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Un omeomorfismo improbabile ∗
Un omeomorfismo improbabile ∗ Quando vengono presentati per la prima volta, gli omeomorfismi, appaiano immediatamente come deformazioni continue dello spazio. Questa credenza viene però presto smentita, quando alle deformazioni continue si aggiunge il procedimento del ”taglia e cuci”; ci si rende conto che oggetti omeomorfi possono essere anche radicalmente diversi fra loro, tanto da rendere praticamente impossibile il riconoscimento a vista (si pensi ad esempio al teorema di classificazione delle superfici compatte). Quello che voglio descrivere qui è l’omeomorfismo che forse mi ha stupito di più, un omeomorsimo fra un insieme di misura nulla e uno di misura positiva (entrambi in R, con la misura secondo Lebesgue). Premetto che non sarà facilissimo arrivare alla fine... ma secondo me ne vale davvero la pena! In una precedente e-mail Andrea aveva descritto l’insieme di Cantor, darò qui per scontate alcune sue proprietà, per chi non le conoscesse o fosse desideroso di averne dimostrazione è sufficiente cercare su google ”cantor set”, e si trova davvero di tutto. Prima di arrivare a scrivere l’omeomorfismo ci sarà bisogno di qualche passaggio preliminare. Sia C l’usuale insieme di Cantor (quello di cui ha parlato Andrea). Se utiliziamo la base 3 per scrivere i numeri reali, è noto che se x ∈ C con x = 0.c1 c2 ... allora ci = 0 o ci = 2 ∀i, cioè i punti dell’insieme di Cantor, una volta scritti ”con la virgola” in base 3, non hanno cifre uguali a 1. Possiamo allora porre: c1 c2 ... φ(x) = 0. 2 2 dove x = 0.c1 c2 ... e l’espressione a secondo membro è da intendersi come una scrittura decimale in base 2. Non è difficile rendersi conto che si tratta di un’applicazione suriettiva su [0, 1], infatti ∀y ∈ [0, 1], y = 0.b1 b2 ... φ−1 (y) = 0.(2b1 )(2b2 )... ∈ C. Lascio da dimostrare, non dovrebbe essere troppo difficile, che φ è continua, ma non può essere biunivoca (perché? Non c’è bisogno di trovare punti con la stessa immagine...). Quello che vogliamo fare ora è estendere φ a tutto [0, 1]. Se x ∈ [0, 1]\C allora x ∈ (a, b), dove (a, b) è uno degli intervalli aperti rimossi durante la costruzione di C. In questo caso si ha φ(a) = φ(b) (infatti due numeri in ∗ La dimostrazione è tratta da: Bernard R. Gelbaum, John M. H. Olmsted. Counterexample in analysis. Dover Publications, 2003, pagg. 95-98. 1 C, distinti, hanno la stessa immagine tramite φ se e solo se sono periodici, uno con periodo 0 e l’altro con periodo 2, e quindo sono gli estremi di uno degli intervalli tolti durante la costruzione dell’insieme di Cantor). Poniamo allora φ(x) = φ(a) = φ(b). Quindi φ è costante nella chiusura degli intervalli rimossi durante la costruzione di C. φ inoltre è crescente in [0, 1], non strettamente, ed essendo φ([0, 1]) = [0, 1] non può avere discontinuità a salto, e quindi è continua (una funzione monotona può avere solo discontinuità a salto). Questa funzione è chiamata ”funzione di Cantor”. Ci siamo quasi... sia ψ(x) : [0, 1] → [0, 2] x 7→ x + φ(x) Poiché φ è crescente ψ è strettamente crescente, e quindi è biunivoca (essendo φ continua lo è anche ψ e ψ(0) = 0, ψ(1) = 2. Quindi ψ è un omeomorfismo fra [0, 1] e [0, 2]. Tuttavia φ è costante su tutti gli intervalli rimossi durante la costruzione dell’insieme di Cantor, e quindi l’immagine tramite ψ di uno qualsiasi di questi intervalli è un intervallo di lunghezza uguale a quello di partenza, quindi la somma delle lunghezze delle immagine di tutti questi intervalli è 1 (cosı̀ come è 1 la somma delle lunghezze degli intervalli rimossi in C) e quindi ψ(C) ha lunghezza (sarebbe meglio dire ha misura) 2 − 1 = 1, ma ψ|C (x) è ancora un omeomorfismo tra C e la sua immagine, ed è quello che cercavamo. 2