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ESSERE DONNE LIBERARSI DAGLI SCHEMI
geniodonna www.geniodonna.it • www.geniodonna.ch Poste Italiane Spa - Spedizione in A.P. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1 comma 1 - DCB Como Periodico di fatti e di idee di Como e del Cantone Ticino - Anno I - N. 3 -Dicembre 2009/Gennaio 2010 ESSERE DONNE LIBERARSI DAGLI SCHEMI Ticino La carta dei servizi per l’infanzia Como La storia: uomo nel corpo donna nel cuore Finanziato dall’UE - progetto Geniodonna I.D. 7671128 - Interreg Italia/Svizzera Fondo Fesr La sorellanza il punto U na donna su tre ha subito o subisce violenza. Una su tre. A chi sarà toccato? Alla biondina là in fondo o alla mia vicina di casa? E i dati riportano solo la violenza fisica, terribile, sempre. Figlia di tante ragioni, nessuna giustificabile, ma figlia forse anche di una cultura con un occhio solo, che vede la donna come un corpo, un oggetto e come tale va controllato, esibito, posseduto. Priva di volontà, non libera di dire basta a un modello imperante che forse non condivide, ma a cui troppo spesso si assoggetta e che alimenta, a sua volta, con l’ossessione dell’essere in forma, del piacere e del conformarsi ai canoni consueti. Questa società scusa ogni eccesso, tranne l’originalità e la libertà autentica. Il rischio è farsi affibbiare l’epiteto di vetero femministe dai più evoluti, di zitelle inacidite (a prescindere dalle reali condizioni anagrafiche) dai soliti elegantoni che hanno imparato la galanteria alla scuola militare. Qui occorre una rivoluzione silenziosa ma concreta che comincia ancora una volta da noi: primo, non tacere mai, anche se è difficile e doloroso; secondo non perdonare mai la prima mano alzata, la seconda arriverà e sarà ancora più pesante; terzo aver il coraggio della propria identità. Disegno (1953) di Saul Steinberg E infine scopriamo (o è riscoperta?) la solidarietà femminile. Una “sorellanza” di cui si avverte un’impellenza non rinviabile. Non consentiamo nessun sorriso sarcastico a chi ci crede “più belle che intelligenti”, “più disponibili che oneste” perché si incomincia così a solidarizzare con quell’atteggiamento da “maschietti” che ci vorrebbe sempre e solo “a disposizione”. Siamo donne, mogli, mamme, amanti, sorelle, amiche abbiamo diritto alla nostra identità e alla nostra forza. Con o senza tacchi a spillo. Chiara Ratti GENIODONNA Direttore responsabile: Maurizio Michelini. Art director: Graziella Monti. Redazione Como ([email protected]): Guido Boriani, Cristina Sonvico, Idapaola Sozzani. Segretaria: Giulia Pelizzari. Foto di copertina di Manuela Masciadri; nell’immagine: Ksenia, 26 anni - Ufficio Marketing Garmin Italia. Illustrazioni: Giuseppe Bocelli, Jerry Kramsky, Carlo Mango, Elena Nuozzi. Fotografie: Anna Bernasconi, Bruno Maria Campagna. Como - Viale Giulio Cesare 7 - tel. 0312759236/0312499829 - Fax 0312757721 • www.geniodonna.it Redazione di Lugano-Massagno: Antonella Sicurello • [email protected] - via Foletti, 23 Condizioni di abbonamento per la Svizzera: frs. 50.- annuali (10 numeri). Editore: Senato delle Donne, presidente: Cristina Sonvico - via don Minzoni, 12 - Como - tel. 334.2308707 - p. Iva e c.f.: 03145230136 - E-mail: [email protected] Progetto Geniodonna Interreg/Faft (Federazione Associazioni Femminili Ticino): presidente: Fabrizia Toletti - via Foletti, 23 Lugano-Massagno. http://www.faft.ch - www.geniodonna.ch Genio Donna, Reg. Trib. Ord. di Como n.2/09 del 22/01/2009 – Copyright© by Geniodonna. Stampa: Speed Graph - via Spluga, 80 - 23854 Olginate (LC) - Tel. 0341.680002 - Questa rivista è stampata su carta certificata di pura cellulosa (E.L.C.) biodegradabile e riciclabile. Tutti i diritti sono riservati. Nessuna parte della rivista può essere riprodotta, rielaborata e diffusa senza autorizzazione scritta dell’editore. gd occupazione Usa: nel lavoro primato alle donne In due anni persi 6,4 milioni di posti, mentre la presenza femminile nei prossimi mesi raggiungerà il 50% degli occupati – Forte incremento del part-time di Sergio Masciadri N egli anni Quaranta il governo americano aveva organizzato una campagna per convincere le donne a impegnarsi in prima persona nel mondo del lavoro, un mondo che era quasi totalmente riservato agli uomini. La recente e devastante crisi che ha colpito i mercati della finanza mondiale ha mischiato le carte. Quella campagna avviata oltre mezzo secolo fa, per convincere le donne a scendere in campo, ha cominciato a imprimere un significativo cambio di rotta nel mercato del lavoro. Grazie o per colpa della crisi, l’America di oggi ha raggiunto un importante traguardo: il numero di donne titolari di un posto di lavoro ha superato quello degli uomini. La notizia è apparsa sul quotidiano nazionale Usa Today in un articolo che, analizzando gli ultimi dati sul mercato interno del lavoro forniti dall’Institute for Women’s Policy Research, mostra il grande cambiamento in atto nella società americana e che è destinato a rivoluzionare tutto il mercato del lavoro: il 49,83% degli attuali 132 milioni di posti di lavoro è occupato dalle donne e, dicono le previsioni, questa percentuale salirà fino raggiungere il 50% entro i primi mesi del 2010. Queste previsioni assumono particolare significato in un periodo in cui la disoccupazione è in costante aumento, come rileva l’Institute for Women’s Policy Research: dal dicembre 2007 al giugno 2009, negli USA sono stati persi 6,4 milioni posti di lavoro di cui il 74% ha colpito l’occupazione maschile. Una tendenza che non sembra modificarsi anzi, gli effetti della crisi continua ad espellere mano d’opera spingendo il tasso di disoccupazione al di sopra del 12%. Di segno opposto sono i dati che arrivano dal mondo del lavoro dove maggiore è la presenza femminile e in particolare nei settori sanità, istruzione e pubblico impiego. In questi comparti, non solo non vi sono espulsioni, ma l’occupazione è in lieve e costante crescita. Sono cifre da record quelle delle donne occupate negli USA, e il part-time sta contribuendo in modo importante a incrementare questa tendenza. È proprio in questa tipologia d’impiego che le “quote rosa” sono in numero superiore a quelle maschili. Una rivincita femminile che Maureen Honey, autrice della pubblicazione che ripercorre la campagna governativa degli anni Quaranta, commenta positivamente affermando come questo cambiamento che mette in discussione “l’immagine dell’uomo che porta a casa il pane”, stia incidendo profondamente anche sul menage familiare. “Per arrivare a questo traguardo si è dovuto affrontare una lunga fatica, ma adesso finalmente ci siamo – commenta l’economista del lavoro Heidi Hartmann – oggi si può dire che a dare l’ultima spallata è stata proprio la crisi economica.” 1 gd mutamenti Donna nell’anima cerca il suo vero corpo La storia di una donna nata maschio - Il ruolo della famiglia - La difficoltà e l’attesa dell’operazione chirurgica per riconciliarsi con la propria identità di Elena Nuozzi La condizione di una trans “Il problema principale è prendere consapevolezza di quello che si è. Sono nata di sesso maschile, ma non sono mai stata un uomo. Se penso alla mia adolescenza: il disagio, le domande... essere intrappolati in un corpo al quale senti di non appartenere. Questa condizione t’impone un percorso per razionalizzare e accettarti. All’inizio della mia transizione ero felice: finalmente sapevo chi ero. Ma non avevo fatto i conti con la realtà e la capacità di discriminazione degli altri.” Il percorso di consapevolezza La transizione inizia a 19 anni. Fino a quell’età ha un orientamento omosessuale. Inizia a prendere ormoni femminili. Continua con la mastoplastica 2 additiva del seno. Oggi è in una lunga lista d’attesa per la riattribuzione chirurgica del sesso. “Nel percorso di transizione il ruolo della famiglia è fondamentale. I miei genitori sanno della mia situazione da sempre. Quando l’ho detto a mio padre, da anni al corrente della mia omosessualità, mi ha risposto: ‘Se ti senti e sei così, da domani comincia a comportarti per quello che sei’. Mi hanno accettato, non cacciata di casa come di solito accade, e mi hanno fatto continuare gli studi fino alla fine: è un enorme privilegio fare questo percorso in un ambiente protetto.” Il suo fare è molto femminile. All’inizio ha vissuto senza rivelarsi: negava la sua transessualità. Ora non dichiara la sua situazione apertamente ma, se le viene chiesto, non rinnega la sua condizione di transessualità. “Per questo motivo – dice – ringrazio A. per avermi fatto capire che ho il dovere di non vergognarmi della mia storia.” Il lavoro Il suo compagno l’accompagna in macchina a un colloquio di lavoro. Il colloquio va benissimo, fino al momento della presentazione della carta d’identità. Il proprietario scoppia in una risata: “Perché non ti prostituisci?”. Il suo compagno vorrebbe spaccare la faccia al titolare. Risultato: posto di lavoro non ottenuto. Altro colloquio. “Bene! La chiamo tra una settimana per iniziare.” Ma appena consegnati i documenti: “Fantastico! Non andrà mai in maternità e non farà assenze per il suo ciclo!”. Posto di lavoro non ottenuto. In Italia la legge 164/82 prevede che la rettifica anagrafica riguardo al proprio sesso di appartenenza può essere effettuata solo gd mutamenti a compimento dell’operazione per il cambio del sesso. “Vuol dire ritrovarmi a fare lavoretti in nero e saltuari: nessuno ti mette in regola.” Come risolvere i problemi economici “Così mi prostituisco. La gente mi discrimina, ma di notte mi cerca: per molti le trans sono solo una trasgressione erotica. Annunci su internet. Se in Italia ci fosse una legge adeguata non ci sarebbero pregiudizi lavorativi e sociali. In Germania, Belgio, Portogallo questa legge c’è. In Spagna, con il governo Zapatero si può ottenere la modifica sui documenti dopo un anno di transizione e la prostituzione è diminuita notevolmente. All’inizio volevo operarmi per trovare un lavoro e sposarmi, ora lo farò per me.” La sessualità “Ma se ho un sesso che non mi corrisponde, come faccio a vivere bene la mia sessualità? Il mio compagno mi ha sempre vista come donna. A fare l’amore con lui avevo vergogna, non riuscivo a esprimermi come volevo. Insieme siamo riusciti a trovare un equilibrio e ora va bene. La nostra è una storia che dura da due anni.” Identikit Altezza 1,78 m bionda occhi verdi numero di scarpe 41; ama andare dal parrucchiere, dall’estetista, Nel racconto della protagonista il viaggio doloroso per uscire da un involucro estraneo fare shopping; le sue scarpe preferite? Manolo Blahnik; adora il colore rosa; il suo piatto preferito: pizzoccheri. In cucina ama sperimentare, è golosa. Non sopporta ostentazione, volgarità, pregiudizi e falsità. Non sopporta il ticchettio della sveglia: ne ha una digitale. Ama stare con gli amici, andare al cinema, ascoltare musica rock. Adora le moto... e i motociclisti. Adora le bambole di porcellana, il servizio di piatti dei suoi genitori. Adora suo padre. Vorrebbe essere più magra e cambiare macchina. Le piacciono gli uomini che la fanno sentire donna. Adora i baci sul collo. Adora la femminilità. La cosa più bella che le hanno detto: “Ti amo per quella che sei”. Si vede zingara e considera tutte le donne principesse fortunate “vestite da bambine fin da piccole”. 3 gd i diritti I diritti reali delle donne: un cammino ancora lungo Il percorso storico dalla Rivoluzione francese alle prese di posizione dell’Onu per il riconoscimento dei diritti delle donne - Lo scarto fra dichiarazioni e realtà di Celeste Grossi * “L a donna nasce libera e ha uguali diritti all’uomo.” Inizia così il primo documento che invoca l’uguaglianza giuridica, legale, politica e sociale di donne e uomini, scritto nel 1791 da Olympe de Gouges, una drammaturga e giornalista che lottò contro i pregiudizi maschili e criticò la Rivoluzione francese per aver dimenticato le donne nel suo progetto di libertà e di uguaglianza. Suffragette all’inizio del Novecento. 4 Olympe La Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina metteva in luce l’assurdità di diritti ritenuti validi solo per gli uomini come il diritto di voto, l’accesso alle istituzioni pubbliche e ad alcune professioni, il diritto di proprietà. Nel preambolo si legge: “Le madri, le figlie, le sorelle, rappresentanti della nazione […], considerando che l’ignoranza, l’oblio o il disprezzo dei diritti della donna sono le cause delle disgrazie pubbliche e della corruzione dei governi, hanno deciso di esporre, in una Dichiarazione solenne, i diritti naturali, inalienabili e sacri della donna, affinché questa dichiarazione, costantemente presente a tutti i membri del corpo sociale, ricordi loro senza sosta i loro diritti e i loro doveri […]”. Erano parole troppo innovative anche per i rivoluzionari illuministi, estensori della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino. A loro Olympe de Gouges rispose: “Se tentare di dare al mio sesso una giusta i diritti e onorevole consistenza, è considerato in questo momento come un paradosso da parte mia, e come la volontà di tentare l’impossibile, lascio agli uomini che verranno la gloria di trattare questa materia; ma nel frattempo, la si può preparare con l’educazione nazionale, con il riassetto dei costumi e con le convenzioni coniugali”. Le parole di Olympe (ghigliottinata nel 1793) sono ancora attuali. I diritti che lei rivendicava oggi sono sanciti sulla carta, ma continuano a essere violati in tante parti del mondo e anche nel nostro paese. Lo dimostra il Global Gender Gap Report. Il rapporto del World Economic Forum, pubblicato a ottobre, ha analizzato la vita delle donne nel mondo, fotografando la condizione femminile, nel 2008, in 134 paesi (nei quali vive più del 90% della popolazione mondiale), alla luce di quattro indicatori: la partecipazione delle donne in economia, le opportunità in educazione, le presenze nella politica, la salute e la speranza di vita. Nella classifica l’Italia si è collocata solo settantaduesima, peggiorando di cinque posti rispetto all’anno precedente. Eleanor Abbiamo un debito di riconoscenza anche nei confronti di un’altra grande donna, Anna Eleanor Roosevelt. Eleanor, impegnata attivamente nella tutela dei diritti civili e per ottenere leggi a protezione delle donne lavoratrici, ebbe un ruolo importante nel processo di creazione delle Nazioni Unite e presiedette la commissione che tracciò e approvò la Dichiarazione universale dei diritti umani, (Parigi 10 dicembre 1948) il primo documento a sancire universalmente, cioè in ogni epoca storica e in ogni parte del mondo, i diritti civili e politici, economici, sociali, culturali che spettano a tutti gli esseri umani, donne e uomini, “senza distinzione alcuna”. I limiti degli strumenti esistenti a tutela dei diritti delle donne por- gd tarono l’Onu: • alla stesura della Convenzione sui Diritti Politici delle Donne del 1952; • alla creazione della Commissione Diritti Umani dell’Onu del 1967 che elaborò la Dichiarazione sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne; • alla Convenzione per l’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne del 1979 (entrata in vigore nel 1981, a oggi sottoscritta da 168 stati, due terzi dei membri dell’Onu); • alla Dichiarazione della Conferenza di Vienna nel 1993: “Gli Stati esprimono la loro preoccupazione per le varie forme di discriminazione e violenza alle quali le donne continuano a essere esposte in tutto il mondo”; • alla storica Risoluzione 1325 su Donne, Pace e Sicurezza, adottata nel 2000, che riconosce lo stupro come crimine di guerra e il ruolo fondamentale delle donne nei processi per la costruzione della pace e della sicurezza. *Vicepresidente del Coordinamento comasco per la Pace, www.comopace.org 5 gd Indagine di Antonella Sicurello Ticino: la cura dell’infanzia Nuovi asili in aiuto a mamme e bambini In sei anni raddoppiati gli asili nido. Decisivo l’intervento del Cantone I l bisogno crescente da parte delle famiglie ticinesi di poter conciliare casa e lavoro non è rimasto inascoltato. Nell’arco di sei anni il numero di nidi d’infanzia per bambini da zero a tre anni è raddoppiato e sono aumentate anche le strutture extrascolastiche (vedi riquadro). Oggi gli asili nido sono 45, per un totale di 1.192 posti. La maggiore concentrazione è nel luganese, la minore nelle valli (vedi pagina 80). “Secondo le nostre stime, mancherebbero proprio un asilo nido nel l o c a rnese e sei nel bellinzonese e valli”, afferma Marco Galli dell’Uffi- 6 cio del sostegno a enti e attività per le famiglie e i giovani (Ufag). “Vi sono famiglie in lista di attesa soprattutto nei nidi comunali, mentre in alcuni nidi privati vi sono ancora posti disponibili.” La maggiore offerta di strutture rivolte ai bambini in età prescolare si deve in particolare alla legge per le famiglie, entrata in vigore nel 2003, che prevede anche un finanziamento statale e comunale. “Il contributo cantonale è stato fissato al 40% dei costi riconosciuti”, spiega Galli. “Al contempo è stato applicato il sistema degli incentivi comunali. È a costo zero per i comuni, che beneficiano di uno sconto sulla partecipazione ai costi di protezione dei minorenni se sostengono gli enti riconosciuti. Nel 2009 sono stati erogati oltre 2 milioni e 600 mila franchi di sussidi, pari a circa l’87% dei contributi massimi computabili, che vanno a nidi, famiglie diurne, centri extrascolastici e di socializzazione. Inoltre ogni comune può sostenere liberamente con contributi anche maggiori le varie iniziative, che di fatto sono servizi di prossimità.” Tanti criteri da rispettare Ottenere il sussidio, ma ancor prima l’autorizzazione cantonale, non è così semplice (però quasi tutti i nidi sono sussidiaE dopo il nido che si fa? Con l’iscrizione dei propri figli alla scuola materna e alle elementari, i problemi legati alla loro cura non finiscono. Per molti genitori risulta ancora più difficile far conciliare gli orari di lavoro con quelli della scuola. In loro aiuto sono state aperte su tutto il territorio cantonale una ventina di strutture pubbliche e private. Offrono attività extrascolastiche per bambini dai 3 ai 12 anni, prima e dopo il suono della campanella e anche quando la scuola è chiusa. Le rette sono fisse o in base al reddito. Informazioni e indirizzi su www. ti.ch/infofamiglie (cliccare su sostegno alle famiglie). gd ti). Per essere considerato tale, il nido d’infanzia deve innanzitutto offrire almeno cinque posti e un’apertura di oltre 15 ore settimanali. Può ricevere il sussidio cantonale se garantisce, per esempio, l’apertura regolare di almeno 220 giorni all’anno e dieci ore continuate al giorno. I nidi per essere autorizzati devono rispettare diversi criteri sulla formazione del personale, l’arredamento, le condizioni d’igiene, le attività quotidiane. L’Ufag ogni due anni verifica il rispetto di tutti i parametri imposti dalla legge. “L’intervento è però più mirato ed efficace se avviene su segnalazione dei genitori o del personale”, dice Galli. “Può capitare che in un anno si visiti 4-5 volte lo stesso nido. I problemi che riscontriamo sono soprattutto legati all’organizzazione del nido, alla gestione degli spazi, al materiale didattico o al tipo di attività.” A parte la clamorosa chiusura nel 2005 del nido Baby Paradise di Lugano (la direttrice fu accusata di gravi reati ai danni dei bambini), l’Ufag non ha mai riscontrato abusi gravi come i maltrattamenti sui minori, ha comminato solo multe per questioni amministrative. La qualità dell’offerta educativa non è garantita soltanto dalla legge ma anche dai corsi di formazione per operatori e direttori finanziati dal Cantone. “Puntiamo molto sulle offerte formative, che riguardano anche l’alimentazione, la tutela dei minori e l’amministrazione delle strutture.” Una petizione per alzare gli stipendi Malgrado il contributo statale copra il 40% della massa salariale, i nidi d’infanzia sono accusati dai Parenti e vicini senza autorizzazione Il governo federale ha fatto una parziale marcia indietro sulla sua proposta di revisione dell’ordinanza sull’accoglimento di minori a scopo di affiliazione e di adozione. La consigliera federale Eveline WidmerSchlumpf ha ammesso che la regolamentazione proposta era esagerata: avrebbero dovuto ottenere un’autorizzazione non solo gli enti che si prendono cura dei minori al di fuori del nucleo familiare (mamme diurne, genitori affidatari, asili nido e centri di accoglienza), ma anche amici, vicini o membri della famiglia impegnati in questo ruolo per più di 20 ore alla settimana. Nel nuovo progetto di ordinanza, la ministra intende così distinguere tra custodia privata e attività esercitata a titolo professionale. In questo modo le persone della cerchia familiare che si prendono cura dei bambini senza compensi non dovranno essere autorizzati dallo Stato. sindacati di sottopagare il personale. “In circa i due terzi dei nidi i salari rimangono inferiori ad altri ambiti sociali”, ammette Galli. “La questione è oggetto di approfondimento in Gran Consiglio.” Secondo il sindacato Vpod e l’Associazione nazionale asili nido (Kitas), il governo federale dovrebbe utilizzare l’1% del Pil, cioè circa 5 miliardi di franchi, per finanziare i nidi d’infanzia (la petizione è scaricabile dal sito www.vpod-ticino.ch). “È in atto un percorso di professionalizzazione del settore che richiederà ancora qualche anno”, conclude Galli. Il rimborso alle famiglie Il Cantone sostiene finanziariamente non solo le strutture ma anche, a determinate condizioni, le famiglie che affidano i propri figli a un asilo nido autorizzato e sussidiato o a una famiglia diurna. A loro spetta il cosiddetto Rimborso della Spesa di Collocamento del figlio (RISC), introdotto dalla legge sugli assegni familiari. Per esempio può richiederlo una persona che ha un reddito disponibile residuale di 17.069 franchi o due genitori con 25.603 franchi. Il rimborso massimo è di 7 franchi all’ora, 770 al mese o 7.800 all’anno. 7 Indagine di A. Sic. Ticino: la cura dell’infanzia Caro nido quanto ci costi? L’Associazione ticinese asili nido punta a unificare le rette delle strutture A ffidare un bambino a un nido d’infanzia ticinese, a tempo pieno per cinque giorni alla settimana, costa dagli 800 ai 1.200 franchi al mese (vedi tabella a pagina 80). La maggior parte delle strutture fa pagare una retta fissa, solo una dozzina calcola la quota in base al reddito. L’ammontare dipende dai di- 8 versi servizi offerti e dagli orari d’apertura. “Non c’è una regola, ogni nido dell’infanzia è libero di fissare le proprie rette per riuscire a far quadrare i conti”, spiega Jacqueline Ribi Favero, presidente dell’Associazione ticinese asili nido (Atan), che raggruppa 30 dei 45 nidi ticinesi, e direttrice di una struttura del locarnese. Perché l’offerta è così varia? “È principalmente una questione territoriale dovuta alla differenza salariale tra il Sottoceneri e il Sopraceneri. Il nostro scopo è poter unificare le rette e offrire lo stesso servizio su tutto il territorio. Per fare ciò, abbiamo costituito un gruppo di lavoro che individuerà le gd tariffe che soddisferanno tutti i nidi. Obiettivo finale sarà un regolamento di applicazione adatto all’utilizzo delle strutture”. A proposito di stipendi, i sindacati vi accusano di sottopagare il personale. “Siamo coscienti che gli stipendi applicati in certe strutture non raggiungono ancora il giusto compenso. Attualmente il sussidio cantonale è pari a circa il 40 per cento della massa salariale. Considerato che i sussidi cantonali sono definiti annualmente, nessun nido è in grado oggi di sapere a quanto ammonterà il proprio sussidio per il nuovo anno. Allo stato attuale, per poter pagare meglio il personale, dovremmo alzare le rette”. Per quel che riguarda la formazione del personale i genitori possono stare tranquilli? “Certo. Oggi, grazie ai sussidi elargiti da Cantone e Comuni, la situazione nei diversi nidi sta lentamente migliorando. Naturalmente la qualità è raggiungibile anche grazie a una formazione continua e di qualità”. L’offerta di nidi d’infanzia è sufficiente a soddisfare la domanda? “Attualmente l’offerta è buona, ma si potrebbero creare ulteriori posti con una pianificazione territoriale mirata”. Ibsa: l’asilo è un costo ma ne vale la pena La maggior parte dei nidi d’infanzia ticinesi è in mano ai privati. Su 45 asili, solo cinque sono comunali: uno a Mendrisio e Locarno, tre a Lugano ((Molino Nuovo, Ronchetto e Baroffio). Tre, invece, sono aziendali: Supsi nido della Scuola universitaria professionale della Svizzera italiana, l’Oasi della gioia della Radiotelevisione svizzera (Rsi) e Primi passi Ibsa. Mentre i primi due fanno parte di strutture parastatali, il terzo è al 100% privato ed è l’unico del suo genere in Ticino, frutto di un’iniziativa della casa farmaceutica Ibsa di Lugano. “La nostra azienda è attenta alle esigenze dei dipendenti, che sono soprattutto donne”, spiega Monica Lucci, responsabile delle risorse umane. “Per questo abbiamo voluto implementare il progetto di un asilo aperto anche all’esterno e con condizioni di particolare favore per il nostro personale. Abbiamo inaugurato la struttura lo scorso gennaio e già funziona a pieno regime, segno che la nostra iniziativa ha riscosso un grande successo.” Tagesmutter di Nora Jardini L ’Associazione Famiglie Diurne (AFD) è stata creata in Ticino e ha lo scopo di offrire dei servizi che diano la possibilità ai genitori di conciliare gli impegni professionali e personali con la cura dei propri figli. Si tratta di un servizio rivolto ai genitori (affidanti) che devono collocare i propri figli durante la loro assenza lavorativa e alle famiglie (dette diurne) che si mettono a disposizione per prendersi cura dei bambini aprendo la loro casa. I servizi dell’associazione AFD Il lavoro dell’associazione consiste nel valutare l’idoneità delle famiglie diurne, coordinare gli affidamenti secondo le varie esigenze, seguire e accompagnare i collocamenti. La AFD si occupa inoltre di tutte le questioni amministrative che comprendono il versamento di un compenso orario alla famiglia diurna e la fatturazione ai genitori affidanti, che viene fatta sulla base di una retta oraria definita proporzionalmente al reddito. Le famiglie diurne sono inoltre affiancate nel loro lavoro da una serie di incontri in cui si affrontano le problematiche che possono insorgere durante il collocamento. I temi proposti sono introdotti a livello teorico e in seguito approfonditi in una discussione collettiva. Si organizzano anche altri eventi per favorire lo scamsegue 9 Indagine di A. Sic. Ticino: la cura dell’infanzia bio di opinioni ed esperienze tra le famiglie. L’associazione si preoccupa anche dei rapporti tra le madri affidanti e le famiglie assegnatarie, offrendo un servizio di coordinamento utile in caso di difficoltà con la mamma diurna assegnata. Sono previste norme che regolano la disdetta con un termine che dipende dalla durata del rapporto di lavoro (1 mese nel primo anno, 2 mesi nel secondo e 3 mesi a partire dal terzo). Lavoro di cura e diritti L’Associazione Famiglie Diurne con le sue regole e il coordina- mento amministrativo effettuato permette di regolamentare un settore nel quale spesso la legge non viene rispettata. Dal punto di vista giuridico le mamme diurne sono tutelate e beneficiano degli stessi diritti delle lavoratrici dipendenti. Infatti percepiscono i contributi sociali dettati dalla legge, beneficiano dell’assicurazione infortunio professionale, dell’indennità di perdita di guadagno, in caso di malattia, e godono di un congedo maternità di quattordici settimane, come ogni altra lavoratrice dipendente o indipendente in Svizzera. Aderire alla AFD Costi e modalità Per poter far parte dell’Associazione, le famiglie diurne devono versare una quota annua di 30 franchi e produrre un’autocertificazione penale. L’Associazione Famiglie Diurne ha poi la possibilità di informarsi in merito alla famiglia presso il Comune di domicilio della stessa. Il salario lordo per ogni bambino in affidamento è di: Fr. 5.50 / ora Fr. 20.- / notte dai 0 a 3 anni (dalle 20.00 alle 07.00) Fr. 15.- / notte dai 4 anni Un ospite in famiglia O gni anno circa 150 famiglie ticinesi accolgono una ragazza alla pari. Lo fanno soprattutto per la cura dei propri bambini, ma anche per avere una mano nei lavori domestici. Tramite Didac e Pro Filia – i due enti che in Ticino si occupano del collocamento di queste giovani ragazze – le famiglie possono cercare il profilo che più le soddisfa. Dovranno poi stipulare un contratto annuale e permettere ai giovani di frequentare la scuola (nel caso li abbiano scelti con Didac) o un corso di lingua (se collocati attraverso Pro Filia). La famiglia che desidera una maggiore disponibilità può optare per Pro Filia, che garantisce fino a 40 ore lavorative settimanali (Didac dalle 24 alle 26 ore). Con Pro Filia si sta più in famiglia Le giovani collocate da Pro Filia (circa ottanta nel 2009) hanno dai 15 ai 22 anni e non devono avere necessariamente una formazione nella cura dei bambini. “Raccomandiamo però il corso di babysitting della Croce Rossa e chiediamo un’esperienza lavorativa”, puntualizza Elisabeth de Gara, responsabile di Pro Filia in Ticino. “La maggior parte delle nostre ragazze ha già fatto la babysitter o svolto uno stage in un asilo nido.” Il contratto è di 30 o 40 ore settimanali. La famiglia paga dai 500 franchi ai 600 franchi al mese se la ragazza alla pari è minorenne (assicurazione infortuni inclusa), altrimenti bisogna versare anche i contributi Avs. Si pagano quindi dai 700 ai 900 franchi al mese. Vitto e alloggio sono inclusi. A queste somme bisogna aggiungere l’iscrizione annuale a Pro Filia (70 franchi) e una quota di 350 franchi alla conclusione del contratto. 10 La carta degli asili e dei costi è a pagina 80 Con Didac si va a scuola Con Didac la famiglia ospitante può stipulare un contratto di 24 o di 26 ore alla settimana. Le ragazze svolgono uno speciale anno scolastico dopo la scuola dell’obbligo e rimangono in Ticino un anno, da agosto a luglio. La famiglia non deve vivere a più di un’ora dalla scuola Didac di Lugano. Paga dai 400 ai 450 franchi, inclusi la retta della scuola Didac, l’assicurazione infortuni, vitto e alloggio. Se la ragazza è maggiorenne, bisogna aggiungere circa 100 franchi al mese di Avs. “In media ogni anno frequentano la nostra scuola una sessantina di ragazze, in genere tra i 16 e i 17 anni”, spiega Edith Menzi, direttrice della scuola Didac di Lugano. “I ragazzi sono in minoranza: solo tre quest’anno, otto nel 2008.” Per essere collocata in una famiglia con neonati, la ragazza alla pari deve avere frequentato il corso di babysitting della Croce Rossa e lavorato nel settore. Informazioni: Scuola Didac, via Vegezzi 4, 6901 Lugano. Telefono 0919225252 www.didac-aupair.ch/allapari Pro Filia, corso Elvezia 35, 6900 Lugano. Telefono 0919228207 www.profilia.ch gd Lo schiaffo diseducativo I bambini sono piccoli uomini e piccole donne e come tali vanno protetti ed educati con rispetto. Un monito rivolto non solo alla famiglia, ma anche agli educatori dei nidi d’infanzia e agli insegnanti che li accudiscono e li accompagnano giorno dopo giorno nella loro crescita. Consapevoli che il compito non è semplice, l’Associazione Ticinese Asili Nido e il Dipartimento della sanità e socialità hanno attivato un corso rivolto proprio ai professionisti dell’infanzia e tenuto dall’Aspi, Fondazione della Svizzera italiana per l’aiuto, il sostegno e la protezione dell’infanzia e dal Delegato per l’aiuto alle vittime di reati di violenza. Scopo della formazione è educare gli operatori a capire se il bambino vive situazioni di disagio e allo stesso tempo di sensibilizzarli sul tema del maltrattamento infantile, evitando nella loro attività atteggiamenti che possano ledere la dignità del minore. “In passato era normale punire un bambino con una sberla, mentre ora si è consapevoli che il minore merita protezione e rispetto alla stregua di un adulto”, sottolinea Myriam Caranzano-Maitre, pediatra e direttrice dell’Aspi, nonché co-responsabile del corso. “Il nodo da risolvere è capire dove inizia il maltrattamento. Lo schiaffo e la sgridata lo sono? Se un bambino riceve una sberla, impara che i problemi si risolvono con atteggiamenti violenti e che vale quindi la legge del più forte. Lo schiaffo fa bene, forse, all’adulto, non al bambino. Il primo deve mettersi nei panni del secondo e chiedersi: E se lo facessero a me? L’empatia e la capacità di ascolto Jorge sono quindi strumenti fondamenJimenez Deredia, ?????????, Pietrasanta. tali da utilizzare nella cura dei bambini.” 11 gd sicurezza Gli effetti perversi del “Pacchetto Sicurezza” (Legge 15 luglio ‘09) Diritti umani rubati agli immigrati... I provvedimenti del governo italiano aumentano l’area degli invisibili Impedite le cure e la scuola per i bambini dei clandestini di Alberto Guariso Q uali sono i diritti caduti sotto i fendenti della politica della sicurezza? E quali effetti hanno prodotto? Sanità. Innanzitutto, la questione dell’accesso ai servizi sanitari, nota come questione dei “medici spia” con la rivolta dei medici contro questo ruolo. Con la previsione del reato di immigrazione clandestina il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio (cioè, in pratica, tutti i medici o infermieri di strutture pubbliche o private e convenzionate) hanno l’obbligo di denunciare qualsiasi reato di cui vengano a conoscenza nell’esercizio delle loro funzioni, anche quello di ingresso e soggiorno clandestino oggi istituito; e se non lo fanno incorrono a loro volta nel reato previsto dagli articoli 361 e 362 del Codice Penale. Quale norma deve dunque prevalere? Il divieto di segnalazione previsto dalla norma speciale del Testo Unico, o il generale obbligo di denuncia? Nessun può dirlo: il che, oltre a creare cervellotici dubbi agli operatori sanitari, creerà giustificate e irrisolvibili ansie agli immigrati, sempre più sospinti, nel dubbio, verso un sistema di sanità “clandestina”. 12 Scuola. Per l’accesso alla scuola e ai servizi sociali nessuna esenzione dall’obbligo di comunicazione è prevista per il preside, l’insegnante, il bidello e persino per l’assistente sociale (tutti pubblici ufficiali o incaricati di pubblico servizio): per loro vale il relativo obbligo di denuncia. Che ne sarà dunque del diritto di accesso alla scuola dell’obbligo che lo stesso Testo Unico garantisce solennemente anche al figlio di genitori irregolari? Do- gd sicurezza ve troverà la mamma irregolare il coraggio di presentarsi a scuola per l’iscrizione del figlio? Il novello legislatore ovviamente, che si distingue non solo per l’acume ma anche per le sue doti di fine tecnico del diritto, ha ovviamente una risposta: “all’articolo 6 comma 2 del Testo Unico abbiamo previsto che non è obbligatorio esibire il permesso di soggiorno per l’accesso alle prestazioni scolastiche”. Già, non è obbligatorio: ma se il preside o l’insegnante viene comunque a conoscenza della clandestinità, che devono fare? Denunciano o non denunciano? E poi l’obbligo di richiedere il permesso resta per l’accesso ai servizi sociali, e per l’assistente sociale – il cui compito sarebbe proprio prendersi in carico quei casi dove condizioni di disagio si accompagnano anche alla irregolarità; e se il permesso di soggiorno non viene esibito, ha l’obbligo di denuncia; e se non denuncia finirà prima o poi sotto processo (o meglio sotto un mini processo, perché la pena prevista per l’omessa denuncia è solo di una ammenda di 500 euro). Dunque se ipotizziamo che 700.000 clan- destini (destinati a finire sotto processo per il reato di clandestinità e a pagare 5.000/10.000 euro) incontreranno almeno una volta nella vita un pubblico ufficiale “non denunciante”, possiamo concludere che il legislatore attuale ha messo in piedi un meccanismo che, se effettivamente applicato, dovrebbe generare 1.400.000 processi “bagatellari” nel giro di pochi mesi (si consideri che il totale del mostruoso arretrato maturato dalla giustizia penale italiana ammonta a “soli” 360.000 processi, che dunque si quadruplicherebbero). …niente nozze ai genitori di figli fantasma... Non si può contrarre il matrimonio se manca il permesso di soggiorno: allora, chi iscriverà il bambino all’anagrafe? Infine la questione che non si può contrarre matrimonio senza il permesso di soggiorno (limitazione gravissima a un diritto fondamentale della persona, che ha ben poco a vedere con il contrasto dei “matrimoni di comodo”) e soprattutto quella dell’iscrizione all’anagrafe, nota come la questione dei “bimbi fantasma”. Il nuovo articolo 6, comma 2, prevede che anche per gli atti inerenti lo stato civile debba essere esibito il permesso di soggiorno. Ora, va in primo luogo ricordato che, in forza del nostro stesso Testo Unico (e di innumerevoli convenzioni internazionali), il minore è sempre inespellibile e, dunque, sempre “regolare”: in altre parole non è mai clandestino e deve essere tutelato dallo Stato che lo ospita, ovunque egli si trovi. segue 13 gd sicurezza …il clandestino reato vivente, non più uomo Anche per questo (ma non solo) è del tutto ovvio che un neonato ha sempre diritto di essere iscritto all’anagrafe, di avere una sua identità, un suo nome e una sua residenza. Ma chi provvederà alla dichiarazione di nascita e alla iscrizione, se il genitore è privo di titolo di soggiorno? L’acuto legislatore ha replicato, nel dibattito parlamentare, che la madre avrà sempre un permesso di soggiorno provvisorio perché la legge prevede appunto che le venga rilasciato in vista della maternità. Ma se invece non l’ha? Perché non l’ha chiesto o perché è appena sbarcata da un gommone? E il padre non coniugato, per il quale la legge non prevede il rilascio del permesso per paternità, come potrà effettuare il riconoscimento? È probabile che nel paese degli azzeccagarbugli una soluzione si troverà. Resta però un interrogativo: e cioè quale beneficio, in termini di “sicurezza” dovrebbe trarre la collettività da norme come queste? Simili riduzioni dei diritti fondamentali della persona migrante hanno davvero una loro contropartita accettabile? Una risposta, data sulla base anche del solo criterio di ragionevolezza, non può che essere negativa. In realtà tutta questa vicenda non fa altro che mettere in luce il vuoto che attraversa la nostra società. Impreparata all’idea che milioni di persone passino in continuazione da un confine all’altro; smarrita, ma non anco14 ra sostituita, l’idea illuminista che i diritti siano i diritti “del cittadino” e dunque nascano e muoiano all’interno dei confini. Non riusciamo a ipotizzare quale contenuto minimo deve avere il “fagotto” che ciascun uomo porta con sé, in quanto uomo, quando attraversa un confine, sia che lo attraversi chiedendo “permesso”, sia che lo attraversi da irregolare. A dire il vero il legislatore del 1998 una risposta, semplice e chiara, l’aveva data, affermando che i diritti fondamentali della persona spettano allo straniero comunque presente sul territorio nazionale ma – come ben si vede dalle vicende di questi mesi – lo smantellamento implicito di tale precetto (formalmente ancora vigente) è stato tanto più facile in quanto manca un minimo di consenso su quale sia il contenuto di questa garanzia: la scuola? La sanità? L’identità personale? Forse alcune prestazioni sociali minime? Questo sarebbe un percorso sul quale impegnare tutte le forze politiche e sociali per elaborare un pensiero comune e superare le fratture sociali. inchiesta gd Il profumo degli affari guida il volo delle lucciole di Guido Boriani V entinove marzo 2009, un cliente attende che la merce arrivi a destinazione su una spiaggia Siciliana. Il tempo non è dei migliori, il mare è grosso. Le barche del trasporto non ce la fanno e la merce finisce in mare. Il cliente, al telefono, si lamenta con chi ha organizzato il viaggio. Chi lo ripagherà della merce perduta? L’organizzatore declina ogni responsabilità: in mare sono cose che succedono. Ogni affare ha il suo rischio. La merce erano trenta ragazze nigeriane destinate alla prostituzione, comprate probabilmente all’origine del viaggio. Nel disastro va perduta altra merce: 600 persone circa. La maggior parte delle ragazze che battono le strade di Lombardia arrivano dalla Nigeria. Vengono comprate direttamente nel loro paese e per arrivare qui compiono un viaggio lungo e rischioso attraversando tutto il Nord Africa, compreso il deserto Libico pattugliato durante il giorno da piccoli aerei monoposto e disseminato dei relitti degli autobus di chi non ce l’ha fatta. Sono la nuova merce di contrabbando. Quelle che le hanno precedute, le loro sorelle provenienti dall’Est Europa, allora ancora clandestine, hanno subito un calvario simile al loro. A ogni passaggio di confine sono state vendute, comprate e trattenute per vendere il loro corpo e ripagare il tragitto appena fatto e poi di nuovo in viaggio (vedi Geniodonna n°1). La donna è una merce comoda, ambita e ad alta redditività, il problema se mai è che ha una sua volontà ma basta piegarla con la violenza e con il terrore. Questo era il modus operandi delle mafie dell’Est. Le organizzazioni criminali nigeriane invece fanno leva sulla paura che si fonda sull’ignoranza. Minacciano le ragazze con il voodoo e hanno giosegue 15 gd inchiesta L’evoluzione del trafficking: dalla violenza alla dimensione “pulita” del commercio. Per le donne nigeriane il peso della superstizione e le minacce delle “madames” co facile perché le loro vittime provengono da regioni contadine in cui sono ancora prevalenti religioni animiste e cultura dei riti magici. Se questo non bastasse ci sono sempre le minacce di ritorsione contro i parenti in patria. Le “madames” che hanno trattato l’affare e che hanno in custodia le ragazze provvedono a rammentare loro l’una e l’altra possibilità. P er le rumene le cose sono cambiate. Arrivano in Italia come cittadine europee e questo significa che il viaggio non presenta problemi legali, quindi costa meno; la criminalità sul territorio di destinazione ha già consolidato un “mercato”, e organizzato le infrastrutture necessarie: ora si possono lasciare le strade, affittare uno o più appartamenti, rendere cioè la prostituzione “meno visibile”, commercializzare il prodotto attraverso annunci, siti internet. Anche il rapporto sfruttatoresfruttata è molto più simile a un normale contratto di lavoro; le 16 ragazze arrivano anche di loro spontanea volontà, sperando in facili e rapidi guadagni per potere fare una vita migliore al loro ritorno in patria. A volte riescono persino a mettersi in proprio lasciando i protettori e magari attraversando il confine svizzero dove la prostituzione è legale. È un business, pur sempre illegale ma reso discreto, pulito, persino accettabile: “in fondo, il mestiere più vecchio del mondo”. Ci si dimentica però la striscia di san- gue che ha accompagnato “questo sviluppo del mercato” e che accompagna ancora le nuove schiave nigeriane. Ci si dimentica che è ancora il bisogno la molla di tutto ciò. Senza il bisogno, ci sarebbe qualcuno che farebbe “il mestiere” volontariamente? E, i supposti facili guadagni, non hanno un prezzo troppo alto, non lasciano forse un segno indelebile? Non vogliamo dare giudizi o risposte. Come sempre, meglio dar voce alle donne. inchiesta gd Professione escort: eros in libertà vigilata Parla Angela che si è trasferita a Lugano dove esercita sentendosi sicura anche perché la prostituzione è una attività legale su cui si pagano tasse e affitti salati di Katia Trinca Colonel I l Canton Ticino è una terra silenziosa. Prendi Chiasso, per esempio, nomen non fa per niente omen, il nome non fa la cosa. Se passeggi per le sue strade il sabato mattina ti trovi immerso in una quiete educata e ordinata. Lungo via Gottardo, arteria centrale di questa città, porta d’ingresso della Svizzera, cogli sussurri appena percettibili e qualche tenue risata dai bar. Neppure il mercato all’aperto riesce a essere ciarliero e vociante. È qui, in questi quartieri (che di certo non puoi definire periferia) che lavorano le prostitute. Utilizzano appartamenti per cui sborsano affitti da un minimo di 1000 franchi al mese (circa 650 euro). Giusto due stanze. Mettono on line il loro numero di telefono oppure si servono di annunci sui giornali. Un servizio che si paga caro. Se i quotidiani chiedono dai 150 ai 400 franchi ad annuncio, qualche sito web “più onesto”, applica tariffe inferiori che vanno dai 20 ai 60 franchi, con i primi 6 mesi gratuiti. I palazzi dove esercitano le prostitute non sono nei quartieri a luci rosse, sono negli stessi luoghi dove sorgono le scuole, i bar, le case degli operai, degli impiegati, degli avvocati. La prostituzione, in Svizzera, è un’attività legale. Ma, attenzione, solo se non dà fastidio. Solo se si rispettano le regole del decoro. La facciata deve essere pulita, silenziosa. Ci sono decine di locali (discreti) dove giovanissime donne (dell’Est e del Sud America soprattutto) si offrono nei “privé” a clienti per la maggior parte italiani. Ci sono centinaia di appartamenti, concentrati nel triangolo Chiasso-LuganoCampione d’Italia. E l’affare effettivo e sostanzioso, a tutt’oggi, è appannaggio dei proprietari che arrivano a chiedere fino a 150 franchi al giorno d’affitto. Si tratta di una gigantesca attività economica. ANGELA Per capire come vive una prostituta in Ticino mi faccio aiutare da Angela (un nome inventato e che spero possa portarle fortuna). La incontro in un caffè. Le dico che non scrivo per una rivista scandalistica né per una “glamour”. Fa un sorriso amaro e mi dice che di glamour nella sua vita, in questo momento, c’è ben poco. Mi piace subito Angela, ha una parlata schietta e un fare cordiale. Mi dice di avere 45 anni. Qualche leggera ruga e la stanchezza intorno agli occhi, ma quando sorride il volto si illumina come quello di una ragazzina. Sono andata sul sito che pubblica il suo annuncio: c’è scritto che ha 40 anni. Le altre ragazze sono molto più giovani, 23-25 anni. Ho osservato attentamente l’immagine che la “pubblicizza” e ora che ho Angela di fronte mi sforzo di “verificarne” la corrispondenza. segue 17 gd inchiesta Sei proprio tu la donna ritratta nel sito – le dico – lo capisco dalle mani, sono bellissime. Ride e si schermisce per il mio complimento. Sì ho voluto posare io stessa per le foto. Alcuni clienti s’infuriano se scoprono, al momento dell’incontro, che la ragazza non corrisponde a quella dell’immagine. Ma le altre ragazze? La maggior parte delle foto sono false o ritoccate. Io preferisco così. Angela, da quanto tempo vivi in Ticino? Sono qui da un anno. In Italia non si può esercitare senza un protettore. E io ero stanca di nascondermi dalla polizia o dalle persone che potevano riconoscermi. La cosa che più mi atterrisce non è rischiare la vita per un cliente violento o non guadagnare abbastanza o ammalarsi. Il mio terrore è che mio figlio 18 di 13 anni possa scoprire che mi prostituisco. Angela, quanti anni avevi quando hai cominciato a prostituirti? Avevo 24 anni. Vengo da una famiglia difficile, mio padre era un alcolista, mia madre era succube della sua violenza. A 18 anni me ne sono andata di casa. Ho fatto qualche lavoro saltuario e poi sono finita a Milano nel mondo della moda. Ho conosciuto un uomo molto più anziano. Mi ha offerto una cena, mi ha fatto dei regali. Mi dava soldi per stare con lui. Ho cominciato così. E non hai mai smesso? Sì. Ci sono stati dei periodi abbastanza sereni. Quando stavo con l’uomo con cui ho avuto mio figlio. Poi però è finita, e lui non ha voluto saperne del bambino. Come fai a tenere nascosta la verità a tuo figlio? Sta con la nonna che è l’unica a sapere della mia doppia vita. è una persona meravigliosa che mi ha fatto anche da madre. Qualche tempo fa ho provato a parlare a mio figlio, ero sul punto di confessare. Gli ho chiesto: “Tesoro, ma se mamma tua dovesse prostituirsi per sopravvivere, cosa penseresti”? Lui ha detto che non lo accetterebbe mai, e che io non ero quel tipo di donna. Non ce l’ho fatta. Possibile che tu non abbia mai pensato a un’alternativa? Sono stata stupida. Ho guadagnato molti soldi e li ho bruciati. Altrimenti adesso non sarei qui. Sei venuta in Ticino per sfuggire a qualcuno? No, ma qui si lavora in sicurezza e soprattutto non rischio di incontrare persone che possano riconoscermi. Guadagni? In questo momento poco, purtroppo. La crisi si sente anche per chi fa questo mestiere. E poi devo pagare le tasse e l’affitto. Diciamo, in media, quando va bene, 3.500 franchi lordi al mese (2.300 euro circa), su cui devo pagare tasse e cassa malattia. Quanto si prende lo Stato? Circa 600 franchi (400 euro), ma il problema è che quando non guadagni li devi versare lo stesso. Come ti tuteli dalle persone pericolose? Dalla finestra del mio appartamento osservo chi sta per salire da me. Se non mi convince non apro la porta. Mi stai dicendo che ti basta uno sguardo dalla finestra per individuare un tipo pericoloso? Sì. Se invece sono io a raggiungere il cliente, poco prima di entrare in casa fingo di telefonare a un’amica dicendole dove sono. Lascio l’indirizzo inchiesta alla mia compagna di stanza. Ci proteggiamo così. Qui in Svizzera non mi è mai successo nulla. In Italia sì? Sì. Anche la polizia è violenta, ti umilia. Una volta mi hanno arrestato e un poliziotto mi urlava: “Tu puttana, guadagni tre volte il mio stipendio, che cosa pretendi?” Ma qualche volta ti sarà capitato di avere paura di un cliente. Una volta uno mi ha puntato una pistola e si è fatto dare i soldi. Ma ripeto, è accaduto solo in Italia. Qualche cliente in casa ti ha mai picchiata o minacciata? In genere, se alzi anche tu la voce e ti mostri sicura, abbassano i toni. Mi fai un identikit dei clienti che ricevi? La maggior parte sono uomini sposati, insoddisfatti delle mogli. Mi sembra il solito cliché. No. Ti assicuro che è così. Sono uomini anche molto benestanti che si lamentano delle mogli troppo assenti per il lavoro o non abbastanza disponibili a letto. Gli altri? Ragazzi anche molto giovani, spesso uomini che vogliono solo parlare. Ti pagano per una “seduta” dalla psicologa? (Ride). Qualche giorno fa un cliente mi ha fatto andare in capo alla città solo per piangere sulla mia spalla perché la donna l’aveva mollato. Nel sito internet è scritto “arte del concedersi”, “progetti culturali e artistici”... Ti leggo alcuni passaggi: “Pagare per l’arte di una donna è dimostrare al musicista che si apprezza la musica, è contribuire alla realizzazione di uno spettacolo”. Non ti pare una presa in giro? Sì, è vero. Ma è inutile nascondersi dietro un dito, parlare di escort, accompagnatrici. Noi siamo prostitute e basta. Penso che sia un lavoro come un altro. gd Del resto, non ci sono anche studentesse brave ragazze che si offrono in webcam per pagarsi gli studi? Forse non è peggio così, che dichiarare apertamente il mestiere che si fa? Cosa fai quando provi repulsione per un cliente? Sono un contenitore vuoto. Chiudo gli occhi, vedo tutto nero. Stacco la mente dal mio corpo. Non lascia ferite una vita come la tua? Certo che ne lascia. Ma è la mia vita, ormai so fare solo questo. Ci sono dei giorni però che mi alzo dal letto e vorrei spaccare tutto quello che ho intorno. Alle giovani che iniziano, che cosa dici? “Cerco di dissuaderle, ovvio. Ma sono molto determinate. I soldi facili fanno gola. Poi ci sono quelle che arrivano persino a portarsi la figlia dal paese d’origine per avviarla alla prostituzione. Questa è una cosa terribile. Hai amiche? Le amicizie nascono solo tra noi prostitute. La gente ti addita, sempre. Però qui in Svizzera c’è più rispetto. Come trascorri le giornate libere? Mi piace andare al cinema, leggere, fare shopping. Vorrei comprarmi qualche vestito carino, ma in questo momento devo economizzare al massimo. Quali libri leggi? Mi piacciono Maria Venturi e Dacia Maraini. E per il tuo futuro? Non pensi mai all’amore? Che mio figlio sia felice. Conta solo questo, per me. Spero di essere in salute fino a mettere da parte i soldi per tornare al paese in cui sono nata e stare finalmente vicino a mio figlio. Una prostituta non si può innamorare, non può più amare un uomo profondamente. So che risulta cinico, ma io la penso così. L’ho verificato anche tra le amiche. Quando ti prostituisci entri in una spirale da cui è difficile uscire, soprattutto a livello psicologico. L’uomo che hai davanti, per quanto ti possa volere bene, lo vedi sempre come un cliente o l’allegoria di un cliente. 19 inchiesta gd d g Ricucire la vita nell’affetto del gruppo... La fuga dallo sfruttamento e dai maltrattamenti verso un futuro di indipendenza di K. T. Col. R itrovare una vita. Assaporare il sollievo e la gioia di sentirsi donne libere dopo mesi, anni di sfruttamento e maltrattamenti. Alla Casa di Orientamento Femminile (Cof) che sorge a pochi chilometri da Como, negli ultimi dieci anni, 250 donne in difficoltà hanno trovato rifugio e accoglienza. Segnalate dai servizi sociali e dalle forze dell’ordine perché in situazioni di forte disagio o pericolo, in tante hanno trovato qui protezione e accoglienza come in una vera e propria famiglia. Voluta cinquant’anni fa da Adele Bonolis, donna dalla volontà di ferro e dall’incredibile lungimiranza che ebbe a cuore il destino delle prostitute allo sbando dopo la legge Merlin, il centro non ha mai cessato di portare avanti la filosofia della fondatrice: accordare a donne umiliate fiducia, attenzione e affetto, così da consentire loro di ritrovare, in autonomia e libertà, dignità e speranza. La Casa è un’antica villa ristrutturata circondata da un bel giardino. Vi si respira un’aria familiare e serena. “Passo qui la maggior parte del mio tempo, sabato e domeniche incluse – racconta la direttrice Marisa Russo - è una mia scelta di vita. Se una delle ospiti ha bisogno di me io devo essere a sua disposizione. Qui arrivano casi disperati. Donne abusate, minorenni allontanate dalla famiglia perché vittime di maltrattamenti, prostitute che desi- La Cof (Casa di orientamento femminile) È una libera associazione nata nel 1949 per accogliere le ex prostitute dopo l’approvazione della Legge Merlin. La fondatrice, dottoressa Adele Bonolis, acquistò, nel 1959, il complesso edilizio in provincia di Como e da allora la Cof non ha mai cessato la sua attività, insieme con altre tre strutture analoghe sorte in Lombardia. Oggi la Cof ospita fino a trentacinque donne, ha stanze singole, una cucina, un asilo nido, locali per attività e letture. Il funzionamento è garantito da aiuti economici spontanei che integrano le risorse pubbliche. Chi volesse contribuire con donazioni può chiamare lo 02.86.03.40. 20 derano cambiare vita. Nei primi anni del 2000 – ricorda – l’emergenza erano le giovani donne dei paesi dell’Est messe sulla strada contro la loro volontà. C’erano giorni in cui ricevevo decine di richieste.” La cosa fondamentale è stabilire un rapporto di fiducia: “Non importa se la ragazza racconta bugie – puntualizza la direttrice – è normale, all’inizio. Poi, piano piano, le ospiti si aprono, raccontano. La relazione si sviluppa da un assioma dal quale non prescindiamo, il rispetto assoluto e totale della libertà della persona.” A supportare l’accoglienza al Cof, c’è un’equipe di educatori e psicologi oltre a numerosi volontari. Superata la fase di emergenza, alle donne viene proposta un’attività lavorativa o un corso professionale. “Il lavoro è fondamentale – sottolinea Marisa Russo – permette alle donne di riacquistare fiducia in se stesse e di rendersi indipendenti supportando, nel caso delle migranti, le famiglie che vivono nei Paesi d’origine. Il recupero delle ex prostitute si fonda sulla volontà di abbandonare la strada. Più difficile è il cammino per le vittime di violenze domestiche. La relazione con la famiglia, in certi casi, è recisa del tutto e quindi per queste madri o figlie si tratta di rimettere assieme i cocci della propria vita nella più completa solitudine.” inchiesta P er me il Centro di accoglienza di Montano Lucino non è mai stato una semplice comunità. Pur vivendo sola in un appartamento in affitto, io considero ancora oggi il Cof la mia vera casa.” Per Anna, albanese, i primi anni in Italia sono stati un inferno. Per lei, arrivare qua alla Cof, ha significato aver salva la vita. Anna, come sei arrivata alla Casa? Fu dieci anni fa. Ero disperata. Due anni prima ero arrivata dall’Albania con il mio ragazzo. Ma lui mi ha tradita e costretta a prostituirmi minacciando di uccidere me e i miei genitori. Sono stata picchiata e violentata. Poi un giorno ho detto basta, mi sono fatta coraggio e ho denunciato i miei aguzzini. Per proteggermi mi hanno portato qui al Cof. E qui sono rinata. gd gd ...un rifugio per essere felice Oggi ho un lavoro, sono circondata da persone che mi stimano per quello che sono, un piccolo appartamento in affitto. Ho un bambino che mi dà una grande gioia e spero presto di trovare la persona giusta da sposare. Ma è la Cof il mio punto di riferimento costante. Il ruolo che svolgono gli operatori per me, ora, è quello dei nonni in qualsiasi normale famiglia. Accudiscono mio figlio quando è malato, lo vanno a prendere all’asilo quando devo lavorare, lo accompagnano ai giardinetti, vengono i sabati e le domeniche a pranzo. Senti nostalgia per l’Albania? Torno una volta l’anno a trovare i miei genitori, ma non mi sento a mio agio. In Albania, specialmente nei piccoli paesi, la donna è ancora una schiava che deve stare in casa. Non potrei più fare a meno della mia libertà, del lavoro, delle possibilità che offre l’Italia. Amo questo paese perché mi ha aiutato a rinascere. E forse si riesce pure ad essere un po’ fieri del nostro Paese. Che cos’è stato fondamentale per cambiare la tua vita? Il primo anno è stato difficile. Una volta sono anche scappata, temevo per la mia famiglia, dovevo assicurarmi che stessero bene. Ma quando sono tornata mi hanno accolto come se non fosse accaduto nulla. Hanno capito, e io, a mia volta, mi sono convinta che potevo fidarmi, potevo essere certa che qui avrei sempre trovato la porta aperta e persone disposte ad ascoltarmi. La cosa fondamentale è partire da se stesse, dire “basta, d’ora in poi sarà tutto diverso”. Grazie all’affetto che ho trovato qui mi sono sentita per quello che sono ora, una donna che può ancora crescere, trovare la felicità. Perché dici che ancora oggi questa è la tua casa? Non desideri essere autonoma creare una famiglia tua? 21 attualità Cinque donne premiate e il futuro fa meno paura Elinor Ostrom premiata per lo studio dei sistemi di gestione delle risorse pubbliche da parte degli utenti, Elisabeth Blackburn, Carol Greider e Ada Yonath per la medicina e la chimica, Herta Müller per la letteratura di Manuela Moretti I l 2009 si chiude con ben cinque Nobel riservati all’ingegno femminile: dopo Elizabeth H. Blackburn e Carol W. Greider per la medicina, Ada Yonath per la chimica e Herta Müller per la letteratura, Elinor Ostrom è la prima donna a ricevere il prestigioso premio per l’economia. Si tratta di riconoscimenti senza precedenti, poiché fino a oggi erano stati assegnati alle donne al massimo tre Nobel contemporaneamente: era successo nel 2004, quando ricevettero il Nobel Linda B. Buck per la medicina, Elfreide Jelinek per la letteratura e Wangari Maathai per la pace. Quest’anno a scardinare completamente il modello dei Nobel è stata Elinor Ostrom, 76 anni, prima donna a ricevere il Nobel per l’economia senza essere nemmeno un’economista: la vincitrice è infatti una politologa, premiata insieme a Oliver Williamson per l’analisi della economics governance, ovvero il complesso di regole con cui si esercita l’autorità in aziende e sistemi istituzionali. La Ostrom è docente di Scienze Politiche e co-direttore del Workshop in “Teoria politica e analisi politica” all’Università dell’Indiana ed è fondatrice e direttrice del Center for the Study of Institutional Diversity all’Università Statale dell’Arizona. Esperta in cause collettive, trust e beni comuni, il suo approccio istituzionale alla politica pubblica è considerato originale, tanto da formare una branca separata della teoria della scelta pubblica. Elinor Ostrom è infatti considerata una delle massime autorità nello studio delle risorse comuni, ovvero quei beni utilizzati da più individui il cui consumo da parte di un attore riduce le possibilità di fruizione da parte degli altri. Lo sfruttamento indiscriminato di beni comuni come per esempio acqua, pesce e idrocarburi, pone sfide sempre più difficili all’umanità. Alla studiosa è stato riconosciuto da un lato il merito di aver analizzato i diversi sistemi di utilizzo delle risorse naturali che, nel corso della storia, hanno permesso di scongiurare un collasso dell’ecosistema, dall’altro di aver dimostrato come queste risorse possano essere gestite in maniera efficiente da soggetti diversi dallo Stato e dalle forze del libero mercato. Il Nobel della Ostrom unisce dunque economia, sviluppo ed ecologia, assegnato, come si legge nella motivazione “per aver dimostrato come la proprietà pubblica possa essere gestita dalle associazioni di utenti”. “Sono ancora un po’ scossa, è un grande onore, non me lo aspettavo” è la prima reazione della Ostrom, che spiega con queste parole l’importanza delle sue ricerche. “Ciò che noi abbiamo a lungo ignorato sono le reali potenzialità dei cittadini e il loro coinvolgimento nelle attività economiche, concentrando l’attenzio- gd gd attualità ne solo su chi a Washington si occupava delle regole” e “farò di tutto per non essere l’ultima donna a vincere questo premio”, aggiunge fiduciosa. “Ricordo ancora quando tutti mi sconsigliavano di iscrivermi all’università per il dottorato, ma la mia passione per gli studi mi ha fatto andare avanti e oggi eccomi qui.” Si tratta di un segnale positivo che, ci auguriamo, possa segnare l’inizio di nuovi riconoscimenti alle donne in campo economico e scientifico. Quest’anno sono state anche Elizabeth Blackburn e Carol W. Greider a segnare il primo record nella settimana dei Nobel: insieme al collega Jack W. Szostok, le due scienziate americane, legate da un rapporto maestra-allieva, hanno compiuto ricerche innovative sulla longevità delle cellule, ponendo le basi per la ricerca su molte malattie, dove l’invecchiamento cellulare gioca un ruolo di primaria importanza, aggiudicandosi così il premio per la medicina. Il giorno successivo a ricevere il Nobel per la chimica è l’israeliana Ada Yonath, direttrice del Centro per la struttura bimolecolare dell’Istituto Scientifico Weizmann di Rehovot, assegnatole grazie alla mappatura dei ribosomi, parti fondamentali delle cellule che servono per costruire le proteine e possono essere impiegati per la produzione di antibiotici. Il Nobel per la letteratura ha visto poi come protagonista Herta Müller, scrittrice tedesca nata in Romania autrice di libri sulle condizioni di vita rumene durante la dittatura di Nicolae Ceausescu. Il premio è stato assegnato alla scrittrice “per aver rappresentato il mondo dei diseredati con la densità della poesia e la nitidezza della prosa”. Elisabeth H. Blackburn Carol W. Greider Ada Yonath Herta Müller L’ultima edizione del prestigioso Premio Nobel si è tinta di rosa. A essere incoronate sono state cinque donne impegnate nella medicina, nella chimica, nell’economia e nella letteratura. Un risultato senza precedenti. Nelle passate edizioni il maggior numero di donne premiate si era fermato a tre e mai nessuna era riuscita ad aggiudicarsi l’alto riconoscimento riservato all’economia. A interrompere questa sequenza maschile ci ha pensato la Ostrom. Elinor Ostrom 23 gd la coppia Diamo maggior peso alla paternità Un quaderno dell’associazione ticinese Dialogare-Incontri per promuovere le pari opportunità in chiave maschile sulla conciliabilità di lavoro e famiglia di A. Sic. L e pari opportunità passano dall’uomo. La sua maggiore presenza in famiglia, dai lavori domestici alla cura dei figli, è fondamentale per risolvere l’annoso problema della conciliabilità tra casa e professione. A questo tema si è dedicata l’associazione ticinese Dialogare-Incontri di Massagno, con la recente pubblicazione Uomo Lavoro Paternità. La promozione delle pari opportunità in una prospettiva maschile e il ciclo di seminari Conciliare lavoro e famiglia sono stati rivolti alle aziende*. Per saperne di più, abbiamo interpellato la consulente di Dialogare-Incontri, Lorenza Hofmann Nella Svizzera italiana in più di un terzo delle famiglie l’uomo lavora a tempo pieno e la donna si occupa della casa. Un modello ancora difficile da abbattere? Sì, il modello tradizionale è ancora molto diffuso. Qualcosa sta però cambiando: la donna tende a non mollare il lavoro o a tornarci il più presto possibile dopo la maternità. Fra le coppie svizzere con figli troviamo principalmente tre modelli: nel 45% delle coppie con figli con meno di sei anni, l’uomo lavora a tempo pieno e la donna a tempo parziale; 24 la coppia nel 37% la donna ha scelto la famiglia; nell’8% entrambi sono occupati a tempo pieno. Di questa realtà in mutamento, di queste donne e di questi uomini che camminano verso altri modelli di vita e di lavoro, parlano i quaderni di Dialogare: Donna Lavoro Maternità, (2007), Uomo Lavoro Paternità, (ottobre 2009). Ma gli uomini sono realmente disposti a lavorare meno, quindi a ridurre stipendio e pensioni, per occuparsi di più della casa e dei figli? Un’inchiesta federale dice che il 15% degli uomini dai 25 ai 45 anni occupati a tempo pieno in Ticino aspirerebbe a lavorare meno. Per occuparsi della famiglia? Sarebbe un bel cambiamento culturale. Il contesto di vita e di lavoro favorirà questo cambiamento oppure lo ostacolerà? Non basterà la volontà del singolo, saranno necessarie condizioni quadro nella società e nel mondo del lavoro. per la nascita dei figli e non hanno diritto al congedo paternità. Non è questa una discriminazione? Non esiste ancora una base legale per un congedo paternità simile a quello di maternità. Importanti aziende svizzere, che operano anche in Ticino, lo prevedono a livello contrattuale: da 2 a 5 giorni fino a 20 giorni, con diverso trattamento retributivo. Anche il congedo maternità, in molti settori, è stato dapprima sviluppato attraverso la contrattazione; solo da pochi anni c’è una base legale federale per 14 settimane di congedo indennizzato all’80% del salario. gd Per intervenire in questa situazione Dialogare promuove il suo progetto di informazione e di formazione che punta sulla concretezza: i seminari, con esempi di buone prassi e confronto con le aspettative dei singoli; il libro, con una pluralità di informazioni, opinioni e testimonianze ticinesi, svizzere e italiane. * Per ordinare il volume (costo: fr. 25.-) e conoscere date e dettagli dei seminari, contattare l’Associazione Dialogare-Incontri, via Foletti 23, 6900 Massagno, telefono +41 91 9676151, oppure visitare il sito www.dialogare.ch. Le aziende utilizzano poco forme di lavoro “pro conciliabilità”, come il tempo parziale, il job sharing o il telelavoro. Cosa le frena? Nel mondo del lavoro il modello dominante è l’impiego a tempo pieno di durata indeterminata, nonostante il diffondersi di forme di lavoro flessibili. Il ciclo di seminari Conciliare lavoro e famiglia fa incontrare aziende e persone con lo scopo di esplorare nuove opportunità. Un’analisi presso grandi aziende conferma che offrire tali condizioni di lavoro crea un beneficio pari all’otto per cento dell’investimento effettuato. I padri possono assentarsi dal lavoro per uno o due giorni 25 gd progressi Le aziende frenano sulla parità retributiva Ticino: da dodici anni il Consultorio Giuridico Donna e Lavoro della Faft aiuta le donne a difendersi contro le discriminazioni sul posto di lavoro di A. Sic. A tredici anni dall’entrata in vigore della legge sulla parità dei sessi, di passi avanti se ne sono fatti parecchi. Le centinaia di sentenze pronunciate dai tribunali svizzeri contro le discriminazioni sessuali e salariali, le campagne di sensibilizzazione e la nascita dei consultori su tutto il territorio nazionale hanno diffuso tra le donne la consapevolezza del proprio valore, pari e non inferiore all’uomo. A esserne meno consapevoli sono però ancora le aziende. “Le donne continuano a guadagnare meno degli uomini”, afferma l’avvocata Raffaella Martinelli del Consultorio Giuridico Donna e Lavoro della Federazione associazioni femminili Ticino (Faft) di Massagno. “Nel settore privato il 19 per cento, nel settore pubblico tra il 12 e il 18 per cento: 40 per cento di questa differenza non è giustificata da fattori oggettivi ed è considerata discriminazione salariale.” Piccolo ma significativo osservatorio sul mondo del lavoro – nato nel 1997 e sostenuto finanziariamente soprattutto dall’Ufficio federale per l’uguaglianza – il Consultorio Giuridico conferma i problemi reali delle donne. “La maggioranza delle nostre utenti ha tra i 30 e i 50 anni”, continua Martinelli. “Per le donne con figli è molto sentito il problema della conciliabilità fa26 cenziamento abusivo o in tempo inopportuno, i diritti durante la gravidanza, il congedo maternità, la conciliabilità tra famiglia e lavoro, assenza dal lavoro per malattia e mobbing. Come si svolge la consulenza? “Analizziamo il caso dal profilo giuridico, valutiamo quali sono le pretese che si possono far valere mediante trattative con il datore di lavoro o per via giudiziaria. Aiutiamo le utenti a scrivere le lettere o contattiamo direttamente il datore di lavoro, le accompagniamo all’Ufficio di Conciliazione per la Parità.” Info: Consultorio Giuridico Donna e Lavoro, via Foletti 23, 6900 Massagno. Telefono 0041 (0)91 9500088, dalle 9 alle 12 (nelle altre fasce orarie si può lasciare un messaggio). Sito web: www.faft.ch/consultorio. Consulenti: Raffaella Martinelli, Peter e Micaela Antonini Luvini. Costo: 30 franchi per una consulenza, poi 20-60 franchi all’ora in base al reddito. Raffaella Martinelli. miglia-lavoro. Per le donne tra i 50 e i 65 anni, o quelle sole si hanno situazioni difficili, in particolare quando sono licenziate, subiscono mobbing o faticano a trovare un lavoro.” Nell’arco di 12 anni sempre più persone hanno chiesto un aiuto al consultorio: 450 nel 2008, più del doppio rispetto al 2005. La consulenza è fornita solamente alle donne su questioni che riguardano il diritto del lavoro e le discriminazioni professionali e salariali”, puntualizza l’avvocata Martinelli. “Per gli uomini, invece, è prevista solo una consulenza in ambito di conciliabilità famiglia-lavoro.” Le domande più ricorrenti poste dalle utenti riguardano il li- Le norme di parità La Costituzione federale stabilisce che uomo e donna hanno diritto a un salario uguale per un lavoro di uguale valore e lo ribadisce la legge federale sulla parità dei sessi del 1996. Il divieto di discriminazione riguarda l’assunzione, l’attribuzione di compiti, le condizioni di lavoro, la retribuzione, la formazione, il perfezionamento professionale, la promozione e il licenziamento. Se non si riesce a trovare un accordo con il datore di lavoro, si può chiedere l’intervento gratuito dell’Ufficio di Conciliazione. Dal 1997 a metà 2009 in Ticino lo hanno fatto 55 persone, attive soprattutto nel settore pubblico: solo 9 hanno trovato un accordo con la propria azienda. La discriminazione riguardava per lo più il salario (28 casi), l’impedimento di carriera (6), le molestie sessuali (4) e il mobbing (3). Se non si arriva a un’intesa con l’azienda, si può far ricorso al giudice civile o all’autorità amministrativa. La procedura è gratuita. I dipendenti sono protetti contro il licenziamento durante tutta la procedura e nei sei mesi successivi. idee&parole gd gd Quello che le donne scrivono, hanno scritto, pensato, disegnato, dipinto, scolpito, messo in musica. idee&parole Le storie intorno al camino di Pietro Berra A ccanto alla letteratura ufficiale, ce n’è sempre stata una domestica. Quella dei racconti attorno al camino, delle favole della buonanotte o delle storie di paura per tener buoni i bambini mentre si “sfogliava il carlon” (cioè si puliva il granoturco). L’inverno, quando fa freddo e si sta più volentieri chiusi in casa, è sempre stata la stagione favorita per questo genere letterario. E la letteratura domestica, a differenza di quella ufficiale dominata per secoli dagli uomini, o meglio dai maschi, ha tradizionalmente visto prevalere le voci femminili. Spesso anonime per il mondo, ma insostituibili, e indimenticabili, per chi quelle storie le ha sentite raccontare. Oggi non avremmo un Davide Van De Sfroos, se lui non avesse avuto una zia che era una narrastorie formidabile. Riallacciandoci a questa tradizione, e a questa capacità delle donne di inventare racconti in grado di parlare sia ai grandi sia ai piccoli, abbiamo pensato di inaugurare sul numero natalizio di Geniodonna una storia illustrata a puntate, Il filo di Cloe di Nicoletta Bortolotti, scrittrice che hai nei suoi figli i primi fondamentali lettori. ecuperando e aggiornando il genere della graphic novel, ci propone temi attuali e scottanti come la disoccupazione, visti attraverso gli occhi di una bambina. In generale, tutte le pagine della sezione Idee & parole le troverete più che mai “di lettura”: come le storielle degli elettrici personaggi scritte e disegnate da Jerry Kramsky. Sfogliatele dunque intorno al camino, se lo avete. E in compagnia di chi vi è caro. R Femme Maison, 1994 White Marble - Collezione privata Louise Bourgeois (ph.: Christopher Burke). 27 gd idee&parole Esistono le ombre che si muovono da sole? di Jerry Kramsky H o un amico più piccolo che si chiama Nicchio, detto Nicc, con due cc per non rimpicciolirlo troppo. Questa estate, tutto a un tratto, non s’è fatto più vedere. A casa sua nessuno rispondeva. Saranno partiti per le vacanze, mi sono detto. Ma l’estate è finita e tutti sono ritornati in città, tranne Nicc e la sua famiglia. Poi, un pomeriggio, ecco che mi telefona: – Ciao Jerry, sono a Sghimberlate, è qui che abito adesso. – Perché non hai detto che te ne andavi? – gli chiedo– Cos’è ‘sta Sghimberlate? - La città più avventurosa del mondo: senti cosa m’è successo…. E mi racconta d’un fiato una storia misteriosa. Cominciava in un Parco, dove circola una banda di ragazzini che si fa chiamare l’Orda Aborigena, che lo ha obbligato a superare tre prove di coraggio. Poi si mette a parlare di una stanza nel suo appartamento, appartenuta al temibile Dottor Repente Valpurgis. In quella stanza vivono delle Ombre che non sono troppo amichevoli. Si muovono da sole, prendono vita e si staccano dagli oggetti. Ma non è finita, perché in un angolo c’è una cassapanca dove…. uello che mi ha raccontato dopo è talmente assurdo che non so se crederci del tutto. E’ anche un po’ spaventoso. Nicchio mi ha assicurato di aver incontrato tanti mostri, a volte buffi a volte terribili, in compagnia di una esploratrice fantasma. – Non può essere vero – gli ho detto dopo averci pensato un po’. A Nicc piacciono i libri orripilanti, tipo Croton il Mutante, li legge e li corregge, cambiando le storie come vuole. Si sarà immaginato tutto. – Macché, ho le prove – ha affermato lui– te le mando via mail. Mi ha spedito un mucchio di foto, ma sono riuscito ad aprirne solo qualcuna. Le immagini Q 28 sono come scarabocchiate. Nicchio dice che è perché sono molto antiche e forse arrivano da un Altro Mondo. Le ho appiccicate a queste pagine. Cosa dite, potrebbero essere vere? A me hanno fatto venire in mente delle filastrocche. Fra parentesi, ho controllato su tutti gli atlanti e le cartine, ma non sono riuscito a rintracciare Sghimberlate. Mah! LA TAZZINA INDIAVOLATA Le Ombre Malvagie si danno da fare, con loro ogni cosa può a un tratto cambiare. E così il caffè, sul tavolo in cucina, al mattino aspetta la zia Orsolina Niente corn-flakes nel latte, né the né marmellata: quest’oggi a colazione la tazzina è indiavolata. IL VASO SENZA NASO Ero un vasetto grazioso Con i fiori più belli Ora, avvolto nell’ombra, Vi tiro i capelli. Nella notte vago Parlo solo coi matti Gioco con i topi E morsico i gatti. Son sempre arrabbiato Non certo per caso Un’Ombra Malvagia Ha mangiato il mio naso idee&parole gd Cosa dite? Vi sembriamo un po’ tocchi? Meglio se stiamo nelle Terre Lontane Senza il viaggio di sei settimane? Che volete, siam sol Scarabocchi. 29 gd idee&parole SCAPPA TU CHE FUGGO ANCH’IO Scappa! Fuggi! Corri! Vai! Grida! Urla! Trema! Dai! “Ma perché scappiamo?” Si chiesero tutti Risposero in coro: “Perché siamo brutti” “Ci facciamo paura, pure questo è sicuro” E Timp! Tomp! Tump! Tamp! Sbatterono contro il muro. CHI CI INVITA A CASA SUA? Un saluto dalle Terre Lontane, dove vivono gli Scarabocchi Se ci chiamate, in sole sei settimane ci vedrete con i vostri occhi. Nelle feste siam proprio perfetti, per esempio al Grande Cenone Vi faremo tremendi dispetti, rovinando quasi ogni boccone. Starete comodi, vi serviremo ogni portata leccandovi i piatti con lingua salmistrata. Ai più piccoli rimarremo vicino, spruzzando di inchiostro amaro il budino. Alla Mamma bruceremo la gonna, morsicheremo i piedi alla Nonna Oppure le orecchie al Papà, e il naso a chi sta di là Dalla sera alla mattina, ruttini in sala e puzze in cucina E per finire con la miglior confusione, balleremo sul vostro panettone. Cosa dite? Vi sembriamo un po’ tocchi? Meglio se stiamo nelle Terre Lontane Senza il viaggio di sei settimane? Che volete, siam sol Scarabocchi. 30 idee&parole gd NON SONO UNO STREGONE Una sera che infuriava il temporale, la pianta che tenevo sulle scale Con il tuono e con il lampo, ha preso a parlare d’incanto “Se mi saprai innaffiare, ti potrò ricompensare: Strizza dell’ombra nera, colta in una brutta sera Fai piangere qualcuno, fai con le sue lacrime un profumo Quindi sciogli un pensiero cattivo in un po’ di detersivo. Spicciati, non fartelo ridire, stanotte mi vedrai fiorire In un bouquet di diavoletti maligni che saranno i tuoi cari vicini” Ma io, non essendo uno Stregone, l’ho buttata dal balcone. E cco qua. Chissà cosa ne penserà Nicchio. La sua vera storia è più avventurosa e, se ne avete voglia (e non siete dei fifoni) la potete leggere nel libro La Stanza delle Ombre Malvagie, che ha pubblicato il signor editore Gallucci, assieme a tutte le altre foto perché lui le ha ricevute tutte. Se qualcuno vuole giocare a inventarsi altre piccole storie guardando queste figure, o quelle del libro, può raccontarmele inviandole a dugongo@ fastwebnet.it. è il posto dove abito nel mondo dei computer. Ciao, buone feste invernali. Spaventatevi e divertitevi più che potete. Jerry Kramsky 31 gd idee&parole I dolci legami d’amore “Viola di mare”, un film delicato sulla tolleranza, il rispetto della persona e sulla libertà di essere se stesse e del sacrificio per vivere il rapporto alla luce del sole di Maria Tatsos Il film Viola di mare ha recentemente riproposto il tema della passione amorosa fra donne. Un fenomeno che è antico come l’umanità. Geniodonna ha incontrato la regista del film e una studiosa che si è occupata di questo argomento in chiave storica. DONATELLA MAIORCA regista di Viola di mare: “L’essere umano deve essere libero di amare.” Libertà di scegliere la persona da amare, contro ogni regola che la società e la religione impongono. È questo il tema centrale di Viola di mare, il film che la regista Donatella Maiorca ha presentato lo scorso ottobre al Festival di Roma. Un tema ovviamente vicino al mondo delle donne, che storicamente la libertà di essere se stesse se la sono dovuta conquistare. La regista siciliana, al suo secondo film, si è trovata affiancata da un gruppo di lavoro prevalentemente femminile (direttore della fotografia, costumiste, scenografa, sceneggiatrici, autrice delle mu- 32 siche – Gianna Nannini – produzione, che include anche l’attrice Maria Grazia Cucinotta). E si sente. Nel film c’è grande delicatezza nell’affrontare una storia d’amore omosessuale e le scene di sesso più esplicite, funzionali alla narrazione, non hanno il minimo accenno di volgarità. La trama è basata su una storia vera, raccontata nel romanzo Minchia di re di Giacomo Pilati (edito da Mursia). Due giovani donne, Angela e Sara, cresciute insieme in un’isola limitrofa alla Sicilia nella seconda metà dell’Ottocento, sfidano la società arcaica e patriarcale con il loro legame. Per poterlo vivere alla luce del sole, Angela rinuncerà alla sua identità femminile e diventerà Angelo. Come il pesce ermafrodita “donzella di mare” – “viola di mare” in siciliano – che si tramuta in un L’amore fuori dagli schemi idee&parole gd fra due donne libere maschio per amore, e poi torna femmina. “È la storia di un amore esclusivo”, spiega la regista. “Angela ama solo Sara, è lei che vuole. Allora, come oggi, l’essere umano non va diviso in categorie, ma deve essere libero di amare.” Come è nata l’idea di girare questo film? Grazie alla scrittrice siciliana Pina Mandolfo: ha letto il libro di Pilati e mi ha proposto il soggetto. Mi è subito piaciuta l’idea che la Sicilia potesse sdoganare una storia coraggiosa, che parla di libertà, tolleranza e rispetto della persona. Ma anche di doppia identità, nel solco della nostra tradizione letteraria. Sì, è molto attuale. Ma quando ho iniziato a lavorare su questo progetto, un anno e mezzo fa, nessuno era interessato a produrlo. Grazie alla caparbietà delle donne coinvolte, il film è diventato realtà. Spero che serva averlo fatto oggi, perché in futuro non susciti meraviglia che un film possa essere realizzato da un gruppo di lavoro femminile. Fra i film che trattano il tema dell’amore fra due donne, Viola di mare affronta con coraggio i sentimenti e anche la sessualità. È stato difficile per le due attrici protagoniste? No, sono due professioniste, sanno calarsi nel personaggio che interpretano. Fra Isabella Ragonese e Valeria Solarino si è creata subito un’ottima alchimia. Il film è uscito in un momento in cui il tema che tratta è di grande attualità. La società italiana sta dando preoccupanti segnali di omofobia… 33 L’omosessualità femminile nel film di Donatella Maiorca gd idee&parole In un mondo per secoli oppressivo nei confronti delle donne, potevano nascere storie d’amore come quella che racconta Viola di mare? Lo abbiamo chiesto a Daniela Danna, ricercatrice e autrice di Amiche compagne amanti – Storia dell’amore tra donne (Editrice Uni Service, € 21,50), un saggio davvero ricco e documentato sulle relazioni femminili. DANIELA DANNA ricercatrice di scienze sociali all’università degli studi di milano: “L’amore fra donne è sempre esistito.” A partire da quando si può parlare dell’esistenza di donne che amano altre donne? Prima della poetessa greca Saffo, non ci sono testimonianze scritte femminili che raccontino dell’amore nei confronti di un’altra donna. Per denigrarla, si Daniela Danna insinuò che fosse stata Foto: Nada Zgank/Mementoplease. una prostituta di rango, un’etera: erano infatti le uniche donne nell’età classica che godessero di relativa libertà e istruzione. Con l’avvento del cristianesimo, cambia l’atteggiamento nei confronti dell’omosessualità? Sì, il mondo cristiano – che mutua usi e costumi ebraici – reprime l’omosessualità, soprattutto maschile, che diventa oggetto di divieto esplicito, punibile con la morte. L’omosessualità femminile diventa, invece, più oggetto di tabù che di repressione perché è meno visibile. La donna non aveva un ruolo sociale pubblico. Il caso di Angela, che si traveste da uomo per po- 34 ter amare Sara, è unico? No. Esistono altre storie simili. Nella prima metà del Settecento, Caterina Vizzani, romana, morì in ospedale per una ferita d’arma da fuoco. Si faceva chiamare Giovanni Bordoni, si era travestita da uomo per andarsene e cercare lavoro. Innamoratasi della figlia di un canonico, aveva tentato la fuga con la ragazza quando fu ferita. Era vergine, e venne sepolta con un abito bianco. Ci furono anche matrimoni, come quello fra Angela e Sara, in cui una delle due donne fingeva di essere un uomo. Ma queste storie non venivano condannate dalla morale pubblica? L’esistenza di una relazione con un’altra donna non veniva condannata, perché il sesso poteva esserci solo tra un uomo e una donna. Furono condannate solo le donne che usurpavano il sesso maschile, travestendosi e simulando la presenza dei genitali maschili. Questa era ritenuta una tendenza contro natura. C’erano donne che si travestivano solo per avere una vita diversa? Sì. Negli archivi delle società di navigazione olandesi, già nel Cinquecento, ci sono testimonianze relative a marinai smascherati a bordo della nave che erano in realtà donne, alla ricerca di un lavoro o di un futuro migliore. C’è anche la storia curiosa di una sarta che si travestì e divenne sarto da uomo, perché il lavoro era pagato meglio. E ci furono persino donne soldato. Il Settecento e l’Ottocento sono l’epoca delle “amicizie romantiche” fra donne in Europa… Fu un fenomeno diffuso soprattutto nelle classi superiori. Si trattava di un’amicizia esclusiva, un’affinità difficile da raggiungere con uomo, in un’epoca di forte separazione fra i sessi. Restano testimonianze nella corrispondenza o nei diari. La libertà dell’amore idee&parole gd La vita, un lembo teso sugli spilli del destino di Ketty Fusco Q uando i confini fra due terre segnano un passaggio di migrazione, invece di separare, uniscono, intrecciano il paese di partenza con quello di arrivo. Nell’anima dell’emigrante questi confini-passaggio si ingigantiscono, assumono una valenza straordinaria, fatta di nostalgia per il paese lasciato alle spalle, di coraggio e speranza nei confronti della nuova terra alla quale si va incontro. Mi sembra naturale chiamarli confini dell’anima, perché essi battono dentro chi li ha superati. Figlia di un esule italiano antifascista, emigrato in America e di una svizzera-grigionese, in età tenerissima varcavo, nel 1930, la frontiera tra Italia e Svizzera con mia madre, mentre la malinconia per la mia Napoli azzurra e lontana, il desiderio di conoscere e amare le montagne, i boschi e le città ordinate del paese di mia madre, la nostalgia del padre americano e di quella sua nuova magica terra andavano sovrapponendosi, anzi fondendosi nella mia anima, dove sarebbero rimasti per sempre. Le nostre vite erano lembi tesi e appuntati con gli spilli del destino in terre distanti e formavano un triangolo di amore, di ideali, di sofferenza . Quando mio padre morì a New York nel 1944 senza poter tornare in Italia, il mio destino svizzero appariva ormai chiaro. Ma era inevitabile che il triangolo di frontiere rimanesse per sempre intatto dentro di me e ispirasse molte mie poesie. Tra prosa e poesia: I segreti di un mestiere Da Il fiore e il frutto ed. del Leone Tv, 1993 35 gd idee&parole Intervista all’artista ticinese Ketty Fusco di Emanuela Ravetta Ruini Pensieri graffiati sulla pagina bianca Mi parli del suo lavoro… Parlare del mio lavoro? Istintivamente penso: quale? Quello di attrice o quello di scrittrice? Perché la mia attività ha avuto due percorsi: il teatro e la scrittura, due passioni che si sono arricchite l’una dell’altra, scambiandosi le loro magie. Fino a un certo punto il teatro ha prevalso sulla scrittura, che però non si è mai arresa. Quali sono le sue opere? E i suoi più successi? Durante gli anni del forte impegno come attrice e regista, sono riuscita a realizzare cinque libri. Poi sono più di venti libri che portano la mia firma, tra poesia narrativa e racconti per bambini. Ambedue le professioni mi hanno procurato qualche gioia: L’anello Hans Reinhart 1994 che è il maggior premio teatrale Svizzero e il premio Sipario di Milano, alla carriera, come attrice. Anche come poeta ho goduto di qualche premio come Il libro dell’anno Schiller 1994 per “Il fiore e il frutto” (Ed. del Leone – Treviso 1994) che riuniva le sillogi di S. Albeverio Manzoni, Carla Ragni e la mia, una segnalazione al Premio Francesco Chiesa 1960 con la raccolta “Nella luce degli occhi” (1962) e, ultimo, il premio Term Bell 2008 ai Giorni della letteratura di Damat Ens (Grigioni). Quando nascono le sue composizioni? La poesia è qualcosa che preme improvvisa, dentro di me, come una scossa che può avere forma di parole o anche soltanto di pensiero, di sensazione. La poesia Ai funerali dei vecchi compagni, l’ho scritta di notte dopo aver sognato mio padre, esule antifascista morto in America nel 1944 quando io avevo sedici anni. Io quella notte la completai. Non potevo aspettare. In tutti gli altri casi invece, dopo il flash iniziale, bisogna subito trovare un foglio, un pezzo di carta qualsiasi; in treno sono spesso ricorsa a fazzolettini di carta. Ma è molto raro che quel prodotto sia definitivo. Dopo viene il momento più delicato, quello della composizione armonica, obbediente a un ritmo, a una musicalità, che non tradisca però l’emozione iniziale. I racconti invece, vengono scritti di getto, quasi nella forma finale, 36 ma dopo una lunga elaborazione mentale e psicologica. È come se li pubblicassi dentro il mio corpo. Solo dopo aver dato l’intera concretezza, decido di graffiare la pagina bianca. (Io scrivo tutto a mano...) Qual è il suo genere preferito? Come autrice non riesco a dare una preferenza alla poesia o alla prosa, le sento mie in egual misura. Ambedue si arricchiscono vicendevolmente. E poi, la poesia è anch’essa, a sua volta, un filo sottile che può serpeggiare ovunque sia chiamata, magari all’insaputa del narratore. È rimasta affascinata dalla lettura di qualche poeta tanto da risentirne gli influssi? Sì, la spinta iniziale furono per me l’immagine e la voce di Salvatore Quasimodo che leggeva alla TV la sua poesia Alla madre, di una bellezza estrema. Pensai: ecco un vero poeta! Non si nasconde dietro cripticismi intellettuali; Il suo linguaggio è alto, ma anche limpido, trasparente, le sue poesie saranno veramente di chi le legge. Nella sua carriera, si è sempre sentita libera? Il poeta se non è libero muore, (a volte, non solo come poeta…) La disgrazia dell’esilio è stata la porta della mia libertà di scrivere fin dai miei primi passi, nella terra di mia madre, la Svizzera. Ketty Fusco nasce a Napoli. A cinque anni si stabilisce a Lugano. È una bambina estroversa. A nove anni partecipa a una commedia musicale alla Radio televisione svizzera italiana (RTSI). Così nasce la sua carriera radiofonica e televisiva, come attrice e più tardi come regista. Per anni è stata responsabile del Radio teatro della RTSI e la Società svizzera di Studi teatrali le ha assegnato l’Anello Hans Reinhart 1994. Dal ‘84 al ’94 ha fatto diverse rappresentazioni teatrali per Lugano Teatro. Ketty Fusco è anche scrittrice e poetessa. Tra poesia, narrativa e favole ha già 21 pubblicazioni edite in Svizzera e Italia. Fresca di stampa, la raccolta di poesie dedicate alla donna, con disegni di Alda Bernasconi intitolata: In fogge dissonanti – Figlie di Eva nello specchio di sguardi femminili – Ed. Ulivo - 2009 idee&parole Manoscritti inediti per Geniodonna. Foglie di Palestina e di Israele Ai funerali dei vecchi compagni Nel libeccio impaziente di settembre appaiono coriandoli di cielo tra i rami dei castagni e il volo disperato di foglie ancora vive. Ai funerali dei vecchi compagni ritorno bambina accanto al mio eroe, la sua fronte orgogliosa nella notte dell’internazionale. Ai funerali dei vecchi compagni piango la sua morte di fuggiasco nei paesi dei grattacieli perché Lugano bella non volle dargli il suo pane. La domenica mattina cantavano in piazza le camicie nere per i borghesi del Caffé Federale. E la sua mano stringeva forte la mia passando rasente le case. Io lo guardavo temendo la sua ribellione poi abbassavo lo sguardo sulle scarpe consunte della sua Resistenza. Oltre il mio bosco raffiche di agguati: i figli della terra più contesa si staccano dai rami della vita Nati da poco non sapranno mai quel dolce attaccamento alla corteccia dell’albero nativo, il gusto dell’amore e della tregua. A mezzanotte anch’io Come la serpe che usciva flessuosa della sua vecchia pelle crogiolandosi al sole, a mezzanotte anch’io chissà perché mi illudo di lasciarmi alle spalle lo scafandro della mia incompiutezza. gd Giorni della memoria Panta Rey -1974 37 gd 38 Testo di Nicoletta Bortolotti. idee&parole Illustrazioni di Carlo Mango. idee&parole gd 39 gd 40 idee&parole idee&parole gd 41 gd 42 idee&parole idee&parole gd 43 gd gd idee&parole Con i fili tessuti da Cloe in salvo i Mulinonero Postfazione dell’autrice della novella illustrata Il filo di Cloe di Nicoletta Bortolotti I l romanzo Il filo di Cloe* racconta la storia di una famiglia come tante. La vicenda, nonché il personaggio di Cloe, si prestavano particolarmente a una trasposizione in forma di graphic novel, grazie al tratto raffinato di Carlo Mango. La famiglia Mulinonero è una famiglia normale. La sua storia minore s’intreccia con fantasia e umorismo alla storia maggiore dell’Italia contemporanea. Il padre informatico disoccupato alla perenne ricerca di un fantomatico posto di lavoro (nonostante la “leggera” ripresa); la madre con contratto a progetto al sempiterno inseguimento di un’improbabile assunzione (nonostante la legge Biagi); il figlio Lorenzo, detto DG (il Grande Diplodoco), età quattro anni, un “vecchio”, che non mangia i pesci con la testa; e la figlia Cloe, undici mesi, una settimana e tre ore, voce narrante senza parole: a lei, dio ingenuo e profetico, il compito di tessere la verità con i fili della menzogna. Un racconto coinvolgente, tra il coraggio e l’incertezza, tra gli incandescenti binari delle Ferrovie Nord e gli infiniti campi di mais di un hinterland milanese, dove nelle villette a schiera ci sono padri a schiera, madri a schiera e figli a schiera. E dove gli adulti, nonostante i divorzi, la crisi, la disoccupazione e la Cina che avanza, verranno salvati con un finale inatteso, dai bambini. 44 Il romanzo (Sperling & Kupfer, 2007) fu presentato al Mondadori Multicenter di Milano dal giornalista de Il Sole 24ore Walter Passerini (fondatore di Corriere Lavoro) e da Alessandro Rimassa, autore del libro Generazione 1000 euro, Nicoletta Bortolotti. che oggi è diventato un film. In aggiunta ai vari articoli pubblicati su riviste e quotidiani, di cui uno a firma di Maria Rita Parsi, è uscita recentemente una mia intervista sul settimanale online Arcoiris a cura di Maurizio Chierici (si può leggere su Internet). Al romanzo è stato dedicato spazio su Radio Monte Carlo, Radio24 e Radio Reporter. *Il romanzo, ormai esaurito in libreria, si può ordinare direttamente presso il sito della Sperling & Kupfer o presso www.bol.it o www.isbn.it. La graphic novel verrà pubblicata a breve, così come il mio terzo romanzo, un romantic-noir sullo sfondo della crisi, dove saranno ancora una volta i bambini a sciogliere un mistero chiuso in una roccia in riva al mare. Titolo top secret! idee&parole gd Non siamo donne a disposizione del potere di Vera Fisogni I l corpo e il potere vivono, da sempre, una sto- trato il cuore del problema politico, che è allo stesso ria fatta di intrecci e rimandi. L’idea di potenza, tempo un problema filosofico: quello della distanza nella politica, ha spesso bisogno di incarnarsi in tra l’usare e il disporre, tra l’uti e il frui agostiniano, una figura riconoscibile e forte: si pensi ai regimi tra corpi e persone. Precisamente, il potere “usa”. dittatoriali, non meno che alle democrazie presi- Nella logica del velinismo la donna accetta di essere denziali in cui la condizione fisica dei leader è fat- “usata”, perché con il proprio corpo si fa strumento tore di rassicurazione o di incertezza per il popolo. – molto consapevole, per altro – di una mediazioMa di questi tempi è soprattutto il rapporto tra il ne (io do, tu dai). La Bindi, con quel motto che è corpo femminile e il potere a fornire spunti di rifles- insieme un dirompente atto politico, ha rilanciato sione capaci di illuminare, aldilà di qualsiasi luogo il valore dell’autodeterminazione come non si sencomune, lo specifico dell’essere donna nella politi- tiva da tempo. Mentre si può “usare” di qualcuno, ca, indicando nuovi punti prospettici. Che cosa ci non si può realmente “disporre” di nessuno, perché suggerisce la cronaca? Da un lato si impone la mer- questo secondo termine rinvia a un’idea di persocificazione del corpo femminile, sia da parte del po- na come progetto, fine, cespite di possibilità sempre nuove. L’atto politico della tente di turno che si circonda di Bindi, nella sostanza, consiste ragazze nel fiore della bellezza, nel mostrare che – accanto a sia da parte delle stesse donne, un potere basato sul possesso, che offrono se stesse con moche guarda all’altro come a un dalità mercantili, per ottenere oggetto – ne esiste uno incarqualcosa in cambio: un piccolo nato nel rispetto. Prima dei lavoro in tv o un “favore” pocorpi ci sono le persone. La dilitico. Il velinismo fa essenzialchiarazione della Bindi appare mente propria la classica mointeressante anche per un’aldalità del potere maschile, il tra ragione. Nella sua replica corpo come strumento, brandia Berlusconi, a ben vedere, to sia dalla donna, consapevole non risuona nulla dello slogan di farne “merce” di scambio, vetero-femminista che recitava sia dall’uomo politico, che in “il corpo è mio e lo gestisco io”. quella bellezza trova conferma Quel motto degli anni settanta sillogistica della propria identiponeva l’accento sull’uso della tà (io voglio, io ottengo, io pospropria corporeità prima ancoso). Questo stile d’azione, caratGiorgio De Chirico. ra che sulla visione di sé come terizzato dall’uso del corpo per avere o per dare, tradizionalmente maschile ma ora soggetto capace di decidere, consapevolmente, del pienamente assunto anche dalle donne, non incide proprio agire, da persona autenticamente libera. È in modo originale sulla dialettica del potere. Piut- importante capire la differenza tra le due prospettosto, tende alla sua conservazione.Vi è poi un’altra tive, perché mostra come l’uso del proprio corpo dinamica, squisitamente politica e, a mio giudizio, (come si dà a vedere, per esempio, nel velinismo), specificamente femminile, sintetizzabile nella for- lungi dall’esprimere un elevato grado di libertà o di mula: il potere delle donne, in politica, è proporzio- negoziazione politica, come parrebbe invece di prinale al proprio negarsi come corpo, al proprio “non mo acchito, azzera la relazione interpersonale, cuoessere disponibili”. Nel replicare a una spregevole re pulsante di una politica non schiava del potere. battuta del Presidente del Consiglio Silvio Berlu- Si tratta di una prospettiva in cui le donne possono sconi (“lei è più intelligente che bella”), l’esponente dire molto, per la propensione ad aprirsi con genedel Partito democratico Rosy Bindi ha replicato: “Io rosità alla vita e alla cura, a patto di riconquistare il non sono una donna a sua disposizione”. Ecco cen- proprio corpo come bene non negoziabile. 45 nonsoloMarilyn gd Carmen, la furia rossa di Silvia Taborelli A ttrice-feticcio di Pedro Almodovar, Carmen Maura è una della più note interpreti spagnole, resa celebre da Donne sull’orlo di una crisi di nervi, film che le ha disegnato addosso un personaggio per la vita: donna di carisma, senza pudori, indipendente e sensuale, a tratti rude ma che esprime debolezze emotive e nevrosi. Con i suoi personaggi, dal look eccentrico e dalle tonalità in rosso che trasmettono vivacità e passione, ha caratterizzato oltre vent’anni di cinema spagnolo. La sua carriera si avvia nel post-franchismo degli anni ’80, con la bramosia di libertà che, soprattutto il cinema di Almodovar, ci ha raccontato con tanta forza. Maura ne è stata ambasciatrice in ben quattro film in cui è protagonista assoluta: Pepi, ragazza indipendente che coltiva marijuana e viene violentata da un poliziotto (Pepi, Luci, Bom e le altre ragazze del mucchio del 1979); Gloria, casalinga infelice che uccide accidentalmente il marito (Che ho fatto io per meritarmi questo?, 1984); il transessuale Tina dal senso materno (La legge del desiderio, 1987) e Pepa, in pesante crisi per amore ma capace di farsi carico di mille imprevisti e di ribellarsi all’uomo che ama (Donne sull’orlo di una crisi di nervi, 1988). Passano quasi vent’anni ed è di nuovo diretta da Almodo- var, nel 2006 con Volver, dove ritorna, molto simbolicamente, nelle vesti di fantasma. Un sodalizio che è alle basi della sua carriera. “L’ho conosciuto a teatro, come attore era pessimo, ma divertente. Siamo diventati amici e lui inventava molte storie per me, rappresentava il mondo che non conoscevo, la modernità.” La sua verve sulla scena è senza dubbio conseguenza della sua storia personale, segnata da un radicale cambio di vita. Figlia di un aristocratico conservatore, Carmen Maura riceve una rigida educazione cattolica; si sposa a soli diciannove anni, a venticinque ha già due figli. Tutti i presupposti di un’esistenza ancorata alla Spagna tradizionalista e benestante, ma la passione per la recitazione la conduce verso scelte di vita che, seppur sofferte, la rendono modello di indipendenza e forza femminile. Abbandona le costrizioni della donna dedita alla famiglia e intraprende un’appassionante carriera in teatro e nel cabaret, in parti comiche e provocatorie. Ironica, appassionante, grintosa, irrequieta, e in questo quintessenza della poetica almodovariana, è diventata tra le migliori interpreti del genere commedia/melodramma. Carmen Maura è rimasta per lo più legata alle produzioni spagnole testimoniando un intenso legame con il proprio paese, per la sua città natale, Madrid. Un rapporto profondo raccontato lo scorso ottobre a Milano, dove è stata invitata come madrina per Made in Mad al Piccolo Teatro. In questa occasione è stato proiettato uno dei suoi ultimi film, lo spassoso La Comunidad (2000), commedia nera e grottesca, dove interpreta Julia una spietata agente immobiliare alle prese con l’avidità dei vicini di casa. Ora avremo occasione di vederla sul grande schermo in Tetro – Segreti di Famiglia (uscita in Italia il 20 novembre) presentato all’ultimo festival di Cannes e in anteprima nazionale al Torino Film Festival. Carmen Maura all’età di sessantanove anni si confronta con una produzione americana firmata dal grande Francis Ford Coppola e interpreta il ruolo di critica letteraria mentore del protagonista (Vincent Gallo) scritto per lei da Coppola. In Carmen Maura ha trovato il temperamento giusto per il suo personaggio, nonostante, in un film quasi interamente fotografato in bianco e nero, l’attrice venga privata del colore che tanto ha caratterizzato la sua carriera. A fronte: MATADOR - Carmen Maura (photo Sony Pictures Classic). 46 idee&parole gd La passione della commedia 47 idee&parole gd All’ombra di un gelso tra il lillà e il caprifoglio Il mondo di Gentilia Ardigò, sincero, limpidissimo e asprigno come il vino contadino di Basilio Luoni D i sicuro non sarà la Lega di Bossi a salvare i dialetti. Le lingue non vengono salvate dai diktat dei politici né dai professori: avete mai fatto mente locale alla lingua parlata in parlamento e nelle aule scolastiche? Politici e professori dovrebbero cominciare con l’imparare prima di tutto l’italiano. I dialetti saranno salvati, com’è giusto, com’è inevitabile dai poeti, che agiscono con i lessici come fanno con i sentimenti: li mettono nei loro alambicchi, li sciolgono dalle impurità, li lasciano trasparenti e profumati. È incominciata da qualche tempo, quest’opera di salvataggio, in maniera del tutto spontanea: da quando lingua nazional-popolare è diventato l’italiano televisivo, che un poeta non potrebbe usare senza vergognarsene. La produzione? Un numero limitato di bottiglie: liquori doc, per intenditori, non alcol scadente per sbronze di massa. Casalbuttano, nel cremonese, offre il “prodotto” di Gentilia Ardigò: un vino sincero, limpidissimo, asprigno, una rievocazione del mondo contadino (e una riflessione sulla vita) depurata di ogni residuo sentimentale e nostalgico. Lì la poetessa è nata nel 1923, in gennaio, in una cascina tra i campi simile a quella dell’albero degli zoccoli: “L’aia era grande, in terra battuta… In mezzo, presso la concimaia, all’ombra di un gelso, l’unico cesso per dodici famiglie… le case sfilavano su due lati ad angolo retto come vecchie sorelle che si reggevano a vicenda… L’aia brulicava di galline… Qualche vicina allevava le oche… supernutrite mettevano su certi petti e certe cosce… (la) inse- 48 guivano allungando il collo… con uno starnazzare sguaiato e minaccioso.” Il nonno era facchino di granaglie, il padre falegname, la madre lavorava in filanda. La famiglia traslocò in paese dopo la morte di un bambino, rievocata in una delle liriche che presentiamo. Vennero gli anni della scuola elementare: la maestra “era una donna intelligente… (le) insegnava ad avere interesse per il bruco quanto per la farfalla, per le albe e per la candela che fumigava nella casa dei poveri. La poesia nacque allora, come sentire”. La ragazza scoprì i classici: Dante, Manzoni, Pascoli, Carducci, Leopardi. Li studiava a memoria, li ripeteva a voce alta “quando nessuno (la) sentiva, seduta nell’orto” sotto il lillà e il caprifoglio. S’innamorò della montagna, leggeva e seguiva l’esempio di Piergiorgio Frassati, ammirava Bartali che “scalava i passi dolomitici e portava fiori alla Madonna del Ghisallo”. Con un uomo di montagna ebbe una storia importante e una delusione che la ferì. Intanto era diventata maestra lei stessa e insegnò nelle elementari sino all’età della pensione: “Il pascolo dove tanto ho dato, ma ancor di più ho ricevuto, è stata la scuola”. idee&parole gd La metafora è significativa, ricorda la montagna, la vita della montagna, dura, chiusa, in salita, e al tempo stesso solida, piena, ostinata, non rinunciataria. Come è stata la sua “nient’affatto monotona, anzi laboriosa e piena di interessi”. Come le piaceva insegnare, così le piaceva la terra, il lavoro manuale quanto le faccende di casa e del giardino. E gli animali: i gatti, i pettirossi, le rane, gli insetti dei campi. E i due abeti che aveva in giardino. E la pittura, le icone… Non è stata mai troppo fra i libri. Se ha una preferenza per una letteratura, è per i russi, e sembra di capire il perché. Al dialetto è arrivata quasi per caso: una collega, Mara Maretti Soldi, “una delle voci più note del dialetto cremonese”, le chiese il favore di dattilografare alcune sue composizioni… “Mi si parò davanti un mare di cose da raccontare: il Paese e la sua gente, le sue attività”, i personaggi, le storie, i ricordi d’infanzia, la filanda… Ha pubblicato due raccolte: àaria de Paées e Se cerchet adès che ‘l véen séera. “Prendo un vecchio quaderno e una biro e mi metto a raccontare. Il dialetto fluisce in armonia con le cose che lo porto a descrivere. Scrivo di getto, raramente cercando la rima, ma obbedendo all’esigenza di mantenere nella composizione un certo ritmo interiore”. ME MÀMA Mia madre (Traduzione di Basilio Luoni) Li séeri d’ estàat spetàavi me màma là fò de ‘l purtél: vurìivi vedìila pasàa tra i plàten de ‘l fòs. E quàant la slümàavi là ‘ n fùunt, mulàavi per tèra i süpéi per cùreghe ‘ncùuntra. Udùur de filàanda, prüföm de me màma, per me. Le sere d’estate Aspettavo mia madre là, fuori dal portone: volevo vederla passare tra i platani del fosso. E quando la scorgevo là in fondo, lasciavo per terra gli zoccoletti per correrle incontro. Odore di filanda, profumo di mia madre, per me. Questa composizione fa parte del poemetto Il tempo delle filande contenuto in Àaria de paées (1985). 49 gd 50 idee&parole ‘L ÉERA GENÀAR Era gennaio Sòo nàada tra dùu fòs na nòt che la néef la se giasàava e zelàava àanca i bìs en de li tàani adrée a la feràada. Durmìva el Mìnciu (un cascinale) e la so gèent, durmìva stèench i trìi muròon de l’ èera. S’cianfarutàava l’ àaqua adrée a la finestréla e l’éera néegra e la curìiva. El tumbòon pièen de fàa paüüra. Sono nata tra due fossi una notte che la neve ghiacciava e gelavano anche le bisce nelle tane lungo la ferrata. Dormiva la cascina del Mincio e la sua gente, dormivano scheletriti i tre gelsi dell’aia. Gorgogliava l’acqua sotto la finestrella era scura e correva. Il Tombon era pieno da far paura. Ma dèenter l’ éera cùma en céeza na lücèerna tacàada jà e dò candéeli e màan de dùni espèerti e ‘ n parlàa piàan a i ùurdin de la “siùra” (la levatrice). Me màma en gràan travài. De là el nòonu el fàava fóoch: li stìsi de i suchèt apèena ‘ mpìsi li murìiva: j éera calözen sübit. Ma dentro era come in chiesa, una lucerna appesa e due candele e mani di donne esperte e un parlottare sottovoce agli ordini della levatrice. Mia madre in gran travaglio. Di là il nonno badava al fuoco: le faville alle giunture dei ciocchi appena accese morivano: erano subito caligine. I pütéi, àanca chèi de i siùr, i nàs a cridèent àanca mé cridàavi: séeri vìiva. E me pupà, avàanti e ’ndrée per l’ èera biàanca, ‘l è curìit en cà, el gh ‘ à taccàat a ‘l ciòot la mantelìna e ‘l gh’à urdinàat. Nòonu, frèghe ‘l cafè a la “siùra”, el pügnatìin ‘ l è fóora, en sö ‘l sicèer. I bambini, anche quelli dei signori, nascono piangendo; anch’io piangevo: ero viva. E mio padre, avanti e indietro nell’aia bianca, è corso in casa, ha appeso al chiodo il tabarro, e ha ordinato: -Nonno, fate il caffè alla “signora”, il pignattino è fuori, sul lavandino. E na gràan fiàma s’ è levàat en de ‘l camìin (‘ l éera en gàamba me nòonu) e s’è ‘mpienìit la càaza de fantàasmi bòon. Cafè sèensa cicòoria, li chìcheri de ‘l servìsi, i cüciarìin,el söcher. ( l’ éera cuntèent me nòonu). E si è alzata una gran fiammata nel camino (mio nonno era in gamba) e la casa si è riempita di fantasmi buoni. Caffè senza cicoria, le tazze del servizio, i cucchiaini, lo zucchero (mio nonno era contento). Entàant i me ‘nfasàava cu ‘ i pesulìin bèen strèt: séeri en püòt de càarne véera en màan a me pupà. Lasèeghe fóora li manìni! La vùus de me mama l’ èera apèena ‘ n fìil. Dòpu la s’ è pèersa vìà. Intanto mi fasciavano ben strette con le pezzuole; ero una pigotta di vera carne in mano a mio padre. – Lasciatele fuori le manine! – la voce della mamma era un filo appena. Dopo si è persa via. ‘Lè stàt el nòonu a sbasàa la fiàma de la lücèera e a mèter sö ‘n àalter suchèt. E cu’ na màan el dindulàava el panerìin. È stato il nonno ad abbassare la fiamma della lucerna e a mettere sul fuoco un altro ciocco. E con una mano dondolava la piccola culla. idee&parole gd CHèLA DE’ L MESURÉL EEL fradelin QUELLA DELLA FALCE Il fratellino Me màma la la sentÌiva: la rivàava a nóot per el Tumbòon de ‘l Mìinciu sèen püsèe sèca e sbrazelìida. Lée la saràava sö la finestréla Cun dùu luchèt, la ghe metìiva davàanti i stràs a li fesüüri, chèi de s’ciavìin. Ma chèl s’cianfarutàa néegher lé fóora sùta ‘l zèen zelàat el fàava vègn i sgrìizui. La gh ‘à pustàat davàanti en paravèent a fiùur: “La pruarà vergùgna D’éser enfàma E la ‘ndarà jà.” Mia madre la sentiva: arrivava a nuoto per il Tombo del Mincio sempre più ossuta e famelica. Lei chiudeva la finestrella Con due lucchetti, metteva stracci davanti alle fessure, quelli di sacco. Ma quel gorgogliare nero lì fuori sotto le alghe gelide faceva venire i brividi. vi ha appoggiato davanti un paravento a fiori: “Si vergognerà d’essere un’infame e se ne andrà via.” Chèla de ‘l mesurél Envéci La gh ‘ è pasàada istès: sö de’l fòs per na fesüüra ‘ n de na matìna biàanca de genàar. Làadra de putéi! S’éera zelàat sö i véeder en paradìis de fiùur e foora mìla falìvi entùurnu a ‘ l putelìn rubàat: ‘se fàsli màaai? Li ghe ‘ nsegnàava a vulàa Cu’ j angelìin, E lèe,scurnàada,vìa sùta’l zèen de’ l tóombo a burbutàa masnòni: e la batìva i dèent e ghe ciucàava j òs. Quella della falce. Invece vi si infilava dentro lo stesso su dal fosso per una fessura in una mattina bianca di gennaio. Ladra di bambini! Intanto si era ghiacciato sui vetri un paradiso di fiori e fuori mille fiocchi intorno al piccolino rubato: che cosa mai? Gli insegnavano a volare con gli angioletti. E Lei, in fuga e vinta, via sotto le alghe del Tombo a gorgogliare bestemmie: e digrignava i denti e le scricchiolavano le ossa. Le due composizioni in queste pagine sono inedite. Le traduzioni sono di Basilio Luoni e le illustrazioni di Giuseppe Bocelli. 51 idee&parole gd gd Neera, i romanzi delle martiri gentili di Angela Cerinotti L a realtà provinciale italiana fra l’Otto e il Novecento, con la sua oggettiva arretratezza anche nella cultura e nei costumi, non costituì per la scrittrice Neera (Anna Zuccari, nata nel 1846 e morta nel 1918) un limite, ma, anzi, un costante motivo d’ispirazione artistica. Ma perché parlare ancora di Neera, una scrittrice “provinciale”, a distanza di un secolo e in tempi di globalizzazione? Nei suoi romanzi l’ambientazione è prevalentemente provinciale e in questo mondo, evocato anche nel suo aspetto esteriore (strade, case, giardini, orticelli…) si muovono le sue creature, “varie tra loro, varie in loro stesse, e attorniate da una folla varia di personaggi minori”, come osservò acutamente Benedetto Croce a proposito del romanzo Teresa, pubblicato nel 1886. In questo romanzo è raccontata la storia di una fanciulla, appunto, di provincia, totalmente, ma non passivamente, dedita alla morale domestica. Il padre è rude e autoritario, preoccupato solo di far conseguire la laurea all’unico figlio maschio della famiglia; la madre è debole, mite e rassegnata. Quando Teresa si innamora di Egidio, che a sua volta l’ama appassionatamente, il padre si oppone alle nozze. La fanciulla vede così crollare il suo sogno d’amore e vive lo sfiorire della propria giovinezza. Nella sua solitudine di “zitella” viene successivamente a sapere che Egidio è malato gravemente e incurante dei pubblici pettegolezzi della gente del paese, decide di raggiungerlo, per assisterlo con amore “puro”. Neera è una delle prime scrittrici a concentrarsi sulla condizione femminile. Mentre riconosce il ruolo socialmente subordinato della donna in una società che assegna agli uomini un ruolo prioritario, come era l’Italia a quel tempo, contemporaneamente rivendica le ragioni di cuore e della sensibilità femminile. Alle donne nubili, costrette a reprimere sensi e sentimenti in ossequio alla morale tradizionale, Neera riserva in molti dei suoi romanzi un’attenzione affettuosa, arrivando a definirle “martiri 52 gentili” o “anime senza amore”. Ma alla morale convenzionale non si sottraggono nemmeno tante donne maritate, come si è già detto a proposito della madre di Teresa. Spesso il matrimonio procura loro insoddisfazione, nei sensi e nell’anima, come accade a Marta, protagonista del romanzo L’indomani, pubblicato nel 1890. Marta, al contrario della madre di Teresa, non si rassegna e appaga, anche fisicamente, il suo bisogno di amore nell’ascoltare i “messaggi” della creatura di cui è gravida, cioè nella maternità. I romanzi di Neera sono ormai diventati “romanzi storici”, non solo in rapporto all’Italia, ma anche in rapporto alla storia… delle donne. gd anoressia La divinità che spegne la carne di Martita Fardin G uai a pronunciarne il nome, se ne parla ma con perifrasi. La chiamano “Filosofia di morte”, “Filosofia del digiuno”, “Moderno cancro dell’anima”, “Male del secolo”, ma è una sola e terribile parola che racchiude in sé un mondo di sofferenza che dalla realtà ha sconfinato nel virtuale. Il suo nome è Anoressia, nel gergo di Internet Ana, dea che con i dieci comandamenti spinge le ragazze a non mangiare fino a diventare pelle e ossa, fino a morire di fame, per raggiungere l’irraggiungibile, la perfezione di un corpo che annulla e mortifica la carne. Una realtà complessa, che interessa anche il comasco, sia nella quotidianità, sia nel virtuale, dove blog e forum prolificano, soprattutto fra le giovanissime. E dal comasco parte la nostra inchiesta, dove l’anoressia sta diventando una realtà preoccupante: un fenomeno che colpisce soprattutto una fascia d’età femminile dai 15 ai 25 anni. Negli ultimi anni, le statistiche relative a Como e cintura – secondo gli ultimi dati forniti dall’Unità Nutrizione Dietetica di Como – parlano chiaro: le anoressiche rappresentano ben lo 0,8% della popolazione di Como e Provincia, contro uno 0,5% della media nazionale. Il quadro non è rassicurante, soprattutto se si considera che l’anoressia ha una letalità nazionale attorno al 10%. Nel comasco, il fenomeno ha iniziato a manifestarsi una ventina d’anni fa quando il numero delle pazienti in cura presso il Centro disturbi del comportamento alimentare di via Castelnuovo si è addirittura triplicato (circa 140 persone). Negli ultimi anni poi, si è abbassata l’età in cui si manifestano i primi comportamenti anoressici. Secondo alcuni test psichiatrici, effettuati nelle scuole elementari del territorio, bambine e bambini - cui viene chiesto di disegnarsi – si raffigurano simili a scheletri o reduci di lager. Per non parlare delle bambine che, dopo l’immissione sul mercato della barbie anoressica, non hanno più una cognizione esatta del proprio corpo. Poi c’è il bombardamento mediatico delle riviste patinate, di Internet, della televisione, del cinema e della tv, della pubblicità subliminale: se non sei magra non sei attraente. La modella glamour, eterea, diventa un’icona di bellezza cui tendere, costi quel che costi, soprattutto nella pubertà “quando i problemi con l’accettazione del proprio fisico aumentano”, dice il dottor Alfredo Vanotti, noto nutrizionista con una vasta esperienza nell’ambito dei comportamenti del disturbo alimentare. Secondo i dati dell’Istituto superiore della sanità, l’anoressia non fa distinzione fra classi sociali e livello d’istruzione, colpisce tutte indistintamente. “C’è sempre alla base – spiega il dottor Alfredo Vanotti – un disagio psicologico che si manifesta all’interno del nucleo familiare. L’adolescente non è in grado di gestire i cambiamenti del proprio corpo, spesso influenzata dalle modelle glamour delle riviste di moda, dalla tv e da Internet, cui si aggiunge una carenza affettiva all’interno delle relazioni familiari o un’incapacità di gestirla in modo sano.” 53 gd gd anoressia Una farfalla eterea senza cibo per non essere ghermita Il rifiuto di alimentarsi dell’anoressica è la ribellione al modello patriarcale imposto alle donne di un ruolo privo della dimensione spirituale e culturale di Ornella Benzoni C onsiderata nella sua dimensione simbolica, l’anoressia rappresenta una fragorosa richiesta di spirito a prezzo del tormentoso sacrificio del corpo. È noto che le persone che soffrono di anoressia sono in grande maggioranza donne, quasi sempre giovani, che incespicano in quel delicato passaggio che le dovrebbe traghettare dall’infanzia all’età adulta. Sono donne che rifiutano di appiattirsi sul ruolo di corpo esclusivamente naturale che l’ordine patriarcale impone agli esseri umani di sesso femminile. È vero, negli ultimi decenni le donne occidentali hanno conquistato nuove aperture e nuove libertà. Sono però conquiste ancora di superficie: la prospettiva non è ancora stata rovesciata. La donna non può ancora, e talvolta non sa, partecipare alle trasformazioni culturali a partire dallo specifico femminile. Troppo spesso assistiamo a pantomime di donne di successo che, deprivate di altri modelli, mimano in modo grottesco il modo in cui 54 gli uomini stanno sulla scena del mondo! La giovane anoressica non accetta di sottoporsi alle leggi del patriarcato che identificano la donna con la materia e limita la sua azione allo svolgimento delle funzioni naturali: il concepimento della vita biologica, il suo nutrimento e mantenimento, la soddisfazione dei bisogni. Rifiuta la riduzione di corpo vivente a corpo fisico; è determinata a non lasciarsi privare dell’intenzionalità e della capacità riflessiva che trasforma la natura in cultura e, quindi, trascende la natura nello spirito. Lei vuole dare senso al proprio esistere, reclama il diritto di poter illuminare con la luce dello spirito la pesante concretezza cui è condannata in quanto donna, per poter dispiegare le ali della propria creatività e contribuire a plasmare il mondo. Sfortunatamente, inchiodata co- anoressia me è dall’ordine sociale e dallo stile familiare al mero appagamento dei bisogni materiali, la giovane anoressica conosce un solo modo, concreto, di gridare la propria ribellione: rifiutare il cibo, isolarsi, rendersi trasparente, scomparire, morire nel tentativo di diventare ella stessa quello spirito che le viene negato. La ragazza anoressica cresce spesso in una famiglia che le ripropone, senza alcuna possibilità di personalizzazione o di critica, il modello sociale dominante. I genitori, condizionati a conquistare freneticamente beni materiali, si ripiegano sotto una vita di sacrifici. Tacciono, negano, mascherano gli inevitabili conflitti dietro una cortina di benessere e armonia, con il risultato di una comunicazione contraddittoria e confusa. Invadono il territorio dei desideri e dei bisogni della figlia sottoponendolo a un ricattatorio controllo, presentato in buona fede come forma di interessamento e amore. Gli interessi della madre della giovane anoressica si focalizzano spesso sull’aspetto fisico, sulla moda, sul controllo del peso, sul mantenimento di un aspetto giovanile. Questa madre ha fortemente interiorizzato le regole sociali che le impongono di rispondere – come figlia, moglie, madre – prima di tutto ai bisogni altrui e solo in seconda istanza, e forse, ai propri. E ripropone pervasivamente queste regole alla figlia, censurandone con forza ogni tentativo di individualità. Così, le norme e i modelli imposti dalla famiglia alla figlia per la costruzione della propria identità non contengono alcun senso vitale. Il rifugio nell’anoressia rappresenta l’urlo disperato di chi chiede un’altra vita. Nella sua penosissima ricerca di spirito, la giovane anoressica si ritira in se stessa e rifiuta non solo il cibo ma ogni altra spinta vitale. Sente le pulsioni pericolose perché, se le accettasse, potrebbero sopraffarla e farle così smarrire quell’unica soggettività di cui, a prezzo altissimo, è riuscita a impadronirsi: quella creatura incorporea, trascendente, svaporata che solo in questo modo riesce a custodire la certezza di non essere ghermita, sopraffatta. È pronta a portare alle estreme conseguenze la sua richiesta di senso. Preferisce scomparire se non le è concesso di esercitare quell’atti- gd gd vità creativa, trasformativa, che il nostro mondo considera un valore maschile. A qualsiasi costo vuole avere accesso non al cibo materiale ma al vero nutrimento. Con il suo sacrificio, la donna anoressica, ricorda a tutti a noi, abitanti di un’epoca tanto efficiente e così poco etica, le parole di Cristo: “Procuratevi non il cibo che perisce ma quello che dura per la vita eterna” (Giovanni 6, 27) e, ancora: “Non di solo pane vive l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio”. (Matteo, 4, 4). 55 anoressia gd d g La sete d’amore, il filo che riconduce alla vita Ad Asso un centro per il percorso d’uscita dalla anoressia – Attività di relazione individualizzate per ritrovare la stima di se stesse e il valore del fare di Marcella Cirrincione U n coro di voci chiede ripetutamente: “Cosa vuoi? Hai un regalo? Prima dicci che cosa vuoi!” “Vi voglio chiedere di accettare la visita di questi signori che lavorano per un mensile.” “Va bene, ma che cosa vogliono vedere?” “Solamente come vivete qui e come sono le vostre camere.” “Siamo un po’ malvestite, fa niente?”. Così siamo entrati e abbiamo cominciato a conoscere la Comunità di Asso. Siamo in una grande villa primi anni del Novecento, lasciata in eredità al Comune da una nobile famiglia: qui sono ospitate alcune comunità per minori e questo Centro di riabilitazione di ragazze. Sono quattordici le ragazze ospiti del Centro, a due a due condividono una stanza che personalizzano con immagini, disegni, fotografie, oggetti. È il segno della accettazione di un percorso. Si vive insieme nella sala della televisione, nel soggiorno, nel laboratorio. Poi l’ufficio per gli incontri con la psicologa o la pedagogista. L’attività è rivolta a fare emergere la persona con le sue esigenze e individuare attività coerenti. Il metodo non fa riferimento a un modello specifico, ma risente di evidenti influenze 56 sistemiche e metodologiche calibrate sulle esperienze soggettive degli operatori. La Comunità è una delle poche in Italia che prevede tempi di ricovero prolungati a un massimo di 36 mesi (da 3 a 6 mesi negli altri). Gli operatori – psicologa, pedagogista, dietista, il medico specializzato in medicina interna, lo psichiatra - lavorano in equipe creando programmi riabilitativi personalizzati. La Comunità, operativa dal 2006, ha fin qui trattato 200 casi di cui il 50% con esito positivo, 30% usciti dal percorso volontariamente, 20% con risultati parziali: solo due hanno registrato esiti negativi. Le ragazze vengono inviate in Comunità dall’ambulatorio, situato presso l’ospedale S. Anna di Como, presso il quale sono state aperte 330 cartelle cliniche in cinque anni. I casi più difficili sono quelli di ragazze che hanno subito violenza sessuale intra-familiare: qui il desiderio di autodistruzione e autopurificazione è più forte. I sintomi dell’anoressia si manifestano già intorno ai 12/14 anni, più tardi quelli della bulimia. Numerosi sono i laboratori che la Comunità propone alle ragazze: quasi tutti sono condotti da personale interno. Si tratta di un laboratorio “Beauty” utile alla valorizzazione dell’aspetto fisico, un laboratorio sulla corporeità, il laboratorio sul cinema con tematiche al femminile, un laboratorio sulla femminilità con il fine di aiutare l’accettazione della identità di genere. gd d g L’anima violata e ferita anoressia rifiuta l’esistenza Il racconto di una giovane alla ricerca incessante della purificazione del proprio corpo oltraggiato dalla violenza sessuale da parte di tre giovani L ’anoressia l’ho incontrata dieci anni fa, dopo anni di sofferenza nell’infanzia e nell’adolescenza, di dolore, mancanza d’amore in famiglia, da parte dei miei genitori incentrati troppo sulla loro malsana relazione e da parte delle mie sorelle che mi escludevano per il mio disagio mostrato col cibo. Il silenzio, la solitudine, la malinconia, la tristezza, il vivere solo per lo studio e non far nulla per me stessa, fino ad arrivare a non sopportarmi e odiare il mio carattere e il mio corpo. Dopo una tragica violenza carnale da parte di tre giovani adolescenti dai quali fu vano ribellarsi, sono arrivati anni di terapia: problemi erano la mancanza di appetito o meglio la repulsione del cibo come nutrimento di quel corpo che era stato violato, sporcato, quasi per una sorta di purificazione e di pulizia. Oltre al bere mi sono rifiutata di mangiare e nutrire il fisico: lottavo contro i miei ai quali ero invisibile se non come valvola di sfogo dei loro problemi e contro quei maledetti che mi hanno ucciso e spento la luce negli occhi e nel corpo. Ho iniziato a dimagrire tantissimo: nascondevo il cibo, usavo la bocca per vomitare invece di parlare e raccontare cosa non andava in me. Mi sentivo una puttana, odiavo il mio corpo, la pelle e più ero ossuta e più mi piacevo perché diventavo inguardabile ai miei occhi, invisibile. Non volevo più vivere. Mi lasciavo andare perché non c’era più una vita da fare, se non chiudersi in camera a studiare giorno e notte per prendere i massimi voti; non avevo stima e fiducia in me stessa, tanto ero piena di rabbia, dolore, ira. La voglia di suicidio era forte, mi vedevo grassa e non volevo più mostrarmi con quel corpo, un sorriso per ogni chilo in meno. Mi sentivo bene a perdere peso continuamente, perché così mi privavo di uno dei piaceri fondamentali della vita: dovevo solo punirmi per la figlia che non volevo essere. Avevo deciso di uccidermi. I miei genitori si accorsero di me solo quando raggiunsi i 28 chili e ancora di più a 24 chili, morente con il sondino e catetere centrale. Volevo essere lasciata stare in pace, sola perché ora c’era la paura di relazionarsi e fidarsi di un altro, di essere coccolata, di essere vicina a qualcuno, tutti piaceri che non potevo permettermi, rifiutare il corpo diventava indispensabile. Qui sono iniziati periodi di ricovero in centri specialistici. Oggi dopo i periodi di psichiatria, lotta contro la morte, sondini, sono lucida, e con fatica e dolore lotto non per morire ma per vivere. Ho capito di poter convivere con me stessa accantonando il passato e di poter vivere il presente lavorando, con l’aiuto di medici e operatrici, per recuperare me stessa, la stima e la fiducia in me, tornare a un peso accettabile per poter vivere. Ho smesso di essere giudice di me stessa e con me ho fatto pace. 57 gd anoressia Ho voluto annientarmi per punire i miei genitori Q uesta è la vera storia di Mara, ventiquattrenne lariana, nome di fantasia. Mara è riuscita a uscire dal tunnel dell’anoressia. “Sono sempre stata la classica brava ragazza, la bonacciona, la tontolona. Sono passata attraverso l’inferno dell’anoressia. Ringrazio Dio che mi ha fatto vedere come mi sarei ridotta se avessi continuato a farmi del male. Come sono finita nelle spire dell’anoressia? Tutto è iniziato con un forte malessere, ero sempre triste, mi sentivo inadeguata, grassa, eppure ero bella e corteggiata. Una ragazza di buona famiglia. Una della Como bene, che frequentava i salotti giusti, la gente giusta, i locali alla moda. Una ammirata, invidiata forse. Poi i miei si sono separati. Per me è stato uno choc, il mio mondo è andato in frantumi di colpo. Mio padre è andato in un’altra città, a vivere con una della mia stessa età. Mia madre per il dolore ha smesso di mangiare. Non potevo sopportare di vederla così. Ho iniziato a uscire sempre di più la notte, a studiare sempre meno. Frequentavo uomini facoltosi e posti da sballo, uomini più vecchi di me, dell’età di mio padre. Non sopportavo più le mie coetanee, i ragazzi della mia età non Una fame fredda, senza sosta, senza fine… A volte lo lascio cadere un attimo il pensiero di essere viva Conoscere una gioia anonima e concepirne una più pazza Consola un dolore così enorme che se tutto il giorno dilaniasse senza un istante di sollievo parrebbe ancora troppo lontana la morte Il delirio inganna il disgraziato per cui il patibolo sorride Il dondolio dell’amaca culla le teste vicinissime al Paradiso Una scogliera che esce comoda dal mare consuma l’orizzonte fragile Il marinaio non s’accorge del colpo finché è già oltre il dolore. Emily Dickinsons 58 volevo proprio più vederli. Ho iniziato a odiarmi, a sentirmi sporca e a mangiare sempre meno, a non mangiare. Gli amici mi hanno abbandonata: per me solitudine e paura…” Una breve pausa e le parole escono di getto: “È iniziato il mio soggiorno diurno alla Quercia, l’ex manicomio di Como. Ricordo una stanza con il soffitto altissimo, la vista deprimente sulla sterpaglia ed edifici fatiscenti. Attorno impazzavano urla, bestemmie, mugolii, rantoli di infermieri impazziti, pazienti aggressivi. Sara, mia vicina, fumava sempre, riaccendeva le sigarette con i mozziconi. Gliele comprava mia madre assieme ai giornali con gli anelli in regalo. La cena al refettorio era angosciante, deperivo a vista d’occhio… il mio corpo stava scomparendo e io pure. Cominciai a bere, per dimenticare, per scomparire del tutto. Finalmente si liberò un posto ad Appiano Gentile: un luogo pulito. A casa non mangiavo, mi abbuffavo al refettorio. Durante l’uscita con una bulimica mi ingozzavo di kebab, cioccolatini, patatine fritte. Lei forzava lo stomaco e in tre conati lo svuotava tutto per strada. Io no, dovevo rientrare al centro e rigettare tutto con l’aiuto di tre spazzolini diversi. Infine, grazie all’assistenza e all’amore della mia famiglia, che – nonostante la separazione mi è stata molto vicina – e del mio attuale ragazzo ho risalito la china.” donne e lavoro La calzolaia di Tonina Santi La mia amica Ersilia mi aveva incuriosito: “Sai, in via Milano ho scoperto una calzolaia molto brava e simpatica. Si è presa cura del benessere di miei piedi, facendo molta attenzione affinché le solette che mi aveva venduto mi si adattassero bene, aggiustandole e modificandole in alcuni punti. Ha speso del tempo per me. Non mi era mai capitato! Sono andata a trovarla. Non mi aveva mai vista ma mi ha accolta sorridente rendendosi subito disponibile per l’intervista”. S i chiama Daniela Manzato, ha 37 anni e svolge il mestiere di calzolaia da dodici anni. Perché ha scelto un mestiere svolto tradizionalmente dagli uomini? L’ho fatto per inserirmi nella tradizione della mia famiglia: mio padre e mio fratello sono calzolai e anche mio nonno collabora con loro. Io avevo studiato contabilità e, essendo anche femmina, ero stata destinata a seguire la contabilità dei negozi che allora gestivamo all’interno di alcuni supermercati. Ma non mi piaceva e, di mia iniziativa, ho deciso di sperimentarmi come calzolaia. Il lavoro a quel tempo era tanto e io desideravo impegnarmi nel lavoro di calzoleria, anche per aiutare i miei famigliari. Mi sembrava di dare continuità al mestiere di famiglia. Negli anni, osservando mio padre e mio fratello, il mestiere mi era entrato dentro. Avevo imparato i gesti, l’uso della fresatrice, conosciuto i materiali, le colle... Così, nelle ore di pranzo e la se- gd ra, mi cimentavo nel mestiere, prima di tutto provando sulle mie scarpe, poi cominciando ad aggiustare o cambiare un tacco, una suola, acquistando via via sempre maggiore sicurezza. Oggi mi riempie di orgoglio il fatto che discuto con mio padre di un problema di lavoro con competenza e mio padre se ne rende conto. Insomma, parliamo lo stesso linguaggio, discutiamo tra pari. Mi pare soddisfatta. Sì. Vede, il lavoro nel negozio lo vivo come una continuazione dello spazio di casa mia; non li sento separati dal mio modo di essere. Ecco, il negozio è il mio soggiorno, qui non voglio essere sbrigativa con la gente, mi piace costruire relazioni amicali coi miei clienti. Il mio bancone, per esempio, a volte è in disordine (quello di mio fratello è sempre ordinatissimo) perché voglio dedicare più tempo alle persone. Ho visto infatti che la cliente entrata prima di me le chiedeva consigli per le vacanze... Capita. Se posso, mi piace prendermi un po’ di tempo anche per queste cose. Del resto, il mio lavoro mi piace e sono particolarmente soddisfatta quando anche i miei clienti lo sono; spesso riconoscono la mia abilità e la voglia di venire incontro alle loro esigenze, perché, si sa, i clienti non sono tutti uguali. Forse è per questo che mi perdonano quando non osservo rigidamente l’orario di apertura mattutino. Io però mi scuso sempre. Siamo interrotte da una cliente a cui Daniela si dedica con affetto. “Brava!” esclama la signora uscendo col pacchetto con le scarpe aggiustate. “Vale la pena di aspettare qualche volta.” 59 gd xenofobia Siamo tutti stranieri di S. Mas. I n quest’ultimo decennio la presenza di stranieri in Italia è cresciuta in modo esponenziale passando dai 990mila del 1995 ai 3 milioni del 2005 e agli attuali 4,5 milioni. Un’aumento del 500 per cento, accelerato anche dalla caduta del muro di Berlino, che in questi ultimi quindici anni ha trasformato l’Italia da paese di emigrazione a paese di immigrazione. Un fenomeno che gli organismi internazionali considerano irreversibile e che l’Italia, a differenza di altri Paesi, si è trovata impreparata ad affrontare. è cominciata la paura che in breve tempo ha aumentato lo stato emotivo di insicurezza. Il massiccio arrivo di stranieri in cerca di occupazione, per la prima volta ha introdotto nel 60 pensare comune degli italiani la paura di sentirsi minacciati nella propria identità culturale e religiosa: dalla preoccupazione si è passati ai pregiudizi, alla intolleranza verso lo straniero ritenuto responsabile di ogni nostro problema, sia di ordine pubblico che economico. Il mondo sta assistendo a fenomeni migratori epocali che fanno ripensare allo stesso concetto di nazione e confine di Stato, istituzioni storiche e politiche fino a ieri considerate immutabili. Oggi questi concetti sono messi in discussione: i confini di Stato vengono intesi in modo dinamico e le nazioni, come entità multietniche e multiculturali in continua evoluzione. Si tratta di effetti della globalizzazione che possono essere governati solo con politiche globali, come globali sono quei 150 milioni di individui che si trovano fuori dai loro paesi di origine, sparsi per il mondo, impegnati a realizzare nuovi progetti di vita, e contemporaneamente, costretti a difendersi da pregiudizi e chiusure generati dalla paura. Un modo di pensare troppo spesso sollecitato da una politica miope che trae vantaggio da una società impaurita e insicura, all’interno della quale tutte le paure si concentrano sul rapporto di causa tra criminalità e immigrazione, tra criminalità e stranieri. Ciò che più preoccupa di queste fobie è la generalizzazione all’intera comunità cui appartiene l’immigrato che si è reso responsabile di un crimine. Se un romeno stupra una donna italiana, l’intera comunità romena viene ritenuta responsabile, almeno xenofobia moralmente; se un musulmano picchia la figlia perché indossa la minigonna, tutti i musulmani sono considerati violenti e intolleranti. Così il crimine compiuto non è più responsabilità della persona, ma della sua etnia. Effetto primo di questo modo di pensare è la xenofobia, una paura del diverso che probabilmente rappresenta il calco delle altre fobie già presenti nella nostra società. Con questo modo di pensare, anziché considerare il comportamento sbagliato del singolo immigrato come un problema da risolvere, si preferisce utilizzarlo per produrre paura riproducendola all’infinito. Un atteggiamento dal quale alcuni pensano di trarre vantaggio. Un tema, quella sulla crescita della paura verso gli immigrati, al quale è stato dedicato un intero capitolo della ricerca sulla cittadinanza, pubblicata lo scorso anno dal Consiglio Europeo. I risultati di questo studio sono molto preoccupanti. Assistiamo impotenti al diffondersi di una cultura xenofoba di massa che viene alimentata proprio dalla paura. Un fenomeno che a quanto si legge nel rapporto europeo, coinvolge il 57% degli Italiani, il 36% dei cittadini del Regno Unito, il 29% dei Tedeschi e il 21% dei Francesi. Nella vicina Svizzera poi, gli stranieri, e tra questi anche gli italiani, sono oggetto di forti discriminazioni. A dirlo è il quarto rapporto della Commissione europea contro il razzismo e l’intolleranza del Consiglio d’Europa che segnala come uno dei tanti esempi, il diverso trattamento tra svizzeri e italiani in materia di assicurazione dell’autovettura: per un italiano può costare fino al 27% del premio pagato da un cittadino elvetico. Segnali preoccupanti che, incrociati con i risultati delle ultime elezioni europee, non possono essere liquidati come una normale ricerca sociologia, ma piuttosto devono essere affrontati con politiche adeguate e con un’opera educativa continua. Così purtroppo non è. La politica ragiona su basi nazionali e si fonda sempre sul consenso di breve periodo. “Siamo in tempi di democrazia del pubblico – ha recentemente ricordato Ilvo Diamanti nel suo intervento a un convengo sulla xenofobia – regolati dai sondaggi, dai media, dalla personalizzazione. Per cui diventa difficile seguire politiche impopolari. Andare contro le paure. Se la paura è popolare si tende ad assecondarla. Anzi a esaltarla.” gd è infatti più facile produrre insicurezza e paura che eliminarle entrambi e questo perché la politica dell’insicurezza e della paura rende elettoralmente, ma nello stesso tempo impedisce di progettare la società. In Italia si sta percorrendo questa strada. Si affrontano i problemi in chiave xenofoba andando solo incontro agli istinti sociali e questo favorisce lo sviluppo di una società con la sindrome dello straniero: gli altri, i diversi, sono tutti stranieri. Con questa politica l’Italia è diventata un Paese provvisorio dove si rischia di moltiplicare le etnie, anche in modo artificioso. Questo accade perché siamo al tramonto della politica. I partiti non hanno più ideologie ne organizzazione e delegano tutto alla comunicazione personalizzata. Comportamenti che impediscono di elaborare una strategia di prospettiva. La paura che l’Italia possa diventare un paese multi etnico e multiculturale avrà nel futuro effetti negativi. Tutte le società che per paura o per scelta politica si sono chiuse al confronto con le altre culture sono miseramente fallite. 61 gd rapporti Uguaglianza negata a omosessuali e trans Privati della speranza di potersi chiamare cittadini a pieno diritto – Impunita la violenza indirizzata contro chi ha un orientamento sessuale diverso di Anna Paola Concia M artedì 13 ottobre il Parlamento italiano, bocciando la legge contro l’omofobia, ha scritto un’altra brutta pagina per il nostro Paese. Come quelle scritte dalla Camera ultimamente su argomenti che riguardano i principi fondanti di una de- 62 mocrazia. Che cosa c’è di più fondante del principio di uguaglianza? Di un principio secondo il quale non si discrimina, o peggio non si usa violenza, contro qualcuno in ragione del suo orientamento sessuale (che può essere omosessuale o eterosessuale)? Me lo chiedo e lo chiedo a tutti quei colleghi del centro-destra che col- pevolmente martedì 13 ottobre hanno affossato la legge contro l’omofobia. In realtà la pregiudiziale di costituzionalità che è stata usata per bloccare la legge era solo un escamotage tecnico per fermare una legge bipartisan, la prima di questa legislatura, che avrebbe prodotto un piccolo grande momento di pacificazione. Sono profondamente convinta della forza rivoluzionaria di un’idea di normalità dell’omosessualità. E anche se per l’Italia si tratta di un percorso ancora lungo, le istituzioni hanno il dovere di occuparsene con più forza e il Parlamento avrebbe dovuto rapporti gd dare per primo un segnale di civiltà agli italiani, permettendo a tutti di crescere culturalmente e costruire un nuovo modo di affrontare i diritti di omosessuali e transessuali nel nostro paese. C’erano stati segnali positivi che andavano in questa direzione: l’incontro tra le Associazioni trans e omosessuali e lesbiche, prima con il presidente della Camera Gianfranco Fini e poi con il ministro per le Pari Opportunità Mara Carfagna, in un clima di apertura e di ascolto che aveva fatto decisamente ben sperare. Bocciata in Parlamento la legge contro l’omofobia e la transfobia messa a punto in commissione Ma soprattutto, nell’anno in cui ho lavorato a questa legge come relatrice, insieme ai miei colleghi in Commissione Giustizia abbiamo cercato di liberare l’argomento omofobia delle strumentalizzazioni, delle ideologie, di destra e di sinistra e di guardare questo tema con occhi nuovi, tutti insieme. È stato un impegno condiviso da tutti, anche da chi era contrario a questa legge. Ma quando il provvedimento finalmente è arrivato in Aula per la prima volta nella storia, questo lavoro certosino e importante è stato vanificato dal ritorno alla propaganda politica, alla contrapposizione selvaggia tra destra e sinistra. Contrapposizione fatta sulla pelle degli omosessuali e transessuali. Lasciati fuori dalla cittadinanza, senza più alcuna Anna Paola Concia. speranza di potersi dichiarare cittadini a tutti gli effetti di questo Paese. In quella occasione è stata sconfitta la buona politica, quella che, come sostiene l’economista Irene Tinagli “sa scegliere di fare interventi legislativi che sappiano guardare più avanti di quanLa legge “Concia” che, in caso di lesioni, introduceva l’aggravante della finalità dettata dall’orientamento o dalla discriminazione sessuale della vittima (omofobia) è stata giudicata incostituzionale e non è passata. I partiti di maggioranza, alla Camera, hanno deciso di farla fallire. Anna Paola Concia (Pd), relatrice del progetto, si è fatta portavoce di un appello ai deputati di centrodestra per approvare al più presto la legge. Appello caduto nel vuoto. “Affossare la legge contro l’omofobia è stato un passo indietro per l’Italia. Per gli omosessuali è necessaria una piena protezione.” È quanto ha dichiarato l’Alto Commissario Onu per i diritti umani, Navi Pillay. to tanti cittadini sono in grado di fare e assumersi la responsabilità di scelte giuste per il futuro”. Il Popolo delle Libertà, la Lega e l’Unione di Centro con quel voto hanno negato questa possibilità. E il Partito Democratico avrebbe dovuto essere più coraggioso e difendere la buona politica. La legge contro l’omofobia e la transfobia poteva essere un primo passo, come tutte le leggi di civiltà, per cambiare la cultura italiana. Anche se, naturalmente, l’accettazione sociale non passa solo attraverso le leggi, queste sono importanti, perché stabiliscono dei principi di convivenza e di civiltà ai quali tutti dobbiamo sottostare. L’affossamento della legge contro l’omofobia e la transfobia è stato certamente un colpo duro per tante cittadine e tanti cittadini italiani che si sono sentiti traditi, defraudati o, peggio ancora, totalmente ignorati. Io comunque non demordo dalla strada della buona politica: è l’unica strada. Si può, si deve fare. Si tratta ora di riprendere il cammino e allargare il consenso intorno a una nuova cultura dei diritti civili in Italia. 63 differenze gd d g La conoscenza reciproca mette in fuga i pregiudizi L’Associazione Como Gay Lesbica punta alla creazione di momenti di incontro per costruire le condizioni per ridurre la violenza di genere “L’essere umano ha bisogno di sentirsi rassicurato. Non gli piace molto ciò che rischia di turbare le sue certezze.” C osì lo scrittore Tahar Ben Jelloun spiega il razzismo a sua figlia, descrivendo la paura conscia o meno del diverso. Paura con la quale, purtroppo, noi della Comunità Gay Lesbiche Transessuali (GLBT) ci troviamo spesso a dover fare i conti. Le reazioni omofobe, infatti, in quest’ultimo periodo si sono moltiplicate e susseguite in diversi punti della penisola. Ma cos’è l’omofobia e come si manifesta? È la paura verso le persone con orientamento omosessuale, che si traduce in attacchi violenti. Come contrastare questa violenza? Si tratta di diffondere la conoscenza e l’informazione per facilitare l’integrazione sociale di persone con differenti orientamenti sessuali. Riteniamo, infatti, che ogni forma di razzismo trovi la propria origine nella non conoscenza e mancanza di volontà verso un’integrazione che fa paura, forse per il timore che il proprio modo di vivere e i propri valori possano essere turbati. Viene impedito a livello sociale la possibilità di comunicare, conoscersi al di là del pregiudizio comune, che spinge persone omosessuali a vivere in un proprio universo. Quello che invece desideriamo, come singoli e come associazione, è un incontro costruttivo che porti a una conoscenza e comprensione reciproca che faccia accettare come normale la diversità e la varietà nell’orientamento sessuale. La realtà della provincia di Como, in cui ci troviamo a operare quotidianamente, non ha registrato episodi di violenza o intolleranza: vi è piuttosto una sorta di apparente indifferenza verso la questione omosessuale e tranSean Penn in una scena del film Milk, ispirato alla vita di Harvey Milk, politico e attivista dei diritti gay negli USA. 64 La difficile emersione nel sociale gd gd differenze I dati della violenza Gennaio 2008 - Settembre 2009 Violenze e Aggressioni 97 Omicidi 17 Estorsioni 14 Atti di bullismo 9 Atti vandalici 4 Da gennaio 2009 a oggi si sono registrati 8 omicidi, 70 violenze e aggressioni, 8 estorsioni, 7 atti vandalici. In Lombardia si sono registrati 5 omicidi, 13 violenze o aggressioni, un’estorsione, 3 atti di bullismo, un atto vandalico. L’escalation di attacchi omofobi è stata raggiunta nella settimana dal 21 ottobre 2009 al 27 ottobre, dove si sono registrate 2 aggressioni e un omicidio. GIOVEDI 21 OTTOBRE Milano, aggredito un ragazzo gay in centro, con pietre e bastoni. SABATO 23 OTTOBRE Milano, 2 ragazzi, all’uscita di una discoteca gay friendly, sono stati affiancati da una macchina, e hanno ricevuto insulti e botte da 4 ragazzi italiani. DOMENICA 26 OTTOBRE Catanzaro, ragazzo 27 enne, viene ucciso per avances omosessuali. Arrestato il colpevole. Associazione Como Gay Lesbica Il Comune di Como è omofobico? Sean Penn e Victor Garbe in una scena del film Milk. In alto: James Franco e Sean Penn. sessuale. Per gli individui omosessuali è ancora oggi difficile uscire allo scoperto, trovandosi spesso soli ad affrontare con colleghi e amici un lungo percorso difficile di emersione in una realtà che molto risente di ideologie borghesi chiuse. Per questo noi come Associazione Como Gay Lesbica (www.comogaylesbica.it), vogliamo fornire un punto di riferimento a tutte le persone gay, lesbiche, bisessuali e transessuali e un ambiente ami- chevole, che permetta di confrontarsi e condividere vissuti ed esperienze. L’assenza di locali gay o gay friendly porta a gravitare verso Milano o verso la vicina Svizzera. A Como servono luoghi di aggregazione e confronto dove si possano organizzare eventi culturali aperti all’intera cittadinanza. Associazione Como Gay Lesbica Questo è ciò che può essere dedotto dopo che l’associazione di Como Gay Lesbica, si è vista negare l’utilizzo dell’Auditorium della biblioteca di Como per la proiezione di Due Volte Genitori, un documentario che parla di tematiche omosessuali dal punto di vista dei genitori. La proiezione era stata pensata come momento di confronto, in risposta ai recenti episodi di omofobia verificatisi sul territorio nazionale. Contro questa mancata concessione dell’Amministrazione Comunale è intervenuta la deputata Chiara Braga del Pd che ha denuciato l’atteggiamento di chiusura del Comune nella lotta contro la discriminazione e l’omofobia. di chi ha orientamenti sessuali considerati devianti 65 gd musica Un talento vittima dell’invidia del marito di Gianluigi Bocelli N on evoca nulla il nome di Clara Wieck? Forse dice qualcosa invece Clara Schumann. Robert Schumann è universalmente conosciuto. Ebbene Clara Wieck Schumann, moglie del famoso compositore, fu una grande pianista e compositrice del XIX secolo, il cui talento fu in parte oscurato dalla vicinanza del marito Robert, cui si sacrificò sull’altare della famiglia borghese e della sua follia. Robert Schumann voleva divenire un virtuoso del pianoforte: a diciotto anni andò da uno dei migliori maestri di Lipsia, Friedrich Wieck. Ma poi ebbe una sorta di paralisi della mano destra, e allora addio sogni di gloria. Intanto aveva conosciuto la figlia dell’insegnante, Clara: all’epoca in cui Schumann iniziò a frequentare la casa, era una bambina di nove anni dal talento prodigioso. Il padre aveva deciso di farne il suo capolavoro didattico, così da anni l’aveva condannata ai lavori forzati sulla tastiera, una vera continua vessazione, che la opprime al punto che Clara ini66 zia a parlare solo molto tardi, in un periodo in cui rimane separata dal genitore. Da una parte c’è questa ragazzina seria e saggia, precocemente matura, dall’altra un giovane incredibilmente puerile e sognatore: tra i due si crea un’alchimia sottile e pura che diviene amore profondo. Il padre di Clara si oppone con ogni mezzo: l’unione l’avrebbe castrata e Schumann non era in grado di offrire nessuna stabilità. A nulla valse però il veto, anni di litigi e una causa legale. Nel 1840 Clara e Robert convolano a nozze. La vita degli Schumann, prima della follia di Robert, fu a tratti idilliaca. Ma il prezzo pagato fu alto, e lo pagò interamente Clara. Il marito compose per amore suo, lei col suo talento si fece alfiere di quanto lui scriveva per pianoforte divulgandolo in tournée, dandogli consigli da concertista navigata, spronando le possibilità del suo genio: è il caso del bellissimo Concerto per pianoforte e orchestra in la minore, tanto voluto da Clara, o delle Kinderszenen, regalo di fidanzamento. Schumann però soffre di depressioni, insicurezza, paranoia allucinatoria. Di qui il violento senso di inferiorità che gli provoca l’attività concertistica della moglie. Come si suol dire i pantaloni è lei a indossarli: regge la famiglia con le sue tournée poiché il marito è un critico musicale troppo gd musica timido per insegnare e dirigere. Accresce la frustrazione lo stesso equilibrio su cui si regge la coppia: lei, concreta donna di mondo, gli fa da figura materna, tutelandolo e aiutandolo nel lato pratico di ogni cosa. Tale dipendenza si manifesta in un’aspra meschinità nel giudicare le doti della moglie, sempre stroncata sebbene fosse uno dei maggiori virtuosi del tempo; in infinite ripicche e bizzarri comportamenti quando la accompagna in tournée; infine, secondo alcuni, gli otto figli che ebbero furono un espediente per indurre Clara e rinunciare ai concerti. La reazione di Clara è ambigua: figlia del suo tempo, nonostante abbia ottimi lavori all’attivo, abbandona la composizione perché “mai donna scrisse qualcosa di buono e non sarò la prima”, mentre si dedica a promuovere l’opera del marito. Allo stesso tempo però ha una volontà e un carattere irremovibili: non cede mai alle pressioni e continua i suoi concerti per tutta Europa, anche per necessità economica, con la fermezza che la contraddistingue nell’opporsi allo stesso modo ai detrattori e a un triste destino che la fa sopravvivere a buona parte della sua famiglia (marito e cinque figli la precedono). Un rivolgimento si crea allorché il ventenne Johannes Brahms bussa alla porta dei due. Nasce una grande amicizia, particolarmente intima e complice tra Clara e il giovane genio (su cui molto si è speculato). Ciò mina definitivamente la psiche di Robert che si vede abbandonato e tenta il suicidio: verrà recluso in un manicomio dove morirà due anni dopo. Clara rimane sola con figli e nipoti a carico. Com’è tipico del suo carattere non si abbatte né accetta aiuti, continua a suonare fino alla fine dei suoi giorni divenendo un pilastro fondante della tradizione musicale romantica, dedita alla famiglia che le resta e a tramandare alla storia la musica del defunto marito e di Brahms. Consigli Dischi: •Complete piano works Clara Wieck Schumann Cpo Records, 3 CD, 2001 • Complete Songs Clara Wieck Schumann Naxos, 2009 Youtube: • Clara Schumann, Piano Concerto in A minor op. 7 • Robert Schumann Piano Concerto op. 54, Martha Argerich • Clara Schumann, Variations on a theme of Robert Schumann, Cristina Ortiz. 67 gd nucleare Il segreto di Stato sui rifiuti radioattivi In Francia e in Svizzera informate le popolazioni – Il governo italiano ha reso segreti i luoghi e i Comuni dove verranno sepolte le scorie nucleari di Federico Aligi Pasquarè* È stato un autunno di rivelazioni sconcertanti sul tema delle scorie nucleari. Ha fatto il giro del mondo la notizia di una nave sul fondo del Tirreno al largo delle coste calabresi: il relitto sarebbe uno dei tanti affondati dalla malavita organizzata nell’ambito di un’attività di smaltimento illegale di rifiuti radioattivi. Forse meno nota è una recente inchiesta condotta da giornalisti francesi che hanno svelato i dettagli dello smaltimento, da parte del colosso nucleare transalpino EDF, di centinaia di tonnellate di scorie nucleari a Seversk, città siberiana dove i bidoni radioattivi sarebbe- 68 ro accatastati in un parcheggio a cielo aperto con grave rischio di contaminazione per i 30.000 residenti. Il pianificato ritorno al nucleare in Italia, con l’inevitabile strascico di polemiche e contrapposizioni, non potrà in ogni modo eludere la necessità di affrontare il ventennale problema delle 80.000 tonnellate di scorie, pesante eredità del nostro passato nucleare. Ci ha provato il Governo nell’autunno del 2003, annunciando da un giorno all’altro ai cittadini di Scanzano Jonico (Matera), che il deposito unico per lo stoccaggio di tutte le scorie nucleari italiane sarebbe stato realizzato nel loro comune, a 800 metri di profondità. È stato il modus operandi scelto dal Governo a condannare sul nascere il progetto Scanzano: si è trattato infatti di un vero e proprio black out informativo, gravato dall’assenza di qualsiasi negoziazione preventiva con la popolazione locale. La scelta di utilizzare un approccio decisionista si è rivelata tanto più miope in quanto applicata a un territorio, quello italiano, dove i conflitti ambientali sono divenuti la regola, come dimostra il reiterato “muro contro muro” fra Governo e cittadinanza sulla realizzazione della TAV in Val Susa. Spostando l’attenzione oltre confine, colpisce la diversità del nucleare modello adottato in Svizzera: la proposta di un deposito in profondità per le scorie nel Cantone Nidwaldo, sottoposta a referendum nel 1995 e nel 2002, è stata ripetutamente respinta dall’elettorato. L’opzione di un deposito in profondità non è però stata scartata ed è anzi considerata in Svizzera l’unica in grado di garantire la protezione dell’ambiente a lungo termine. La selezione dei siti geologici, come dichiarato dall’Ufficio Federale per l’Energia (UFE) deve essere “oggetto di comunicazione trasparente”, criterio al quale dichiara di ispirarsi anche la Società per l’immagazzinamento di scorie radioattive (Nagra), il cui sito web (www.nagra.ch) illustra con chiarezza ai cittadini le modalità di scelta e i dettagli tecnologici dei siti geologici di stoccaggio. Anche la maggiore produttrice europea di energia nucleare, la Francia, ha attivato da tempo le procedure per la selezione di un sito geologico che accolga i rifiuti nucleari prodotti ogni anno dai reattori transalpini. La popolazione del minuscolo villaggio di Bure, Francia orientale, sembra essere avviata a diventare la maggiore “comunità nucleare” transalpina. Geologi e ingegneri sono al lavoro da anni per testare le caratteristiche geologiche del deposito di argilla a 500 metri di profondità e monitorare un’eventuale attività sismica, che renderebbe il deposito irrealizzabile. La piccola comunità locale è divisa fra sostenitori e detrattori, gli uni attratti dagli investimenti promessi dal Governo, gli altri allarmati da possibili contaminazioni del territorio. A prescindere dall’esito del conflitto ambientale tuttora in atto, è da sottolineare il fatto che il Governo francese abbia ritenuto opportuno finanziare anni di ricerche per l’analisi della sicurezza del sito e la previsione del comportamento del deposito a lungo termine. Confrontando gd l’esempio svizzero e quello francese con il caso italiano, è evidente come nel 2003 sia mancata tanto la fase di comunicazione ai cittadini quanto quella di verifica sperimentale dell’idoneità geologica del sito, come sottolineato autorevolmente anche dal Premio Nobel Carlo Rubbia nei giorni della rivolta lucana. La vicenda Scanzano sembra però non avere insegnato nulla a chi è incaricato di gestire il ritorno del nucleare in Italia: esponenti di spicco dell’ENEL hanno infatti dichiarato che i nomi dei comuni destinati a ospitare le centrali sarebbero “ben chiusi in cassaforte”. A meno di inversioni di rotta, comunque tardive, il 2010 sarà l’anno dei conflitti ambientali da un capo all’altro della penisola. *Docente di Comunicazione Ambientale, Università degli Studi dell’Insubria, Como 69 gd in cammino Così le donne accesero le micce di Licia Badesi I l primo Congresso delle donne italiane, indetto dal Consiglio nazionale delle donne italiane, si svolse nel 1908, dal 24 al 30 aprile, e fu inaugurato in Campidoglio, alla presenza della regina Elena e del sindaco di Roma Ernesto Nathan. Ce ne parlano Luciana Capezzuoli e 70 Grazia Cappabianca nella loro Storia dell’emancipazione femminile (1964). Al Congresso parteciparono più di 1200 delegate. All’ordine del giorno furono posti temi rilevanti come quelli relativi alla istruzione, all’assistenza, alla condizione giuridica della donna, all’emigrazione. Nel discorso d’apertura della presidente del Consiglio nazio- nale, contessa Gabriella Spalletti, c’è la prudenza politica di chi sa di procedere in un terreno minato: “Il nostro femminismo non suona lotta, come molti credono; ma si adopera per l’unione fra le classi … per riunire tutte le donne che lavorano … per il trionfo delle idee, non dei partiti … La donna non ha certo la grottesca aspirazione di prendere il posto dell’uomo. Noi non vo- gd in cammino gliamo distruggere ma edificare”. E via rassicurando. Ma le proposte del Congresso erano di fatto rivoluzionarie, perché entravano nel merito della subordinazione della donna all’interno della famiglia; della discriminazione tra uomo e donna sancita dall’art. 150 del Codice Civile a proposito della fede coniugale; e per giunta poneva all’attenzione del mondo politico la questione del divorzio. Interessante anche l’auspicio che veniva formulato sulla scuola, e cioè che “nel rispetto di tutte le confessioni religiose e politiche, la scuola elementare sia assolutamente aconfessionale, e che nelle scuole superiori sia introdotto lo studio obiettivo sulle religioni in relazione alle loro finalità e alle loro conseguenze sociali”. Le donne cattoliche presentarono un ordine del giorno diverso, in cui esprimevano l’auspicio che “l’insegnamento religioso, migliorato nel modo di impartirlo, ispiri ancora l’opera educativa”. Il primo ordine del giorno ottenne millecento voti, il secondo cento. In sintesi, le proposte del Consiglio si articolarono in otto ordini del giorno relativi a istruzione, assistenza e previdenza per la maternità, ricerca della paternità, ordinamento giuridico del matrimonio, divorzio, patria potestà, tutela del lavoro femminile, diritto di voto. Era solo un inizio. Nello stesso anno, il Comitato nazionale pro suffragio indirizzava alle donne un Manifesto di protesta. Un Manifesto Il Primo Congresso delle donne italiane aveva avuto eco anche all’estero. La corrispondente di un giornale di Berlino, mise in rilievo il coraggio con cui le de- legate avevano posto sul tappeto problemi che, almeno in parte, potevano essere considerati come rivendicazioni di sinistra. Ma forse – scriveva – non se ne erano rese conto. E invece quelle delegate avevano capito benissimo che la questione investiva in pieno il rapporto di subordinazione millenario della donna all’uomo, al di là dell’appartenenza politica e di classe. E che a sinistra come a destra il buio al riguardo era fitto. Sta di fatto però, che senza una organizzazione forte e determinata, quegli ordini del giorno sarebbero rimasti inoperosi. Ma il seme era gettato. Quell’anno stesso l’Unione femminile nazionale indisse a Milano un Congresso di Attività Pratica Femminile, che affrontò quattro ordini del giorno sull’organizzazione della donna lavoratrice, sulla parità di retribuzione, sul divorzio, e sull’insegnamento Nel 1908 1° congresso delle donne italiane: “i deputati eletti da soli uomini lasceranno sussistere leggi restrittive e costumi medievali” religioso nella scuola, aderendo all’ordine del giorno sulla scuola laica. Infine il Comitato nazionale pro suffragio, redasse un Manifesto di protesta, di cui riporto qui alcuni passi: “I deputati eletti da soli uomini lasceranno ancora per troppo tempo sussistere quell’ingranaggio di leggi restrittive, di costumi medioevali, di giurisdizione antiquata, che inceppano le forze femminili e ritardano il processo civile.” L’analfabetismo è una piaga sociale, ma nessun governo, nessun parlamento si occuperà seriamente dell’educazione femminile, finché le donne non saranno elettrici. L’appello è rivolto a tutte le lavoratrici – educatrici, operaie, commercianti – che contribuiscono col loro lavoro alla vita del paese e della famiglia, perché chiedano con forza il diritto di voto, e non sopportino più l’ingiuria di essere respinte dalle urne come gli idioti e i mentecatti. L’appello si conclude con un invito preciso: “Venite dunque ad unirvi al nostro pacifico esercito, l’esercito delle donne che vogliono il voto per il bene proprio, dei figli, dell’umanità”. 71 popolazione Aborti selettivi ed eccesso di mortalità femminile aumentano lo squilibrio La guerra per le spose nel futuro dell’Asia di Chiara Rancati I n Asia mancano 100 milioni di donne: è il continente più maschio del mondo. Politiche del figlio unico, aborti selettivi, infanticidi e alta mortalità femminile fanno sì che nascano meno bambine di quanto dovrebbero, e ne muoiano di più. “Numerosi paesi asiatici hanno visto aumentare la quota di nati maschi fin dagli anni Ottanta – scrive l’antropologo francese Christophe Guilmoto in un saggio sulla demografia dell’estremo Oriente – “La discriminazione di 72 genere esisteva già prima, ma le pratiche si limitavano all’eccesso di mortalità (anche violenta) tra bambine e donne adulte. Negli ultimi vent’anni, invece, gli aborti selettivi di genere stanno emergendo come il metodo principale di discriminazione, aumentando lo squilibrio demografico.” Inizialmente diffusa soprattutto in India e Cina, nell’ultimo decennio la pratica si è estesa ad altri Paesi come Nepal, Vietnam, e alcune repubbliche ex sovietiche (Georgia, Armenia e Azerbaigian), con ripercussioni notevoli sulla struttura della popolazione, sempre più sbilanciata in favore degli uomini. Se, infatti, in un bacino demografico normale ogni 100 nate femmine ci sono 105 nati maschi, nelle aree dove si pratica l’aborto selettivo si arriva a 112-113, con picchi di 120 in alcune regioni della Cina. Squilibri che, spiega ancora Guilmoto, “avranno un impatto di lunga durata, poiché la mascolinizzazione dei nuovi nati influenzerà le generazioni per almeno un secolo”. Gli effetti numerici immediati hanno, per esempio, ripercussioni sul tasso di fertilità della popolazione: se ci sono popolazione demografico con effetti a valanga sulla stabilità sociale sempre meno donne diminuisce anche la quantità di potenziali gestanti. “È la conseguenza imprevista degli aborti selettivi, che si farà sentire almeno fino al 2070. E causerà una perdita netta stimata di 24 milioni di nati in India e 28 milioni in Cina da qui al 2050. Una cifra considerevole.” La scarsità di femmine rischia soprattutto di minare alla radice le strutture familiari della società, a cominciare dalla forma principale di relazione tra gruppi e clan: il matrimonio. “Nel 2025 ci sarà un eccesso di potenziali mariti del 22%, che si traduce in una differenza di un milione e mezzo circa nella sola Cina.” Con un effetto che potremmo defi- nire di coda, ogni anno ci saranno molti giovani uomini che non riusciranno a sposarsi; dovranno quindi cercare tra le possibili mogli dell’annata successiva, diminuendo ulteriormente le possibilità dei più giovani, e così via. In società molto rigide e tradizionali, il problema è tutt’altro che trascurabile. In Asia il numero delle donne diminuisce “Inoltre” – aggiunge Christophe Guilmoto in un altro intervento sul tema – “questo finirà anche per aumentare la domanda per i ruoli femminili in famiglia: mogli gd ma anche cognate e madri. Cosa che andrà a scapito di altre posizioni delle donne nella società, e in particolare della possibilità di scegliere il nubilato o preferire la carriera.” Le pressioni per il matrimonio finiranno per colpire l’educazione, la formazione professionale e il lavoro delle giovani incoraggiate a uscire dal mercato del lavoro. Questa lunga serie di effetti negativi non si manifesterà però in modo uniforme nei diversi strati sociali: inevitabilmente, andrà a colpire con più intensità le fasce deboli. In India, per esempio, il sistema dei matrimoni è ipergamico: le donne tendono a sposare uomini di famiglie con status leggermente superiore. Il che stimola le potenziali mogli e i loro parenti a investire consistenti risorse (come la dote) per trovare un marito di classe o condizione economica più elevata. Nella potenziale battaglia legata alla scarsità di spose, quindi, a pagare sarebbero le donne delle élite e gli uomini più poveri: le prime potrebbero non trovare mariti del proprio ceto, i secondi non riuscire ad attrarre nemmeno le nubili più povere. Disparità economiche, ma anche geografiche. “Nelle regioni più ricche, come il Punjab, gli uomini incapaci di trovare moglie tra le donne locali già oggi rispolverano l’importazione di donne dalle aree più povere. Nascono così nuove reti organizzative, di compaesani che si improvvisano agenti matrimoniali, ma a volte anche di criminali (trafficanti di donne). Con il concreto rischio” – conclude Guilmoto – “di fare emergere nuovi fenomeni di tensione tra classi legati al diritto a costruirsi una famiglia, diritto cruciale in aree dove il celibato è ancora visto come uno stigma sociale.” 73 gd quaderno di viaggio Un pavimento lucente di preziose conchiglie Illustrazioni e testo di Maya di Giulio Isola di Huahine Polinesia Francese L a strada asfaltata che costeggia la laguna di Faua Nui a Huahine diventa improvvisamente di terra mista a sabbia corallina e le alte palme fitte e lucenti lasciano il posto a una vegetazione più bassa e cespugliosa. L’inverno australe assomiglia a una calda perenne primavera in questa piccola isola della Polinesia francese e l’aria è densa di profumo inebriante di fiori. Tra folte siepi di giganteschi hibiscus saturi di colore e pic74 coli cespugli di immacolati fiori di tiarè, un piccolo sentiero sulla destra mi invita a entrare in una grande serra semiaperta. Migliaia di piante rampicanti simili a orchidee, aggrovigliate quasi a formare una piccola giungla, nascondono con tenacia sotto le flessuose foglie i loro preziosi frutti ancora acerbi: la vaniglia! Cecile sbuca all’improvviso fra gli stretti filari e mi accoglie con un sorriso generoso e un po’ sdentato accompagnandomi con calore verso la sua casa poco più avanti, pensando che io voglia fare acquisti. Polinesiana di nascita con numerose primavere sulle spalle, Cecile coltiva vaniglia da molti anni aiutata dal marito. La loro è una vita molto semplice, scandita dalle esigenze della difficile coltivazione della vaniglia; vivono in simbiosi con la natura tra noci di cocco, un piccolo orto, tre cani e la visita al piccolo paese distante una decina di chi- lometri una volta alla settimana. Oltre la siepe si sente il rumore del mare, con l’onda oceanica imponente che si frange contro la barriera corallina. Lo sguardo corre fino all’orizzonte, alla ricerca dei colori incomparabili della laguna con tutte le sfumature dei cobalti, dei turchesi, degli oltremare. Piccole palme sinuose ondeggiano al soffio leggero dell’aliseo tra fitti cespugli di tiarè, piccola gardenia simbolo di Tahiti; ogni polinesiano la coltiva nel suo giardino e le donne tutte le mattine mettono all’orecchio un piccolo fiore bianco, come fa Cecile. Mi avvicino alla sua semplice casa, qualche stanza spartana circondata da un grande portico dove, su un massiccio tavolo, sono stese centinaia di baccelli ad asciugare al sole. Mentre mi avvicino, rimango all’improvviso sbalordita e affascinata nel notare che il pavimento è fatto di conchiglie! Cipree tigrate o quaderno di viaggio dalle sfumature violacee, piccoli gioielli di porcellana giallo paglierino, create dalla natura con perizia e inventiva, conidi dai disegni che ricordano i tessuti intrecciati e mitre che offrono bagliori di colore; molte non più lucenti come un tempo ma ancora capaci di trasmettere a me, raccoglitrice di conchiglie da sempre, stupore e forti emozioni. Sono adagiate su un letto di coralli smussati dall’usura del tempo e dai toni a volte un po’ sbiaditi e risuonano del rumore del mare a ogni passo. Penso che è bellissimo poter camminare su un pavimento così insolito e unico in mezzo a questa natura così generosa. La mia attenzione è catturata da strani aculei violetti che spuntano dal mare di corallo con la loro punta arrotondata sfumata di rosa. Ne raccolgo due, sotto lo sguardo incuriosito di Cecile, sono perfettamente levigati, leggeri, grandi come una matita consumata e, se battuti leggermente, riecheggiano di un tintinnio metallico e affascinante, note straordinarie che solo la natura può offrire. Li osservo con curiosità quando Cecile mi indica di guardare dietro a una palma. Sulla sabbia c’è qualcosa di mai visto, delle forme fantastiche viola che ricordano fiori sconosciuti, ma che scopro avvicinandomi essere enormi ricci marini. Gli aculei di varie dimensioni si aprono come una corolla di petali e stami attorno al pistillo, nucleo ormai vuoto che è stato cibo prelibato. Non posso resistere, Cecile me ne offre uno, splendido testimone di un momento indimenticabile. È come se mi avesse regalato un gioiello raro, sento di possedere un piccolo tesoro. Ricambio la gentilezza con l’acquisto di una ventina di stec- gd che della sua profumatissima vaniglia e dopo il rito dell’apertura con il machete di una grossa noce di cocco per bere il delizioso succo e assaporare la tenera polpa, lascio questo luogo da favola con il mio prezioso carico di emozioni e riprendo la strada alla scoperta di questo gioiello di isola che galleggia nel mezzo dell’Oceano Pacifico. 75 gd quaderno di viaggio Slow travel, viaggiare con il cuore e la matita I di M. di G. l carnet di viaggio fu utilizzato a partire dal XVI-XVII secolo da artisti illustri e non, botanici, naturalisti, architetti o semplici viaggiatori desiderosi di raccontare o tenere in memoria le proprie esperienze e suggestioni di viaggio. Sono una sorta di diario figurato con disegni, schizzi, acquerelli, mappe, collage di materiali significativi, arricchito da note personali o descrittive. Questo “genere letterario e artistico” negli ultimi anni gode di rinnovato interesse soprattutto in Francia. A Clermont Ferrand, ogni anno a metà novembre centinaia di appassionati “carnettisti” danno vita alla Biennale del Carnet di Viaggio, appuntamento diventato ormai annuale per il grande successo riscontrato. Qualche anno fa ho scoperto che questo mondo era il mio mondo. Infatti sono sempre tornata dai miei viaggi carica di libriccini non solo corredati di schizzi e disegni ma 76 anche di materiali vari che ricordavano il mio passaggio in quel luogo: scontrini, biglietti, ricevute, etichette, fiori poco conosciuti seccati nelle pagine delle mie guide, persino la pelle della muta di un serpente mamba o i semi dei grandi baobab del deserto del Kalahari. La mia esperienza di ex-insegnante di disegno e di accompagnatrice di gruppi in viaggio verso mete più o meno avventurose, mi ha suggerito di provare a trasmettere questa mia passione per il carnet. Nasce così il primo stage italiano di Carnet di viaggio che ho organizzato nel marzo 2008 a Marrakech, presso il centro di creazione artistica della città. Una settimana di esplorazione della città con nuovi occhi: imparare a osservare, soffermarsi sui particolari, vivere le emozioni e trasferirle sulla carta. L’obiettivo è quello di essere più viaggiatori e meno turisti, in un viaggio lento alla scoperta della vera essenza del luogo. Vivendo un’esperienza emozionante con gli stessi obiettivi e interessi, si crea tra i partecipanti un’energia molto forte che rende possibile la realizzazione di opere davvero particolari e creative. Maya Di Giulio propone uno stage di Carnet di Viaggio a Marrakech rivolto anche a chi sta muovendo i primi passi nel disegno e nella pittura ad acquerello. Le date proposte sono tre: Dal 6 al 13 Marzo, dal 25 aprile al 2 maggio, dal 23 al 30 ottobre 2010. Il costo si aggira sui 100 € al giorno circa (700 € la settimana) a mezza pensione, escluso il volo (Low Cost, circa 100 €). Richiedere il programma dettagliato. Sconti per gli associati del Senato delle Donne e lettori di Geniodonna. Chi fosse interessato a seguire corsi settimanali a Como o Milano la contatti direttamente allo 031571500 [email protected] gd arte eventi Sculture di luce in un salotto di ricerca Lugano, la Mya Lurgo Gallery per appuntamenti d’arte di Idapaola Sozzani A ffacciata su Piazza della Riforma, il salotto di Lugano, nello storico stabile del “Federale”, la Galleria di Mya Lurgo è diventata un punto di riferimento per eventi artistici e iniziative culturali della città ticinese. Profilo affilato in perenne ricerca di idee, Maria Grazia Lurgo ci parla dello spazio espositivo. Da quanto tempo, Mya, ti occupi di arte ed eventi culturali? Da circa sei anni. La galleria attuale è solo l’ultima delle mie invenzioni: prima di aprire nel 2007 questo atelier d’arte in centro Lugano mi ero già inventata due spazi espositivi: nel 2004 ho inaugurato l’atelier MyArtDeco Creative Box a LuganoCassarate e in seguito l’Artville Bistrot, uno spazio d’arte, moda e spettacolo dedicato ai Live Art e all’Action Painting, che presentava per lo più opere di espressionismo astratto. Quali attività si svolgono nella sua galleria? Fin dall’apertura nel 2007 le tre sale espositive sono state adibite a installazioni artistiche e mostre che cambiano ogni mese, in collaborazione con artisti, curatori e critici di respiro internazionale. L’interesse espositivo è di preferenza rivolto alla Light-Art (quadri e sculture di luce), alla Digital-Art e alle video installazioni. Periodicamente la Galleria si presta a collaborazioni collegiali con gallerie internazionali, con lo scopo di muovere l’arte dentro e fuori il Ticino. L’atelier è anche un’officina di ricerca artistica e la sede di workshop per addetti ai lavori. A margine della mia attività “canonica” di gallerista, c’è Il Gallery Club: un circolo liberamente frequentabile che riunisce in galleria animi sensibili all’Arte in tutte le sue declinazioni. Teniamo settimanalmente un salotto culturale del giovedì sera che riserva sempre sorprese e incontri diversi, con pubblico ticinese e italiano che ci dimostra di gradire molto le proposte di musica ricercata e vi- deo arte o i monologhi teatrali e gli interventi musicali dei vari artisti e cantautori che riusciamo a coinvolgere. Facciamo anche reading di poesia e letteratura, cineforum con film d’autore, tavole rotonde di argomento filosofico e presentazione di libri. Da dove è partita, Mya, la tua attività di gallerista? La galleria è nata dalla mia attività di pittrice; ho all’attivo una trentina di mostre personali e collettive fra Lugano e l’Italia, con una presenza alla Biennale di Venezia nel 2007. Con la mia prima maternità nel 1999 e l’allontanamento temporaneo dal lavoro ho maturato l’esigenza di vivere pienamente la mia responsabilità artistica verso me stessa e ho abbandonato l’attività di terapeuta sportivo. Le mie ultime piste di ricerca sono Yoga e Pirobazia (arte di camminare sui carboni ardenti ndr) e l’ispirazione all’Immateriale di Ives Klein, come delineato nel suo Manifesto Chelsea Hotel di New York del 1961. Ripercorrendo i suoi sentieri verso il trascendente nel 2007 ho pubblicato il mio manifesto artistico: Acentrismo, dal sogno dell’ego alla Divina Realtà, edito da Bellati Editore, una filosofia tesa al decentramento programmatico. Autoritratto. Mya_Lurgo_Gallery www.myalurgo.ch Tel. 004191 9118809 77 corsi e seminari FEDERAZIONE ASSOCIAZIONI FEMMINILI TICINO Il viaggio delle pari opportunità Il Senato delle Donne e la FAFT (Federazione Associazioni Femminili Ticino) editori del mensile Geniodonna, organizzano corsi e seminari. Ecco il programma della stagione invernale. CORSO DI LINGUA ARABA CORSO DI INFORMATICA Introduzione alla scrittura e alla lettura Conoscere l’arabo? Avvicinarsi a una cultura diversa? Leggere le Mille e una notte o una poesia? Si tratta di due corsi: si inizierà non appena raggiunto il numero minimo di iscrizione. I due corsi si tengono: il primo (è appena iniziato) il martedì dalle ore 20 alle ore 22, il secondo (partirà a gennaio) il venerdì con lo stesso orario. I corsi termineranno entro la metà di giugno e si concluderanno con la consegna di un attestato. Il costo orario del corso è di 9 euro per gli iscritti, 12 euro per gli altri (ogni lezione è di due ore): il pagamento è mensile anticipato. Per acquisire nuove conoscenze professionali: 1) Corso d’informatica di primo livello 12 lezioni di 2 ore ciascuna nelle giornate di martedì e giovedì dalle 17.30 alle 19.30 Obiettivi del corso sono: la conoscenza base dell’hardware, l’acquisizione di base del sistema operativo Windows XP, l’acquisizione di base dell’utilizzo Pacchetto-Office, in particolare Word, l’utilizzo della posta elettronica, di Internet , di portali e motori di ricerca. 2) Corso di informatica di secondo livello: acquisizione delle competenze necessarie per la creazione di documenti professionali quali report, lettere, business-plan; condivisione delle informazioni attraverso posta elettronica; stampa su carta e pubblicazione sul Web. Si tratta di 10 lezioni di 2 ore ciascuna che si svolgeranno in orari dalle 17.30 alle 19.30 nelle giornate di mercoledì e venerdì. Entrambi i corsi saranno tenuti dall’insegnante di informatica Anna Morello, presso l’Istituto Pessina di Como. I corsi inizieranno a raggiungimento del numero minimo di iscritti. ESSERE GENITORI OGGI Le pari opportunità si costruiscono fin dall’infanzia con una educazione nuova e moderna. Ecco il fine del corso “Essere genitori oggi”: si tratta di una serie di incontri tenuti da Clara Debiasi, educatrice e da Roberta Marzorati, medico pediatra che hanno grande esperienza in materia. La finalità è quella di rafforzare la consapevolezza e la competenza dei genitori, rispetto ai bisogni dei loro bambini. Verranno trattati i seguenti argomenti • Bambino e ambiente • Genitorialità e fisicità • Inserimento del bambino nell’asilo • Stress del bambino che frequenta il nido. Il corso inizierà a marzo 2010. ESPRESSIONE PITTORICA Un viaggio nel mondo dei rapporti uomo/donna dal punto di vista psicologico e artistico. Si tratterà di una serie di quattro incontri di espressione pittorica di un’ora e mezza ogni martedì dalle 18 alle 19.30: attraverso tecniche di disegno congeniali ai partecipanti si analizzeranno gli archetipi femminili e maschili. Il corso è tenuto da Yolande Guillet, artista diplomata a Brera, arte-terapeuta e maestra di acquerello. Costi: 24 euro a incontro per i soci, 36 euro per gli altri. Le iscrizioni a tutti i corsi sono aperte da ora fino al 31 gennaio. Info tel. ++39.031. 2499829 dal lunedì al venerdì dalle ore 14.30 alle 19.00, oppure recarsi presso la sede della redazione Geniodonna in viale G. Cesare, 7 a Como o nella redazione di Massagno c/o FAFT in via Foletti, 23. 78 FEDERAZIONE ASSOCIAZIONI FEMMINILI TICINO corsi e seminari Il mensile cerca i suoi lettori La corsa dell’oro. Siamo come i cercatori d’oro. Stiamo cercando i nostri lettori che ci danno molti segni di affetto e di gradire il nostro mensile. Vogliamo unirli strettamente alla nostra impresa. L’impresa. Non è solo quella di partorire questa pubblicazione, ma quella di convincere della necessità della parità fra donne e uomini, parità non su schemi maschili ma su modelli che nascano dal genio femminile. Neonato di quattro mesi. Siamo al quarto numero, abbiamo la stessa età di un neonato di quattro mesi. L’accoglienza che abbiamo registrato è incoraggiante: è stata apprezzata la novità del formato, della grafica ma soprattutto la novità del fine che ci muove. Un’urgenza chiarissima. Vi è l’assoluta urgenza che le donne avanzino in tutti i luoghi, dal lavoro dove devono avere trattamenti re- tributivi uguali a quelli dei maschi, ai posti di guida e responsabilità nelle amministrazioni pubbliche, nelle banche, nelle aziende, nei governi. Discriminazioni antieconomiche. Non si possono avere ancora discriminazioni e menomazioni dei diritti delle donne: è un danno al pieno sviluppo anche economico delle comunità e alla giusta distribuzione delle risorse. Durare nel tempo. Per questo cerchiamo di avere il sostegno delle nostre lettrici e dei nostri lettori. Una nuova cultura nasce dallo sforzo delle donne e dalle adesioni di uomini che capiscano le parole di rinnovamento delle loro mogli, madri, sorelle, amiche. Noi parliamo di questo e terremo vivo questo progetto con il vostro aiuto. Abbiamo quattro mesi, ma speriamo di durare nel tempo per il tempo necessario. Questo è l’obbiettivo: durare nel tempo per il tempo necessario Ecco come fare per abbonarsi al giornale e riceverlo a casa Per la Svizzera sottoscrivi un abbonamento comunicando i tuoi dati (indirizzo completo) a: FAFT, via Foletti 23, 6900 Massagno oppure [email protected] Il pagamento di fr. 50.- per l’abbonamento annuale 2010 è da effettuare sul numero di conto: ccp 69-7175-8 Per il comprensorio comasco, inviate il vostro recapito a: Geniodonna, viale G. 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Info: Redazione Geniodonna tel. +39 031 2759236 - E-mail:[email protected] Questo è un numero speciale: buone Feste! 79 TICINO: LA CARTA DEGLI ASILI E DEI COSTI Asilo nido LOCALITàPOSTI TARIFFE ORARI Mendrisio Chiasso Chiasso Chiasso Rancate Coldrerio 40 44 40 15 25 23 da fr. 25 a fr. 140 al giorno* da fr. 525.-* da fr. 600.- fr. 800.- da fr. 500.- a fr. 800.-* da fr. 1.80 a fr. 15.- all’ora* 7.00-18.30 6.30-18.301 6.50-19.00 7.00-18.00 6.45-19.00 7.00-19.00 Lugano Lugano Massagno Viganello Lugano Breganzona Cagiallo Massagno Melano Taverne Bioggio Lugano Vezia Grancia Massagno Lugano Lugano Comano Savosa Lugano Pambio-Noranco Lugano Manno 23 34 24 40 45 55 12 36 20 29 34 24 40 25 33 45 18 19 32 25 30 18 18 fr. 1.100.- fr. 1.000.- fr. 1.200.- fr. 1.150 da fr. 25 al giorno* fr. 1.100.- fr. 900.- fr. 950.- fr. 8 all’ora (min. 12 ore settim.) fr. 950.- fr. 1.200.- fr. 950.- fr. 1.200.- fr. 1.000.- fr. 1.100.- da fr. 25.- al giorno3* da fr. 25.- al giorno3* fr. 55._ al giorno4* fr. 960.- fr. 1.100 fr. 1.200.- da fr. 25.- al giorno3* fr. 57.- al giorno5* 7.00-19.00 7.30-18.00 7.30-18.30 7.30-18.30 6.45-18.30 6.30-19.00 8.00-14.30 7.30-18.00 7.00-19.00 7.30-18.30 7.30-18.30 7.30-18.30 7.30-18.30 7.00-19.00 7.00-19.00 7.00-19.00 7.00-19.00 8.00-18.00 8.00-18.00 7.30-18.30 7.00-18.00 7.00-19.00 7.45-18.15 Solduno Locarno Locarno Muralto Minusio Locarno Gordola Losone 22 53 13 30 25 24 19 30 da fr. 130.- mensili6* da fr. 25.- a fr. 80._ al giorno fr. 480.- fr. 1.100.- fr. 900.- fr.. 890.- fr. 1.140.- fr.. 600.-* 8.30-16.30 6.30-18.30 8.00-12.00 7.30-18.30 6.45-18.00 6.30-18.30 7.00-19.00 6.30-19.00 Bellinzona Bellinzona Bellinzona Bellinzona Castione Giubiasco Giubiasco 18 15 50 15 16 15 26 fr. 975.-7* fr. 900.- fr. 525.-* fr. 938.- fr. 950.- fr. 800.- fr. 1.100.- 6.45-19.00 7.00-19.00 7.00-18.00 7.30-18.30 7.30-18.00 7.30-18.00 7.30-18.00 Bodio 14 fr. 850.- 8.00-18.00 Mendrisiotto Asilo nido comunale Casa del sorriso Coccolo Il Girasole La casa sull’albero Nido dello Scoiattolo Luganese Abaco Arcobaleno Casa Bimbi Casa dell’Infanzia Centro Infanzia Arnaboldi Culla Baby Star Giardino d’Infanzia Girotondo Happy Children2 Il Cactus Il Delfino La Casa di Pinocchio La Coccinella La Corte dei bambini Mini Centro Grancia Multispazio Eccolo Nido d’infanzia Baroffio Nido d’infanzia Molino Nuovo Oasi della gioa (RSI) Peter Pan Piccoli Passi Primi Passi Ibsa Ronchetto Supsi nido Locarnese Asilo nido al Boschetto Asilo nido comunale Bucaneve Il Cucciolo L’Arca dei bambini Le Coccinelle Mini-Nido Yoghi Bellinzonese Il Bianconiglio Il castello dei bimbi Casa San Marco Fantasilandia Latte e Miele Baby’s House L’Ape Maia Leventina Il Carillon 80 Note. La tariffa mensile o giornaliera, si riferisce a un orario pieno, 5 giorni alla settimana, dal lunedì al venerdì. Le tariffe con l’asterisco (*) sono in base al reddito. 1Per esigenze particolari dei genitori, la chiusura è posticipata alle 21. 2Asilo nido in lingua inglese dai 2 anni in su. 3Per il tempo pieno fr. 19.- al giorno fino a 5 ore. 4Retta per dipendenti (per presenze giornaliere inferiori a 5 ore: fr. 35.-). I genitori non dipendenti pagano un supplemento del 20%. 5Retta per i dipendenti, pasti inclusi (mezza giornata: fr. 30.-). Gli studenti pagano fr. 200.- indipendentemente dal tipo di frequenza. La retta per le famiglie esterne è di fr. 82.- (pasti inclusi) e fr. 45.- per la mezza giornata. 6Tariffa per due mezze giornate alla settimana, pranzi esclusi. Con i due pranzi, la tariffa parte da fr. 230.- mensili. 7Per 8 ore e trenta e per bambini dai 12 mesi in su, pasti esclusi. Per bimbi da 0 a 12 mesi la retta mensile è di fr. 1.170.- Ogni ora supplementare costa rispettivamente fr. 5.70 e fr. 6.90 (Fonte: asili nido, Ufag e Infofamiglie).