contribuendo in
modo importante a incrementare questa tendenza. È proprio in
questa tipologia d’impiego che
le “quote rosa” sono in numero
superiore a quelle maschili. Una
rivincita femminile che Maureen
Honey, autrice della pubblicazione che ripercorre
la campagna governativa
degli anni Quaranta, commenta positivamente affermando come questo
cambiamento che mette in
discussione
“l’immagine
dell’uomo che porta a casa
il pane”, stia incidendo profondamente anche sul menage familiare.
“Per arrivare a questo traguardo si è dovuto affrontare una lunga fatica, ma
adesso finalmente ci siamo
– commenta l’economista
del lavoro Heidi Hartmann
– oggi si può dire che a dare
l’ultima spallata è stata proprio la crisi economica.”
1
gd
mutamenti
Donna nell’anima
cerca il suo vero corpo
La storia di una donna nata maschio - Il ruolo della famiglia - La difficoltà
e l’attesa dell’operazione chirurgica per riconciliarsi con la propria identità
di Elena Nuozzi
La condizione di una trans
“Il problema principale è prendere consapevolezza di quello
che si è. Sono nata di sesso maschile, ma non sono mai stata un
uomo. Se penso alla mia adolescenza: il disagio, le domande...
essere intrappolati in un corpo
al quale senti di non appartenere. Questa condizione t’impone
un percorso per razionalizzare
e accettarti. All’inizio della mia
transizione ero felice: finalmente sapevo chi ero. Ma non avevo fatto i conti con la realtà e la
capacità di discriminazione degli
altri.”
Il percorso di consapevolezza
La transizione inizia a 19 anni. Fino a quell’età ha un orientamento omosessuale. Inizia
a prendere ormoni femminili.
Continua con la mastoplastica
2
additiva del seno. Oggi è in una
lunga lista d’attesa per la riattribuzione chirurgica del sesso.
“Nel percorso di transizione il
ruolo della famiglia è fondamentale. I miei genitori sanno della
mia situazione da sempre. Quando l’ho detto a mio padre, da anni
al corrente della mia omosessualità, mi ha risposto: ‘Se ti senti e
sei così, da domani comincia a
comportarti per quello che sei’.
Mi hanno accettato, non cacciata di casa come di solito accade,
e mi hanno fatto continuare gli
studi fino alla fine: è un enorme
privilegio fare questo percorso in
un ambiente protetto.”
Il suo fare è molto femminile.
All’inizio ha vissuto senza rivelarsi: negava la sua transessualità.
Ora non dichiara la sua situazione apertamente ma, se le viene
chiesto, non rinnega la sua condizione di transessualità. “Per
questo motivo – dice – ringrazio
A. per avermi fatto capire che
ho il dovere di non vergognarmi
della mia storia.”
Il lavoro
Il suo compagno l’accompagna
in macchina a un colloquio di lavoro. Il colloquio va benissimo,
fino al momento della presentazione della carta d’identità. Il
proprietario scoppia in una risata: “Perché non ti prostituisci?”.
Il suo compagno vorrebbe spaccare la faccia al titolare. Risultato: posto di lavoro non ottenuto.
Altro colloquio. “Bene! La chiamo tra una settimana per iniziare.” Ma appena consegnati
i documenti: “Fantastico! Non
andrà mai in maternità e non farà assenze per il suo ciclo!”. Posto di lavoro non ottenuto. In
Italia la legge 164/82 prevede
che la rettifica anagrafica riguardo al proprio sesso di appartenenza può essere effettuata solo
gd
mutamenti
a compimento dell’operazione
per il cambio del sesso.
“Vuol dire ritrovarmi a fare lavoretti in nero e saltuari: nessuno ti
mette in regola.”
Come risolvere i problemi
economici
“Così mi prostituisco. La gente mi discrimina, ma di notte mi
cerca: per molti le trans sono solo una trasgressione erotica. Annunci su internet. Se in Italia ci
fosse una legge adeguata non
ci sarebbero pregiudizi lavorativi e sociali. In Germania, Belgio, Portogallo questa legge c’è.
In Spagna, con il governo Zapatero si può ottenere la modifica
sui documenti dopo un anno di
transizione e la prostituzione è
diminuita notevolmente.
All’inizio volevo operarmi per
trovare un lavoro e sposarmi, ora
lo farò per me.”
La sessualità
“Ma se ho un sesso che non mi
corrisponde, come faccio a vivere bene la mia sessualità? Il mio
compagno mi ha sempre vista
come donna. A fare l’amore con
lui avevo vergogna, non riuscivo
a esprimermi come volevo. Insieme siamo riusciti a trovare un
equilibrio e ora va bene. La nostra è una storia che dura da due
anni.”
Identikit
Altezza 1,78 m bionda occhi verdi
numero di scarpe 41; ama andare dal parrucchiere, dall’estetista,
Nel racconto
della protagonista
il viaggio
doloroso
per uscire
da un involucro
estraneo
fare shopping; le sue scarpe preferite? Manolo Blahnik; adora il
colore rosa; il suo piatto preferito: pizzoccheri. In cucina ama
sperimentare, è golosa. Non
sopporta ostentazione, volgarità,
pregiudizi e falsità. Non sopporta il ticchettio della sveglia: ne ha
una digitale. Ama stare con gli
amici, andare al cinema, ascoltare musica rock. Adora le moto...
e i motociclisti. Adora le bambole di porcellana, il servizio
di piatti dei suoi genitori.
Adora suo padre.
Vorrebbe essere più
magra e cambiare macchina. Le
piacciono
gli
uomini che la
fanno sentire donna.
Adora i baci sul collo. Adora
la femminilità.
La cosa
più bella che le
hanno detto: “Ti amo
per quella che
sei”. Si vede
zingara e considera tutte le donne
principesse
fortunate
“vestite da bambine fin da
piccole”.
3
gd
i diritti
I diritti reali delle donne:
un cammino ancora lungo
Il percorso storico dalla Rivoluzione francese alle prese di posizione dell’Onu
per il riconoscimento dei diritti delle donne - Lo scarto fra dichiarazioni e realtà
di Celeste Grossi *
“L
a donna nasce libera e
ha uguali diritti all’uomo.” Inizia così il primo documento che invoca l’uguaglianza
giuridica, legale, politica e sociale di donne e uomini, scritto nel
1791 da Olympe de Gouges, una
drammaturga e giornalista che
lottò contro i pregiudizi maschili e criticò la Rivoluzione francese per aver dimenticato le donne
nel suo progetto di libertà e di
uguaglianza.
Suffragette all’inizio del Novecento.
4
Olympe
La Dichiarazione dei diritti della
donna e della cittadina metteva in
luce l’assurdità di diritti ritenuti validi solo per gli uomini come il diritto di voto, l’accesso
alle istituzioni pubbliche e ad
alcune professioni, il diritto di
proprietà. Nel preambolo si legge: “Le madri, le figlie, le sorelle, rappresentanti della nazione
[…], considerando che l’ignoranza, l’oblio o il disprezzo dei
diritti della donna sono le cause
delle disgrazie pubbliche e della
corruzione dei governi, hanno
deciso di esporre, in una Dichiarazione solenne, i diritti naturali, inalienabili e sacri della donna,
affinché questa dichiarazione,
costantemente presente a tutti i
membri del corpo sociale, ricordi loro senza sosta i loro diritti e
i loro doveri […]”. Erano parole
troppo innovative anche per i rivoluzionari illuministi, estensori
della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino. A loro Olympe
de Gouges rispose: “Se tentare
di dare al mio sesso una giusta
i diritti
e onorevole consistenza, è considerato in questo momento come un paradosso da parte mia, e
come la volontà di tentare l’impossibile, lascio agli uomini che
verranno la gloria di trattare questa materia; ma nel frattempo,
la si può preparare con l’educazione nazionale, con il riassetto
dei costumi e con le convenzioni
coniugali”. Le parole di Olympe
(ghigliottinata nel 1793) sono
ancora attuali. I diritti che lei rivendicava oggi sono sanciti sulla carta, ma continuano a essere
violati in tante parti del mondo e
anche nel nostro paese.
Lo dimostra il Global Gender Gap
Report. Il rapporto del World
Economic Forum, pubblicato
a ottobre, ha analizzato la vita
delle donne nel mondo, fotografando la condizione femminile, nel 2008, in 134 paesi (nei
quali vive più del 90% della popolazione mondiale), alla luce di
quattro indicatori: la partecipazione delle donne in economia,
le opportunità in educazione, le
presenze nella politica, la salute
e la speranza di vita. Nella classifica l’Italia si è collocata solo settantaduesima, peggiorando
di cinque posti rispetto all’anno
precedente.
Eleanor
Abbiamo un debito di riconoscenza anche nei confronti di
un’altra grande donna, Anna
Eleanor Roosevelt. Eleanor, impegnata attivamente nella tutela dei diritti civili e per ottenere
leggi a protezione delle donne
lavoratrici, ebbe un ruolo importante nel processo di creazione
delle Nazioni Unite e presiedette la commissione che tracciò e
approvò la Dichiarazione universale
dei diritti umani, (Parigi 10 dicembre 1948) il primo documento
a sancire universalmente, cioè
in ogni epoca storica e in ogni
parte del mondo, i diritti civili e
politici, economici, sociali, culturali che spettano a tutti gli esseri
umani, donne e uomini, “senza
distinzione alcuna”.
I limiti degli strumenti esistenti a
tutela dei diritti delle donne por-
gd
tarono l’Onu:
• alla stesura della Convenzione sui
Diritti Politici delle Donne del 1952;
• alla creazione della Commissione Diritti Umani dell’Onu del
1967 che elaborò la Dichiarazione
sull’eliminazione di tutte le forme di
discriminazione contro le donne;
• alla Convenzione per l’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne del
1979 (entrata in vigore nel 1981,
a oggi sottoscritta da 168 stati,
due terzi dei membri dell’Onu);
• alla Dichiarazione della Conferenza di Vienna nel 1993: “Gli
Stati esprimono la loro preoccupazione per le varie forme di
discriminazione e violenza alle
quali le donne continuano a essere esposte in tutto il mondo”;
• alla storica Risoluzione 1325 su
Donne, Pace e Sicurezza, adottata
nel 2000, che riconosce lo stupro
come crimine di guerra e il ruolo fondamentale delle donne nei
processi per la costruzione della
pace e della sicurezza.
*Vicepresidente del Coordinamento
comasco per la Pace, www.comopace.org
5
gd
Indagine di Antonella Sicurello
Ticino: la cura dell’infanzia
Nuovi asili in aiuto
a mamme e bambini
In sei anni raddoppiati gli asili nido. Decisivo l’intervento del Cantone
I
l bisogno crescente da parte
delle famiglie ticinesi di poter conciliare casa e lavoro non
è rimasto inascoltato. Nell’arco
di sei anni il numero di nidi d’infanzia per bambini da zero a tre
anni è raddoppiato e sono aumentate anche le strutture
extrascolastiche (vedi
riquadro). Oggi gli
asili nido sono 45,
per un totale di
1.192 posti. La maggiore concentrazione
è nel luganese, la minore
nelle valli (vedi pagina 80). “Secondo le nostre
stime, mancherebbero
proprio un
asilo nido nel
l o c a rnese e
sei nel
bellinzonese e valli”,
afferma Marco
Galli dell’Uffi-
6
cio del sostegno a enti e attività
per le famiglie e i giovani (Ufag).
“Vi sono famiglie in lista di attesa soprattutto nei nidi comunali, mentre in alcuni nidi privati vi
sono ancora posti disponibili.”
La maggiore offerta di strutture
rivolte ai bambini in età prescolare si deve in particolare alla
legge per le famiglie, entrata in vigore nel 2003,
che prevede anche un finanziamento statale e comunale.
“Il contributo cantonale è
stato fissato al 40% dei
costi riconosciuti”,
spiega Galli. “Al
contempo è stato
applicato il sistema degli incentivi comunali. È a
costo zero per
i comuni, che
beneficiano di
uno sconto sulla partecipazione ai costi di
protezione dei minorenni se sostengono gli enti riconosciuti.
Nel 2009 sono stati erogati oltre 2 milioni e 600 mila franchi
di sussidi, pari a circa l’87% dei
contributi massimi computabili, che vanno a nidi, famiglie
diurne, centri extrascolastici e di
socializzazione. Inoltre ogni comune può sostenere liberamente
con contributi anche maggiori le
varie iniziative, che di fatto sono
servizi di prossimità.”
Tanti criteri da rispettare
Ottenere il sussidio, ma ancor
prima l’autorizzazione cantonale, non è così semplice (però
quasi tutti i nidi sono sussidiaE dopo il nido che si fa?
Con l’iscrizione dei propri
figli alla scuola materna e alle
elementari, i problemi legati
alla loro cura non finiscono. Per
molti genitori risulta ancora più
difficile far conciliare gli orari di
lavoro con quelli della scuola. In
loro aiuto sono state aperte su
tutto il territorio cantonale una
ventina di strutture pubbliche e
private. Offrono attività extrascolastiche per bambini dai 3 ai
12 anni, prima e dopo il suono
della campanella e anche quando la scuola è chiusa. Le rette
sono fisse o in base al reddito.
Informazioni e indirizzi su www.
ti.ch/infofamiglie (cliccare su
sostegno alle famiglie).
gd
ti). Per essere considerato tale,
il nido d’infanzia deve innanzitutto offrire almeno cinque posti e un’apertura di oltre 15 ore
settimanali. Può ricevere il sussidio cantonale se garantisce,
per esempio, l’apertura regolare
di almeno 220 giorni all’anno e
dieci ore continuate al giorno. I
nidi per essere autorizzati devono rispettare diversi criteri sulla
formazione del personale, l’arredamento, le condizioni d’igiene,
le attività quotidiane.
L’Ufag ogni due anni verifica il
rispetto di tutti i parametri imposti dalla legge. “L’intervento
è però più mirato ed efficace se
avviene su segnalazione dei genitori o del personale”, dice Galli.
“Può capitare che in un anno si
visiti 4-5 volte lo stesso nido. I
problemi che riscontriamo sono
soprattutto legati all’organizzazione del nido, alla gestione degli
spazi, al materiale didattico o al
tipo di attività.”
A parte la clamorosa chiusura
nel 2005 del nido Baby Paradise di Lugano (la direttrice fu accusata di gravi reati ai danni dei
bambini), l’Ufag non ha mai riscontrato abusi gravi come i
maltrattamenti sui minori, ha
comminato solo multe per questioni amministrative.
La qualità dell’offerta educativa non è garantita soltanto dalla legge ma anche dai corsi di
formazione per operatori e direttori finanziati dal Cantone.
“Puntiamo molto sulle offerte
formative, che riguardano anche l’alimentazione, la tutela dei
minori e l’amministrazione delle
strutture.”
Una petizione per alzare gli
stipendi
Malgrado il contributo statale copra il 40% della massa salariale, i
nidi d’infanzia sono accusati dai
Parenti e vicini senza autorizzazione
Il governo federale ha fatto una parziale marcia indietro sulla sua proposta di revisione dell’ordinanza sull’accoglimento di minori a scopo
di affiliazione e di adozione. La consigliera federale Eveline WidmerSchlumpf ha ammesso che la regolamentazione proposta era esagerata: avrebbero dovuto ottenere un’autorizzazione non solo gli enti che
si prendono cura dei minori al di fuori del nucleo familiare (mamme
diurne, genitori affidatari, asili nido e centri di accoglienza), ma anche
amici, vicini o membri della famiglia impegnati in questo ruolo per più
di 20 ore alla settimana. Nel nuovo progetto di ordinanza, la ministra
intende così distinguere tra custodia privata e attività esercitata a titolo
professionale. In questo modo le persone della cerchia familiare che
si prendono cura dei bambini senza compensi non dovranno essere
autorizzati dallo Stato.
sindacati di sottopagare il personale. “In circa i due terzi dei
nidi i salari rimangono inferiori
ad altri ambiti sociali”, ammette Galli. “La questione è oggetto di approfondimento in Gran
Consiglio.” Secondo il sindacato
Vpod e l’Associazione nazionale
asili nido (Kitas), il governo federale dovrebbe utilizzare l’1%
del Pil, cioè circa 5 miliardi di
franchi, per finanziare i nidi d’infanzia (la petizione è scaricabile
dal sito www.vpod-ticino.ch).
“È in atto un percorso di professionalizzazione del settore che
richiederà ancora qualche anno”,
conclude Galli.
Il rimborso alle famiglie
Il Cantone sostiene finanziariamente non solo le strutture ma
anche, a determinate condizioni,
le famiglie che affidano i propri
figli a un asilo nido autorizzato e sussidiato o a una famiglia
diurna. A loro spetta il cosiddetto Rimborso della Spesa di
Collocamento del figlio (RISC),
introdotto dalla legge sugli assegni familiari. Per esempio può
richiederlo una persona che ha
un reddito disponibile residuale
di 17.069 franchi o due genitori con 25.603 franchi. Il rimborso massimo è di 7 franchi all’ora,
770 al mese o 7.800 all’anno.
7
Indagine di A. Sic.
Ticino: la cura dell’infanzia
Caro nido
quanto ci costi?
L’Associazione ticinese asili nido punta a unificare le rette delle strutture
A
ffidare un bambino a un
nido d’infanzia ticinese, a
tempo pieno per cinque giorni
alla settimana, costa dagli 800 ai
1.200 franchi al mese (vedi tabella a pagina 80). La maggior
parte delle strutture fa pagare
una retta fissa, solo una dozzina
calcola la quota in base al reddito. L’ammontare dipende dai di-
8
versi servizi offerti e dagli orari
d’apertura. “Non c’è una regola,
ogni nido dell’infanzia è libero di
fissare le proprie rette per riuscire a far quadrare i conti”, spiega
Jacqueline Ribi Favero, presidente dell’Associazione ticinese asili nido (Atan), che raggruppa 30
dei 45 nidi ticinesi, e direttrice di
una struttura del locarnese.
Perché l’offerta è così varia?
“È principalmente una questione territoriale dovuta alla differenza salariale tra il Sottoceneri e
il Sopraceneri.
Il nostro scopo è poter unificare
le rette e offrire lo stesso servizio su tutto il territorio. Per fare
ciò, abbiamo costituito un gruppo di lavoro che individuerà le
gd
tariffe che soddisferanno tutti i
nidi. Obiettivo finale sarà un regolamento di applicazione adatto all’utilizzo delle strutture”.
A proposito di stipendi, i sindacati vi accusano di sottopagare il personale.
“Siamo coscienti che gli stipendi applicati in certe strutture non
raggiungono ancora il giusto
compenso. Attualmente il sussidio cantonale è pari a circa il 40
per cento della massa salariale.
Considerato che i sussidi cantonali sono definiti annualmente,
nessun nido è in grado oggi di
sapere a quanto ammonterà il
proprio sussidio per il nuovo anno. Allo stato attuale, per poter
pagare meglio il personale, dovremmo alzare le rette”.
Per quel che riguarda la formazione del personale i genitori possono stare tranquilli?
“Certo. Oggi, grazie ai sussidi
elargiti da Cantone e Comuni,
la situazione nei diversi nidi sta
lentamente migliorando. Naturalmente la qualità è raggiungibile anche grazie a una formazione
continua e di qualità”.
L’offerta di nidi d’infanzia è
sufficiente a soddisfare la domanda?
“Attualmente l’offerta è buona,
ma si potrebbero creare ulteriori
posti con una pianificazione territoriale mirata”.
Ibsa: l’asilo è un costo ma ne vale la pena
La maggior parte dei nidi d’infanzia ticinesi è in mano ai privati. Su 45
asili, solo cinque sono comunali: uno a Mendrisio e Locarno, tre a Lugano ((Molino Nuovo, Ronchetto e Baroffio). Tre, invece, sono
aziendali: Supsi nido della Scuola universitaria professionale della
Svizzera italiana, l’Oasi della gioia della Radiotelevisione svizzera (Rsi) e
Primi passi Ibsa. Mentre i primi due fanno parte di strutture
parastatali, il terzo è al 100% privato ed è l’unico del suo genere in
Ticino, frutto di un’iniziativa della casa farmaceutica Ibsa di Lugano.
“La nostra azienda è attenta alle esigenze dei dipendenti, che sono
soprattutto donne”, spiega Monica Lucci, responsabile delle risorse
umane. “Per questo abbiamo voluto implementare il progetto di un asilo aperto anche all’esterno e con condizioni di particolare favore per
il nostro personale. Abbiamo inaugurato la struttura lo scorso gennaio
e già funziona a pieno regime, segno che la nostra iniziativa ha riscosso
un grande successo.”
Tagesmutter
di Nora Jardini
L
’Associazione Famiglie Diurne (AFD) è stata creata in Ticino e ha lo scopo di offrire dei
servizi che diano la possibilità ai
genitori di conciliare gli impegni professionali e personali con
la cura dei propri figli. Si tratta
di un servizio rivolto ai genitori
(affidanti) che devono collocare
i propri figli durante la loro assenza lavorativa e alle famiglie
(dette diurne) che si mettono a
disposizione per prendersi cura
dei bambini aprendo la loro casa.
I servizi dell’associazione AFD
Il lavoro dell’associazione consiste nel valutare l’idoneità delle
famiglie diurne, coordinare gli
affidamenti secondo le varie esigenze, seguire e accompagnare i
collocamenti. La AFD si occupa
inoltre di tutte le questioni amministrative che comprendono
il versamento di un compenso
orario alla famiglia diurna e la
fatturazione ai genitori affidanti,
che viene fatta sulla base di una
retta oraria definita proporzionalmente al reddito. Le famiglie
diurne sono inoltre affiancate
nel loro lavoro da una serie di
incontri in cui si affrontano le
problematiche che possono insorgere durante il collocamento.
I temi proposti sono introdotti
a livello teorico e in seguito approfonditi in una discussione
collettiva. Si organizzano anche
altri eventi per favorire lo scamsegue
9
Indagine di A. Sic.
Ticino: la cura dell’infanzia
bio di opinioni ed esperienze tra
le famiglie. L’associazione si preoccupa anche dei rapporti tra le
madri affidanti e le famiglie assegnatarie, offrendo un servizio
di coordinamento utile in caso di
difficoltà con la mamma diurna
assegnata. Sono previste norme
che regolano la disdetta con un
termine che dipende dalla durata del rapporto di lavoro (1 mese
nel primo anno, 2 mesi nel secondo e 3 mesi a partire dal terzo).
Lavoro di cura e diritti
L’Associazione Famiglie Diurne
con le sue regole e il coordina-
mento amministrativo effettuato permette di regolamentare un
settore nel quale spesso la legge
non viene rispettata. Dal punto
di vista giuridico le mamme diurne sono tutelate e beneficiano
degli stessi diritti delle lavoratrici
dipendenti. Infatti percepiscono
i contributi sociali dettati dalla
legge, beneficiano dell’assicurazione infortunio professionale,
dell’indennità di perdita di guadagno, in caso di malattia, e godono di un congedo maternità di
quattordici settimane, come ogni
altra lavoratrice dipendente o indipendente in Svizzera.
Aderire alla AFD
Costi e modalità
Per poter far parte dell’Associazione, le famiglie diurne devono
versare una quota annua di 30
franchi e produrre un’autocertificazione penale. L’Associazione
Famiglie Diurne ha poi la possibilità di informarsi in merito
alla famiglia presso il Comune di
domicilio della stessa.
Il salario lordo per ogni bambino in affidamento è di:
Fr. 5.50 / ora
Fr. 20.- / notte dai 0 a 3 anni
(dalle 20.00 alle 07.00)
Fr. 15.- / notte dai 4 anni
Un ospite in famiglia
O
gni anno circa 150 famiglie ticinesi accolgono una ragazza alla pari.
Lo fanno soprattutto per la cura dei propri bambini, ma anche per
avere una mano nei lavori domestici.
Tramite Didac e Pro Filia – i due enti che in Ticino si occupano del collocamento di queste giovani ragazze – le famiglie possono cercare il profilo che più le soddisfa. Dovranno poi stipulare un contratto annuale e
permettere ai giovani di frequentare la scuola (nel caso li abbiano scelti
con Didac) o un corso di lingua (se collocati attraverso Pro Filia). La
famiglia che desidera una maggiore disponibilità può optare per Pro
Filia, che garantisce fino a 40 ore lavorative settimanali (Didac dalle
24 alle 26 ore).
Con Pro Filia si sta più in famiglia
Le giovani collocate da Pro Filia (circa ottanta nel 2009) hanno dai 15
ai 22 anni e non devono avere necessariamente una formazione nella cura dei bambini. “Raccomandiamo però il corso di babysitting della Croce
Rossa e chiediamo un’esperienza lavorativa”, puntualizza Elisabeth de Gara, responsabile di Pro Filia in
Ticino. “La maggior parte delle nostre ragazze ha già
fatto la babysitter o svolto uno stage in un asilo nido.”
Il contratto è di 30 o 40 ore settimanali.
La famiglia paga dai 500 franchi ai 600 franchi al mese se la ragazza alla pari è minorenne (assicurazione
infortuni inclusa), altrimenti bisogna versare anche i
contributi Avs. Si pagano quindi dai 700 ai 900 franchi
al mese. Vitto e alloggio sono inclusi. A queste somme bisogna aggiungere l’iscrizione annuale a Pro Filia
(70 franchi) e una quota di 350 franchi alla conclusione del contratto.
10
La carta degli asili e dei costi è a pagina 80
Con Didac si va a scuola
Con Didac la famiglia ospitante può stipulare un contratto di
24 o di 26 ore alla settimana. Le
ragazze svolgono uno speciale
anno scolastico dopo la scuola dell’obbligo e rimangono in
Ticino un anno, da agosto a luglio. La famiglia non deve vivere
a più di un’ora dalla scuola Didac di Lugano. Paga dai 400 ai
450 franchi, inclusi la retta della scuola Didac, l’assicurazione
infortuni, vitto e alloggio. Se la
ragazza è maggiorenne, bisogna
aggiungere circa 100 franchi al
mese di Avs. “In media ogni anno frequentano la nostra scuola
una sessantina di ragazze, in genere tra i 16 e i 17 anni”, spiega Edith Menzi, direttrice della
scuola Didac di Lugano. “I ragazzi sono in minoranza: solo tre
quest’anno, otto nel 2008.” Per
essere collocata in una famiglia
con neonati, la ragazza alla pari
deve avere frequentato il corso
di babysitting della Croce Rossa
e lavorato nel settore.
Informazioni:
Scuola Didac, via Vegezzi 4, 6901
Lugano. Telefono 0919225252
www.didac-aupair.ch/allapari
Pro Filia, corso Elvezia 35, 6900
Lugano. Telefono 0919228207
www.profilia.ch
gd
Lo schiaffo
diseducativo
I
bambini sono piccoli uomini e piccole donne e come tali vanno
protetti ed educati con rispetto. Un monito rivolto non solo alla
famiglia, ma anche agli educatori dei nidi d’infanzia e agli insegnanti
che li accudiscono e li accompagnano giorno dopo giorno nella loro
crescita.
Consapevoli che il compito non è semplice, l’Associazione Ticinese
Asili Nido e il Dipartimento della sanità e socialità hanno attivato un
corso rivolto proprio ai professionisti dell’infanzia e tenuto dall’Aspi,
Fondazione della Svizzera italiana per l’aiuto, il sostegno e la protezione dell’infanzia e dal Delegato per l’aiuto alle vittime di reati di
violenza.
Scopo della formazione è educare gli operatori a capire se il bambino
vive situazioni di disagio e allo stesso tempo di sensibilizzarli sul tema
del maltrattamento infantile, evitando nella loro attività atteggiamenti che possano ledere la dignità del minore.
“In passato era normale punire un bambino con una sberla, mentre
ora si è consapevoli che il minore merita protezione e rispetto alla
stregua di un adulto”, sottolinea Myriam Caranzano-Maitre, pediatra
e direttrice dell’Aspi, nonché co-responsabile del corso.
“Il nodo da risolvere è capire dove inizia il maltrattamento. Lo schiaffo e la sgridata lo sono? Se un bambino riceve una sberla, impara che
i problemi si risolvono con atteggiamenti violenti e che vale quindi la
legge del più forte. Lo schiaffo fa bene, forse, all’adulto, non al bambino. Il primo deve mettersi nei panni del secondo e chiedersi: E se
lo facessero a me?
L’empatia e la capacità di ascolto Jorge
sono
quindi strumenti fondamenJimenez Deredia, ?????????, Pietrasanta.
tali da utilizzare nella cura dei bambini.”
11
gd
sicurezza
Gli effetti perversi del “Pacchetto Sicurezza” (Legge 15 luglio ‘09)
Diritti umani
rubati agli immigrati...
I provvedimenti del governo italiano aumentano l’area degli invisibili
Impedite le cure e la scuola per i bambini dei clandestini
di Alberto Guariso
Q
uali sono i diritti caduti
sotto i fendenti della politica della sicurezza? E quali effetti
hanno prodotto?
Sanità. Innanzitutto, la questione dell’accesso ai servizi sanitari,
nota come questione dei “medici spia” con la rivolta dei medici
contro questo ruolo. Con la previsione del reato di immigrazione
clandestina il pubblico ufficiale o
l’incaricato di pubblico servizio
(cioè, in pratica, tutti i medici o
infermieri di strutture pubbliche o private e convenzionate)
hanno l’obbligo di denunciare
qualsiasi reato di cui vengano a
conoscenza nell’esercizio delle
loro funzioni, anche quello di ingresso e soggiorno clandestino
oggi istituito; e se non lo fanno
incorrono a loro volta nel reato
previsto dagli articoli 361 e 362
del Codice Penale.
Quale norma deve dunque prevalere? Il divieto di segnalazione
previsto dalla norma speciale del
Testo Unico, o il generale obbligo di denuncia?
Nessun può dirlo: il che, oltre
a creare cervellotici dubbi agli
operatori sanitari, creerà giustificate e irrisolvibili ansie agli immigrati, sempre più sospinti, nel
dubbio, verso un sistema di sanità “clandestina”.
12
Scuola. Per l’accesso alla scuola
e ai servizi sociali nessuna esenzione dall’obbligo di comunicazione è prevista per il preside,
l’insegnante, il bidello e persino per l’assistente sociale (tutti
pubblici ufficiali o incaricati di
pubblico servizio): per loro vale il relativo obbligo di denuncia.
Che ne sarà dunque del diritto
di accesso alla scuola dell’obbligo che lo stesso Testo Unico garantisce solennemente anche al
figlio di genitori irregolari? Do-
gd
sicurezza
ve troverà la mamma irregolare il
coraggio di presentarsi a scuola
per l’iscrizione del figlio?
Il novello legislatore ovviamente, che si distingue non solo per
l’acume ma anche per le sue doti
di fine tecnico del diritto, ha ovviamente una risposta: “all’articolo 6 comma 2 del Testo Unico
abbiamo previsto che non è obbligatorio esibire il permesso di
soggiorno per l’accesso alle prestazioni scolastiche”. Già, non è
obbligatorio: ma se il preside o
l’insegnante viene comunque a
conoscenza della clandestinità,
che devono fare? Denunciano o
non denunciano? E poi l’obbligo di richiedere il permesso resta per l’accesso ai servizi sociali,
e per l’assistente sociale – il cui
compito sarebbe proprio prendersi in carico quei casi dove
condizioni di disagio si accompagnano anche alla irregolarità;
e se il permesso di soggiorno
non viene esibito, ha l’obbligo di
denuncia; e se non denuncia finirà prima o poi sotto processo
(o meglio sotto un mini processo, perché la pena prevista per
l’omessa denuncia è solo di una
ammenda di 500 euro). Dunque
se ipotizziamo che 700.000 clan-
destini (destinati a finire sotto
processo per il reato di clandestinità e a pagare 5.000/10.000
euro) incontreranno almeno una
volta nella vita un pubblico ufficiale “non denunciante”, possiamo concludere che il legislatore
attuale ha messo in piedi un meccanismo che, se effettivamente applicato, dovrebbe generare
1.400.000 processi “bagatellari”
nel giro di pochi mesi (si consideri che il totale del mostruoso
arretrato maturato dalla giustizia
penale italiana ammonta a “soli”
360.000 processi, che dunque si
quadruplicherebbero).
…niente nozze ai genitori
di figli fantasma...
Non si può contrarre il matrimonio se manca il permesso di soggiorno:
allora, chi iscriverà il bambino all’anagrafe?
Infine la questione che non si
può contrarre matrimonio senza
il permesso di soggiorno (limitazione gravissima a un diritto fondamentale della persona, che ha
ben poco a vedere con il contrasto dei “matrimoni di comodo”)
e soprattutto quella dell’iscrizione all’anagrafe, nota come la
questione dei “bimbi fantasma”.
Il nuovo articolo 6, comma 2,
prevede che anche per gli atti inerenti lo stato civile debba essere
esibito il permesso di soggiorno.
Ora, va in primo luogo ricordato che, in forza del nostro stesso
Testo Unico (e di innumerevoli convenzioni internazionali), il
minore è sempre inespellibile e,
dunque, sempre “regolare”: in
altre parole non è mai clandestino e deve essere tutelato dallo
Stato che lo ospita, ovunque egli
si trovi.
segue
13
gd
sicurezza
…il clandestino reato
vivente, non più uomo
Anche per questo (ma non solo)
è del tutto ovvio che un neonato
ha sempre diritto di essere iscritto all’anagrafe, di avere una sua
identità, un suo nome e una sua
residenza. Ma chi provvederà alla dichiarazione di nascita e alla
iscrizione, se il genitore è privo
di titolo di soggiorno?
L’acuto legislatore ha replicato,
nel dibattito parlamentare, che la
madre avrà sempre un permesso
di soggiorno provvisorio perché
la legge prevede appunto che le
venga rilasciato in vista della maternità. Ma se invece non l’ha?
Perché non l’ha chiesto o perché
è appena sbarcata da un gommone? E il padre non coniugato,
per il quale la legge non prevede
il rilascio del permesso per paternità, come potrà effettuare il
riconoscimento?
È probabile che nel paese degli
azzeccagarbugli una soluzione si
troverà.
Resta però un interrogativo: e
cioè quale beneficio, in termini di “sicurezza” dovrebbe trarre la collettività da norme come
queste? Simili riduzioni dei diritti
fondamentali della persona migrante hanno davvero una loro
contropartita accettabile? Una risposta, data sulla base anche del
solo criterio di ragionevolezza,
non può che essere negativa.
In realtà tutta questa vicenda
non fa altro che mettere in luce il vuoto che attraversa la nostra società. Impreparata all’idea
che milioni di persone passino
in continuazione da un confine
all’altro; smarrita, ma non anco14
ra sostituita, l’idea illuminista che
i diritti siano i diritti “del cittadino” e dunque nascano e muoiano all’interno dei confini. Non
riusciamo a ipotizzare quale contenuto minimo deve avere il “fagotto” che ciascun uomo porta
con sé, in quanto uomo, quando
attraversa un confine, sia che lo
attraversi chiedendo “permesso”,
sia che lo attraversi da irregolare.
A dire il vero il legislatore del
1998 una risposta, semplice e
chiara, l’aveva data, affermando
che i diritti fondamentali della
persona spettano allo straniero
comunque presente sul territorio nazionale ma – come ben si
vede dalle vicende di questi mesi
– lo smantellamento implicito di
tale precetto (formalmente ancora vigente) è stato tanto più facile
in quanto manca un minimo di
consenso su quale sia il contenuto di questa garanzia: la scuola?
La sanità? L’identità personale?
Forse alcune prestazioni sociali
minime? Questo sarebbe un percorso sul quale impegnare tutte
le forze politiche e sociali per elaborare un pensiero comune e superare le fratture sociali.
inchiesta
gd
Il profumo degli affari
guida il volo delle lucciole
di Guido Boriani
V
entinove marzo 2009,
un cliente attende che la
merce arrivi a destinazione su una spiaggia Siciliana. Il
tempo non è dei migliori, il mare
è grosso. Le barche del trasporto
non ce la fanno e la merce finisce
in mare. Il cliente, al telefono, si
lamenta con chi ha organizzato
il viaggio. Chi lo ripagherà della
merce perduta? L’organizzatore declina ogni responsabilità: in
mare sono cose che succedono.
Ogni affare ha il suo rischio.
La merce erano trenta ragazze
nigeriane destinate alla prostituzione, comprate probabilmente
all’origine del viaggio. Nel disastro va perduta altra merce: 600
persone circa.
La maggior parte delle ragazze
che battono le strade di Lombardia arrivano dalla Nigeria.
Vengono comprate direttamente nel loro paese e per arrivare
qui compiono un viaggio lungo
e rischioso attraversando tutto il
Nord Africa, compreso il deserto Libico pattugliato durante il
giorno da piccoli aerei monoposto e disseminato dei relitti degli
autobus di chi non ce l’ha fatta.
Sono la nuova merce di contrabbando. Quelle che le hanno
precedute, le loro sorelle provenienti dall’Est Europa, allora
ancora clandestine, hanno subito un calvario simile al loro. A
ogni passaggio di confine sono
state vendute, comprate e trattenute per vendere il loro corpo e
ripagare il tragitto appena fatto
e poi di nuovo in viaggio (vedi
Geniodonna n°1). La donna è una
merce comoda, ambita e ad alta
redditività, il problema se mai è
che ha una sua volontà ma basta
piegarla con la violenza e con il
terrore.
Questo era il modus operandi delle
mafie dell’Est. Le organizzazioni criminali nigeriane invece fanno leva sulla paura che si fonda
sull’ignoranza. Minacciano le ragazze con il voodoo e hanno giosegue
15
gd
inchiesta
L’evoluzione
del trafficking:
dalla violenza
alla dimensione
“pulita”
del commercio.
Per le donne
nigeriane il peso
della superstizione
e le minacce
delle
“madames”
co facile perché le loro vittime
provengono da regioni contadine in cui sono ancora prevalenti
religioni animiste e cultura dei riti magici. Se questo non bastasse ci sono sempre le minacce di
ritorsione contro i parenti in patria. Le “madames” che hanno
trattato l’affare e che hanno in
custodia le ragazze provvedono
a rammentare loro l’una e l’altra
possibilità.
P
er le rumene le cose sono
cambiate. Arrivano in Italia
come cittadine europee e questo significa che il viaggio non
presenta problemi legali, quindi costa meno; la criminalità sul
territorio di destinazione ha già
consolidato un “mercato”, e organizzato le infrastrutture necessarie: ora si possono lasciare
le strade, affittare uno o più
appartamenti, rendere cioè la
prostituzione “meno visibile”,
commercializzare il prodotto attraverso annunci, siti internet.
Anche il rapporto sfruttatoresfruttata è molto più simile a un
normale contratto di lavoro; le
16
ragazze arrivano anche di loro
spontanea volontà, sperando in
facili e rapidi guadagni per potere fare una vita migliore al loro
ritorno in patria. A volte riescono persino a mettersi in proprio
lasciando i protettori e magari
attraversando il confine svizzero
dove la prostituzione è legale. È
un business, pur sempre illegale
ma reso discreto, pulito, persino
accettabile: “in fondo, il mestiere più vecchio del mondo”. Ci si
dimentica però la striscia di san-
gue che ha accompagnato “questo sviluppo del mercato” e che
accompagna ancora le nuove
schiave nigeriane. Ci si dimentica
che è ancora il bisogno la molla di tutto ciò. Senza il bisogno,
ci sarebbe qualcuno che farebbe “il mestiere” volontariamente? E, i supposti facili guadagni,
non hanno un prezzo troppo alto, non lasciano forse un segno
indelebile? Non vogliamo dare
giudizi o risposte. Come sempre,
meglio dar voce alle donne.
inchiesta
gd
Professione escort:
eros in libertà vigilata
Parla Angela che si è trasferita a Lugano dove esercita sentendosi sicura anche
perché la prostituzione è una attività legale su cui si pagano tasse e affitti salati
di Katia Trinca Colonel
I
l Canton Ticino è una terra silenziosa. Prendi
Chiasso, per esempio, nomen non fa per niente omen, il nome non fa la cosa. Se passeggi per
le sue strade il sabato mattina ti trovi immerso in
una quiete educata e ordinata. Lungo via Gottardo, arteria centrale di questa città, porta d’ingresso
della Svizzera, cogli sussurri appena percettibili e
qualche tenue risata dai bar. Neppure il mercato
all’aperto riesce a essere ciarliero e vociante.
È qui, in questi quartieri (che di certo non puoi definire periferia) che lavorano le prostitute. Utilizzano
appartamenti per cui sborsano affitti da un minimo
di 1000 franchi al mese (circa 650 euro). Giusto
due stanze. Mettono on line il loro numero di telefono oppure si servono di annunci sui giornali. Un
servizio che si paga caro. Se i quotidiani chiedono
dai 150 ai 400 franchi ad annuncio, qualche sito
web “più onesto”, applica tariffe inferiori che vanno dai 20 ai 60 franchi, con i primi 6 mesi gratuiti. I palazzi dove esercitano le prostitute non sono
nei quartieri a luci rosse, sono negli stessi luoghi
dove sorgono le scuole, i bar, le case degli
operai, degli impiegati, degli avvocati. La
prostituzione, in Svizzera, è un’attività
legale. Ma, attenzione, solo se non dà
fastidio. Solo se si rispettano le regole del decoro. La facciata deve
essere pulita, silenziosa. Ci sono
decine di locali (discreti) dove
giovanissime donne (dell’Est e
del Sud America soprattutto) si
offrono nei “privé” a clienti per
la maggior parte italiani. Ci sono
centinaia di appartamenti, concentrati nel triangolo Chiasso-LuganoCampione d’Italia. E l’affare effettivo
e sostanzioso, a tutt’oggi, è appannaggio dei proprietari che arrivano a chiedere
fino a 150 franchi al giorno d’affitto. Si tratta di una
gigantesca attività economica.
ANGELA
Per capire come vive una prostituta in Ticino mi
faccio aiutare da Angela (un nome inventato e che
spero possa portarle fortuna). La incontro in un
caffè. Le dico che non scrivo per una rivista scandalistica né per una “glamour”. Fa un sorriso amaro e mi dice che di glamour nella sua vita, in questo
momento, c’è ben poco. Mi piace subito Angela,
ha una parlata schietta e un fare cordiale. Mi dice di
avere 45 anni. Qualche leggera ruga e la stanchezza
intorno agli occhi, ma quando sorride il volto si illumina come quello di una ragazzina. Sono andata
sul sito che pubblica il suo annuncio: c’è scritto che
ha 40 anni. Le altre ragazze sono molto più giovani, 23-25 anni.
Ho osservato attentamente l’immagine che la
“pubblicizza” e ora che ho Angela di fronte mi
sforzo di “verificarne” la corrispondenza.
segue
17
gd
inchiesta
Sei proprio tu la donna ritratta nel sito – le dico
– lo capisco dalle mani, sono bellissime. Ride
e si schermisce per il mio complimento.
Sì ho voluto posare io stessa per le foto. Alcuni
clienti s’infuriano se scoprono, al momento dell’incontro, che la ragazza non corrisponde a quella
dell’immagine.
Ma le altre ragazze?
La maggior parte delle foto sono false o ritoccate.
Io preferisco così.
Angela, da quanto tempo vivi in Ticino?
Sono qui da un anno. In Italia non si può esercitare senza un protettore. E io ero stanca di nascondermi dalla polizia o dalle persone che potevano
riconoscermi.
La cosa che più mi atterrisce non è rischiare la vita per un cliente violento o non guadagnare abbastanza o ammalarsi. Il mio terrore è che mio figlio
18
di 13 anni possa scoprire che mi prostituisco.
Angela, quanti anni avevi quando hai cominciato a prostituirti?
Avevo 24 anni. Vengo da una famiglia difficile, mio
padre era un alcolista, mia madre era succube della
sua violenza. A 18 anni me ne sono andata di casa.
Ho fatto qualche lavoro saltuario e poi sono finita
a Milano nel mondo della moda. Ho conosciuto un
uomo molto più anziano. Mi ha offerto una cena,
mi ha fatto dei regali. Mi dava soldi per stare con
lui. Ho cominciato così.
E non hai mai smesso?
Sì. Ci sono stati dei periodi abbastanza sereni.
Quando stavo con l’uomo con cui ho avuto mio
figlio. Poi però è finita, e lui non ha voluto saperne
del bambino.
Come fai a tenere nascosta la verità a tuo figlio?
Sta con la nonna che è l’unica a sapere della mia
doppia vita. è una persona meravigliosa che mi ha
fatto anche da madre. Qualche tempo fa ho provato a parlare a mio figlio, ero sul punto di confessare. Gli ho chiesto: “Tesoro, ma se mamma tua
dovesse prostituirsi per sopravvivere, cosa penseresti”? Lui ha detto che non lo accetterebbe mai,
e che io non ero quel tipo di donna. Non ce l’ho
fatta.
Possibile che tu non abbia mai pensato a un’alternativa?
Sono stata stupida. Ho guadagnato molti soldi e li
ho bruciati. Altrimenti adesso non sarei qui.
Sei venuta in Ticino per sfuggire a qualcuno?
No, ma qui si lavora in sicurezza e soprattutto non
rischio di incontrare persone che possano riconoscermi.
Guadagni?
In questo momento poco, purtroppo. La crisi si
sente anche per chi fa questo mestiere. E poi devo
pagare le tasse e l’affitto. Diciamo, in media, quando va bene, 3.500 franchi lordi al mese (2.300 euro circa), su cui devo pagare tasse e cassa malattia.
Quanto si prende lo Stato?
Circa 600 franchi (400 euro), ma il problema è che
quando non guadagni li devi versare lo stesso.
Come ti tuteli dalle persone pericolose?
Dalla finestra del mio appartamento osservo chi
sta per salire da me. Se non mi convince non apro
la porta.
Mi stai dicendo che ti basta uno sguardo dalla finestra per individuare un tipo pericoloso?
Sì. Se invece sono io a raggiungere il cliente, poco prima di entrare in casa fingo di telefonare a
un’amica dicendole dove sono. Lascio l’indirizzo
inchiesta
alla mia compagna di stanza. Ci proteggiamo così.
Qui in Svizzera non mi è mai successo nulla.
In Italia sì?
Sì. Anche la polizia è violenta, ti umilia. Una volta
mi hanno arrestato e un poliziotto mi urlava: “Tu
puttana, guadagni tre volte il mio stipendio, che cosa pretendi?”
Ma qualche volta ti sarà capitato di avere paura di un cliente.
Una volta uno mi ha puntato una pistola e si è fatto dare i soldi. Ma ripeto, è accaduto solo in Italia.
Qualche cliente in casa ti ha mai picchiata o
minacciata?
In genere, se alzi anche tu la voce e ti mostri sicura,
abbassano i toni.
Mi fai un identikit dei clienti che ricevi?
La maggior parte sono uomini sposati, insoddisfatti delle mogli.
Mi sembra il solito cliché.
No. Ti assicuro che è così. Sono uomini anche molto benestanti che si lamentano delle mogli troppo
assenti per il lavoro o non abbastanza disponibili
a letto.
Gli altri?
Ragazzi anche molto giovani, spesso uomini che
vogliono solo parlare.
Ti pagano per una “seduta” dalla psicologa?
(Ride). Qualche giorno fa un cliente mi ha fatto
andare in capo alla città solo per piangere sulla mia
spalla perché la donna l’aveva mollato.
Nel sito internet è scritto “arte del concedersi”, “progetti culturali e artistici”... Ti leggo
alcuni passaggi: “Pagare per l’arte di una donna è dimostrare al musicista che si apprezza la
musica, è contribuire alla realizzazione di uno
spettacolo”. Non ti pare una presa in giro?
Sì, è vero. Ma è inutile nascondersi dietro un dito, parlare di escort, accompagnatrici. Noi siamo
prostitute e basta. Penso che sia un lavoro come
un altro.
gd
Del resto, non ci sono anche studentesse brave
ragazze che si offrono in webcam per pagarsi gli
studi? Forse non è peggio così, che dichiarare apertamente il mestiere che si fa?
Cosa fai quando provi repulsione per un cliente?
Sono un contenitore vuoto. Chiudo gli occhi, vedo
tutto nero. Stacco la mente dal mio corpo.
Non lascia ferite una vita come la tua?
Certo che ne lascia. Ma è la mia vita, ormai so fare
solo questo. Ci sono dei giorni però che mi alzo dal
letto e vorrei spaccare tutto quello che ho intorno.
Alle giovani che iniziano, che cosa dici?
“Cerco di dissuaderle, ovvio. Ma sono molto determinate. I soldi facili fanno gola. Poi ci sono quelle
che arrivano persino a portarsi la figlia dal paese
d’origine per avviarla alla prostituzione. Questa è
una cosa terribile.
Hai amiche?
Le amicizie nascono solo tra noi prostitute. La
gente ti addita, sempre. Però qui in Svizzera c’è più
rispetto.
Come trascorri le giornate libere?
Mi piace andare al cinema, leggere, fare shopping.
Vorrei comprarmi qualche vestito carino, ma in
questo momento devo economizzare al massimo.
Quali libri leggi?
Mi piacciono Maria Venturi e Dacia Maraini.
E per il tuo futuro? Non pensi mai all’amore?
Che mio figlio sia felice. Conta solo questo, per me.
Spero di essere in salute fino a mettere da parte i
soldi per tornare al paese in cui sono nata e stare finalmente vicino a mio figlio. Una prostituta non si
può innamorare, non può più amare un uomo profondamente. So che risulta cinico, ma io la penso
così. L’ho verificato anche tra le amiche. Quando
ti prostituisci entri in una spirale da cui è difficile uscire, soprattutto a livello psicologico. L’uomo
che hai davanti, per quanto ti possa volere bene,
lo vedi sempre come un cliente o l’allegoria di un
cliente.
19
inchiesta
gd
d
g
Ricucire la vita
nell’affetto del gruppo...
La fuga dallo sfruttamento e dai maltrattamenti verso un futuro di indipendenza
di K. T. Col.
R
itrovare una vita. Assaporare il sollievo e la gioia di
sentirsi donne libere dopo mesi,
anni di sfruttamento e maltrattamenti. Alla Casa di Orientamento Femminile (Cof) che sorge a
pochi chilometri da Como, negli
ultimi dieci anni, 250 donne in
difficoltà hanno trovato rifugio
e accoglienza. Segnalate dai servizi sociali e dalle forze dell’ordine perché in situazioni di forte
disagio o pericolo, in tante hanno trovato qui protezione e accoglienza come in una vera e
propria famiglia. Voluta cinquant’anni fa da Adele Bonolis,
donna dalla volontà di ferro e
dall’incredibile lungimiranza che
ebbe a cuore il destino delle prostitute allo sbando dopo la legge Merlin, il centro non ha mai
cessato di portare avanti la filosofia della fondatrice: accordare
a donne umiliate fiducia, attenzione e affetto, così da consentire loro di ritrovare, in autonomia
e libertà, dignità e speranza.
La Casa è un’antica villa ristrutturata circondata da un bel giardino. Vi si respira un’aria familiare
e serena. “Passo qui la maggior
parte del mio tempo, sabato e
domeniche incluse – racconta la
direttrice Marisa Russo - è una
mia scelta di vita. Se una delle
ospiti ha bisogno di me io devo
essere a sua disposizione. Qui arrivano casi disperati. Donne abusate, minorenni allontanate dalla
famiglia perché vittime di maltrattamenti, prostitute che desi-
La Cof (Casa di orientamento femminile)
È una libera associazione nata nel 1949 per accogliere le ex prostitute dopo l’approvazione della Legge Merlin. La fondatrice, dottoressa
Adele Bonolis, acquistò, nel 1959, il complesso edilizio in provincia di
Como e da allora la Cof non ha mai cessato la sua attività, insieme con
altre tre strutture analoghe sorte in Lombardia. Oggi la Cof ospita fino
a trentacinque donne, ha stanze singole, una cucina, un asilo nido, locali
per attività e letture. Il funzionamento è garantito da aiuti economici
spontanei che integrano le risorse pubbliche. Chi volesse contribuire
con donazioni può chiamare lo 02.86.03.40.
20
derano cambiare vita. Nei primi
anni del 2000 – ricorda – l’emergenza erano le giovani donne dei
paesi dell’Est messe sulla strada
contro la loro volontà. C’erano
giorni in cui ricevevo decine di
richieste.”
La cosa fondamentale è stabilire un rapporto di fiducia: “Non
importa se la ragazza racconta
bugie – puntualizza la direttrice
– è normale, all’inizio. Poi, piano piano, le ospiti si aprono, raccontano. La relazione si sviluppa
da un assioma dal quale non prescindiamo, il rispetto assoluto e
totale della libertà della persona.” A supportare l’accoglienza
al Cof, c’è un’equipe di educatori
e psicologi oltre a numerosi volontari. Superata la fase di emergenza, alle donne viene proposta
un’attività lavorativa o un corso
professionale.
“Il lavoro è fondamentale – sottolinea Marisa Russo – permette
alle donne di riacquistare fiducia
in se stesse e di rendersi indipendenti supportando, nel caso delle
migranti, le famiglie che vivono
nei Paesi d’origine. Il recupero
delle ex prostitute si fonda sulla
volontà di abbandonare la strada. Più difficile è il cammino per
le vittime di violenze domestiche. La relazione con la famiglia,
in certi casi, è recisa del tutto e
quindi per queste madri o figlie si
tratta di rimettere assieme i cocci
della propria vita nella più completa solitudine.”
inchiesta
P
er me il Centro di accoglienza di Montano Lucino non è
mai stato una semplice comunità. Pur vivendo sola in un appartamento in affitto, io considero
ancora oggi il Cof la mia vera casa.” Per Anna, albanese, i primi
anni in Italia sono stati un inferno. Per lei, arrivare qua alla Cof,
ha significato aver salva la vita.
Anna, come sei arrivata alla
Casa?
Fu dieci anni fa. Ero disperata. Due anni prima ero arrivata
dall’Albania con il mio ragazzo.
Ma lui mi ha tradita e costretta a
prostituirmi minacciando di uccidere me e i miei genitori. Sono stata picchiata e violentata.
Poi un giorno ho detto basta, mi
sono fatta coraggio e ho denunciato i miei aguzzini. Per proteggermi mi hanno portato qui al
Cof. E qui sono rinata.
gd
gd
...un rifugio
per essere felice
Oggi ho un lavoro, sono circondata da persone che mi stimano
per quello che sono, un piccolo
appartamento in affitto. Ho un
bambino che mi dà una grande
gioia e spero presto di trovare la
persona giusta da sposare. Ma è
la Cof il mio punto di riferimento costante. Il ruolo che svolgono gli operatori per me, ora, è
quello dei nonni in qualsiasi normale famiglia.
Accudiscono mio figlio quando
è malato, lo vanno a prendere
all’asilo quando devo lavorare,
lo accompagnano ai giardinetti,
vengono i sabati e le domeniche
a pranzo.
Senti nostalgia per l’Albania?
Torno una volta l’anno a trovare
i miei genitori, ma non mi sento
a mio agio. In Albania, specialmente nei piccoli paesi, la donna è ancora una schiava che deve
stare in casa. Non potrei più fare a meno della mia libertà, del
lavoro, delle possibilità che offre
l’Italia. Amo questo paese perché mi ha aiutato a rinascere.
E forse si riesce pure ad essere
un po’ fieri del nostro Paese.
Che cos’è stato fondamentale
per cambiare la tua vita?
Il primo anno è stato difficile.
Una volta sono anche scappata,
temevo per la mia famiglia, dovevo assicurarmi che stessero
bene. Ma quando sono tornata
mi hanno accolto come se non
fosse accaduto nulla. Hanno capito, e io, a mia volta, mi sono
convinta che potevo fidarmi,
potevo essere certa che qui avrei
sempre trovato la porta aperta e
persone disposte ad ascoltarmi.
La cosa fondamentale è partire
da se stesse, dire “basta, d’ora in
poi sarà tutto diverso”. Grazie
all’affetto che ho trovato qui mi
sono sentita per quello che sono
ora, una donna che può ancora
crescere, trovare la felicità.
Perché dici che ancora oggi
questa è la tua casa? Non desideri essere autonoma creare
una famiglia tua?
21
attualità
Cinque donne premiate
e il futuro fa meno paura
Elinor Ostrom premiata per lo studio dei sistemi di gestione delle risorse pubbliche da parte degli utenti,
Elisabeth Blackburn, Carol Greider e Ada Yonath per la medicina e la chimica, Herta Müller per la letteratura
di Manuela Moretti
I
l 2009 si chiude con ben cinque Nobel riservati all’ingegno femminile: dopo Elizabeth
H. Blackburn e Carol W.
Greider per la medicina, Ada
Yonath per la chimica e Herta
Müller per la letteratura, Elinor
Ostrom è la prima donna a ricevere il prestigioso premio per
l’economia. Si tratta di riconoscimenti senza precedenti, poiché
fino a oggi erano stati assegnati
alle donne al massimo tre Nobel
contemporaneamente: era successo nel 2004, quando ricevettero il Nobel Linda B. Buck per
la medicina, Elfreide Jelinek per
la letteratura e Wangari Maathai
per la pace. Quest’anno a scardinare completamente il modello
dei Nobel è stata Elinor Ostrom,
76 anni, prima donna a ricevere
il Nobel per l’economia senza
essere nemmeno un’economista: la vincitrice è infatti una politologa, premiata insieme a
Oliver Williamson per l’analisi
della economics governance, ovvero
il complesso di regole con cui
si esercita l’autorità in aziende e
sistemi istituzionali. La Ostrom
è docente di Scienze Politiche
e co-direttore del Workshop in
“Teoria politica e analisi politica” all’Università dell’Indiana ed
è fondatrice e direttrice del Center for the Study of Institutional
Diversity all’Università Statale
dell’Arizona.
Esperta in cause collettive, trust
e beni comuni, il suo approccio
istituzionale alla politica pubblica è considerato originale, tanto
da formare una branca separata
della teoria della scelta pubblica.
Elinor Ostrom è infatti considerata una delle massime autorità
nello studio delle risorse comuni, ovvero quei beni utilizzati
da più individui il cui consumo
da parte di un attore riduce le
possibilità di fruizione da parte
degli altri. Lo sfruttamento
indiscriminato di beni comuni come per esempio acqua,
pesce e idrocarburi, pone
sfide sempre più difficili
all’umanità. Alla studiosa è stato
riconosciuto da un lato il merito
di aver analizzato i diversi sistemi
di utilizzo delle risorse naturali
che, nel corso della storia, hanno
permesso di scongiurare un collasso dell’ecosistema, dall’altro
di aver dimostrato come queste
risorse possano essere gestite in
maniera efficiente da soggetti diversi dallo Stato e dalle forze del
libero mercato.
Il Nobel della Ostrom unisce
dunque economia, sviluppo ed
ecologia, assegnato, come si legge nella motivazione “per aver
dimostrato come la proprietà
pubblica possa essere gestita dalle associazioni di utenti”. “Sono
ancora un po’ scossa, è un grande onore, non me lo aspettavo” è
la prima reazione della Ostrom,
che spiega con queste parole l’importanza delle sue ricerche. “Ciò che noi abbiamo a
lungo ignorato sono le reali
potenzialità dei cittadini e il
loro coinvolgimento nelle attività economiche,
concentrando l’attenzio-
gd
gd
attualità
ne solo su chi a Washington si
occupava delle regole” e “farò
di tutto per non essere l’ultima
donna a vincere questo premio”,
aggiunge fiduciosa. “Ricordo ancora quando tutti mi sconsigliavano di iscrivermi all’università
per il dottorato, ma la mia passione per gli studi mi ha fatto andare avanti e oggi eccomi qui.”
Si tratta di un segnale positivo
che, ci auguriamo, possa segnare
l’inizio di nuovi riconoscimenti
alle donne in campo economico
e scientifico. Quest’anno sono
state anche Elizabeth Blackburn
e Carol W. Greider a segnare il
primo record nella settimana dei
Nobel: insieme al collega Jack W.
Szostok, le due scienziate americane, legate da un rapporto maestra-allieva, hanno compiuto
ricerche innovative sulla longevità delle cellule, ponendo le basi
per la ricerca su molte malattie,
dove l’invecchiamento cellulare
gioca un ruolo di primaria importanza, aggiudicandosi così il
premio per la medicina.
Il giorno successivo a ricevere
il Nobel per la chimica è l’israeliana Ada Yonath, direttrice del
Centro per la struttura bimolecolare dell’Istituto Scientifico
Weizmann di Rehovot, assegnatole grazie alla mappatura dei ribosomi, parti fondamentali delle
cellule che servono per costruire
le proteine e possono essere impiegati per la produzione di antibiotici. Il Nobel per la letteratura
ha visto poi come protagonista
Herta Müller, scrittrice tedesca
nata in Romania autrice di libri
sulle condizioni di vita rumene
durante la dittatura di Nicolae
Ceausescu.
Il premio è stato assegnato alla
scrittrice “per aver rappresentato il mondo dei diseredati con la
densità della poesia e la nitidezza
della prosa”.
Elisabeth H. Blackburn
Carol W. Greider
Ada Yonath
Herta Müller
L’ultima edizione del prestigioso
Premio Nobel si è tinta di rosa.
A essere incoronate sono state
cinque donne impegnate nella
medicina, nella chimica, nell’economia e nella letteratura. Un
risultato senza precedenti.
Nelle passate edizioni il maggior
numero di donne premiate si
era fermato a tre e mai nessuna
era riuscita ad aggiudicarsi
l’alto riconoscimento riservato
all’economia. A interrompere
questa sequenza maschile ci ha
pensato la Ostrom.
Elinor Ostrom
23
gd
la coppia
Diamo maggior peso
alla paternità
Un quaderno dell’associazione ticinese Dialogare-Incontri per promuovere le
pari opportunità in chiave maschile sulla conciliabilità di lavoro e famiglia
di A. Sic.
L
e pari opportunità passano
dall’uomo. La sua maggiore
presenza in famiglia, dai lavori
domestici alla cura dei figli, è fondamentale per risolvere l’annoso
problema della conciliabilità tra
casa e professione. A questo tema si è dedicata l’associazione
ticinese Dialogare-Incontri di
Massagno, con la recente pubblicazione Uomo Lavoro Paternità.
La promozione delle pari opportunità in una prospettiva maschile e il ciclo di seminari Conciliare
lavoro e famiglia sono stati rivolti
alle aziende*.
Per saperne di più, abbiamo interpellato la consulente di Dialogare-Incontri, Lorenza Hofmann
Nella Svizzera italiana in più
di un terzo delle famiglie l’uomo lavora a tempo pieno e la
donna si occupa della casa.
Un modello ancora difficile da
abbattere?
Sì, il modello tradizionale è ancora molto diffuso. Qualcosa sta
però cambiando: la donna tende
a non mollare il lavoro o a tornarci il più presto possibile dopo
la maternità. Fra le coppie svizzere con figli troviamo principalmente tre modelli: nel 45% delle
coppie con figli con meno di sei
anni, l’uomo lavora a tempo pieno e la donna a tempo parziale;
24
la coppia
nel 37% la donna ha scelto la famiglia; nell’8% entrambi sono
occupati a tempo pieno. Di questa realtà in mutamento, di queste donne e di questi uomini che
camminano verso altri modelli
di vita e di lavoro, parlano i quaderni di Dialogare: Donna Lavoro Maternità, (2007), Uomo Lavoro
Paternità, (ottobre 2009).
Ma gli uomini sono realmente disposti a lavorare meno,
quindi a ridurre stipendio e
pensioni, per occuparsi di più
della casa e dei figli?
Un’inchiesta federale dice che il
15% degli uomini dai 25 ai 45
anni occupati a tempo pieno in
Ticino aspirerebbe a lavorare
meno. Per occuparsi della famiglia? Sarebbe un bel cambiamento culturale. Il contesto di vita e
di lavoro favorirà questo cambiamento oppure lo ostacolerà?
Non basterà la volontà del singolo, saranno necessarie condizioni quadro nella società e nel
mondo del lavoro.
per la nascita dei figli e non
hanno diritto al congedo paternità. Non è questa una discriminazione?
Non esiste ancora una base legale per un congedo paternità
simile a quello di maternità. Importanti aziende svizzere, che
operano anche in Ticino, lo prevedono a livello contrattuale: da
2 a 5 giorni fino a 20 giorni, con
diverso trattamento retributivo.
Anche il congedo maternità, in
molti settori, è stato dapprima
sviluppato attraverso la contrattazione; solo da pochi anni c’è
una base legale federale per 14
settimane di congedo indennizzato all’80% del salario.
gd
Per intervenire in questa situazione Dialogare promuove il suo
progetto di informazione e di
formazione che punta sulla concretezza: i seminari, con esempi
di buone prassi e confronto con
le aspettative dei singoli; il libro,
con una pluralità di informazioni, opinioni e testimonianze ticinesi, svizzere e italiane.
* Per ordinare il volume (costo:
fr. 25.-) e conoscere date e dettagli dei seminari, contattare l’Associazione Dialogare-Incontri,
via Foletti 23, 6900 Massagno,
telefono +41 91 9676151, oppure visitare il sito www.dialogare.ch.
Le aziende utilizzano poco
forme di lavoro “pro conciliabilità”, come il tempo parziale, il job sharing o il telelavoro.
Cosa le frena?
Nel mondo del lavoro il modello
dominante è l’impiego a tempo
pieno di durata indeterminata,
nonostante il diffondersi di forme di lavoro flessibili. Il ciclo di
seminari Conciliare lavoro e famiglia
fa incontrare aziende e persone
con lo scopo di esplorare nuove opportunità. Un’analisi presso grandi aziende conferma che
offrire tali condizioni di lavoro
crea un beneficio pari all’otto
per cento dell’investimento effettuato.
I padri possono assentarsi dal
lavoro per uno o due giorni
25
gd
progressi
Le aziende frenano
sulla parità retributiva
Ticino: da dodici anni il Consultorio Giuridico Donna e
Lavoro della Faft aiuta le donne a difendersi contro le discriminazioni sul posto di lavoro
di A. Sic.
A
tredici anni dall’entrata in
vigore della legge sulla parità dei sessi, di passi avanti se ne
sono fatti parecchi. Le centinaia
di sentenze pronunciate dai tribunali svizzeri contro le discriminazioni sessuali e salariali, le
campagne di sensibilizzazione e
la nascita dei consultori su tutto
il territorio nazionale hanno diffuso tra le donne la consapevolezza del proprio valore, pari e
non inferiore all’uomo.
A esserne meno consapevoli sono però ancora le aziende. “Le
donne continuano a guadagnare meno degli uomini”, afferma
l’avvocata Raffaella Martinelli
del Consultorio Giuridico Donna e Lavoro della Federazione
associazioni femminili Ticino
(Faft) di Massagno. “Nel settore
privato il 19 per cento, nel settore pubblico tra il 12 e il 18 per
cento: 40 per cento di questa differenza non è giustificata da fattori oggettivi ed è considerata
discriminazione salariale.” Piccolo ma significativo osservatorio
sul mondo del lavoro – nato
nel 1997 e sostenuto finanziariamente soprattutto dall’Ufficio federale per l’uguaglianza – il
Consultorio Giuridico conferma
i problemi reali delle donne.
“La maggioranza delle nostre
utenti ha tra i 30 e i 50 anni”,
continua Martinelli. “Per le donne con figli è molto sentito il
problema della conciliabilità fa26
cenziamento abusivo o in tempo
inopportuno, i diritti durante la
gravidanza, il congedo maternità, la conciliabilità tra famiglia
e lavoro, assenza dal lavoro per
malattia e mobbing.
Come si svolge la consulenza?
“Analizziamo il caso dal profilo giuridico, valutiamo quali sono le pretese che si possono far
valere mediante trattative con il
datore di lavoro o per via giudiziaria. Aiutiamo le utenti a scrivere le lettere o contattiamo
direttamente il datore di lavoro,
le accompagniamo all’Ufficio di
Conciliazione per la Parità.”
Info: Consultorio Giuridico Donna e Lavoro, via Foletti 23, 6900 Massagno. Telefono 0041 (0)91 9500088, dalle 9 alle 12 (nelle
altre fasce orarie si può lasciare un messaggio). Sito web: www.faft.ch/consultorio. Consulenti: Raffaella Martinelli, Peter e Micaela
Antonini Luvini. Costo: 30 franchi per una
consulenza, poi 20-60 franchi all’ora in base
al reddito.
Raffaella Martinelli.
miglia-lavoro. Per le donne tra
i 50 e i 65 anni, o quelle sole si
hanno situazioni difficili, in particolare quando sono licenziate,
subiscono mobbing o faticano a
trovare un lavoro.” Nell’arco di
12 anni sempre più persone hanno chiesto un aiuto al consultorio: 450 nel 2008, più del doppio
rispetto al 2005. La consulenza è
fornita solamente alle donne su
questioni che riguardano il diritto del lavoro e le discriminazioni
professionali e salariali”, puntualizza l’avvocata Martinelli. “Per
gli uomini, invece, è prevista solo una consulenza in ambito di
conciliabilità famiglia-lavoro.”
Le domande più ricorrenti poste dalle utenti riguardano il li-
Le norme di parità
La Costituzione federale stabilisce
che uomo e donna hanno diritto
a un salario uguale per un lavoro
di uguale valore e lo ribadisce la
legge federale sulla parità dei sessi
del 1996.
Il divieto di discriminazione riguarda
l’assunzione, l’attribuzione di
compiti, le condizioni di lavoro,
la retribuzione, la formazione, il
perfezionamento professionale, la
promozione e il licenziamento.
Se non si riesce a trovare un
accordo con il datore di lavoro, si
può chiedere l’intervento gratuito
dell’Ufficio di Conciliazione. Dal
1997 a metà 2009 in Ticino lo
hanno fatto 55 persone, attive soprattutto nel settore pubblico: solo
9 hanno trovato un accordo con la
propria azienda. La discriminazione
riguardava per lo più il salario (28
casi), l’impedimento di carriera (6),
le molestie sessuali (4) e il mobbing
(3). Se non si arriva a un’intesa
con l’azienda, si può far ricorso al
giudice civile o all’autorità amministrativa. La procedura è gratuita. I
dipendenti sono protetti contro il
licenziamento durante tutta la procedura e nei sei mesi successivi.
idee&parole
gd
gd
Quello che le donne scrivono, hanno scritto, pensato, disegnato, dipinto, scolpito, messo in musica.
idee&parole
Le storie intorno al camino
di Pietro Berra
A
ccanto alla letteratura ufficiale, ce n’è sempre
stata una domestica. Quella dei racconti attorno al camino, delle favole della buonanotte o delle
storie di paura per tener buoni i bambini mentre si
“sfogliava il carlon” (cioè si puliva il granoturco).
L’inverno, quando fa freddo e si sta più volentieri
chiusi in casa, è sempre stata la stagione favorita
per questo genere letterario.
E la letteratura domestica, a differenza di quella ufficiale dominata per secoli dagli uomini, o meglio
dai maschi, ha tradizionalmente visto prevalere le
voci femminili. Spesso anonime per il mondo, ma
insostituibili, e indimenticabili, per chi quelle storie le ha sentite raccontare. Oggi non avremmo un
Davide Van De Sfroos, se lui non avesse avuto una
zia che era una narrastorie formidabile. Riallacciandoci a questa tradizione, e a questa capacità
delle donne di inventare racconti in grado di parlare sia ai grandi sia ai piccoli, abbiamo pensato di
inaugurare sul numero natalizio di Geniodonna una
storia illustrata a puntate, Il filo di Cloe di Nicoletta Bortolotti, scrittrice che hai nei suoi figli i primi
fondamentali lettori.
ecuperando e aggiornando il genere della graphic novel, ci propone temi attuali e scottanti
come la disoccupazione, visti attraverso gli occhi
di una bambina. In generale, tutte le pagine della
sezione Idee & parole le troverete più che mai “di
lettura”: come le storielle degli elettrici personaggi scritte e disegnate da Jerry Kramsky. Sfogliatele
dunque intorno al camino, se lo avete. E in compagnia di chi vi è caro.
R
Femme Maison, 1994
White Marble - Collezione privata Louise Bourgeois
(ph.: Christopher Burke).
27
gd
idee&parole
Esistono le ombre
che si muovono da sole?
di Jerry Kramsky
H
o un amico più piccolo che si chiama Nicchio, detto Nicc, con due cc per non rimpicciolirlo troppo.
Questa estate, tutto a un tratto, non s’è fatto più
vedere. A casa sua nessuno rispondeva. Saranno
partiti per le vacanze, mi sono detto. Ma l’estate
è finita e tutti sono ritornati in città, tranne Nicc
e la sua famiglia. Poi, un pomeriggio, ecco che
mi telefona:
– Ciao Jerry, sono a Sghimberlate, è qui che abito
adesso.
– Perché non hai detto che te ne andavi? – gli
chiedo– Cos’è ‘sta Sghimberlate?
- La città più avventurosa del mondo: senti cosa
m’è successo….
E mi racconta d’un fiato una storia misteriosa.
Cominciava in un Parco, dove circola una banda
di ragazzini che si fa chiamare l’Orda Aborigena,
che lo ha obbligato a superare tre prove di coraggio. Poi si mette a parlare di una stanza nel suo
appartamento, appartenuta al temibile Dottor
Repente Valpurgis. In quella stanza vivono delle
Ombre che non sono troppo amichevoli. Si muovono da sole, prendono vita e si staccano dagli
oggetti. Ma non è finita, perché in un angolo c’è
una cassapanca dove….
uello che mi ha raccontato dopo è talmente
assurdo che non so se crederci del tutto. E’
anche un po’ spaventoso. Nicchio mi ha assicurato di aver incontrato tanti mostri, a volte buffi
a volte terribili, in compagnia di una esploratrice
fantasma.
– Non può essere vero – gli ho detto dopo averci
pensato un po’. A Nicc piacciono i libri orripilanti, tipo Croton il Mutante, li legge e li corregge,
cambiando le storie come vuole. Si sarà immaginato tutto.
– Macché, ho le prove – ha affermato lui– te le
mando via mail.
Mi ha spedito un mucchio di foto, ma sono riuscito ad aprirne solo qualcuna. Le immagini
Q
28
sono come scarabocchiate. Nicchio dice che è
perché sono molto antiche e forse arrivano da un
Altro Mondo.
Le ho appiccicate a queste pagine. Cosa dite, potrebbero essere vere? A me hanno fatto venire in
mente delle filastrocche.
Fra parentesi, ho controllato su tutti gli atlanti
e le cartine, ma non sono riuscito a rintracciare
Sghimberlate. Mah!
LA TAZZINA INDIAVOLATA
Le Ombre Malvagie si danno da fare, con
loro ogni cosa può a un tratto cambiare.
E così il caffè, sul tavolo in cucina,
al mattino aspetta la zia Orsolina
Niente corn-flakes nel latte, né the
né marmellata: quest’oggi a colazione
la tazzina è indiavolata.
IL VASO SENZA NASO
Ero un vasetto grazioso
Con i fiori più belli
Ora, avvolto nell’ombra,
Vi tiro i capelli.
Nella notte vago
Parlo solo coi matti
Gioco con i topi
E morsico i gatti.
Son sempre arrabbiato
Non certo per caso
Un’Ombra Malvagia
Ha mangiato
il mio naso
idee&parole
gd
Cosa dite? Vi sembriamo un po’ tocchi?
Meglio se stiamo nelle Terre Lontane
Senza il viaggio di sei settimane? Che volete, siam sol Scarabocchi.
29
gd
idee&parole
SCAPPA TU CHE FUGGO ANCH’IO
Scappa! Fuggi! Corri! Vai! Grida! Urla! Trema! Dai!
“Ma perché scappiamo?” Si chiesero tutti
Risposero in coro: “Perché siamo brutti”
“Ci facciamo paura, pure questo è sicuro”
E Timp! Tomp! Tump! Tamp! Sbatterono contro il muro.
CHI CI INVITA A CASA SUA?
Un saluto dalle Terre Lontane, dove vivono gli Scarabocchi
Se ci chiamate, in sole sei settimane ci vedrete con i vostri occhi.
Nelle feste siam proprio perfetti, per esempio al Grande Cenone
Vi faremo tremendi dispetti, rovinando quasi ogni boccone.
Starete comodi, vi serviremo ogni portata leccandovi i piatti
con lingua salmistrata.
Ai più piccoli rimarremo vicino, spruzzando di inchiostro amaro il budino.
Alla Mamma bruceremo la gonna, morsicheremo i piedi alla Nonna
Oppure le orecchie al Papà, e il naso a chi sta di là
Dalla sera alla mattina, ruttini in sala e puzze in cucina
E per finire con la miglior confusione, balleremo sul vostro panettone.
Cosa dite? Vi sembriamo un po’ tocchi?
Meglio se stiamo nelle Terre Lontane
Senza il viaggio di sei settimane?
Che volete, siam sol Scarabocchi.
30
idee&parole
gd
NON SONO UNO STREGONE
Una sera che infuriava il temporale, la pianta che tenevo sulle scale
Con il tuono e con il lampo, ha preso a parlare d’incanto
“Se mi saprai innaffiare, ti potrò ricompensare:
Strizza dell’ombra nera, colta in una brutta sera
Fai piangere qualcuno, fai con le sue lacrime un profumo
Quindi sciogli un pensiero cattivo in un po’ di detersivo.
Spicciati, non fartelo ridire, stanotte mi vedrai fiorire
In un bouquet di diavoletti maligni che saranno i tuoi cari vicini”
Ma io, non essendo uno Stregone, l’ho buttata dal balcone.
E
cco qua. Chissà cosa ne penserà Nicchio. La sua vera storia è più avventurosa e, se
ne avete voglia (e non siete dei fifoni) la potete leggere nel libro La Stanza delle Ombre
Malvagie, che ha pubblicato il signor editore Gallucci, assieme a tutte le altre foto perché
lui le ha ricevute tutte. Se qualcuno vuole giocare a inventarsi altre piccole storie guardando queste figure, o quelle del libro, può raccontarmele inviandole a dugongo@ fastwebnet.it. è il posto dove abito nel mondo dei computer.
Ciao, buone feste invernali. Spaventatevi e divertitevi più che potete.
Jerry Kramsky
31
gd
idee&parole
I dolci legami d’amore
“Viola di mare”, un film delicato sulla tolleranza, il rispetto della persona e sulla
libertà di essere se stesse e del sacrificio per vivere il rapporto alla luce del sole
di Maria Tatsos
Il film Viola di mare ha recentemente riproposto
il tema della passione amorosa fra donne. Un fenomeno che è antico come l’umanità. Geniodonna
ha incontrato la regista del film e una studiosa che
si è occupata di questo argomento in chiave storica.
DONATELLA MAIORCA
regista di Viola di mare:
“L’essere umano deve essere libero di amare.”
Libertà di scegliere la persona da amare, contro
ogni regola che la società e la religione impongono.
È questo il tema centrale di Viola di mare, il film che
la regista Donatella Maiorca ha presentato lo scorso
ottobre al Festival di Roma. Un tema ovviamente
vicino al mondo delle donne, che storicamente la
libertà di essere se stesse se la sono dovuta conquistare. La regista siciliana, al suo secondo film, si è
trovata affiancata da un gruppo di lavoro prevalentemente femminile (direttore della fotografia, costumiste, scenografa, sceneggiatrici, autrice delle mu-
32
siche – Gianna Nannini – produzione, che include
anche l’attrice Maria Grazia Cucinotta). E si sente.
Nel film c’è grande delicatezza nell’affrontare una
storia d’amore omosessuale e le scene di sesso più
esplicite, funzionali alla narrazione, non hanno il
minimo accenno di volgarità. La trama è basata su
una storia vera, raccontata nel romanzo Minchia di
re di Giacomo Pilati (edito da Mursia). Due giovani
donne, Angela e Sara, cresciute insieme in un’isola
limitrofa alla Sicilia nella seconda metà dell’Ottocento, sfidano la società arcaica e patriarcale
con il loro legame. Per
poterlo vivere alla luce
del sole, Angela rinuncerà alla sua identità
femminile e diventerà
Angelo. Come il pesce
ermafrodita “donzella di mare” – “viola
di mare” in siciliano
– che si tramuta in un
L’amore fuori dagli schemi
idee&parole
gd
fra due donne libere
maschio per amore, e poi torna femmina. “È la storia di un amore esclusivo”, spiega la regista. “Angela ama solo Sara, è lei che vuole. Allora, come
oggi, l’essere umano non va diviso in categorie, ma
deve essere libero di amare.”
Come è nata l’idea di girare questo film?
Grazie alla scrittrice siciliana Pina Mandolfo: ha letto il libro di Pilati e mi ha proposto il soggetto. Mi è
subito piaciuta l’idea che la Sicilia potesse sdoganare una storia coraggiosa, che parla di libertà, tolleranza e rispetto della persona. Ma anche di doppia
identità, nel solco della nostra tradizione letteraria.
Sì, è molto attuale. Ma quando ho iniziato a lavorare su questo progetto, un anno e mezzo fa, nessuno
era interessato a produrlo. Grazie alla caparbietà
delle donne coinvolte, il film è diventato realtà.
Spero che serva averlo fatto oggi, perché in futuro
non susciti meraviglia che un film possa essere realizzato da un gruppo di lavoro femminile.
Fra i film che trattano il tema dell’amore fra due
donne, Viola di mare affronta con coraggio i sentimenti e anche la sessualità. È stato difficile per le
due attrici protagoniste?
No, sono due professioniste, sanno calarsi nel personaggio che interpretano. Fra Isabella Ragonese e
Valeria Solarino si è creata subito un’ottima alchimia.
Il film è uscito in un momento in cui il tema che
tratta è di grande attualità. La società italiana sta
dando preoccupanti segnali di omofobia…
33
L’omosessualità femminile nel film di Donatella Maiorca
gd
idee&parole
In un mondo per secoli oppressivo nei confronti delle
donne, potevano nascere storie d’amore come quella che
racconta Viola di mare? Lo abbiamo chiesto a Daniela Danna, ricercatrice e autrice di Amiche compagne
amanti – Storia dell’amore tra donne (Editrice Uni
Service, € 21,50), un saggio davvero ricco e documentato
sulle relazioni femminili.
DANIELA DANNA
ricercatrice di scienze sociali
all’università degli studi di milano:
“L’amore fra donne è sempre esistito.”
A partire da quando
si può parlare dell’esistenza di donne che
amano altre donne?
Prima della poetessa
greca Saffo, non ci sono
testimonianze
scritte
femminili che raccontino dell’amore nei confronti di un’altra donna. Per denigrarla, si
Daniela Danna
insinuò che fosse stata
Foto: Nada Zgank/Mementoplease.
una prostituta di rango,
un’etera: erano infatti le uniche donne nell’età classica che godessero di relativa libertà e istruzione.
Con l’avvento del cristianesimo, cambia l’atteggiamento nei confronti dell’omosessualità?
Sì, il mondo cristiano – che mutua usi e costumi ebraici – reprime l’omosessualità, soprattutto
maschile, che diventa oggetto di divieto esplicito,
punibile con la morte. L’omosessualità femminile
diventa, invece, più oggetto di tabù che di repressione perché è meno visibile. La donna non aveva
un ruolo sociale pubblico.
Il caso di Angela, che si traveste da uomo per po-
34
ter amare Sara, è unico?
No. Esistono altre storie simili. Nella prima metà
del Settecento, Caterina Vizzani, romana, morì in
ospedale per una ferita d’arma da fuoco. Si faceva chiamare Giovanni Bordoni, si era travestita da
uomo per andarsene e cercare lavoro. Innamoratasi della figlia di un canonico, aveva tentato la fuga
con la ragazza quando fu ferita. Era vergine, e venne sepolta con un abito bianco. Ci furono anche matrimoni, come quello fra Angela e Sara, in cui una
delle due donne fingeva di essere un uomo.
Ma queste storie non venivano condannate dalla
morale pubblica?
L’esistenza di una relazione con un’altra donna non
veniva condannata, perché il sesso poteva esserci
solo tra un uomo e una donna. Furono condannate solo le donne che usurpavano il sesso maschile,
travestendosi e simulando la presenza dei genitali
maschili. Questa era ritenuta una tendenza contro
natura.
C’erano donne che si travestivano solo per avere
una vita diversa?
Sì. Negli archivi delle società di navigazione olandesi, già nel Cinquecento, ci sono testimonianze
relative a marinai smascherati a bordo della nave
che erano in realtà donne, alla ricerca di un lavoro
o di un futuro migliore. C’è anche la storia curiosa
di una sarta che si travestì e divenne sarto da uomo,
perché il lavoro era pagato meglio. E ci furono persino donne soldato.
Il Settecento e l’Ottocento sono l’epoca delle
“amicizie romantiche” fra donne in Europa…
Fu un fenomeno diffuso soprattutto nelle classi superiori. Si trattava di un’amicizia esclusiva, un’affinità difficile da raggiungere con uomo, in un’epoca
di forte separazione fra i sessi. Restano testimonianze nella corrispondenza o nei diari.
La libertà dell’amore
idee&parole
gd
La vita, un lembo teso
sugli spilli del destino
di Ketty Fusco
Q
uando i confini fra due terre segnano un
passaggio di migrazione, invece di separare, uniscono, intrecciano il paese di partenza con quello di arrivo.
Nell’anima dell’emigrante questi confini-passaggio
si ingigantiscono, assumono una valenza straordinaria, fatta di nostalgia per il paese lasciato alle
spalle, di coraggio e speranza nei confronti della
nuova terra alla quale si va incontro.
Mi sembra naturale chiamarli confini dell’anima,
perché essi battono dentro chi li ha superati.
Figlia di un esule italiano antifascista, emigrato in
America e di una svizzera-grigionese, in età tenerissima varcavo, nel 1930, la frontiera tra Italia e
Svizzera con mia madre, mentre la malinconia per
la mia Napoli azzurra e lontana, il desiderio di conoscere e amare le montagne, i boschi e le città ordinate del paese di mia madre, la nostalgia del padre
americano e di quella sua nuova magica terra andavano sovrapponendosi, anzi fondendosi nella mia
anima, dove sarebbero rimasti per sempre.
Le nostre vite erano lembi
tesi e appuntati con gli spilli
del destino in terre distanti
e formavano un triangolo
di amore, di ideali, di sofferenza . Quando mio padre morì a New York nel
1944 senza poter tornare
in Italia, il mio destino
svizzero appariva ormai
chiaro.
Ma era inevitabile che il
triangolo di frontiere rimanesse per sempre intatto dentro di me e ispirasse molte mie
poesie.
Tra prosa e poesia:
I segreti di un mestiere
Da Il fiore e il frutto
ed. del Leone Tv, 1993
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idee&parole
Intervista all’artista ticinese Ketty Fusco di Emanuela Ravetta Ruini
Pensieri graffiati
sulla pagina bianca
Mi parli del suo lavoro…
Parlare del mio lavoro? Istintivamente penso: quale? Quello di attrice o quello di scrittrice? Perché
la mia attività ha avuto due percorsi: il teatro e la
scrittura, due passioni che si sono arricchite l’una
dell’altra, scambiandosi le loro magie.
Fino a un certo punto il teatro ha prevalso sulla
scrittura, che però non si è mai arresa.
Quali sono le sue opere? E i suoi più successi?
Durante gli anni del forte impegno come attrice e
regista, sono riuscita a realizzare cinque libri. Poi
sono più di venti libri che portano la mia firma, tra
poesia narrativa e racconti per bambini. Ambedue
le professioni mi hanno procurato qualche gioia:
L’anello Hans Reinhart 1994 che è il maggior premio
teatrale Svizzero e il premio Sipario di Milano, alla
carriera, come attrice. Anche come poeta ho goduto di qualche premio come Il libro dell’anno Schiller
1994 per “Il fiore e il frutto” (Ed. del Leone – Treviso
1994) che riuniva le sillogi di S. Albeverio Manzoni, Carla Ragni e la mia, una segnalazione al Premio
Francesco Chiesa 1960 con la raccolta “Nella luce degli occhi” (1962) e, ultimo, il premio Term Bell 2008
ai Giorni della letteratura di Damat Ens (Grigioni).
Quando nascono le sue composizioni?
La poesia è qualcosa che preme improvvisa, dentro di me, come una scossa che può avere forma di
parole o anche soltanto di pensiero, di sensazione.
La poesia Ai funerali dei vecchi compagni, l’ho scritta
di notte dopo aver sognato mio padre, esule antifascista morto in America nel 1944 quando io avevo
sedici anni. Io quella notte la completai. Non potevo aspettare. In tutti gli altri casi invece, dopo il
flash iniziale, bisogna subito trovare un foglio, un
pezzo di carta qualsiasi; in treno sono spesso ricorsa a fazzolettini di carta. Ma è molto raro che quel
prodotto sia definitivo. Dopo viene il momento
più delicato, quello della composizione armonica,
obbediente a un ritmo, a una musicalità, che non
tradisca però l’emozione iniziale. I racconti invece,
vengono scritti di getto, quasi nella forma finale,
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ma dopo una lunga elaborazione mentale e psicologica. È come se li pubblicassi dentro il mio corpo.
Solo dopo aver dato l’intera concretezza, decido di
graffiare la pagina bianca. (Io scrivo tutto a mano...)
Qual è il suo genere preferito?
Come autrice non riesco a dare una preferenza alla
poesia o alla prosa, le sento mie in egual misura.
Ambedue si arricchiscono vicendevolmente. E poi,
la poesia è anch’essa, a sua volta, un filo sottile che
può serpeggiare ovunque sia chiamata, magari
all’insaputa del narratore.
È rimasta affascinata dalla lettura di qualche poeta tanto da risentirne gli influssi?
Sì, la spinta iniziale furono per me l’immagine e la
voce di Salvatore Quasimodo che leggeva alla TV
la sua poesia Alla madre, di una bellezza estrema.
Pensai: ecco un vero poeta! Non si nasconde dietro
cripticismi intellettuali; Il suo linguaggio è alto, ma
anche limpido, trasparente, le sue poesie saranno
veramente di chi le legge.
Nella sua carriera, si è sempre sentita libera?
Il poeta se non è libero muore, (a volte, non solo
come poeta…) La disgrazia dell’esilio è stata la
porta della mia libertà di scrivere fin dai miei primi
passi, nella terra di mia madre, la Svizzera.
Ketty Fusco nasce a Napoli. A cinque anni si stabilisce a Lugano. È una bambina estroversa. A nove anni
partecipa a una commedia musicale alla Radio televisione svizzera italiana (RTSI). Così nasce la sua carriera
radiofonica e televisiva, come attrice e più tardi come regista. Per anni è stata responsabile del Radio teatro della
RTSI e la Società svizzera di Studi teatrali le ha assegnato
l’Anello Hans Reinhart 1994. Dal ‘84 al ’94 ha fatto diverse rappresentazioni teatrali per Lugano Teatro.
Ketty Fusco è anche scrittrice e poetessa.
Tra poesia, narrativa e favole ha già 21 pubblicazioni
edite in Svizzera e Italia. Fresca di stampa, la raccolta di
poesie dedicate alla donna, con disegni di Alda Bernasconi intitolata: In fogge dissonanti – Figlie di Eva nello
specchio di sguardi femminili – Ed. Ulivo - 2009
idee&parole
Manoscritti inediti per Geniodonna.
Foglie di Palestina e di Israele
Ai funerali dei vecchi compagni
Nel libeccio impaziente di settembre
appaiono coriandoli di cielo
tra i rami dei castagni
e il volo disperato
di foglie ancora vive.
Ai funerali dei vecchi compagni
ritorno bambina
accanto al mio eroe,
la sua fronte orgogliosa
nella notte dell’internazionale.
Ai funerali dei vecchi compagni
piango la sua morte di fuggiasco
nei paesi dei grattacieli
perché Lugano bella
non volle dargli il suo pane.
La domenica mattina
cantavano in piazza
le camicie nere
per i borghesi del Caffé Federale.
E la sua mano stringeva forte la mia
passando rasente le case.
Io lo guardavo
temendo la sua ribellione
poi abbassavo lo sguardo
sulle scarpe consunte
della sua Resistenza.
Oltre il mio bosco
raffiche di agguati:
i figli della terra più contesa
si staccano
dai rami della vita
Nati da poco
non sapranno mai
quel dolce attaccamento
alla corteccia
dell’albero nativo,
il gusto
dell’amore e della tregua.
A mezzanotte anch’io
Come la serpe
che usciva flessuosa
della sua vecchia pelle
crogiolandosi al sole,
a mezzanotte anch’io
chissà perché mi illudo
di lasciarmi alle spalle lo scafandro
della mia incompiutezza.
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Giorni della memoria
Panta Rey -1974
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Testo di Nicoletta Bortolotti.
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Illustrazioni di Carlo Mango.
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Con i fili tessuti da Cloe
in salvo i Mulinonero
Postfazione dell’autrice della novella illustrata Il filo di Cloe
di Nicoletta Bortolotti
I
l romanzo Il filo di Cloe* racconta la storia di
una famiglia come tante. La vicenda, nonché il
personaggio di Cloe, si prestavano particolarmente a una trasposizione in forma di graphic novel,
grazie al tratto raffinato di Carlo Mango.
La famiglia Mulinonero è una famiglia normale. La
sua storia minore s’intreccia con fantasia e umorismo alla storia maggiore dell’Italia contemporanea.
Il padre informatico disoccupato alla perenne ricerca di un fantomatico posto di lavoro (nonostante la
“leggera” ripresa); la madre con contratto a progetto al sempiterno inseguimento di un’improbabile
assunzione (nonostante la legge Biagi); il figlio Lorenzo, detto DG (il Grande Diplodoco), età quattro
anni, un “vecchio”, che non mangia i pesci con la
testa; e la figlia Cloe, undici mesi, una settimana e
tre ore, voce narrante senza parole: a lei, dio ingenuo e profetico, il compito di tessere la verità con i
fili della menzogna. Un racconto coinvolgente, tra
il coraggio e l’incertezza, tra gli incandescenti binari delle Ferrovie Nord e gli infiniti campi di mais di
un hinterland milanese, dove nelle villette a schiera ci sono padri a schiera, madri a schiera e figli a
schiera. E dove gli adulti, nonostante i divorzi, la
crisi, la disoccupazione e la Cina che avanza, verranno salvati con un finale inatteso, dai bambini.
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Il romanzo (Sperling
& Kupfer, 2007) fu
presentato al Mondadori Multicenter
di Milano dal giornalista de Il Sole
24ore Walter Passerini (fondatore di
Corriere Lavoro) e da
Alessandro Rimassa,
autore del libro Generazione 1000 euro,
Nicoletta Bortolotti.
che oggi è diventato
un film. In aggiunta ai vari articoli pubblicati su riviste e quotidiani, di cui uno a firma di Maria Rita
Parsi, è uscita recentemente una mia intervista sul
settimanale online Arcoiris a cura di Maurizio Chierici (si può leggere su Internet). Al romanzo è stato
dedicato spazio su Radio Monte Carlo, Radio24 e Radio Reporter.
*Il romanzo, ormai esaurito in libreria, si può ordinare direttamente presso il sito della Sperling & Kupfer
o presso www.bol.it o www.isbn.it. La graphic novel
verrà pubblicata a breve, così come il mio terzo romanzo,
un romantic-noir sullo sfondo della crisi, dove saranno
ancora una volta i bambini a sciogliere un mistero chiuso in una roccia in riva al mare. Titolo top secret!
idee&parole
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Non siamo donne
a disposizione del potere
di Vera Fisogni
I
l corpo e il potere vivono, da sempre, una sto- trato il cuore del problema politico, che è allo stesso
ria fatta di intrecci e rimandi. L’idea di potenza, tempo un problema filosofico: quello della distanza
nella politica, ha spesso bisogno di incarnarsi in tra l’usare e il disporre, tra l’uti e il frui agostiniano,
una figura riconoscibile e forte: si pensi ai regimi tra corpi e persone. Precisamente, il potere “usa”.
dittatoriali, non meno che alle democrazie presi- Nella logica del velinismo la donna accetta di essere
denziali in cui la condizione fisica dei leader è fat- “usata”, perché con il proprio corpo si fa strumento
tore di rassicurazione o di incertezza per il popolo. – molto consapevole, per altro – di una mediazioMa di questi tempi è soprattutto il rapporto tra il ne (io do, tu dai). La Bindi, con quel motto che è
corpo femminile e il potere a fornire spunti di rifles- insieme un dirompente atto politico, ha rilanciato
sione capaci di illuminare, aldilà di qualsiasi luogo il valore dell’autodeterminazione come non si sencomune, lo specifico dell’essere donna nella politi- tiva da tempo. Mentre si può “usare” di qualcuno,
ca, indicando nuovi punti prospettici. Che cosa ci non si può realmente “disporre” di nessuno, perché
suggerisce la cronaca? Da un lato si impone la mer- questo secondo termine rinvia a un’idea di persocificazione del corpo femminile, sia da parte del po- na come progetto, fine, cespite di possibilità sempre nuove. L’atto politico della
tente di turno che si circonda di
Bindi, nella sostanza, consiste
ragazze nel fiore della bellezza,
nel mostrare che – accanto a
sia da parte delle stesse donne,
un potere basato sul possesso,
che offrono se stesse con moche guarda all’altro come a un
dalità mercantili, per ottenere
oggetto – ne esiste uno incarqualcosa in cambio: un piccolo
nato nel rispetto. Prima dei
lavoro in tv o un “favore” pocorpi ci sono le persone. La dilitico. Il velinismo fa essenzialchiarazione della Bindi appare
mente propria la classica mointeressante anche per un’aldalità del potere maschile, il
tra ragione. Nella sua replica
corpo come strumento, brandia Berlusconi, a ben vedere,
to sia dalla donna, consapevole
non risuona nulla dello slogan
di farne “merce” di scambio,
vetero-femminista che recitava
sia dall’uomo politico, che in
“il corpo è mio e lo gestisco io”.
quella bellezza trova conferma
Quel motto degli anni settanta
sillogistica della propria identiponeva l’accento sull’uso della
tà (io voglio, io ottengo, io pospropria corporeità prima ancoso). Questo stile d’azione, caratGiorgio
De
Chirico.
ra che sulla visione di sé come
terizzato dall’uso del corpo per
avere o per dare, tradizionalmente maschile ma ora soggetto capace di decidere, consapevolmente, del
pienamente assunto anche dalle donne, non incide proprio agire, da persona autenticamente libera. È
in modo originale sulla dialettica del potere. Piut- importante capire la differenza tra le due prospettosto, tende alla sua conservazione.Vi è poi un’altra tive, perché mostra come l’uso del proprio corpo
dinamica, squisitamente politica e, a mio giudizio, (come si dà a vedere, per esempio, nel velinismo),
specificamente femminile, sintetizzabile nella for- lungi dall’esprimere un elevato grado di libertà o di
mula: il potere delle donne, in politica, è proporzio- negoziazione politica, come parrebbe invece di prinale al proprio negarsi come corpo, al proprio “non mo acchito, azzera la relazione interpersonale, cuoessere disponibili”. Nel replicare a una spregevole re pulsante di una politica non schiava del potere.
battuta del Presidente del Consiglio Silvio Berlu- Si tratta di una prospettiva in cui le donne possono
sconi (“lei è più intelligente che bella”), l’esponente dire molto, per la propensione ad aprirsi con genedel Partito democratico Rosy Bindi ha replicato: “Io rosità alla vita e alla cura, a patto di riconquistare il
non sono una donna a sua disposizione”. Ecco cen- proprio corpo come bene non negoziabile.
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nonsoloMarilyn
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Carmen, la furia rossa
di Silvia Taborelli
A
ttrice-feticcio di Pedro Almodovar, Carmen
Maura è una della più note interpreti spagnole, resa celebre da Donne sull’orlo di una crisi di nervi,
film che le ha disegnato addosso un personaggio
per la vita: donna di carisma, senza pudori, indipendente e sensuale, a tratti rude ma che esprime
debolezze emotive e nevrosi. Con i suoi personaggi, dal look eccentrico e dalle tonalità in rosso che
trasmettono vivacità e passione, ha caratterizzato
oltre vent’anni di cinema spagnolo.
La sua carriera si avvia nel post-franchismo degli
anni ’80, con la bramosia di libertà che, soprattutto
il cinema di Almodovar, ci ha raccontato con tanta
forza. Maura ne è stata ambasciatrice in ben quattro film in cui è protagonista assoluta: Pepi, ragazza
indipendente che coltiva marijuana e viene violentata da un poliziotto (Pepi, Luci, Bom e le altre ragazze del mucchio del 1979); Gloria, casalinga infelice
che uccide accidentalmente il marito (Che ho fatto io
per meritarmi questo?, 1984); il transessuale Tina dal
senso materno (La legge del desiderio, 1987) e Pepa,
in pesante crisi per amore ma capace di farsi carico
di mille imprevisti e di ribellarsi all’uomo che ama
(Donne sull’orlo di una crisi di nervi, 1988). Passano
quasi vent’anni ed è di nuovo diretta da Almodo-
var, nel 2006 con Volver, dove ritorna, molto simbolicamente, nelle vesti di fantasma. Un sodalizio
che è alle basi della sua carriera. “L’ho conosciuto
a teatro, come attore era pessimo, ma divertente.
Siamo diventati amici e lui inventava molte storie
per me, rappresentava il mondo che non conoscevo, la modernità.” La sua verve sulla scena è senza dubbio conseguenza della sua storia personale,
segnata da un radicale cambio di vita. Figlia di un
aristocratico conservatore, Carmen Maura riceve
una rigida educazione cattolica; si sposa a soli diciannove anni, a venticinque ha già due figli. Tutti
i presupposti di un’esistenza ancorata alla Spagna
tradizionalista e benestante, ma la passione per la
recitazione la conduce verso scelte di vita che, seppur sofferte, la rendono modello di indipendenza
e forza femminile. Abbandona le costrizioni della
donna dedita alla famiglia e intraprende un’appassionante carriera in teatro e nel cabaret, in parti comiche e provocatorie.
Ironica, appassionante, grintosa, irrequieta, e in
questo quintessenza della poetica almodovariana,
è diventata tra le migliori interpreti del genere commedia/melodramma. Carmen Maura è rimasta per
lo più legata alle produzioni spagnole testimoniando un intenso legame con il proprio paese, per la
sua città natale, Madrid. Un rapporto profondo
raccontato lo scorso ottobre a Milano, dove è stata invitata come madrina per Made in Mad al Piccolo Teatro. In questa occasione è stato proiettato
uno dei suoi ultimi film, lo spassoso La Comunidad
(2000), commedia nera e grottesca, dove interpreta
Julia una spietata agente immobiliare alle prese con
l’avidità dei vicini di casa.
Ora avremo occasione di vederla sul grande schermo in Tetro – Segreti di Famiglia (uscita in Italia il 20
novembre) presentato all’ultimo festival di Cannes
e in anteprima nazionale al Torino Film Festival.
Carmen Maura all’età di sessantanove anni si confronta con una produzione americana firmata dal
grande Francis Ford Coppola e interpreta il ruolo di
critica letteraria mentore del protagonista (Vincent
Gallo) scritto per lei da Coppola. In Carmen Maura
ha trovato il temperamento giusto per il suo personaggio, nonostante, in un film quasi interamente
fotografato in bianco e nero, l’attrice venga privata
del colore che tanto ha caratterizzato la sua carriera.
A fronte: MATADOR - Carmen Maura (photo Sony Pictures Classic).
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idee&parole
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La passione della commedia
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idee&parole
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All’ombra di un gelso
tra il lillà e il caprifoglio
Il mondo di Gentilia Ardigò, sincero, limpidissimo e asprigno come il vino contadino
di Basilio Luoni
D
i sicuro non sarà la Lega di Bossi a salvare
i dialetti. Le lingue non vengono salvate dai
diktat dei politici né dai professori: avete mai fatto
mente locale alla lingua parlata in parlamento e nelle aule scolastiche? Politici e professori dovrebbero
cominciare con l’imparare prima di tutto l’italiano.
I dialetti saranno salvati, com’è giusto, com’è inevitabile dai poeti, che agiscono con i lessici come
fanno con i sentimenti: li mettono nei loro alambicchi, li sciolgono dalle impurità, li lasciano trasparenti e profumati. È incominciata da qualche
tempo, quest’opera di salvataggio, in maniera del
tutto spontanea: da quando lingua nazional-popolare è diventato l’italiano televisivo, che un poeta
non potrebbe usare senza vergognarsene. La produzione? Un numero limitato di bottiglie: liquori
doc, per intenditori, non alcol scadente per sbronze di massa.
Casalbuttano, nel cremonese, offre il “prodotto”
di Gentilia Ardigò: un vino sincero, limpidissimo,
asprigno, una rievocazione del mondo contadino
(e una riflessione sulla vita) depurata di ogni residuo sentimentale e nostalgico.
Lì la poetessa è nata nel 1923,
in gennaio, in una cascina
tra i campi simile a quella dell’albero degli zoccoli: “L’aia era grande,
in terra battuta… In
mezzo, presso la concimaia, all’ombra di
un gelso, l’unico cesso
per dodici famiglie… le
case sfilavano su due lati ad angolo retto come
vecchie sorelle che si reggevano a vicenda… L’aia
brulicava di galline… Qualche vicina allevava le oche…
supernutrite mettevano su certi petti e certe cosce… (la) inse-
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guivano allungando il collo… con uno starnazzare
sguaiato e minaccioso.” Il nonno era facchino di
granaglie, il padre falegname, la madre lavorava in
filanda. La famiglia traslocò in paese dopo la morte di un bambino, rievocata in una delle liriche che
presentiamo. Vennero gli anni della scuola elementare: la maestra “era una donna intelligente… (le)
insegnava ad avere interesse per il bruco quanto
per la farfalla, per le albe e per la candela che fumigava nella casa dei poveri. La poesia nacque allora,
come sentire”. La ragazza scoprì i classici: Dante,
Manzoni, Pascoli, Carducci, Leopardi. Li studiava
a memoria, li ripeteva a voce alta “quando nessuno (la) sentiva, seduta nell’orto” sotto il lillà e il
caprifoglio. S’innamorò della montagna, leggeva e
seguiva l’esempio di Piergiorgio Frassati, ammirava Bartali che “scalava i passi dolomitici e portava
fiori alla Madonna del Ghisallo”. Con un uomo di
montagna ebbe una storia importante e una delusione che la ferì. Intanto era diventata maestra lei
stessa e insegnò nelle elementari sino all’età della
pensione: “Il pascolo dove tanto ho dato, ma ancor
di più ho ricevuto, è stata la scuola”.
idee&parole
gd
La metafora è significativa, ricorda la montagna, la
vita della montagna, dura, chiusa, in salita, e al tempo stesso solida, piena, ostinata, non rinunciataria.
Come è stata la sua “nient’affatto monotona, anzi
laboriosa e piena di interessi”. Come le piaceva insegnare, così le piaceva la terra, il lavoro manuale
quanto le faccende di casa e del giardino. E gli animali: i gatti, i pettirossi, le rane, gli insetti dei campi. E i due abeti che aveva in giardino. E la pittura,
le icone… Non è stata mai troppo fra i libri. Se ha
una preferenza per una letteratura, è per i russi, e
sembra di capire il perché.
Al dialetto è arrivata quasi per caso: una collega,
Mara Maretti Soldi, “una delle voci più note del
dialetto cremonese”, le chiese il favore di dattilografare alcune sue composizioni… “Mi si parò davanti un mare di cose da raccontare: il Paese e la
sua gente, le sue attività”, i personaggi, le storie, i
ricordi d’infanzia, la filanda… Ha pubblicato due
raccolte: àaria de Paées e Se cerchet adès che ‘l véen séera.
“Prendo un vecchio quaderno e una biro e mi metto a raccontare. Il dialetto fluisce in armonia con
le cose che lo porto a descrivere. Scrivo di getto,
raramente cercando la rima, ma obbedendo all’esigenza di mantenere nella composizione un certo
ritmo interiore”.
ME MÀMA
Mia madre (Traduzione di Basilio Luoni)
Li séeri d’ estàat
spetàavi me màma là fò de ‘l purtél:
vurìivi vedìila pasàa
tra i plàten de ‘l fòs.
E quàant la slümàavi là ‘ n fùunt,
mulàavi per tèra i süpéi
per cùreghe ‘ncùuntra.
Udùur de filàanda,
prüföm de me màma,
per me.
Le sere d’estate
Aspettavo mia madre là, fuori dal portone:
volevo vederla passare
tra i platani del fosso.
E quando la scorgevo là in fondo,
lasciavo per terra gli zoccoletti
per correrle incontro.
Odore di filanda,
profumo di mia madre,
per me.
Questa composizione fa parte del poemetto Il tempo delle filande contenuto in Àaria de paées (1985).
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idee&parole
‘L ÉERA GENÀAR
Era gennaio
Sòo nàada tra dùu fòs
na nòt che la néef la se giasàava
e zelàava àanca i bìs en de li tàani
adrée a la feràada.
Durmìva el Mìnciu (un cascinale)
e la so gèent,
durmìva stèench i trìi muròon de l’ èera.
S’cianfarutàava l’ àaqua adrée a la finestréla
e l’éera néegra e la curìiva.
El tumbòon pièen de fàa paüüra.
Sono nata tra due fossi
una notte che la neve ghiacciava
e gelavano anche le bisce nelle tane
lungo la ferrata.
Dormiva la cascina del Mincio
e la sua gente,
dormivano scheletriti i tre gelsi dell’aia.
Gorgogliava l’acqua sotto la finestrella
era scura e correva.
Il Tombon era pieno da far paura.
Ma dèenter l’ éera cùma en céeza
na lücèerna tacàada jà e dò candéeli
e màan de dùni espèerti
e ‘ n parlàa piàan
a i ùurdin de la “siùra” (la levatrice).
Me màma en gràan travài.
De là el nòonu el fàava fóoch:
li stìsi de i suchèt
apèena ‘ mpìsi
li murìiva:
j éera calözen sübit.
Ma dentro era come in chiesa,
una lucerna appesa e due candele
e mani di donne esperte
e un parlottare sottovoce
agli ordini della levatrice.
Mia madre in gran travaglio.
Di là il nonno badava al fuoco:
le faville alle giunture dei ciocchi
appena accese
morivano:
erano subito caligine.
I pütéi, àanca chèi de i siùr,
i nàs a cridèent
àanca mé cridàavi: séeri vìiva.
E me pupà,
avàanti e ’ndrée per l’ èera biàanca,
‘l è curìit en cà,
el gh ‘ à taccàat a ‘l ciòot la mantelìna
e ‘l gh’à urdinàat.
Nòonu, frèghe ‘l cafè a la “siùra”,
el pügnatìin ‘ l è fóora,
en sö ‘l sicèer.
I bambini, anche quelli dei signori,
nascono piangendo;
anch’io piangevo: ero viva.
E mio padre,
avanti e indietro nell’aia bianca,
è corso in casa,
ha appeso al chiodo il tabarro,
e ha ordinato:
-Nonno, fate il caffè alla “signora”,
il pignattino è fuori,
sul lavandino.
E na gràan fiàma s’ è levàat
en de ‘l camìin
(‘ l éera en gàamba me nòonu)
e s’è ‘mpienìit la càaza
de fantàasmi bòon.
Cafè sèensa cicòoria,
li chìcheri de ‘l servìsi,
i cüciarìin,el söcher.
( l’ éera cuntèent me nòonu).
E si è alzata una gran fiammata
nel camino
(mio nonno era in gamba)
e la casa si è riempita
di fantasmi buoni.
Caffè senza cicoria,
le tazze del servizio,
i cucchiaini, lo zucchero
(mio nonno era contento).
Entàant i me ‘nfasàava
cu ‘ i pesulìin bèen strèt:
séeri en püòt de càarne véera
en màan a me pupà.
Lasèeghe fóora li manìni!
La vùus de me mama
l’ èera apèena ‘ n fìil.
Dòpu la s’ è pèersa vìà.
Intanto mi fasciavano
ben strette con le pezzuole;
ero una pigotta di vera carne
in mano a mio padre.
– Lasciatele fuori le manine! –
la voce della mamma
era un filo appena.
Dopo si è persa via.
‘Lè stàt el nòonu
a sbasàa la fiàma de la lücèera
e a mèter sö ‘n àalter suchèt.
E cu’ na màan el dindulàava
el panerìin.
È stato il nonno
ad abbassare la fiamma della lucerna
e a mettere sul fuoco un altro ciocco.
E con una mano dondolava
la piccola culla.
idee&parole
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CHèLA DE’ L MESURÉL
EEL fradelin
QUELLA DELLA FALCE
Il fratellino
Me màma la la sentÌiva:
la rivàava a nóot
per el Tumbòon de ‘l Mìinciu
sèen püsèe sèca
e sbrazelìida.
Lée la saràava sö la finestréla
Cun dùu luchèt,
la ghe metìiva davàanti
i stràs a li fesüüri,
chèi de s’ciavìin.
Ma chèl s’cianfarutàa néegher
lé fóora
sùta ‘l zèen zelàat
el fàava vègn i sgrìizui.
La gh ‘à pustàat davàanti
en paravèent a fiùur:
“La pruarà vergùgna
D’éser enfàma
E la ‘ndarà jà.”
Mia madre la sentiva:
arrivava a nuoto
per il Tombo del Mincio
sempre più ossuta
e famelica.
Lei chiudeva la finestrella
Con due lucchetti,
metteva stracci
davanti alle fessure,
quelli di sacco.
Ma quel gorgogliare nero
lì fuori
sotto le alghe gelide
faceva venire i brividi.
vi ha appoggiato davanti
un paravento a fiori:
“Si vergognerà
d’essere un’infame
e se ne andrà via.”
Chèla de ‘l mesurél
Envéci
La gh ‘ è pasàada istès:
sö de’l fòs
per na fesüüra
‘ n de na matìna biàanca
de genàar.
Làadra de putéi!
S’éera zelàat sö i véeder
en paradìis de fiùur
e foora mìla falìvi entùurnu
a ‘ l putelìn rubàat:
‘se fàsli màaai?
Li ghe ‘ nsegnàava a vulàa
Cu’ j angelìin,
E lèe,scurnàada,vìa
sùta’l zèen de’ l tóombo
a burbutàa masnòni:
e la batìva i dèent
e ghe ciucàava j òs.
Quella della falce.
Invece
vi si infilava dentro lo stesso
su dal fosso
per una fessura
in una mattina bianca
di gennaio.
Ladra di bambini!
Intanto si era ghiacciato sui vetri
un paradiso di fiori
e fuori mille fiocchi intorno
al piccolino rubato:
che cosa mai?
Gli insegnavano a volare
con gli angioletti.
E Lei, in fuga e vinta, via
sotto le alghe del Tombo
a gorgogliare bestemmie:
e digrignava i denti
e le scricchiolavano le ossa.
Le due composizioni in queste pagine sono inedite.
Le traduzioni sono di Basilio Luoni e le illustrazioni
di Giuseppe Bocelli.
51
idee&parole
gd
gd
Neera,
i romanzi
delle martiri gentili
di Angela Cerinotti
L
a realtà provinciale italiana fra l’Otto e il Novecento, con la sua oggettiva arretratezza anche
nella cultura e nei costumi, non costituì per la scrittrice Neera (Anna Zuccari, nata nel 1846 e morta
nel 1918) un limite, ma, anzi, un costante motivo
d’ispirazione artistica.
Ma perché parlare ancora di Neera, una scrittrice
“provinciale”, a distanza di un secolo e in tempi di
globalizzazione?
Nei suoi romanzi l’ambientazione è prevalentemente provinciale e in questo mondo, evocato anche nel suo aspetto esteriore (strade, case, giardini,
orticelli…) si muovono le sue creature, “varie tra
loro, varie in loro stesse, e attorniate da una folla
varia di personaggi minori”, come osservò acutamente Benedetto Croce a proposito del romanzo
Teresa, pubblicato nel 1886.
In questo romanzo è raccontata la storia di una
fanciulla, appunto, di provincia, totalmente, ma
non passivamente, dedita alla morale domestica.
Il padre è rude e autoritario, preoccupato solo di
far conseguire la laurea all’unico figlio maschio
della famiglia; la madre è debole, mite e rassegnata. Quando Teresa si innamora di Egidio, che
a sua volta l’ama appassionatamente, il padre si
oppone alle nozze. La fanciulla vede così crollare
il suo sogno d’amore e vive lo sfiorire della propria
giovinezza. Nella sua solitudine di “zitella” viene
successivamente a sapere che Egidio è malato gravemente e incurante dei pubblici pettegolezzi della
gente del paese, decide di raggiungerlo, per assisterlo con amore “puro”.
Neera è una delle prime scrittrici a concentrarsi sulla condizione femminile. Mentre riconosce il ruolo
socialmente subordinato della donna in una società
che assegna agli uomini un ruolo prioritario, come
era l’Italia a quel tempo, contemporaneamente rivendica le ragioni di cuore e della sensibilità femminile. Alle donne nubili, costrette a reprimere
sensi e sentimenti in ossequio alla morale tradizionale, Neera riserva in molti dei suoi romanzi un’attenzione affettuosa, arrivando a definirle “martiri
52
gentili” o “anime senza amore”. Ma alla morale
convenzionale non si sottraggono nemmeno tante
donne maritate, come si è già detto a proposito della madre di Teresa. Spesso il matrimonio procura
loro insoddisfazione, nei sensi e nell’anima, come
accade a Marta, protagonista del romanzo L’indomani, pubblicato nel 1890. Marta, al contrario della
madre di Teresa, non si rassegna e appaga, anche
fisicamente, il suo bisogno di amore nell’ascoltare
i “messaggi” della creatura di cui è gravida, cioè
nella maternità.
I romanzi di Neera sono ormai diventati “romanzi
storici”, non solo in rapporto all’Italia, ma anche in
rapporto alla storia… delle donne.
gd
anoressia
La divinità che
spegne la carne
di Martita Fardin
G
uai a pronunciarne il nome, se ne parla ma con perifrasi. La chiamano “Filosofia di
morte”, “Filosofia del digiuno”,
“Moderno cancro dell’anima”,
“Male del secolo”, ma è una sola
e terribile parola che racchiude in
sé un mondo di sofferenza che
dalla realtà ha sconfinato nel virtuale. Il suo nome è Anoressia, nel
gergo di Internet Ana, dea che
con i dieci comandamenti spinge le ragazze a non mangiare fino a diventare pelle e ossa, fino a
morire di fame, per raggiungere
l’irraggiungibile, la perfezione di
un corpo che annulla e mortifica
la carne.
Una realtà complessa, che interessa anche il comasco, sia nella quotidianità, sia nel virtuale,
dove blog e forum prolificano,
soprattutto fra le giovanissime.
E dal comasco parte la nostra
inchiesta, dove l’anoressia sta
diventando una realtà preoccupante: un fenomeno che colpisce
soprattutto una fascia d’età femminile dai 15 ai 25 anni.
Negli ultimi anni, le statistiche relative a Como e cintura – secondo gli ultimi dati forniti dall’Unità
Nutrizione Dietetica di Como –
parlano chiaro: le anoressiche
rappresentano ben lo 0,8% della popolazione di Como e Provincia, contro uno 0,5% della
media nazionale. Il quadro non
è rassicurante, soprattutto se si
considera che l’anoressia ha una
letalità nazionale attorno
al 10%.
Nel comasco, il fenomeno
ha iniziato a manifestarsi una ventina d’anni fa quando
il numero delle pazienti in cura presso il Centro disturbi del
comportamento alimentare di
via Castelnuovo si è addirittura
triplicato (circa 140 persone).
Negli ultimi anni poi, si è abbassata l’età in cui si manifestano i
primi comportamenti anoressici.
Secondo alcuni test psichiatrici,
effettuati nelle scuole elementari del territorio, bambine e
bambini - cui viene chiesto
di disegnarsi – si raffigurano simili a scheletri o reduci di lager.
Per non parlare delle
bambine che, dopo l’immissione
sul mercato della barbie anoressica, non hanno più una cognizione esatta del proprio corpo.
Poi c’è il bombardamento mediatico delle riviste patinate, di
Internet, della televisione, del
cinema e della tv, della pubblicità subliminale: se non sei magra non sei attraente. La modella
glamour, eterea, diventa un’icona di bellezza cui tendere, costi
quel che costi, soprattutto nella
pubertà “quando i problemi con
l’accettazione del proprio fisico aumentano”, dice il dottor
Alfredo Vanotti, noto nutrizionista con una vasta esperienza
nell’ambito dei comportamenti
del disturbo alimentare. Secondo i dati dell’Istituto superiore
della sanità, l’anoressia non fa
distinzione fra classi sociali e livello d’istruzione, colpisce tutte
indistintamente. “C’è sempre alla base – spiega il dottor Alfredo
Vanotti – un disagio psicologico che si manifesta all’interno
del nucleo familiare. L’adolescente non è in grado di gestire
i cambiamenti del proprio corpo,
spesso influenzata dalle modelle glamour delle riviste di moda, dalla tv e da Internet, cui si
aggiunge una carenza affettiva
all’interno delle relazioni familiari o un’incapacità di gestirla in
modo sano.”
53
gd
gd
anoressia
Una farfalla eterea
senza cibo per non
essere ghermita
Il rifiuto di alimentarsi dell’anoressica è la ribellione al modello patriarcale
imposto alle donne di un ruolo privo della dimensione spirituale e culturale
di Ornella Benzoni
C
onsiderata nella sua dimensione simbolica, l’anoressia rappresenta una fragorosa
richiesta di spirito a prezzo del
tormentoso sacrificio del corpo.
È noto che le persone che soffrono di anoressia sono in grande maggioranza donne, quasi
sempre giovani, che incespicano in quel delicato passaggio che
le dovrebbe traghettare dall’infanzia all’età adulta. Sono donne che rifiutano di appiattirsi sul
ruolo di corpo esclusivamente
naturale che l’ordine patriarcale
impone agli esseri umani di sesso femminile.
È vero, negli ultimi decenni le
donne occidentali hanno conquistato nuove aperture e nuove
libertà. Sono però conquiste ancora di superficie: la prospettiva
non è ancora stata rovesciata. La
donna non può ancora, e talvolta
non sa, partecipare alle trasformazioni culturali a partire dallo specifico femminile. Troppo
spesso assistiamo a pantomime
di donne di successo che, deprivate di altri modelli, mimano in
modo grottesco il modo in cui
54
gli uomini stanno sulla scena del
mondo!
La giovane anoressica non accetta di sottoporsi alle leggi del
patriarcato che identificano la
donna con la materia e limita la
sua azione allo svolgimento delle funzioni naturali: il concepimento della vita biologica, il suo
nutrimento e mantenimento, la
soddisfazione dei bisogni.
Rifiuta la riduzione di corpo
vivente a corpo
fisico; è determinata a non lasciarsi
privare dell’intenzionalità e della
capacità riflessiva che trasforma la natura in
cultura e, quindi,
trascende la natura nello spirito.
Lei vuole dare senso al proprio
esistere, reclama il diritto di poter illuminare con la luce dello
spirito la pesante concretezza cui
è condannata in quanto donna,
per poter dispiegare le ali della
propria creatività e contribuire a
plasmare il mondo.
Sfortunatamente, inchiodata co-
anoressia
me è dall’ordine sociale e dallo
stile familiare al mero appagamento dei bisogni materiali, la
giovane anoressica conosce un
solo modo, concreto, di gridare
la propria ribellione: rifiutare il
cibo, isolarsi, rendersi trasparente, scomparire, morire nel tentativo di diventare ella stessa quello
spirito che le viene negato.
La ragazza anoressica cresce
spesso in una famiglia che le ripropone, senza alcuna possibilità
di personalizzazione o di critica,
il modello sociale dominante. I
genitori, condizionati a conquistare freneticamente beni materiali, si ripiegano sotto una vita
di sacrifici. Tacciono, negano,
mascherano gli inevitabili conflitti dietro una cortina di benessere e armonia, con il risultato di
una comunicazione contraddittoria e confusa. Invadono il territorio dei desideri e dei bisogni
della figlia sottoponendolo a un
ricattatorio controllo, presentato
in buona fede come forma di interessamento e amore.
Gli interessi della madre della
giovane anoressica si focalizzano spesso sull’aspetto fisico, sulla moda, sul controllo del peso,
sul mantenimento di un aspetto
giovanile. Questa madre ha fortemente interiorizzato le regole
sociali che le impongono di rispondere – come figlia, moglie,
madre – prima di tutto ai bisogni
altrui e solo in seconda istanza,
e forse, ai propri. E ripropone
pervasivamente queste regole alla figlia, censurandone con forza
ogni tentativo di individualità.
Così, le norme e i modelli imposti dalla famiglia alla figlia per la
costruzione della propria identità non contengono alcun senso vitale. Il rifugio nell’anoressia
rappresenta l’urlo disperato di
chi chiede un’altra vita. Nella sua
penosissima ricerca di spirito, la
giovane anoressica si ritira in se
stessa e rifiuta non solo il cibo ma
ogni altra spinta vitale. Sente le
pulsioni pericolose perché, se le
accettasse, potrebbero sopraffarla e farle così smarrire quell’unica soggettività di cui, a prezzo
altissimo, è riuscita a impadronirsi: quella creatura incorporea,
trascendente, svaporata che solo in questo modo riesce a custodire la certezza di non essere
ghermita, sopraffatta. È pronta a
portare alle estreme conseguenze la sua richiesta di senso. Preferisce scomparire se non le è
concesso di esercitare quell’atti-
gd
gd
vità creativa, trasformativa, che il
nostro mondo considera un valore maschile. A qualsiasi costo
vuole avere accesso non al cibo
materiale ma al vero nutrimento. Con il suo sacrificio, la donna
anoressica, ricorda a tutti a noi,
abitanti di un’epoca tanto efficiente e così poco etica, le parole
di Cristo: “Procuratevi non il cibo che perisce ma quello che dura per la vita eterna” (Giovanni
6, 27) e, ancora:
“Non di solo pane vive l’uomo,
ma di ogni parola che esce dalla
bocca di Dio”. (Matteo, 4, 4).
55
anoressia
gd
d
g
La sete d’amore, il filo
che riconduce alla vita
Ad Asso un centro per il percorso d’uscita dalla anoressia – Attività di relazione
individualizzate per ritrovare la stima di se stesse e il valore del fare
di Marcella Cirrincione
U
n coro di voci chiede ripetutamente: “Cosa vuoi? Hai
un regalo? Prima dicci che cosa
vuoi!”
“Vi voglio chiedere di accettare
la visita di questi signori che lavorano per un mensile.”
“Va bene, ma che cosa vogliono
vedere?”
“Solamente come vivete qui e
come sono le vostre camere.”
“Siamo un po’ malvestite, fa
niente?”.
Così siamo entrati e abbiamo
cominciato a conoscere la Comunità di Asso. Siamo in una
grande villa primi anni del Novecento, lasciata in eredità al Comune da una nobile famiglia:
qui sono ospitate alcune comunità per minori e questo Centro
di riabilitazione di ragazze. Sono
quattordici le ragazze ospiti del
Centro, a due a due condividono
una stanza che personalizzano
con immagini, disegni, fotografie, oggetti. È il segno della accettazione di un percorso. Si vive
insieme nella sala della televisione, nel soggiorno, nel laboratorio. Poi l’ufficio per gli incontri
con la psicologa o la pedagogista. L’attività è rivolta a fare
emergere la persona con le sue
esigenze e individuare attività
coerenti. Il metodo non fa riferimento a un modello specifico,
ma risente di evidenti influenze
56
sistemiche e metodologiche calibrate sulle esperienze soggettive
degli operatori. La Comunità è
una delle poche in Italia che prevede tempi di ricovero prolungati a un massimo di 36 mesi (da
3 a 6 mesi negli altri). Gli operatori – psicologa, pedagogista,
dietista, il medico specializzato
in medicina interna, lo psichiatra - lavorano in equipe creando
programmi riabilitativi personalizzati. La Comunità, operativa dal 2006, ha fin qui trattato
200 casi di cui il 50% con esito
positivo, 30% usciti dal percorso volontariamente, 20% con risultati parziali: solo due hanno
registrato esiti negativi. Le ragazze vengono inviate in Comunità
dall’ambulatorio, situato presso l’ospedale S. Anna di Como,
presso il quale sono state aperte
330 cartelle cliniche in cinque anni. I casi più difficili sono quelli
di ragazze che hanno subito violenza sessuale intra-familiare: qui
il desiderio di autodistruzione e
autopurificazione è più forte. I
sintomi dell’anoressia si manifestano già intorno ai 12/14 anni, più tardi quelli della bulimia.
Numerosi sono i laboratori che
la Comunità propone alle ragazze: quasi tutti sono condotti da
personale interno. Si tratta di un
laboratorio “Beauty” utile alla
valorizzazione dell’aspetto fisico,
un laboratorio sulla corporeità, il
laboratorio sul cinema con tematiche al femminile, un laboratorio sulla femminilità con il fine di
aiutare l’accettazione della identità di genere.
gd
d
g
L’anima violata e ferita
anoressia
rifiuta l’esistenza
Il racconto di una giovane alla ricerca incessante della purificazione
del proprio corpo oltraggiato dalla violenza sessuale da parte di tre giovani
L
’anoressia l’ho incontrata dieci anni fa, dopo
anni di sofferenza nell’infanzia e nell’adolescenza, di dolore, mancanza d’amore in famiglia,
da parte dei miei genitori incentrati troppo sulla
loro malsana relazione e da parte delle mie sorelle che mi escludevano per il mio disagio mostrato
col cibo. Il silenzio, la solitudine, la malinconia, la
tristezza, il vivere solo per lo studio e non far nulla
per me stessa, fino ad arrivare a non sopportarmi
e odiare il mio carattere e il mio corpo. Dopo una
tragica violenza carnale da parte di tre giovani adolescenti dai quali fu vano ribellarsi, sono arrivati
anni di terapia: problemi erano la mancanza di appetito o meglio la repulsione del cibo come nutrimento di quel corpo che era stato violato, sporcato,
quasi per una sorta di purificazione e di pulizia.
Oltre al bere mi sono rifiutata di mangiare e nutrire
il fisico: lottavo contro i miei ai quali ero invisibile se non come valvola di sfogo dei loro problemi e contro quei maledetti che mi hanno ucciso e
spento la luce negli occhi e nel corpo. Ho iniziato
a dimagrire tantissimo: nascondevo il cibo, usavo
la bocca per vomitare invece di parlare e raccontare cosa non andava in me. Mi sentivo una puttana,
odiavo il mio corpo, la pelle e più ero ossuta e più
mi piacevo perché diventavo inguardabile ai miei
occhi, invisibile. Non volevo più vivere. Mi lasciavo andare perché non c’era più una vita da fare, se
non chiudersi in camera a studiare giorno e notte
per prendere i massimi voti; non avevo stima e fiducia in me stessa, tanto ero piena di rabbia, dolore, ira. La voglia di suicidio era forte, mi vedevo
grassa e non volevo più mostrarmi con quel corpo,
un sorriso per ogni chilo in meno. Mi sentivo bene a perdere peso continuamente, perché così mi
privavo di uno dei piaceri fondamentali della vita:
dovevo solo punirmi per la figlia che non volevo
essere. Avevo deciso di uccidermi.
I miei genitori si accorsero di me solo quando raggiunsi i 28 chili e ancora di più a 24 chili, morente
con il sondino e catetere centrale. Volevo essere lasciata stare in pace, sola perché ora c’era la paura di
relazionarsi e fidarsi di un altro, di essere coccolata,
di essere vicina a qualcuno, tutti piaceri che non
potevo permettermi, rifiutare il corpo diventava indispensabile. Qui sono iniziati periodi di ricovero
in centri specialistici.
Oggi dopo i periodi di psichiatria, lotta contro la
morte, sondini, sono lucida, e con fatica e dolore lotto non per morire ma per vivere. Ho capito di poter convivere con me stessa accantonando
il passato e di poter vivere il presente lavorando,
con l’aiuto di medici e operatrici, per recuperare
me stessa, la stima e la fiducia in me, tornare a un
peso accettabile per poter vivere. Ho smesso di essere giudice di me stessa e con me ho fatto pace.
57
gd
anoressia
Ho voluto annientarmi
per punire i miei genitori
Q
uesta è la vera storia di Mara, ventiquattrenne lariana, nome di fantasia. Mara è riuscita a
uscire dal tunnel dell’anoressia.
“Sono sempre stata la classica brava ragazza, la
bonacciona, la tontolona. Sono passata attraverso
l’inferno dell’anoressia. Ringrazio Dio che mi ha
fatto vedere come mi sarei ridotta se avessi continuato a farmi del male.
Come sono finita nelle spire dell’anoressia? Tutto
è iniziato con un forte malessere, ero sempre triste, mi sentivo inadeguata, grassa, eppure ero bella
e corteggiata. Una ragazza di buona famiglia. Una
della Como bene, che frequentava i salotti giusti,
la gente giusta, i locali alla moda. Una ammirata,
invidiata forse. Poi i miei si sono separati. Per me
è stato uno choc, il mio mondo è andato in frantumi di colpo. Mio padre è andato in un’altra città, a
vivere con una della mia stessa età. Mia madre per
il dolore ha smesso di mangiare. Non potevo sopportare di vederla così. Ho iniziato a uscire sempre
di più la notte, a studiare sempre meno. Frequentavo uomini facoltosi e posti da sballo, uomini più
vecchi di me, dell’età di mio padre. Non sopportavo più le mie coetanee, i ragazzi della mia età non
Una fame fredda, senza sosta, senza fine…
A volte lo lascio cadere un attimo
il pensiero di essere viva
Conoscere una gioia anonima
e concepirne una più pazza
Consola un dolore così enorme
che se tutto il giorno dilaniasse senza un istante di sollievo
parrebbe ancora troppo lontana la morte
Il delirio
inganna il disgraziato per cui il patibolo sorride
Il dondolio dell’amaca culla le teste
vicinissime al Paradiso
Una scogliera che esce comoda dal mare
consuma l’orizzonte fragile
Il marinaio non s’accorge del colpo
finché è già oltre il dolore.
Emily Dickinsons
58
volevo proprio più vederli. Ho iniziato a odiarmi, a
sentirmi sporca e a mangiare sempre meno, a non
mangiare. Gli amici mi hanno abbandonata: per me
solitudine e paura…”
Una breve pausa e le parole escono di getto: “È
iniziato il mio soggiorno diurno alla Quercia, l’ex
manicomio di Como. Ricordo una stanza con il
soffitto altissimo, la vista deprimente sulla sterpaglia ed edifici fatiscenti. Attorno impazzavano urla,
bestemmie, mugolii, rantoli di infermieri impazziti,
pazienti aggressivi. Sara, mia vicina, fumava sempre, riaccendeva le sigarette con i mozziconi. Gliele comprava mia madre assieme ai giornali con gli
anelli in regalo.
La cena al refettorio era angosciante, deperivo a
vista d’occhio… il mio corpo stava scomparendo
e io pure. Cominciai a bere, per dimenticare, per
scomparire del tutto. Finalmente si liberò un posto ad Appiano Gentile: un luogo pulito. A casa
non mangiavo, mi abbuffavo al refettorio. Durante
l’uscita con una bulimica mi ingozzavo di kebab,
cioccolatini, patatine fritte. Lei forzava lo stomaco e in tre conati lo svuotava tutto per strada. Io
no, dovevo rientrare al centro e rigettare tutto con
l’aiuto di tre spazzolini diversi.
Infine, grazie all’assistenza e all’amore della mia famiglia, che – nonostante la separazione mi è stata
molto vicina – e del mio attuale ragazzo ho risalito
la china.”
donne e lavoro
La calzolaia
di Tonina Santi
La mia amica Ersilia mi aveva incuriosito: “Sai, in via Milano ho
scoperto una calzolaia molto brava e
simpatica. Si è presa cura del benessere
di miei piedi, facendo molta attenzione
affinché le solette che mi aveva venduto
mi si adattassero bene, aggiustandole e
modificandole in alcuni punti. Ha speso del tempo per me. Non mi era mai
capitato! Sono andata a trovarla. Non
mi aveva mai vista ma mi ha accolta
sorridente rendendosi subito disponibile per l’intervista”.
S
i chiama Daniela Manzato,
ha 37 anni e svolge il mestiere di calzolaia da dodici
anni.
Perché ha scelto un mestiere
svolto tradizionalmente dagli
uomini?
L’ho fatto per inserirmi nella tradizione della mia famiglia: mio
padre e mio fratello sono calzolai e anche mio nonno collabora
con loro. Io avevo studiato contabilità e, essendo anche femmina, ero stata destinata a seguire
la contabilità dei negozi che allora gestivamo all’interno di alcuni
supermercati. Ma non mi piaceva e, di mia iniziativa, ho deciso
di sperimentarmi come calzolaia.
Il lavoro a quel tempo era tanto
e io desideravo impegnarmi nel
lavoro di calzoleria, anche per
aiutare i miei famigliari. Mi sembrava di dare continuità al mestiere di famiglia.
Negli anni, osservando mio padre e mio fratello, il mestiere mi
era entrato dentro. Avevo imparato i gesti, l’uso della fresatrice,
conosciuto i materiali, le colle...
Così, nelle ore di pranzo e la se-
gd
ra, mi cimentavo nel mestiere,
prima di tutto provando sulle
mie scarpe, poi cominciando ad
aggiustare o cambiare un tacco,
una suola, acquistando via via
sempre maggiore sicurezza. Oggi mi riempie di orgoglio il fatto che discuto con mio padre di
un problema di lavoro con competenza e mio padre se ne rende conto. Insomma, parliamo lo
stesso linguaggio, discutiamo tra
pari.
Mi pare soddisfatta.
Sì. Vede, il lavoro nel negozio
lo vivo come una continuazione
dello spazio di casa mia; non li
sento separati dal mio modo di
essere. Ecco, il negozio è il mio
soggiorno, qui non voglio essere sbrigativa con la gente, mi piace costruire relazioni amicali coi
miei clienti. Il mio bancone, per
esempio, a volte è in disordine
(quello di mio fratello è sempre
ordinatissimo) perché voglio dedicare più tempo alle persone.
Ho visto infatti che la cliente
entrata prima di me le chiedeva consigli per le vacanze...
Capita. Se posso, mi piace prendermi un po’ di tempo anche per
queste cose. Del resto, il mio lavoro mi piace e sono particolarmente soddisfatta quando anche
i miei clienti lo sono; spesso riconoscono la mia abilità e la voglia di venire incontro alle loro
esigenze, perché, si sa, i clienti non sono tutti uguali. Forse
è per questo che mi perdonano
quando non osservo rigidamente
l’orario di apertura mattutino. Io
però mi scuso sempre.
Siamo interrotte da una cliente a cui
Daniela si dedica con affetto. “Brava!”
esclama la signora uscendo col pacchetto con le scarpe aggiustate. “Vale la
pena di aspettare qualche volta.”
59
gd
xenofobia
Siamo tutti stranieri
di S. Mas.
I
n quest’ultimo decennio la
presenza di stranieri in Italia è
cresciuta in modo esponenziale
passando dai 990mila del 1995
ai 3 milioni del 2005 e agli attuali 4,5 milioni. Un’aumento del
500 per cento, accelerato anche
dalla caduta del muro di Berlino,
che in questi ultimi quindici anni
ha trasformato l’Italia da paese
di emigrazione a paese di immigrazione. Un fenomeno che gli
organismi internazionali considerano irreversibile e che l’Italia, a differenza di altri Paesi, si
è trovata impreparata ad affrontare. è cominciata la paura che
in breve tempo ha aumentato lo
stato emotivo di insicurezza.
Il massiccio arrivo di stranieri in cerca di occupazione, per
la prima volta ha introdotto nel
60
pensare comune degli italiani la
paura di sentirsi minacciati nella propria identità culturale e religiosa: dalla preoccupazione si è
passati ai pregiudizi, alla intolleranza verso lo straniero ritenuto
responsabile di ogni nostro problema, sia di ordine pubblico che
economico.
Il mondo sta assistendo a fenomeni migratori epocali che fanno ripensare allo stesso concetto
di nazione e confine di Stato, istituzioni storiche e politiche fino a
ieri considerate immutabili. Oggi
questi concetti sono messi in discussione: i confini di Stato vengono intesi in modo dinamico e
le nazioni, come entità multietniche e multiculturali in continua
evoluzione. Si tratta di effetti
della globalizzazione che possono essere governati solo con politiche globali, come globali sono
quei 150 milioni di individui che
si trovano fuori dai loro paesi di origine, sparsi per il mondo, impegnati a realizzare nuovi
progetti di vita, e contemporaneamente, costretti a difendersi
da pregiudizi e chiusure generati
dalla paura.
Un modo di pensare troppo
spesso sollecitato da una politica miope che trae vantaggio da
una società impaurita e insicura, all’interno della quale tutte
le paure si concentrano sul rapporto di causa tra criminalità e
immigrazione, tra criminalità e
stranieri. Ciò che più preoccupa
di queste fobie è la generalizzazione all’intera comunità cui appartiene l’immigrato che si è reso
responsabile di un crimine. Se un
romeno stupra una donna italiana, l’intera comunità romena viene ritenuta responsabile, almeno
xenofobia
moralmente; se un musulmano
picchia la figlia perché indossa
la minigonna, tutti i musulmani
sono considerati violenti e intolleranti. Così il crimine compiuto non è più responsabilità della
persona, ma della sua etnia.
Effetto primo di questo modo
di pensare è la xenofobia, una
paura del diverso che probabilmente rappresenta il calco delle altre fobie già presenti nella
nostra società. Con questo modo di pensare, anziché considerare il comportamento sbagliato
del singolo immigrato come un
problema da risolvere, si preferisce utilizzarlo per produrre paura riproducendola all’infinito. Un
atteggiamento dal quale alcuni
pensano di trarre vantaggio.
Un tema, quella sulla crescita
della paura verso gli immigrati,
al quale è stato dedicato un intero capitolo della ricerca sulla
cittadinanza, pubblicata lo scorso anno dal Consiglio Europeo.
I risultati di questo studio sono
molto preoccupanti.
Assistiamo impotenti al diffondersi di una cultura xenofoba di
massa che viene alimentata proprio dalla paura. Un fenomeno
che a quanto si legge nel rapporto europeo, coinvolge il 57% degli Italiani, il 36% dei cittadini del
Regno Unito, il 29% dei Tedeschi
e il 21% dei Francesi. Nella vicina Svizzera poi, gli stranieri, e
tra questi anche gli italiani, sono
oggetto di forti discriminazioni.
A dirlo è il quarto rapporto della Commissione europea contro
il razzismo e l’intolleranza del
Consiglio d’Europa che segnala come uno dei tanti esempi, il
diverso trattamento tra svizzeri e
italiani in materia di assicurazione dell’autovettura: per un italiano può costare fino al 27% del
premio pagato da un cittadino
elvetico.
Segnali preoccupanti che, incrociati con i risultati delle ultime
elezioni europee, non possono essere liquidati come una
normale ricerca sociologia, ma
piuttosto devono essere affrontati con politiche adeguate e con
un’opera educativa continua. Così purtroppo non è. La politica
ragiona su basi nazionali e si fonda sempre sul consenso di breve
periodo.
“Siamo in tempi di democrazia
del pubblico – ha recentemente
ricordato Ilvo Diamanti nel suo
intervento a un convengo sulla
xenofobia – regolati dai sondaggi, dai media, dalla personalizzazione.
Per cui diventa difficile seguire politiche impopolari. Andare
contro le paure. Se la paura è popolare si tende ad assecondarla.
Anzi a esaltarla.”
gd
è infatti più facile produrre insicurezza e paura che eliminarle
entrambi e questo perché la politica dell’insicurezza e della paura rende elettoralmente, ma nello
stesso tempo impedisce di progettare la società.
In Italia si sta percorrendo questa strada. Si affrontano i problemi in chiave xenofoba andando
solo incontro agli istinti sociali e questo favorisce lo sviluppo
di una società con la sindrome
dello straniero: gli altri, i diversi, sono tutti stranieri. Con questa politica l’Italia è diventata
un Paese provvisorio dove si rischia di moltiplicare le etnie, anche in modo artificioso. Questo
accade perché siamo al tramonto della politica. I partiti non
hanno più ideologie ne organizzazione e delegano tutto alla
comunicazione personalizzata.
Comportamenti che impediscono di elaborare una strategia di
prospettiva. La paura che l’Italia
possa diventare un paese multi
etnico e multiculturale avrà nel
futuro effetti negativi. Tutte le
società che per paura o per scelta politica si sono chiuse al confronto con le altre culture sono
miseramente fallite.
61
gd
rapporti
Uguaglianza negata
a omosessuali e trans
Privati della speranza di potersi chiamare cittadini a pieno diritto – Impunita
la violenza indirizzata contro chi ha un orientamento sessuale diverso
di Anna Paola Concia
M
artedì 13 ottobre il Parlamento italiano, bocciando la legge contro l’omofobia,
ha scritto un’altra brutta pagina
per il nostro Paese. Come quelle
scritte dalla Camera ultimamente su argomenti che riguardano
i principi fondanti di una de-
62
mocrazia. Che cosa c’è di più
fondante del principio di uguaglianza? Di un principio secondo il quale non si discrimina, o
peggio non si usa violenza, contro qualcuno in ragione del suo
orientamento sessuale (che può
essere omosessuale o eterosessuale)?
Me lo chiedo e lo chiedo
a tutti quei colleghi del
centro-destra che col-
pevolmente martedì 13 ottobre
hanno affossato la legge contro
l’omofobia. In realtà la pregiudiziale di costituzionalità che è stata usata per bloccare la legge era
solo un escamotage tecnico per
fermare una legge bipartisan, la
prima di questa legislatura, che
avrebbe prodotto un piccolo
grande momento di pacificazione. Sono profondamente
convinta della forza rivoluzionaria di un’idea di normalità dell’omosessualità.
E anche se per l’Italia si tratta di un percorso ancora lungo, le istituzioni hanno
il dovere di occuparsene con più forza
e il Parlamento
avrebbe dovuto
rapporti
gd
dare per primo un segnale di civiltà agli italiani, permettendo a
tutti di crescere culturalmente e
costruire un nuovo modo di affrontare i diritti di omosessuali e
transessuali nel nostro paese.
C’erano stati segnali positivi
che andavano in questa direzione: l’incontro tra le Associazioni trans e omosessuali e lesbiche,
prima con il presidente della Camera Gianfranco Fini e poi con
il ministro per le Pari Opportunità Mara Carfagna, in un clima
di apertura e di ascolto che aveva
fatto decisamente ben sperare.
Bocciata
in Parlamento
la legge contro
l’omofobia
e la transfobia
messa a punto
in commissione
Ma soprattutto, nell’anno in cui
ho lavorato a questa legge come relatrice, insieme ai miei colleghi in Commissione Giustizia
abbiamo cercato di liberare l’argomento omofobia delle strumentalizzazioni, delle ideologie,
di destra e di sinistra e di guardare questo tema con occhi nuovi,
tutti insieme. È stato un impegno condiviso da tutti, anche da
chi era contrario a questa legge.
Ma quando il provvedimento finalmente è arrivato in Aula per
la prima volta nella storia, questo
lavoro certosino e importante è
stato vanificato dal ritorno alla propaganda politica, alla contrapposizione selvaggia tra destra
e sinistra. Contrapposizione fatta sulla pelle degli omosessuali e
transessuali. Lasciati fuori dalla cittadinanza, senza più alcuna
Anna Paola Concia.
speranza di potersi dichiarare cittadini a tutti gli effetti di questo
Paese. In quella occasione è stata
sconfitta la buona politica, quella
che, come sostiene l’economista
Irene Tinagli “sa scegliere di fare
interventi legislativi che sappiano guardare più avanti di quanLa legge “Concia” che, in caso
di lesioni, introduceva
l’aggravante della finalità
dettata dall’orientamento o
dalla discriminazione sessuale
della vittima (omofobia) è
stata giudicata incostituzionale
e non è passata. I partiti di
maggioranza, alla Camera,
hanno deciso di farla fallire.
Anna Paola Concia (Pd),
relatrice del progetto, si è fatta
portavoce di un appello ai
deputati di centrodestra per
approvare al più presto la
legge. Appello caduto nel
vuoto. “Affossare la legge
contro l’omofobia è stato un
passo indietro per l’Italia. Per
gli omosessuali è necessaria
una piena protezione.” È
quanto ha dichiarato l’Alto
Commissario Onu per i diritti
umani, Navi Pillay.
to tanti cittadini sono in grado di
fare e assumersi la responsabilità
di scelte giuste per il futuro”.
Il Popolo delle Libertà, la Lega e
l’Unione di Centro con quel voto
hanno negato questa possibilità.
E il Partito Democratico avrebbe dovuto essere più coraggioso
e difendere la buona politica.
La legge contro l’omofobia e la
transfobia poteva essere un primo passo, come tutte le leggi di
civiltà, per cambiare la cultura
italiana. Anche se, naturalmente,
l’accettazione sociale non passa
solo attraverso le leggi, queste
sono importanti, perché stabiliscono dei principi di convivenza
e di civiltà ai quali tutti dobbiamo sottostare.
L’affossamento della legge contro l’omofobia e la transfobia è
stato certamente un colpo duro
per tante cittadine e tanti cittadini italiani che si sono sentiti traditi, defraudati o, peggio ancora,
totalmente ignorati. Io comunque non demordo dalla strada
della buona politica: è l’unica
strada. Si può, si deve fare.
Si tratta ora di riprendere il cammino e allargare il consenso intorno a una nuova cultura dei
diritti civili in Italia.
63
differenze
gd
d
g
La conoscenza reciproca
mette in fuga i pregiudizi
L’Associazione Como Gay Lesbica punta alla creazione di momenti di incontro
per costruire le condizioni per ridurre la violenza di genere
“L’essere umano ha bisogno di sentirsi
rassicurato. Non gli piace molto ciò che
rischia di turbare le sue certezze.”
C
osì lo scrittore Tahar Ben
Jelloun spiega il razzismo a
sua figlia, descrivendo la paura
conscia o meno del diverso. Paura con la quale, purtroppo, noi
della Comunità Gay Lesbiche
Transessuali (GLBT) ci troviamo spesso a dover fare i conti. Le reazioni omofobe, infatti,
in quest’ultimo periodo si sono
moltiplicate e susseguite in diversi punti della penisola. Ma
cos’è l’omofobia e come si manifesta? È la paura verso le persone
con orientamento omosessuale,
che si traduce in attacchi violenti. Come contrastare questa violenza?
Si tratta di diffondere la conoscenza e l’informazione per facilitare l’integrazione sociale di
persone con differenti orientamenti sessuali. Riteniamo, infatti,
che ogni forma di razzismo trovi
la propria origine nella non conoscenza e mancanza di volontà verso un’integrazione che fa
paura, forse per il timore che il
proprio modo di vivere e i propri valori possano essere turbati.
Viene impedito a livello sociale la possibilità di comunicare,
conoscersi al di là del pregiudizio comune, che spinge persone
omosessuali a vivere in un proprio universo. Quello che invece
desideriamo, come singoli e come associazione, è un incontro
costruttivo che porti a una conoscenza e comprensione reciproca che faccia accettare come
normale la diversità e la varietà
nell’orientamento sessuale.
La realtà della provincia di Como, in cui ci troviamo a operare
quotidianamente, non ha registrato episodi di violenza o intolleranza: vi è piuttosto una sorta
di apparente indifferenza verso
la questione omosessuale e tranSean Penn in una scena del film Milk, ispirato
alla vita di Harvey Milk, politico e attivista dei
diritti gay negli USA.
64
La difficile emersione nel sociale
gd
gd
differenze
I dati della violenza
Gennaio 2008 - Settembre 2009
Violenze e Aggressioni 97
Omicidi 17
Estorsioni 14
Atti di bullismo 9 Atti vandalici 4
Da gennaio 2009 a oggi si sono
registrati 8 omicidi, 70 violenze
e aggressioni, 8 estorsioni, 7 atti
vandalici. In Lombardia si sono
registrati 5 omicidi, 13 violenze o
aggressioni, un’estorsione, 3 atti di
bullismo, un atto vandalico.
L’escalation di attacchi omofobi è
stata raggiunta nella settimana dal
21 ottobre 2009 al 27 ottobre,
dove si sono registrate 2 aggressioni e un omicidio.
GIOVEDI 21 OTTOBRE
Milano, aggredito un ragazzo gay in
centro, con pietre e bastoni.
SABATO 23 OTTOBRE
Milano, 2 ragazzi, all’uscita di una
discoteca gay friendly, sono stati
affiancati da una macchina, e hanno
ricevuto insulti e botte da 4 ragazzi
italiani.
DOMENICA 26 OTTOBRE Catanzaro, ragazzo 27 enne, viene ucciso
per avances omosessuali. Arrestato
il colpevole.
Associazione Como
Gay Lesbica
Il Comune di Como
è omofobico?
Sean Penn e Victor Garbe in una scena del film Milk. In alto: James Franco e Sean Penn.
sessuale. Per gli individui omosessuali è ancora oggi difficile
uscire allo scoperto, trovandosi
spesso soli ad affrontare con colleghi e amici un lungo percorso
difficile di emersione in una realtà che molto risente di ideologie
borghesi chiuse.
Per questo noi come Associazione Como Gay Lesbica (www.comogaylesbica.it), vogliamo fornire
un punto di riferimento a tutte le
persone gay, lesbiche, bisessuali e
transessuali e un ambiente ami-
chevole, che permetta di confrontarsi e condividere vissuti
ed esperienze. L’assenza di locali
gay o gay friendly porta a gravitare verso Milano o verso la vicina
Svizzera. A Como servono luoghi di aggregazione e confronto dove si possano organizzare
eventi culturali aperti all’intera
cittadinanza.
Associazione Como
Gay Lesbica
Questo è ciò che può essere dedotto dopo che l’associazione di
Como Gay Lesbica, si è vista negare
l’utilizzo dell’Auditorium della biblioteca di Como per la proiezione di
Due Volte Genitori, un documentario
che parla di tematiche omosessuali dal punto di vista dei genitori. La
proiezione era stata pensata come
momento di confronto, in risposta
ai recenti episodi di omofobia verificatisi sul territorio nazionale. Contro questa mancata concessione
dell’Amministrazione Comunale è
intervenuta la deputata Chiara Braga del Pd che ha denuciato l’atteggiamento di chiusura del Comune
nella lotta contro la discriminazione
e l’omofobia.
di chi ha orientamenti sessuali considerati devianti
65
gd
musica
Un talento vittima
dell’invidia del marito
di Gianluigi Bocelli
N
on evoca nulla il
nome di Clara
Wieck? Forse dice qualcosa invece Clara Schumann.
Robert Schumann è
universalmente conosciuto. Ebbene
Clara Wieck Schumann, moglie del
famoso compositore, fu una grande
pianista e compositrice del XIX secolo,
il cui talento fu in parte oscurato dalla vicinanza del marito Robert,
cui si sacrificò sull’altare
della famiglia borghese e della
sua follia.
Robert Schumann voleva divenire un virtuoso del pianoforte: a
diciotto anni andò da uno dei migliori maestri di Lipsia, Friedrich
Wieck. Ma poi ebbe una sorta di
paralisi della mano destra, e allora addio sogni di gloria. Intanto
aveva conosciuto la figlia dell’insegnante, Clara: all’epoca in cui
Schumann iniziò a frequentare
la casa, era una bambina di nove anni dal talento prodigioso.
Il padre aveva deciso di farne
il suo capolavoro didattico, così da anni l’aveva condannata ai
lavori forzati sulla tastiera, una
vera continua vessazione, che la
opprime al punto che Clara ini66
zia a parlare solo molto tardi, in
un periodo in cui rimane separata dal genitore. Da una parte c’è
questa ragazzina seria e saggia,
precocemente matura, dall’altra un giovane incredibilmente puerile e sognatore: tra i due
si crea un’alchimia sottile e pura che diviene amore profondo.
Il padre di Clara si oppone con
ogni mezzo: l’unione l’avrebbe
castrata e Schumann non era in
grado di offrire nessuna stabilità. A nulla valse però il veto, anni di litigi e una causa legale. Nel
1840 Clara e Robert convolano
a nozze. La vita degli Schumann,
prima della follia di Robert, fu a tratti idilliaca.
Ma il prezzo pagato fu alto, e lo pagò interamente
Clara. Il marito compose per
amore suo, lei col suo talento si
fece alfiere di quanto lui scriveva per pianoforte divulgandolo
in tournée, dandogli consigli da
concertista navigata, spronando le possibilità del suo genio:
è il caso del bellissimo Concerto
per pianoforte e orchestra in la minore, tanto voluto da Clara, o delle
Kinderszenen, regalo di fidanzamento.
Schumann però soffre di depressioni, insicurezza, paranoia allucinatoria. Di qui il violento senso
di inferiorità che gli provoca l’attività concertistica della moglie.
Come si suol dire i pantaloni è
lei a indossarli: regge la famiglia
con le sue tournée poiché il marito è un critico musicale troppo
gd
musica
timido per insegnare e dirigere. Accresce la frustrazione lo
stesso equilibrio su cui si regge
la coppia: lei, concreta donna di
mondo, gli fa da figura materna,
tutelandolo e aiutandolo nel lato
pratico di ogni cosa. Tale dipendenza si manifesta in un’aspra
meschinità nel giudicare le doti
della moglie, sempre stroncata
sebbene fosse uno dei maggiori
virtuosi del tempo; in infinite ripicche e bizzarri comportamenti quando la accompagna in
tournée; infine, secondo alcuni,
gli otto figli che ebbero furono
un espediente per indurre Clara
e rinunciare ai concerti. La reazione di Clara è ambigua: figlia
del suo tempo, nonostante abbia
ottimi lavori all’attivo, abbandona la composizione perché “mai
donna scrisse qualcosa di buono
e non sarò la prima”, mentre si
dedica a promuovere l’opera del
marito. Allo stesso tempo però ha una volontà e un carattere irremovibili: non cede mai alle
pressioni e continua i suoi concerti per tutta Europa, anche per
necessità economica, con la
fermezza che la contraddistingue nell’opporsi allo stesso modo ai
detrattori e a un triste destino che la fa
sopravvivere a buona
parte della sua famiglia (marito e cinque figli la precedono).
Un rivolgimento si crea
allorché il ventenne Johannes Brahms bussa alla
porta dei due. Nasce una
grande amicizia, particolarmente intima e complice tra
Clara e il giovane genio
(su cui molto si è speculato). Ciò mina
definitivamente
la psiche di Robert che si vede
abbandonato e tenta il suicidio:
verrà recluso in un manicomio
dove morirà due anni dopo. Clara rimane sola con figli e nipoti a
carico. Com’è tipico del suo carattere non si abbatte né accetta aiuti, continua
a suonare fino
alla fine dei
suoi giorni
divenendo
un pilastro
fondante della tradizione musicale romantica, dedita alla famiglia che le resta e a tramandare
alla storia la musica del defunto
marito e di Brahms.
Consigli
Dischi:
•Complete piano works
Clara Wieck Schumann
Cpo Records, 3 CD, 2001
• Complete Songs
Clara Wieck Schumann
Naxos, 2009
Youtube:
• Clara Schumann,
Piano Concerto
in A minor op. 7
• Robert Schumann
Piano Concerto op. 54,
Martha Argerich
• Clara Schumann, Variations on a theme of Robert
Schumann, Cristina Ortiz.
67
gd
nucleare
Il segreto di Stato
sui rifiuti radioattivi
In Francia e in Svizzera informate le popolazioni – Il governo italiano ha
reso segreti i luoghi e i Comuni dove verranno sepolte le scorie nucleari
di Federico Aligi Pasquarè*
È stato un autunno di rivelazioni
sconcertanti sul tema delle scorie nucleari. Ha fatto il giro del
mondo la notizia di una nave sul
fondo del Tirreno al largo delle
coste calabresi: il relitto sarebbe
uno dei tanti affondati dalla malavita organizzata nell’ambito di
un’attività di smaltimento illegale di rifiuti radioattivi. Forse meno nota è una recente inchiesta
condotta da giornalisti francesi
che hanno svelato i dettagli dello
smaltimento, da parte del colosso nucleare transalpino EDF, di
centinaia di tonnellate di scorie
nucleari a Seversk, città siberiana
dove i bidoni radioattivi sarebbe-
68
ro accatastati in un parcheggio a
cielo aperto con grave rischio di
contaminazione per i 30.000 residenti.
Il pianificato ritorno al nucleare
in Italia, con l’inevitabile strascico di polemiche e contrapposizioni, non potrà in ogni modo
eludere la necessità di affrontare il ventennale problema delle
80.000 tonnellate di scorie, pesante eredità del nostro passato
nucleare. Ci ha provato il Governo nell’autunno del 2003, annunciando da un giorno all’altro
ai cittadini di Scanzano Jonico
(Matera), che il deposito unico
per lo stoccaggio di tutte le scorie nucleari italiane sarebbe stato realizzato nel loro comune, a
800 metri di profondità. È stato
il modus operandi scelto dal Governo a condannare sul nascere
il progetto Scanzano: si è trattato
infatti di un vero e proprio black
out informativo, gravato dall’assenza di qualsiasi negoziazione
preventiva con la popolazione
locale. La scelta di utilizzare un
approccio decisionista si è rivelata tanto più miope in quanto
applicata a un territorio, quello
italiano, dove i conflitti ambientali sono divenuti la regola, come
dimostra il reiterato “muro contro muro” fra Governo e cittadinanza sulla realizzazione della
TAV in Val Susa.
Spostando l’attenzione oltre
confine, colpisce la diversità del
nucleare
modello adottato in Svizzera: la
proposta di un deposito in profondità per le scorie nel Cantone
Nidwaldo, sottoposta a referendum nel 1995 e nel 2002, è stata
ripetutamente respinta dall’elettorato. L’opzione di un deposito in profondità non è però
stata scartata ed è anzi considerata in Svizzera l’unica in grado di garantire la protezione
dell’ambiente a lungo termine.
La selezione dei siti geologici,
come dichiarato dall’Ufficio Federale per l’Energia (UFE) deve
essere “oggetto di comunicazione trasparente”, criterio al quale
dichiara di ispirarsi anche la Società per l’immagazzinamento
di scorie radioattive (Nagra), il
cui sito web (www.nagra.ch) illustra con chiarezza ai cittadini
le modalità di scelta e i dettagli
tecnologici dei siti geologici di
stoccaggio.
Anche la maggiore produttrice
europea di energia nucleare, la
Francia, ha attivato da tempo le
procedure per la selezione di un
sito geologico che accolga i rifiuti nucleari prodotti ogni anno
dai reattori transalpini. La popolazione del minuscolo villaggio
di Bure, Francia orientale, sembra essere avviata a diventare la
maggiore “comunità nucleare”
transalpina. Geologi e ingegneri sono al lavoro da anni per testare le caratteristiche geologiche
del deposito di argilla a 500 metri di profondità e monitorare
un’eventuale attività sismica, che
renderebbe il deposito irrealizzabile. La piccola comunità locale è
divisa fra sostenitori e detrattori,
gli uni attratti dagli investimenti
promessi dal Governo, gli altri
allarmati da possibili contaminazioni del territorio.
A prescindere dall’esito del conflitto ambientale tuttora in atto,
è da sottolineare il fatto che il
Governo francese abbia ritenuto opportuno finanziare anni di
ricerche per l’analisi della sicurezza del sito e la previsione del
comportamento del deposito a
lungo termine. Confrontando
gd
l’esempio svizzero e quello francese con il caso italiano, è evidente come nel 2003 sia mancata
tanto la fase di comunicazione
ai cittadini quanto quella di verifica sperimentale dell’idoneità
geologica del sito, come sottolineato autorevolmente anche dal
Premio Nobel Carlo Rubbia nei
giorni della rivolta lucana.
La vicenda Scanzano sembra però non avere insegnato nulla a chi
è incaricato di gestire il ritorno
del nucleare in Italia: esponenti
di spicco dell’ENEL hanno infatti dichiarato che i nomi dei
comuni destinati a ospitare le
centrali sarebbero “ben chiusi in
cassaforte”. A meno di inversioni di rotta, comunque tardive, il
2010 sarà l’anno dei conflitti ambientali da un capo all’altro della
penisola.
*Docente di Comunicazione Ambientale, Università degli Studi dell’Insubria, Como
69
gd
in cammino
Così le donne
accesero le micce
di Licia Badesi
I
l primo Congresso delle donne italiane, indetto dal Consiglio nazionale delle donne
italiane, si svolse nel 1908, dal
24 al 30 aprile, e fu inaugurato in
Campidoglio, alla presenza della regina Elena e del sindaco di
Roma Ernesto Nathan. Ce ne
parlano Luciana Capezzuoli e
70
Grazia Cappabianca nella loro
Storia dell’emancipazione femminile
(1964). Al Congresso parteciparono più di 1200 delegate. All’ordine del giorno furono posti
temi rilevanti come quelli relativi
alla istruzione, all’assistenza, alla
condizione giuridica della donna,
all’emigrazione.
Nel discorso d’apertura della
presidente del Consiglio nazio-
nale, contessa Gabriella Spalletti, c’è la prudenza politica di
chi sa di procedere in un terreno minato: “Il nostro femminismo
non suona lotta, come molti credono;
ma si adopera per l’unione fra le classi … per riunire tutte le donne che
lavorano … per il trionfo delle idee,
non dei partiti … La donna non ha
certo la grottesca aspirazione di prendere il posto dell’uomo. Noi non vo-
gd
in cammino
gliamo distruggere ma edificare”. E
via rassicurando. Ma le proposte
del Congresso erano di fatto rivoluzionarie, perché entravano
nel merito della subordinazione
della donna all’interno della famiglia; della discriminazione tra
uomo e donna sancita dall’art.
150 del Codice Civile a proposito della fede coniugale; e per
giunta poneva all’attenzione del
mondo politico la questione del
divorzio.
Interessante anche l’auspicio che
veniva formulato sulla scuola, e
cioè che “nel rispetto di tutte le
confessioni religiose e politiche,
la scuola elementare sia assolutamente aconfessionale, e che nelle
scuole superiori sia introdotto lo
studio obiettivo sulle religioni in
relazione alle loro finalità e alle
loro conseguenze sociali”.
Le donne cattoliche presentarono un ordine del giorno diverso, in cui esprimevano l’auspicio
che “l’insegnamento religioso,
migliorato nel modo di impartirlo, ispiri ancora l’opera educativa”. Il primo ordine del giorno
ottenne millecento voti, il secondo cento.
In sintesi, le proposte del Consiglio si articolarono in otto ordini del giorno relativi a istruzione,
assistenza e previdenza per la
maternità, ricerca della paternità,
ordinamento giuridico del matrimonio, divorzio, patria potestà,
tutela del lavoro femminile, diritto di voto.
Era solo un inizio. Nello stesso
anno, il Comitato nazionale pro
suffragio indirizzava alle donne
un Manifesto di protesta.
Un Manifesto
Il Primo Congresso delle donne italiane aveva avuto eco anche all’estero. La corrispondente
di un giornale di Berlino, mise in
rilievo il coraggio con cui le de-
legate avevano posto sul tappeto
problemi che, almeno in parte,
potevano essere considerati come rivendicazioni di sinistra. Ma
forse – scriveva – non se ne erano rese conto. E invece quelle
delegate avevano capito benissimo che la questione investiva
in pieno il rapporto di subordinazione millenario della donna
all’uomo, al di là dell’appartenenza politica e di classe. E che
a sinistra come a destra il buio al
riguardo era fitto. Sta di fatto però, che senza una organizzazione
forte e determinata, quegli ordini
del giorno sarebbero rimasti inoperosi.
Ma il seme era gettato.
Quell’anno stesso l’Unione femminile nazionale indisse a Milano un Congresso di Attività
Pratica Femminile, che affrontò
quattro ordini del giorno sull’organizzazione della donna lavoratrice, sulla parità di retribuzione,
sul divorzio, e sull’insegnamento
Nel 1908
1° congresso
delle donne
italiane:
“i deputati eletti
da soli uomini
lasceranno
sussistere leggi
restrittive
e costumi
medievali”
religioso nella scuola, aderendo
all’ordine del giorno sulla scuola
laica. Infine il Comitato nazionale pro suffragio, redasse un Manifesto di protesta, di cui riporto
qui alcuni passi:
“I deputati eletti da soli uomini lasceranno ancora per troppo tempo
sussistere quell’ingranaggio di leggi restrittive, di costumi medioevali, di giurisdizione antiquata, che inceppano le
forze femminili e ritardano il processo civile.” L’analfabetismo è una
piaga sociale, ma nessun governo, nessun parlamento si occuperà seriamente dell’educazione
femminile, finché le donne non
saranno elettrici. L’appello è rivolto a tutte le lavoratrici – educatrici, operaie, commercianti
– che contribuiscono col loro
lavoro alla vita del paese e della famiglia, perché chiedano con
forza il diritto di voto, e non sopportino più l’ingiuria di essere respinte dalle urne come gli idioti
e i mentecatti.
L’appello si conclude con un invito preciso: “Venite dunque ad
unirvi al nostro pacifico esercito, l’esercito delle donne che vogliono il voto per
il bene proprio, dei figli, dell’umanità”.
71
popolazione
Aborti selettivi ed eccesso di mortalità femminile aumentano lo squilibrio
La guerra per le spose
nel futuro dell’Asia
di Chiara Rancati
I
n Asia mancano 100 milioni di donne: è il continente
più maschio del mondo. Politiche del figlio unico, aborti selettivi, infanticidi e alta mortalità
femminile fanno sì che nascano
meno bambine di quanto dovrebbero, e ne muoiano di più.
“Numerosi paesi asiatici hanno
visto aumentare la quota di nati maschi fin dagli anni Ottanta
– scrive l’antropologo francese
Christophe Guilmoto in un saggio sulla demografia dell’estremo
Oriente – “La discriminazione di
72
genere esisteva già prima, ma le
pratiche si limitavano all’eccesso
di mortalità (anche violenta) tra
bambine e donne adulte. Negli
ultimi vent’anni, invece, gli aborti selettivi di genere stanno emergendo come il metodo principale
di discriminazione, aumentando
lo squilibrio demografico.” Inizialmente diffusa soprattutto in
India e Cina, nell’ultimo decennio la pratica si è estesa ad altri
Paesi come Nepal, Vietnam, e
alcune repubbliche ex sovietiche
(Georgia, Armenia e Azerbaigian), con ripercussioni notevoli
sulla struttura della popolazione,
sempre più sbilanciata in favore
degli uomini. Se, infatti, in un bacino demografico normale ogni
100 nate femmine ci sono 105
nati maschi, nelle aree dove si
pratica l’aborto selettivo si arriva
a 112-113, con picchi di 120 in
alcune regioni della Cina. Squilibri che, spiega ancora Guilmoto, “avranno un impatto di lunga
durata, poiché la mascolinizzazione dei nuovi nati influenzerà le generazioni per almeno
un secolo”. Gli effetti numerici
immediati hanno, per esempio,
ripercussioni sul tasso di fertilità della popolazione: se ci sono
popolazione
demografico con effetti a valanga sulla stabilità sociale
sempre meno donne diminuisce
anche la quantità di potenziali
gestanti.
“È la conseguenza imprevista
degli aborti selettivi, che si farà
sentire almeno fino al 2070. E
causerà una perdita netta stimata di 24 milioni di nati in India e
28 milioni in Cina da qui al 2050.
Una cifra considerevole.”
La scarsità di femmine rischia
soprattutto di minare alla radice
le strutture familiari della società,
a cominciare dalla forma principale di relazione tra gruppi e
clan: il matrimonio. “Nel 2025 ci
sarà un eccesso di potenziali mariti del 22%, che si traduce in una
differenza di un milione e mezzo circa nella sola Cina.” Con
un effetto che potremmo defi-
nire di coda, ogni anno ci saranno molti giovani uomini che non
riusciranno a sposarsi; dovranno quindi cercare tra le possibili
mogli dell’annata successiva, diminuendo ulteriormente le possibilità dei più giovani, e così via.
In società molto rigide e tradizionali, il problema è tutt’altro
che trascurabile.
In Asia il numero
delle donne
diminuisce
“Inoltre” – aggiunge Christophe
Guilmoto in un altro intervento
sul tema – “questo finirà anche
per aumentare la domanda per i
ruoli femminili in famiglia: mogli
gd
ma anche cognate e madri. Cosa
che andrà a scapito di altre posizioni delle donne nella società,
e in particolare della possibilità
di scegliere il nubilato o preferire la carriera.” Le pressioni per
il matrimonio finiranno per colpire l’educazione, la formazione professionale e il lavoro delle
giovani incoraggiate a uscire dal
mercato del lavoro. Questa lunga serie di effetti negativi non si
manifesterà però in modo uniforme nei diversi strati sociali:
inevitabilmente, andrà a colpire
con più intensità le fasce deboli.
In India, per esempio, il sistema dei matrimoni è ipergamico: le
donne tendono a sposare uomini di famiglie con status leggermente superiore. Il che stimola
le potenziali mogli e i loro parenti a investire consistenti risorse (come la dote) per trovare
un marito di classe o condizione economica più elevata. Nella potenziale battaglia legata alla
scarsità di spose, quindi, a pagare sarebbero le donne delle élite
e gli uomini più poveri: le prime
potrebbero non trovare mariti
del proprio ceto, i secondi non
riuscire ad attrarre nemmeno le
nubili più povere. Disparità economiche, ma anche geografiche.
“Nelle regioni più ricche, come
il Punjab, gli uomini incapaci di
trovare moglie tra le donne locali già oggi rispolverano l’importazione di donne dalle aree più
povere. Nascono così nuove reti organizzative, di compaesani
che si improvvisano agenti matrimoniali, ma a volte anche di
criminali (trafficanti di donne).
Con il concreto rischio” – conclude Guilmoto – “di fare emergere nuovi fenomeni di tensione
tra classi legati al diritto a costruirsi una famiglia, diritto cruciale
in aree dove il celibato è ancora
visto come uno stigma sociale.”
73
gd
quaderno di viaggio
Un pavimento lucente
di preziose conchiglie
Illustrazioni e testo
di Maya di Giulio
Isola di Huahine
Polinesia Francese
L
a strada asfaltata che costeggia la laguna di Faua
Nui a Huahine diventa
improvvisamente di terra mista
a sabbia corallina e le alte palme
fitte e lucenti lasciano il posto a
una vegetazione più bassa e cespugliosa. L’inverno australe assomiglia a una calda
perenne primavera in questa piccola isola della
Polinesia francese e l’aria è
densa di profumo inebriante di
fiori. Tra folte siepi di giganteschi hibiscus saturi di colore e pic74
coli cespugli di immacolati fiori
di tiarè, un piccolo sentiero sulla destra mi invita a entrare in
una grande serra semiaperta. Migliaia di piante rampicanti simili a orchidee, aggrovigliate quasi
a formare una piccola giungla,
nascondono con tenacia sotto
le flessuose foglie i loro preziosi frutti ancora acerbi: la vaniglia! Cecile sbuca all’improvviso
fra gli stretti filari e mi accoglie
con un sorriso generoso e un po’
sdentato accompagnandomi con
calore verso la sua casa poco più
avanti, pensando che io voglia fare acquisti. Polinesiana di nascita
con numerose primavere sulle
spalle, Cecile coltiva vaniglia da
molti anni aiutata dal marito. La
loro è una vita molto semplice,
scandita dalle esigenze della difficile coltivazione della vaniglia;
vivono in simbiosi con la natura
tra noci di cocco, un piccolo orto, tre cani e la visita al piccolo
paese distante una decina di chi-
lometri una volta alla settimana.
Oltre la siepe si sente il rumore del mare, con l’onda oceanica
imponente che si frange contro
la barriera corallina. Lo sguardo corre fino all’orizzonte, alla
ricerca dei colori incomparabili
della laguna con tutte le sfumature dei cobalti, dei turchesi, degli
oltremare. Piccole palme sinuose ondeggiano al soffio leggero dell’aliseo tra fitti cespugli di
tiarè, piccola gardenia simbolo di
Tahiti; ogni polinesiano la coltiva
nel suo giardino e le donne tutte
le mattine mettono all’orecchio
un piccolo fiore bianco, come fa
Cecile. Mi avvicino alla sua semplice casa, qualche stanza spartana circondata da un grande
portico dove, su un massiccio tavolo, sono stese centinaia di baccelli ad asciugare al sole. Mentre
mi avvicino, rimango all’improvviso sbalordita e affascinata nel
notare che il pavimento è fatto di conchiglie! Cipree tigrate o
quaderno di viaggio
dalle sfumature violacee, piccoli gioielli di porcellana giallo paglierino, create dalla natura con
perizia e inventiva, conidi dai
disegni che ricordano i tessuti intrecciati e mitre che offrono bagliori di colore; molte non
più lucenti come un tempo ma
ancora capaci di trasmettere a
me, raccoglitrice di conchiglie
da sempre, stupore e forti emozioni. Sono adagiate su un letto
di coralli smussati dall’usura del
tempo e dai toni a volte un po’
sbiaditi e risuonano del rumore
del mare a ogni passo. Penso che
è bellissimo poter camminare su
un pavimento così insolito e unico in mezzo a questa natura così generosa. La mia attenzione è
catturata da strani aculei violetti
che spuntano dal mare di corallo con la loro punta arrotondata sfumata di rosa. Ne raccolgo
due, sotto lo sguardo incuriosito
di Cecile, sono perfettamente levigati, leggeri, grandi come una
matita consumata e, se battuti
leggermente, riecheggiano di un
tintinnio metallico e affascinante,
note straordinarie che solo la natura può offrire. Li osservo con
curiosità quando Cecile mi indica di guardare dietro a una palma. Sulla sabbia c’è qualcosa di
mai visto, delle forme fantastiche
viola che ricordano fiori sconosciuti, ma che scopro avvicinandomi essere enormi ricci marini.
Gli aculei di varie dimensioni si
aprono come una corolla di petali e stami attorno al pistillo, nucleo ormai vuoto che è stato
cibo prelibato. Non posso resistere, Cecile me
ne offre uno, splendido testimone di un
momento indimenticabile. È come se
mi avesse regalato
un gioiello raro, sento di possedere un
piccolo tesoro. Ricambio la gentilezza con l’acquisto di
una ventina di stec-
gd
che della sua profumatissima vaniglia e dopo il rito dell’apertura
con il machete di una grossa noce di cocco per bere il delizioso
succo e assaporare la tenera polpa, lascio questo luogo da favola con il mio prezioso carico di
emozioni e riprendo la strada
alla scoperta di questo gioiello
di isola che galleggia nel mezzo
dell’Oceano Pacifico.
75
gd
quaderno di viaggio
Slow travel, viaggiare
con il cuore e la matita
I
di M. di G.
l carnet di viaggio fu utilizzato a partire dal XVI-XVII
secolo da artisti illustri e
non, botanici, naturalisti, architetti o semplici viaggiatori desiderosi di raccontare o tenere in
memoria le proprie esperienze e
suggestioni di viaggio. Sono una
sorta di diario figurato con disegni, schizzi, acquerelli, mappe,
collage di materiali significativi,
arricchito da note personali o
descrittive. Questo “genere letterario e artistico” negli ultimi anni
gode di rinnovato interesse soprattutto in Francia.
A Clermont Ferrand, ogni anno a metà novembre centinaia di
appassionati “carnettisti” danno
vita alla Biennale del Carnet di
Viaggio, appuntamento diventato ormai annuale per il grande successo riscontrato. Qualche
anno fa ho scoperto che questo
mondo era il mio mondo. Infatti sono sempre tornata dai miei
viaggi carica di libriccini non solo
corredati di schizzi e disegni ma
76
anche di materiali vari che ricordavano il mio passaggio in quel
luogo: scontrini, biglietti, ricevute, etichette, fiori poco conosciuti seccati nelle pagine delle mie
guide, persino la pelle della muta di un serpente mamba o i semi dei grandi baobab del deserto
del Kalahari. La mia esperienza
di ex-insegnante di disegno e di
accompagnatrice di gruppi in
viaggio verso mete più o meno
avventurose, mi ha suggerito di
provare a trasmettere questa mia
passione per il carnet.
Nasce così il primo stage italiano di Carnet di viaggio che ho
organizzato nel marzo 2008 a
Marrakech, presso il centro di
creazione artistica della città.
Una settimana di esplorazione della città con nuovi occhi:
imparare a osservare, soffermarsi sui particolari, vivere le
emozioni e trasferirle sulla carta.
L’obiettivo è quello di essere più
viaggiatori e meno turisti, in un
viaggio lento alla scoperta della
vera essenza del luogo. Vivendo
un’esperienza emozionante con
gli stessi obiettivi e interessi, si
crea tra i partecipanti un’energia
molto forte che rende possibile
la realizzazione di opere davvero
particolari e creative.
Maya Di Giulio propone uno
stage di Carnet di Viaggio a
Marrakech rivolto anche a chi
sta muovendo i primi passi nel
disegno e nella pittura
ad acquerello. Le date proposte
sono tre: Dal 6 al 13 Marzo, dal
25 aprile al 2 maggio, dal 23
al 30 ottobre 2010. Il costo si
aggira sui 100 € al giorno circa
(700 € la settimana) a mezza
pensione, escluso il volo (Low
Cost, circa 100 €). Richiedere il
programma dettagliato. Sconti
per gli associati del Senato delle
Donne e lettori di Geniodonna.
Chi fosse interessato a seguire
corsi settimanali a Como o
Milano la contatti direttamente
allo 031571500
[email protected]
gd
arte eventi
Sculture di luce
in un salotto di ricerca
Lugano, la Mya Lurgo Gallery per appuntamenti d’arte
di Idapaola Sozzani
A
ffacciata su Piazza della Riforma, il salotto di Lugano,
nello storico stabile del “Federale”, la Galleria di Mya Lurgo è
diventata un punto di riferimento per eventi artistici e iniziative
culturali della città ticinese. Profilo affilato in perenne ricerca di
idee, Maria Grazia Lurgo ci parla
dello spazio espositivo.
Da quanto tempo, Mya, ti occupi di arte ed eventi culturali?
Da circa sei anni. La galleria attuale è solo l’ultima delle mie
invenzioni: prima di aprire nel
2007 questo atelier d’arte in centro Lugano mi ero già inventata due spazi espositivi: nel 2004
ho inaugurato l’atelier MyArtDeco Creative Box a LuganoCassarate e in seguito l’Artville
Bistrot, uno spazio d’arte, moda
e spettacolo dedicato ai Live Art
e all’Action Painting, che presentava per lo più opere di espressionismo astratto.
Quali attività si svolgono
nella sua galleria?
Fin dall’apertura nel 2007
le tre sale espositive sono
state adibite a installazioni artistiche e mostre che
cambiano ogni mese, in
collaborazione con artisti,
curatori e critici di respiro
internazionale. L’interesse
espositivo è di preferenza rivolto alla Light-Art
(quadri e sculture di luce), alla
Digital-Art e alle video installazioni. Periodicamente la Galleria
si presta a collaborazioni collegiali con gallerie internazionali,
con lo scopo di muovere l’arte
dentro e fuori il Ticino. L’atelier
è anche un’officina di ricerca artistica e la sede di workshop per
addetti ai lavori. A margine della
mia attività “canonica” di gallerista, c’è Il Gallery Club: un circolo liberamente frequentabile che
riunisce in galleria animi sensibili all’Arte in tutte le sue declinazioni.
Teniamo settimanalmente un salotto culturale del giovedì sera
che riserva sempre sorprese e incontri diversi, con
pubblico ticinese e italiano
che ci dimostra di gradire molto le
proposte di
musica ricercata e vi-
deo arte o i monologhi teatrali e
gli interventi musicali dei vari artisti e cantautori che riusciamo a
coinvolgere. Facciamo anche reading di poesia e letteratura, cineforum con film d’autore, tavole
rotonde di argomento filosofico
e presentazione di libri.
Da dove è partita, Mya, la tua
attività di gallerista?
La galleria è nata dalla mia attività di pittrice; ho all’attivo una
trentina di mostre personali e
collettive fra Lugano e l’Italia,
con una presenza alla Biennale
di Venezia nel 2007. Con la mia
prima maternità nel 1999 e l’allontanamento temporaneo dal
lavoro ho maturato l’esigenza
di vivere pienamente la mia responsabilità artistica verso me
stessa e ho abbandonato l’attività di terapeuta sportivo. Le
mie ultime piste di ricerca sono Yoga e Pirobazia (arte di
camminare sui carboni ardenti
ndr) e l’ispirazione all’Immateriale di Ives Klein, come delineato nel suo Manifesto Chelsea
Hotel di New York del 1961. Ripercorrendo i suoi sentieri verso
il trascendente nel 2007 ho
pubblicato il mio manifesto artistico: Acentrismo,
dal sogno dell’ego alla Divina Realtà, edito da Bellati
Editore, una filosofia tesa al decentramento programmatico.
Autoritratto.
Mya_Lurgo_Gallery
www.myalurgo.ch
Tel. 004191 9118809
77
corsi e seminari
FEDERAZIONE
ASSOCIAZIONI
FEMMINILI
TICINO
Il viaggio delle pari opportunità
Il Senato delle Donne e la FAFT (Federazione Associazioni Femminili Ticino) editori del mensile
Geniodonna, organizzano corsi e seminari. Ecco il programma della stagione invernale.
CORSO DI LINGUA ARABA
CORSO DI INFORMATICA
Introduzione alla scrittura
e alla lettura
Conoscere l’arabo? Avvicinarsi a una cultura diversa?
Leggere le Mille e una notte o
una poesia? Si tratta di due
corsi: si inizierà non appena raggiunto il numero minimo di iscrizione. I due corsi
si tengono: il primo (è appena iniziato) il martedì dalle ore 20 alle ore 22, il
secondo (partirà a gennaio) il venerdì con lo
stesso orario. I corsi termineranno entro la metà
di giugno e si concluderanno con la consegna di un
attestato. Il costo orario del corso è di 9 euro per
gli iscritti, 12 euro per gli altri (ogni lezione è di
due ore): il pagamento è mensile anticipato.
Per acquisire nuove conoscenze professionali:
1) Corso d’informatica di primo livello 12 lezioni di 2 ore ciascuna nelle giornate di martedì e
giovedì dalle 17.30 alle 19.30
Obiettivi del corso sono: la conoscenza base
dell’hardware, l’acquisizione di base del sistema operativo Windows XP, l’acquisizione di
base dell’utilizzo Pacchetto-Office, in particolare Word, l’utilizzo della posta elettronica, di
Internet , di portali e motori di ricerca.
2) Corso di informatica di secondo livello:
acquisizione delle competenze necessarie per
la creazione di documenti professionali quali
report, lettere, business-plan;
condivisione delle informazioni attraverso posta elettronica; stampa su carta e pubblicazione sul Web.
Si tratta di 10 lezioni di 2 ore ciascuna che si svolgeranno in orari dalle 17.30 alle 19.30 nelle giornate di mercoledì e venerdì. Entrambi i corsi
saranno tenuti dall’insegnante di informatica Anna Morello, presso l’Istituto Pessina di Como.
I corsi inizieranno a raggiungimento del numero minimo di iscritti.
ESSERE GENITORI OGGI
Le pari opportunità si
costruiscono fin dall’infanzia con una educazione nuova e moderna.
Ecco il fine del corso
“Essere genitori oggi”:
si tratta di una serie di
incontri tenuti da Clara Debiasi, educatrice e da
Roberta Marzorati, medico pediatra che hanno
grande esperienza in materia. La finalità è quella di
rafforzare la consapevolezza e la competenza dei
genitori, rispetto ai bisogni dei loro bambini.
Verranno trattati i seguenti argomenti
• Bambino e ambiente
• Genitorialità e fisicità
• Inserimento del bambino nell’asilo
• Stress del bambino che frequenta il nido.
Il corso inizierà a marzo 2010.
ESPRESSIONE PITTORICA
Un viaggio nel mondo dei rapporti uomo/donna
dal punto di vista psicologico e artistico. Si tratterà
di una serie di quattro incontri di espressione
pittorica di un’ora e mezza ogni martedì dalle
18 alle 19.30: attraverso tecniche di disegno congeniali ai partecipanti si analizzeranno gli archetipi
femminili e maschili. Il corso è tenuto da Yolande
Guillet, artista diplomata a Brera, arte-terapeuta e
maestra di acquerello.
Costi: 24 euro a incontro per i soci,
36 euro per gli altri.
Le iscrizioni a tutti i corsi sono aperte da ora fino al 31 gennaio.
Info tel. ++39.031. 2499829 dal lunedì al venerdì dalle ore 14.30 alle 19.00, oppure recarsi presso la sede della redazione Geniodonna in viale G. Cesare, 7 a
Como o nella redazione di Massagno c/o FAFT in via Foletti, 23.
78
FEDERAZIONE
ASSOCIAZIONI
FEMMINILI
TICINO
corsi e seminari
Il mensile cerca i suoi lettori
La corsa dell’oro. Siamo come i cercatori
d’oro. Stiamo cercando i nostri lettori che ci
danno molti segni di affetto e di gradire il
nostro mensile. Vogliamo unirli strettamente
alla nostra impresa.
L’impresa. Non è solo quella di partorire
questa pubblicazione, ma quella di convincere della necessità della parità fra donne e
uomini, parità non su schemi maschili ma su
modelli che nascano dal genio femminile.
Neonato di quattro mesi. Siamo al quarto
numero, abbiamo la stessa età di un neonato
di quattro mesi. L’accoglienza che abbiamo
registrato è incoraggiante: è stata apprezzata la novità del formato, della grafica ma soprattutto la novità del fine che ci muove.
Un’urgenza chiarissima. Vi è l’assoluta urgenza che le donne avanzino in tutti i luoghi,
dal lavoro dove devono avere trattamenti re-
tributivi uguali a quelli dei maschi, ai posti
di guida e responsabilità nelle amministrazioni pubbliche, nelle banche, nelle aziende,
nei governi.
Discriminazioni antieconomiche. Non si
possono avere ancora discriminazioni e menomazioni dei diritti delle donne: è un danno
al pieno sviluppo anche economico delle comunità e alla giusta distribuzione delle risorse.
Durare nel tempo. Per questo cerchiamo
di avere il sostegno delle nostre lettrici e dei
nostri lettori. Una nuova cultura nasce dallo
sforzo delle donne e dalle adesioni di uomini che capiscano le parole di rinnovamento
delle loro mogli, madri, sorelle, amiche. Noi
parliamo di questo e terremo vivo questo
progetto con il vostro aiuto. Abbiamo quattro mesi, ma speriamo di durare nel tempo per il
tempo necessario. Questo è l’obbiettivo:
durare nel tempo per il tempo necessario
Ecco come fare per abbonarsi
al giornale e riceverlo a casa
Per la Svizzera sottoscrivi un abbonamento comunicando i tuoi dati (indirizzo completo)
a: FAFT, via Foletti 23, 6900 Massagno oppure [email protected]
Il pagamento di fr. 50.- per l’abbonamento annuale 2010 è da effettuare
sul numero di conto: ccp 69-7175-8
Per il comprensorio comasco, inviate il vostro recapito a:
Geniodonna, viale G. Cesare, 7 - 22100 Como
oppure a: [email protected]
oppure inserite i vostri dati nell’apposito formulario: www.geniodonna.it
Per ricevere le nostre pubblicazioni dell’anno 2010 euro 30
sul conto corrente postale 96278924 intestato a:
Il Senato delle Donne, via don Minzoni, 12 - 22100 Como.
Per tesserarsi all’Associazione versamento di euro 20 intestato a:
Il Senato delle Donne sul conto corrente postale 96278924 e potrete usufruire delle
nostre iniziative.
Info: Redazione Geniodonna tel. +39 031 2759236 - E-mail:[email protected]
Questo è un numero speciale: buone Feste!
79
TICINO: LA CARTA DEGLI ASILI E DEI COSTI
Asilo nido
LOCALITàPOSTI
TARIFFE
ORARI
Mendrisio
Chiasso
Chiasso
Chiasso
Rancate
Coldrerio
40
44
40
15
25
23
da fr. 25 a fr. 140 al giorno*
da fr. 525.-*
da fr. 600.-
fr. 800.-
da fr. 500.- a fr. 800.-*
da fr. 1.80 a fr. 15.- all’ora*
7.00-18.30
6.30-18.301
6.50-19.00
7.00-18.00
6.45-19.00
7.00-19.00
Lugano
Lugano
Massagno
Viganello
Lugano
Breganzona
Cagiallo
Massagno
Melano
Taverne
Bioggio
Lugano
Vezia
Grancia
Massagno
Lugano
Lugano
Comano
Savosa
Lugano
Pambio-Noranco
Lugano
Manno
23
34
24
40
45
55
12
36
20
29
34
24
40
25
33
45
18
19
32
25
30
18
18
fr. 1.100.-
fr. 1.000.-
fr. 1.200.-
fr. 1.150
da fr. 25 al giorno*
fr. 1.100.-
fr. 900.-
fr. 950.-
fr. 8 all’ora (min. 12 ore settim.)
fr. 950.-
fr. 1.200.-
fr. 950.-
fr. 1.200.-
fr. 1.000.-
fr. 1.100.-
da fr. 25.- al giorno3*
da fr. 25.- al giorno3*
fr. 55._ al giorno4*
fr. 960.-
fr. 1.100
fr. 1.200.-
da fr. 25.- al giorno3*
fr. 57.- al giorno5*
7.00-19.00
7.30-18.00
7.30-18.30
7.30-18.30
6.45-18.30
6.30-19.00
8.00-14.30
7.30-18.00
7.00-19.00
7.30-18.30
7.30-18.30
7.30-18.30
7.30-18.30
7.00-19.00
7.00-19.00
7.00-19.00
7.00-19.00
8.00-18.00
8.00-18.00
7.30-18.30
7.00-18.00
7.00-19.00
7.45-18.15
Solduno
Locarno
Locarno
Muralto
Minusio
Locarno
Gordola
Losone
22
53
13
30
25
24
19
30
da fr. 130.- mensili6*
da fr. 25.- a fr. 80._ al giorno
fr. 480.-
fr. 1.100.-
fr. 900.-
fr.. 890.-
fr. 1.140.-
fr.. 600.-*
8.30-16.30
6.30-18.30
8.00-12.00
7.30-18.30
6.45-18.00
6.30-18.30
7.00-19.00
6.30-19.00
Bellinzona
Bellinzona
Bellinzona
Bellinzona
Castione
Giubiasco
Giubiasco
18
15
50
15
16
15
26
fr. 975.-7*
fr. 900.-
fr. 525.-*
fr. 938.-
fr. 950.-
fr. 800.-
fr. 1.100.-
6.45-19.00
7.00-19.00
7.00-18.00
7.30-18.30
7.30-18.00
7.30-18.00
7.30-18.00
Bodio
14
fr. 850.-
8.00-18.00
Mendrisiotto
Asilo nido comunale
Casa del sorriso
Coccolo
Il Girasole
La casa sull’albero
Nido dello Scoiattolo
Luganese
Abaco
Arcobaleno
Casa Bimbi
Casa dell’Infanzia
Centro Infanzia Arnaboldi
Culla Baby Star
Giardino d’Infanzia Girotondo
Happy Children2
Il Cactus
Il Delfino
La Casa di Pinocchio
La Coccinella
La Corte dei bambini
Mini Centro Grancia
Multispazio Eccolo
Nido d’infanzia Baroffio
Nido d’infanzia Molino Nuovo
Oasi della gioa (RSI)
Peter Pan
Piccoli Passi
Primi Passi Ibsa
Ronchetto
Supsi nido
Locarnese
Asilo nido al Boschetto
Asilo nido comunale
Bucaneve
Il Cucciolo
L’Arca dei bambini
Le Coccinelle
Mini-Nido
Yoghi
Bellinzonese
Il Bianconiglio
Il castello dei bimbi
Casa San Marco
Fantasilandia
Latte e Miele
Baby’s House
L’Ape Maia
Leventina
Il Carillon
80
Note. La tariffa mensile o giornaliera, si riferisce a un orario pieno, 5 giorni alla settimana, dal lunedì al venerdì. Le tariffe con l’asterisco (*) sono in base al reddito. 1Per esigenze particolari dei genitori, la chiusura è posticipata alle 21. 2Asilo nido in lingua inglese dai 2 anni in su. 3Per il
tempo pieno fr. 19.- al giorno fino a 5 ore. 4Retta per dipendenti (per presenze giornaliere inferiori a 5 ore: fr. 35.-). I genitori non dipendenti
pagano un supplemento del 20%. 5Retta per i dipendenti, pasti inclusi (mezza giornata: fr. 30.-). Gli studenti pagano fr. 200.- indipendentemente
dal tipo di frequenza. La retta per le famiglie esterne è di fr. 82.- (pasti inclusi) e fr. 45.- per la mezza giornata.
6Tariffa per due mezze giornate alla settimana, pranzi esclusi. Con i due pranzi, la tariffa parte da fr. 230.- mensili. 7Per 8 ore e trenta e per
bambini dai 12 mesi in su, pasti esclusi. Per bimbi da 0 a 12 mesi la retta mensile è di fr. 1.170.- Ogni ora supplementare costa rispettivamente
fr. 5.70 e fr. 6.90 (Fonte: asili nido, Ufag e Infofamiglie).
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