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LE SENTENzE DEL GIUDICE TRIBUTARIO

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LE SENTENzE DEL GIUDICE TRIBUTARIO
Francesco Tesauro*
Le sentenze del giudice tributario
Sommario: 1. Le sentenze di rigetto dei ricorsi contro atti impositivi. – 2. Le sentenze di
annullamento per vizi formali. – 2.1. Le sentenze di annullamento per vizi sostanziali. –
3. Le sentenze di condanna. – 4. La cosa giudicata (formale e materiale). – 4.1. I limiti
oggettivi del giudicato. Il giudicato e le questioni pregiudiziali. – 4.2. Giudicati relativi ad
imposte periodiche. – 5. I limiti soggettivi del giudicato. – 5.1. L’annullamento dell’avviso
di accertamento di obbligazioni solidali. – 6. L’esecutorietà della sentenza.
1. Le sentenze di rigetto dei ricorsi contro atti impositivi
Le sentenze con cui sono respinte le domande di impugnazione sono sentenze di mero accertamento, che si limitano a dichiarare l’insussistenza dei vizi
dedotti con il ricorso e del diritto all’annullamento dell’atto impugnato. Non
sono sentenze di accertamento positivo dell’obbligazione tributaria, ma sentenze
di accertamento negativo del diritto all’annullamento.
Se viene denunciato un vizio dell’avviso di accertamento che non riguarda
l’obbligazione, ma, ad esempio, la motivazione, o il rispetto del termine di decadenza, la cognizione del giudice non sfiora neppure l’obbligazione tributaria.
La sentenza non tocca il debito d’imposta, che continua a sussistere sulla base
dell’avviso di accertamento1.
L’atto impugnato sopravvive al giudizio, e non è sostituito (o confermato) dalla pronuncia del giudice. Se l’atto impugnato non è illegittimo, non v’è ragione
di sostituirlo. Gli effetti dell’atto impugnato continuano ad essere effetti dell’atto,
non sono effetti “novati” dalla sentenza.
Dalla definizione della sentenza di rigetto del ricorso come sentenza di accertamento negativo del diritto all’annullamento dell’atto impugnato deriva, come
primo corollario, che quando l’Amministrazione, a seguito della sentenza che
respinge l’impugnazione di un avviso di accertamento, iscrive a ruolo la somma
da riscuotere, non esegue la sentenza, ma esegue l’avviso di accertamento.
Altro corollario del fatto che la sentenza di rigetto del ricorso non sostituisce
l’atto impugnato è la possibilità che l’atto venga ritirato in via di autotutela2,
come confermato dall’art. 2, secondo comma, D.M. 11 febbraio 1997, n. 37,
(*) Università degli Studi di Milano – Bicocca
1 Come afferma Cass. civ., Sez. I, 3 giugno 2005, n. 9171, in tema di giudicato amministrativo,
ciò su cui si forma il giudicato non è la legittimità dell’atto impugnato, e neppure gli accertamenti
compiuti per pervenire a questo risultato, ma la mancanza nel ricorrente del diritto a ottenere l’annullamento, costituente il bene della vita cui tendeva la domanda.
2 Tale potere è stato reso esplicito, innanzitutto, dall’art. 68, comma 1, del D.P.R. 27 marzo 1992,
n. 287, che è stato abrogato dall’art. 23, comma 1, lett. mm), n. 7), D.p.r. 26 marzo 2001, n. 107.
L’autotutela è stata poi regolata dall’art. 2-quater, D.l. 30 settembre 1994, n. 564, conv. con L.
30 novembre 1994, n. 656, il cui comma 1 prevede che: “Con decreti del Ministro delle finanze sono
indicati gli organi dell’Amministrazione finanziaria competenti per l’esercizio del potere di annullamento
d’ufficio o di revoca, anche in pendenza di giudizio o in caso di non impugnabilità, degli atti illegittimi
o infondati”.
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secondo cui “Non si procede all’annullamento d’ufficio, o alla rinuncia all’imposizione in caso di autoaccertamento, per motivi sui quali sia intervenuta sentenza
passata in giudicato favorevole all’Amministrazione finanziaria”.
Viene dunque con ciò dimostrato che il giudicato tributario non sostituisce
l’atto impugnato, che può essere ritirato nonostante il giudicato, purché il ritiro
dell’atto avvenga per motivi diversi da quelli esaminati e ritenuti infondati dal
giudice. Se, ad esempio, un ricorso contro un avviso di accertamento, fondato
su un vizio di motivazione, viene respinto con sentenza passata in giudicato,
non è impedito all’ufficio di annullare l’atto perché riconosce, ad esempio, che
non esiste il presupposto di fatto del tributo3.
2. Le sentenze di annullamento per vizi formali
La giurisprudenza della Cassazione ha sostenuto a lungo che il processo introdotto dal ricorso contro gli atti impositivi ha per oggetto l’accertamento dell’obbligazione tributaria, per cui i vizi formali dell’atto impugnato, per quanto gravi,
non impedirebbero di verificare la fondatezza o meno della pretesa tributaria4.
Questo orientamento è stato abbandonato.
Anche per la giurisprudenza, vi sono vizi formali che comportano l’annullamento dell’atto impugnato. Quando il giudice accerta che l’atto impugnato è
inficiato da vizi invalidanti, come l’incompetenza assoluta dell’organo o la mancanza di motivazione, deve annullare l’atto, senza possibilità di esaminarne il
contenuto5.
È così esplicitamente respinta la tesi che “ravvisa l’oggetto del processo tributario nel diretto accertamento, con funzione dichiarativa, dell’esistenza e dell’ammontare dell’obbligazione ex lege, a prescindere dagli atti attraverso i quali si esercita
l’azione amministrativa”. E viene, di contro, accolta la tesi del giudizio sull’atto6.
3 Si può qui aggiungere che può essere ritirato, per qualunque vizio, anche un atto che non è
stato impugnato, non profilandosi, in tal caso, alcuna ipotesi di violazione di un giudicato.
L’annullamento può avvenire “anche in pendenza di giudizio o in caso di non impugnabilità”. È
dunque consentita l’autotutela “anche” in pendenza di giudizio. Ciò non avrebbe senso, se il legislatore non presupponesse che l’autotutela può avvenire, in primo luogo, quando non pende il giudizio,
perché l’atto non è stato impugnato.
4 Cass., sez. un., 5 marzo 1980, n. 1471, in Riv. dir. fin., 1980, II, 101; Id., sez. un., 20 ottobre
1983, n. 6151, in Giur. it., 1984, I, 1, 782.
5 In particolare, “la tutela giurisdizionale non può che consistere nell’invalidazione del provvedimento quando la carenza di motivazione sia tale da non consentire l’identificazione degli elementi materiali
e giuridici cui è correlata la pretesa tributaria e, di conseguenza, il controllo degli stessi da parte del
contribuente e il loro accertamento ad opera del giudice tributario; il quale ai fini del riesame di merito
dispone di un ampio potere di indagine istruttoria (che non ha riscontro nel giudizio di accertamento
di rapporti innanzi al giudice ordinario), ma non può, ovviamente, sostituirsi all’Amministrazione nella
ricerca dei presupposti del rapporto d’imposta”. Così Cass., 23 marzo 1985, n. 2085, in Giur. it., 1986,
I, 1, 908. Nello stesso senso, tra le tante: 3 marzo 1986, n. 1322, in Rass. trib., 1986, II, 254; Id., 19
dicembre 1986, n. 7735, ivi, 1987, II, 631; Id., 26 ottobre 1988, n. 5786, in Boll. trib., 1988, 1827;
Id., 4 gennaio 1993, n.8, in Fisco, 1993, 1658; Id., 12 aprile 2006, n. 8581.
6 Viene infatti affermato – nella citata sentenza n. 1322 del 1986 – che “il processo è strutturato
come impugnativa di specifici provvedimenti dell’amministrazione e il giudizio concerne la legittimità formale e sostanziale degli stessi, sicché, da un lato, vengono in rilievo i vizi relativi alla regolarità formale
degli atti o del procedimento o, più in generale, inerenti all’osservanza di norme di azione, e dall’altro il
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2.1. Le sentenze di annullamento per vizi sostanziali.
Se riscontra vizi sostanziali dell’atto impositivo, il giudice tributario pronuncia sentenze che annullano in toto l’atto impositivo (se non sussiste l’imponibile
accertato) o sentenze che lo annullano in parte, ad esempio perché riducono la
base imponibile accertata.
Le sentenze che accolgono le domande di impugnazione hanno, come contenuto caratteristico, l’annullamento (totale o parziale) dell’atto impugnato. Ma
il contenuto dispositivo di tali sentenze è duplice, perché esse contengono, da
un lato, l’accertamento del diritto (del ricorrente) all’annullamento7, e, dall’altro,
l’attuazione di tale diritto, cioè l’annullamento dell’atto impugnato.
Con l’impugnazione che dà vita al processo tributario, quindi, si mira all’annullamento, non alla sostituzione (o alla riforma) dell’atto: l’impugnazione è di
tipo rescindente, non di tipo rescissorio.
Talvolta la configurazione del processo tributario come processo di annullamento viene respinta come se ciò impedisse l’esame del rapporto. In realtà, il
processo tributario concepito come diretto all’annullamento dell’atto impositivo
non è affatto un processo al quale è estraneo il rapporto d’imposta, che è conosciuto dal giudice come oggetto dell’atto impugnato. L’atto impositivo definisce
il rapporto d’imposta, per cui impugnarlo adducendo vizi sostanziali significa
sottoporre il rapporto d’imposta alla cognizione del giudice, al fine di ottenere l’annullamento (totale o parziale) dell’atto impositivo. Il giudice conosce del
rapporto d’imposta come definito dall’atto impugnato, e non già prescindendo
dal contenuto dell’atto. Ciò che la teoria dell’annullamento esclude non attiene
alla cognizione, ma all’esito del processo, che può consistere nell’annullamento
totale o parziale dell’atto impugnato, e non nella (inaccettabile) formazione di
un nuovo atto impositivo, di matrice giudiziale.
Se il giudice accoglie totalmente una domanda di annullamento integrale
dell’atto, si ha una pronuncia di eliminazione dell’atto; cadendo l’atto, cadono
anche i suoi effetti (l’obbligazione tributaria). Nella vicenda non vi è nulla di
rescissorio: non c’è alcun bisogno che il giudice dichiari che l’obbligazione (costituita dall’atto annullato) cessa di esistere.
Anche nel caso in cui il giudice accoglie in parte il ricorso e riduce la base
imponibile determinata da un avviso di accertamento, si ha un annullamento
parziale: cade, con la parte di atto annullato, la parte corrispondente di effetti.
L’atto è idealmente scisso in due parti: una parte legittima, una illegittima. Quella illegittima è eliminata; resta quella legittima, ed, anche qui, una pronuncia
sostitutiva non ha ragione d’essere. È difficile pensare che il giudice, dopo avere
riconosciuto che una parte dell’atto è legittima, ne statuisca per tale motivo la
eliminazione; e poi la riproduca con identico contenuto. In caso di accoglimento
parziale del ricorso, dunque, una parte dell’atto cessa di esistere, un’altra parte
resta in vita: e la riscossione ha come titolo la parte residua dell’atto.
riesame del merito del rapporto d’imposta – dunque l’accertamento dell’obbligazione tributaria – avviene
in funzione dell’atto impugnato, in quanto il giudice deve direttamente accertare, nei limiti della contestazione, i presupposti materiali e giuridici della pretesa dell’amministrazione assunti a fondamento del
provvedimento medesimo”.
7 Sul processo costitutivo come processo che tutela diritti potestativi cfr. G. Chiovenda, Istituzioni
di diritto processuale civile, Napoli, 1935, p. 180.
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Per la giurisprudenza, se sono accertati vizi sostanziali, il giudice non deve
limitarsi a rimuovere l’atto impugnato, ma deve emettere una decisione c.d. di
merito, cioè sostitutiva sia della dichiarazione resa dal contribuente, sia dell’accertamento8.
Si usa la formula “impugnazione-merito”, che equivale ad “impugnazioneriforma”9, in contrapposizione alla tesi secondo cui le decisioni delle commissioni sono decisioni di mero annullamento (totale o parziale) o di mero accertamento.
Parlare di impugnazione-merito, a proposito del processo tributario non è
però una scelta linguisticamente felice, perché un provvedimento amministrativo
vincolato, qual è l’atto d’imposizione, non racchiude alcun profilo di merito, nel
senso amministrativistico del termine. Merito indica dunque, in questo contesto,
il contenuto del provvedimento impositivo, pur in assenza di discrezionalità.
Poiché però la giurisdizione tributaria ha per oggetto provvedimenti vincolati, le relative decisioni non sono decisioni di riforma, ma decisioni di annullamento, totale o parziale, dell’atto impugnato. La giurisprudenza afferma che “il
giudice, il quale ravvisi l’infondatezza parziale della pretesa dell’amministrazione,
non deve limitarsi ad annullare l’atto impositivo, ma deve, scendendo nel merito,
quantificare la pretesa tributaria entro i limiti posti dal petitum delle parti”10: ma
ridurre il quantum della pretesa fiscale equivale ad annullare parzialmente l’atto
impositivo.
Questa impostazione non è priva di conseguenze. Ad esempio in tema di
reiterazione, da parte dell’amministrazione, dell’atto annullato. Entro il termine
di decadenza, l’amministrazione può sempre sostituire o integrare gli atti di accertamento o di liquidazione già emessi11.
Se il nuovo accertamento è emesso dopo che è stata pronunciata una sentenza passata in giudicato, il nuovo accertamento non deve contraddire il giudicato.
Se l’annullamento è pronunziato per vizi formali, l’accertamento che passa
in giudicato è l’accertamento del diritto all’annullamento di quell’atto, per il vizio formale che motiva l’annullamento. L’Amministrazione può reiterare l’atto,
purché non reiteri il vizio12.
Anche la giurisprudenza riconosce che l’Amministrazione finanziaria ha il
potere di rinnovare, con effetto ex nunc e prima dello spirare del termine di
decadenza, accertamenti dichiarati nulli.
Se il primo accertamento è stato annullato per un vizio di motivazione, l’Am8 Se la motivazione non è mancante, il giudice deve determinare il quantum dovuto (Cass., 3
marzo 1986, n. 1322, in Fisco, 1986, 1412); il giudice, che “ravvisi l’infondatezza parziale della pretesa
dell’amministrazione, non deve limitarsi ad annullare l’atto impositivo, ma deve quantificare la pretesa
tributaria entro i limiti del petitum” (Cass., 23 marzo 2001, n. 4280). Deve, cioè, annullare parzialmente l’atto impositivo.
9 Cfr. Cass., 23 marzo 2001, n. 4280, in Giur. imp., 2001, 1235; Id., 23 dicembre 2000, n. 16171;
Id., 19 febbraio 2004, n. 3309, in Boll. trib., 2004, 714.
10 Cass., 23 dicembre 2005, n. 28770.
11 Cass., sez. un., 17 marzo 1989, n. 1333; Id., 28 marzo 2002, n. 4534; Id., 22 febbraio 2002,
n. 2531.
12 Cass., 11 settembre 2001, n. 11582, afferma che l’annullamento del provvedimento sanzionatorio
per vizi di forma o procedimentali non impedisce all’amministrazione di rinnovare il provvedimento,
eliminando i vizi accertati.
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ministrazione non potrà emettere accertamenti che, in concreto, risultino ispirati
alla stessa motivazione che ha condotto alla declaratoria di nullità13.
3. Le sentenze di condanna
Le azioni di rimborso sono proposte o con ricorso contro un provve­dimento
di diniego (del rimborso), o a seguito del silenzio dell’Amministrazione, o come
azioni consequenziali all’impu­gnazione di un atto impositivo.
Per conseguire una tutela completa, il contribuente non deve limitarsi a impugnare il provvedimento negativo o a censurare il silenzio, ma deve chiedere
che venga accertato il suo diritto al rimborso e che l’amministrazione sia condannata a rimborsare.
Il ricorrente dunque, quando agisce per un rimborso, deve chiedere, ed il
giudice deve emettere, una decisione dal contenuto complesso, con cui viene
statui­to, non solo l’annullamento del diniego, ma anche l’accerta­mento del credito del ricorrente e la condanna dell’ammini­strazione a rimborsare.
Nel caso di ricorsi proposti a seguito di silenzio, non c’è alcuna statuizione
di annullamento, ma soltanto l’accer­tamento del credito e la condanna dell’amministrazione.
La sentenza di condanna dell’Amministrazione, quando sia passata in giu­
dicato, ha valore di titolo esecutivo; per ottenerne l’esecuzione, il contribuente
può esperire il giudizio di ottemperanza (davanti alla stessa commissione tributaria), o promuovere il processo di esecuzione forzata, secondo le norme del
codice di procedura civile.
4. La cosa giudicata (formale e materiale)
La cosa giudicata sostanziale indica gli effetti della sentenza; la cosa giudicata
formale indica invece la stabilità che una sentenza acquisisce quando non è più
impugnabile in via ordinaria.
L’art. 1 D.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 richiama in generale le norme del
codice di procedura civile e l’art. 49 richiama in particolare le disposizioni sulle
impugnazioni (dall’art. 323 all’art. 338). Anche nel processo tributario, perciò, si
applica l’art. 324 c.p.c., per la definizione del giudicato (tributario) formale. Con
questa sola peculiarità, che nel processo tributario non è esperibile il regolamento di competenza14. Le sentenze delle commissioni tributarie sono soggette ai
mezzi di impugnazione indicati espressamente dal legislatore15, per cui passano
in giudicato quando, decorsi i termini previsti dall’art. 51, D. lgs. n. 546, non
sono più soggette né ad appello, né a ricorso per cassazione, né a revocazione
ordinaria16.
Il passaggio in giudicato delle sentenze di condanna dell’amministrazione è il
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16
Cass., 17 marzo 1989, n. 1333; Id., 29 marzo 1999, n. 2576.
D. lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 5, comma 4.
D. lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 50.
Si consideri anche l’art. 391-bis c.p.c.
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presupposto dell’esecuzione forzata e del il giudizio di ottemperanza17, mentre il
passaggio in giudicato delle sentenze di rigetto segna il dies a quo del termine
decadenziale per la notifica al contribuente delle cartelle di pagamento per le
iscrizioni a ruolo a titolo definitivo18.
La riscossione del tributo a titolo definitivo presuppone una sentenza passata
in giudicato in senso formale. A conclusione dei giudizi di rimborso, il giudicato
di condanna dell’amministrazione consente al contribuente di esperire il giudizio
di ottemperanza o la procedura di esecuzione forzata.
La “cosa giudicata in senso formale” riguarda sia le sentenze di contenuto
processuale, sia le sentenze di merito; la “cosa giudicata in senso sostanziale”
riguarda, invece, di regola, solo le sentenze di merito19, ed è disciplinata dall’art.
2909 cod.civ. (“L’accertamento contenuto nella sentenza passata in giudicato fa
stato a ogni effetto tra le parti, i loro eredi o aventi causa”).
La “cosa giudicata sostanziale” è costituita dall’accertamento di una situazione giuridica soggettiva, ossia da quel particolare effetto (di diritto sostanziale)
della sentenza, che scaturisce dalla statuizione di esistenza (o di inesi­stenza) del
diritto fatto valere in giudizio.
È da ricordare la distinzione tra giu­dicato interno (formatosi nell’ambito del
medesimo processo per effetto di acquiescenza im­propria) e giudicato esterno
(intervenuto in altro processo). Il giudicato interno è sempre stato ritenuto rilevabile d’ufficio. Il giudicato esterno era ritenuto rilevabile solo su eccezione di
parte20, ma la giurisprudenza più recente lo considera rilevabile d’ufficio21.
4.1. I limiti oggettivi del giudicato. Il giudicato e le questioni pregiudiziali
Il processo tributario, come il processo civile, è governato dal principio della
domanda (art. 99 c.p.c.) e dal principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato (art. 112 c.p.c.). Sussiste, infatti, piena corrispondenza tra oggetto della
domanda e della pronuncia. L’oggetto dell’accertamento che, secondo l’art. 2909
c.c., fa stato ad ogni effetto, riflette l’oggetto della domanda. Il giudicato ha per
oggetto l’accertamento del diritto soggettivo fatto valere in giudizio, che il giudice
dichiara esistente o inesistente.
Non passa in giudicato la risoluzione delle questioni di fatto e di diritto, che
il giudice risolve prima di pronunciarsi sulla fondatezza della domanda22. Ciò
che si dice nella motivazione della sentenza circa la sussistenza o insussisten17 D. lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 69 e 70.
18 D.p.r. 29 settembre 1973, n. 602, art. 17.
19 Cfr. ad es. Cass. 14 novembre 2003, n. 17248, secondo la quale le sentenze con contenuto processuale non sono suscettibili di passare in cosa giudicata in senso sostanziale, con l’unica eccezione
delle decisioni sulla competenza emesse dalla Cassazione in sede di regolamento di competenza.
20 Cass., 7 settembre 1993, n. 9383; Id., 27 aprile 1993, n. 4957; Id., 17 maggio 1990, n. 4286.
21 Il giudicato non costituisce elemento che può essere incluso nel fatto e, pur non identificandosi
con gli elementi normativi astratti, è ad essi assimilabile, essendo destinato a fissare la regola del caso
concreto, e partecipando quindi della natura dei comandi giuridici. Conseguentemente, la formazione del giudicato, sia interno che esterno, è rilevabile d’ufficio dal giudice (Cass., 15 giugno 2007, n.
14011). Occorre però che sia in atti la sentenza, munita dell’attestazione del passaggio in giudicato
(Cass., 22 maggio 2007, n.11889; Id., 10 novembre 2006, n. 24067, in Boll. trib., 2007, 7, 644).
22 Come scrive menchini, Il giudicato civile, Torino, 2002, 70, «è del tutto estraneo al nostro diritto
positivo il giudicato sul punto di fatto, ossia è da escludere qualsivoglia forma di efficacia vincolante,
nei futuri processi, dell’accertamento dei fatti storici contenuto nella motivazione e compiuto dal giudice
per pronunciare sulla situazione di vantaggio dedotta in giudizio».
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za dei fatti posti a base dell’atto, o dei motivi del ricorso, o dei vizi dell’atto,
non passa in giudicato, perché è oggetto del giudicato tributario soltanto la
decisione della questione principale della causa, ossia l’accertamento del diritto
all’annullamento.
Come il giudice civile risolve, in via incidentale, le questioni pregiudiziali che
non debbono essere risolte con efficacia di giudicato (ex art. 34 c.p.c.), così il
giudice tributario ha il potere di risolvere «in via incidentale ogni questione da
cui dipende la decisione delle controversie rientranti nella sua giurisdizione, fatta
eccezione per le questioni in materia di querela di falso e sullo stato o la capacità
delle persone, diverse dalla capacità di stare in giudizio»23.
Ciò conferma che le questioni pregiudiziali, da cui dipende la decisione della
controversia, sono risolte in via incidentale; ciò che passa in giudicato è (solo)
la decisione della controversia. «In conclusione: oggetto del giudicato è la conclusione ultima del ragionamento del giudice, non le sue premesse»24.
In contrasto con la dottrina, in giurisprudenza è massima consolidata che
anche le premesse, anche le risoluzioni delle questioni pregiudiziali, di fatto o di
diritto, contenute in una sentenza passata in giudicato, vincolino in altri giudizi.
Il principio è affermato sia con riguardo al giudicato civile25, sia con riguardo
al giudicato tributario.
La giurisprudenza distingue tra questione pregiudiziale in senso logico, il cui
accertamento è coperto dal giudicato quando si presenti come necessaria premessa o presupposto logico-giuridico della pronuncia, e questione pregiudiziale
in senso tecnico, disciplinata dall’art. 34 c.p.c., indicante una situazione che, pur
rappresentando un presupposto dell’effetto dedotto in giudizio, è tuttavia distinta
ed indipendente dal fatto costitutivo sul quale tale fatto si fonda; detta situazione è oggetto solo di accertamento incidentale (inidoneo a passare in giudicato),
salvo i casi in cui una decisione con efficacia di giudicato sia richiesta per legge
o per apposita domanda di una delle parti26.
Se il giudicato tributario ha per oggetto il diritto potestativo all’annullamento
di un determinato atto, ciò che si decide in rapporto a quell’atto non ha effetti
di giudicato rispetto ad altri atti. Dunque, «emessa decisione munita d’autorità
di giudicato, positiva o negativa, circa l’esistenza del diritto all’annullamento d’un
determinato atto d’imposizione, tale decisione non ha efficacia di sorta in rapporto
ad altri atti d’imposizione, anche similari, concernenti periodi d’imposta successivi,
neppure se rispetto alla legalità di questi ultimi atti siano rilevanti questioni identiche a quelle che vennero già giudizialmente risolute»27.
In conclusione, ogni provvedimento impositivo è autonomo, si riferisce ad
una autonoma obbligazione d’imposta ed è soggetto ad autonomo sindacato
giurisdizionale. L’efficacia del giudicato tributario è limitata all’atto impositivo
23 D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 2, comma 3.
24 Così g. chiovenda, Istituzioni di diritto processuale civile, cit., 355.
25 Cass., sez. lav., 8 gennaio 2007, n. 67, in Mass. Giur. It., 2007; Cass., sez. II, 11 maggio 2000,
n. 6041, ivi, 2000; Cass., sez. III, 16 aprile 1999, n. 3795, ivi, 1999; Cass., sez. II, 24 ottobre 1988,
n. 5748, ivi, 1988; Cass., sez. II, 13 febbraio 1988, n. 1564, ivi, 1988; Cass., sez. I, 20 luglio 1995, n.
7891, in Giur. it., 1996, I, 1, 605.
26 Cass., sez. III, 19 gennaio 1999, n. 462.
27 e. allorio, Diritto processuale tributario, V ed., Torino, 1969, 194. Cfr. c. magnani, Sui limiti
oggettivi della cosa giudicata tributaria, in Dir. prat. trib., 1962, II, 432 (nota adesiva a Cass., sez. un.,
7 luglio 1962, n. 1873, contraria alla c.d. ultrattività del giudicato).
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impugnato, per cui il giudicato relativo ad un determinato tributo non vincola
per altri tributi28.
4.2. Giudicati relativi ad imposte periodiche
Non è condivisibile l’orientamento giurisprudenziale secondo cui il giudicato relativo ad un periodo d’imposta vincola nei giudizi relativi ad altri periodi
d’imposta29.
Non si tratta, del resto, di orientamento univoco, essendo numerosi i casi in
cui si è ritenuto che il giudicato relativo ad un periodo non vincola per altri
periodi30.
Sorto un contrasto di orientamenti, la questione è stata sottoposta alle sezioni unite della Cassazione, che – con la sentenza 16 giugno 2006, n. 13916
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– ha confermato l’indirizzo che attribuisce valore extra litem alla risoluzione
di semplici questioni.
Vi sono dunque, secondo le Sezioni Unite, nelle controversie relative alle imposte periodiche, questioni di fatto o di diritto, la cui soluzione avrebbe efficacia
vincolante ultra annuale.
Ora, se si accetta il punto di vista della giurisprudenza, diventa importante
precisare quali siano gli accertamenti che hanno valore vincolante per più periodi d’imposta, perché l’effetto vincolante deve essere rigorosamente circoscritto e
limitato ai casi in cui si presenta la stessa questione, sullo stesso fatto; va invece
escluso quando si presentano questioni analoghe, su fatti simili. È necessario
distinguere il caso in cui un unico fatto produce un effetto permanente o effetti di durata pluriennale dal caso in cui un fatto, un’attività, si svolge in modo
continuativo, o si ripete in più periodi32.
Considerazioni distinte vanno dedicate alle sentenze che decidono ricorsi contro
atti con valore ultra annuale. L’accatastamento di un immobile con attribuzione
di rendita, a differenza dell’avviso di accertamento di una imposta periodica, non
è legato ad un singolo periodo d’imposta, ma è destinato a valere a tempo indeterminato, fino a che non mutano la situazione di fatto o i presupposti di diritto.
Se un ricorso è accolto, la rendita catastale è eliminata per sempre; se il ricorso
è respinto, non è il giudicato ad essere efficace per più anni, ma è l’atto catastale
che, rimanendo in vita, conserva il suo valore temporalmente indeterminato.
28 La giurisprudenza ha ritenuto irrilevante, nelle controversie in tema di imposte sui redditi, il
giudicato attinente all’imposta sul valore aggiunto (Cass., 14 marzo 2007, n. 5943; Id., Cass., 5 febbraio 2007, n. 2438, in Boll. trib., 2007, 900). Il giudicato esterno, relativo al valore di un immobile
ai fini dell’imposta di successione, non è invocabile nelle liti sullo stesso immobile per altre imposte
(INVIM, imposta ipotecaria e imposta catastale). Così Cass., 15 dicembre 2006, n. 26910. Il giudicato formatosi in ordine all’impugnazione dell’avviso di liquidazione dell’imposta di registro non spiega
effetti preclusivi nell’ambito del giudizio avente ad oggetto l’impugnazione dell’avviso di liquidazione
dell’INVIM (Cass., 2 marzo 2007, n. 4904).
29 Cass., 25 giugno 2001, n. 8658, in Boll. trib., 2002, 538.
30 Cfr. Cass., 15 dicembre 2003, n. 19152; Id., 1° aprile 2005, n. 6860; Id., 22 ottobre 2005, n.
3551; Id., 11 febbraio 2005, n. 2823.
31 in Boll. Trib., 2006, 1223.
32 Cass., sez. trib., 22 febbraio 2008, n. 4607. Del resto, anche il caso esaminato dalla sentenza
delle Sezioni unite 16 giugno 2006, n. 13916 concerne un fatto (unico) che esplica effetti di esenzione
per un triennio; si può quindi ammettere – all’interno della logica seguita dalle sezioni unite – che
l’accertamento del fatto valga per il triennio, ossia per tutto l’arco temporale in cui opera l’effetto giuridico che la legge gli collega. L’esenzione, infatti, o spetta per tutto il triennio, o non spetta affatto.
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Francesco Tesauro
5. I limiti soggettivi del giudicato
Hanno dominato, per lungo tempo, le teorie che in vario modo estendevano
a taluni terzi gli effetti della cosa giudicata. In diritto tributario, la Corte costituzionale, con la sentenza n. 48 del 1968, in tema di solidarietà, ha condannato
“un sistema che toglie ad alcuni condebitori di un tributo ogni possibilità di difesa
autonoma del proprio interesse perché fa espandere fino a loro gli effetti del giudicato ottenuto nei confronti di altro coobbligato”. Questa sentenza si somma a
quella che ha limitato gli effetti vincolanti del giudicato penale in altri processi
ai soli soggetti che avevano preso parte al processo penale33, e ad altre sentenze
in tema di limiti soggettivi del giudicato.
Ne è derivata una svolta radicale nella configurazione degli effetti soggettivi
del giudicato. Dopo quelle sentenze, è necessario ritenere che il principio del
contraddittorio e il diritto di difesa impediscono di opporre il giudicato a chi
non ha partecipato al processo o non è stato messo in grado di esserne parte. Il terzo, se una norma lo prevede (come l’art. 1306 c.c.), può profittare del
giudicato inter alios, ma non può esserne pregiudicato. Prima che sugli effetti
del giudicato, quest’ordine di idee segna i limiti soggettivi degli effetti degli atti
dell’amministrazione finanziaria34.
Il giudicato vincola dunque solo le parti della lite, non vincola altri soggetti.
La sentenza (passata in giudicato), che ha concluso un processo tra sostituto e
amministrazione finanziaria, non può essere invocata contro il sostituito35.
In tema di processi relativi ai redditi delle società di persone, al processo
devono necessariamente partecipare la società e i soci, secondo il più recente
orientamento della Cassazione. Se invece non si accetta la tesi del litisconsorzio
necessario, i limiti del giudicato comportano che il giudicato pronunciato nei
confronti della società di persone non può essere opposto al socio, perché ciò
comporterebbe una lesione del suo diritto di difesa, costituzionalmente protetto
(art. 24 cost.)36. Le pronunce di annullamento degli accertamenti del reddito della
società si riflettono necessariamente sui soci, hanno cioè un “effetto caducante”
sugli accertamenti delle quote di reddito imputate ai soci.
5.1. L’annullamento dell’avviso di accertamento di obbligazioni solidali
Il tema dei limiti soggettivi del giudicato tributario è stato discusso con riguardo alla applicabilità, alla solidarietà tributaria, dell’art. 1306, 2° comma, cod.
33 Corte cost., 22 marzo 1971, n. 55, in Foro it., 1971, I, 824. Secondo tale sentenza, la funzione
della cosa giudicata “si esplica nel senso non già di richiedere la coerenza logico-formale fra i vari giudicati, ma nell’altro diverso di fissare in modo stabile le risultanze di un giudizio reso in via definitiva
riguardo alle situazioni ed ai rapporti che furono oggetto della controversia, ma limitatamente alle parti
originarie del giudizio ed a quanti vi intervennero o dovevano intervenirvi, secondo può desumersi dalle
precise statuizioni degli artt. 2909 del codice civile e 90 del codice di procedura penale”
34 Si ricordino, tra le altre, Corte cost., 12 aprile 1989 n. 184, in Rass. trib., 1989, II, 719 (in tema di inefficacia, nei confronti della moglie codichiarante, degli atti notificati al marito) e 29 gennaio
1998, n. 5 (ord.), in Giur. cost., 1998, 32 (in tema di inefficacia, nei confronti dei soci, dell’avviso di
accertamento notificato alla società).
35 Il lavoratore dipendente, sostituito a titolo d’acconto, non può invocare a proprio favore il
giudicato ottenuto dal datore di lavoro in merito all’intassabilità di somme corrisposte (Cass., 3 marzo 2003, n. 3109).
36 Cass., 20 novembre 2001, n. 14587; Id., 24 gennaio 2002, n. 806; Id., 27 febbraio 2002, n.
2899, in Boll. trib., 2002, 1576; Id., 22 agosto 2002, n. 12376, in Giur. imp., 2002, 1257.
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civ., che – in deroga ai limiti soggettivi del giudicato – consente al condebitore
di opporre al creditore il giudicato intervenuto nel giudizio tra il creditore ed
un altro condebitore.
Il problema concerne il condebitore che, ricevuto l’avviso di accertamento,
omette di impugnarlo. La posizione di chi non impugna non differisce dalla
posizione di chi impugna, se per chi impugna l’avviso diventa definitivo, dopo
la conclusione del processo (perché il processo si estingue, perché il ricorso è
dichiarato inammissibile, o rigettato).
Può, il debitore rimasto inerte, a cui l’Amministrazione finanziaria domandi
il pagamento dell’imposta sulla base dell’avviso divenuto definitivo, opporsi alla riscossione (ad esempio impugnando l’avviso di liquidazione, o l’iscrizione a
ruolo), ed invocare il giudicato ottenuto dal condebitore?
La giurisprudenza, dopo alcune incertezze, è orientata stabilmente a favore
del contribuente.
Secondo l’art. 1306 c. c., “la sentenza, pronunciata tra il creditore ed uno dei
debitori in solido non ha effetto contro gli altri debitori». Tale norma riflette il principio secondo cui la sentenza vale solo tra le parti del processo, e non ultra partes.
Perciò la sentenza che abbia respinto il ricorso contro l’accertamento proposto da
un coobbligato non ha effetti nei processi promossi da altri coobbligati.
In deroga a tale principio, il secondo comma dell’art. 1306 cod. civ. prevede che i debitori, che non hanno partecipato al processo, possono opporre al
creditore la sentenza favorevole ottenuta da un altro condebitore (salvo che sia
fondata su ragioni personali).
Il principio generale, dunque, è quello della inefficacia, per gli altri condebitori, degli atti inter­venuti tra un coobbligato e il creditore; l’efficacia ultra
partes vale soltanto per gli effetti favorevoli, e solo se il coobbligato dichiara
di avvalersene37, mentre è esclusa per quelli pregiudizievoli. Gli effetti “neutri”
(come, ad esempio, quelli che derivano da una transazione) si estendono solo
se il coobbligato dichiara di volerne profittare38.
Ora, l’estensione degli effetti della sentenza favorevole ad un coobbligato è
pacificamente ammessa per chi abbia impugnato l’accertamento, mentre era discussa nel caso in cui voglia avvalersi della sentenza il coobbligato che non
abbia impugnato.
Secondo l’orientamento favorevole al fisco, la definitività dell’accertamento nei
confronti del coobbligato che non abbia impugnato gli precluderebbe la facoltà
di giovarsi del giudicato (ad esempio, riduttivo del valore imponibile accertato)
emesso a conclusione del processo promosso da un altro coobbligato contro il
37 Viola il principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato il giudice che estende d’ufficio
gli effetti favorevoli della sentenza, pronunciata tra il creditore e uno dei debitori in solido, agli altri
coobbligati, atteso che l’articolo 1306, secondo comma, c.c., non ammette un’efficacia immediata, nei
confronti dei coobbligati estranei al giudizio, della sentenza a loro favorevole, ma attribuisce semplicemente a essi il potere di avvalersene (Cass., 5 aprile 1996, n. 3201).
38 Cod. civ., art. 1304. La svolta nella giurisprudenza tributaria – conseguente alla pronuncia
della Consulta – è avvenuta con Cass., sez. un., 21 febbraio 1969, n. 582, in Giur. it., 1970, I, 1, 568,
secondo cui “la disciplina generale prevista dal codice civile in materia di obbligazione solidale è ispirata al principio che gli effetti favorevoli si estendono agli altri condebitori e non quelli sfavorevoli; e,
allorquando in altre branche del diritto, e quindi anche in materia di diritto tributario, si fa riferimento
all’istituto previsto dal codice civile, il richiamo vale anche per la disciplina dell’istituto, a meno che
non sia stabilito diversamente”.
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medesimo accertamento39. La definitività dell’accertamento, quindi, impedirebbe
di invocare il giudicato favorevole, ai sensi dell’art. 1306, 2° comma, cod. civ.
Prevale peraltro un diverso orientamento, favorevole ai contribuenti, secondo
cui la definitività dell’accerta­mento di maggior valore di un immobile, nei confronti di uno dei contribuenti, non gli impedirebbe di beneficiare della riduzione
di valore, ottenuta da un condebitore40.
Quindi, per questo secondo orientamento, il condebitore che non abbia impugnato l’avviso di accertamento può fondatamente impugnare, invocando il secondo comma dell’art. 1306 cod. civ., l’avviso di liquidazione dell’imposta che
non abbia tenuto conto del giudicato41.
La giurisprudenza ritiene applicabile l’art. 1306 c. c. anche a favore del coobbligato che non ha impugnato l’accertamento, facendo prevalere l’effetto del giudicato
(riguardante un condebitore) sull’avviso di accertamento divenuto definitivo42.
L’art. 1306 c.c. si applica dunque al coobbligato che non ha impugnato, ma,
secondo la giurisprudenza, con dei limiti.
Il primo limite è che il condebitore soli­dale dell’imposta può invocare il giudicato favorevole, formatosi fra un altro condebitore e l’Amministrazione finanziaria, solo in via di eccezione, per contrastare la pretesa di paga­mento del
maggior tributo, ma non anche in via di azione, per la ripetizione di quanto
già pagato43. Si esclude, dunque, la ripetibilità di quanto già versato, per cui
l’onere economico dell’imposta finisce per gravare in toto sul contribuente che
ha adempiuto all’obbligazione, quando non può agire in regresso nei confronti
degli altri coobbligati44.
39 Da ciò discende, ad esempio, che, quando vi sia un accertamento di maggior valore ai fini
dell’imposta di registro, è precluso – al contribuente che non lo abbia impugnato – di impugnare
il successivo avviso di liquidazione, adducendo, nel ricorso contro tale atto (o contro l’iscrizione a
ruolo), che l’Amministrazione avrebbe dovuto tener conto del giudicato pronunciato a favore di altro
condebitore. Cfr. Cass., 11 aprile 1989, n. 1725, in Fo­ro it., 1990, I, 216.
40 Cfr. Cass., 24 febbraio 1992, n. 2268, ove la precisazione che la facoltà del singolo condebitore,
che non abbia impugnato l’avviso di accertamento di maggior valore, di opporre all’Ammini­strazione
finanziaria, in sede di ricorso contro l’avviso di liquida­zione, il giudicato favorevole intervenuto a
favore di altro coobbligato, sussiste anche se il giudicato so­pravvenga nelle more del processo contro l’avviso di liquidazione, “vertendosi in materia di condizione del diritto fatto valere in giudizio, da
riscontrarsi con riferimento all’epoca della decisione”.
41 Occorre naturalmente che la sentenza che viene invocata non sia fondata sopra ragioni personali al condebitore che ha preso parte al giudizio, come dispone espressamente lo stesso art. 1306,
2° comma.
42 Cfr. Cass., 21 gennaio 1991, n. 535, in Boll. trib., 1991, 647.
Si noti, però, che, sulla base dell’art. 1306 c.c., il condebitore che non ha impugnato può opporsi
all’Amministrazione quando vi è il giudicato favorevole ottenuto da altro condebitore, mentre non ha
nulla da opporre all’Amministrazione fino a quando è pendente il processo promosso dal condebitore, perché non opera alcun effetto estensivo dell’impugnazione. Può allora accadere che la sentenza
favorevole sopraggiunga quando il condebitore rimasto inerte ha già pagato, e non ha più per lui
alcuna utilità, perché, secondo la giurisprudenza, il giudicato può essere invocato per opporsi alla
riscossione, non per domandare il rimborso.
Vedi anche Corte cost. (ord.), 21 luglio 1988, n. 870, in Giur. cost., 1988, I, 4103, e Cass., 2 febbraio 1995, n. 1225, in Giur. it., 1996, I, 1, 258.
Sulla questione dell’estensione ultra partes del giudicato, relativo al valore di un bene, dall’imposta
di registro all’Invim, v. Corte cost., 31 ottobre 1995, n. 473, in Boll. trib., 1996, 997.
43 Cass., sez. un., 22 giugno 1991, n. 7053, in Fisco, 1991, 4450; Id., 2 febbraio 1995, n. 1225,
in Giur. it., 1996, I, 1, 258; Id., 3 agosto 2005, n. 16332; Id., 12 ottobre 2005, n.19850.
44 Il coobbligato solidale può giovarsi del giudicato favorevole formatosi in un giudizio al quale
egli non ha partecipato solo in via di eccezione, al fine di paralizzare l’azione esercitata dall’organo
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Il secondo limite è che il giudicato non può esser fatto valere dal coobbligato
nei cui confronti si sia direttamente formato un giudicato45.
Se i due coobbligati partecipano allo stesso processo, la scindibilità dei rapporti che danno vita alla solidarietà comporta scindibilità delle cause in sede
di gravame: perciò, la sentenza sfavorevole di primo grado, appellata da uno
soltanto, passa in giudicato nei confronti del condebitore non appellante. E, se
il processo si conclude con un giudicato favorevole al condebitore che abbia
proseguito il giudizio, il coobbligato non appellante non può giovarsene46.
Gli indirizzi giurisprudenziali presuppongono una concezione dichiarativa del
processo tributario. Debbono perciò essere riconsiderati alla luce di queste premesse: (i) il processo tributario è un processo costitutivo rivolto all’annullamento
di atti autoritativi; (ii) i ricorsi dei condebitori in solido hanno per oggetto un
identico atto impositivo; (iii) l’annullamento di un atto vale erga omnes.
Ciò implica che se un condebitore impugna, ed un altro condebitore non
impugna, l’annullamento ottenuto dal condebitore impugnante è annullamento
dell’unico atto impositivo ed esplica i suoi effetti verso tutti i condebitori cui sia
stato notificato. Per tale motivo, e non in virtù dell’art. 1306, secondo comma,
c.c., dell’annullamento potrà giovarsi anche il condebitore rimasto inerte, sia per
opporsi a pretese di pagamento, sia per ottenere il rimborso di quanto pagato.
6. L’esecutorietà della sentenza
L’efficacia di giudicato (cioè l’efficacia di accertamento) della sentenza tributaria (costitutiva o di condanna) va tenuta distinta dall’efficacia esecutiva. L’efficacia di accertamento, sancita dall’art. 2909 cod. civ. (secondo cui “L’accertamento
contenuto nella sentenza passata in giudicato fa stato ad ogni effetto tra le parti,
i loro eredi e aventi causa”), presuppone il passaggio in giudicato in senso formale.
Anche l’efficacia costitutiva (cioè l’effetto di annullamento) delle sentenze che
accolgono domande di impugnazione si produce solo per effetto del passaggio
in giudicato47.
Inoltre, le sentenze tributarie di condanna – ossia di condanna dell’amministrazione finanziaria –, a differenza delle sentenze civili di condanna, sono
esecutive solo dopo il passaggio in giudicato. La segreteria della commissione
tributaria rilascia copia spedita in forma esecutiva, a norma dell’art. 475 del codice di procedura civile, della sentenza di condanna, solo dopo il passaggio in
impositore per fare valere la sua pretesa, e non opera, perciò, se egli abbia già pagato l’imposta;
l’imposta versata è irripetibile (Cass., 3 agosto 2005, n. 16332).
45 Il condebitore che non impugna la sentenza sfavorevole non può avvalersi, secondo la giurisprudenza, del giudicato favorevole che conclude il processo a favore di un coobbligato. Cfr. ad es.
Cass., 7 settembre 2004, n. 18025, in Dir. prat. trib., 2004, 2, 1628; Id., 15 ottobre 2008, n. 25205.
46 Cass., 29 aprile 1980, in Boll. trib., 1981, pag. 52. Secondo tale giurisprudenza – in linea con
la giurisprudenza civilistica – il coobbligato che abbia partecipato al giudizio di primo grado, ma non
alla impugnazione della decisione sfavorevole, non può invo­care l’estensione nei suoi confronti della
pronuncia favorevole suc­cessivamente ottenuta, ai sensi dell’art. 1306, secondo comma, cod. civ., dal
momento che, nei suoi confronti, si è formato un giudicato “diret­to”.
47 Cass., sez. II, 24 marzo 1998, n. 3090, secondo cui una sentenza costitutiva non è esecutiva
finché non passa in giudicato.
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giudicato48. Ed il giudizio di ottemperanza presuppone il passaggio in giudicato
della sentenza cui si riferisce49
Hanno invece efficacia esecutiva immediata le sentenze di primo e secondo
grado che respingono ricorsi contro avvisi di accertamento; l’esecutività consiste
nel rendere iscrivibile a ruolo l’avviso di accertamento, in parte o in tutto, come
previsto dall’art. 68 del D. lgs. 31 dicembre 1992, n. 546. Le imposte suppletive
debbono essere corrisposte dopo l’ultima sentenza non impugnata o impugnabile
solo con ricorso in cassazione.
Le sentenze di rigetto, soggette a gravame o impugnate, e, quindi, non passate in giudicato, producono effetti provvisori di tipo esecutivo, rendendo iscrivibile a ruolo (in tutto o in parte) l’atto impugnato, ma non producono effetti
di accertamento, né effetti di annullamento. L’effetto di accertamento (mero o
costitutivo) presuppone il passaggio in giudicato della sentenza.
48 D. lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 69.
49 D. lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 70.
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