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Capitali coraggiosi Courageous Capitals
4 Global arcVision 29 Glob IT-ing_x CTPLastra 12/12/13 10:44 Pagina 4 Capitali coraggiosi Courageous Capitals di Guido Corbetta* by Guido Corbetta* L’attenzione crescente dedicata alle IF da parte delle istituzioni, degli accademici e della classe dirigente è la conseguenza naturale della loro massiccia presenza in Italia e altrove The increasing attention paid to FBs by institutions, scholars and policy makers is a natural consequence of their massive presence in Italy and elsewhere Guido Corbetta Grandi aziende familiari. Un antico modello di organizzazione per il nuovo capitalismo del futuro. Coincidenza di interessi di proprietari, dirigenti e dipendenti, maggiori opportunità di creatività e partecipazione, comunanza di valori etici, leadership stabile, forte identità e una visione condivisa, sono tutti fattori che contribuiscono a rafforzare il vantaggio competitivo anche in tempi di crisi economica e la prospettiva a lungo termine del business. Large family businesses. An ancient organization model for the new capitalism of the future. A pooling of owner, manager and employee interests, greater opportunities for creativity and engagement, common ethical values, stable leadership, a strong identity and a shared vision: all factors that help to strengthen a company’s competitive edge even in an economic crisis, and its long-term business outlook. N el 2009, dopo oltre tre decenni di ricerche e di dibattito pubblico sull’importanza delle imprese di famiglia (IF), la Commissione UE propose una definizione dell’IF. Un’azienda è un’impresa di famiglia se: • la maggioranza dei diritti decisionali è detenuta dal fondatore (o da chi ha acquistato la società) o dal suo coniuge, oppure da genitori, figli o discendenti diretti dei figli; • almeno un rappresentante della famiglia è coinvolto nella governance dell’impresa; • le imprese quotate sono da considerarsi IF se gli imprenditori o i loro discendenti detengono il 25% dei diritti decisionali. Tale definizione della Commissione è particolarmente significativa in quanto è la prima volta che un’istituzione sovranazionale riconosce l’importanza dell’accordare piena legittimità alle IF, oltre alla necessità di identificare criteri comunemente accettati per identificare tali imprese. La sempre maggiore attenzione alle IF tra le istituzioni, gli accademici e la classe dirigente è la naturale conseguenza della loro massiccia presenza nel mondo. Secondo un’analisi sulla presenza delle IF tra i Paesi G20, il peso di queste aziende è di importanza eccezionale in tutte le economie avanzate. La presenza delle IF rappresenta tra il 65% – 67% rispettivamente nel Regno Unito e in Australia, il 79% in Germania, l’82% in Italia, l’83% in Francia e il 90% in Turchia. Le IF sono ampiamente presenti anche in Paesi come gli Usa (80-90% dell’intera popolazione delle aziende e il 50% della graduatoria Fortune 1000), spesso indicati come un’economia orientata al mercato meno familiare. Le IF hanno un peso particolarmente alto nel Medio Oriente, in Brasile, nei Paesi Asiatici e in altri Paesi latino-americani. Alcuni dati sulle aziende di famiglia in Italia L’Osservatorio AUB italiano costituisce la fonte più articolata di informazioni su tutte le IF medie e grandi in Italia1. Secondo i dati AUB, il 58% di tutte le imprese medio-grandi italiane sono a controllo familiare. Il numero comprende sia le imprese quotate in Borsa, il 4% dell’intera popolazione, che quelle non quotate. Anche se numericamente la loro presenza è limitata2, le IF quotate generano il 27,9% del fatturato complessivo di tutte le imprese prese in considerazione dall’Osservatorio. I dati AUB indicano che le IF hanno conosciuto una crescita solida negli ultimi dieci anni, a tassi in ogni caso maggiori rispetto a quelli delle imprese non a controllo familiare, una redditività più alta, e hanno creato maggiore occupazione, con un aumento complessivo del numero dei dipendenti del 6,5% nel periodo 2007-2011. Per quanto riguarda il modello di leadership, le evidenze provenienti dall’Italia mettono in discussione le tesi di chi sostiene la necessità di una maggiore “professionalizzazione” del management. La leadership familiare, infatti, sembra produrre benefici per l’IF, in termini sia di redditività sia di crescita. Alcuni dati, invece, confermano la resistenza delle IF a un’apertura della propria struttura di governance e leadership: • nel 34,1% dei casi i consiglieri delle IF medio-grandi sono esclusivamente della famiglia; • la presenza delle donne a capo delle aziende familiari è passata solo dall’8,8% nel 2000 al 9,1% nel 2010, mentre la percentuale di consiglieri donne è aumentata dal 17,6% nel 2000 al 18,5% nel 2010. Sembra che il dibattito sul tema donna degli anni recenti non abbia portato affatto a cambiamenti significativi, anche se la presenza delle donne come consiglieri o leader può migliorare le prestazioni; • mentre i leader aziendali di età inferiore ai 50 anni sembrano produrre andamenti migliori in termini sia di redditività che di crescita dei ricavi, i leader con 60 anni e più sembrano aver un impatto negativo sull’andamento, indicando una “resistenza” alla crescita, il che è naturale per chi è vicino all’età della pensione (risultati simili si rilevano osservando la durata in carica dei leader); arcVision 29 Glob IT-ing_x CTPLastra 12/12/13 10:44 Pagina 5 in IF gestite dai fondatori, al pari dei rischi che potrebbero sorgere da eventuali conflitti all’interno della famiglia man mano che aumenta il numero di generazioni e proprietari. • tendenze simili si osservano tra i fondatori delle IF, a dimostrazione del fatto che l’età anagrafica è un indicatore importante dell’andamento dell’azienda. In sintesi, anche se è indubbio che una certa esperienza porta benefici, “troppa” esperienza porta a un’inerzia strategica che può compromettere l’andamento dell’azienda. Altre evidenze forniscono quello che con ogni probabilità costituisce la prima prova empirica di un vecchio detto secondo il quale “la prima generazione crea, la seconda mantiene e la terza distrugge”. Secondo i dati AUB, nell’ultimo decennio le IF di prima generazione hanno riportato risultati significativamente migliori, in termini sia di redditività che di crescita. Tali risultati positivi spariscono nelle IF di seconda generazione, e diventano negativi nelle IF di terza generazione. Tutto questo sottolinea, ancora una volta, l’importanza di un forte “spirito imprenditoriale”, che è naturalmente più marcato Qualche raffronto internazionale Come abbiamo visto, è significativa in tutto il mondo la presenza delle IF. Se si confrontano le IF italiane con quelle di altri Paesi, si notano le seguenti differenze di base: • In genere le IF italiane sono più piccole. Anche al recente congresso annuale della Family Business Network – la rete di quasi 4.000 IF nel mondo organizzato quest’anno a Rio – molte IF attive in Nord America, Asia e America Latina hanno ricavi per oltre 2 miliardi di euro. In Italia solo 20 imprese superano tale soglia. Il fenomeno è legato ad alcuni fattori culturali che non solo favoriscono imprese di dimensioni minori (il che spiega perché in molti casi un’impresa si divide in due o tre società più piccole), ma alimentano un rilevante scetticismo per quanto riguarda un’eventuale offerta pubblica iniziale (uno strumento importante per reperire le risorse finanziarie necessarie per raggiungere una dimensione significativa) e rallentano lo sviluppo di processi e di sistemi di reporting gestionale che faciliterebbero l’amministrazione di un’impresa grande. • Le IF italiane tendono ad avere una struttura di proprietà meno concentrata. In molti paesi esteri esistono IF con dozzine di proprietari, in alcuni casi – Mulliez in Francia o Haniel in Germania – addirittura centinaia. Tale fenomeno, a prescindere dalla differenza nel tasso di natalità di alcuni Paesi, è collegato alla questione delle dimensioni. Da una parte, è difficile sviluppare imprese di dimensioni grandi, perché gli eredi preferiscono avviare società autonome (come nei casi delle famiglie Merloni e Riello: se tutti gli eredi dei fondatori fossero rimasti insieme, i ricavi consolidati sarebbero stati almeno il triplo di quelli delle singole società attuali); dall’altra parte, se le dimensioni dell’impresa non aumentano in modo rilevante, prima o poi non sarà più possibile compensare il numero crescente di membri della famiglia. Di conseguenza, alcuni membri preferiranno andarsene, con una riduzione inevitabile delle disponibilità per sostenere lo sviluppo dell’impresa. La rarità in Italia di grandi famiglie di controllo si spiega, infine, con la difficoltà di sviluppo di sistemi e processi per la gestione di grandi strutture di proprietà. Gli strumenti come gli accordi di famiglia, i consigli di famiglia, le regole per l’avvicendamento generazionale – che aiutano molte famiglie imprenditoriali non italiane a conservare la propria unità – sono poco diffusi in Italia. • Le IF italiane di solito sono meno diversificate. Ci sono diverse spiegazioni per questo. In primo luogo, sono importanti i fenomeni illustrati sopra di divisione dei beni tra i membri della famiglia: tutti preferiscono condurre le proprie attività in modo indipendente, anziché sotto l’“ombrello” comune di una holding diversificata controllata da tutti i membri della famiglia. In secondo luogo, almeno rispetto ad alcuni Paesi, il numero basso di grandi gruppi diversificati si può anche spiegare in termini di un mercato più funzionale: in alcuni Paesi (ad esempio, in Asia, nel Medio Oriente o nell’America Latina) le famiglie fanno da contrappeso alle inefficienze dei mercati finanziari e del lavoro. 5 arcVision 29 Glob IT-ing_x CTPLastra 12/12/13 10:44 Pagina 6 6 Osservazioni conclusive La longevità delle IF è fortemente condizionata dalla qualità dei proprietari. Date le proprie preferenze personali, i diversi membri di una famiglia possono avere orientamenti divergenti riguardo ai rischi, alla remunerazione, alla disponibilità a continuare a investire nell’impresa di famiglia. Inoltre, mentre alcuni proprietari possono considerare prioritari la redditività e la crescita, altri magari attribuiscono maggiore importanza a obiettivi come la sicurezza dell’impiego, la continuità della dinastia familiare, la legittimità all’interno della comunità locale. Tenendo presenti tutti questi equilibri, la collaborazione tra gli azionisti sembra essere la strada privilegiata per enfatizzare i punti di forza della proprietà di famiglia; altrimenti, le debolezze e le “trappole” sembrano inevitabili. Gli stessi punti di forza della proprietà familiare possono trasformarsi in debolezze, persino appunto in “trappole”, se i valori familiari vengono interpretati in modo erroneo. Tali trappole si possono evitare seguendo certi valori e best practices. Innanzitutto la famiglia deve assolutamente riconoscere il valore dell’azienda come una “istituzione privata che va gestita come un bene pubblico”. Poi, i membri della famiglia dovrebbero investire tempo e impegno per facilitare la comunicazione efficace tra di loro, evitando gelosie, malintesi e piccoli conflitti. Inoltre, le IF necessitano di un sistema rigoroso di governance della famiglia, con regole meritocratiche per disciplinare la successione alla leadership e l’assunzione dei membri della famiglia. Infine, le IF dovrebbero sviluppare una corporate governance professionale e una strategia disciplinata, senza sprecare risorse in progetti la cui motivazione non è la creazione di valore per l’azienda e per la famiglia. Se le famiglie imprenditoriali italiane saranno in grado di rispettare tutti questi valori e best practices, in futuro magari avremo un numero maggiore di IF di grandi dimensioni. * Guido Corbetta è professore ordinario di Strategia aziendale e titolare della cattedra AIdAF-Alberto Falck di Strategia delle aziende familiari all’Università Bocconi di Milano. La cattedra AIdAF-Alberto Falck è la prima sponsorizzata nella storia della Bocconi. Corbetta è stato direttore della Bocconi Graduate School (2005-2010). Lavora nel campo dell’azienda familiare dal 1988, come ricercatore, consulente e consigliere. È direttore scientifico dell’Osservatorio AUB (AIdAF-UnicreditCamera di Commercio di MilanoUniversità Bocconi) che riunisce oltre 3.000 imprese familiari italiane con un fatturato superiore ai 50 milioni di euro. È l’autore con Carlo Salvato del volume Strategies for longevity in family firms. A European perspective, Palgrave, 2012. Note 1. Lanciato nel 2009 e attualmente alla quinta edizione, l’Osservatorio comprende tutte le imprese a controllo familiare con ricavi superiori ai € 50 milioni nello scorso esercizio. L’Osservatorio è sostenuto dall’Associazione Italiana delle Aziende Familiari (AIdAF), dall’Unicredit, dalla Camera di Commercio di Milano e dall’Università Bocconi. 2. L’Osservatorio AUB monitora 112 imprese familiari quotate in borsa. Complessivamente la Borsa italiana comprende circa 240 aziende industriali. arcVision 29 Glob IT-ing_x CTPLastra 12/12/13 10:44 Pagina 7 I n 2009, after more than three decades of research and public debate on the importance of family businesses (FBs), the EU Commission proposed a definition of FBs. A company is a family business if: • The majority of decision-making rights is in the possession of the founder (or of who has/have acquired the company) or of his/her spouse, parents, child or children’s direct heirs. • At least one representative of the family is involved in the governance of the firm. • Listed companies meet the definition of FB if the entrepreneurs or their descendants possess 25% of the decision-making rights. This definition is particularly relevant since for the first time a supra-national institution recognized the importance of giving full legitimacy to FBs, as well as the need to identify commonly accepted criteria to identify those firms. The increasing attention to FBs by institutions, scholars and policy makers is a natural consequence of their massive presence worldwide. An analysis of FBs’ presence among the G20 countries shows that their weight is of exceptional importance to all the most developed economies. In the countries for which data are available, FBs’ presence ranges between 65% and 67% in UK and Australia, respectively, 79% in Germany, 82% in Italy, 83% in France, and 90% in Turkey. FBs are also largely represented in countries such as the US (80-90% of the whole population of firms and 50% of Fortune 1000), which are often characterized as a market-oriented, less familial economy. The weight of FBs is particularly large in the Middle East, Brazil, and in Asian and other Latin-American countries. Some data on family businesses in Italy The Italian AUB Observatory represents the most comprehensive source of information on all the medium and large sized FBs in Italy1. According to AUB data, 58% of all medium-to-large Italian firms are family controlled. Those figures include both private and listed companies, which account for 4.0% of the entire population. Although their presence is limited in number2, listed FBs generate a significant 27.9% of the total turnover of all the firms considered in the Observatory. AUB data show how family firms experienced a solid growth over the past ten years, with growth rates always exceeding those of non-family peers, higher profitability, and increase of employment opportunities with an overall +6.5% of employees in the 2007-2011 period. With respect to the leadership model, evidence from Italy challenges arguments by advocates of a greater “professionalization” of management. Leadership by a family manager seems to be largely beneficial for FBs’ performance, both in terms of profitability and growth. In contrast, some data confirm the resistance of FBs to open their governance and leadership structure; • 34.1% of these medium and large FBs have only family directors; • the presence of women at the head of family firms has increased only from 8.8% of cases in 2000 to 9.1% in 2010, while the percentage of women directors in boards changed from 17.6% in 2000 to 18.5% in 2010. It seems that the intense debate in recent years is far from producing significant changes, although the presence of women as board members or leaders may produce better performance; • while firm leaders with less than 50 years appear to have higher performance both in terms of profitability and revenue growth, older leaders (60+) seem to have a negative impact on performance, mostly denoting a “resistance” to growth, which is natural for executives close to retirement (similar results emerge when observing the leaders’ tenure in office); • similar patterns apply to FBs’ founders, showing that age is an important predictor of firm performance. In short, while there is no doubt that some experience helps, “too much” experience determines strategic inertia that may ultimately lead to inferior firm performance. Additional evidence provides what is probably the first empirical test of an old adage according to which “the first generation creates, the second maintains and the third destroys”. According to the AUB data, first generation FBs showed in the past decade significantly higher results both in terms of profitability and growth. Such positive results disappear in second generation FBs, turning into negative in third generation FBs. These results emphasize once again the importance of a strong “entrepreneurial spirit”, which is naturally higher in 7 arcVision 29 Glob IT-ing_x CTPLastra 12/12/13 10:44 Pagina 8 8 founder-managed FBs, as well as the risks associated with within-family conflicts as the number of generations and of owners increase. Some international comparisons As we have seen, the presence of FBs is significant worldwide. Comparing the Italian FBs with those of other countries, the basic elements of difference are as follows: • Italian family firms are typically smaller in size. Even during the recent 2013 annual conference of the Family Business Network—the organization that joins nearly 4,000 FBs in the world—held in Rio, it became apparent that many FBs in North American, Asian and also in South American countries are over 2 billion euro in revenue. In Italy there are only 20 enterprises that exceed this size. This phenomenon is connected to some cultural factors that lead to prefer small size (explaining the many cases in which a company is split into two or three smaller companies), to a substantial skepticism towards phenomena such as the IPO (an important tool for raising financial resources to achieve significant size), and to delay the development of processes and management reporting systems that allow to manage a large company. • Italian FBs tend to have a less concentrated ownership structure. In many foreign countries there are cases of FBs with dozens of owners and, in some cases—such as Mulliez in France or Haniel in Germany—there are a few hundred owners. This phenomenon, beyond the difference in birth rates in some countries, is intertwined with the issue of company size. On the one hand, it is difficult to develop large companies, because the heirs prefer to start independent companies (such as in the cases of Merloni and Riello families: if all the heirs of the founders had remained together, consolidated revenues would have at least tripled compared to their current individual companies); on the other hand, if the size of the company does not increase significantly, sooner or later it will no longer be possible to compensate the increasing number of family members. As a result, some members will prefer to leave the company with an inevitable reduction in the resources available for company growth. The rare occurrence of large controlling families is finally explained by the difficulty in developing systems and processes for managing large ownership structure. Instruments such as family agreements, family councils, family offices, and rules of generational change—which help many foreign entrepreneurial families to preserve their unity—are not very common in Italy. • Italian family businesses usually have a lower degree of diversification. This phenomenon can be explained in several ways. First, the above mentioned phenomena of separation of assets between family members are important: everyone prefers to carry on its business independently, rather than to remain under the common “umbrella” of a diversified holding company controlled by all family members. Second, at least compared to some countries, the low number of large diversified groups can also be explained by a better functioning of markets: in some countries (e.g., Asian, Middle-East or Latin-American countries), families balance the inefficiencies of the labor and financial markets. Final remarks The longevity of FBs is deeply influenced by the quality of the owners. Given their personal preferences, different family members may have diverging orientations in terms of risks, payoffs, and willingness to continue investing in the family company. Also, while some owners may be naturally inclined towards firm profitability and growth, others may weigh more objectives such as job security, family dynasty continuity, and positive legitimacy in local communities. With all these balances in mind, cooperation among shareholders seems the privileged route to emphasize strengths of family ownership; otherwise, weaknesses and “traps” seem to be unavoidable. The same strengths of family ownership can become weaknesses and even “traps” if family values are wrongly interpreted. These traps can be avoided following some values and best practices. First, the family should undoubtedly recognize the value of the firm as a “private institution that has to be managed as a public good”. Second, family members should invest a lot of time and energies to facilitate effective communication among them, avoiding jealousy, misunderstandings, and minor conflicts. Additionally, FBs should be highly disciplined in family governance, including meritocratic rules for leadership succession and for hiring of family members. Finally, FBs should develop professional corporate governance and discipline in strategy without wasting resources in projects motivated by reasons other than the creation of value for the company and for the family. If the Italian entrepreneurial families will be able to respect all these values and best practices hopefully in the future we will have a greater number of large sized FBs. * Guido Corbetta is AIdAF-Alberto Falck Professor of Strategic Management in Family Business at Bocconi University in Milan, Italy. AIdAF-Alberto Falck chair is the first one sponsored in the history of Bocconi University. He has been Dean of Bocconi Graduate School (2005-2010). Guido Corbetta has been working on family business since 1988, as researcher, consultant and director. He is the Scientific Director of Observatory AUB, (AIdAF-Unicredit Bank-Chamber of Commerce of Milan-Bocconi University) about more than 3,000 Italian family enterprises with revenues over 50 Ml/Euro. He has recently published with Carlo Salvato the book Strategies for longevity in family firms. A European perspective, Palgrave, 2012. Notes 1. Launched in 2009, and currently in its fifth edition, the Observatory includes all the family controlled firms with revenues exceeding 50 millions € in the past fiscal year. The Observatory is supported by the Italian Association of Family Businesses (AIdAF), Unicredit Bank, Chamber of Commerce of Milan and Bocconi University. 2. The AUB Observatory considers 112 listed family firms. The overall size of the Italian stock exchange includes approximately 240 industrial firms. arcVision 29 Glob IT-ing_x CTPLastra 12/12/13 10:44 Pagina 9 Visioni di lungo periodo Long-Term Visions Intervista a Elena Zambon* Interview with Elena Zambon* Identità basata su valori forti e obiettivi di lungo periodo sono le caratteristiche delle aziende familiari meglio gestite Identity built on strong values and long-term goals are the distinguishing features of the best-run family businesses l’impresa. Specie oltre una certa dimensione, la separazione dei ruoli tra manager e famiglia diventa essenziale per presidiare al meglio le diverse funzioni organizzative, garantendosi professionalità specifiche qualificate. Elena Zambon A capo di un’azienda familiare con 107 anni di vita, Elena Zambon porta avanti con successo una sfida imprenditoriale e manageriale nel non semplice contesto del mercato farmaceutico globale. Ad arcVision ha esposto la sua visione sui temi più rilevanti oggi all’attenzione non solo dell’azienda di famiglia ma di ogni impresa di qualsiasi settore: i valori che la guidano, il coinvolgimento delle persone, la chiarezza degli obiettivi specie di lungo periodo e la capacità di realizzare passaggi cruciali come la scelta di manager esterni e la determinazione della successione generazionale. È ben vero che vi sono in Italia e nel mondo aziende familiari con dimensione e proiezione globale, ma certo la dimensione minore è alquanto più frequente. Secondo lei per diventare grandi aziende di scala internazionale la proprietà familiare è un vincolo? A priori la proprietà familiare non è né un vincolo né un punto di forza. Le dimensioni ideali dell’impresa, pronta a competere sui mercati internazionali, sono diverse da settore a settore, quindi per alcune imprese una certa dimensione può essere sufficiente per confrontarsi con il proprio mercato di riferimento; per altri settori c’è una soglia minima necessaria per competere adeguatamente. Quello che a mio avviso è invece rilevante e diventa un punto di forza è la capacità di managerializzare È più facile o più complesso esercitare la leadership e determinare fedeltà e coinvolgimento dei collaboratori in un’azienda familiare? Premetto che non amo il termine leadership di cui ormai si abusa. Mi piace piuttosto il concetto di leader, che oggi in azienda più che altrove dev’essere diffuso: ognuno di noi ha delle responsabilità, non importa a quale livello organizzativo apparteniamo e ognuno di noi può essere un leader importante, quasi essenziale, dentro un’organizzazione; è fondamentale che cresca la consapevolezza di poter dare il proprio contributo al servizio dell’impresa. L’impresa che ha un vantaggio competitivo è quella che può contare su tanti leader che collaborano tra loro, non certo su una “guida” unica che si impone dall’alto. Nessuno può pensare di fare da solo, nemmeno l’imprenditore. In secondo luogo credo che le aziende familiari possano trasmettere più facilmente, per loro natura, un’identità di valori forti nei quali i collaboratori possono riconoscersi perché così si sentono parte attiva di un progetto più grande e credono nella possibilità di contribuire al futuro dell’impresa. In questo senso lo stile etico di un’impresa familiare è fondamentale. Avere gli stessi valori etici aiuta a condividere un progetto di futuro comune e costruisce relazioni solide con e fra collaboratori. La stabilità dei risultati nel tempo e l’ottica di lungo periodo sono spesso citate come caratteristiche peculiari delle aziende familiari. Mito o realtà? Le imprese familiari effettivamente sono orientate a guardare al medio-lungo periodo e così facendo si rivelano più attrezzate a sopportare i momenti difficili. L’imprenditore lungimirante è più disposto ad investire e a privarsi del proprio dividendo perché lo scopo ultimo delle nostre aziende, come della famiglia, è quello di durare nel tempo. Se guardiamo i dati di questi ultimi anni, le aziende che meglio hanno reagito alla crisi sono quelle che si sono mosse in un’ottica di investimento a lungo periodo, non facendosi condizionare dalle logiche finanziarie di breve periodo. Le imprese familiari sono guidate nel tempo da una continuità manageriale che, affiancata a una visione imprenditoriale, sollecita i manager a prendere decisioni coraggiose e a 9 arcVision 29 Glob IT-ing_x CTPLastra 12/12/13 10:44 Pagina 10 10 concentrarsi non solo sui risultati richiesti dagli investitori finanziari, ma anche su quelli necessari allo sviluppo “dell’industria”. La continuità è essenziale, specialmente in certe funzioni dell’impresa, perché aiuta a perseguire risultati di successo attraverso una guida duratura nel management, in particolare penso all’area della Ricerca e Sviluppo. E quali sono a suo parere i punti deboli, o più deboli, di un’azienda familiare rispetto ad aziende a proprietà diffusa? Non credo ci sia una risposta valida a priori per tutte le imprese familiari. Sicuramente la capacità di aprirsi ai giovani, di preparare per tempo un passaggio generazionale efficace, creando regole di governance chiare e rigorose in cui il ruolo di manager e il ruolo di azionista sono ben distinti, sono elementi positivi che danno solidità all’azienda. La scelta di un management esterno è sempre un passaggio delicato in un’azienda familiare, che avvenga nel momento della successione generazionale o che venga attuato per allargare la visuale dell’azienda con immissione di competenze nuove. Quali sono i fattori da tenere presenti nel momento della scelta di un manager di vertice? Come dicevo, sistemi di governance ben strutturati, sono spesso una formula ideale affinché manager e famiglia imprenditoriale esprimano al meglio il loro potenziale. È altrettanto importante che nella scelta del manager esterno le persone si riconoscano negli stessi valori affinché rispettino nelle pratiche manageriali gli stessi principi. È anche questo un modo per tenere più a lungo manager convinti del loro incarico perché credono nella possibilità di dare un contributo al futuro dell’impresa. Il linguaggio di valori non ha tempo, non passa di moda, appartiene a quelle realtà che hanno una visione di lungo periodo. Per un manager lavorare in un’impresa dove è presente l’imprenditore è molto diverso rispetto alla gestione di una realtà in cui il vissuto dei valori può essere “lontano”. Quindi nelle imprese familiari può essere più adatto scegliere, a parità di qualità delle persone, manager che abbiano già avuto in precedenza esperienze con famiglie imprenditoriali coinvolte in azienda. Per ogni imprenditore è sempre un’opzione dolorosa, o considerata tale, quella di aprire il capitale a terzi, specie se è in gioco il controllo. Perché a suo modo di vedere così tanti imprenditori preferiscono mantenere il controllo di una realtà minore magari sacrificando grandi opportunità di crescita con l’ausilio di nuovi investitori? Penso che il legame con l’azienda, specie per un imprenditore di prima generazione, sia molto forte; la considera una sua creatura, ogni cambiamento proposto, anche solo nelle regole di governance necessariamente più severe se entra un investitore terzo, può essere interpretato come un “irrigidimento” della cultura aziendale che gli appartiene. Spesso l’imprenditore, infatti, instaura con i suoi collaboratori un clima informale di coinvolgimento che è legato alla sua capacità di indirizzare le persone in sfide importanti, dove limitare le scelte a ragionamenti solo sui numeri forse non lascia adeguato spazio al coraggio di innovare. Qual è stata la sfida più difficile che ha dovuto affrontare nella sua storia professionale? Ogni cambio manageriale di figure di primo piano, alla guida dell’azienda, è una sfida difficile non solo nel valutare competenze e profili professionali più adatti ma nel costruire un rapporto di sintonia con le persone individuate anche perché la scelta coinvolge aspetti relazionali. Si può immaginare come in un’impresa di 107 anni questo sia avvenuto più volte o per anzianità manageriale o per evoluzione del business. Nel complesso il più delle volte si sono rivelate scelte corrette. Qual è il passaggio che, al contrario, le ha dato più soddisfazione? La soddisfazione cui tengo di più è il riavvicinamento nel tempo della famiglia ai temi di identità d’impresa che, rispetto a una conduzione puramente manageriale, ha permesso di ritrovare vigore ed energia nuova per affrontare percorsi di innovazione e internazionalizzazione insieme a una valida struttura manageriale. * Elena Zambon è presidente di Zambon S.p.A., multinazionale farmaceutica fondata a Vicenza nel 1906, vicepresidente della ZaCh – Zambon Chemicals – e consigliere di Zambon Company, holding di gruppo, oltre ad essere Presidente della Fondazione Zoé Zambon Open Education. È presidente di Secofind SIM S.p.A., il Multi Family Office che fonda nel 2000 per estendere ad altre famiglie di imprenditori l’esperienza svolta nel wealth management per la famiglia dal 1994, nella selezione e nel controllo dei gestori patrimoniali. Dal 2010 fa parte del Consiglio di amministrazione di Italcementi S.p.A. e dall’agosto del 2011 è membro del Consiglio di amministrazione di Fondo Strategico Italiano. In precedenza è stata consigliere di Akros Finanziaria e di Salvagnini S.p.A. Dal 2007 Elena Zambon è membro del Consiglio Generale di Aspen Italia e recentemente è stata nominata membro del Comitato Esecutivo dello stesso istituto; è inoltre presidente di AIdAF (Associazione Italiana delle Aziende Familiari). arcVision 29 Glob IT-ing_x CTPLastra 12/12/13 10:44 Pagina 11 the firm. In this sense, the ethical style of a family business is fundamental. Sharing the same ethical values is the way to share a project for a common future and build solid ties with your people. H ead of a family firm established 107 years ago, Elena Zambon has achieved great success in dealing with the entrepreneurial and managerial challenges faced by a player on the complex global pharmaceuticals market. In this interview with arcVision, she explains her perspective on the issues of greatest importance today, not only for her own firm but for any business organization in any field: core values, engagement, clear objectives, especially over the long term, and expertise in handling crucial events like the selection of external managers and the transition from one generation to the next. In Italy and around the world, there are family firms with global dimensions operating on a global scale, but organizations of a smaller size are more numerous. Do you think family ownership is a constraint for players that want to become major international players? A priori, family ownership is neither a constraint nor a strength. The ideal size for a company addressing the international marketplace varies from sector to sector: for some companies a certain dimension is sufficient for their market, in other sectors, you have to reach a minimum threshold if you want to be a winner. What I think is important, and can be turned into a strength, is the ability to managerialize the organization. Especially when you grow beyond a certain size, separating the roles of manager and family is essential to optimize the various organizational functions and ensure the presence of specific professional skills. Is it easier or more difficult to exercise leadership and inspire loyalty and engagement among staff in a family firm? First of all, I’m not fond of the term leadership, which is overused today. I prefer the concept of leader, which should be widely implemented in companies today more than elsewhere: each one of us has responsibilities, irrespective of the level we occupy in the organization, and each one of us can be an important, almost essential leader, inside that organization; it’s vital that people become aware that they can contribute to the company. A company with a competitive edge is an organization with large numbers of leaders who cooperate with one another, not a company with a single top-down “commander”. No one should think they can do it alone, not even the entrepreneur. Second, I think that family firms, because of their nature, can convey more easily an identity based on strong values with which staff can identify, because then they feel they’re an active part of a wider project and can make a contribution to the future of Stable results over time and a long-term outlook are often identified as key characteristics of family firms. Fact or fiction? Family firms do indeed look to the medium-long term and so are better equipped to face difficulties. An entrepreneur with foresight is more willing to invest and to give up his or her dividend, because the ultimate goal of the company, as of the family, is to carry on over time. If you look at the figures for the last few years, the companies that have reacted best to the crisis are the ones that have implemented a long-term investment strategy, and not allowed themselves to be influenced by short-term financial considerations. Family firms are run over the years with a managerial continuity which, together with an entrepreneurial vision, motivates managers to take courageous decisions and to focus not only on the results financial investors want, but also on the results the “industry” needs to grow. Continuity is essential, especially in certain corporate functions, because a long-lasting hand at the helm helps successful results to be achieved, particularly in the R&D area. What do you think are the weaknesses, or the weaker points, of a family firm compared with organizations with a wider ownership? I don’t think there’s an answer that necessarily applies to all family firms. Certainly, the ability to make way for younger people, to prepare in advance 11 arcVision 29 Glob IT-ing_x CTPLastra 12/12/13 10:44 Pagina 12 worlds with a long-term vision. For the manager, working in a company where the entrepreneur is present is quite different to working in an environment where corporate values are experienced “at a distance”. So when a family firm is making a choice, given candidates with similar qualifications, it may be best to choose someone who has already worked in firms where the family was involved in the company. 12 for a successful generational handover by establishing clear, rigorous rules of governance that clearly separate the role of manager and the role of shareholder, are positives that give the company a solid base. The recruitment of external managers is always a tricky time for a family firm, whether it comes when the next generation takes over, or whether it’s done to broaden the company’s vision by bringing in new skills. What factors should be taken into account when it comes to choosing a top manager? As I said, well organized governance systems often provide the ideal structure for managers and the family to best express their potential. It’s just as important that when external managers are recruited, everyone shares the same values so that they apply the same principles in their management practice. This is another way to retain managers who are enthusiastic about their job because they believe they have a contribution to make to the future of the company. Values are a timeless language, a language that doesn’t go out of fashion, that belongs to It’s always considered a painful day when an entrepreneur decides to open up the capital base, especially when questions of control are involved. Why do you think so many entrepreneurs prefer to keep control of a small operation and sacrifice important opportunities for growth with the entry of new investors? The tie with the company, especially for a first-generation entrepreneur, is very strong; the owner considers the firm to be his creation, any proposed change, even only in the rules of governance, which are necessarily more stringent if a third party comes in, may be interpreted as a “stiffening” of the corporate culture which belongs to him. The entrepreneur often builds an informal climate of engagement with his employees on his or her ability to lead people through important challenges, where restricting decisions purely to numbersbased considerations may not leave sufficient room for the courage to innovate. What’s the most difficult challenge you’ve encountered in your career? Every change among the senior managers at the top of the company is a difficult challenge, not just in assessing the most suitable professional skills and profiles, but also in building a harmonious relationship with the people you choose, because your choice also involves personal relationships. As you can imagine, in a company like ours that’s been operating for 107 years, this had happened many times, either because managers have retired or because the business has evolved. In the majority of cases, the right decision was taken. What has been your greatest satisfaction? My greatest satisfaction has been seeing the family gradually embrace the concept of corporate identity, which, with respect to a purely managerial approach, has enabled us to acquire new vigor and energy to undertake innovation and international growth, together with a valid managerial structure. * Elena Zambon is Chair of Zambon S.p.A., a pharmaceuticals multinational established in Vicenza in 1906, Deputy Chair of ZaCh – Zambon Chemicals – and a Director of Zambon Company, the group holding; she is also President of the Zoé Zambon Open Education Foundation. She is Chair of Secofind SIM S.p.A., the Multi Family Office she founded in 2000 to extend to other business families the experience built up since 1994 in family wealth management and in the selection and management of asset managers. She has been a director of Italcementi S.p.A. since 2010 and a director of Fondo Strategico Italiano since August 2011. Previously she was a director of Akros Finanziaria and Salvagnini S.p.A. Since 2007 Elena Zambon has been a member of the General Council of Aspen Italia and was recently appointed to its Executive Committee; she is also President of the AIdAF (Italian association of family firms). arcVision 29 Glob IT-ing_x CTPLastra 12/12/13 10:44 Pagina 13 Di generazione in generazione Generation To Generation di Ivan Lansberg e Devin DeCiantis* by Ivan Lansberg and Devin DeCiantis* L’arte di gestire la trasformazione delle imprese in istituzioni The art of stewarding businesses into institutions Ivan Lansberg N onostante le molte crisi – economiche, politiche e sociali – che riempiono le prime pagine dei quotidiani, introducendo nelle sale riunioni dei vertici aziendali incertezze terrificanti e rendendo necessaria la pianificazione di scenari apocalittici, vi è un segmento del panorama corporate che sembra riesca ad affrontare la tempesta meglio di tanti altri: quello delle aziende familiari. Un rapporto pubblicato recentemente da Credit Suisse, Family businesses: Sustaining performance1, descrive come le imprese quotate a gestione familiare hanno avuto un andamento migliore dell’8% rispetto a quelle non a gestione familiare da quando è iniziata la crisi finanziaria globale. Forse non c’è da sorprendersi quando si leggono i nomi sull’elenco, tra i quali Wal-Mart, Samsung, Carrefour, Volkswagen, BMW e L’Oréal. E probabilmente molto dipende anche dal ruolo delle dinamiche familiari nella stabilizzazione della governance e nell’ampliamento della prospettiva strategica dei moderni sistemi aziendali. In parole semplici, le famiglie sono le prime “organizzazioni” alle quali veniamo esposti. In queste organizzazioni Devin DeCiantis impariamo lezioni fondamentali sul significato dell’identità condivisa; sulla lealtà e il tradimento; sulla collaborazione sostenibile e la concorrenza distruttiva. Dai tempi di Aristotele la famiglia viene indicata come un modello per l’organizzazione dello Stato2. Le famiglie sono i laboratori dove impariamo a rapportarci con l’autorità e con i nostri pari e subordinati. All’interno di questi sistemi siamo esposti anche ai concetti di eredità e longevità. Le radici familiari e sociali del nostro comportamento sono codificate a livello così profondo nel DNA della specie umana che costituiscono spesso i motori dei nostri rapporti con i capi, i colleghi e gli immediati superiori, in tutte le gerarchie organizzative di cui facciamo parte. Non è un caso che la metafora di essere “come una famiglia” viene richiamata spesso in ambienti organizzativi di successo per esprimere il senso di appartenenza, impegno, solidarietà e lealtà così importante nelle forze di lavoro mobili e fluidi del 21° secolo. I migliaia di fieri Googler (e i loro rampolli – Noogler, Gaygler, e Xoogler3) ne sono la prova. Le aziende familiari di successo tendono naturalmente a far sviluppare queste caratteristiche nei propri dipendenti a prescindere da eventuali rapporti di parentela con i proprietari. Lo fanno grazie a una varietà di iniziative strategiche, tra cui la promozione di una potente visione istituzionale di lungo termine che va oltre all’utile netto, l’impiego paziente del capitale finanziario e fisico per raggiungere tale mission, un forte impegno verso gli stakeholder – a volte a detrimento degli azionisti – e lo sviluppo e la conservazione del capitale umano necessario per eseguire gli ambiziosi piani strategici. In questo modo sono in grado di creare livelli sostenuti di lealtà, condivisione e vitalità che consentono, nel tempo, di progredire meglio dei concorrenti – come dimostra chiaramente il recente rapporto di Credit Suisse. Tali pratiche sono al centro di imprese mitiche come Louis Dreyfus, Haniel, C&A, e tante altre. Mentre sono comportamenti naturali per le aziende familiari, le ricerche e l’esperienza indicano che è possibile adottarli, in modo positivo, anche nella gestione delle imprese non di famiglia (es., Interface, General Electric, e PepsiCo). Esistono, infatti, due gruppi di pratiche strategiche adottate da organizzazioni di successo di tutti i tipi, che assomigliano ai comportamenti che emergono naturalmente nelle grandi imprese familiari. La partecipazione a 360 gradi In primo luogo i capi delle imprese familiari di successo lavorano attivamente per coinvolgere e motivare gli azionisti riguardo agli interessi di lungo termine. In altre parole, lavorano “verso l’alto” per aiutare gli azionisti a definire i propri valori, formare la cultura aziendale e mappare la visione strategica. Educano i proprietari riguardo all’importanza, per la vita degli stakeholder, dei 13 arcVision 29 Glob IT-ing_x CTPLastra 12/12/13 10:44 Pagina 14 14 prodotti e dei servizi che offrono. Trattano i proprietari con rispetto e misurano il ritorno sugli investimenti non solo in termini di parametri economici inerenti la crescita e la redditività, ma anche rispetto alla mission in senso lato dell’impresa e dei proprietari, e al suo impatto sulle comunità dove operano. Tutto ciò è forse più difficile in casi di proprietà frammentata e mutevole come i fondi di investimento moderni, ma non è certo impossibile. I fondi pensione, gli endowment (donazioni finanziarie) e le fondazioni sono vincolati, per legge e per il loro scopo, a una visione di più lungo termine. La pazienza e l’impegno dedicati alla governance in quanto proprietari di quote contrasta fortemente con certi operatori di borsa e fondi speculativi che si comportano da affittuari di quote a breve termine, senza alcuna chiara lealtà al business o alla mission. Le imprese di successo riescono spesso a costruire una partnership durevole tra proprietari e operatori, come dimostra Warren Buffet ogni mese di maggio, all’assemblea degli azionisti di Berkshire Hathaway nel Nebraska. I capi delle imprese familiari di lunga data lavorano anche “verso il basso”, all’interno dell’azienda, per promuovere una cultura che coinvolga e (metaforicamente) “adotti” i dipendenti all’interno dell’estesa “famiglia” aziendale – alimentando un alto senso di proprietà personale e di impegno. Secondo una ricerca di Akerlof e Kranton4, il fattore critico per la buona funzionalità di un’impresa non consiste negli incentivi monetari, ma nell’identificazione dei dipendenti con l’azienda e con il loro ruolo. Sentirsi “insider” – praticamente membri della famiglia – fa migliorare le prestazioni e la soddisfazione nelle organizzazioni più disparate, dalle squadre di calcio professionistiche all’esercito, alle banche di investimento. La conseguenza è una rotazione meno rapida tra i dirigenti, con il risultato di prolungare la memoria istituzionale e la capacità di una pianificazione più a lungo termine dei dipendenti nei ruoli chiave. Ciò contrasta con l’idea più tradizionale di non-di-famiglia, secondo la quale i professionisti con posti fissi o a tempo indeterminato oppongono resistenza al cambiamento e addirittura impediscono il progresso. Essa, infatti, suggerisce che le imprese non di famiglia forse riescono meglio a utilizzare i dipendenti più longevi per una gestione attiva della cultura, la conservazione e la proiezione di un insieme di valori operativi, adattandosi, allo stesso tempo, a esigenze commerciali in continua evoluzione. Come suggerisce John Ward5, le aziende di famiglia di lunga data adottano “una tradizione del cambiamento” – una sintesi di pianificazione strategica di lungo termine fondata in una continuità culturale, con una capacità di adattamento tattico a breve termine che è acutamente sensibile all’evolversi delle circostanze. I capi delle imprese familiari che si sono dimostrate “costruite per durare” lavorano anche “verso l’esterno”, verso il mondo dei clienti, dei fornitori e della comunità, in uno spirito di partnership dove tutti sono vincitori. Proprio perché i proprietari delle imprese familiari hanno un forte senso di impegno e identificazione con l’azienda, creare una sorta di cittadinanza dell’impresa all’interno della comunità in cui si opera viene considerato un obiettivo di importanza critica, profondamente radicato nella mission aziendale. Tra i benefici vi sono rapporti finanziari stabili e duraturi, l’acquisizione di contratti di fornitura privilegiati, la gestione opportunistica dei crediti e dei debiti, rapporti positivi con il governo, l’accesso a un flusso di accordi esclusivi, una rilevante lealtà al marchio (brand loyalty). Al contrario, se l’impresa va meno bene, ciò ha conseguenze per l’impresa stessa e anche per la famiglia (le famiglie Toyoda e Murdoch sono due esempi recenti). Le imprese familiari costruite per durare considerano di importanza prioritaria la qualità e la reputazione di brand, e quindi non c’è da sorprendersi se tante operano nelle nicchie di lusso (BMW, New York Times, Patek Philippe, e LVMH, per citarne solo alcune). Per ultimo, i capi delle imprese di famiglia di successo lavorano “verso l’interno”, cioè presidiano continuamente l’efficacia delle strutture di governo – i consigli di amministrazione, le holding, i consigli di famiglia, i trust tramite i quali spesso detengono la proprietà. Sotto questo aspetto, un sistema giusto di governance è la chiave per stabilire un equilibrio tra le diverse istanze e agende degli stakeholder. La governance efficace rappresenta un vantaggio competitivo critico. Al contrario, nelle imprese quotate in borsa, i consigli di amministrazione sono considerati alla stregua di agenti di polizia, che proteggono gli azionisti da manager preoccupati dei propri interessi, e gli investimenti sono tipicamente passivi e orientati prevalentemente all’andamento relativo. Sono troppo pochi gli azionisti “attivisti” disposti e capaci a rendere efficace l’organizzazione e, allo stesso tempo, puntare al successo di lungo termine dell’impresa. Stewardship I capi delle imprese familiari di successo (che siano o no membri della famiglia) non sono solo leader, sono anche steward–governanti. Hanno un atteggiamento fondamentalmente “inter-generazionale” – anche se tengono le redini per un periodo tipicamente più lungo rispetto ai pari nelle imprese non di famiglia; si vedono come anelli transitori di una catena e considerano essenziale lo sviluppo di una forte squadra di successori. Nelle imprese di famiglia di maggiore successo, la premessa di fondo è che arcVision 29 Glob IT-ing_x CTPLastra 12/12/13 10:44 Pagina 15 una sola generazione non basta per realizzare la mission e raggiungere gli obiettivi. In questi modelli il successo si misura in termini non di anni ma di decenni – di certo non in termini trimestrali. Nell’indagine Credit Suisse ben il 70% dei rispondenti considerano una prospettiva gestionale di lungo termine uno dei fattori più importanti per garantire la continuità del successo. Lo stewardship efficace richiede una chiara articolazione della visione di business di lungo termine a un gruppo di investitori pazienti, e dimostra il tema emergente del “capitalismo per il lungo termine” reso popolare dall’AD globale di McKinsey6. Là dove le imprese quotate in borsa generalmente trovano difficoltà a convincere gli azionisti che qualche trimestre o qualche anno di crescita sotto la media e di investimenti sopra la media porteranno importanti benefici economici nel lungo termine (Amazon è forse una mosca bianca in questo senso), le imprese di famiglia sono naturalmente disposte a sostenere tali ragionamenti, al servizio di una visione di più lungo termine. Come buoni “governanti” del profitto, delle persone e del pianeta, per alcune imprese familiari, il successo a livello di utile finanziario, sociale e ambientale è l’obiettivo da sempre. Ed è qui che sta la differenza tra la gestione di un’organizzazione e la creazione di un’istituzione. Le aziende di famiglia durature non operano solo per fare soldi nell’oggi, ma sono in grado di adattarsi a grandi cambiamenti societari che porteranno a utili nel futuro più lontano. In un numero recente del MIT Sloan Management Review, Rajan Tata definisce questo tipo di istituzione illuminata come un ente con uno “scopo più alto degli utili.”7 L’affrontare i doveri strategici e operativi da governanti di lungo termine ha anche consentito alle imprese di successo non-di-famiglia di cercare e ottenere importanti benefici collaterali, come la minimizzazione dell’impatto ambientale, sviluppando allo stesso tempo un forte profilo e un’alta lealtà di brand (es. la “Missione Zero” di Interface), e alimentando lo sviluppo economico del territorio a fronte di volumi di vendita più elevati (es. “Performance with Purpose” di PepsiCo). I governanti di lungo termine si rendono conto prima di altri che la semplice crescita economica come misura dell’andamento dell’impresa è un approccio miope e potenzialmente perdente in un mondo interdipendente e altamente competitivo con risorse che scarseggiano. Il valore dei valori di famiglia Per rispondere alle tendenze macroeconomiche nell’attuale clima economico e nell’industria nel suo complesso, molte imprese si sono trovate costrette a spostare l’attenzione sul breve termine, con una focalizzazione esclusiva sull’andamento economico. Eppure ogni anno le imprese come Berkshire Hathaway offrono una dimostrazione che è possibile innestare la mentalità di proprietà su persone che non sono famiglia. In questo senso, le famiglie e le imprese familiari offrono molte lezioni di valore per i pari non-di-famiglia riguardo alle prestazioni dei sistemi umani, e sarebbe utile che dirigenti e policy makers ne prendessero atto. * Ivan Lansberg è uno psicologo organizzativo che lavora a New York. Fa parte del corpo insegnante della Kellogg School of Management, dove è condirettore dei Programmi per le Imprese Familiari. È socio fondatore di Lansberg, Gersick & Associates LLC, un’agenzia di ricerca e consulenza specializzata nelle imprese di famiglia. Il suo libro più recente, Succeeding Generations, edito da Harvard Business School Press, esamina la successione e la continuità nelle imprese familiari. È anche uno degli autori di Generation to Generation, pubblicato da HBS. Ivan Lansberg ha conseguito le lauree Ph.D., M.A., e B.A. alla Columbia University. * Devin DeCiantis è un consulente manageriale di Boston, specializzato negli aspetti finanziari, operativi e strategici delle imprese familiari. È un associato di Lansberg, Gersick & Associates LLC. Ha conseguito la laurea M.P.P. alla Harvard University e la laurea B.B.A. alla York University. Note 1. Credit Suisse Research Institute (settembre 2012), Family businesses: Sustaining performance, tratto da https://www.credit-suisse.com/news/en/media_release. jsp?ns=42052. 2. “La prima società a formarsi è il villaggio. E la forma più naturale del villaggio pare essere una colonia della famiglia, costituita dai figli e nipoti, che vengono allattati ‘con lo stesso latte’”. Aristotele, Politica, Libro Uno, Parte II, Paragrafo 6. 3. Fost, Dan. “Keeping it All in the Google Family” New York Times, 12 novembre, 2008: SPG6. 4. Akerlof, G. e Kranton, R; “Identity Economics: How our identities shape work, wages and well-being”: Princeton University Press, 2010. 5. Aranoff, C. & Ward, J. “Make Change your Family Business Tradition”: Palgrave-McMillan, 2011. 6. Barton, D. “Capitalism for the Long Term”, Harvard Business Review, Marzo 2011. 7. Tata, R. “When Making Money is Not Enough” MIT Sloan Management Review, Estate 2013. 15 arcVision 29 Glob IT-ing_x CTPLastra 12/12/13 10:44 Pagina 16 16 I n light of the many crises—both economic, political and social—that haunt the daily news cycle and introduce terrifying uncertainty and apocalyptic scenario planning into the heart of the executive suite, there is one segment of the corporate landscape that seems to be weathering the storm better than most: family businesses. Credit Suisse recently released a report entitled Family businesses: Sustaining performance1, which profiles how publicly-traded family-run enterprises have outperformed their non-family peers by 8% since the onset of the Global Financial Crisis. Perhaps that isn’t surprising, when you consider the names on the list, including Wal-Mart, Samsung, Carrefour, Volkswagen, BMW and L’Oréal. It may also have a lot to do with the role that family dynamics naturally play in stabilizing the governance and expanding the strategic outlook of modern corporate systems. Put simply, families are the first “organizations” we are exposed to. In them, we learn fundamental lessons about the meaning of shared identity; about loyalty and betrayal; about sustainable collaboration and destructive competition. As far back as Aristotle, the family has been identified as a model for the organization of the state2. They are the laboratories where we first experiment with how to relate to those in authority and with those who are our peers and subordinates. Within these systems, we are also exposed to the concepts of legacy and longevity. The familial and social roots of our behavior are so deeply encoded in the DNA of our species that they often drive our relationships with bosses, coworkers and direct reports in all of the organizational hierarchies to which we belong. It is hardly coincidental that the metaphor of being “like a family” is so often called forth in high-performing organizational settings to convey the sense of belonging, commitment, solidarity and loyalty that is essential within the fluid and mobile workforces of the 21st century. This is readily exemplified by thousands of proud Googlers (and their familial offshoots—Nooglers, Gayglers, and Xooglers3). High-performing family companies naturally evoke these characteristics in their employees regardless of whether or not they are related to the owners. They achieve this through a variety of strategic initiatives, including their promotion of a compelling longer-term institutional vision beyond the bottom line, their patient deployment of financial and physical capital to achieve this longer-term mission, an intense commitment to stakeholders—sometimes at a short-term cost to shareholders, and their development and retention of the human capital necessary to execute their ambitious strategic plans. In so doing they are able to create sustained levels of loyalty, engagement, and vitality that allow them to outperform their competitors over time—as Credit Suisse’s recent report clearly suggests. These practices are at the heart of such legendary institutions as Louis Dreyfus, Haniel, C&A, and countless others. While these practices come naturally to family businesses, research and experience suggest that they can also be grafted into the way that non-family businesses are managed with excellent results (e.g. Interface, General Electric, and PepsiCo). In fact, there are two clusters of strategic practices used by high-performing organizations of all types which maps very closely to behaviors that naturally emerge in large family enterprises. 360-degree engagement First, leaders of successful family companies proactively engage and motivate shareholders to care about the longer-term interests of the firm. These leaders work “upwardly” to help shareholders define their values, shape the company’s culture, and chart the company’s strategic vision. They educate their owners about the significance of the products and services they produce on the lives of their key stakeholders. They treat owners with respect and measure their “ROI” not just against economic parameters of growth and profitability but also against the backdrop of the broader mission of the enterprise and its owners, and its impact on the communities in which they operate. While this may be harder to accomplish with fragmented, flighty ownership that characterizes modern investment managers—it is certainly not impossible. Pension funds, endowments and foundations are required to take a longer-term view both by design and by regulatory requirement. Their patience and engagement in governance as share-owners comes in stark contrast to high-frequency traders and certain hedge funds that act more like short-term share-renters with no clear allegiance to the business or the mission. High-performing companies are often successful at fostering a longer-term partnership between owners and operators, as Warren Buffet proves every May at Berkshire Hathaway’s annual meeting in Omaha, Nebraska. The leadership of long-lasting family companies also actively govern “downwardly” into the organization by promoting a culture that involves and (metaphorically) “adopts” employees into the firms broader “family”—instilling a high level of personal ownership of and commitment to the work of the enterprise. As research by Akerlof and Kranton4 suggests, the most important determinant of whether an organization functions well is not monetary incentives but whether workers identify with the organization and their role within it. Feeling more like “insiders”—akin to family membership—increases performance and satisfaction in organizations as diverse as professional sports teams, the military, and investment banks. This in turn reduces turnover at the top, which, in turn, extends the institutional memory and capacity for longer-range planning among key employees. This contrasts with the more traditional/non-family view that entrenched or tenured professionals are resistant to change and actually impede progress. In fact, it suggests that non-family businesses may be able to better utilize their longest-serving employees in ways that help them to actively manage their culture, preserving and projecting a core set of operational values while still adapting to ever-changing business needs. As John Ward has suggested5, long-lasting family companies adopt a “tradition of change”—a synthesis of long-term strategic planning anchored in cultural continuity, with shorter-term tactical adaptation that is keenly responsive to changing circumstances. The leaders of family companies that have proven themselves to be truly “built to last” also govern “outwardly” into the world by engaging with customers, suppliers and community using a win-win arcVision 29 Glob IT-ing_x CTPLastra 12/12/13 10:44 Pagina 17 partnership spirit. Precisely because of the commitment and identification that longlasting family companies are able to stimulate with their owners, the citizenship of the company in the community is regarded as a critical objective deeply embedded in the mission of the enterprise. Benefits include maintaining stable funding relationships, securing priority supply contracts and favorable procurement terms, opportunistic management of receivables and payables, positive government relations, access to exclusive deal flow, and substantial brand loyalty. Moreover, if the company behaves poorly it reflects both on the company and on the family—the “name-on-the-wall” effect (e.g. the Toyodas and the Murdochs most recently). Family companies built to last place a huge premium on quality and brand reputation, so it is hardly coincidental that so many dominate top quality niches (BMW, New York Times, Patek Philippe, and LVMH, to mention a few). Finally, the leaders of effective family companies govern “inwardly”—meaning they continuously monitor the effectiveness of their governing bodies—their boards, their holding companies, their family councils, the trusts through which their ownership is often held. In these systems, getting the governance right is viewed as the key for balancing the conflicting demands and agendas of engaged stakeholders. Effective governance is viewed as critical competitive advantage. This contrasts with publicly-traded companies where boards are fundamentally viewed as policing agents protecting shareholders from self-serving managers, and investments are typically passive and predominantly focused on relative performance. Too few “activist” shareholders are both willing and able to whip an organization into shape while also maintaining a focus on the longer-term success of the enterprise. Stewardship The leaders of established family companies (whether they are family members or not) don’t just lead, they steward. Their mindset is fundamentally “inter-generational”—even though their tenure at the helm is typically longer than their counterparts, they view themselves as transient links in a chain, and view developing a strong bench of successors as imperative. In the most successful family enterprises, the driving assumption is that one generation is simply not enough time to realize the organization’s mission and objectives. These systems don’t measure success in years but in decades or more—certainly not in terms of quarterly earnings results. An overwhelming 70% of respondents in the Credit Suisse survey considered a long-term management perspective as one of the most important factors for ensuring their ongoing success. Making stewardship work requires a clear articulation of the long-term business case to a group of patient investors, and reflects the emerging theme of “capitalism for the long-term” recently popularized by McKinsey’s global managing director6. Where publicly-traded companies have traditionally struggled to convince shareholders that a few quarters or years of below-average growth and above-average investment can yield substantial longer-term economic benefits (Amazon may be the rare exception), family businesses are naturally designed to make these valuable trade-offs in service of their longer term vision. As good stewards of profit, people and planet, pursuing socalled “double” and “triple” bottom line success has been the cornerstone of some highperforming family businesses for longer than these terms have existed. This is precisely the difference between managing an organization and creating an institution. Enduring family businesses do not exist to only making money today, but are able to adapt to broad societal changes that will continue to be profitable in the more distant future. Rajan Tata specifically describes this type of enlightened institution in a recent issue of the MIT Sloan Management Review—one with a “higher purpose than profits.”7 Approaching their strategic and operational mandate as longterm stewards has also allowed high-performing non-family businesses pursue and generate substantial collateral benefits like minimizing their environmental footprint while building brand profile and loyalty (e.g. Interface’s “Mission Zero”), and supporting economic development in their operating communities while generating higher unit sales (e.g. PepsiCo’s “Performance with Purpose”). They realize earlier than most that simple economic growth as a measure of performance is short-sighted and potentially self-defeating in a highly competitive and interdependent world with scarce resources. The value of family values Given the current economic environment, many companies have been forced to shift to short-termism and focus exclusively on economic performance in response to broader industry and macroeconomic trends. However, companies like Berkshire Hathaway prove annually that this ownership mentality can be grafted onto people that are not family. In that respect, families and family enterprises provide many valuable lessons for their non-family peers on the performance of human systems, and their executives and policy makers would do well to take notice. * Ivan Lansberg is an organizational psychologist based in New York City. He is on the faculty of the Kellogg School of Management where he is Co-Director of Family Enterprise Programs. He is also a founding partner of Lansberg, Gersick & Associates LLC, a research and consulting firm specializing in family enterprise. His latest book Succeeding Generations, published by the Harvard Business School Press, is on succession and continuity in family enterprises. He is also one of the authors of Generation to Generation, published by HBS. Ivan holds Ph.D., M.A., and B.A. degrees from Columbia University. * Devin DeCiantis is a management consultant based in Boston, specializing in the financial, operational, and strategic aspects of family enterprise. He is an Associate at Lansberg, Gersick & Associates LLC. He holds an M.P.P. from Harvard University and a B.B.A. from York University. Notes 1. Credit Suisse Research Institute (September 2012), Family businesses: Sustaining performance, retrieved from https://www.credit-suisse.com/news/en/media_ release.jsp?ns=42052. 2. “The first society to be formed is the village. And the most natural form of the village appears to be that of a colony from the family, composed of the children and grandchildren, who are said to be suckled ‘with the same milk’”. Aristotle, Politics, Book One, Part II, Paragraph 6. 3. Fost, Dan. “Keeping it All in the Google Family.” New York Times, November 12, 2008: SPG6. 4. Akerlof, G. and Kranton, R; “Identity Economics: How our identities shape work, wages and well-being”: Princeton University Press, 2010. 5. Aranoff, C. & Ward, J. “Make Change your Family Business Tradition”: Palgrave-McMillan, 2011. 6. Barton, D. “Capitalism for the Long Term”, Harvard Business Review, March 2011. 7. Tata, R. “When Making Money is Not Enough”. MIT Sloan Management Review, Summer 2013. 17 arcVision 29 Glob IT-ing_x CTPLastra 12/12/13 10:44 Pagina 18 L’altra impresa “Another” Enterprise di Christine Blondel* by Christine Blondel* I punti di forza strategici delle grandi aziende a gestione familiare nel mondo The underlying strengths of large family businesses worldwide Hyundai, Toyota, Tata, Koç, Sabanci, Ayala Corporation, America Movil, ecc. 18 Christine Blondel “Le aziende familiari hanno un’importanza cruciale per l’Europa. Danno un contributo significativo al prodotto nazionale lordo e all’occupazione e tendono a essere innovative, con una visione di lungo termine. Inoltre sono tipicamente radicate nelle proprie culture regionali e nazionali, mettendo in pratica tipi di valori che tutti condividiamo”. José Manuel Durão Barroso, Presidente della Commissione Europea1 I Credit © European Union, 2011 l piedistallo dell’economia Quando si parla di aziende a gestione familiare, si pensa di solito alle piccole-medie imprese (PMI). E, infatti, la maggior parte delle piccole imprese sono di proprietà di una famiglia, e gestite dai proprietari. In Francia, ad esempio, l’associazione di imprese medie e a proprietà familiare (ASMEP-ETI) ha rilevato che esse sono il 95% del totale delle piccole imprese. Il 75% di tutte le medie imprese – con da 100 a 3.000 dipendenti – sono di proprietà familiare. Ma è meno noto il fatto che anche molte grandi aziende sono di proprietà di una famiglia e gestite dai proprietari. Secondo alcuni studi INSEAD2, l’azionista di riferimento di più della metà delle imprese quotate in borsa in Francia e in Germania è una famiglia. E tra le società non quotate, vi sono molte grandi imprese di famiglia. Basta citare qualche nome per dare un’idea dell’importanza del capitalismo di famiglia in Europa: Michelin, Lego, L’Oréal, Miele, Louis Vuitton Moet Hennessy, Roche, BMW, Pernod-Ricard, Barilla, Henkel, JCB, Galeries Lafayette, Solvay, InBev, Bouygues, Mercadona, Fiat, Lavazza, Ferragamo, Italcementi... Dal settore automobilistico ai prodotti di lusso, dall’industria alimentare alla costruzione, pressoché tutti i settori hanno i propri “gioielli di famiglia”. E sebbene pensiamo agli Stati Uniti come a un paradiso di imprese quotate con azionariati diffusi, anche là esistono molte società di proprietà familiare, come Wal-Mart (il colosso nel retail), Ford, Mars, Cargill, Carlson… Le opinioni del mondo accademico riguardo alle imprese di famiglia sono cambiate nel 2003 quando venne stabilito che un terzo delle società Standard & Poor’s 500 erano di proprietà familiare e che il loro andamento era addirittura migliore rispetto a quello delle imprese non di famiglia3. In altre parti del mondo, dall’America Latina all’Asia e al Medio Oriente, predomina il capitalismo di famiglia, con giganti come I punti di forza dell’azienda di famiglia Consideriamo le numerose grandi imprese europee detenute, da diverse generazioni, da una famiglia. Specifichiamo, innanzitutto, che un’azienda viene definita di proprietà familiare quando una famiglia è l’azionista di riferimento (non necessariamente con la maggioranza delle azioni) ed è in grado di influenzare le decisioni più importanti tramite il ruolo svolto in posizioni esecutive o nel consiglio di amministrazione. Per la loro stessa natura, le imprese familiari presentano una forma diversa di capitalismo: la proprietà è detenuta per la maggior parte da persone con forti legami emotivi e un passato comune. Questa storia, assieme all’intenzione di consegnare l’azienda alla prossima generazione, dà loro una prospettiva di lungo termine. La sostenibilità del business prevale rispetto ai guadagni di breve termine; di solito, l’impresa rappresenta una grandissima parte dei beni finanziari dei familiari ed essi vi investono le proprie risorse; allo stesso modo, generalmente, si preoccupano del benessere della collettività sociale e dell’occupazione. Tali caratteristiche sono in contrasto con i passati eccessi del “capitalismo finanziario”, per il quale il profitto era l’obiettivo (anziché un mezzo), dove i rischi venivano presi da chi gestiva i “soldi altrui” e dove il leverage (cioè, alti livelli di indebitamento) era una panacea. Un orizzonte temporale “generazionale”, di lungo termine Le aziende di famiglia sono associate a particolari storie di famiglie. Gli studi su imprese familiari di lunga durata rilevano il superamento di numerose difficoltà, periodi di crisi economica, e, tra le più resistenti, guerre e rivoluzioni. I personaggi chiave della famiglia hanno consentito la longevità dell’impresa, dal fondatore con “umili origini” alla vedova che assicurò il passaggio tra una generazione e quella successiva (a volte con mano molto forte). Queste arcVision 29 Glob IT-ing_x CTPLastra 12/12/13 10:44 Pagina 19 storie a volte contengono personaggi con destini meno gloriosi, con traiettorie insolite. Una famiglia sviluppa un forte senso di storia condivisa, di appartenenza. Ricorrono, in indagini recenti tra gli azionisti di grandi imprese di famiglia, espressioni del tipo “legame viscerale” e “orgoglio”. La generazione che detiene attualmente le redini sente la responsabilità di trasmettere il business alla generazione nuova: si sente spesso dire “è una storia che continua, non siamo proprietari ma custodi”, come pure “non vogliamo essere noi quelli che vendono il castello di famiglia”4. È una situazione ben diversa rispetto al proprietario di azioni quotate in borsa, che acquista e vende per fare un utile nell’immediato. In un’impresa di famiglia è più importante la sostenibilità di lungo termine rispetto ai guadagni rapidi. Gli azionisti forniscono quello che è stato definito “capitale paziente”5. Questa prospettiva di lungo termine può essere particolarmente utile in settori economici con orizzonti temporali ampi: “In un’industria basata sulla ricerca, la proprietà familiare garantisce una stabilità di lungo termine senza la quale non saremmo in grado di proseguire il nostro percorso di sviluppo”. (André Hoffmann, Roche, Svizzera).6 Un approccio diverso al finanziamento La fonte principale delle risorse finanziarie delle imprese familiari è l’autofinanziamento, preferito all’indebitamento. Dal momento che le famiglie non vogliono diluire la propria quota, l’apertura della proprietà è di solito l’ultimissima fonte di finanziamento, da effettuare entro limiti molto precisi.7 I dividendi sono spesso mantenuti bassi per consentire il necessario investimento nell’azienda. La famiglia investe “i propri soldi” ed è coinvolta nelle decisioni chiave – a livello di consiglio di amministrazione, se non in ruoli esecutivi. Ciò favorisce una certa frugalità8 e disciplina nell’attività di investimento, che può servire a evitare rischi inutili: le acquisizioni vengono esaminate al microscopio, si favoriranno le alleanze strategiche e si cercherà di disinvestire dalle attività non strategiche – anche se quest’ultima strada è spesso più difficile in un contesto ove possono prevalere i vincoli emotivi. Un recente esempio di disinvestimento strategico e successivo re-investimento riguarda Solvay. L’impresa aveva due business gemelli: la chimica e la farmaceutica. I proprietari hanno ceduto l’attività farmaceutica, una mossa che ha consentito di concentrare gli sforzi nel settore della chimica e di effettuare una fusione con Rhodia. Non c’è da meravigliarsi se le imprese di famiglia generalmente ottengono un ritorno sul capitale investito migliore di quello delle imprese non di famiglia.9 L’importanza dei rapporti personali e altre forme di capitale Le imprese di famiglia hanno rapporti duraturi con i propri stakeholder. I clienti hanno la certezza di un servizio che continuerà nel tempo. Allo stesso modo c’è un attaccamento profondo con i dipendenti. Si creano rapporti forti e una vera cura per le persone. È noto che le aziende familiari sono più riluttanti di altre a licenziare un dipendente. Questo tipo di contratto verbale rappresenta un vantaggio competitivo per l’impresa: i dipendenti sentono maggiore lealtà verso l’impresa, i cui costi per il personale sono più bassi10. Gli azionisti con quote in aziende familiari spesso misurano le proprie responsabilità a seconda del numero di dipendenti. Aggiunge André Hoffmann: “L’interesse dei pochi azionisti di famiglia è meno importante rispetto a quelli dei 75.000 dipendenti, e gli interessi della famiglia devono essere secondari rispetto a quelli dell’azienda”. Il fatto che le aziende familiari sono meno disposte al licenziamento costituisce un altro fattore di “resistenza”: il mantenimento delle competenze all’interno dell’azienda rende più facile il superamento di un’eventuale crisi. Il peso attribuito al “capitale umano” può essere misurato, in casi estremi, al momento della vendita dell’azienda: alcuni proprietari familiari preferiscono vendere a un prezzo minore se questo garantirà l’occupazione e la sostenibilità del business. Tra gli stakeholder vi sono anche le banche. Il desiderio della famiglia di conservare il proprio buon nome porta di solito a un livello migliore di rimborso dei prestiti e di rispetto degli impegni finanziari. Infine, le imprese familiari hanno spesso forti legami con la zona di origine e tendono a sostenere il territorio. Un esempio è la famiglia Wendel, attiva nel settore siderurgico nella regione della Lorena (vicino al confine franco-tedesco) fino agli anni ‘70. Successivamente, è diventata una società di investimento con sede a Parigi; anche se non ha più attività in Lorena, l’impresa ha sostenuto un nuovo museo di arte moderna come omaggio alle proprie origini. Sfide condivise Anche se le imprese di famiglia rappresentano un modello competitivo di capitalismo, si trovano di fronte a importanti sfide, generate dalla propria natura familiare. La prima riguarda la transizione da una generazione alla successiva, la disponibilità del capo a contemplare la propria successione, la scelta di un successore competente, e il modo in cui la famiglia opererà una volta configurata la nuova proprietà. Senza la successione e la trasmissione, la storia di un’azienda familiare finisce. Queste società devono quindi re-inventarsi con ogni nuova generazione, in termini sia di 19 arcVision 29 Glob IT-ing_x CTPLastra 12/12/13 10:44 Pagina 20 20 management che di organizzazione dell’azionariato. Un’altra sfida è quella dell’armonia di famiglia. In molte imprese, tale elemento è considerato di importanza centrale nel determinare il successo o il fallimento dell’azienda. Sotto tutti e due questi aspetti, la comunicazione e la governance hanno un ruolo chiave. * Christine Blondel è professore aggiunto di Family Business presso l’INSEAD, dove ha coordinato le attività di impresa di famiglia dall’istituzione nel gennaio 1997 fino a dicembre 2007. È stata il primo direttore esecutivo del Wendel International Centre for Family Enterprise; ha fondato l’agenzia di consulenza FamilyGovernance; collabora con numerose famiglie attive nel business internazionale; è consigliere di diverse società e interviene spesso a conferenze e congressi su questi temi. Le grandi imprese familiari multi-generazionali costituiscono una delle sue specifiche aree di ricerca. Note 1. Citato in European Family Businesses, 2012. 2. Prevalence of Patrimonial Firms on Paris Stock Exchange, Blondel, Rowell, Van der Heyden, INSEAD working paper, 2002; e Ownership Structure of the 250 largest listed companies in Germany, Klein, Blondel, INSEAD working paper, 2002. 3. Anderson R.C. e Reeb D.M.,(2003), “Founding Family Ownership And Firm Performance: Evidence from the S and P 500”, The Journal of Finance, Vol. 58, N°3, pp. 1301-1327. 4. Fonte: interviste con l’autore, giugno 2013 5. de Visscher R.M., Aronoff C.E. e Ward J.L. Financing Transitions: Managing Capital and Liquidity in the Family Business, 2008, Family Business Leadership Series 7. 6. Fonte: Christine Blondel e Anne Dumas, 2008, “L’entreprise familiale sauvera-t-elle le capitalisme ? Portraits”, Editions Autrement, Paris. 7. Fonte: alcuni studi, tra cui Allouche J., Amann B. e Garaudel P. (2007). “Performances et Caractéristiques Financières Comparées Des Entreprises familiales et non familiales : le rôle modérateur de la cotation en bourse et du degré de contrôle actionnarial”, colloque annuel 2007 AIMS, Montreal; e Poutziouris P.Z. (2011) “The Financial Structure and Performance of Owner-Managed Family Firms: Evidence from the UK Economy”, Universia Business Review, Cuarto Trimestre 2011, pp. 70-81. 8. Bloch A., N. Kachaner, S. Mignon, 2012: La stratégie du propriétaire. Enquête sur la résilience des entreprises familiales face à la crise, Pearson – Collection Village Mondial. 9. Lyagoubi, M., 2013: Les valeurs familiales expliquent-elles la performance financière des enterprises familiales ? Dans les valeurs cachées de l’entreprise familiale, FBN Paris. 10. Straer and Thesmar, 2007: Performance and Behavior of Family Firms: Evidence From The French Stock Market, Journal of the European Economic Association. “Family businesses are crucial for Europe. They contribute significantly to the gross national product and employment, and tend to be innovative with a long-term vision. They also tend to be rooted in their regional and national culture, showing the kind of values that we all share.” José Manuel Durão Barroso, President of the European Commission1 T he pedestal of the economy When we speak of family businesses, the common reaction is to associate them with small and medium sized enterprises (SMEs). Indeed, most of the time, small companies are family businesses and owner-managed businesses. In France, for instance, the association of medium-sized and family-owned businesses (ASMEP-ETI) has determined that 95% of small companies are family-owned. They also account for 75% of all medium-sized companies (having 100 to 3,000 employees). But what we tend to ignore is that there are also many family businesses and owner-managed businesses among large companies. INSEAD studies2 have shown that more than half of the companies listed on the French and German stock exchanges have a family as the main shareholder. And very large family firms can also be found among unquoted companies. We only need to list a few well-known names to measure the importance of family capitalism in Europe: Michelin, Lego, L’Oréal, Miele, Louis Vuitton Moet Hennessy, Roche, BMW, Pernod-Ricard, Barilla, Henkel, JCB, Galeries Lafayette, Solvay, InBev, Bouygues, Mercadona, Fiat, Lavazza, Ferragamo, Italcementi... From the automotive industry to luxury goods, from the food business to construction, virtually all sectors have their “family jewels”. It’s interesting to note that although we may view the United States as a transatlantic haven of widely-held listed companies, it also has many family businesses, such as Wal-Mart (the retailing giant), Ford, Mars, Cargill, Carlson… The views of academia on family businesses changed in 2003 when research established that one third of the Standard & Poor’s 500 could be considered family businesses and that these showed better performance than their nonfamily counterparts3. In other parts of the world, from Latin America to Asia and the Middle East, family capitalism dominates, with giants like Hyundai, Toyota, Tata, Koç, Sabanci, Ayala Corporation, America Movil, etc. The strengths of family businesses Let’s consider the large, multi-generational family businesses found in large numbers in Europe. First, let’s specify that we consider a business to be a family business when a family is the main shareholder (not necessarily with the majority of shares) and can influence key decisions through its role in executive positions or on the board of directors. By their very nature, family businesses offer a different form of capitalism: ownership is held in large part by people with strong emotional links and a background in common; this history, coupled with the intention to pass the business on to the next generation, gives them a long-term perspective. Business sustainability prevails over short-term gains; the business usually represents a very large part of their financial assets and in which they invest their own money; similarly they are usually concerned about social community and employment issues. We can contrast these features with the past excesses of “financial capitalism”, where profit was the goal (rather than a means), where risks were taken by those who managed “other people’s money”, and where leverage (i.e. high levels of debt) was a panacea. A long-term, “generational”, time horizon Family businesses are linked to particular family stories. Studies of long-lasting family businesses show that they’ve usually overcome many crises, economic downturns, and among the most resilient of them, wars and revolutions. Family figures have been instrumental in the longevity of the business, from the founder and “humble beginnings”, to the widow who ensured the link between generations (sometimes with a very firm hand). These narratives may also mention those who had less glorious destinies and unusual trajectories. A family has a developed sense of shared history and belonging. In recent surveys conducted among shareholders of large family businesses, expressions such as “visceral attachment” and “pride” reoccur. The generation in place feels that part of their responsibility is to transmit the business to the next generation: “it’s an ongoing story, we are not owners but custodians” is often heard, as well as “we don’t want to be the ones that sell the family castle”4. arcVision 29 Glob IT-ing_x CTPLastra 12/12/13 10:44 Pagina 21 This is far removed from the owner of traded shares who buys or sells them for short-term profit. Long-term sustainability in a family business is more important than short-term gains. Shareholders provide what has been termed “patient capital”5. This long-term view can be particularly useful in economic sectors with wide time horizons: “In an industry that’s based on research, family ownership ensures the long-term stability without which we wouldn’t be able to develop as we do.” (André Hoffmann, Roche, Switzerland).6 A different approach to financing Family businesses rely on self-financing as their primary source of funds and prefer it to borrowing. Since they’re not keen to dilute their ownership, an opening up of the capital is usually the very last source of financing and is done within careful limits.7 Dividends are often restricted in order to provide necessary investment in the business. The owning family invests “its own money” and is involved in the key decisions—at board level, if not in executive positions. This encourages a certain frugality8 and discipline during investment. Such frugality can help avoid unnecessary risks: acquisitions will be scrutinized, strategic alliances favored and divestment from non-core businesses sought—even though the latter is often more difficult to do in a context where emotional attachments may prevail. A recent example of strategic divesture and re-investment is that of Solvay. The company had twin business pillars: chemicals and pharmaceuticals. They divested of pharmaceuticals, which allowed them to concentrate all their effort on chemicals and merge with Rhodia. Not surprisingly, family firms tend to enjoy a better return on the capital employed, compared to their non-family counterparts.9 The importance of human relationships and other forms of capital Family businesses have lasting relationships with their stakeholders. Customers can rely on the service being maintained over time. Family businesses similarly have a deep attachment to their employees. There are strong relationships and a real concern for people. It is well known that family businesses hesitate more than others when it comes to making an employee redundant. This kind of unspoken contract is a competitive advantage for these businesses: employees feel more loyalty towards the company and personnel costs are lower10. Shareholders in family businesses often measure their responsibilities based on the number of employees working in the company. André Hoffmann continues: “The interest of the few family shareholders is less important than those of the 75,000 employees, and family interests must come after the company’s interests.” The fact that family businesses are more reluctant to lay off employees is another “resilience” factor: the retention of skills within the company makes it easier to get out of a crisis. The weight placed on “human capital” can be gauged in extreme cases through the sale of the family business: some family shareholders actually prefer to sell for a lower price if provided with reassurances relating to employment and the sustainability of the business. Stakeholders also include bankers. A family’s willingness to preserve the reputation associated with its name usually leads them to better honor financial commitments and reimburse loans. Finally, family businesses often have strong attachments to their region of origin and tend to support local communities. One such example is the Wendel family, which was active in the steel industry in Lorraine (near the French-German border) until the 1970s. It has since become an investment company, based in Paris; whilst the company has no operations left in Lorraine, it nevertheless supported a new modern art museum there as a tribute to its place of origin. Shared challenges Even though family businesses offer a competitive model of capitalism, they also face major challenges related to their family nature. The first challenge pertains to the transition from one generation to another, the current leader’s willingness to address his succession, the choice of a competent successor, and the way in which the owning family will operate under the new ownership configuration. Without succession and transmission, the story of a family business comes to an end. Therefore, family businesses have to reinvent themselves generation after generation, whether it be in terms of company management or in the way their shareholders are organized. Another challenge is that of family harmony. In family businesses, this element is considered by many to be central in determining the company’s success or failure. When dealing with both issues, communication and governance are the key. * Christine Blondel is Adjunct Professor of Family Business at INSEAD, where she coordinated family enterprise activities from their creation in January 1997 until December 2007. She was the first Executive Director of the Wendel International Centre for Family Enterprise. She founded the advisory firm FamilyGovernance, works with numerous international business families, serves on boards and regularly speaks in conferences. One of her research focus is on large, multi-generational family firms. Notes 1. Cited in European Family Businesses, 2012. 2. Prevalence of Patrimonial Firms on Paris Stock Exchange, Blondel, Rowell, Van der Heyden, INSEAD working paper, 2002; and Ownership Structure of the 250 largest listed companies in Germany, Klein, Blondel, INSEAD working paper, 2002. 3. Anderson R.C. and Reeb D.M.,(2003), “Founding Family Ownership And Firm Performance: Evidence from the S and P 500”, The Journal of Finance, Vol. 58, N°3, pp. 1301-1327. 4. Source: interviews with the author, June 2013. 5. de Visscher R.M., Aronoff C.E. and Ward J.L. Financing Transitions: Managing Capital and Liquidity in the Family Business, 2008, Family Business Leadership Series 7. 6. Source: Christine Blondel and Anne Dumas, 2008, “L’entreprise familiale sauvera-t-elle le capitalisme ? Portraits”, Editions Autrement, Paris. 7. Source: several studies including Allouche J., Amann B. and Garaudel P. (2007). “Performances et Caractéristiques Financières Comparées Des Entreprises familiales et non familiales : le rôle modérateur de la cotation en bourse et du degré de contrôle actionnarial”, colloque annuel 2007 AIMS, Montreal; and Poutziouris P.Z. (2011) “The Financial Structure and Performance of Owner-Managed Family Firms: Evidence from the UK Economy”, Universia Business Review, Cuarto Trimestre 2011, pp. 70-81. 8. Bloch A., N. Kachaner, S. Mignon, 2012: La stratégie du propriétaire. Enquête sur la résilience des entreprises familiales face à la crise, Pearson – Collection Village Mondial. 9. Lyagoubi, M., 2013: Les valeurs familiales expliquent-elles la performance financière des enterprises familiales ? Dans les valeurs cachées de l’entreprise familiale, FBN Paris. 10. Straer and Thesmar, 2007: Performance and Behavior of Family Firms: Evidence From The French Stock Market, Journal of the European Economic Association. 21 arcVision 29 Glob IT-ing_x CTPLastra 12/12/13 10:44 Pagina 22 Tradizione e tecnologia Tradition And Technology Intervista a Pina Amarelli* Interview with Pina Amarelli* La storia e le recenti vicende di un’azienda familiare di successo con quasi 300 anni di vita, legata alla sua terra e alle sue persone The history and latest developments at a successful family firm established almost 300 years ago, with strong ties to the local community and its people 22 Pina Amarelli A ppartiene alla poco nota ma molto prestigiosa cerchia degli Hénokiens, le aziende familiari in tutto il mondo che possono vantare almeno 200 anni di vita, ininterrottamente nelle mani (e nel controllo) della stessa famiglia. Sono circa 40 e il gruppo più numeroso è proprio quello italiano, anche se l’azienda più risalente, oltre mille anni, è un antico albergo giapponese. Quella della Amarelli è una storia di passione, cultura, impresa e tradizione che affonda le sue radici a Rossano, antico centro bizantino della Calabria. Già intorno al 1500 la famiglia Amarelli commercializzava i rami sotterranei di una pianta benefica, la liquirizia, e nel 1731, per valorizzare al massimo l’impiego di questo prodotto tipico della costa ionica, crea un impianto proto-industriale, detto “concio”, per l’estrazione del succo dalle radici. E per tenere viva questa notevole storia, la famiglia ha aperto al pubblico il Museo della liquirizia “Giorgio Amarelli” (Premio Guggenheim Impresa & Cultura del 2001). Oggi, come racconta ad arcVision la presidente dell’azienda Pina Amarelli (che è anche vicepresidente degli Hénokiens), la produzione della liquirizia, dalla materia prima al prodotto finito, avviene ancora nel luogo originario della produzione, dove si realizza un interessante connubio fra artigianalità e tecnologia. Tutte le fasi produttive – i processi di selezione delle radici, l’estrazione del succo, la cottura e la concentrazione – sono informatizzate e controllate automaticamente, ma il tocco finale spetta ancora al “mastro liquiriziaio” che come una volta sorveglia personalmente il giusto grado di solidificazione del prodotto. “L’azienda, dice Pina Amarelli, ha quasi 300 anni di storia ma la famiglia ne ha più di mille, ed è dunque una realtà fortemente radicata nel territorio, in cui da sempre esercita un ruolo di leadership locale fatta di educazione al governo ma soprattutto di responsabilità verso la comunità”. Azienda e famiglia si sovrappongono e talvolta si confondono. “È forte il nostro legame con la terra, ed è questo che ci ha permesso di portare avanti una produzione tradizionale come la liquirizia e di avere delle continuative performance nel tempo”. Ed è dalla terra calabra che parte della materia prima della liquirizia continua a venire. “Non tutta, certamente, anche se questa è una terra generosa, perché non sarebbe sufficiente. Nella fascia ionica da Metaponto a Crotone cresce una qualità di liquirizia selvaggia spontanea, non coltivabile, con caratteristiche organolettiche e di gusto, dolcezza naturale e lavorabilità uniche”. Ciò ha fatto sì che nella zona fin dal ‘700 ci siano state molte fabbriche tra artigianato e industria, che poi sono progressivamente scomparse. Ma Amarelli è ancora qui con la sua tradizione unita a grandi investimenti in tecnologia che hanno permesso di superare il tempo. “È proprio l’aver unito una materia prima raffinata e sofisticata a tecnologie di lavorazione sempre più avanzate che ci permette di garantire la più alta qualità nel rispetto delle normative internazionali”, dice con orgoglio Pina Amarelli, che ricorda come l’azienda sia da tempo presente con soddisfazione in molti Paesi del mondo, come Turchia, Dubai, Giappone, Stati Uniti e Nuova Zelanda. Ma come si superano gli inevitabili ostacoli che un’azienda familiare incontra continuamente sulla propria strada, specie in un contesto spesso problematico come quello calabrese? Per Pina Amarelli la risposta è quasi scontata: “Nella nostra azienda da sempre le persone sono al centro e questo ci mette nelle condizioni di coniugare passato e futuro. Oggi Amarelli non è più solo un’azienda familiare. Da tempo sono stati inseriti dei manager dall’esterno e tutti, dentro e fuori la famiglia, devono conquistarsi il posto con capacità, vocazione e preparazione. L’interazione fra famiglia e management è forte e continua, e le donne hanno uno spazio crescente. Il segreto è sforzarsi sempre di trovare il giusto mix tra famiglia e azienda, trasmettendo i valori di generazione in generazione”. Basandosi su questi principi, sottolinea la presidente, la famiglia è riuscita a superare bene molteplici passaggi generazionali. Non tutti i membri di questa grande famiglia, che conta oltre 200 componenti, sono infatti inseriti in azienda. Molti hanno fatto altre scelte di carriera e di vita e sono oggi attivi come medici, giuristi o insegnanti nelle università. Valori forti e visione di lunga lena, dunque? “Certo, un’azienda familiare deve guardare al lungo periodo, ma senza trascurare il medio e il breve termine”, sostiene Pina Amarelli. “In questo è stato molto importante l’apporto della consulenza esterna, che ci ha aiutato a coniugare gli interessi di breve con quelli di lungo periodo e a inserire le pratiche di gestione più avanzate. In certe aziende il management esterno viene talvolta chiamato per operazioni difficili, che la famiglia non vuole compiere. Ma da noi questo non succede, la nostra visione è diversa. Cerchiamo manager che siano più bravi dei nostri. L’azienda familiare ha sempre un’impronta, può e deve essere un esempio anche per le grandi aziende”. Ma essere nel club elitario degli Hénokiens aiuta? “Certo, c’è un forte scambio esperienze, si impara a capire le caratteristiche molto diverse tra soci di tutto il mondo, e sono differenti gli uni dagli altri, anche se con comuni caratteristiche di fondo come la continuità e il controllo. Aziende con oltre 200 anni di storia sono fortemente ancorate alla realtà della famiglia, magari molto grande, della comunità locale e del territorio. Gli Hénokiens si riuniscono ogni anno presso una delle aziende socie e ci si confronta per arcVision 29 Glob IT-ing_x CTPLastra 12/12/13 10:44 Pagina 23 mantenere viva la tradizione ma con un forte spirito di evoluzione”. Ne fa fede l’interesse con cui queste aziende pluri-centenarie sono studiate dalle università di tutto il mondo. “Per esempio, conclude Pina Amarelli con soddisfazione, l’università Federico II di Napoli ha studiato il nostro sistema contabile dall’800 a oggi e lo ha trovato di una assoluta modernità”. * Giuseppina Amarelli Mengano è presidente della Amarelli Sas, leader mondiale nel settore. Docente universitario, avvocato e giornalista pubblicista, è nel Consiglio di amministrazione della Banca Popolare dell’Emilia Romagna, consigliere del Touring Club Italiano e dell’Università “Orientale” di Napoli. È presidente di Tecnesud-Consorzio Tecnologico per la Calabria ed è membro del Comitato Consultivo della Fondazione della Regione Calabria “Calabresi nel Mondo”. È stata al vertice, prima donna, di “Les Hénokiens” di cui è attualmente vicepresidente. Fa parte del Consiglio Direttivo del Gruppo del Mezzogiorno dei Cavalieri del Lavoro, del Direttivo del Comitato Leonardo e del Collegio dei Probiviri dell’Associazione Industrie Dolci e Pasta Italiane (AIDEPI), delle Commissioni Mezzogiorno e Cultura di Confindustria e dell’AIDAF. Ha ricevuto molti premi tra cui il Premio Bellisario, il Premio Minerva, il Premio Guggenheim per il museo, il Premio Unioncamere per la longevità e il successo, il Premio del Ministero delle Attività Produttive per l’imprenditoria femminile, il Premio Firenze Donna, il Premio “Grande Dame” Veuve Clicquot, il Premio “Leonardo Qualità Italia”, il Premio “100 anni di Confindustria”, il Premio “Fenice” dell’Università La Sapienza di Roma, il Premio Speciale “Anima” per i 150 anni dell’Unità d’Italia e il Premio “Women and Technology” in preparazione dell’Expo di Milano. 23 arcVision 29 Glob IT-ing_x CTPLastra 12/12/13 10:44 Pagina 24 24 A marelli is a member of the little known but highly distinguished association of the Hénokiens, family firms from all over the world set up at least 200 years ago, and owned (and controlled) without interruption by the same family. The association has around 40 members, of whom the Italians form the largest national contingent, although the oldest firm, established more than one thousand years ago, is a Japanese hotel. The story of the Amarelli company is a tale of commitment, culture, enterprise and tradition rooted in Rossano, an ancient Byzantine town in Calabria. As early as 1500 the Amarelli family was already trading the roots of a beneficial plant, liquorice, and in 1731, to realize the full application potential of this typical plant of the Ionian coast, it built a proto-industrial plant, known as a “concio”, to extract the juices from the roots. To keep this remarkable story alive, the family has opened the “Giorgio Amarelli” liquorice museum to the public (winner of the Guggenheim Enterprise & Culture Award in 2001). Today, as company chair Pina Amarelli (who is also vice president of the Hénokiens) tells arcVision, liquorice production, from the raw material to the finished product, still takes place in the original location, with a process based on an interesting combination of technology and craftsmanship. All the production phases— selection of the roots, extraction of the juices, cooking and concentration—are computerized and controlled automatically, but the finishing touch still depends on the “master liquiriziaio”, who continues to supervise the process personally to ensure that the liquorice reaches the arcVision 29 Glob IT-ing_x CTPLastra 12/12/13 10:44 Pagina 25 right level of solidification. “Our company has been operating for almost 300 years,” says Pina Amarelli, “but the family goes back more than a thousand years, so it has very deep roots in the local area, where it has always played a leadership role, in terms both of local government but above all of responsibility toward the community.” Company and family overlap and are sometimes indistinguishable. “We have very strong ties with the land and they have enabled to continue our traditional liquorice production and maintain constantly high performance over time.” The Calabrian soil still provides a portion of the liquorice roots. “Not our full requirement, although this is a generous land. A wild type of liquorice grows along the Ionian coastline from Metaponto to Crotone, a variety that cannot be cultivated, whose organoleptic qualities, flavor, natural sweetness and workability are unique.” As a result, since the 18th century the area has seen many artisan and industrial operations come and go. But Amarelli is still here, its traditions flanked by important investments in technology to allow it to withstand the passage of time. “It’s precisely because we successfully integrate a refined, sophisticated raw material with state-of-the-art processing technologies that we guarantee quality of the highest order, in compliance with international standards,” Pina Amarelli says proudly, adding that the company is a long-time operator in many countries round the world, from Turkey and Dubai to Japan, the USA and New Zealand. But how has Amarelli managed to overcome the many obstacles a family firm inevitably encounters, especially in an often difficult region like Calabria? For Pina Amarelli the answer is obvious: “People have always been the core of our company, and this means we can link past and future. Today, Amarelli is no longer just a family firm. We brought in external managers some time ago, and everyone, in and outside the family, has to win their place through ability, vocation, and training. The interaction between the family and management is strong and continuous, and women have an increasingly important place. The secret is always to strive for the right balance between family and company, passing on our values from one generation to the next.” On the basis of this principle, says Amarelli, the family has successfully survived many generational changes. Not everyone in this large family—more than 200 members—works in the business. Many of them have chosen other career paths and life styles, and include doctors, lawyers, university professors. Strong values and a long-term vision, then? “Of course, a family firm has to look ahead, but it shouldn’t neglect the medium and short term,” says Pina Amarelli. “Here, our external consultants have made a vital contribution, helping us combine our short-term and long-term interests and implement more advanced management practices. In some companies, external managers are sometimes called in to handle difficult operations the family doesn’t want to deal with. That doesn’t happen here, we have a different vision. We want managers who are better than our own. The family firm always provides a model, it can and must be an example even for large companies.” And does membership of the elite Hénokiens club help? “Well, we share our experiences, we learn to understand the very different characteristics of the members all over the world, each one is different, although there are some common underlying features like continuity and control. Companies with more than 200 years of history have close ties with the family, which may be very large, and with the local community and area. The Hénokiens meet up every year at one of the member companies, and we discuss how to keep tradition alive while fostering a strong evolutionary spirit.” Proof comes from the interest with which these pluri-centenarians are studied by universities all over the world. “For example, the Federico II University in Naples studied our accounting system from 1800 to the present day and found it to be absolutely cutting edge,” says Pina Amarelli proudly. * Giuseppina Amarelli Mengano is Chair of Amarelli Sas, the world leader in its line of business. Giuseppina Amarelli is also a university professor, a lawyer and a freelance journalist, a director of Banca Popolare dell’Emilia Romagna, of Touring Club Italiano and of the “Oriental” University in Naples. She is President of the Tecnesud Technological Consortium for Calabria and a member of the Advisory Committee of “Calabresi nel Mondo”, a foundation of the Calabria Regional Authority. She was the first woman to chair “Les Hénokiens” and is currently Vice President. She is a member of the Steering Committee of the Mezzogiorno Group of Cavalieri del Lavoro, of the Steering Body of the Leonardo Committee, of the Collegio dei Probiviri of the Italian Association of Confectionery and Pasta Industries (AIDEPI), of the Confindustria Mezzogiorno and Culture Commissions and of the AIDAF. She has received many awards, including the Bellisario award, the Minerva award, the Guggenheim museum award, the Unioncamere award for longevity and success, the award of the Ministry of Production Activities for female entrepreneurs, the Firenze Donna award, the Veuve Clicquot “Grande Dame” award, the “Leonardo Qualità Italia” award, the “100 anni di Confindustria” award, the La Sapienza University “Fenice” award, the special “Anima” award for the 150th anniversary of Italian Unity and the “Women and Technology” award in preparation for the Milan Expo. 25