Comments
Transcript
AMIANTO come comportarsi Intervista al dott Giua
Intervista al dott. Roberto Giua, dirigente chimico presso l’ARPA Puglia Amianto: come comportarsi Dal dossier curato da Legambiente nel 2009, nonostante le Norme relative alla cessazione dell'impiego dell'amianto del 1992, emerge che ancora ben 75mila ettari del nostro Paese sono interessate dalla presenza dell’amianto. Come mai? Il tema dell’amianto è particolarmente complesso. L’Italia è stata tra i primi in Europa a fare questo divieto, che però non è indirizzato all’uso, ma alla produzione e commercializzazione di manufatti contenenti amianto. In seguito a questa legge una enorme quantità di manufatti si trasformò da materiali utili a rifiuto, poiché la legge dice che il rifiuto è qualcosa destinata all’abbandono. Le legge, sostanzialmente dice che tutti gli oneri sono a carico del detentore dell’amianto e quindi il primo problema è questo: lo Stato nei confronti dei lavoratori delle aziende che producevano amianto e che hanno chiuso, ha previsto un indennizzo, nei confronti dei piccoli e grandi proprietari di manufatti contenenti amianto non ha fatto niente. Questo problema ce l’avevano milioni di proprietari di immobili in cui si trovava amianto, molto spesso senza saperlo; non è stata fatta una efficace campagna su questo. Quindi le cause sono la enorme quantità in gioco (l’amianto ha avuto moltissime applicazioni) e il modo con cui è stato affrontato. Non è stato dato alcun tipo di incentivo economico e pochissimi aiuti da un punto di vista informativo. Infine, i Comuni, che dovrebbero fare ordinanze per imporre dei provvedimenti a carico di immobili contenenti amianto, in molti casi non se la sono sentita, sicuramente si trattava di azioni impopolari, e poi c’era il problema delle discariche, dove andare a smaltire. Alla fine questa cosa è stata lasciata a se stessa, dando priorità all’amianto friabile, più pericoloso. Focalizzando l’attenzione ai manufatti in cemento-amianto, come si deve comportare il proprietario? La norma dice sostanzialmente che l’obbligo che ha il proprietario di un manufatto che sa oppure sospetta che possa contenere amianto, è quello di determinare se c’è effettivamente amianto. Deve fare le analisi a questo materiale. Accertato che c’è amianto, l’obbligo è quello di incaricare un tecnico qualificato per verificare lo stato di conservazione di questo materiale e in funzione di un eventuale stato di diffuso degrado di questo materiale, procedere ad una serie di misure che si inquadrano nel concetto di bonifica, che non significa automaticamente rimozione. Quindi il proprietario dovrebbe avere un fascicolo con le documentazioni dei controlli periodici fatti su questo materiale ed eventualmente le attività di manutenzione fatte. Nel momento in cui il materiale diventa degradato, le misure diventano obbligatorie, anche perché la situazione potrebbe comportare un possibile danno nei confronti degli occupanti e di chi abita nelle vicinanze. Quali sono le tecniche di bonifica? L’obbligo della bonifica scaturisce dalla constatazione di diffuso stato di degrado di un manufatto. Degrado diffuso significa che per esempio la superficie è stata interessata dagli agenti atmosferici a tal punto che si vedono le fibre affioranti; nei canali di gronda c’è fango che contiene fibre; ci sono le stalattiti che pendono dai bordi della copertura. Premetto che tutte le bonifiche devono essere fatte da aziende specializzate, iscritte ad un elenco particolare. Le tecniche di bonifica sono di tre tipi: l’incapsulamento, il confinamento e la rimozione. L’incapsulamento consiste nel pitturare il manufatto con sostanze incapsulanti che impediscono la diffusione delle fibre di amianto e permettono di conservarlo. E’ necessario realizzare due strati di uno spessore adeguato, di colore contrastante con il substrato. Se il manufatto è grigio, ad esempio, utilizzare il rosso ed il blu, in maniera tale da rendere ben visibile sia il completo incapsulamento, sia, nel tempo, far notare quando è necessario ripetere l’operazione. Il confinamento significa far sparire l’amianto all’interno di una specie di camicia, di un blocco che lo isola completamente dall’esterno, in modo da non creare più problemi. Ovviamente occorre avere memoria di tali operazioni per eventuali demolizioni. Infine c’è la rimozione che è la tecnica più definitiva ed esaustiva. Nonostante tutte le precauzioni per evitare di frammentare il materiale, incapsulando prima il materiale, smuovendo e smontando un po’ di fibre nell’ambiente si possono diffondere. Per cui questa operazione deve essere fatta con particolare precauzione, è necessario un piano di rimozione che deve essere approvato dalla ASL, gli operatori devono avere tute e maschere di protezione adatte, ci devono essere dei sistemi di misura con cui si verifica l’entità delle fibre disperse. Sicuramente questa è l’operazione che richiede il maggior carico di professionalità. Se il proprietario non interviene nonostante la bonifica sia necessaria, il Comune e la ASL in particolare, possono imporla e sono previste sanzioni sia amministrative che penali. Da alcuni anni segnaliamo il sistematico abbandono di rifiuti contenenti amianto nelle zone di campagna e addirittura nella periferia del paese. Quali sono i potenziali rischi di chi manipola questi rifiuti e dei cittadini che possono venire in contatto con tali rifiuti? Il fatto che ci sia questo fenomeno significa che da un punto di vista informativo non è stato fatto abbastanza. Abbiamo già detto che lo Stato non ha fatto molto. Si fanno campagne di informazione su una miriade di cose, io non ho mai visto una sola campagna di informazione statale sull’amianto. Se si considera che l’amianto è un cancerogeno dimostrato, tante persone sono morte a causa di questo ed è una grave spesa a carico della collettività, a me sembra che si poteva pure realizzare qualcosa. L’abbandono dei rifiuti deriva dal fatto che non viene dato un adeguato supporto, per i piccoli proprietari potrebbe essere fatto un servizio di raccolta specifico, nell’ambito dell’azienda municipalizzata, i cui operatori potrebbero venire a casa e togliere una tettoia con costi più bassi, visto che si tratterebbe di molti piccoli casi rispetto ad una ditta che deve redigere un piano apposito caso per caso. E poi c’è la mancata conoscenza dei rischi di chi fa queste cose. Nell’operazione di demolizione di una tettoia di pochi metri quadri, a martellate, con frammentazione di materiale, da ogni superficie di rottura escono fibre in gran quantità. In poche ore chi svolge tale operazione in modo così improprio respira le fibre che un operaio che lavora in un ambiente in cui non viene fatta nessuna operazione incauta respirerebbe in un mese, in un anno. Ormai le patologie specifiche, i tumori mortali provocati dall’amianto, si stanno spostando dalle lavorazioni industriale o navale a quelle edili, caratterizzate da maggiore esposizione. Quando ci si trova di fronte a manufatti contenenti amianto, invece di fermare le lavorazioni, in attesa della bonifica, si procede talvolta in maniera rudimentale. Chi prende a martellate un manufatto contente amianto e si espone ad un carico di fibre, non si ammala automaticamente, ma aumenta la sua probabilità di contrarre la malattia. Questa cosa va assolutamente evitata. L’abbandono in campagna di manufatti crea un danno difficilmente riparabile. Nel tempo comincia a frammentarsi, prima o poi diventa polvere, in tal modo incrementiamo l’inquinamento delle nostre città. Mettiamo in circolazione qualche trilione di fibra d’amianto che qualcuno respirerà. Non è che qualcuno morirà automaticamente perché la tettoia è stata lasciata là, ma sicuramente questo contribuisce a peggiorare con un cancerogeno dimostrato la qualità dell’aria e dell’ambiente. Nel caso in cui ci sia un manufatto abbandonato bisogna segnalarlo immediatamente e procedere alle operazioni di messa in sicurezza urgenti, che consistono molto semplicemente nel confinarlo con un telo e possibilmente un incapsulante a spruzzo, dopo di che va smaltito in discarica il più presto possibile. Giuseppe Taneburgo