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Capitali coraggiosi Courageous Capitals
4
Global
arcVision 29 Glob IT-ing_x CTPLastra 12/12/13 10:44 Pagina 4
Capitali coraggiosi
Courageous Capitals
di Guido Corbetta*
by Guido Corbetta*
L’attenzione crescente dedicata alle IF da parte delle istituzioni, degli accademici e della
classe dirigente è la conseguenza naturale della loro massiccia presenza in Italia e altrove
The increasing attention paid to FBs by institutions, scholars and policy makers is a natural
consequence of their massive presence in Italy and elsewhere
Guido Corbetta
Grandi aziende familiari.
Un antico modello di
organizzazione per il nuovo
capitalismo del futuro.
Coincidenza di interessi di
proprietari, dirigenti e
dipendenti, maggiori
opportunità di creatività e
partecipazione, comunanza
di valori etici, leadership
stabile, forte identità e una
visione condivisa, sono tutti
fattori che contribuiscono a
rafforzare il vantaggio
competitivo anche in tempi
di crisi economica e la
prospettiva a lungo termine
del business.
Large family businesses.
An ancient organization model
for the new capitalism of the
future. A pooling of owner,
manager and employee
interests, greater opportunities
for creativity and engagement,
common ethical values, stable
leadership, a strong identity
and a shared vision: all factors
that help to strengthen a
company’s competitive edge
even in an economic crisis, and
its long-term business outlook.
N
el 2009, dopo oltre tre
decenni di ricerche e di
dibattito pubblico
sull’importanza delle imprese di
famiglia (IF), la Commissione UE
propose una definizione dell’IF.
Un’azienda è un’impresa di
famiglia se:
• la maggioranza dei diritti
decisionali è detenuta dal
fondatore (o da chi ha
acquistato la società) o dal suo
coniuge, oppure da genitori,
figli o discendenti diretti dei figli;
• almeno un rappresentante
della famiglia è coinvolto nella
governance dell’impresa;
• le imprese quotate sono da
considerarsi IF se gli imprenditori
o i loro discendenti detengono
il 25% dei diritti decisionali.
Tale definizione della
Commissione è particolarmente
significativa in quanto è la
prima volta che un’istituzione
sovranazionale riconosce
l’importanza dell’accordare
piena legittimità alle IF, oltre alla
necessità di identificare criteri
comunemente accettati per
identificare tali imprese.
La sempre maggiore attenzione
alle IF tra le istituzioni, gli
accademici e la classe dirigente
è la naturale conseguenza
della loro massiccia presenza
nel mondo. Secondo un’analisi
sulla presenza delle IF tra i Paesi
G20, il peso di queste aziende
è di importanza eccezionale
in tutte le economie avanzate.
La presenza delle IF
rappresenta tra il 65% – 67%
rispettivamente nel Regno Unito
e in Australia, il 79% in
Germania, l’82% in Italia,
l’83% in Francia e il 90% in
Turchia. Le IF sono ampiamente
presenti anche in Paesi come
gli Usa (80-90% dell’intera
popolazione delle aziende
e il 50% della graduatoria
Fortune 1000), spesso indicati
come un’economia orientata
al mercato meno familiare.
Le IF hanno un peso
particolarmente alto nel
Medio Oriente, in Brasile,
nei Paesi Asiatici e in altri Paesi
latino-americani.
Alcuni dati sulle aziende
di famiglia in Italia
L’Osservatorio AUB italiano
costituisce la fonte più articolata
di informazioni su tutte
le IF medie e grandi in Italia1.
Secondo i dati AUB, il 58% di
tutte le imprese medio-grandi
italiane sono a controllo
familiare. Il numero comprende
sia le imprese quotate in Borsa,
il 4% dell’intera popolazione,
che quelle non quotate.
Anche se numericamente
la loro presenza è limitata2,
le IF quotate generano
il 27,9% del fatturato
complessivo di tutte le imprese
prese in considerazione
dall’Osservatorio. I dati AUB
indicano che le IF hanno
conosciuto una crescita solida
negli ultimi dieci anni, a tassi
in ogni caso maggiori rispetto
a quelli delle imprese non
a controllo familiare, una
redditività più alta, e hanno
creato maggiore occupazione,
con un aumento complessivo
del numero dei dipendenti del
6,5% nel periodo 2007-2011.
Per quanto riguarda il modello
di leadership, le evidenze
provenienti dall’Italia mettono in
discussione le tesi di chi sostiene
la necessità di una maggiore
“professionalizzazione” del
management. La leadership
familiare, infatti, sembra produrre
benefici per l’IF, in termini sia
di redditività sia di crescita.
Alcuni dati, invece, confermano
la resistenza delle IF a un’apertura
della propria struttura di
governance e leadership:
• nel 34,1% dei casi i consiglieri
delle IF medio-grandi sono
esclusivamente della famiglia;
• la presenza delle donne a
capo delle aziende familiari è
passata solo dall’8,8% nel 2000
al 9,1% nel 2010, mentre la
percentuale di consiglieri donne
è aumentata dal 17,6%
nel 2000 al 18,5% nel 2010.
Sembra che il dibattito sul tema
donna degli anni recenti non
abbia portato affatto a
cambiamenti significativi, anche
se la presenza delle donne
come consiglieri o leader può
migliorare le prestazioni;
• mentre i leader aziendali di età
inferiore ai 50 anni sembrano
produrre andamenti migliori
in termini sia di redditività
che di crescita dei ricavi, i leader
con 60 anni e più sembrano
aver un impatto negativo
sull’andamento, indicando una
“resistenza” alla crescita, il che
è naturale per chi è vicino all’età
della pensione (risultati simili
si rilevano osservando la durata
in carica dei leader);
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in IF gestite dai fondatori,
al pari dei rischi che potrebbero
sorgere da eventuali conflitti
all’interno della famiglia man
mano che aumenta il numero di
generazioni e proprietari.
• tendenze simili si osservano
tra i fondatori delle IF, a
dimostrazione del fatto che
l’età anagrafica è un indicatore
importante dell’andamento
dell’azienda. In sintesi, anche
se è indubbio che una certa
esperienza porta benefici,
“troppa” esperienza porta
a un’inerzia strategica che può
compromettere l’andamento
dell’azienda. Altre evidenze
forniscono quello che con ogni
probabilità costituisce la prima
prova empirica di un vecchio
detto secondo il quale “la prima
generazione crea, la seconda
mantiene e la terza distrugge”.
Secondo i dati AUB, nell’ultimo
decennio le IF di prima
generazione hanno riportato
risultati significativamente
migliori, in termini sia di
redditività che di crescita.
Tali risultati positivi spariscono
nelle IF di seconda generazione,
e diventano negativi nelle
IF di terza generazione.
Tutto questo sottolinea, ancora
una volta, l’importanza di un
forte “spirito imprenditoriale”,
che è naturalmente più marcato
Qualche raffronto
internazionale
Come abbiamo visto, è
significativa in tutto il mondo
la presenza delle IF. Se si
confrontano le IF italiane con
quelle di altri Paesi, si notano
le seguenti differenze di base:
• In genere le IF italiane sono
più piccole. Anche al recente
congresso annuale della Family
Business Network – la rete
di quasi 4.000 IF nel mondo
organizzato quest’anno a Rio –
molte IF attive in Nord America,
Asia e America Latina hanno
ricavi per oltre 2 miliardi di
euro. In Italia solo 20 imprese
superano tale soglia.
Il fenomeno è legato ad alcuni
fattori culturali che non solo
favoriscono imprese di
dimensioni minori (il che spiega
perché in molti casi un’impresa
si divide in due o tre società
più piccole), ma alimentano
un rilevante scetticismo per
quanto riguarda un’eventuale
offerta pubblica iniziale
(uno strumento importante
per reperire le risorse finanziarie
necessarie per raggiungere
una dimensione significativa)
e rallentano lo sviluppo di
processi e di sistemi di reporting
gestionale che faciliterebbero
l’amministrazione di un’impresa
grande.
• Le IF italiane tendono ad
avere una struttura di proprietà
meno concentrata. In molti
paesi esteri esistono IF con
dozzine di proprietari, in alcuni
casi – Mulliez in Francia o
Haniel in Germania – addirittura
centinaia. Tale fenomeno,
a prescindere dalla differenza
nel tasso di natalità di alcuni
Paesi, è collegato alla questione
delle dimensioni. Da una parte,
è difficile sviluppare imprese
di dimensioni grandi, perché
gli eredi preferiscono avviare
società autonome (come nei
casi delle famiglie Merloni
e Riello: se tutti gli eredi
dei fondatori fossero rimasti
insieme, i ricavi consolidati
sarebbero stati almeno il triplo
di quelli delle singole società
attuali); dall’altra parte, se le
dimensioni dell’impresa non
aumentano in modo rilevante,
prima o poi non sarà più
possibile compensare il numero
crescente di membri della
famiglia. Di conseguenza,
alcuni membri preferiranno
andarsene, con una riduzione
inevitabile delle disponibilità
per sostenere lo sviluppo
dell’impresa. La rarità in Italia
di grandi famiglie di controllo si
spiega, infine, con la difficoltà
di sviluppo di sistemi e processi
per la gestione di grandi
strutture di proprietà.
Gli strumenti come gli accordi
di famiglia, i consigli di famiglia,
le regole per l’avvicendamento
generazionale – che aiutano
molte famiglie imprenditoriali
non italiane a conservare
la propria unità – sono poco
diffusi in Italia.
• Le IF italiane di solito sono
meno diversificate. Ci sono
diverse spiegazioni per questo.
In primo luogo, sono importanti
i fenomeni illustrati sopra di
divisione dei beni tra i membri
della famiglia: tutti preferiscono
condurre le proprie attività
in modo indipendente, anziché
sotto l’“ombrello” comune
di una holding diversificata
controllata da tutti i membri
della famiglia. In secondo
luogo, almeno rispetto ad alcuni
Paesi, il numero basso di
grandi gruppi diversificati si può
anche spiegare in termini
di un mercato più funzionale:
in alcuni Paesi (ad esempio,
in Asia, nel Medio Oriente
o nell’America Latina) le
famiglie fanno da contrappeso
alle inefficienze dei mercati
finanziari e del lavoro.
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Osservazioni conclusive
La longevità delle IF è
fortemente condizionata
dalla qualità dei proprietari.
Date le proprie preferenze
personali, i diversi membri di
una famiglia possono avere
orientamenti divergenti riguardo
ai rischi, alla remunerazione,
alla disponibilità a continuare
a investire nell’impresa di
famiglia. Inoltre, mentre alcuni
proprietari possono considerare
prioritari la redditività
e la crescita, altri magari
attribuiscono maggiore
importanza a obiettivi come
la sicurezza dell’impiego,
la continuità della dinastia
familiare, la legittimità
all’interno della comunità locale.
Tenendo presenti tutti questi
equilibri, la collaborazione
tra gli azionisti sembra essere
la strada privilegiata per
enfatizzare i punti di forza della
proprietà di famiglia; altrimenti,
le debolezze e le “trappole”
sembrano inevitabili.
Gli stessi punti di forza della
proprietà familiare possono
trasformarsi in debolezze,
persino appunto in “trappole”,
se i valori familiari vengono
interpretati in modo erroneo.
Tali trappole si possono evitare
seguendo certi valori e
best practices. Innanzitutto
la famiglia deve assolutamente
riconoscere il valore dell’azienda
come una “istituzione privata
che va gestita come un bene
pubblico”. Poi, i membri della
famiglia dovrebbero investire
tempo e impegno per facilitare
la comunicazione efficace tra di
loro, evitando gelosie, malintesi
e piccoli conflitti. Inoltre,
le IF necessitano di un sistema
rigoroso di governance
della famiglia, con regole
meritocratiche per disciplinare
la successione alla leadership
e l’assunzione dei membri
della famiglia. Infine,
le IF dovrebbero sviluppare
una corporate governance
professionale e una strategia
disciplinata, senza sprecare
risorse in progetti la cui
motivazione non è la creazione
di valore per l’azienda
e per la famiglia. Se le famiglie
imprenditoriali italiane saranno
in grado di rispettare tutti
questi valori e best practices,
in futuro magari avremo un
numero maggiore di IF di grandi
dimensioni.
* Guido Corbetta è professore ordinario
di Strategia aziendale e titolare
della cattedra AIdAF-Alberto Falck
di Strategia delle aziende familiari
all’Università Bocconi di Milano.
La cattedra AIdAF-Alberto Falck è la
prima sponsorizzata nella storia della
Bocconi. Corbetta è stato direttore della
Bocconi Graduate School (2005-2010).
Lavora nel campo dell’azienda familiare
dal 1988, come ricercatore, consulente
e consigliere. È direttore scientifico
dell’Osservatorio AUB (AIdAF-UnicreditCamera di Commercio di MilanoUniversità Bocconi) che riunisce oltre
3.000 imprese familiari italiane con un
fatturato superiore ai 50 milioni di euro.
È l’autore con Carlo Salvato del volume
Strategies for longevity in family firms.
A European perspective, Palgrave, 2012.
Note
1. Lanciato nel 2009 e attualmente alla quinta
edizione, l’Osservatorio comprende tutte le imprese a
controllo familiare con ricavi superiori ai € 50 milioni
nello scorso esercizio. L’Osservatorio è sostenuto
dall’Associazione Italiana delle Aziende Familiari
(AIdAF), dall’Unicredit, dalla Camera di Commercio di
Milano e dall’Università Bocconi.
2. L’Osservatorio AUB monitora 112 imprese familiari
quotate in borsa. Complessivamente la Borsa italiana
comprende circa 240 aziende industriali.
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I
n 2009, after more than
three decades of research
and public debate on the
importance of family businesses
(FBs), the EU Commission
proposed a definition of FBs.
A company is a family business if:
• The majority of decision-making
rights is in the possession of the
founder (or of who has/have
acquired the company) or of
his/her spouse, parents, child
or children’s direct heirs.
• At least one representative
of the family is involved in the
governance of the firm.
• Listed companies meet the
definition of FB if the
entrepreneurs or their
descendants possess 25% of
the decision-making rights.
This definition is particularly
relevant since for the first time
a supra-national institution
recognized the importance
of giving full legitimacy to FBs,
as well as the need to identify
commonly accepted criteria
to identify those firms.
The increasing attention to FBs
by institutions, scholars and
policy makers is a natural
consequence of their massive
presence worldwide.
An analysis of FBs’ presence
among the G20 countries
shows that their weight is of
exceptional importance to all
the most developed economies.
In the countries for which data
are available, FBs’ presence
ranges between 65% and 67%
in UK and Australia,
respectively, 79% in Germany,
82% in Italy, 83% in France,
and 90% in Turkey. FBs are also
largely represented in countries
such as the US (80-90% of the
whole population of firms and
50% of Fortune 1000), which
are often characterized as a
market-oriented, less familial
economy. The weight of FBs is
particularly large in the Middle
East, Brazil, and in Asian and
other Latin-American countries.
Some data on family
businesses in Italy
The Italian AUB Observatory
represents the most
comprehensive source of
information on all the medium
and large sized FBs in Italy1.
According to AUB data, 58% of
all medium-to-large Italian firms
are family controlled. Those
figures include both private
and listed companies, which
account for 4.0% of the entire
population. Although their
presence is limited in number2,
listed FBs generate a significant
27.9% of the total turnover of
all the firms considered in the
Observatory.
AUB data show how family firms
experienced a solid growth over
the past ten years, with growth
rates always exceeding those
of non-family peers, higher
profitability, and increase of
employment opportunities with
an overall +6.5% of employees
in the 2007-2011 period.
With respect to the leadership
model, evidence from Italy
challenges arguments by
advocates of a greater
“professionalization” of
management. Leadership by
a family manager seems
to be largely beneficial for FBs’
performance, both in terms
of profitability and growth.
In contrast, some data
confirm the resistance of FBs
to open their governance
and leadership structure;
• 34.1% of these medium and
large FBs have only family
directors;
• the presence of women at the
head of family firms has
increased only from 8.8% of
cases in 2000 to 9.1% in 2010,
while the percentage of women
directors in boards changed
from 17.6% in 2000 to 18.5%
in 2010. It seems that the
intense debate in recent years is
far from producing significant
changes, although the presence
of women as board members
or leaders may produce better
performance;
• while firm leaders with less
than 50 years appear to have
higher performance both in
terms of profitability and
revenue growth, older leaders
(60+) seem to have a negative
impact on performance, mostly
denoting a “resistance” to
growth, which is natural for
executives close to retirement
(similar results emerge when
observing the leaders’ tenure
in office);
• similar patterns apply to FBs’
founders, showing that age is
an important predictor of firm
performance. In short, while
there is no doubt that some
experience helps, “too much”
experience determines strategic
inertia that may ultimately lead
to inferior firm performance.
Additional evidence provides
what is probably the first
empirical test of an old adage
according to which “the first
generation creates, the second
maintains and the third
destroys”. According to the
AUB data, first generation FBs
showed in the past decade
significantly higher results both
in terms of profitability and
growth. Such positive results
disappear in second generation
FBs, turning into negative in
third generation FBs. These
results emphasize once again
the importance of a strong
“entrepreneurial spirit”,
which is naturally higher in
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founder-managed FBs, as well
as the risks associated with
within-family conflicts as the
number of generations and of
owners increase.
Some international
comparisons
As we have seen, the presence
of FBs is significant worldwide.
Comparing the Italian FBs
with those of other countries,
the basic elements of difference
are as follows:
• Italian family firms are
typically smaller in size.
Even during the recent 2013
annual conference of the
Family Business Network—the
organization that joins nearly
4,000 FBs in the world—held in
Rio, it became apparent that
many FBs in North American,
Asian and also in South
American countries are over
2 billion euro in revenue. In Italy
there are only 20 enterprises
that exceed this size.
This phenomenon is connected
to some cultural factors that lead
to prefer small size (explaining
the many cases in which a
company is split into two or
three smaller companies), to a
substantial skepticism towards
phenomena such as the IPO
(an important tool for raising
financial resources to achieve
significant size), and to delay the
development of processes and
management reporting systems
that allow to manage a large
company.
• Italian FBs tend to have a less
concentrated ownership
structure. In many foreign
countries there are cases of FBs
with dozens of owners and,
in some cases—such as
Mulliez in France or Haniel
in Germany—there are
a few hundred owners.
This phenomenon, beyond the
difference in birth rates in some
countries, is intertwined with
the issue of company size.
On the one hand, it is difficult
to develop large companies,
because the heirs prefer to start
independent companies
(such as in the cases of Merloni
and Riello families: if all the
heirs of the founders had
remained together, consolidated
revenues would have at least
tripled compared to their
current individual companies);
on the other hand, if the size of
the company does not increase
significantly, sooner or later
it will no longer be possible to
compensate the increasing
number of family members.
As a result, some members
will prefer to leave the company
with an inevitable reduction
in the resources available for
company growth. The rare
occurrence of large controlling
families is finally explained by
the difficulty in developing
systems and processes for
managing large ownership
structure. Instruments such as
family agreements, family
councils, family offices,
and rules of generational
change—which help many
foreign entrepreneurial families
to preserve their unity—are not
very common in Italy.
• Italian family businesses usually
have a lower degree of
diversification. This phenomenon
can be explained in several ways.
First, the above mentioned
phenomena of separation of
assets between family members
are important: everyone prefers
to carry on its business
independently, rather than to
remain under the common
“umbrella” of a diversified
holding company controlled
by all family members. Second,
at least compared to some
countries, the low number of
large diversified groups can also
be explained by a better
functioning of markets:
in some countries (e.g., Asian,
Middle-East or Latin-American
countries), families balance the
inefficiencies of the labor and
financial markets.
Final remarks
The longevity of FBs is deeply
influenced by the quality of the
owners. Given their personal
preferences, different family
members may have diverging
orientations in terms of risks,
payoffs, and willingness to
continue investing in the family
company. Also, while some
owners may be naturally inclined
towards firm profitability and
growth, others may weigh more
objectives such as job security,
family dynasty continuity, and
positive legitimacy in local
communities. With all these
balances in mind, cooperation
among shareholders seems the
privileged route to emphasize
strengths of family ownership;
otherwise, weaknesses and
“traps” seem to be unavoidable.
The same strengths of family
ownership can become
weaknesses and even “traps”
if family values are wrongly
interpreted. These traps can be
avoided following some values
and best practices. First, the
family should undoubtedly
recognize the value of the firm
as a “private institution that has
to be managed as a public
good”. Second, family members
should invest a lot of time
and energies to facilitate
effective communication among
them, avoiding jealousy,
misunderstandings, and minor
conflicts. Additionally, FBs should
be highly disciplined in family
governance, including
meritocratic rules for leadership
succession and for hiring of
family members. Finally, FBs
should develop professional
corporate governance and
discipline in strategy without
wasting resources in projects
motivated by reasons other than
the creation of value for the
company and for the family.
If the Italian entrepreneurial
families will be able to respect
all these values and best
practices hopefully in the future
we will have a greater number
of large sized FBs.
* Guido Corbetta is AIdAF-Alberto Falck
Professor of Strategic Management in
Family Business at Bocconi University in
Milan, Italy. AIdAF-Alberto Falck chair is
the first one sponsored in the history of
Bocconi University. He has been Dean of
Bocconi Graduate School (2005-2010).
Guido Corbetta has been working
on family business since 1988, as
researcher, consultant and director. He is
the Scientific Director of Observatory
AUB, (AIdAF-Unicredit Bank-Chamber of
Commerce of Milan-Bocconi University)
about more than 3,000 Italian family
enterprises with revenues over 50
Ml/Euro. He has recently published with
Carlo Salvato the book Strategies for
longevity in family firms. A European
perspective, Palgrave, 2012.
Notes
1. Launched in 2009, and currently in its fifth edition,
the Observatory includes all the family controlled
firms with revenues exceeding 50 millions € in the
past fiscal year. The Observatory is supported by the
Italian Association of Family Businesses (AIdAF),
Unicredit Bank, Chamber of Commerce of Milan and
Bocconi University.
2. The AUB Observatory considers 112 listed family
firms. The overall size of the Italian stock exchange
includes approximately 240 industrial firms.
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Visioni di lungo periodo
Long-Term Visions
Intervista a Elena Zambon*
Interview with Elena Zambon*
Identità basata su valori forti e obiettivi di lungo periodo sono le caratteristiche delle aziende familiari meglio gestite
Identity built on strong values and long-term goals are the distinguishing features of the best-run family businesses
l’impresa. Specie oltre una certa
dimensione, la separazione dei
ruoli tra manager e famiglia
diventa essenziale per presidiare
al meglio le diverse funzioni
organizzative, garantendosi
professionalità specifiche
qualificate.
Elena Zambon
A
capo di un’azienda
familiare con 107 anni di
vita, Elena Zambon porta
avanti con successo una sfida
imprenditoriale e manageriale
nel non semplice contesto del
mercato farmaceutico globale.
Ad arcVision ha esposto la sua
visione sui temi più rilevanti
oggi all’attenzione non solo
dell’azienda di famiglia ma
di ogni impresa di qualsiasi
settore: i valori che la guidano,
il coinvolgimento delle persone,
la chiarezza degli obiettivi
specie di lungo periodo e la
capacità di realizzare passaggi
cruciali come la scelta
di manager esterni e la
determinazione della
successione generazionale.
È ben vero che vi sono in
Italia e nel mondo aziende
familiari con dimensione
e proiezione globale,
ma certo la dimensione
minore è alquanto più
frequente. Secondo lei per
diventare grandi aziende
di scala internazionale
la proprietà familiare è un
vincolo?
A priori la proprietà familiare
non è né un vincolo né un
punto di forza. Le dimensioni
ideali dell’impresa, pronta
a competere sui mercati
internazionali, sono diverse
da settore a settore, quindi
per alcune imprese una certa
dimensione può essere
sufficiente per confrontarsi
con il proprio mercato di
riferimento; per altri settori
c’è una soglia minima
necessaria per competere
adeguatamente. Quello che
a mio avviso è invece rilevante
e diventa un punto di forza
è la capacità di managerializzare
È più facile o più complesso
esercitare la leadership
e determinare fedeltà
e coinvolgimento dei
collaboratori in un’azienda
familiare?
Premetto che non amo il termine
leadership di cui ormai si abusa.
Mi piace piuttosto il concetto
di leader, che oggi in azienda
più che altrove dev’essere
diffuso: ognuno di noi ha delle
responsabilità, non importa
a quale livello organizzativo
apparteniamo e ognuno
di noi può essere un leader
importante, quasi essenziale,
dentro un’organizzazione;
è fondamentale che cresca
la consapevolezza di poter dare
il proprio contributo al servizio
dell’impresa.
L’impresa che ha un vantaggio
competitivo è quella che può
contare su tanti leader che
collaborano tra loro, non certo
su una “guida” unica che
si impone dall’alto. Nessuno
può pensare di fare da solo,
nemmeno l’imprenditore.
In secondo luogo credo che
le aziende familiari possano
trasmettere più facilmente, per
loro natura, un’identità di valori
forti nei quali i collaboratori
possono riconoscersi perché così
si sentono parte attiva di un
progetto più grande e credono
nella possibilità di contribuire
al futuro dell’impresa.
In questo senso lo stile etico
di un’impresa familiare è
fondamentale. Avere gli stessi
valori etici aiuta a condividere
un progetto di futuro comune
e costruisce relazioni solide con
e fra collaboratori.
La stabilità dei risultati nel
tempo e l’ottica di lungo
periodo sono spesso citate
come caratteristiche peculiari
delle aziende familiari.
Mito o realtà?
Le imprese familiari
effettivamente sono orientate a
guardare al medio-lungo periodo
e così facendo si rivelano
più attrezzate a sopportare
i momenti difficili. L’imprenditore
lungimirante è più disposto ad
investire e a privarsi del proprio
dividendo perché lo scopo
ultimo delle nostre aziende,
come della famiglia, è quello di
durare nel tempo. Se guardiamo
i dati di questi ultimi anni,
le aziende che meglio hanno
reagito alla crisi sono quelle che
si sono mosse in un’ottica di
investimento a lungo periodo,
non facendosi condizionare
dalle logiche finanziarie di breve
periodo.
Le imprese familiari sono guidate
nel tempo da una continuità
manageriale che, affiancata
a una visione imprenditoriale,
sollecita i manager a prendere
decisioni coraggiose e a
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concentrarsi non solo sui
risultati richiesti dagli investitori
finanziari, ma anche su quelli
necessari allo sviluppo
“dell’industria”. La continuità è
essenziale, specialmente in certe
funzioni dell’impresa, perché
aiuta a perseguire risultati di
successo attraverso una guida
duratura nel management, in
particolare penso all’area della
Ricerca e Sviluppo.
E quali sono a suo parere
i punti deboli, o più deboli,
di un’azienda familiare
rispetto ad aziende a
proprietà diffusa?
Non credo ci sia una risposta
valida a priori per tutte le
imprese familiari. Sicuramente
la capacità di aprirsi ai giovani,
di preparare per tempo un
passaggio generazionale
efficace, creando regole di
governance chiare e rigorose in
cui il ruolo di manager e il ruolo
di azionista sono ben distinti,
sono elementi positivi che
danno solidità all’azienda.
La scelta di un management
esterno è sempre un
passaggio delicato in
un’azienda familiare, che
avvenga nel momento
della successione
generazionale o che venga
attuato per allargare la
visuale dell’azienda con
immissione di competenze
nuove. Quali sono i fattori
da tenere presenti nel
momento della scelta di un
manager di vertice?
Come dicevo, sistemi di
governance ben strutturati,
sono spesso una formula ideale
affinché manager e famiglia
imprenditoriale esprimano al
meglio il loro potenziale.
È altrettanto importante che
nella scelta del manager esterno
le persone si riconoscano negli
stessi valori affinché rispettino
nelle pratiche manageriali gli
stessi principi. È anche questo
un modo per tenere più a lungo
manager convinti del loro
incarico perché credono nella
possibilità di dare un contributo
al futuro dell’impresa.
Il linguaggio di valori non ha
tempo, non passa di moda,
appartiene a quelle realtà che
hanno una visione di lungo
periodo. Per un manager
lavorare in un’impresa dove è
presente l’imprenditore è molto
diverso rispetto alla gestione
di una realtà in cui il vissuto dei
valori può essere “lontano”.
Quindi nelle imprese familiari
può essere più adatto scegliere,
a parità di qualità delle persone,
manager che abbiano già avuto
in precedenza esperienze
con famiglie imprenditoriali
coinvolte in azienda.
Per ogni imprenditore è
sempre un’opzione dolorosa,
o considerata tale, quella
di aprire il capitale a terzi,
specie se è in gioco
il controllo. Perché a suo
modo di vedere così tanti
imprenditori preferiscono
mantenere il controllo
di una realtà minore magari
sacrificando grandi
opportunità di crescita con
l’ausilio di nuovi investitori?
Penso che il legame con
l’azienda, specie per un
imprenditore di prima
generazione, sia molto forte;
la considera una sua creatura,
ogni cambiamento proposto,
anche solo nelle regole di
governance necessariamente
più severe se entra un
investitore terzo, può essere
interpretato come un
“irrigidimento” della cultura
aziendale che gli appartiene.
Spesso l’imprenditore, infatti,
instaura con i suoi collaboratori
un clima informale di
coinvolgimento che è legato
alla sua capacità di indirizzare
le persone in sfide importanti,
dove limitare le scelte a
ragionamenti solo sui numeri
forse non lascia adeguato
spazio al coraggio di innovare.
Qual è stata la sfida più
difficile che ha dovuto
affrontare nella sua storia
professionale?
Ogni cambio manageriale di
figure di primo piano, alla guida
dell’azienda, è una sfida
difficile non solo nel valutare
competenze e profili
professionali più adatti ma nel
costruire un rapporto di sintonia
con le persone individuate anche
perché la scelta coinvolge aspetti
relazionali. Si può immaginare
come in un’impresa di 107 anni
questo sia avvenuto più volte
o per anzianità manageriale
o per evoluzione del business.
Nel complesso il più delle volte si
sono rivelate scelte corrette.
Qual è il passaggio che,
al contrario, le ha dato più
soddisfazione?
La soddisfazione cui tengo
di più è il riavvicinamento nel
tempo della famiglia ai temi di
identità d’impresa che, rispetto
a una conduzione puramente
manageriale, ha permesso di
ritrovare vigore ed energia
nuova per affrontare percorsi
di innovazione e
internazionalizzazione insieme a
una valida struttura manageriale.
* Elena Zambon è presidente di
Zambon S.p.A., multinazionale
farmaceutica fondata a Vicenza nel
1906, vicepresidente della ZaCh –
Zambon Chemicals – e consigliere di
Zambon Company, holding di gruppo,
oltre ad essere Presidente della
Fondazione Zoé Zambon Open
Education. È presidente di Secofind SIM
S.p.A., il Multi Family Office che fonda
nel 2000 per estendere ad altre famiglie
di imprenditori l’esperienza svolta nel
wealth management per la famiglia
dal 1994, nella selezione e nel controllo
dei gestori patrimoniali. Dal 2010 fa
parte del Consiglio di amministrazione
di Italcementi S.p.A. e dall’agosto
del 2011 è membro del Consiglio
di amministrazione di Fondo Strategico
Italiano. In precedenza è stata
consigliere di Akros Finanziaria e di
Salvagnini S.p.A. Dal 2007 Elena
Zambon è membro del Consiglio
Generale di Aspen Italia e recentemente
è stata nominata membro del Comitato
Esecutivo dello stesso istituto; è inoltre
presidente di AIdAF (Associazione
Italiana delle Aziende Familiari).
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the firm. In this sense, the
ethical style of a family business
is fundamental. Sharing the
same ethical values is the way
to share a project for a
common future and build solid
ties with your people.
H
ead of a family firm
established 107 years
ago, Elena Zambon has
achieved great success in
dealing with the entrepreneurial
and managerial challenges
faced by a player on the
complex global pharmaceuticals
market. In this interview with
arcVision, she explains her
perspective on the issues of
greatest importance today, not
only for her own firm but for
any business organization in any
field: core values, engagement,
clear objectives, especially over
the long term, and expertise in
handling crucial events like the
selection of external managers
and the transition from one
generation to the next.
In Italy and around the
world, there are family firms
with global dimensions
operating on a global scale,
but organizations of a
smaller size are more
numerous. Do you think
family ownership is a
constraint for players that
want to become major
international players?
A priori, family ownership
is neither a constraint nor
a strength. The ideal size for
a company addressing the
international marketplace varies
from sector to sector: for some
companies a certain dimension
is sufficient for their market,
in other sectors, you have to
reach a minimum threshold
if you want to be a winner.
What I think is important, and
can be turned into a strength,
is the ability to managerialize
the organization. Especially
when you grow beyond a
certain size, separating the roles
of manager and family is
essential to optimize the various
organizational functions and
ensure the presence of specific
professional skills.
Is it easier or more difficult
to exercise leadership and
inspire loyalty and
engagement among staff
in a family firm?
First of all, I’m not fond of the
term leadership, which is overused today. I prefer the concept
of leader, which should be
widely implemented in
companies today more than
elsewhere: each one of us has
responsibilities, irrespective of
the level we occupy in the
organization, and each one of
us can be an important, almost
essential leader, inside that
organization; it’s vital that
people become aware that they
can contribute to the company.
A company with a competitive
edge is an organization with
large numbers of leaders who
cooperate with one another,
not a company with a single
top-down “commander”.
No one should think they can
do it alone, not even the
entrepreneur. Second, I think
that family firms, because of
their nature, can convey more
easily an identity based on
strong values with which staff
can identify, because then they
feel they’re an active part of
a wider project and can make
a contribution to the future of
Stable results over time
and a long-term outlook
are often identified as key
characteristics of family
firms. Fact or fiction?
Family firms do indeed look
to the medium-long term and
so are better equipped to face
difficulties. An entrepreneur
with foresight is more willing to
invest and to give up his or her
dividend, because the ultimate
goal of the company, as of the
family, is to carry on over time.
If you look at the figures for the
last few years, the companies
that have reacted best to the
crisis are the ones that have
implemented a long-term
investment strategy, and not
allowed themselves to be
influenced by short-term
financial considerations.
Family firms are run over the
years with a managerial
continuity which, together with
an entrepreneurial vision,
motivates managers to take
courageous decisions and to
focus not only on the results
financial investors want,
but also on the results the
“industry” needs to grow.
Continuity is essential, especially
in certain corporate functions,
because a long-lasting hand at
the helm helps successful results
to be achieved, particularly in
the R&D area.
What do you think are the
weaknesses, or the weaker
points, of a family firm
compared with organizations
with a wider ownership?
I don’t think there’s an answer
that necessarily applies to all
family firms. Certainly, the
ability to make way for younger
people, to prepare in advance
11
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worlds with a long-term vision.
For the manager, working
in a company where the
entrepreneur is present is quite
different to working in an
environment where corporate
values are experienced
“at a distance”.
So when a family firm is making
a choice, given candidates with
similar qualifications, it may be
best to choose someone who
has already worked in firms
where the family was involved in
the company.
12
for a successful generational
handover by establishing clear,
rigorous rules of governance
that clearly separate the role
of manager and the role of
shareholder, are positives that
give the company a solid base.
The recruitment of external
managers is always a tricky
time for a family firm,
whether it comes when the
next generation takes over,
or whether it’s done to
broaden the company’s vision
by bringing in new skills.
What factors should be taken
into account when it comes
to choosing a top manager?
As I said, well organized
governance systems often
provide the ideal structure for
managers and the family to
best express their potential.
It’s just as important that when
external managers are recruited,
everyone shares the same
values so that they apply the
same principles in their
management practice. This is
another way to retain managers
who are enthusiastic about their
job because they believe they
have a contribution to make to
the future of the company.
Values are a timeless language,
a language that doesn’t go out
of fashion, that belongs to
It’s always considered
a painful day when an
entrepreneur decides to
open up the capital base,
especially when questions
of control are involved.
Why do you think so many
entrepreneurs prefer to keep
control of a small operation
and sacrifice important
opportunities for growth
with the entry of new
investors?
The tie with the company,
especially for a first-generation
entrepreneur, is very strong;
the owner considers the firm to
be his creation, any proposed
change, even only in the rules
of governance, which are
necessarily more stringent if
a third party comes in, may be
interpreted as a “stiffening”
of the corporate culture which
belongs to him.
The entrepreneur often builds
an informal climate of
engagement with his employees
on his or her ability to lead
people through important
challenges, where restricting
decisions purely to numbersbased considerations may not
leave sufficient room for the
courage to innovate.
What’s the most difficult
challenge you’ve
encountered in your career?
Every change among the senior
managers at the top of the
company is a difficult challenge,
not just in assessing the most
suitable professional skills and
profiles, but also in building
a harmonious relationship with
the people you choose,
because your choice also
involves personal relationships.
As you can imagine, in a
company like ours that’s been
operating for 107 years, this
had happened many times,
either because managers have
retired or because the business
has evolved. In the majority of
cases, the right decision was
taken.
What has been your greatest
satisfaction?
My greatest satisfaction has
been seeing the family gradually
embrace the concept of
corporate identity, which, with
respect to a purely managerial
approach, has enabled us to
acquire new vigor and energy
to undertake innovation and
international growth, together
with a valid managerial
structure.
* Elena Zambon is Chair of Zambon
S.p.A., a pharmaceuticals multinational
established in Vicenza in 1906, Deputy
Chair of ZaCh – Zambon Chemicals –
and a Director of Zambon Company, the
group holding; she is also President of
the Zoé Zambon Open Education
Foundation. She is Chair of Secofind
SIM S.p.A., the Multi Family Office she
founded in 2000 to extend to other
business families the experience built up
since 1994 in family wealth
management and in the selection and
management of asset managers.
She has been a director of Italcementi
S.p.A. since 2010 and a director of
Fondo Strategico Italiano since August
2011. Previously she was a director of
Akros Finanziaria and Salvagnini S.p.A.
Since 2007 Elena Zambon has been
a member of the General Council
of Aspen Italia and was recently
appointed to its Executive Committee;
she is also President of the AIdAF
(Italian association of family firms).
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Di generazione in generazione
Generation To Generation
di Ivan Lansberg e Devin DeCiantis*
by Ivan Lansberg and Devin DeCiantis*
L’arte di gestire la trasformazione delle imprese in istituzioni
The art of stewarding businesses into institutions
Ivan Lansberg
N
onostante le molte crisi –
economiche, politiche e
sociali – che riempiono le
prime pagine dei quotidiani,
introducendo nelle sale riunioni
dei vertici aziendali incertezze
terrificanti e rendendo
necessaria la pianificazione di
scenari apocalittici, vi è un
segmento del panorama
corporate che sembra riesca ad
affrontare la tempesta meglio di
tanti altri: quello delle aziende
familiari.
Un rapporto pubblicato
recentemente da Credit Suisse,
Family businesses: Sustaining
performance1, descrive come le
imprese quotate a gestione
familiare hanno avuto un
andamento migliore dell’8%
rispetto a quelle non a gestione
familiare da quando è iniziata la
crisi finanziaria globale. Forse
non c’è da sorprendersi quando
si leggono i nomi sull’elenco,
tra i quali Wal-Mart, Samsung,
Carrefour, Volkswagen, BMW e
L’Oréal. E probabilmente molto
dipende anche dal ruolo
delle dinamiche familiari nella
stabilizzazione della governance
e nell’ampliamento della
prospettiva strategica dei
moderni sistemi aziendali.
In parole semplici, le famiglie
sono le prime “organizzazioni”
alle quali veniamo esposti.
In queste organizzazioni
Devin DeCiantis
impariamo lezioni fondamentali
sul significato dell’identità
condivisa; sulla lealtà e il
tradimento; sulla collaborazione
sostenibile e la concorrenza
distruttiva. Dai tempi di
Aristotele la famiglia viene
indicata come un modello per
l’organizzazione dello Stato2.
Le famiglie sono i laboratori
dove impariamo a rapportarci
con l’autorità e con i nostri pari
e subordinati. All’interno di
questi sistemi siamo esposti
anche ai concetti di eredità e
longevità. Le radici familiari e
sociali del nostro comportamento
sono codificate a livello così
profondo nel DNA della specie
umana che costituiscono spesso
i motori dei nostri rapporti con
i capi, i colleghi e gli immediati
superiori, in tutte le gerarchie
organizzative di cui facciamo
parte.
Non è un caso che la metafora
di essere “come una famiglia”
viene richiamata spesso in
ambienti organizzativi di
successo per esprimere il senso
di appartenenza, impegno,
solidarietà e lealtà così
importante nelle forze di lavoro
mobili e fluidi del 21° secolo.
I migliaia di fieri Googler (e i
loro rampolli – Noogler, Gaygler,
e Xoogler3) ne sono la prova.
Le aziende familiari di successo
tendono naturalmente a far
sviluppare queste caratteristiche
nei propri dipendenti a
prescindere da eventuali
rapporti di parentela con i
proprietari. Lo fanno grazie a
una varietà di iniziative
strategiche, tra cui la
promozione di una potente
visione istituzionale di lungo
termine che va oltre all’utile
netto, l’impiego paziente del
capitale finanziario e fisico per
raggiungere tale mission, un
forte impegno verso gli
stakeholder – a volte a
detrimento degli azionisti – e lo
sviluppo e la conservazione del
capitale umano necessario per
eseguire gli ambiziosi piani
strategici. In questo modo sono
in grado di creare livelli
sostenuti di lealtà, condivisione
e vitalità che consentono, nel
tempo, di progredire meglio dei
concorrenti – come dimostra
chiaramente il recente rapporto
di Credit Suisse.
Tali pratiche sono al centro
di imprese mitiche come
Louis Dreyfus, Haniel, C&A,
e tante altre. Mentre sono
comportamenti naturali per le
aziende familiari, le ricerche e
l’esperienza indicano che è
possibile adottarli, in modo
positivo, anche nella gestione
delle imprese non di famiglia
(es., Interface, General Electric,
e PepsiCo). Esistono, infatti, due
gruppi di pratiche strategiche
adottate da organizzazioni di
successo di tutti i tipi, che
assomigliano ai comportamenti
che emergono naturalmente
nelle grandi imprese familiari.
La partecipazione a 360 gradi
In primo luogo i capi delle
imprese familiari di successo
lavorano attivamente per
coinvolgere e motivare gli
azionisti riguardo agli interessi
di lungo termine. In altre parole,
lavorano “verso l’alto” per
aiutare gli azionisti a definire i
propri valori, formare la cultura
aziendale e mappare la visione
strategica. Educano i proprietari
riguardo all’importanza, per la
vita degli stakeholder, dei
13
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prodotti e dei servizi che
offrono. Trattano i proprietari
con rispetto e misurano il
ritorno sugli investimenti non
solo in termini di parametri
economici inerenti la crescita e
la redditività, ma anche rispetto
alla mission in senso lato
dell’impresa e dei proprietari, e
al suo impatto sulle comunità
dove operano.
Tutto ciò è forse più difficile in
casi di proprietà frammentata e
mutevole come i fondi di
investimento moderni, ma non
è certo impossibile. I fondi
pensione, gli endowment
(donazioni finanziarie) e le
fondazioni sono vincolati, per
legge e per il loro scopo, a una
visione di più lungo termine.
La pazienza e l’impegno
dedicati alla governance in
quanto proprietari di quote
contrasta fortemente con certi
operatori di borsa e fondi
speculativi che si comportano
da affittuari di quote a breve
termine, senza alcuna chiara
lealtà al business o alla mission.
Le imprese di successo riescono
spesso a costruire una
partnership durevole tra
proprietari e operatori, come
dimostra Warren Buffet ogni
mese di maggio, all’assemblea
degli azionisti di Berkshire
Hathaway nel Nebraska.
I capi delle imprese familiari di
lunga data lavorano anche
“verso il basso”, all’interno
dell’azienda, per promuovere
una cultura che coinvolga e
(metaforicamente) “adotti”
i dipendenti all’interno
dell’estesa “famiglia” aziendale
– alimentando un alto senso
di proprietà personale e di
impegno. Secondo una ricerca
di Akerlof e Kranton4, il fattore
critico per la buona funzionalità
di un’impresa non consiste negli
incentivi monetari, ma
nell’identificazione dei
dipendenti con l’azienda e con
il loro ruolo. Sentirsi “insider” –
praticamente membri della
famiglia – fa migliorare le
prestazioni e la soddisfazione
nelle organizzazioni più
disparate, dalle squadre di calcio
professionistiche all’esercito,
alle banche di investimento.
La conseguenza è una rotazione
meno rapida tra i dirigenti,
con il risultato di prolungare la
memoria istituzionale e la
capacità di una pianificazione
più a lungo termine dei
dipendenti nei ruoli chiave.
Ciò contrasta con l’idea più
tradizionale di non-di-famiglia,
secondo la quale i professionisti
con posti fissi o a tempo
indeterminato oppongono
resistenza al cambiamento e
addirittura impediscono il
progresso. Essa, infatti,
suggerisce che le imprese non di
famiglia forse riescono meglio a
utilizzare i dipendenti più longevi
per una gestione attiva della
cultura, la conservazione e la
proiezione di un insieme di valori
operativi, adattandosi, allo
stesso tempo, a esigenze
commerciali in continua
evoluzione. Come suggerisce
John Ward5, le aziende di
famiglia di lunga data adottano
“una tradizione del
cambiamento” – una sintesi di
pianificazione strategica di
lungo termine fondata in una
continuità culturale, con una
capacità di adattamento tattico
a breve termine che è
acutamente sensibile
all’evolversi delle circostanze.
I capi delle imprese familiari che
si sono dimostrate “costruite
per durare” lavorano anche
“verso l’esterno”, verso il
mondo dei clienti, dei fornitori
e della comunità, in uno spirito
di partnership dove tutti
sono vincitori. Proprio perché
i proprietari delle imprese
familiari hanno un forte senso
di impegno e identificazione
con l’azienda, creare una sorta
di cittadinanza dell’impresa
all’interno della comunità in cui
si opera viene considerato un
obiettivo di importanza critica,
profondamente radicato nella
mission aziendale. Tra i benefici
vi sono rapporti finanziari stabili
e duraturi, l’acquisizione di
contratti di fornitura privilegiati,
la gestione opportunistica dei
crediti e dei debiti, rapporti
positivi con il governo, l’accesso
a un flusso di accordi esclusivi,
una rilevante lealtà al marchio
(brand loyalty). Al contrario,
se l’impresa va meno bene, ciò
ha conseguenze per l’impresa
stessa e anche per la famiglia
(le famiglie Toyoda e Murdoch
sono due esempi recenti).
Le imprese familiari costruite
per durare considerano di
importanza prioritaria la qualità
e la reputazione di brand, e
quindi non c’è da sorprendersi
se tante operano nelle nicchie
di lusso (BMW, New York Times,
Patek Philippe, e LVMH, per
citarne solo alcune).
Per ultimo, i capi delle imprese
di famiglia di successo lavorano
“verso l’interno”, cioè presidiano
continuamente l’efficacia delle
strutture di governo – i consigli
di amministrazione, le holding,
i consigli di famiglia, i trust
tramite i quali spesso detengono
la proprietà. Sotto questo
aspetto, un sistema giusto di
governance è la chiave per
stabilire un equilibrio tra le
diverse istanze e agende degli
stakeholder. La governance
efficace rappresenta un
vantaggio competitivo critico.
Al contrario, nelle imprese
quotate in borsa, i consigli di
amministrazione sono
considerati alla stregua di agenti
di polizia, che proteggono
gli azionisti da manager
preoccupati dei propri interessi,
e gli investimenti sono
tipicamente passivi e orientati
prevalentemente all’andamento
relativo. Sono troppo pochi
gli azionisti “attivisti” disposti
e capaci a rendere efficace
l’organizzazione e, allo stesso
tempo, puntare al successo di
lungo termine dell’impresa.
Stewardship
I capi delle imprese familiari
di successo (che siano o no
membri della famiglia) non
sono solo leader, sono anche
steward–governanti.
Hanno un atteggiamento
fondamentalmente
“inter-generazionale” – anche
se tengono le redini per un
periodo tipicamente più lungo
rispetto ai pari nelle imprese
non di famiglia; si vedono come
anelli transitori di una catena
e considerano essenziale lo
sviluppo di una forte squadra
di successori. Nelle imprese di
famiglia di maggiore successo,
la premessa di fondo è che
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una sola generazione non basta
per realizzare la mission
e raggiungere gli obiettivi.
In questi modelli il successo si
misura in termini non di anni
ma di decenni – di certo non in
termini trimestrali. Nell’indagine
Credit Suisse ben il 70% dei
rispondenti considerano una
prospettiva gestionale di lungo
termine uno dei fattori più
importanti per garantire la
continuità del successo.
Lo stewardship efficace richiede
una chiara articolazione della
visione di business di lungo
termine a un gruppo di
investitori pazienti, e dimostra
il tema emergente del
“capitalismo per il lungo
termine” reso popolare dall’AD
globale di McKinsey6. Là dove
le imprese quotate in borsa
generalmente trovano difficoltà
a convincere gli azionisti che
qualche trimestre o qualche
anno di crescita sotto la media
e di investimenti sopra la media
porteranno importanti benefici
economici nel lungo termine
(Amazon è forse una mosca
bianca in questo senso),
le imprese di famiglia sono
naturalmente disposte a
sostenere tali ragionamenti,
al servizio di una visione di più
lungo termine.
Come buoni “governanti”
del profitto, delle persone e del
pianeta, per alcune imprese
familiari, il successo a livello
di utile finanziario, sociale e
ambientale è l’obiettivo da
sempre. Ed è qui che sta la
differenza tra la gestione di
un’organizzazione e la
creazione di un’istituzione.
Le aziende di famiglia durature
non operano solo per fare soldi
nell’oggi, ma sono in grado di
adattarsi a grandi cambiamenti
societari che porteranno
a utili nel futuro più lontano.
In un numero recente del
MIT Sloan Management Review,
Rajan Tata definisce questo tipo
di istituzione illuminata come un
ente con uno “scopo più alto
degli utili.”7
L’affrontare i doveri strategici e
operativi da governanti di lungo
termine ha anche consentito
alle imprese di successo
non-di-famiglia di cercare e
ottenere importanti benefici
collaterali, come la
minimizzazione dell’impatto
ambientale, sviluppando allo
stesso tempo un forte profilo
e un’alta lealtà di brand
(es. la “Missione Zero” di
Interface), e alimentando
lo sviluppo economico del
territorio a fronte di volumi
di vendita più elevati
(es. “Performance with
Purpose” di PepsiCo).
I governanti di lungo termine
si rendono conto prima di altri
che la semplice crescita
economica come misura
dell’andamento dell’impresa
è un approccio miope e
potenzialmente perdente in un
mondo interdipendente e
altamente competitivo con
risorse che scarseggiano.
Il valore dei valori di famiglia
Per rispondere alle tendenze
macroeconomiche nell’attuale
clima economico e nell’industria
nel suo complesso, molte
imprese si sono trovate costrette
a spostare l’attenzione sul breve
termine, con una focalizzazione
esclusiva sull’andamento
economico. Eppure ogni anno
le imprese come Berkshire
Hathaway offrono una
dimostrazione che è possibile
innestare la mentalità di
proprietà su persone che non
sono famiglia. In questo senso,
le famiglie e le imprese familiari
offrono molte lezioni di valore
per i pari non-di-famiglia
riguardo alle prestazioni dei
sistemi umani, e sarebbe utile
che dirigenti e policy makers
ne prendessero atto.
* Ivan Lansberg è uno psicologo
organizzativo che lavora a New York.
Fa parte del corpo insegnante della
Kellogg School of Management, dove
è condirettore dei Programmi per le
Imprese Familiari. È socio fondatore di
Lansberg, Gersick & Associates LLC,
un’agenzia di ricerca e consulenza
specializzata nelle imprese di famiglia.
Il suo libro più recente, Succeeding
Generations, edito da Harvard Business
School Press, esamina la successione e
la continuità nelle imprese familiari.
È anche uno degli autori di Generation
to Generation, pubblicato da HBS. Ivan
Lansberg ha conseguito le lauree Ph.D.,
M.A., e B.A. alla Columbia University.
* Devin DeCiantis è un consulente
manageriale di Boston, specializzato
negli aspetti finanziari, operativi e
strategici delle imprese familiari.
È un associato di Lansberg, Gersick &
Associates LLC. Ha conseguito la laurea
M.P.P. alla Harvard University e la laurea
B.B.A. alla York University.
Note
1. Credit Suisse Research Institute (settembre 2012),
Family businesses: Sustaining performance, tratto da
https://www.credit-suisse.com/news/en/media_release.
jsp?ns=42052.
2. “La prima società a formarsi è il villaggio. E la
forma più naturale del villaggio pare essere una
colonia della famiglia, costituita dai figli e nipoti,
che vengono allattati ‘con lo stesso latte’”. Aristotele,
Politica, Libro Uno, Parte II, Paragrafo 6.
3. Fost, Dan. “Keeping it All in the Google Family”
New York Times, 12 novembre, 2008: SPG6.
4. Akerlof, G. e Kranton, R; “Identity Economics:
How our identities shape work, wages and well-being”:
Princeton University Press, 2010.
5. Aranoff, C. & Ward, J. “Make Change your Family
Business Tradition”: Palgrave-McMillan, 2011.
6. Barton, D. “Capitalism for the Long Term”,
Harvard Business Review, Marzo 2011.
7. Tata, R. “When Making Money is Not Enough”
MIT Sloan Management Review, Estate 2013.
15
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16
I
n light of the many
crises—both economic,
political and social—that
haunt the daily news cycle and
introduce terrifying uncertainty
and apocalyptic scenario
planning into the heart of the
executive suite, there is one
segment of the corporate
landscape that seems to be
weathering the storm better
than most: family businesses.
Credit Suisse recently released
a report entitled Family
businesses: Sustaining
performance1, which profiles
how publicly-traded family-run
enterprises have outperformed
their non-family peers by 8%
since the onset of the Global
Financial Crisis. Perhaps that
isn’t surprising, when you
consider the names on the list,
including Wal-Mart, Samsung,
Carrefour, Volkswagen, BMW
and L’Oréal. It may also have
a lot to do with the role that
family dynamics naturally play in
stabilizing the governance and
expanding the strategic outlook
of modern corporate systems.
Put simply, families are the first
“organizations” we are exposed
to. In them, we learn
fundamental lessons about the
meaning of shared identity;
about loyalty and betrayal;
about sustainable collaboration
and destructive competition.
As far back as Aristotle, the
family has been identified as
a model for the organization
of the state2. They are the
laboratories where we first
experiment with how to relate
to those in authority and with
those who are our peers and
subordinates. Within these
systems, we are also exposed
to the concepts of legacy and
longevity. The familial and social
roots of our behavior are so
deeply encoded in the DNA of
our species that they often drive
our relationships with bosses,
coworkers and direct reports in
all of the organizational
hierarchies to which we belong.
It is hardly coincidental that
the metaphor of being
“like a family” is so often called
forth in high-performing
organizational settings to
convey the sense of belonging,
commitment, solidarity and
loyalty that is essential within
the fluid and mobile workforces
of the 21st century.
This is readily exemplified
by thousands of proud
Googlers (and their familial
offshoots—Nooglers, Gayglers,
and Xooglers3).
High-performing family
companies naturally evoke
these characteristics in their
employees regardless of
whether or not they are related
to the owners. They achieve this
through a variety of strategic
initiatives, including their
promotion of a compelling
longer-term institutional vision
beyond the bottom line, their
patient deployment of financial
and physical capital to achieve
this longer-term mission,
an intense commitment to
stakeholders—sometimes at a
short-term cost to shareholders,
and their development and
retention of the human capital
necessary to execute their
ambitious strategic plans.
In so doing they are able to
create sustained levels of
loyalty, engagement, and vitality
that allow them to outperform
their competitors over time—as
Credit Suisse’s recent report
clearly suggests.
These practices are at the heart
of such legendary institutions as
Louis Dreyfus, Haniel, C&A, and
countless others. While these
practices come naturally to
family businesses, research and
experience suggest that they
can also be grafted into the
way that non-family businesses
are managed with excellent
results (e.g. Interface,
General Electric, and PepsiCo).
In fact, there are two clusters of
strategic practices used by
high-performing organizations
of all types which maps very
closely to behaviors that
naturally emerge in large family
enterprises.
360-degree engagement
First, leaders of successful family
companies proactively engage
and motivate shareholders to
care about the longer-term
interests of the firm. These
leaders work “upwardly” to
help shareholders define their
values, shape the company’s
culture, and chart the
company’s strategic vision. They
educate their owners about the
significance of the products and
services they produce on the
lives of their key stakeholders.
They treat owners with respect
and measure their “ROI” not just
against economic parameters of
growth and profitability but also
against the backdrop of the
broader mission of the enterprise
and its owners, and its impact
on the communities in which
they operate.
While this may be harder to
accomplish with fragmented,
flighty ownership that
characterizes modern
investment managers—it is
certainly not impossible.
Pension funds, endowments
and foundations are required to
take a longer-term view both by
design and by regulatory
requirement. Their patience and
engagement in governance as
share-owners comes in stark
contrast to high-frequency
traders and certain hedge funds
that act more like short-term
share-renters with no clear
allegiance to the business or the
mission. High-performing
companies are often successful
at fostering a longer-term
partnership between owners
and operators, as Warren Buffet
proves every May at Berkshire
Hathaway’s annual meeting in
Omaha, Nebraska.
The leadership of long-lasting
family companies also actively
govern “downwardly” into the
organization by promoting a
culture that involves and
(metaphorically) “adopts”
employees into the firms
broader “family”—instilling a
high level of personal
ownership of and commitment
to the work of the enterprise.
As research by Akerlof and
Kranton4 suggests, the most
important determinant of
whether an organization
functions well is not monetary
incentives but whether workers
identify with the organization
and their role within it. Feeling
more like “insiders”—akin to
family membership—increases
performance and satisfaction in
organizations as diverse as
professional sports teams, the
military, and investment banks.
This in turn reduces turnover at
the top, which, in turn, extends
the institutional memory and
capacity for longer-range
planning among key employees.
This contrasts with the more
traditional/non-family view that
entrenched or tenured
professionals are resistant to
change and actually impede
progress. In fact, it suggests
that non-family businesses
may be able to better utilize
their longest-serving employees
in ways that help them to
actively manage their culture,
preserving and projecting a core
set of operational values while
still adapting to ever-changing
business needs. As John Ward
has suggested5, long-lasting
family companies adopt
a “tradition of change”—a
synthesis of long-term strategic
planning anchored in cultural
continuity, with shorter-term
tactical adaptation that is keenly
responsive to changing
circumstances.
The leaders of family companies
that have proven themselves to
be truly “built to last” also
govern “outwardly” into the
world by engaging with
customers, suppliers and
community using a win-win
arcVision 29 Glob IT-ing_x CTPLastra 12/12/13 10:44 Pagina 17
partnership spirit. Precisely
because of the commitment
and identification that longlasting family companies are
able to stimulate with their
owners, the citizenship of the
company in the community is
regarded as a critical objective
deeply embedded in the mission
of the enterprise. Benefits
include maintaining stable
funding relationships, securing
priority supply contracts and
favorable procurement terms,
opportunistic management of
receivables and payables,
positive government relations,
access to exclusive deal flow,
and substantial brand loyalty.
Moreover, if the company
behaves poorly it reflects both
on the company and on the
family—the “name-on-the-wall”
effect (e.g. the Toyodas and
the Murdochs most recently).
Family companies built to last
place a huge premium on
quality and brand reputation,
so it is hardly coincidental that
so many dominate top quality
niches (BMW, New York Times,
Patek Philippe, and LVMH,
to mention a few).
Finally, the leaders of effective
family companies govern
“inwardly”—meaning they
continuously monitor the
effectiveness of their governing
bodies—their boards, their
holding companies, their family
councils, the trusts through
which their ownership is often
held. In these systems, getting
the governance right is viewed
as the key for balancing
the conflicting demands and
agendas of engaged
stakeholders. Effective
governance is viewed as critical
competitive advantage. This
contrasts with publicly-traded
companies where boards are
fundamentally viewed as
policing agents protecting
shareholders from self-serving
managers, and investments
are typically passive and
predominantly focused on
relative performance. Too few
“activist” shareholders are both
willing and able to whip an
organization into shape while
also maintaining a focus on the
longer-term success of the
enterprise.
Stewardship
The leaders of established
family companies (whether they
are family members or not)
don’t just lead, they steward.
Their mindset is fundamentally
“inter-generational”—even
though their tenure at the helm
is typically longer than their
counterparts, they view
themselves as transient links in
a chain, and view developing
a strong bench of successors
as imperative. In the most
successful family enterprises,
the driving assumption is that
one generation is simply not
enough time to realize the
organization’s mission and
objectives. These systems don’t
measure success in years but in
decades or more—certainly not
in terms of quarterly earnings
results. An overwhelming 70%
of respondents in the Credit
Suisse survey considered a
long-term management
perspective as one of the most
important factors for ensuring
their ongoing success.
Making stewardship work
requires a clear articulation of
the long-term business case to
a group of patient investors,
and reflects the emerging theme
of “capitalism for the long-term”
recently popularized by
McKinsey’s global managing
director6. Where publicly-traded
companies have traditionally
struggled to convince
shareholders that a few quarters
or years of below-average
growth and above-average
investment can yield substantial
longer-term economic benefits
(Amazon may be the rare
exception), family businesses are
naturally designed to make these
valuable trade-offs in service of
their longer term vision.
As good stewards of profit,
people and planet, pursuing socalled “double” and “triple”
bottom line success has been
the cornerstone of some highperforming family businesses
for longer than these terms
have existed. This is precisely
the difference between
managing an organization and
creating an institution. Enduring
family businesses do not exist to
only making money today, but
are able to adapt to broad
societal changes that will
continue to be profitable in the
more distant future. Rajan Tata
specifically describes this type of
enlightened institution in a
recent issue of the MIT Sloan
Management Review—one with
a “higher purpose than profits.”7
Approaching their strategic and
operational mandate as longterm stewards has also allowed
high-performing non-family
businesses pursue and generate
substantial collateral benefits
like minimizing their
environmental footprint while
building brand profile and
loyalty (e.g. Interface’s “Mission
Zero”), and supporting
economic development in their
operating communities while
generating higher unit sales
(e.g. PepsiCo’s “Performance
with Purpose”). They realize
earlier than most that simple
economic growth as a measure
of performance is short-sighted
and potentially self-defeating in
a highly competitive and
interdependent world with
scarce resources.
The value of family values
Given the current economic
environment, many companies
have been forced to shift to
short-termism and focus
exclusively on economic
performance in response to
broader industry and
macroeconomic trends.
However, companies like
Berkshire Hathaway prove
annually that this ownership
mentality can be grafted onto
people that are not family.
In that respect, families and
family enterprises provide many
valuable lessons for their
non-family peers on the
performance of human systems,
and their executives and policy
makers would do well to take
notice.
* Ivan Lansberg is an organizational
psychologist based in New York City.
He is on the faculty of the Kellogg
School of Management where he is
Co-Director of Family Enterprise
Programs. He is also a founding partner
of Lansberg, Gersick & Associates LLC, a
research and consulting firm specializing
in family enterprise. His latest book
Succeeding Generations, published by
the Harvard Business School Press, is on
succession and continuity in family
enterprises. He is also one of the authors
of Generation to Generation, published
by HBS. Ivan holds Ph.D., M.A., and B.A.
degrees from Columbia University.
* Devin DeCiantis is a management
consultant based in Boston, specializing
in the financial, operational, and
strategic aspects of family enterprise.
He is an Associate at Lansberg, Gersick
& Associates LLC. He holds an M.P.P.
from Harvard University and a B.B.A.
from York University.
Notes
1. Credit Suisse Research Institute (September 2012),
Family businesses: Sustaining performance, retrieved
from https://www.credit-suisse.com/news/en/media_
release.jsp?ns=42052.
2. “The first society to be formed is the village.
And the most natural form of the village appears to
be that of a colony from the family, composed of the
children and grandchildren, who are said to be
suckled ‘with the same milk’”. Aristotle, Politics, Book
One, Part II, Paragraph 6.
3. Fost, Dan. “Keeping it All in the Google Family.”
New York Times, November 12, 2008: SPG6.
4. Akerlof, G. and Kranton, R; “Identity Economics:
How our identities shape work, wages and well-being”:
Princeton University Press, 2010.
5. Aranoff, C. & Ward, J. “Make Change your Family
Business Tradition”: Palgrave-McMillan, 2011.
6. Barton, D. “Capitalism for the Long Term”, Harvard
Business Review, March 2011.
7. Tata, R. “When Making Money is Not Enough”.
MIT Sloan Management Review, Summer 2013.
17
arcVision 29 Glob IT-ing_x CTPLastra 12/12/13 10:44 Pagina 18
L’altra impresa
“Another” Enterprise
di Christine Blondel*
by Christine Blondel*
I punti di forza strategici delle grandi aziende a gestione familiare nel mondo
The underlying strengths of large family businesses worldwide
Hyundai, Toyota, Tata, Koç,
Sabanci, Ayala Corporation,
America Movil, ecc.
18
Christine Blondel
“Le aziende familiari hanno un’importanza cruciale per l’Europa. Danno un
contributo significativo al prodotto nazionale lordo e all’occupazione e
tendono a essere innovative, con una visione di lungo termine. Inoltre sono
tipicamente radicate nelle proprie culture regionali e nazionali, mettendo in
pratica tipi di valori che tutti condividiamo”.
José Manuel Durão Barroso, Presidente della Commissione Europea1
I
Credit © European Union, 2011
l piedistallo dell’economia
Quando si parla di aziende a
gestione familiare, si pensa di
solito alle piccole-medie imprese
(PMI). E, infatti, la maggior parte
delle piccole imprese sono di
proprietà di una famiglia, e
gestite dai proprietari. In Francia,
ad esempio, l’associazione di
imprese medie e a proprietà
familiare (ASMEP-ETI) ha rilevato
che esse sono il 95% del totale
delle piccole imprese. Il 75% di
tutte le medie imprese – con da
100 a 3.000 dipendenti – sono
di proprietà familiare. Ma è
meno noto il fatto che anche
molte grandi aziende sono di
proprietà di una famiglia e
gestite dai proprietari. Secondo
alcuni studi INSEAD2, l’azionista
di riferimento di più della metà
delle imprese quotate in borsa
in Francia e in Germania è una
famiglia. E tra le società non
quotate, vi sono molte grandi
imprese di famiglia. Basta citare
qualche nome per dare un’idea
dell’importanza del capitalismo
di famiglia in Europa: Michelin,
Lego, L’Oréal, Miele, Louis
Vuitton Moet Hennessy, Roche,
BMW, Pernod-Ricard, Barilla,
Henkel, JCB, Galeries Lafayette,
Solvay, InBev, Bouygues,
Mercadona, Fiat, Lavazza,
Ferragamo, Italcementi...
Dal settore automobilistico ai
prodotti di lusso, dall’industria
alimentare alla costruzione,
pressoché tutti i settori hanno
i propri “gioielli di famiglia”.
E sebbene pensiamo agli Stati
Uniti come a un paradiso di
imprese quotate con azionariati
diffusi, anche là esistono molte
società di proprietà familiare,
come Wal-Mart (il colosso nel
retail), Ford, Mars, Cargill,
Carlson… Le opinioni del
mondo accademico riguardo
alle imprese di famiglia sono
cambiate nel 2003 quando
venne stabilito che un terzo
delle società Standard & Poor’s
500 erano di proprietà familiare
e che il loro andamento era
addirittura migliore rispetto
a quello delle imprese non di
famiglia3. In altre parti del
mondo, dall’America Latina
all’Asia e al Medio Oriente,
predomina il capitalismo di
famiglia, con giganti come
I punti di forza dell’azienda
di famiglia
Consideriamo le numerose
grandi imprese europee
detenute, da diverse generazioni,
da una famiglia. Specifichiamo,
innanzitutto, che un’azienda
viene definita di proprietà
familiare quando una famiglia
è l’azionista di riferimento
(non necessariamente con la
maggioranza delle azioni) ed è in
grado di influenzare le decisioni
più importanti tramite il ruolo
svolto in posizioni esecutive o nel
consiglio di amministrazione.
Per la loro stessa natura, le
imprese familiari presentano una
forma diversa di capitalismo: la
proprietà è detenuta per la
maggior parte da persone con
forti legami emotivi e un passato
comune. Questa storia, assieme
all’intenzione di consegnare
l’azienda alla prossima
generazione, dà loro una
prospettiva di lungo termine.
La sostenibilità del business
prevale rispetto ai guadagni di
breve termine; di solito,
l’impresa rappresenta una
grandissima parte dei beni
finanziari dei familiari ed essi vi
investono le proprie risorse; allo
stesso modo, generalmente,
si preoccupano del benessere
della collettività sociale e
dell’occupazione.
Tali caratteristiche sono in
contrasto con i passati eccessi
del “capitalismo finanziario”,
per il quale il profitto era
l’obiettivo (anziché un mezzo),
dove i rischi venivano presi da
chi gestiva i “soldi altrui” e
dove il leverage (cioè, alti livelli
di indebitamento) era una
panacea.
Un orizzonte temporale
“generazionale”, di lungo
termine
Le aziende di famiglia sono
associate a particolari storie di
famiglie. Gli studi su imprese
familiari di lunga durata rilevano
il superamento di numerose
difficoltà, periodi di crisi
economica, e, tra le più
resistenti, guerre e rivoluzioni.
I personaggi chiave della
famiglia hanno consentito la
longevità dell’impresa, dal
fondatore con “umili origini”
alla vedova che assicurò il
passaggio tra una generazione
e quella successiva (a volte con
mano molto forte). Queste
arcVision 29 Glob IT-ing_x CTPLastra 12/12/13 10:44 Pagina 19
storie a volte contengono
personaggi con destini meno
gloriosi, con traiettorie insolite.
Una famiglia sviluppa un forte
senso di storia condivisa, di
appartenenza. Ricorrono, in
indagini recenti tra gli azionisti
di grandi imprese di famiglia,
espressioni del tipo “legame
viscerale” e “orgoglio”.
La generazione che detiene
attualmente le redini sente
la responsabilità di trasmettere
il business alla generazione
nuova: si sente spesso dire
“è una storia che continua, non
siamo proprietari ma custodi”,
come pure “non vogliamo
essere noi quelli che vendono
il castello di famiglia”4.
È una situazione ben diversa
rispetto al proprietario di azioni
quotate in borsa, che acquista
e vende per fare un utile
nell’immediato. In un’impresa
di famiglia è più importante
la sostenibilità di lungo termine
rispetto ai guadagni rapidi.
Gli azionisti forniscono quello
che è stato definito “capitale
paziente”5. Questa prospettiva
di lungo termine può essere
particolarmente utile in settori
economici con orizzonti
temporali ampi: “In un’industria
basata sulla ricerca, la proprietà
familiare garantisce una stabilità
di lungo termine senza la quale
non saremmo in grado di
proseguire il nostro percorso di
sviluppo”. (André Hoffmann,
Roche, Svizzera).6
Un approccio diverso
al finanziamento
La fonte principale delle risorse
finanziarie delle imprese
familiari è l’autofinanziamento,
preferito all’indebitamento.
Dal momento che le famiglie
non vogliono diluire la propria
quota, l’apertura della proprietà
è di solito l’ultimissima fonte
di finanziamento, da effettuare
entro limiti molto precisi.7
I dividendi sono spesso
mantenuti bassi per consentire
il necessario investimento
nell’azienda. La famiglia investe
“i propri soldi” ed è coinvolta
nelle decisioni chiave – a livello
di consiglio di amministrazione,
se non in ruoli esecutivi.
Ciò favorisce una certa
frugalità8 e disciplina nell’attività
di investimento, che può
servire a evitare rischi inutili: le
acquisizioni vengono esaminate
al microscopio, si favoriranno
le alleanze strategiche e si
cercherà di disinvestire dalle
attività non strategiche – anche
se quest’ultima strada è spesso
più difficile in un contesto ove
possono prevalere i vincoli
emotivi. Un recente esempio
di disinvestimento strategico
e successivo re-investimento
riguarda Solvay. L’impresa aveva
due business gemelli: la chimica
e la farmaceutica. I proprietari
hanno ceduto l’attività
farmaceutica, una mossa che
ha consentito di concentrare gli
sforzi nel settore della chimica
e di effettuare una fusione con
Rhodia. Non c’è da meravigliarsi
se le imprese di famiglia
generalmente ottengono un
ritorno sul capitale investito
migliore di quello delle imprese
non di famiglia.9
L’importanza dei rapporti
personali e altre forme di capitale
Le imprese di famiglia hanno
rapporti duraturi con i propri
stakeholder. I clienti hanno
la certezza di un servizio che
continuerà nel tempo. Allo stesso
modo c’è un attaccamento
profondo con i dipendenti.
Si creano rapporti forti e una
vera cura per le persone. È noto
che le aziende familiari sono più
riluttanti di altre a licenziare un
dipendente. Questo tipo di
contratto verbale rappresenta
un vantaggio competitivo per
l’impresa: i dipendenti sentono
maggiore lealtà verso l’impresa,
i cui costi per il personale sono
più bassi10. Gli azionisti con
quote in aziende familiari
spesso misurano le proprie
responsabilità a seconda del
numero di dipendenti.
Aggiunge André Hoffmann:
“L’interesse dei pochi azionisti
di famiglia è meno importante
rispetto a quelli dei 75.000
dipendenti, e gli interessi della
famiglia devono essere
secondari rispetto a quelli
dell’azienda”.
Il fatto che le aziende familiari
sono meno disposte al
licenziamento costituisce un
altro fattore di “resistenza”:
il mantenimento delle
competenze all’interno
dell’azienda rende più facile
il superamento di un’eventuale
crisi. Il peso attribuito al
“capitale umano” può essere
misurato, in casi estremi,
al momento della vendita
dell’azienda: alcuni proprietari
familiari preferiscono vendere
a un prezzo minore se questo
garantirà l’occupazione e la
sostenibilità del business.
Tra gli stakeholder vi sono
anche le banche. Il desiderio
della famiglia di conservare
il proprio buon nome porta
di solito a un livello migliore
di rimborso dei prestiti e di
rispetto degli impegni finanziari.
Infine, le imprese familiari
hanno spesso forti legami con
la zona di origine e tendono
a sostenere il territorio.
Un esempio è la famiglia
Wendel, attiva nel settore
siderurgico nella regione della
Lorena (vicino al confine
franco-tedesco) fino agli anni
‘70. Successivamente, è
diventata una società di
investimento con sede a Parigi;
anche se non ha più attività in
Lorena, l’impresa ha sostenuto
un nuovo museo di arte
moderna come omaggio alle
proprie origini.
Sfide condivise
Anche se le imprese di famiglia
rappresentano un modello
competitivo di capitalismo,
si trovano di fronte a importanti
sfide, generate dalla propria
natura familiare. La prima
riguarda la transizione da una
generazione alla successiva,
la disponibilità del capo a
contemplare la propria
successione, la scelta di un
successore competente, e il
modo in cui la famiglia opererà
una volta configurata la nuova
proprietà. Senza la successione
e la trasmissione, la storia di
un’azienda familiare finisce.
Queste società devono quindi
re-inventarsi con ogni nuova
generazione, in termini sia di
19
arcVision 29 Glob IT-ing_x CTPLastra 12/12/13 10:44 Pagina 20
20
management che di
organizzazione dell’azionariato.
Un’altra sfida è quella
dell’armonia di famiglia.
In molte imprese, tale elemento
è considerato di importanza
centrale nel determinare il
successo o il fallimento
dell’azienda. Sotto tutti e due
questi aspetti, la comunicazione
e la governance hanno un ruolo
chiave.
* Christine Blondel è professore
aggiunto di Family Business presso
l’INSEAD, dove ha coordinato le attività
di impresa di famiglia dall’istituzione nel
gennaio 1997 fino a dicembre 2007.
È stata il primo direttore esecutivo del
Wendel International Centre for Family
Enterprise; ha fondato l’agenzia di
consulenza FamilyGovernance; collabora
con numerose famiglie attive nel
business internazionale; è consigliere
di diverse società e interviene spesso
a conferenze e congressi su questi temi.
Le grandi imprese familiari
multi-generazionali costituiscono una
delle sue specifiche aree di ricerca.
Note
1. Citato in European Family Businesses, 2012.
2. Prevalence of Patrimonial Firms on Paris Stock
Exchange, Blondel, Rowell, Van der Heyden, INSEAD
working paper, 2002; e Ownership Structure of the
250 largest listed companies in Germany, Klein,
Blondel, INSEAD working paper, 2002.
3. Anderson R.C. e Reeb D.M.,(2003), “Founding
Family Ownership And Firm Performance: Evidence
from the S and P 500”, The Journal of Finance,
Vol. 58, N°3, pp. 1301-1327.
4. Fonte: interviste con l’autore, giugno 2013
5. de Visscher R.M., Aronoff C.E. e Ward J.L.
Financing Transitions: Managing Capital and Liquidity
in the Family Business, 2008, Family Business
Leadership Series 7.
6. Fonte: Christine Blondel e Anne Dumas, 2008,
“L’entreprise familiale sauvera-t-elle le capitalisme ?
Portraits”, Editions Autrement, Paris.
7. Fonte: alcuni studi, tra cui Allouche J., Amann B. e
Garaudel P. (2007). “Performances et Caractéristiques
Financières Comparées Des Entreprises familiales
et non familiales : le rôle modérateur de la cotation
en bourse et du degré de contrôle actionnarial”,
colloque annuel 2007 AIMS, Montreal; e Poutziouris
P.Z. (2011) “The Financial Structure and Performance
of Owner-Managed Family Firms: Evidence from the
UK Economy”, Universia Business Review, Cuarto
Trimestre 2011, pp. 70-81.
8. Bloch A., N. Kachaner, S. Mignon, 2012:
La stratégie du propriétaire. Enquête sur la résilience
des entreprises familiales face à la crise, Pearson –
Collection Village Mondial.
9. Lyagoubi, M., 2013: Les valeurs familiales
expliquent-elles la performance financière des
enterprises familiales ? Dans les valeurs cachées de
l’entreprise familiale, FBN Paris.
10. Straer and Thesmar, 2007: Performance and
Behavior of Family Firms: Evidence From The French
Stock Market, Journal of the European Economic
Association.
“Family businesses are crucial for Europe. They contribute significantly to the
gross national product and employment, and tend to be innovative with a
long-term vision. They also tend to be rooted in their regional and national
culture, showing the kind of values that we all share.”
José Manuel Durão Barroso, President of the European Commission1
T
he pedestal of the
economy
When we speak of family
businesses, the common
reaction is to associate them
with small and medium sized
enterprises (SMEs). Indeed,
most of the time, small
companies are family businesses
and owner-managed businesses.
In France, for instance, the
association of medium-sized and
family-owned businesses
(ASMEP-ETI) has determined that
95% of small companies are
family-owned. They also account
for 75% of all medium-sized
companies (having 100 to 3,000
employees). But what we tend
to ignore is that there are also
many family businesses and
owner-managed businesses
among large companies.
INSEAD studies2 have shown
that more than half of the
companies listed on the French
and German stock exchanges
have a family as the main
shareholder. And very large
family firms can also be found
among unquoted companies.
We only need to list a few
well-known names to measure
the importance of family
capitalism in Europe: Michelin,
Lego, L’Oréal, Miele, Louis
Vuitton Moet Hennessy, Roche,
BMW, Pernod-Ricard, Barilla,
Henkel, JCB, Galeries Lafayette,
Solvay, InBev, Bouygues,
Mercadona, Fiat, Lavazza,
Ferragamo, Italcementi...
From the automotive industry
to luxury goods, from the food
business to construction,
virtually all sectors have their
“family jewels”.
It’s interesting to note that
although we may view the
United States as a transatlantic
haven of widely-held listed
companies, it also has many
family businesses, such as
Wal-Mart (the retailing giant),
Ford, Mars, Cargill, Carlson…
The views of academia on
family businesses changed in
2003 when research established
that one third of the Standard
& Poor’s 500 could be
considered family businesses
and that these showed better
performance than their nonfamily counterparts3. In other
parts of the world, from Latin
America to Asia and the Middle
East, family capitalism
dominates, with giants like
Hyundai, Toyota, Tata, Koç,
Sabanci, Ayala Corporation,
America Movil, etc.
The strengths of family
businesses
Let’s consider the large,
multi-generational family
businesses found in large
numbers in Europe. First, let’s
specify that we consider a
business to be a family business
when a family is the main
shareholder (not necessarily
with the majority of shares) and
can influence key decisions
through its role in executive
positions or on the board of
directors. By their very nature,
family businesses offer a
different form of capitalism:
ownership is held in large part
by people with strong
emotional links and a
background in common; this
history, coupled with the
intention to pass the business
on to the next generation, gives
them a long-term perspective.
Business sustainability prevails
over short-term gains; the
business usually represents a
very large part of their financial
assets and in which they invest
their own money; similarly they
are usually concerned about
social community and
employment issues.
We can contrast these features
with the past excesses of
“financial capitalism”, where
profit was the goal (rather than
a means), where risks were
taken by those who managed
“other people’s money”, and
where leverage (i.e. high levels
of debt) was a panacea.
A long-term, “generational”,
time horizon
Family businesses are linked
to particular family stories.
Studies of long-lasting family
businesses show that they’ve
usually overcome many crises,
economic downturns, and
among the most resilient of
them, wars and revolutions.
Family figures have been
instrumental in the longevity of
the business, from the founder
and “humble beginnings”,
to the widow who ensured
the link between generations
(sometimes with a very firm
hand). These narratives may
also mention those who had
less glorious destinies and
unusual trajectories. A family
has a developed sense of
shared history and belonging.
In recent surveys conducted
among shareholders of large
family businesses, expressions
such as “visceral attachment”
and “pride” reoccur.
The generation in place feels
that part of their responsibility
is to transmit the business to
the next generation: “it’s an
ongoing story, we are not
owners but custodians” is often
heard, as well as “we don’t
want to be the ones that
sell the family castle”4.
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This is far removed from the
owner of traded shares who
buys or sells them for short-term
profit. Long-term sustainability
in a family business is more
important than short-term gains.
Shareholders provide what has
been termed “patient capital”5.
This long-term view can be
particularly useful in economic
sectors with wide time horizons:
“In an industry that’s based on
research, family ownership
ensures the long-term stability
without which we wouldn’t be
able to develop as we do.”
(André Hoffmann, Roche,
Switzerland).6
A different approach to financing
Family businesses rely on
self-financing as their primary
source of funds and prefer it to
borrowing. Since they’re not
keen to dilute their ownership,
an opening up of the capital
is usually the very last source of
financing and is done within
careful limits.7
Dividends are often restricted
in order to provide necessary
investment in the business.
The owning family invests
“its own money” and is involved
in the key decisions—at board
level, if not in executive
positions. This encourages a
certain frugality8 and discipline
during investment. Such frugality
can help avoid unnecessary risks:
acquisitions will be scrutinized,
strategic alliances favored
and divestment from non-core
businesses sought—even
though the latter is often more
difficult to do in a context
where emotional attachments
may prevail. A recent example
of strategic divesture and
re-investment is that of Solvay.
The company had twin business
pillars: chemicals and
pharmaceuticals. They divested
of pharmaceuticals, which
allowed them to concentrate
all their effort on chemicals
and merge with Rhodia.
Not surprisingly, family firms
tend to enjoy a better return on
the capital employed, compared
to their non-family counterparts.9
The importance of human
relationships and other forms
of capital
Family businesses have lasting
relationships with their
stakeholders. Customers can
rely on the service being
maintained over time. Family
businesses similarly have a deep
attachment to their employees.
There are strong relationships
and a real concern for people.
It is well known that family
businesses hesitate more
than others when it comes
to making an employee
redundant. This kind of
unspoken contract is a
competitive advantage for these
businesses: employees feel
more loyalty towards the
company and personnel costs
are lower10. Shareholders in
family businesses often measure
their responsibilities based
on the number of employees
working in the company.
André Hoffmann continues:
“The interest of the few family
shareholders is less important
than those of the 75,000
employees, and family interests
must come after the company’s
interests.”
The fact that family businesses
are more reluctant to lay off
employees is another
“resilience” factor: the retention
of skills within the company
makes it easier to get out of
a crisis. The weight placed on
“human capital” can be gauged
in extreme cases through the
sale of the family business:
some family shareholders
actually prefer to sell for a
lower price if provided with
reassurances relating to
employment and the
sustainability of the business.
Stakeholders also include
bankers. A family’s willingness
to preserve the reputation
associated with its name usually
leads them to better honor
financial commitments and
reimburse loans. Finally, family
businesses often have strong
attachments to their region
of origin and tend to support
local communities. One such
example is the Wendel family,
which was active in the steel
industry in Lorraine (near the
French-German border) until
the 1970s. It has since become
an investment company, based
in Paris; whilst the company has
no operations left in Lorraine,
it nevertheless supported a new
modern art museum there as
a tribute to its place of origin.
Shared challenges
Even though family businesses
offer a competitive model of
capitalism, they also face major
challenges related to their
family nature. The first
challenge pertains to the
transition from one generation
to another, the current leader’s
willingness to address his
succession, the choice of a
competent successor, and the
way in which the owning family
will operate under the new
ownership configuration.
Without succession and
transmission, the story of a
family business comes to an end.
Therefore, family businesses
have to reinvent themselves
generation after generation,
whether it be in terms of
company management or in the
way their shareholders are
organized. Another challenge
is that of family harmony.
In family businesses, this element
is considered by many to be
central in determining the
company’s success or failure.
When dealing with both issues,
communication and governance
are the key.
* Christine Blondel is Adjunct Professor
of Family Business at INSEAD, where
she coordinated family enterprise
activities from their creation in January
1997 until December 2007.
She was the first Executive Director
of the Wendel International Centre for
Family Enterprise. She founded the
advisory firm FamilyGovernance,
works with numerous international
business families, serves on boards and
regularly speaks in conferences.
One of her research focus is on large,
multi-generational family firms.
Notes
1. Cited in European Family Businesses, 2012.
2. Prevalence of Patrimonial Firms on Paris Stock
Exchange, Blondel, Rowell, Van der Heyden, INSEAD
working paper, 2002; and Ownership Structure of the
250 largest listed companies in Germany, Klein,
Blondel, INSEAD working paper, 2002.
3. Anderson R.C. and Reeb D.M.,(2003), “Founding
Family Ownership And Firm Performance: Evidence
from the S and P 500”, The Journal of Finance,
Vol. 58, N°3, pp. 1301-1327.
4. Source: interviews with the author, June 2013.
5. de Visscher R.M., Aronoff C.E. and Ward J.L.
Financing Transitions: Managing Capital and Liquidity
in the Family Business, 2008, Family Business
Leadership Series 7.
6. Source: Christine Blondel and Anne Dumas, 2008,
“L’entreprise familiale sauvera-t-elle le capitalisme ?
Portraits”, Editions Autrement, Paris.
7. Source: several studies including Allouche J.,
Amann B. and Garaudel P. (2007). “Performances
et Caractéristiques Financières Comparées Des
Entreprises familiales et non familiales : le rôle
modérateur de la cotation en bourse et du degré de
contrôle actionnarial”, colloque annuel 2007 AIMS,
Montreal; and Poutziouris P.Z. (2011) “The Financial
Structure and Performance of Owner-Managed
Family Firms: Evidence from the UK Economy”,
Universia Business Review, Cuarto Trimestre 2011,
pp. 70-81.
8. Bloch A., N. Kachaner, S. Mignon, 2012:
La stratégie du propriétaire. Enquête sur la résilience
des entreprises familiales face à la crise, Pearson –
Collection Village Mondial.
9. Lyagoubi, M., 2013: Les valeurs familiales
expliquent-elles la performance financière des
enterprises familiales ? Dans les valeurs cachées de
l’entreprise familiale, FBN Paris.
10. Straer and Thesmar, 2007: Performance and
Behavior of Family Firms: Evidence From The French
Stock Market, Journal of the European Economic
Association.
21
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Tradizione e tecnologia
Tradition And Technology
Intervista a Pina Amarelli*
Interview with Pina Amarelli*
La storia e le recenti vicende di un’azienda familiare di successo con quasi 300 anni di vita, legata alla sua terra
e alle sue persone
The history and latest developments at a successful family firm established almost 300 years ago, with strong ties
to the local community and its people
22
Pina Amarelli
A
ppartiene alla poco nota
ma molto prestigiosa
cerchia degli Hénokiens,
le aziende familiari in tutto
il mondo che possono vantare
almeno 200 anni di vita,
ininterrottamente nelle mani
(e nel controllo) della stessa
famiglia. Sono circa 40 e il
gruppo più numeroso è proprio
quello italiano, anche se
l’azienda più risalente, oltre
mille anni, è un antico albergo
giapponese.
Quella della Amarelli è una storia
di passione, cultura, impresa
e tradizione che affonda le sue
radici a Rossano, antico centro
bizantino della Calabria.
Già intorno al 1500 la famiglia
Amarelli commercializzava i rami
sotterranei di una pianta
benefica, la liquirizia, e nel 1731,
per valorizzare al massimo
l’impiego di questo prodotto
tipico della costa ionica, crea un
impianto proto-industriale,
detto “concio”, per l’estrazione
del succo dalle radici. E per
tenere viva questa notevole
storia, la famiglia ha aperto
al pubblico il Museo della
liquirizia “Giorgio Amarelli”
(Premio Guggenheim Impresa
& Cultura del 2001).
Oggi, come racconta ad
arcVision la presidente
dell’azienda Pina Amarelli
(che è anche vicepresidente
degli Hénokiens), la produzione
della liquirizia, dalla materia
prima al prodotto finito, avviene
ancora nel luogo originario della
produzione, dove si realizza
un interessante connubio fra
artigianalità e tecnologia.
Tutte le fasi produttive –
i processi di selezione delle radici,
l’estrazione del succo, la cottura
e la concentrazione – sono
informatizzate e controllate
automaticamente, ma il tocco
finale spetta ancora al “mastro
liquiriziaio” che come una volta
sorveglia personalmente il
giusto grado di solidificazione
del prodotto.
“L’azienda, dice Pina Amarelli,
ha quasi 300 anni di storia ma
la famiglia ne ha più di mille, ed
è dunque una realtà fortemente
radicata nel territorio, in cui
da sempre esercita un ruolo
di leadership locale fatta di
educazione al governo ma
soprattutto di responsabilità
verso la comunità”. Azienda
e famiglia si sovrappongono
e talvolta si confondono.
“È forte il nostro legame con
la terra, ed è questo che ci ha
permesso di portare avanti
una produzione tradizionale
come la liquirizia e di avere
delle continuative performance
nel tempo”. Ed è dalla terra
calabra che parte della materia
prima della liquirizia continua a
venire. “Non tutta, certamente,
anche se questa è una terra
generosa, perché non sarebbe
sufficiente. Nella fascia ionica
da Metaponto a Crotone
cresce una qualità di liquirizia
selvaggia spontanea, non
coltivabile, con caratteristiche
organolettiche e di gusto,
dolcezza naturale e lavorabilità
uniche”. Ciò ha fatto sì che
nella zona fin dal ‘700 ci siano
state molte fabbriche tra
artigianato e industria, che poi
sono progressivamente
scomparse. Ma Amarelli è
ancora qui con la sua tradizione
unita a grandi investimenti in
tecnologia che hanno permesso
di superare il tempo.
“È proprio l’aver unito una
materia prima raffinata e
sofisticata a tecnologie di
lavorazione sempre più
avanzate che ci permette di
garantire la più alta qualità nel
rispetto delle normative
internazionali”, dice con orgoglio
Pina Amarelli, che ricorda come
l’azienda sia da tempo presente
con soddisfazione in molti
Paesi del mondo, come Turchia,
Dubai, Giappone, Stati Uniti
e Nuova Zelanda.
Ma come si superano gli
inevitabili ostacoli che
un’azienda familiare incontra
continuamente sulla propria
strada, specie in un contesto
spesso problematico come
quello calabrese? Per Pina
Amarelli la risposta è quasi
scontata: “Nella nostra azienda
da sempre le persone sono
al centro e questo ci mette nelle
condizioni di coniugare passato
e futuro. Oggi Amarelli non è
più solo un’azienda familiare.
Da tempo sono stati inseriti
dei manager dall’esterno e tutti,
dentro e fuori la famiglia,
devono conquistarsi il posto
con capacità, vocazione e
preparazione. L’interazione fra
famiglia e management è forte
e continua, e le donne hanno
uno spazio crescente. Il segreto
è sforzarsi sempre di trovare
il giusto mix tra famiglia e
azienda, trasmettendo i valori
di generazione in generazione”.
Basandosi su questi principi,
sottolinea la presidente,
la famiglia è riuscita a superare
bene molteplici passaggi
generazionali. Non tutti
i membri di questa grande
famiglia, che conta oltre
200 componenti, sono infatti
inseriti in azienda. Molti hanno
fatto altre scelte di carriera
e di vita e sono oggi attivi
come medici, giuristi o
insegnanti nelle università.
Valori forti e visione di lunga
lena, dunque? “Certo,
un’azienda familiare deve
guardare al lungo periodo,
ma senza trascurare il medio
e il breve termine”, sostiene
Pina Amarelli. “In questo
è stato molto importante
l’apporto della consulenza
esterna, che ci ha aiutato a
coniugare gli interessi di breve
con quelli di lungo periodo e a
inserire le pratiche di gestione
più avanzate. In certe aziende
il management esterno viene
talvolta chiamato per operazioni
difficili, che la famiglia non
vuole compiere. Ma da noi
questo non succede, la nostra
visione è diversa. Cerchiamo
manager che siano più bravi dei
nostri. L’azienda familiare ha
sempre un’impronta, può e
deve essere un esempio anche
per le grandi aziende”.
Ma essere nel club elitario degli
Hénokiens aiuta? “Certo, c’è un
forte scambio esperienze, si
impara a capire le caratteristiche
molto diverse tra soci di tutto
il mondo, e sono differenti gli
uni dagli altri, anche se con
comuni caratteristiche di fondo
come la continuità e il controllo.
Aziende con oltre 200 anni di
storia sono fortemente ancorate
alla realtà della famiglia, magari
molto grande, della comunità
locale e del territorio.
Gli Hénokiens si riuniscono ogni
anno presso una delle aziende
socie e ci si confronta per
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mantenere viva la tradizione
ma con un forte spirito di
evoluzione”.
Ne fa fede l’interesse con cui
queste aziende pluri-centenarie
sono studiate dalle università
di tutto il mondo.
“Per esempio, conclude
Pina Amarelli con soddisfazione,
l’università Federico II di Napoli
ha studiato il nostro sistema
contabile dall’800 a oggi
e lo ha trovato di una assoluta
modernità”.
* Giuseppina Amarelli Mengano
è presidente della Amarelli Sas, leader
mondiale nel settore. Docente
universitario, avvocato e giornalista
pubblicista, è nel Consiglio di
amministrazione della Banca Popolare
dell’Emilia Romagna, consigliere del
Touring Club Italiano e dell’Università
“Orientale” di Napoli. È presidente
di Tecnesud-Consorzio Tecnologico per
la Calabria ed è membro del Comitato
Consultivo della Fondazione della
Regione Calabria “Calabresi nel
Mondo”. È stata al vertice, prima
donna, di “Les Hénokiens” di cui
è attualmente vicepresidente. Fa parte
del Consiglio Direttivo del Gruppo del
Mezzogiorno dei Cavalieri del Lavoro,
del Direttivo del Comitato Leonardo
e del Collegio dei Probiviri
dell’Associazione Industrie Dolci e Pasta
Italiane (AIDEPI), delle Commissioni
Mezzogiorno e Cultura di Confindustria
e dell’AIDAF. Ha ricevuto molti premi
tra cui il Premio Bellisario, il Premio
Minerva, il Premio Guggenheim per
il museo, il Premio Unioncamere per la
longevità e il successo, il Premio del
Ministero delle Attività Produttive per
l’imprenditoria femminile, il Premio
Firenze Donna, il Premio “Grande
Dame” Veuve Clicquot, il Premio
“Leonardo Qualità Italia”, il Premio
“100 anni di Confindustria”, il Premio
“Fenice” dell’Università La Sapienza
di Roma, il Premio Speciale “Anima”
per i 150 anni dell’Unità d’Italia e il
Premio “Women and Technology”
in preparazione dell’Expo di Milano.
23
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24
A
marelli is a member of
the little known but
highly distinguished
association of the Hénokiens,
family firms from all over
the world set up at least
200 years ago, and owned
(and controlled) without
interruption by the same family.
The association has around
40 members, of whom the
Italians form the largest national
contingent, although the
oldest firm, established more
than one thousand years ago,
is a Japanese hotel.
The story of the Amarelli
company is a tale of
commitment, culture, enterprise
and tradition rooted in Rossano,
an ancient Byzantine town
in Calabria. As early as 1500 the
Amarelli family was already
trading the roots of a beneficial
plant, liquorice, and in 1731,
to realize the full application
potential of this typical plant
of the Ionian coast, it built a
proto-industrial plant, known as
a “concio”, to extract the juices
from the roots. To keep this
remarkable story alive, the
family has opened the “Giorgio
Amarelli” liquorice museum
to the public (winner of the
Guggenheim Enterprise
& Culture Award in 2001).
Today, as company chair Pina
Amarelli (who is also vice
president of the Hénokiens) tells
arcVision, liquorice production,
from the raw material to the
finished product, still takes
place in the original location,
with a process based on an
interesting combination of
technology and craftsmanship.
All the production phases—
selection of the roots, extraction
of the juices, cooking and
concentration—are
computerized and controlled
automatically, but the finishing
touch still depends on the
“master liquiriziaio”, who
continues to supervise the
process personally to ensure
that the liquorice reaches the
arcVision 29 Glob IT-ing_x CTPLastra 12/12/13 10:44 Pagina 25
right level of solidification.
“Our company has been
operating for almost 300
years,” says Pina Amarelli,
“but the family goes back more
than a thousand years, so it has
very deep roots in the local
area, where it has always
played a leadership role, in
terms both of local government
but above all of responsibility
toward the community.”
Company and family overlap
and are sometimes
indistinguishable. “We have
very strong ties with the land
and they have enabled to
continue our traditional
liquorice production and
maintain constantly high
performance over time.”
The Calabrian soil still provides
a portion of the liquorice roots.
“Not our full requirement,
although this is a generous land.
A wild type of liquorice grows
along the Ionian coastline from
Metaponto to Crotone, a variety
that cannot be cultivated,
whose organoleptic qualities,
flavor, natural sweetness and
workability are unique.”
As a result, since the 18th
century the area has seen many
artisan and industrial operations
come and go. But Amarelli is
still here, its traditions flanked
by important investments in
technology to allow it to
withstand the passage of time.
“It’s precisely because we
successfully integrate a refined,
sophisticated raw material with
state-of-the-art processing
technologies that we guarantee
quality of the highest order, in
compliance with international
standards,” Pina Amarelli
says proudly, adding that the
company is a long-time
operator in many countries
round the world, from Turkey
and Dubai to Japan, the USA
and New Zealand.
But how has Amarelli managed
to overcome the many obstacles
a family firm inevitably
encounters, especially in an
often difficult region like
Calabria? For Pina Amarelli the
answer is obvious: “People have
always been the core of our
company, and this means we
can link past and future.
Today, Amarelli is no longer just
a family firm. We brought in
external managers some time
ago, and everyone, in and
outside the family, has to win
their place through ability,
vocation, and training.
The interaction between the
family and management is
strong and continuous, and
women have an increasingly
important place. The secret is
always to strive for the right
balance between family and
company, passing on our values
from one generation to the
next.” On the basis of this
principle, says Amarelli, the
family has successfully survived
many generational changes.
Not everyone in this large
family—more than 200
members—works in the
business. Many of them have
chosen other career paths and
life styles, and include doctors,
lawyers, university professors.
Strong values and a long-term
vision, then? “Of course, a
family firm has to look ahead,
but it shouldn’t neglect the
medium and short term,”
says Pina Amarelli. “Here, our
external consultants have made
a vital contribution, helping us
combine our short-term and
long-term interests and
implement more advanced
management practices. In some
companies, external managers
are sometimes called in to
handle difficult operations the
family doesn’t want to deal
with. That doesn’t happen here,
we have a different vision.
We want managers who are
better than our own. The family
firm always provides a model,
it can and must be an example
even for large companies.”
And does membership of the
elite Hénokiens club help?
“Well, we share our
experiences, we learn to
understand the very different
characteristics of the members
all over the world, each one is
different, although there are
some common underlying
features like continuity and
control. Companies with more
than 200 years of history have
close ties with the family, which
may be very large, and with
the local community and area.
The Hénokiens meet up every
year at one of the member
companies, and we discuss how
to keep tradition alive while
fostering a strong evolutionary
spirit.”
Proof comes from the
interest with which these
pluri-centenarians are studied
by universities all over the
world. “For example, the
Federico II University in Naples
studied our accounting system
from 1800 to the present day
and found it to be absolutely
cutting edge,” says Pina
Amarelli proudly.
* Giuseppina Amarelli Mengano is Chair
of Amarelli Sas, the world leader in its
line of business. Giuseppina Amarelli
is also a university professor, a lawyer
and a freelance journalist, a director
of Banca Popolare dell’Emilia Romagna,
of Touring Club Italiano and of the
“Oriental” University in Naples.
She is President of the Tecnesud
Technological Consortium for Calabria
and a member of the Advisory
Committee of “Calabresi nel Mondo”,
a foundation of the Calabria Regional
Authority. She was the first woman to
chair “Les Hénokiens” and is currently
Vice President. She is a member of the
Steering Committee of the Mezzogiorno
Group of Cavalieri del Lavoro,
of the Steering Body of the Leonardo
Committee, of the Collegio dei
Probiviri of the Italian Association of
Confectionery and Pasta Industries
(AIDEPI), of the Confindustria
Mezzogiorno and Culture Commissions
and of the AIDAF. She has received
many awards, including the Bellisario
award, the Minerva award, the
Guggenheim museum award, the
Unioncamere award for longevity and
success, the award of the Ministry
of Production Activities for female
entrepreneurs, the Firenze Donna
award, the Veuve Clicquot “Grande
Dame” award, the “Leonardo Qualità
Italia” award, the “100 anni di
Confindustria” award, the La Sapienza
University “Fenice” award, the special
“Anima” award for the 150th
anniversary of Italian Unity and the
“Women and Technology” award in
preparation for the Milan Expo.
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