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Imparare giocando con i robot
Percorsi di apprendimento Enrica Giordano Il laboratorio di robotica Roberto Didoni Costruire e programmare robot Barbara Caci, Antonella D’Amico, Maurizio Cardaci TD 27 TECNOLOGIE DIDATTICHE numero 3-2002 Mitchel Resnick, Robbie Berg, Michael Eisenberg ro Beyond Black Boxes: restituire trasparenza e estetica all’indagine scientifica e m do nu an to oc t es gi bo qu re o in ra i r pa on Im c IMPARARE GIOCANDO CON I ROBOT TECNOLOGIE DIDATTICHE ToyBots. Allevare robot per apprendere a governare un processo evolutivo Orazio Miglino, Henrik H. Lund, Luigi Pagliarini Edith K. Ackermann, Augusto Chioccariello, Stefania Manca, Luigi Sarti Ambienti di gioco programmabili: cos’è possibile per un bambino di quattro anni? Edith K. Ackermann La fabbrica dei robot Imparare giocando con i robot Augusto Chioccariello, Stefania Manca, Luigi Sarti Sped. in abb. post. - 45% - Art 2 comma 20/b Legge 662/96 - Filiale di Chieti - 66100 7,00 euro Costruire giocattoli cibernetici TD27 numero 3-2002 a cura dell’Istituto Tecnologie Didattiche del CNR EDIZIONI MENABÒ TD27 Imparare giocando con i robot 5 Beyond Black Boxes: restituire trasparenza e estetica all’indagine scientifica Mitchel Resnick, Robbie Berg, Michael Eisenberg 21 Percorsi di apprendimento Enrico Giordano 29 Il laboratorio di robotica Roberto Didoni 36 Costruire e programmare robot Barbara Caci, Antonella D’Amico, Maurizio Cardaci 41 ToyBots. Allevare robot per apprendere a governare un processo evolutivo Orazio Miglino, Henrik H. Lund, Luigi Pagliarini 46 Costruire giocattoli cibernetici Edith K. Ackermann, Augusto Chioccariello, Stefania Manca, Luigi Sarti 48 Hanno collaborato al numero 27 di TD Edith K. Ackermann, MIT School of Architecture, USA; Robbie Berg, Wellesley College, USA; Barbara Caci, Università di Palermo; Maurizio Cardaci, Università di Palermo; Giovanna Caviglione, ITD-CNR, Genova; Augusto Chioccariello, ITDCNR, Genova; Antonella D’Amico, Università di Palermo; Roberto Didoni, IRRE Lombardia; Michael Eisenberg, University of Colorado, USA; Maura Geri, Istituto Comprensivo di Lainate, Milano; Enrica Giordano, Università di Milano Bicocca; Henrik H. Lund, University of Southern Denmark, Danimarca; Stefania Manca, ITD-CNR, Genova; Orazio Miglino, Seconda Università di Napoli; Luigi Pagliarini, ISTC-CNR, Roma; Mitchel Resnick, MIT Media Laboratory, USA; Luigi Sarti, ITD-CNR, Genova. Edith K. Ackermann 56 Direttore Vittorio Midoro Direttore responsabile Franco Carlini Comitato di redazione Vittorio Midoro Giorgio Olimpo Donatella Persico Segreteria del Comitato di redazione Stefania Bocconi Francesca Pozzi Coordinamento editoriale Gaetano Basti Comitato scientifico Chris Bell, University of Plymouth, (UK); Peter Brusilovsky, University of Pittsburgh, Pittsburgh PA (USA); Maria Ferraris, Istituto Tecnologie Didattiche, CNR, Genova, (Italia); Juana Sancho, Universitat de Barcelona (Spagna); Elliot Soloway, University of Michigan USA); Alistair Thomson, University of Glasgow, Glasgow (UK). La fabbrica dei robot Augusto Chioccariello, Stefania Manca, Luigi Sarti Edizioni MENABÒ s.r.l. Via F.P. Cespa 102 66026 Ortona/CH Tel. e Fax 085.9064999 1 Abbonamento annuale 20,00 euro (3 numeri) su cc/p 240663 intestato a: Menabò srl Via F.P. Cespa 102 66026 Ortona/CH RUBRICHE 68 TD e disabilità Robot e disabilità: alcuni progetti di ricerca a cura di Augusto Chioccariello 69 I robot LEGO a cura di Augusto Chioccariello, Stefania Manca, Luigi Sarti Redazione di Pescara Piazza Duca D’Aosta, 50 65121 Pescara Tel. 085.4212238 Fax 085.4214210 Illustrazione di copertina Fusako Yusaki Videoimpaginazione MobyDick, Ortona/CH Stampa Poligrafica Mancini, Sambuceto/CH Allestimenti D’Ancona, Cepagatti/PE TD27 In copertina fotografie di Giovanni Crupi e Stefania Manca, rielaborazione al computer di Mirvana Contini Ambienti di gioco programmabili: cos’è possibile per un bambino di quattro anni? TD TECNOLOGIE DIDATTICHE Reg. Trib. di Chieti n. 8 del 25.11.1992 numero 3-2002 numero 3-2002 SOMMARIO Tecnologie Didattiche TD 27 • numero 3-2002 • Editoriale TD27 numero 3-2002 2 Questo numero di TD, dal titolo Imparare giocando con i robot, si pone l’obiettivo di offrire una panoramica di contributi di ricerca e di proposte didattiche sulla valenza ludica ed educativa della robotica. L’orientamento della robotica che riveste particolare interesse per le ricerche sull’apprendimento e le tecnologie didattiche è quel filone che ha sviluppato concetti, metodologie e strumenti tecnologici con lo scopo di indagare la natura dei processi di apprendimento naturali attraverso la realizzazione di creature artificiali che interagiscono in maniera autonoma con l’ambiente. Obiettivo di questo settore non è quello di emulare le caratteristiche dell’intelligenza umana, bensì di realizzare artefatti capaci di inserirsi in un contesto reale con comportamenti autonomi e intenzionali, attingendo a idee e contributi provenienti da discipline quali la cibernetica, l’Intelligenza Artificiale, la biologia, l’informatica, la psicologia, le neuroscienze. Alcune linee di ricerca hanno recentemente esplorato la relazione con il gioco, attraverso le proposte di gare di robot che giocano a calcio (RoboCup), animali (Aibo) o bambole (My Real Baby) cibernetici. L’interesse per gli aspetti ludici è condiviso anche da quei ricercatori provenienti dalle tecnologie didattiche interessati a investigare contesti di apprendimento motivanti e a rileggere la robotica dal punto di vista educativo. Questo settore va sotto il nome di Robotica Educativa e, seppure giovane, vanta già un ricco patrimonio di ricerca, esperienze e proposte curricolari. Già da tempo, infatti, varie istituzioni accademiche sono impegnate nell’elaborazione di ricerche di volta in volta più orientate agli aspetti educativi o tecnologici. Parallelamente, comunità di utenti e sviluppatori sono una realtà consolidata che interagisce con un mercato di prodotti sia a livello hobbistico che propriamente educativo. Questo numero presenta una selezione di studi e proposte didattiche elaborati prevalentemente nel contesto italiano, senza la pretesa di fornire un quadro esaustivo, ma con l’obiettivo di evidenziare i temi principali attorno ai quali si sta incentrando l’interesse della comunità di ricercatori e utenti. Data la complessità degli argomenti affrontati, si ritiene utile fornire al lettore alcune chiavi interpretative allo scopo di evidenziare fili conduttori tematici tra i diversi contributi pro- posti. L’educazione scientifica, la programmazione e la progettazione degli strumenti sono alcuni dei temi che in maniera trasversale consentono di percorrere la fitta trama intessuta dai diversi autori. Per quanto riguarda il primo, quello dell’educazione scientifica, gli autori sono tutti concordi nel sottolineare l’esigenza di innovare l’educazione al metodo scientifico nella scuola, che spesso si limita alla riproduzione degli esperimenti storicamente rilevanti di una specifica disciplina, introducendo elementi di novità sia nell’approccio metodologico da seguire che nel campo degli strumenti usati. I kit robotici permettono di sviluppare attività sperimentali sfruttando la capacità dei robot costruiti di interagire tra di loro e con l’ambiente. Inoltre il loro comportamento, diversamente da quanto accade nelle simulazioni, è soggetto a tutte le “imprecisioni” e “indeterminatezze” tipiche del mondo reale. Ciò apre la strada ad attività di laboratorio sperimentale in cui creatività costruttiva e ripetibilità dei comportamenti siano in un giusto equilibrio. Il contributo di Mitchel Resnick, Robbie Berg e Michael Eisenberg pone l’accento sull’importanza che la costruzione di esperimenti e strumenti personali per l’esplorazione di fenomeni naturali ha ai fini di una conoscenza più profonda della natura dei fenomeni studiati. Attraverso dei dispositivi elettronici completamente programmabili, a cui è possibile collegare una serie di sensori ed attuatori, gli studenti hanno la possibilità di costruire e indagare molteplici ipotesi scientifiche a partire dalla raccolta e analisi di dati rintracciabili in molte situazioni della vita quotidiana. L’invito a coniugare aspetti di funzionalità, operatività e estetica della strumentazione scientifica ha importanti implicazioni soprattutto ai fini di una personalizzazione degli strumenti scientifici e di sostegno a diversi stili di apprendimento. Enrica Giordano, da parte sua, elabora nel proprio articolo una proposta di educazione scientifica che, partendo dalle prime forme di esplorazione del mondo da parte dei bambini, arrivi ad integrarsi nel curriculum scientifico di uno studente universitario. L’autrice si sofferma in modo particolare sull’apprendimento di concetti e procedimenti della fisica in età prescolare, quando i bambini sono attivamente impegnati nella scoperta di un mondo costituito oltre che da oggetti anche da coeta- editoriale editoriale Tecnologie Didattiche TD 27 • numero 3-2002 • Editoriale 3 TD27 programmazione? Quali possono essere i vantaggi educativi e di crescita cognitiva derivanti dal confronto con strumenti concettuali quali “strutture di controllo”, “sequenzialità”, “parallelismo”, creazione di “regole”, e così via? Se la proposta del Logo può essere considerata una realtà, seppur di nicchia, anche in alcune scuole del nostro paese, nuove indicazioni sul ruolo della programmazione incominciano ad emergere. Nell’articolo congiunto di Edith K. Ackermann e Augusto Chioccariello, Stefania Manca, Luigi Sarti, gli autori elaborano alcune riflessioni e proposte sull’esplorazione e programmazione di giocattoli cibernetici per la scuola dell’infanzia. In particolare, il contributo di Ackermann si occupa di analizzare quali aspetti della programmazione, attraverso i possibili significati che questo termine può assumere, possono essere di particolare interesse per i bambini. Si suggerisce di guardare alla programmazione soprattutto come a uno strumento in grado di esplorare concetti relazionali quali “controllo” e “agente”, ma soprattutto in quanto specchio e finestra attraverso cui i bambini possono entrare in relazione o dialogare con oggetti e persone, oltre che con sé stessi nella relazione con interlocutori artificiali. Nella seconda parte Chioccariello, Manca e Sarti sottolineano la possibilità anche per bambini piccoli di comporre dei programmi, a condizione che vengano loro proposti degli ambienti specializzati nella direzione delle caratteristiche del problema da risolvere. L’ambiente di programmazione visivo proposto dagli autori e sperimentato nell’ambito della scuola dell’infanzia privilegia l’immediatezza operativa, il dialogo e la riflessione metacognitiva. Per rendere accessibile la programmazione di robot, viene proposto un modello a regole che mette in relazione gli input dei sensori con le azioni che il robot deve eseguire. Lavorando in gruppo alla manipolazione sullo schermo dei tasselli di un puzzle i bambini possono esplorare comportamenti esistenti (esempi già presenti nell’ambiente), adattarli alle loro necessità, costruirne di nuovi e condividere i risultati con l’intera classe. La ricerca raccontata nell’articolo di Barbara Caci, Antonella D’Amico e Maurizio Cardaci è stata finalizzata alla definizione di una metodologia di valutazione delle abilità cognitive richieste nella costruzione e programmazione numero 3-2002 nei e adulti. Viene proposto un percorso di lavoro sul movimento che parte dalla scuola dell’infanzia e si sviluppa lungo l’arco della scuola dell’obbligo, coniugando attività sperimentali di tipo tradizionale, microcomputer based laboratory e robotica. Attraverso la costruzione ed interazione con robot dotati di “sensorialità” è possibile, ad esempio, interrogarsi sulla relazione tra i nostri canali percettivo, visivo e tattile e la funzione motoria nella gestione dello spazio nel quale ci muoviamo. L’articolo di Roberto Didoni si pone, invece, l’obiettivo di fornire alcune indicazioni di tipo progettuale per l’allestimento di un laboratorio di robotica nella scuola dell’obbligo. Vengono avanzate una serie di riflessioni che vanno da considerazioni di tipo logistico e strumentale, alla proposta di tipologie di attività di laboratorio che facciano leva su aspetti di modularità, fino ad approdare al valore didattico e educativo che può rivestire la progettazione e realizzazione di gare di robot. Queste si rivelano particolarmente interessanti per realizzare un modello di apprendimento innovativo basato sul concetto di comunità, coinvolgendo aspetti sia di collaborazione nelle fasi progettuali e di realizzazione che di competizione tra gruppi di studenti coinvolti. L’ultimo contributo sul tema dell’educazione scientifica è quello di Orazio Miglino, Henrik H. Lund e Luigi Pagliarini che, mettendo in risalto un approccio all’educazione scientifica basato sui principi della Robotica Evolutiva, si propone di sviluppare robot traendo ispirazione diretta dalle teorie dell’evoluzione biologica. L’ambiente di simulazione presentato consente agli studenti di allevare, addestrare e selezionare popolazioni di robot in grado di esprimere i comportamenti più adatti a determinate condizioni ambientali. Ciò consente di entrare direttamente in un processo e di contribuire a governarlo. Piccole popolazioni di robot vengono sottoposte ad un processo di evoluzione artificiale al fine di adattarsi a qualche particolare ambiente di vita, attraverso l’integrazione dell’ambiente di simulazione con l’esecuzione dei comportamenti nel mondo dei robot fisici. Il secondo tema trasversale, quello della programmazione, investe un settore che diventa denso di interrogativi soprattutto quando viene istanziato in una proposta educativa per i bambini. Perché invitare i bambini e i ragazzi più piccoli a cimentarsi con il compito della Tecnologie Didattiche TD 27 • numero 3-2002 • Editoriale TD27 numero 3-2002 4 comportamentale di robot. Una prima sperimentazione ha coinvolto un gruppo di studenti di scuola media inferiore. La metodologia adottata ha compreso tre fasi principali: 1) valutazione del profilo cognitivo di ciascun soggetto; 2) costruzione del robot; 3) programmazione comportamentale del robot. I test cognitivi usati hanno evidenziato una correlazione tra abilità senso-motorie e visuo-costruttive, processi di ragionamento logico e abilità costruttive e di programmazione. Il terzo contributo sul tema della programmazione affronta questa problematica da una prospettiva originale. Orazio Miglino, Henrik H. Lund e Luigi Pagliarini propongono un approccio alla programmazione basato sulla simulazione dei processi di allevamento e addestramento di una popolazione di robot. Le tecniche di programmazione evolutiva spostano la definizione del comportamento di un robot dalla scrittura di un codice alla selezione e controllo dell’evoluzione di quei robot che meglio si adattano al compito. Attraverso la manipolazione sullo schermo del computer dei parametri che soggiacciono a certe condizioni ambientali e ai comportamenti reattivi degli organismi coinvolti, gli utenti hanno l’opportunità di governare e controllare alcuni processi di evoluzione biologica in scala temporale ridotta, con un notevole vantaggio in termini di completezza dei processi coinvolti. Il terzo e ultimo tema riguarda l’importanza della progettazione degli strumenti, soprattutto attraverso il ruolo che la relazione tra design e funzionalità riveste ai fini di una esplorazione delle loro potenzialità. Rendere “trasparenti” gli strumenti significa soprattutto definire la loro granularità, ossia il livello di dettaglio con cui gli elementi funzionali dello strumento si possono scomporre e ricomporre per ottenere strutture che assolvono a determinati compiti. Granularità, struttura e compito sono legati in una relazione complessa: dato un compito, si possono individuare strumenti specializzati con poche componenti (granularità grossa) integrate in una struttura isomorfa al compito: se capisco il compito, capisco la struttura dello strumento. Strumenti generici, d’altro canto, sono costituiti da un gran numero di componenti (granularità fine), in grado di affrontare un’ampia gamma di compiti e con una struttura articolata tra le componenti ma spesso lontana dal dominio, risultando così più difficili da comprendere. La mediazione tra questi due estremi connota lo specifico approccio adottato dal progettista nella definizione di uno strumento, che può, ad esempio, privilegiare gli aspetti di genericità o quelli di specializzazione e quindi definire la granularità delle componenti. I due contributi che affrontano questa problematica sono dedicati a fornire delle proposte e soluzioni, anche tecnologiche, che privilegiano l’autonomia esplorativa e costruttiva degli utenti. Gli autori sono concordi nel sottolineare l’importanza di sostenere le potenzialità creative dei bambini anche attraverso l’adozione di materiali non prettamente tecnologici, nell’ottica di combinare gli aspetti di funzionalità, operatività e estetica. Gli strumenti proposti, specializzati per la costruzione di robot, sono direttamente programmabili dagli utenti che ne possono così definire i comportamenti. La proposta tecnologica di Mitchel Resnick, Robbie Berg e Michael Eisenberg consiste di piccoli dispositivi elettronici portatili e programmabili per la costruzione di strumenti scientifici. Questi dispositivi si possono combinare con un vasto insieme di materiali, anche di normale uso quotidiano, che consentono di recuperare la componente estetica nella progettazione degli strumenti scientifici. Le loro piccole dimensioni favoriscono la creazione di strumenti mobili e collocabili nelle più svariate situazioni ambientali. Il basso costo ne consente un uso intensivo e quotidiano. Infine, la programmabilità permette di combinare attività di rilevamento dati con il controllo dei dispositivi di output. Il contributo di Augusto Chioccariello, Stefania Manca e Luigi Sarti si pone il problema di riprogettare un kit di costruzioni cibernetiche originariamente realizzato per ragazzi affinché diventi una proposta educativa per bambini piccoli. Quali aspetti legati alle modifiche estetico-funzionali delle componenti hardware e all’ambiente di programmazione vanno riconsiderati? Ampliare l’insieme delle funzioni assolvibili dal robot, ridurre la complessità meccanica degli artefatti e ridefinire l’ambiente di programmazione come fortemente orientato alle esigenze che emergono nei diversi contesti costruttivi: queste sono state alcune delle proposte formulate nell’ambito della ricerca raccontata. Augusto Chioccariello, Stefania Manca, Luigi Sarti editoriale 1 restituire trasparenza e estetica all’indagine scientifica Costruire esperimenti e strumenti per l’esplorazione di fenomeni della vita quotidiana ■ Mitchel Resnick, MIT Media Laboratory, USA [email protected] ■ Robbie Berg, Wellesley College, USA [email protected] ■ Michael Eisenberg, University of Colorado, USA [email protected] Beyond Black Boxes: restituire trasparenza e estetica all’indagine scientifica Beyond Black Boxes : “La scienza, qualsivoglia siano i suoi ultimi sviluppi, ha le sue origini nelle tecniche, nelle arti e mestieri… La scienza emerge nel contatto con le cose, dipende dall’evidenza dei sensi, e per quanto sembri allontanarsi da essi sempre ad essi deve tornare.” [Farrington, 1949] 5 1 “Oltre le scatole nere” (N.d.T.). TD27 ganza e la bellezza negli oggetti materiali del lavoro scientifico. Testimonianze di questa tradizione estetica sono reperibili nei musei e negli archivi, in scritti, disegni e strumenti arrivati sino a noi dagli scienziati del passato. Per esempio, gli orologi di John Harrison hanno rappresentato sia un progresso rivoluzionario nella progettazione strumentale che meravigliose opere d’arte funzionale dalla decorazione complessa [Sobel, 1995]. L’osservatorio di Tycho Brahe era un laboratorio e una esposizione di begli strumenti allo stesso tempo [Rider, 1983: pp. 52-3]. E ancora, negli annali dell’informatica, le macchine da calcolo di Pascal e Leibniz, così come il “motore analitico” del diciannovesimo secolo di Charles Babbage (ricostruito al Museo della Scienza di Londra), esibiscono la loro varietà di bellezze meccaniche. Gli strumenti ottici, quelli per la navigazione e la vetreria usati dagli scienziati del diciottesimo e del diciannovesimo secolo oggi ci colpiscono per la loro funzionalità e gradevolezza; anche la tradizione storica dell’illustrazione scientifica (come esemplificata nei disegni di Audubon) unisce la precisione alla bellezza (per esempio, [Turner, 1980; Daumas, 1972; Ford, 1993]). numero 3-2002 INTRODUZIONE La scienza è generalmente considerata un’attività “cognitiva”, una disciplina della mente. Tuttavia, esiste una tradizione più fisica e tattile nella scienza, una tradizione nella quale gli scienziati non si limitano a misurare e teorizzare, ma costruiscono anche gli strumenti per farlo. Infatti, molte delle grandi e importanti scoperte scientifiche della storia si basano su una combinazione di scienza, ingegneria e progettazione. La costruzione di Galileo del suo cannocchiale (come da lui stesso descritta [1610]), il progetto della pompa ad aria di Boyle e Hooke per esperimenti con la bassa pressione [Shapin, 1996], la costruzione di uno strumento per la misurazione delle maree da parte di Kelvin [MacDonald, 1964], sono esempi della tradizione scientifica. Attraverso la costruzione degli strumenti - e la comprensione delle loro possibilità e dei loro limiti - gli scienziati hanno storicamente raggiunto una conoscenza più profonda della natura dei fenomeni studiati. I meriti della tradizione legata alla costruzione degli strumenti vanno oltre le necessità immediate della ricerca. Infatti, un elemento di quella tradizione è una filosofia di progettazione che metta in evidenza l’ele- Beyond Black Boxes: restituire trasparenza e estetica all’indagine scientifica TD27 numero 3-2002 6 Le tradizioni estetiche e di costruzione di strumenti delle discipline scientifiche si sono forse attenuate in questi anni, in parte per buone ragioni. La scienza non è più la provincia del singolo aristocratico e la progettazione di uno strumento scientifico (come di altre cose in questo secolo) è sempre più una questione di produzione di massa. Mentre la democratizzazione della scienza è un fatto positivo, il declino dell’“artigianato scientifico” è un fenomeno più problematico. Secondo alcuni scienziati, l’esperienza (e forse anche la qualità) della ricerca soffre quando il ricercatore perde il contatto fisico stretto con gli strumenti e i materiali del suo mestiere. Scrive Pierre-Gilles de Gennes (Nobel per la fisica): “Nella Francia rurale di un tempo, i bambini erano in contatto quotidiano con la natura e con il mondo degli artigiani, e ciò sviluppava in loro il senso di osservazione e del lavoro manuale… L’accesso all’informatica è una necessità, ma se ci accontentiamo di far sedere le giovani generazioni davanti a un computer (cosa che a loro piace) rischiamo di perdere qualcosa di prezioso. Formare una generazione in grado soltanto di usare una tastiera e produrre dei documenti è, secondo me, una prospettiva allarmante.” [de Gennes, 1996: p. 149] E vi sono problemi ancor più sottili. Con il tempo il laboratorio scientifico potrebbe essere tristemente diventato un ambiente meno bello dove lavorare è meno magico agli occhi di uno studente o di un giovane ricercatore. Lo studente delle facoltà scientifiche di oggi difficilmente trae un senso di confort e piacere dall’ambiente che lo circonda; e, come osserva Csikszentmihalyi (1996), l’impresa creativa (scientifica o artistica) è spesso molto influenzata da tali fattori ambientali: “Anche la mente più astratta è influenzata da ciò che circonda il suo corpo. Nessuno è immune dalle impressioni che colpiscono i nostri sensi dall’esterno. Gli individui creativi sembrano trascurare l’ambiente e lavorare felicemente anche nei contesti più tristi… In realtà, invece, il contesto spazio-temporale in cui le persone creative vivono ha conseguenze che spesso passano inosservate.” (p. 127) Il potere e al tempo stesso il limite degli strumenti scientifici moderni sono rispecchiati nel termine “scatola nera”, che è comunemente usato per descrivere le apparecchiature. Le “scatole nere” di oggi sono altamente efficienti nelle misurazioni e nella raccolta di dati e consentono anche ai principianti di svolgere esperimenti scientifici avanzati. Allo stesso tempo, queste scatole nere sono “opache” (in quanto il loro funzionamento interno è spesso nascosto e quindi scarsamente compreso da chi li usa) e sono di aspetto insignificante (ciò rende difficile per l’utente provare un senso di relazione personale con l’attività scientifica). Come suggerisce la citazione di de Gennes, l’elettronica digitale e le tecnologie informatiche hanno accelerato questa tendenza, riempiendo i laboratori scientifici e le classi scolastiche di scatole nere sempre più opache. La maggior parte degli strumenti scientifici odierni è costituita da poco più che piastre e circuiti integrati. Anche se aprissero le scatole e le esaminassero, la maggior parte degli studenti (e anche molti scienziati) capirebbero molto poco del funzionamento dello strumento. Paradossalmente, le stesse tecnologie elettroniche che hanno contribuito a rendere la scienza una scatola nera possono essere usate anche per reintrodurre nella progettazione di strumenti scientifici una dimensione personale vigorosamente creativa ed estetica, in particolare nell’insegnamento scientifico. Questo articolo descrive due anni di lavoro, svolto nell’ambito del progetto “Beyond Black Boxes” (BBB), incentrato sullo sviluppo di nuovi strumenti di calcolo e materiali di progettazione che consentano ai bambini (e a studenti più grandi) di creare, modificare e personalizzare i loro strumenti scientifici. I nostri strumenti e materiali fanno uso di apparecchi elettronici minuscoli e completamente programmabili chiamati Cricket, che gli studenti possono incorporare in (o collegare a) oggetti di uso quotidiano. I Cricket possono controllare motori e luci, ricevere informazioni da sensori e comunicare fra di loro tramite raggi infrarossi. Poiché i Cricket sono computer per scopi generali, gli studenti possono riprogrammarli per usarli in una vasta gamma di strumenti fatti in casa; poiché sono piccoli e portatili, solidi e capaci di comunicare fra di loro, gli studenti possono usarli in modi nuovi e originali. I Cricket quindi, da un lato, espandono il paesaggio tradizionale della progettazione informale di strumenti e, dall’altra, intensificano il rapporto individuale fra l’utente e lo strumento, rendendo possibile intrecciare l’indagine scientifica con gli artefatti progettati personalmente (o dal significato personale) e con le attività quotidiane. Il resto di questo lavoro descrive i modi in Beyond Black Boxes: restituire trasparenza e estetica all’indagine scientifica 7 TD27 RICERCHE COLLEGATE La nostra ricerca è stata influenzata e si ispira a diverse tradizioni dell’educazione scientifica. Da un lato, esiste una lunga e rispettabile tradizione di “scienza fatta in casa” con libri e materiali didattici che suggeriscono esperimenti e progetti che gli studenti possono intraprendere con materiali facilmente reperibili [Diehn e Krautwurst, 1994; Doherty e Rathjen, 1991; Hann, 1979]. Collegata alla tradizione della scienza fatta in casa c’è una letteratura fondamentale (soprattutto britannica) di “educazione alla progettazione”, in cui progetti di classe a livello di scuola elementare hanno come scopo la creazione di dispositivi, macchine, modelli tangibili, ecc. (per esempio, [Banks, 1994; Kolodner et al, 1998; Ritchie, 1995; Williams e Jinks, 1985]). Un altro filone di lavoro prevede attività di Microcomputer Based Laboratory (MBL), dove software e strumentazione scientifica si fondono per arricchire e automatizzare una serie di progetti scientifici di classe [Tinker, 1996]. Infine, siamo stati fortemente influenzati da una tradizione di lavoro di programmazione per bambini (e in generale dalla programmazione per l’utente finale), esemplificata dal lavoro cresciuto attorno al linguaggio Logo e ai suoi discendenti [Papert, 1980]. Il nostro lavoro è stato influenzato dalle idee provenienti da tutte queste fonti, ma allo stesso tempo esibisce una combinazione di caratteristiche che contrastano con ciascuna di queste tradizioni singolarmente intese. • L’approccio costruzionista. Nella gran parte delle attività MBL gli studenti usano strumenti precostruiti; allo stesso modo, molti libri di “scienza fatta in casa” utilizzano prevalentemente dimostrazioni ed esperimenti già progettati. Le attività relative al progetto BBB si basano su un approccio diverso, nel quale gli studenti sono incoraggiati a costruire e programmare gli strumenti che usano e a progettare i loro esperimenti. Secondo noi questo approccio costruzionista [Papert, 1993] approfondisce la comprensione che gli studenti hanno dei concetti scientifici alla base delle loro attività. Ciò riecheggia nell’affermazione di Larkin e Chabay (1989) riferita all’educazione scientifica, secondo la quale “è bene lasciare che gran parte di questa istruzione avvenga attraverso il lavoro attivo su compiti” (p. 161); allo stesso modo Berger (1994), nel suo avvincente volume sulla Westinghouse Science Talent Search, osserva che “troppe scuole si accontentano di passare il loro tempo impartendo lezioni di biologia e di chimica sulla base di programmi standard. Al contrario, la parte divertente della scienza è proprio la ricerca, quella parte che permette la conoscenza e la meraviglia” (p. 235). • La scienza del mondo reale. Tradizionalmente molta parte del lavoro che riguarda l’attività di programmazione per bambini nell’educazione scientifica si è indirizzata alla simulazione dei processi naturali. Questo uso del computer ha un fascino ovvio: attraverso la programmazione di simulazioni, gli studenti (e i ricercatori) possono esplorare fenomeni altrimenti difficili o impossibili da vedere nel mondo reale, fenomeni che coinvolgono condizioni idealizzate (per esempio, l’assenza di attrito), che hanno luogo su scala molto vasta o molto ridotta o durante periodi di tempo molto lunghi. La simulazione tuttavia, per quanto utile, è solo una parte dell’educazione scientifica. In ultima analisi, la scienza è un’attività rivolta alla comprensione del mondo materiale; pertanto, le ricerche che riguardano i fenomeni del mondo reale sono cruciali per lo sviluppo della comprensione scientifica e degli interessi scientifici degli studenti. Le attività relative al progetto BBB sono, quindi, intese a espandere lo scenario di programmazione per bambini da un’attenzione esclusiva sulla simulazione a un coinvolgimento più profondo con il mondo tangibile fuori dallo schermo del computer. • La combinazione del rilevamento dati e il controllo. Nella maggior parte delle attività MBL, gli studenti raccolgono e ana- numero 3-2002 cui questa nuova tecnologia può migliorare la dimensione creativa, estetica e personale dell’indagine scientifica condotta dagli studenti. Nella sezione che segue collochiamo il nostro lavoro nel contesto delle tradizioni ad esso collegate. La terza sezione fornisce una breve introduzione ai Cricket ed alle tecnologie relative. La quarta - il cuore di questo articolo - descrive diverse esperienze di studenti coinvolti nella creazione, abbellimento o personalizzazione di strumenti scientifici. Nella quinta ed ultima sezione riflettiamo su queste esperienze, rilevando sia gli aspetti positivi che quelli negativi; più in generale, tratteremo di ciò che ha e di ciò che non ha “funzionato” nei nostri sforzi di andare oltre le scatole nere nell’educazione scientifica. Beyond Black Boxes: restituire trasparenza e estetica all’indagine scientifica TD27 numero 3-2002 8 lizzano dati provenienti da sensori. Con ciò si fa un passo avanti: gli studenti usano i dati provenienti dai sensori per controllare le azioni dei motori, delle luci e di altri apparecchi elettronici. Allo stesso modo, la combinazione di sensori e attuatori all’interno di strumenti scientifici rappresenta un passo avanti rispetto alla maggior parte del lavoro sull’educazione alla progettazione e rispetto alle tradizioni legate alla scienza fatta in casa: la prima spesso si concentra nella costruzione di artefatti statici o meccanici, mentre la seconda spesso si affida a materiale a “bassa tecnologia” per l’esplorazione scientifica informale. • La programmabilità. Diversamente dalla maggior parte delle attrezzature MBL, i Cricket sono completamente programmabili e consentono allo studente di modificare facilmente, adattare ed estendere la funzionalità degli strumenti che costruisce. • La mobilità. Le piccole dimensioni dei Cricket rendono possibile agli studenti la creazione di strumenti scientifici che possono portare con sé, distribuire in località remote o anche incorporare in altri oggetti. • Basso costo. Il costo contenuto dei Cricket cambia profondamente il tipo di indagini possibili. Gli studenti possono mettere a “rischio” gli strumenti costruiti con i Cricket, posizionandoli in ambienti pericolosi senza preoccuparsi se alcuni di essi si perdono o vengono danneggiati. La mobilità e la relativa accessibilità dei Cricket possono, secondo noi, provocare un’inversione di rotta nelle assunzioni alla base delle tradizioni della “scienza fatta in casa” e dell’educazione alla progettazione, spostandole verso una combinazione più potente di mezzi artigianali e informatici. In sintesi, ci sembra che i Cricket (e i loro discendenti informatici) possano ottenere lo status di oggetti del nostro quotidiano - parte dell’insieme eterogeneo di materiali che ora include la plastica, i cavi, il cartone, i tessuti elastici e altri materiali moderni seppure banali. • “Apprendimento nell’arco della giornata”. Molte delle attività tradizionali MBL riguardano esperimenti che gli studenti vedono come immotivati e decontestualizzati. La nostra intenzione è, invece, quella di aiutarli a sviluppare indagini che si inseriscano nelle loro attività quotidiane e che, in molti casi, prevedano raccolte di dati su periodi di tempo molto lunghi. L’obiettivo è quello di allontanarsi dall’apprendimento in classe passando ad un apprendimento “lungo l’arco della giornata”; le piccole dimensioni dei Cricket (unite alla loro capacità di immagazzinare dati raccolti nel tempo) facilitano questo passaggio. • Varietà di materiali. Tipicamente, le attività del progetto BBB implicano l’uso di una vasta gamma di materiali: elettronica, legno, carta, mattoncini LEGO, gommapiuma e molti altri. Da questo punto di vista, le attività del progetto BBB hanno in comune con la “scienza fatta in casa” una pratica di uso creativo di tutti i tipi di oggetti e di risorse. Quindi, noi non ci limitiamo all’uso dei Cricket nel contesto di kit di costruzione più grandi già esistenti, del tipo LEGO, Meccano o Fischer-Technik, ecc.; per quanto magnifici e versatili, vediamo questi kit come una parte (importante) di un mondo più vasto e più vario di materiali da costruzione. L’uso di un’ampia varietà di materiali aiuta anche a mettere a fuoco l’estetica della progettazione. • Estetica della progettazione. La maggior parte delle attività MBL e di “scienza fatta in casa” prestano poca o nessuna attenzione all’estetica della strumentazione o ai modi in cui gli strumenti sono integrati nel contesto; e nei pochi casi in cui le attività di “scienza fatta in casa” si occupano dell’estetica tendono a farlo sottolineando la pratica della decorazione a posteriori (per esempio, dipingendo l’esterno di un telescopio domestico dopo che lo strumento è stato costruito). Mentre lo sviluppo di una tassonomia dei modi in cui gli strumenti scientifici e l’arte possono integrarsi va oltre gli obiettivi di questa ricerca, la versatilità dei Cricket (specialmente in associazione con i vari materiali da costruzione sopra citati) si presta a una rivisitazione ragionata dell’estetica della progettazione scientifica. Uno strumento scientifico potrebbe essere un telescopio decorato in modo attraente; o potrebbe essere progettato per inserirsi in modo armonico in un giardino o in altri contesti naturali; o potrebbe essere inserito in un indumento; o potrebbe anche essere progettato primariamente come una creazione artistica - cioè un oggetto il cui uso scientifico è complementare o incidentale rispetto allo scopo artistico. In ogni caso, dovremmo aspettarci che allorché le indagini scientifiche si prolungano nel tempo e si inseriscono nelle attività quotidiane l’e- Beyond Black Boxes: restituire trasparenza e estetica all’indagine scientifica stetica diventi sempre più importante, se non altro perché gli strumenti scientifici diventano parte di ambienti più “vissuti”. Di conseguenza, i progetti BBB sono spesso progettati con un occhio alla decorazione, all’esplorazione artistica, alla bizzarria, in linea con le osservazioni di Csikszentmihalyi sopra citate. figura 1 Un Cricket mostrato accanto ad un LEGO per mettere in evidenza le dimensioni. 9 TD27 idonee per riconciliare considerazioni estetiche e strumenti scientifici, in quanto consentono la separazione della forma di uno strumento dalla sua funzione. In passato, la funzione di uno strumento era direttamente legata alla sua forma fisica. Per esempio, la funzione di un martello è strettamente legata alla sua forma e ai materiali. Con la tecnologia elettronica si allenta il legame fra forma e funzione. Il software in un Cricket può avere un ruolo maggiore nel determinare la funzione dello strumento piuttosto che quella della sua forma fisica o dei suoi materiali. Non più ostaggi dei vincoli funzionali, le forme degli oggetti possono ora essere usate specificamente per la comunicazione e l’espressione. Naturalmente i Cricket sono solo una delle componenti dei kit da costruzione disponibili nei progetti BBB. Molti di questi progetti usano materiali LEGO (che includono non solo i tradizionali mattoncini, ma anche ingranaggi, ruote e motori) per costruire strutture e meccanismi. Forniamo una serie di sensori diversi che permettono agli utenti di monitorare qualsiasi cosa, dalla temperatura e la luce, al battito cardiaco e alla risposta galvanica della pelle. Abbiamo sviluppato anche una raccolta di nuovi strumenti di output (oltre ai motori e alle luci), come i display numerici e i “mattoncini musicali” per generare effetti sonori. I materiali artistici sono altrettanto importanti di questi strumenti ad alta tecnologia. Quando organizziamo attività BBB ci accertiamo che sia fornita una vasta gamma di materiali artistici e artigianali, inclusi oggetti di uso quotidiano numero 3-2002 INFRASTRUTTURA TECNOLOGICA Per aiutare gli studenti nell’attività di progettazione e costruzione dei loro strumenti scientifici era necessaria una nuova tecnologia. Nell’ambito del progetto “Beyond Black Boxes”, abbiamo sviluppato una nuova famiglia di piccoli apparecchi elettronici chiamati Cricket [figura 1]. I Cricket sono simili ai mattoncini programmabili LEGO a suo tempo sviluppati al MIT Media Lab [Martin, 1994; Sargent et al, 1996], ma sono molto più piccoli e leggeri (il prototipo attuale ha le dimensioni di una batteria da 9 volt) e hanno capacità comunicative migliorate. I Cricket possono controllare motori, ricevere informazioni da sensori e comunicare fra di loro (e con altri apparecchi elettronici) attraverso raggi infrarossi [Resnick et al, 1998]. La cosa più importante è che i Cricket sono completamente programmabili: gli studenti possono scrivere e scaricare programmi dentro i Cricket da un computer. Abbiamo esteso il nostro lavoro su ambienti di programmazione Logo per rendere ancora più semplice la scrittura (e la comprensione) di programmi orientati al controllo e al rilevamento dati. Allo stesso tempo, abbiamo reso questi strumenti di programmazione compatibili con le “componenti” software per la visualizzazione grafica e l’analisi dei dati in modo che gli studenti possano facilmente evidenziare tendenze e schemi ricorrenti nei dati che raccolgono con i Cricket. Le piccole dimensioni dei Cricket rendono possibili nuovi tipi di applicazioni. Gli studenti possono incorporare i Cricket in oggetti di uso quotidiano, per esempio un Cricket con un accelerometro può essere incorporato in una palla, oppure un Cricket ed un sensore di temperatura possono essere intessuti nella stoffa di una camicetta. Il basso costo (meno di $30 la versione corrente) e le capacità di comunicazione dei Cricket permettono di ipotizzare nuove applicazioni in cui decine di Cricket interagiscono fra di loro. Pensiamo che le tecnologie informatiche (del tipo Cricket) siano particolarmente Beyond Black Boxes: restituire trasparenza e estetica all’indagine scientifica come scovolini, bastoncini per ghiaccioli, batuffoli di cotone. Questo miscuglio di strumenti ad alta tecnologia e di materiali artistici rende possibili esplorazioni e indagini precise e contemporaneamente favorisce lo spirito creativo, l’esuberanza, lo humour, l’eleganza e l’espressione personale. STUDIO DI CASI Abbiamo sperimentato le nostre tecnologie e attività BBB in diversi contesti educativi, non solo nelle classi tradizionali ma anche nei centri educativi extra-scolastici per i giovani dei centri urbani. Abbiamo lavorato con allievi di diverse età, dai bambini delle scuole elementari agli studenti universitari. In questa sezione presentiamo quattro progetti. La scelta di questi casi non intende essere rappresentativa di tutta la gamma dei progetti sviluppati. Piuttosto, intendono fornire un campione rappresentativo di come e che cosa imparano gli studenti quando sono impegnati nella progettazione dei loro strumenti scientifici e delle loro ricerche. Mangiatoia per uccelli Jenny ha undici anni e le piacciono gli animali. Nel suo cortile ha una mangiatoia per uccelli sempre fornita per nutrire gli uccelli che passano da lì. Ha però un problema: gli uccelli arrivano quando lei è a scuola e quindi spesso non riesce a vederli. Sennonché fa conoscenza con i Cricket durante il laboratorio “Costruiscilo da te” (organizzato in un centro educativo da John Galinato) e decide di provare a costruire un nuovo tipo di mangiatoia per uccelli che raccolga dati sugli uccelli che scendono a nutrirsi. Jenny inizia costruendo una leva di legno 10 figura 2 TD27 numero 3-2002 La mangiatoia per uccelli di Jenny. che serva anche da posatoio per gli uccelli [figura 2]. Il braccio lungo della leva si trova vicino a un contenitore con il cibo per gli uccelli. All’altro estremo della leva Jenny attacca un semplice sensore di contatto fatto in casa che consiste di due graffette da carta. Ecco l’idea di Jenny: quando un uccello scende vicino al cibo abbassa una estremità della leva causando una lieve apertura delle graffette poste all’altra estremità. Jenny collega le graffette ad una delle porte per i sensori poste sul Cricket, in modo che quest’ultimo possa verificare se le graffette sono in contatto fra di loro. Ma che cosa dovrebbe fare la mangiatoia per uccelli quando un uccello si posa su di essa? Come minimo Jenny vuole tener traccia del numero di uccelli. Pensa anche alla possibilità di pesarli. Poi decide che sarebbe più interessante fotografarli. Incomincia così ad esaminare i modi in cui potrebbe collegare una macchina fotografica alla mangiatoia per uccelli. Costruisce un meccanismo LEGO motorizzato che muove un bastoncino su e giù. Monta il meccanismo in modo che il bastoncino si trovi direttamente sopra il pulsante dell’otturatore della macchina fotografica. Infine, Jenny collega il meccanismo ad un Cricket e scrive un programma per il Cricket. Il programma aspetta che le due graffette non si tocchino più (indicando che un uccello è arrivato) e accende il meccanismo LEGO motorizzato che fa sollevare il bastoncino in su e in giù, premendo così il pulsante dell’otturatore. Alla fine della giornata tutti gli uccelli che sono scesi presso la mangiatoia dovrebbero risultare fotografati. Jenny ha lavorato al suo progetto per molte ore ogni settimana durante il corso di tre mesi. Alla fine sia il sensore che il meccanismo funzionavano alla perfezione. Ma quando, infine, montò la mangiatoia per uccelli sulla finestra della sua casa ottenne foto di scoiattoli (e della sorella minore), ma non degli uccelli. Jenny non riuscì mai ad attuare il suo piano e cioè a monitorare che tipo di uccelli sarebbero stati attratti dal tipo di cibo fornito. L’attività di costruzione della mangiatoia, tuttavia, fornì una vasta raccolta di esperienze di apprendimento. Nei progetti BBB la scienza e la tecnologia possono interagire in due modi. La connessione più ovvia è il modo in cui gli studenti usano gli strumenti tecnologici per fare misurazioni scientifiche, come nel caso del progetto di Jenny (mai concluso) in cui la mangiatoia doveva servire a monitorare l’attività degli Beyond Black Boxes: restituire trasparenza e estetica all’indagine scientifica studenti “inciampassero” in modo naturale in alcuni concetti (evitando di essere distratti da altri) mentre lavoravano ai progetti. Le scatole nere non sono intrinsecamente un male; la sfida è quella di trovare il livello giusto per il loro uso, nascondendo dettagli non necessari e valorizzando concetti chiave. Per esempio, mentre il circuito elettronico del Cricket resta nascosto, Jenny può controllare direttamente le regole che presiedono al funzionamento della mangiatoia per uccelli. Durante lo svolgimento del progetto, ha apportato continue modifiche ai programmi Logo del Cricket tese ad estendere le funzionalità della mangiatoia. Dopo aver ultimato la prima versione della mangiatoia, Jenny aveva individuato un problema: se l’uccello saltellasse sul posatoio, la mangiatoia scatterebbe una serie di foto dello stesso animale. Jenny aggiunse un’istruzione di “attesa” al suo programma in modo che questo facesse una pausa per un attimo dopo aver scattato la foto, evitando così il problema del “doppio salto”. L’abilità di modificare ed estendere il suo progetto ha fatto sì che Jenny sviluppasse un profondo senso di coinvolgimento personale e di possesso. Ciò l’ha condotta ad una attività di confronto fra il suo progetto di mangiatoia per uccelli e altri progetti legati alle scienze a cui aveva lavorato a scuola. «Questo è risultato forse più interessante in quanto avevi la sensazione di fare un test per qualcosa di molto più complicato che non l’attività di mescolare una polvere ad un liquido», ci spiega Jenny. «Era più una cosa del tipo: quanti uccelli hai registrato con la macchina che tu hai costruito con questa cosa complessa che dovevi programmare e “riempire”» (l’enfasi è sua). 11 2 Definiamo “trasparente” un oggetto i cui meccanismi interni possono essere facilmente visti e capiti. Ironicamente, alcuni hanno cominciato di recente ad usare la parola “trasparente” con un significato quasi opposto e cioè riferita ad oggetti così semplici da usare che non richiedono neppure di pensare ai loro meccanismi interni. TD27 La passeggiata al cioccolato Abbiamo sviluppato una serie di attività preparatorie per introdurre gli studenti alle idee che stanno alla base del progetto BBB. Una delle più riuscite e popolari è conosciuta come la “passeggiata al cioccolato”. Questa attività è stata sviluppata per un workshop tenuto in febbraio con un gruppo di allieve della quinta elementare presso il Computer Clubhouse del centro scout per ragazze “Patriot Trail” di Boston. Ad ogni ragazza veniva consegnato un Cricket con un sensore di temperatura e veniva mostrato un programma per registrare i dati della temperatura a intervalli regolari. Mentre andavamo a piedi verso un negozio di ciambelle le ragazze avevano con sé i Cricket e i sensori. Alcune li avevano attac- numero 3-2002 uccelli. Forse meno ovvio, ma ugualmente importante, è il modo in cui gli studenti usano le conoscenze scientifiche per costruire i loro strumenti tecnologici. Nel caso della mangiatoia per uccelli, Jenny doveva sperimentare diversi progetti di leva per ottenere l’ampiezza di movimento necessaria ad azionare il sensore di contatto fatto con le graffette da carta. Jenny si è anche cimentata con il posizionamento della sua macchina fotografica, provandola a diverse distanze dal posatoio nel tentativo di ottimizzare la messa a fuoco delle foto. Attraverso l’attività di costruzione della mangiatoia Jenny ha, quindi, avuto la possibilità di mettere in pratica concetti scientifici in un contesto significativo e motivante. La natura trasparente2 della mangiatoia per uccelli ha messo Jenny in stretto contatto con la tecnologia - e con i concetti scientifici ad essa collegati. Consideriamo il sensore di contatto di Jenny. In generale, i sensori di contatto si basano su un concetto molto semplice: misurano l’apertura e la chiusura di un circuito. La gente interagisce continuamente con sensori di contatto (sotto forma di interruttori). Dato però che la maggior parte dei sensori ha l’aspetto di scatole nere, la maggior parte delle persone non capisce il loro funzionamento, e neppure si pone il problema. Nel sensore di Jenny, creato con due semplici graffette da carta, il concetto di chiusura del circuito è visibile. Allo stesso modo, il meccanismo LEGO di Jenny per premere il pulsante dell’otturatore ha contribuito a demistificare il processo di controllo della mangiatoia per uccelli; inviare un segnale a infrarossi dal Cricket che metta in funzione la macchina fotografica sarebbe più semplice in un certo senso, ma anche meno illuminante. Naturalmente, non tutto nella mangiatoia per uccelli di Jenny è trasparente. Il Cricket stesso può essere visto come una scatola nera. Jenny (e come lei altri studenti del progetto BBB) sicuramente non capiscono i meccanismi di funzionamento interno dei Cricket, ma non era questo lo scopo. Mentre progettavamo i kit di costruzione che gli studenti avrebbero usato per creare i loro progetti BBB, avevamo anche deciso esplicitamente di nascondere alcuni processi e meccanismi entro scatole nere e rendere invece visibili e manipolabili altri processi e meccanismi. La scelta di quali caratteristiche nascondere - e di quali evidenziare - era guidata dal nostro desiderio di rendere particolarmente accessibili e salienti agli studenti alcuni concetti. La nostra speranza era che gli Beyond Black Boxes: restituire trasparenza e estetica all’indagine scientifica 12 TD27 numero 3-2002 3 Nel testo originale le temperature sono espresse in gradi Fahrenheit: rispettivamente, 20-30° F e 80-90° F (N.d.T.). cati agli abiti. Altre avevano i sensori in mano e li posarono su diversi oggetti lungo il percorso. Al negozio di ciambelle tutte le ragazze bevvero una cioccolata calda. All’unisono tutte le ragazze posarono i loro sensori di temperatura sulla superficie esterna delle tazze (alcune immersero il sensore dentro la cioccolata calda). Al ritorno al centro scout, le ragazze trasferirono i dati dai Cricket ai computer e costruirono dei grafici dell’andamento temporale della temperatura usando il software apposito. I grafici mostravano la storia della passeggiata al negozio di ciambelle. Le ragazze potevano vedere sui grafici quando avevano lasciato il calore del centro scout ed erano passate alla fredda via cittadina. I grafici delle ragazze che avevano indossato il sensore erano relativamente piatti e privi di tratti distintivi fino al loro arrivo al negozio di ciambelle. I grafici delle ragazze che avevano messo i sensori a contatto di oggetti lungo il percorso presentavano punte e altre variazioni. Tutti i grafici mostravano un aumento della temperatura al momento dell’ingresso nel negozio, poi un’altra punta quando le ragazze avevano accostato i loro sensori alle tazze di cioccolata calda. Dopo aver esaminato i singoli grafici, le ragazze hanno caricato i dati dei Cricket su un computer per poterli sovrapporre. Così facendo, sono riuscite a esaminare in che modo i loro grafici si assomigliassero (per esempio, i picchi relativi alla cioccolata calda avvenivano tutti nelle stesso momento) e in che modo si differenziassero. Attraverso questa attività, le ragazze hanno acquisito alcuni dei concetti cardine della raccolta e dell’analisi dei dati. Ci siamo resi conto che la raccolta dei dati relativi alla temperatura costituisce un approccio particolarmente efficace per introdurre gli studenti a queste idee. I bambini hanno molta esperienza e intuizione in relazione alla temperatura. Crescono ascoltando le temperature alla TV e alla radio e nelle conversazioni quotidiane. Hanno familiarità con i termometri e facilità nella lettura delle diverse temperature, sapendo che se la temperatura è fra –1° C e –7° C bisogna coprirsi e se è fra +27° C e +32° C si può andare al mare3. Queste intuizioni ben sviluppate mettono gli studenti in buona posizione per poter valutare la ragionevolezza dei dati che raccolgono e di cui fanno il grafico, diversamente da molti altri esperimenti in classe in cui gli studenti partono da intuizioni relativamente deboli sui dati che stanno raccogliendo. Naturalmente non siamo i primi a notare le conoscenze e le intuizioni dei bambini sulla temperatura. Recentemente molti ricercatori ed educatori hanno sviluppato progetti sull’argomento del tempo atmosferico, sperando di far leva sugli interessi e le conoscenze degli studenti sul tempo (ad esempio, [Pea, 1993]). In alcuni casi, gli studenti hanno allestito all’interno della scuola “stazioni metereologiche” basate su computer per misurare le variazioni temporali di temperatura, umidità e altre condizioni atmosferiche. Ad uno sguardo superficiale, questi progetti possono sembrare identici alla passeggiata al cioccolato; in tutti i casi gli studenti raccolgono e analizzano una serie di dati relativi alla temperatura in un arco di tempo. Noi vediamo però alcune importanti differenze. I Cricket consentono un monitoraggio e una analisi più individualizzati. Nella passeggiata al cioccolato i grafici raccontano una storia diversa (e personalizzata) per ogni partecipante. Ogni ragazza era stata in grado di identificare sul suo grafico quando lei usciva, quando lei poneva il suo sensore all’interno della giacca della sua amica, quando lei immergeva il sensore nella cioccolata calda. La passeggiata al cioccolato, diversamente dalle attività tradizionali di monitoraggio del tempo atmosferico, introduce un senso di controllo su ciò che si sta misurando. Come dice il vecchio adagio: “Chi vuol passar per sciocco giudichi il tempo”. Nel monitoraggio della temperatura gli studenti sono semplici osservatori passivi. Nella passeggiata al cioccolato gli studenti decidono quali temperature misurare e quando. Un’altra differenza è la scala temporale delle attività. Nelle attività tradizionali di monitoraggio del tempo atmosferico eventuali schemi ricorrenti interessanti emergono solo a distanza di giorni o settimane. La passeggiata al cioccolato ha una buona funzione introduttiva, in quanto gli studenti possono vedere caratteristiche interessanti nei dati sulla temperatura riferiti ad un lasso di tempo molto più breve. Una delle attrazioni connesse all’attività della passeggiata al cioccolato riguarda il modo in cui questa si allinea con le intuizioni pre-esistenti degli studenti, il che permette a questi ultimi di leggere facilmente le loro storie nei grafici. Allo stesso tempo, questo tipo di attività spesso riserva sorprese inaspettate nei dati, sorprese che gli studenti sanno individuare immediatamente, in quanto la maggior parte dei dati è loro fa- Beyond Black Boxes: restituire trasparenza e estetica all’indagine scientifica costituiscono la regola più che l’eccezione. Spesso abbiamo incoraggiato gli studenti a portarsi a casa i Cricket per raccogliere dati durante la notte. Una ragazzina di undici anni aveva lasciato il suo Cricket in cucina durante la notte e con sorpresa scoprì nel grafico un picco alle due del mattino. Dopo alcune indagini stabilì che il suo Cricket, che aveva lasciato sopra un forno a microonde, aveva sorpreso suo padre che preparava i popcorn in piena notte. Gli studenti di un’altra classe di quinta avevano messo i loro Cricket muniti di sensori di temperatura e di luce nel bagno di casa. Esaminando il grafico dell’accensione e spegnimento delle luci del bagno, gli studenti poterono rilevare l’andamento relativo all’uso del bagno da parte della famiglia. Riuscirono anche, e questo era meno prevedibile, a determinare attraverso la lettura dei dati sulla temperatura quando i componenti della famiglia facevano la doccia. Questi esperimenti notturni possono rivelare profili non solo dell’attività umana ma anche di quella tecnologica. In molte classi gli studenti lasciarono i Cricket muniti di sensori di luce e di temperatura nei frigoriferi di casa. Come previsto, i dati rivelarono i momenti in cui i familiari aprivano la porta del frigorifero. Ma i dati contenevano anche alcune vere sorprese. Gli studenti si aspettavano che la temperatura del frigorifero restasse costante durante la notte, quando nessuno lo usava. Ma, in realtà, il grafico della temperatura aveva un andamento ciclico, saliva e scendeva a intervalli regolari: i frigoriferi, infatti, usano un termostato che permette alla temperatura di salire di diversi gradi prima di far ripartire il compressore, figura 3 13 Viaggio al Clubhouse. TD27 numero 3-2002 miliare. Queste sorprese possono verificarsi anche nelle indagini più semplici. Per esempio, in una giornata fredda, alcuni di noi indossavano sensori di temperatura mentre ci spostavamo dal MIT Media Laboratory al Computer Clubhouse del Computer Museum di Boston. Il viaggio comprendeva un tratto a piedi dal Media Lab alla fermata della metropolitana, quattro fermate di metro e un tratto a piedi per alcuni isolati fino al museo. Avevamo fatto questo percorso molte volte in passato e quindi pensavamo di sapere esattamente quale tipo di grafico avremmo ottenuto. Infatti, dopo aver trasferito i dati dai nostri Cricket abbiamo verificato che molte caratteristiche del grafico erano semplicemente quelle che ci aspettavamo [figura 3]. La temperatura scendeva non appena lasciavamo il Media Lab, risaliva mentre attraversavamo un altro edificio del MIT, scendeva non appena uscivamo, risaliva entrando nella metropolitana e scendeva nuovamente all’uscita della metropolitana; infine, saliva ancora al nostro arrivo al Clubhouse. Ma anche se l’andamento generale del grafico confermava le nostre aspettative qualcosa in esso ci sembrava strano. Ci sorprendeva il fatto che il tratto del grafico relativo alla metropolitana fosse così breve (meno della metà dell’intero viaggio). Nella nostra testa la maggior parte del percorso verso il Clubhouse era in metropolitana, in termini di distanza il percorso in metro era infatti il più lungo. Il grafico, contrariamente alle nostre intuizioni, mostrava invece che la maggior parte del tempo era stato impiegato camminando. Abbiamo scoperto che in questa attività di “raccolta dati quotidiana” queste sorprese Beyond Black Boxes: restituire trasparenza e estetica all’indagine scientifica il quale resta in funzione finché la temperatura scende ad un livello prefissato. Quindi, mentre gli studenti avevano progettato il loro esperimento in modo da monitorare un’attività a loro familiare (l’uso del frigorifero), finirono con l’impossessarsi di un concetto scientifico (il feedback), solitamente non previsto nei curricula della scuola dell’obbligo. Macchine per biglie Nell’ambito del lavoro svolto presso il Science Museum del Minnesota, Karen Wilkinson e Mike Petrich organizzarono diversi laboratori di progettazione per bambini. In uno di questi, soprannominato “mini-mini golf”, i bambini progettarono e costruirono versioni di campi da golf miniaturizzati su piccola scala, usando polistirolo e cartoncino per creare le strutture, motori per animare gli ostacoli, e biglie al posto di palle da golf. Durante un altro laboratorio, crearono “macchine per biglie”, bizzarri congegni in cui le biglie avanzavano lungo una serie di rampe e piste, rimbalzando su campanelle e respingenti. Quando Karen e Mike vennero a conoscenza dell’iniziativa BBB, decisero di estendere figura 4 La macchina per biglie di Alexandra. TD27 numero 3-2002 14 il loro lavoro sulle macchine per biglie aggiungendo Cricket, motori e sensori alla scatola dei pezzi da costruzione. Lo scopo era quello di aiutare i bambini a creare nuovi tipi di sculture cinetiche, mettendo in comunicazione il mondo dell’arte con quello della tecnologia. Organizzarono il loro nuovo progetto delle macchine per biglie al Computer Clubhouse di Boston lavorando con un gruppo di bambini di 10-12 anni. Alexandra, una bambina di quinta elementare, si appassionò immediatamente al progetto delle macchine per biglie. Iniziò a tagliare tavolette di legno per costruire rampe; era la prima volta che usava una sega o una pinza. Inserì le rampe in un pannello forato e cominciò a far correre le biglie da una rampa all’altra. Successivamente, creò un nastro trasportatore controllato da un Cricket con sopra un cestino. Il suo piano era il seguente: la biglia doveva scorrere lungo la rampa fino al cesto, percorrere il nastro trasportatore all’interno del cesto, saltare poi sulla rampa successiva quando il cesto si sganciava alla fine del nastro trasportatore. Come faceva il nastro trasportatore a sapere quando era il momento di muoversi? Alexandra programmò il Cricket del nastro trasportatore in modo che sentisse un segnale proveniente da un secondo Cricket posto in alto sopra il pannello, che lo informava della biglia in arrivo. Il Cricket del nastro trasportatore aspettava due secondi per accertarsi che la biglia fosse arrivata nel cestino prima di iniziare a muovere il nastro trasportatore e il cestino [figura 4]. Alexandra era entusiasta del suo progetto e decise di presentarlo alla fiera della scienza della sua scuola. Ma quando ne parlò con il suo insegnante, questi le disse che il progetto delle macchine per biglie non era adatto per la fiera della scienza. L’insegnante spiegò che un progetto per la fiera della scienza deve usare il “metodo scientifico”: lo studente deve partire con una ipotesi, poi raccogliere i dati con l’obiettivo di dimostrare o di confutare l’ipotesi. La macchina per biglie, disse l’insegnante, non seguiva questo approccio. Inoltre, i progetti della fiera della scienza dovevano includere una bibliografia e Alexandra non era in grado di trovare alcuna voce bibliografica sulle “macchine per biglie” nella biblioteca della scuola. Come alternativa, l’insegnante suggerì una ricerca mirante a scoprire se si potevano coltivare piante nella Coca-Cola. Alexandra decise di insistere con la macchina per biglie. Con l’aiuto di Karen e di Mike mise insieme una serie di foto che rappre- Beyond Black Boxes: restituire trasparenza e estetica all’indagine scientifica terno di un contesto progettuale più ampio (e più significativo). Come in molti progetti BBB, Alexandra non era partita con l’intenzione di studiare concetti scientifici specifici. Tuttavia, per noi questo non è un problema: le indagini di Alexandra emergevano naturalmente durante il processo di progettazione. Un ruolo critico (e stimolante) per l’insegnante è quello di aiutare gli studenti a riflettere su queste ricerche estemporanee e a fare collegamenti con concetti specifici rilevanti. 15 figura 5 Il misuratore di luce a forma di “fiore”. TD27 Esposizioni artistiche L’ultimo caso non riguarda uno studente di scuola elementare, bensì il lavoro di una studentessa di architettura dell’Università del Colorado, Adrienne Warmack. Il suo progetto riguardava l’aspetto estetico della progettazione di strumenti attraverso la creazione di dispositivi di misurazione “artistici”. Una delle sue creazioni consisteva in un misuratore di luce a forma di fiore. Questo apparecchio, che utilizzava un Cricket con un sensore di luce e un motore, si basava su un principio semplice. Quando il sensore registrava un livello di luce oltre la soglia predefinita dall’utente, attivava un motore che a sua volta spingeva un asse che apriva una serie di grandi “petali” di polistirolo. Quando la luce raggiungeva livelli bassi, il motore iniziava a girare nel senso opposto “chiudendo” il fiore (la figura 5 mostra l’apparecchio nelle varie fasi di funzionamento). Un’altra creazione della Warmack è uno strumento per visualizzare il passaggio di corrente in circuiti chiusi. Questo apparecchio utilizza un foglio di materiale sensibile alla temperatura che cambia colore ad uno cambio di temperatura di almeno cinque gradi centigradi (partendo dalla temperatura ambiente). Il materiale sensibile alla temperatura era stato posto in un telaio circolare in modo da sembrare la superficie di un tamburo; subito sotto il materiale c’era un reticolo di fili dai quali discendevano numero 3-2002 sentava le diverse fasi della costruzione della macchina per biglie. Anche se Alexandra non mise mai sulla carta un’ipotesi per il suo progetto, il suo insegnante alla fine cedette e le consentì di presentare la macchina per biglie alla fiera scolastica della scienza. Con grande gioia di Alexandra, il suo progetto ricevette uno dei due premi principali dell’intera scuola. La storia della macchina per biglie di Alexandra solleva questioni importanti sulla natura della ricerca scientifica. Mentre siamo certamente d’accordo sul fatto che l’educazione scientifica dovrebbe avere l’obiettivo di aiutare gli studenti a capire il metodo scientifico, crediamo che molti educatori (incluso l’insegnante di Alexandra) adottino una visione troppo ristretta del metodo scientifico. In effetti, noi pensiamo che il progetto di Alexandra sia uno splendido esempio di metodo scientifico. Seppure non fosse partita da una singola ipotesi a tutto campo, continuava a produrre nuove idee di progetto, a provarle e riprovarle sulla base dei risultati ottenuti. Ognuna di queste idee di progetto può essere vista come una “mini ipotesi” per la quale Alexandra raccoglieva dati. Durante il progetto analizzò decine di queste mini ipotesi, anche se lei non le riteneva tali. Mentre posizionava le rampe, per esempio, Alexandra provava anche diversi angoli alla ricerca della massima gittata per le biglie. Alexandra aveva anche effettuato diversi esperimenti per trovare la corretta temporizzazione per il nastro trasportatore; ne aveva modificato il programma per permettere al cesto di fare un giro completo, tornando al punto di partenza nella posizione giusta per la biglia successiva. Questo tipo di sperimentazione contrasta con i modi in cui piani inclinati e sfere sono usati nei tradizionali esperimenti scientifici in classe. Invece di raccogliere semplicemente i dati sulla velocità e la tempistica della discesa con angoli diversi, Alexandra ha condotto i suoi mini esperimenti all’in- Beyond Black Boxes: restituire trasparenza e estetica all’indagine scientifica 16 figura 6 TD27 numero 3-2002 Il dispositivo di visualizzazione della corrente. dei cavi elettrici. Al di sotto di questo apparecchio era posto un Cricket che faceva ruotare un insieme di cavi creando differenti connessioni ai poli di una batteria; quando il Cricket passava da una posizione a un’altra si creavano distinti circuiti chiusi nella serie di fili che si trovano sotto il materiale sensibile alla temperatura. Al passaggio della corrente in questi circuiti, i fili si scaldavano e il materiale cambiava colore producendo degli schemi che rivelavano il passaggio della corrente sottostante. La figura 6 mostra diverse istantanee dell’apparecchio in funzione. In entrambe queste creazioni, il contenuto scientifico è relativamente semplice: il primo apparecchio è un prototipo di misuratore di luce, il secondo un dispositivo di visualizzazione che mostra la corrente che passa attraverso un filo. Tuttavia, concludere così l’analisi significa mancare l’obiettivo: questi apparecchi non sono intesi semplicemente come strumenti di misura, ma come occasioni per mettere in pratica l’ingegno e la fantasia artistica. Senza dubbio, questi strumenti illustrano la ricchezza delle possibilità offerte dall’incontro fra arte e progettazione degli strumenti. Osservando gli studenti che costruivano i loro strumenti scientifici, ci ha colpito il modo in cui essi sembrano rafforzare molto il loro legame con lo strumento (e con l’insieme dell’attività) nei casi in cui prestano attenzione non solo alle funzionalità ma anche all’estetica. Questi due apparecchi riflettono la vasta gamma di materiali resi disponibili per gli scopi della creatività scientifica fatta in casa - materiali che vanno dai computer portatili (gli stessi Cricket), sensori e materiali innovativi fino a componenti in plastica di giocattoli e cubi di legno a bassa tecnologia. Il misuratore di luce fa uso di un telaio di legno, di tubi di metallo e petali di polistirolo (oltre al Cricket e a mattoncini LEGO); il dispositivo di visualizzazione di corrente impiega un materiale innovativo (la pellicola sensibile alla temperatura) acquistabile dai cataloghi di educazione scientifica ad un costo moderato. Mentre per la generazione precedente la “scienza fatta in casa” spesso implicava una gamma relativamente ridotta di materiali semplici, la combinazione dei Cricket con un mondo in sviluppo di nuovi materiali ha aperto nuove possibilità per la creazione scientifica informale [Eisenberg e Eisenberg, 1998]. Abbiamo scoperto che i progetti BBB forniscono una modalità naturale attraverso la quale gli studenti esplorano questioni relative al concetto di “rappresentazione”. Mentre uno studente costruisce un display (per esempio, il misuratore di luce a forma di fiore o il dispositivo di visualizzazione della corrente), ha bisogno di pensare al modo più efficace per rappresentare l’informazione che intende trasmettere. Per esempio, al seminario “Costruiscilo da te” Luke aveva deciso di costruire un display per la mangiatoia per uccelli di Jenny. Voleva semplificare il compito di coloro interessati a conoscere quanti uccelli erano transitati per la mangiatoia durante la giornata. Dapprima, creò un tipo di “rappresentazione audio”. Programmò il Cricket in modo che registrasse il numero di uccelli che si posavano sulla mangiatoia e pose un nuovo pulsante sulla mangiatoia stessa. Premendo il pulsante, il Cricket indicava il numero delle visite effettuate dagli uccelli tramite un numero corrispondente di beep. Questa rappresentazione funzionava bene quando il numero di visite degli uccelli era pari a 2, 4 o 5. Quando, invece, il numero era più elevato la rappresentazione era disagevole: l’utente doveva contare con attenzione (e a lungo). Così Luke decise di usare due diverse tonalità di beep: una tonalità più alta per le “decine” e una più bassa per le “unità”. Per indicare 42 visite di uccelli il Cricket emetteva 4 beep alti seguiti da 2 beep bassi. Nonostante questa nuova rappresentazione avesse alcuni chiari vantaggi, Luke decise che la lettura spaziale sarebbe stata migliore di quella temporale (i beep). Beyond Black Boxes: restituire trasparenza e estetica all’indagine scientifica 17 TD27 RIFLESSIONI Coloro che si occupano di educazione scientifica riconoscono sempre più il valore della progettazione delle indagini scientifiche da parte degli studenti, piuttosto che la replica di esperimenti noti. Con la presentazione dei nostri casi abbiamo cercato di dimostrare che la progettazione dei propri strumenti può essere una componente particolarmente importante nella progettazione dei propri esperimenti. Troppo spesso questa idea viene trascurata. Il National Research Council (1996) inserisce nei suoi autorevoli National Science Education Standards “l’uso di strumenti per raccogliere, analizzare e interpretare dati” fra gli elementi fondamentali dell’indagine scientifica (p. 23). Questa scelta ci trova certamente d’accordo. Noi, però, facciamo un ulteriore passo avanti dichiarando il valore cruciale rappresentato dall’opportunità per gli studenti di progettare i loro strumenti, e non solo quello di usarne di pre-esistenti. I casi presentati indicano parecchi motivi a sostegno del valore dell’approccio “progetta il tuo”. • Estendere lo spazio delle possibilità. Quando gli studenti provano a progettare le loro indagini scientifiche spesso si scontrano con i limiti imposti dagli strumenti disponibili. In molti casi, gli strumenti scientifici standard semplicemente non sono adeguati alle indagini che gli studenti vogliono condurre. La soluzione proposta dai progetti BBB è quella di consentire agli studenti di creare i loro strumenti, adattando questi ultimi all’indagine scelta. Jenny non avrebbe certo potuto acquistare in un negozio la sua mangiatoia per uccelli con macchina fotografica incorporata. Per molte delle indagini realizzate le piccole dimensioni dei Cricket e la loro trasportabilità sono particolarmente importanti. Liberando gli studenti dagli esperimenti legati al laboratorio, i Cricket inaugurano nuove categorie di indagine, di cui la “passeggiata al cioccolato” è un esempio. • Motivazione. Ci siamo resi conto che gli studenti spesso hanno la consapevolezza di fare un grosso investimento personale nell’indagine scientifica quando progettano i loro strumenti, e particolarmente nei casi in cui danno anche un contributo estetico [Csikszentmihalyi et al, 1993]. Quando Alexandra sentì parlare per la prima volta delle macchine per biglie, sentì che voleva costruire la sua personale macchina per biglie come progetto per la fiera della scienza: «Pensavo che sarebbe stato interessante e diverso dai progetti degli altri bambini, come quelli sul sistema solare o sul corpo umano. Era una cosa strana ma divertente». Jenny teneva molto alla sua mangiatoia per uccelli (e alle foto che questa produsse), soprattutto perché l’aveva progettata e costruita. «“La parte divertente” del progetto», spiegò, «è proprio il sapere che l’hai costruito tu; la mia macchina può fotografare gli uccelli» (l’enfasi è la sua). • Integrare l’arte con la tecnologia. L’opportunità di progettare i propri strumenti scientifici apre una nuova strada all’esplorazione scientifica per gli studenti che hanno un interesse primario (meglio ancora se convergente) in ambiti come l’arte, l’architettura, il design. Le creazioni della Warmack, benché si trattasse di un lavoro universitario, fanno intravedere il fascino che il considerare la progettazione scientifica come progetto artistico può avere sugli studenti a vari stadi dello sviluppo intellettuale. Ovviamente su questo punto bisogna essere cauti: non stiamo sostenendo un approccio annacquato alla scienza nel quale i valori artistici soggettivi prevalgono. Piuttosto, vediamo la creazione degli strumenti come mezzo per esplorare l’interdisciplinarità tra arte e scienza. Per esempio, si potrebbe immaginare un programma di progettazione sponsorizzato dalla scuola nel quale gli studenti creano automi ispirati a quelli che si possono vedere al bellissimo Cabaret Mechanical Theatre Museum di Londra [Onn e Alexander, 1998], utilizzando però i Cricket per aggiungere controlli e sensori; oppure, si potrebbero creare dei puzzle matematici portatili capaci di combinare l’estetica del famoso cubo di Rubik con un comportamento controllato dal programma di un Cricket; oppure ancora (seguendo l’esempio della Warmack), un progetto potrebbe riguardare i modi crea- numero 3-2002 Quindi, costruì due quadranti (uno per le decine ed uno per le unità), ognuno controllato da un motore. Il pulsante non serviva più: i quadranti fornivano continuamente il numero di visite degli uccelli. In molti altri progetti BBB gli studenti si sono cimentati con analoghi processi di esplorazione di rappresentazioni alternative. Molte ricerche (per esempio, [di Sessa et al, 1991]) hanno documentato il valore di questo tipo di attività meta-rappresentative in cui gli studenti costruiscono e riflettono su nuove forme di rappresentazione. Beyond Black Boxes: restituire trasparenza e estetica all’indagine scientifica TD27 numero 3-2002 18 tivi in cui è possibile visualizzare la corrente elettrica. La nostra opinione, basata sull’esperienza accumulata fino ad oggi, è che la progettazione degli strumenti scientifici ha in sé il potenziale di innescare l’interesse per le questioni scientifiche fra studenti che altrimenti ignorerebbero totalmente l’argomento. • Sviluppare le capacità critiche. Troppo spesso gli studenti accettano le misure ottenute tramite le strumentazioni scientifiche in modo acritico. Quando progettano i loro strumenti e le loro indagini, ci siamo resi conto che sviluppano un sano scetticismo sui risultati delle misure, insieme ad una migliore comprensione di quali valori sono ragionevoli e perché. Quando gli studenti ottengono valori “strani” o inaspettati durante le attività quotidiane di raccolta dati (come nel caso della “passeggiata al cioccolato”), sviluppano l’abilità di selezionare fra le varie spiegazioni possibili. In alcuni casi, concludono che una qualche parte della loro attrezzatura non funziona bene. In altri casi (come nell’esempio del padre che si era preparato i popcorn in piena notte), scoprono un evento inizialmente non previsto che produce un dato inaspettato. In altri casi ancora (come nei modelli ciclici osservati nella temperatura dei frigoriferi), gli studenti imparano i processi che ne stanno alla base e dei quali non avevano alcuna consapevolezza. Che cosa non ha funzionato I casi qui raccontati mettono in evidenza alcuni punti forti e i successi dell’iniziativa BBB. Tuttavia, è utile anche guardare alle difficoltà e ai problemi incontrati. Alcuni problemi sono stati di natura tecnica e abbastanza facili da risolvere. Per esempio, i Cricket non hanno display incorporati quindi, inizialmente era stato difficile per gli studenti ottenere un feedback in tempo reale (sui valori dei sensori, sullo stato del programma, ecc.) quando i Cricket venivano usati lontano dal computer. Abbiamo iniziato ad affrontare questo problema sviluppando un piccolo display numerico come periferica di un Cricket, in modo che gli studenti ottenessero le letture dal Cricket in qualsiasi momento ed in qualsiasi luogo. Allo stesso modo, abbiamo continuamente migliorato l’ambiente di programmazione per i Cricket per facilitare gli studenti nella programmazione di nuovi comportamenti per le loro costruzioni BBB. I problemi più difficili, tuttavia, non hanno soluzioni tecniche semplici. Le attività BBB tendono ad essere particolarmente stimolanti in quanto gli studenti sono coinvolti in molteplici tipologie di progettazione: progettare le indagini contestualmente alla progettazione degli strumenti necessari a condurre quelle indagini. Anche il processo stesso di progettazione dello strumento implica diverse tipologie di progettazione: progettazione di strutture, meccanismi e programmi. All’interno del nostro impegno sul progetto BBB, abbiamo incoraggiato gli studenti a considerare non solo le funzionalità, ma anche l’estetica degli strumenti che progettano. Abbiamo scoperto che, come risultato di queste sfide multiple sulla progettazione, gli studenti spesso riescono a portare a termine una parte del progetto, ma si trovano poi in difficoltà nell’assemblare tutte le parti. Per aiutarli ad affrontare le molteplici dimensioni della progettazione, abbiamo sviluppato alcune attività introduttive che includono solo alcune dimensioni. In alcune delle attività quotidiane di raccolta dati, per esempio, gli studenti progettano le loro ricerche senza concentrarsi sulla progettazione dello strumento. Un altro approccio è quello di partire concentrandosi sulla progettazione degli strumenti piuttosto che sull’indagine scientifica; per esempio, abbiamo impegnato gli studenti nella costruzione di sculture cinetiche, opere d’arte che incorporano Cricket, motori, luci e sensori. Questo approccio può aiutare gli studenti ad iniziare a sviluppare i loro strumenti scientifici. Un gruppo di studenti della scuola superiore costruì una scultura con un motore e un sensore di luce, e programmò la scultura in modo che si muovesse in diverse direzioni ed a diverse velocità basate sui livelli di luce rilevati dal sensore. Mentre percorrevano la hall con la loro scultura e notavano le variazioni dei suoi movimenti al passaggio davanti alle porte, si resero conto che la loro scultura poteva funzionare come un efficiente misuratore di luce, quest’ultimo munito di un display molto più interessante di quelli dei tradizionali misuratori di luce. Tuttavia, passare dalla progettazione dello strumento a quella della propria ricerca non è cosa da poco. Aiutare gli studenti a individuare argomenti di indagine che li interessino tanto quanto le loro sculture cinetiche è un compito molto impegnativo per i docenti. Molti studenti, nelle loro attività BBB, non procedevano nell’analisi dei dati se non quando erano veramente interessati a questi dati. Un’altra sfida ovvia è RINGRAZIAMENTI Fred Martin, Bakhtiar Mikhak, Brian Silverman e Sherry Turkle hanno fornito un importante contributo allo sviluppo della tecnologia dei Cricket ed alle idee che stanno alla base del progetto “Beyond Black Boxes”. Mike Petrich, Claudia Urrea e Karen Wilkinson hanno avuto un ruolo determinante nello sviluppo delle attività BBB. Rami Alwan, Rick Borovoy, Gail Breslow, Geneelyn Colobong, Stina Cooke, Ann Eisenberg, Ava Erickson, Phil Firsenbaum, John Galinato, Rachel Garber, Martha Greenawalt, Mark Gross, Adrienne Warmack, Tom Wrensch e Julianna Yu hanno Beyond Black Boxes: restituire trasparenza e estetica all’indagine scientifica 19 4 Si tratta di nomi di vecchie radio americane (N.d.T.). TD27 Al di là delle scatole nere Mentre la precedente generazione di studiosi fu conquistata alla ricerca scientifica smontando le radio, i bambini di oggi trovano poco di comprensibile quando aprono una radio o altri apparecchi elettronici moderni. James Gleick (1992) allude a questo fenomeno nella sua biografia di Richard Feynman: “L’arte di armeggiare con una radio con il tempo tramontò. I bambini dimenticarono il piacere di aprire ed eviscerare le vecchie radio Kadettes e Clubs4 dei genitori. Solidi blocchi elettronici sostituirono i grovigli interni degli apparecchi radio, quindi dove un tempo si poteva imparare strappando fili saldati e contemplando la fluorescenza delle valvole non restarono altro che insignificanti chip prefabbricati, i vecchi circuiti compressi mille volte o più. Il transistor, una micro punta di silicio, ha soppiantato il tubo infrangibile e così il mondo ha perduto una collaudata via di accesso alla scienza.” Indubbiamente i computer hanno reso i meccanismi del mondo meno “trasparenti” per la maggior parte della gente. Ma non è detto che debba essere così. Nel progetto BBB abbiamo visto come gli studenti, aiutati da nuovi strumenti informatici, possono costruire apparecchi personalizzati e iniziare a vedere l’indagine scientifica come un processo al quale possono prendere parte, giorno dopo giorno, in modo creativo e piacevole. Il nostro è solo un primo passo. Nelle nostre prossime ricerche pensiamo di concentrarci su livelli più dettagliati di studio circa il come e il che cosa gli studenti apprendono quando progettano i loro strumenti e le loro ricerche, e su studi inerenti il come svolgere questo tipo di attività con successo in una serie più ampia di contesti. Come misureremo la riuscita del nostro progetto nel lungo periodo? Il nostro obiettivo finale è quello di contribuire allo sviluppo di una nuova generazione di studenti più disposti a guardare dentro gli artefatti tecnologici nel mondo che li circonda e a sentirsi in grado di sviluppare i loro strumenti (anche molto semplici) per esplorare i fenomeni che si presentano loro nella vita quotidiana. numero 3-2002 quella di aiutare gli studenti a passare dalla semplice progettazione della ricerca alla riflessione sul suo significato. Produrre nuove idee per i progetti BBB non è necessariamente facile. Abbiamo provato a facilitare questo processo fornendo agli studenti una ricca collezione di progetti campione e incoraggiandoli a lavorare sulle variazioni di tali progetti. Per esempio, abbiamo mostrato la mangiatoia per uccelli di Jenny alle ragazze scout durante un seminario estivo. Diverse ragazze, ispirate dal tema del monitoraggio degli animali, modificarono la gabbia dei gerbilli per poter tener traccia delle attività dei loro animali. Altre due ragazze costruirono un “sistema di scurezza per i loro diari” che fotografava chiunque avesse tentato di mettervi le mani. Come per altre attività educative basate sulla progettazione e su progetti, le attività BBB sollevano anche problemi di natura logistica di notevole entità, ponendo vincoli di tempo e spazio. In uno dei luoghi di ricerca BBB gli studenti erano in grado di lavorare sui loro progetti per un solo pomeriggio alla settimana e dovevano anche passare molto tempo a predisporre il loro materiale e a riporlo. Lo stesso luogo ospitava un seminario estivo durante il quale gli studenti passavano intere giornate lavorando ai loro progetti, ogni giorno per tre settimane. Gli studenti del seminario estivo fecero molti più progressi nel loro progetto e chiaramente l’esperienza li interessò e divertì molto di più. Il compito di integrare le attività BBB nel curriculum scolastico, allineandole agli standard correnti e ai test, costituisce una sfida ancora più interessante. I progetti BBB spesso sono trasversali alle discipline tradizionali (come scienze, matematica e arte) e, inoltre, si agganciano a concetti ingegneristici (come il feedback ed il controllo) che sono raramente trattati a scuola. Per tutte queste ragioni è difficile, se non impossibile, introdurre le attività BBB mantenendo il resto inalterato; sono necessari sostanziali cambiamenti a livello di sistema nell’organizzazione logistica e concettuale della scuola. Beyond Black Boxes: restituire trasparenza e estetica all’indagine scientifica aiutato a sviluppare e organizzare la tecnologia, le classi e i seminari del progetto. Vorremmo ringraziare Andee Rubin e Mark Guzdial per l’attenta revisione di una prima bozza. Questa ricerca è stata finanziata da generosi contratti della National Science Foundation (contratti 9358519-RED e CDA-9616444), dal Gruppo LEGO e dai consorzi “Things That Think”, “Digital Li- fe” e “Toys of Tomorrow” del MIT Media Laboratory. (Questo articolo è stato originariamente pubblicato su: Journal of the Learning Sciences, vol. 9, n. 1, 2000, pp. 7-30, Lawrence Erlbaum Publishers, Mahwah, NJ. Traduzione di Giovanna Caviglione). riferimenti bibliografici Banks F. (ed) (1994), Teaching Technology, Routledge, London. Berger J. (1994), The Young Scientists, Addison-Wesley, Reading, MA. Csikszentmihalyi M. (1996), Creativity, Harper Collins, New York. Csikszentmihalyi M., Rathunde K., Whalen S. 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Percorsi di apprendimento Percorsi di apprendimento Per apprendere concetti e procedimenti della fisica con piacere, motivazione, comprensione ■ Enrica Giordano, Facoltà di Scienze della Formazione, Università di Milano Bicocca [email protected] 21 TD27 possibili per ottenere un apprendimento significativo, una comprensione vera e addirittura una passione per la fisica. Si è messo l’accento sulla necessità di partire da quello che gli studenti già sanno (preconoscenze, misconcezioni, rappresentazioni mentali) e di coinvolgerli attivamente nel processo di costruzione della conoscenza scientifica. Secondo le indicazioni provenienti dalle scienze cognitive la conoscenza infatti non si trasmetterebbe già organizzata, semplicemente enunciandola, ma andrebbe da ciascuno costruita e ricostruita sotto la guida e la mediazione esperta del docente, interagendo con i pari e con oggetti, materiali, testi, esperti, in un ambiente che stimoli e sostenga l’apprendimento di ciascuno secondo il proprio stile [Boscolo, 1986; Cacciamani, 2002; Pontecorvo, 1992; von Glaserfeld, 1989]. Si sono così sviluppate ricerche che sottolineano l’importanza dell’interazione tra pari e della discussione in classe [Pontecorvo et al, 1991; Mazur, 1997; Meltzer e Manivannan, 2002], ricerche che sottolineano l’importanza di una riflessione sui contenuti e sui metodi della scienza e sui modi del proprio apprendimento (metacognizione) [Bonelli Majorino et al, 1995], ricerche sulla motivazione e la dimensione ludica, e infine ricerche che studiano come le tecnologie dell’informazione e della comunicazione possano modificare e migliorare l’apprendimento scientifico. Tra queste ultime, le linee di ricerca prevalenti si sono rivolte ad esplorare l’utilizzo didattico di: • Programmazione - programmi che coin- numero 3-2002 INTRODUZIONE Da diversi anni ampie ricerche internazionali stanno dimostrando la scarsa efficacia dell’insegnamento scientifico “tradizionale” nel generare un apprendimento significativo e duraturo di contenuti e metodi della fisica. Ricerche condotte su grandi numeri di studenti di diverso livello scolare in diversi paesi documentano che le conoscenze scientifiche apprese a scuola rimangono in generale confinate all’ambito scolastico, non vengono utilizzate per risolvere problemi relativi a situazioni anche semplici della vita quotidiana, per interpretare le quali i soggetti tendono a ritornare a soluzioni e idee preesistenti all’insegnamento formale, idee sostanzialmente derivate dalla conoscenza comune che l’insegnamento ha lasciato inalterate o modificate in direzione diversa da quella auspicata [Grimellini Tomasini e Segrè, 1991]. Il risultato è che spesso non si ha successo nell’insegnare i concetti fondamentali e inoltre si provoca negli studenti una reazione di rifiuto o addirittura paura verso la conoscenza scientifica che viene ritenuta arida e incomprensibile ai più. Si sta dunque mettendo in discussione l’insegnamento “trasmissivo” della fisica e si è avviata la ricerca e la sperimentazione di metodologie di insegnamento interattivo e la progettazione di ambienti che facilitino un apprendimento attivo e significativo di concetti e procedure della conoscenza scientifica. Molti sforzi di ricerca a livello internazionale si sono rivolti prima a documentare le difficoltà esistenti e quindi a cercare soluzioni Percorsi di apprendimento volgono direttamente gli studenti in attività di programmazione (si pensi, ad esempio, alla lunga esperienza di lavoro con Logo); • Simulazione - intesa sia come produzione sia come modellizzazione di fenomeni e processi fisici (si veda, ad esempio, Interactive Physics, che permette di creare diversi oggetti e situazioni, di variare parametri e componenti, di eseguire misure, di presentare i risultati ottenuti attraverso molteplici forme di rappresentazione); • Microcomputer Based Laboratory (MBL) o laboratorio basato su microcomputer il calcolatore viene interfacciato con sensori che misurano diverse variabili fisiche; software appositi permettono di raccogliere, memorizzare e visualizzare i dati sia in tempo reale sia in tempo differito; • Utilizzo di rete telematica - intesa sia come strumento di connessione/discussione in rete sia come utilizzo di risorse offerte dal Web [Bonelli Majorino et al, 1996; Midoro, 2002; Manca e Sarti, 2002]. Gli sforzi della ricerca per esplorare ed evidenziare i fattori determinanti per il rinnovamento della didattica scientifica non si sono ancora rivelati efficaci per modificare la situazione complessiva dell’insegnamento che evolve, seppur molto lentamente, soprattutto per l’intervento di insegnanti particolarmente motivati e impegnati nell’innovazione. La ricerca si sta dunque impegnando nella messa a punto di modelli efficaci per una formazione iniziale e in servizio dei docenti che li metta in grado di gestire l’innovazione in classe e, contemporaneamente, nella proposta di percorsi didattici in cui i fattori che la ricerca ha esplorato, spesso separatamente, confluiscano in modo coerente ed efficace ai fini di un apprendimento significativo delle idee scientifiche fondamentali [Guidoni, 2001; Guidoni et al, 2002]. 22 TD27 numero 3-2002 1 Si veda, ad esempio, il sito del progetto “Laboratori in Rete”, http:// pctidifi.mi.infn.it/luce/ LA NOSTRA RICERCA Da anni il nostro gruppo di ricerca in “Didattica della fisica di base” progetta e sperimenta percorsi per guidare ad un apprendimento significativo della fisica. L’obiettivo che ci proponiamo non è sostituire la conoscenza scientifica a quella comune, ma avvicinare progressivamente gli studenti ai modi di vedere e di interpretare la realtà che le discipline scientifiche propongono, in particolare potenziare le capacità di osservazione di chi apprende, arricchirne le forme di rappresentazione e le possibilità di interpreta- zione, introdurre alla ricerca di coerenza, astrazione, generalizzazione. I percorsi sono costruiti in collaborazione da esperti di didattica della fisica e da insegnanti che abbinano alla loro formazione la sperimentazione in classe relativamente ai temi sui quali si vanno formando. Questo permette ai ricercatori di monitorare sia il processo di formazione degli insegnanti sia il processo di apprendimento degli alunni e quindi di verificare l’efficacia della proposta didattica che viene messa a punto e modificata in base alla reale risposta di chi apprende. I percorsi sono progettati per affrontare contenuti selezionati su tempi lunghi, dalla scuola dell’infanzia all’università, a diversi livelli di interpretazione, crescenti in difficoltà e grado di formalizzazione. La sperimentazione è necessariamente parziale e viene realizzata da gruppi di insegnanti che lavorano nelle loro classi con la metodologia della ricerca azione, collegati tra loro e con i ricercatori anche via rete telematica1. Le proposte didattiche che vengono avanzate sono dedicate ad affrontare in modo approfondito contenuti e procedure fondamentali della conoscenza scientifica, fisica in particolare, in connessione con altre aree del sapere così da costituire una proposta che affianca, al più tradizionale approccio “informativo”, la dimensione formativa e culturale indispensabile nell’educazione scientifica di base. L’esperienza quotidiana, il linguaggio, le conoscenze e le abilità possedute da chi apprende costituiscono il punto di partenza e il riferimento costante del percorso che l’insegnante costruisce via via in base alla reale risposta degli studenti. L’ambiente di apprendimento che viene suggerito nelle nostre proposte e adottato nelle sperimentazioni è molto ampio e ricco di materiale e di attività, così da tenere conto dei diversi stili cognitivi di chi apprende e degli obiettivi formativi e informativi che si intendono perseguire. In particolare, si suggeriscono attività sperimentali di diverso tipo fatte sia utilizzando materiali di uso quotidiano e di basso costo sia materiali da laboratorio e apparecchiature di costo più elevato. Si ritiene fondamentale proporre esperienze che si prestino sia ad esplorazioni libere sia ad una esplorazione consapevole dei fattori in gioco attraverso la loro variazione sistematica; deve quindi trattarsi di materiale che non sia dedicato a un unico scopo o esperimento, ma che si possa utilizzare in modo aperto e versatile. Percorsi di apprendimento 23 2 Per una trattazione più estesa del percorso sul moto si veda [Gagliardi et al, 1999]. TD27 LA FASE DI AVVIO I bambini tra tre e cinque anni arrivano nella scuola dell’infanzia, lasciano la casa, i genitori (con conseguente paura dell’abbandono, ansia in un ambiente nuovo e diverso, incontro con il mondo degli adulti) e trovano altri bambini come loro, molto simili e nello stesso tempo molto diversi, trovano adulti preparati ad accoglierli e a guidarli nel loro percorso complessivo. Ha senso parlare di scienza? Cosa intendiamo per “fare scienza” in questa fascia di età? Il processo di “comprensione” del mondo che li circonda per questi bimbi è già iniziato da tempo, stanno cercando di capire come vanno i fatti del mondo innanzitutto per poter sopravvivere, per imparare a prevedere cosa accadrà a seguito dei loro comportamenti, per fare andare le cose nel modo giusto per loro e per gli altri. Finora l’hanno fatto in modo individuale confrontandosi prevalentemente con gli adulti e con fratelli/sorelle più grandi, oltre che con la natura e con gli artefatti presenti nella società. A scuola, in ambienti diversi, predisposti all’interno e all’esterno, vengono loro proposte varie attività, alcune libere e altre organizzate, che li aiutino a crescere su tutti i piani, da quello cognitivo a quello affettivo, a quello sociale. Si tratta, ad esempio, di attività di movimento in cui i bimbi si muovono in spazi di varie dimensioni, correndo, andando piano, camminando con passo di leone e di formica, strisciando come un serpente, saltando come una rana, rotolando su stessi, ecc. Mentre si muovono, si guardano intorno; alle sensazioni del loro corpo in movimento nello spazio e in contatto con gli appoggi associano quello che gli occhi vedono di se stessi, delle cose (i muri, il pavimento, gli altri oggetti) e delle persone che ci sono intorno, che si stanno muovendo con loro. Ed è importante sperimentare anche lo stare fermi, in piedi (coi piedi larghi, coi piedi stretti, su un piede solo, come devo mettere le braccia per non cadere, ecc.), seduti, accovacciati e poi sdraiati, sia all’interno che all’esterno, sentendo il pavimento o l’erba sotto di sé, ascoltando voci, suoni, rumori, sentendo caldo o freddo (la schiena appoggiata al pavimento freddo e la pancia rivolta verso il sole). Si possono osservare le posture e i movimenti dei compagni, come pure i movimenti di animali familiari e non, rivedendoli in un filmato, e quindi si cerca di riprodurli col proprio corpo. In questa prima fase è fondamentale affiancare al lavoro sul movimento del proprio corpo, e più in generale dei viventi, l’osservazione attenta di moti di oggetti, meccanismi, giocattoli. Fin da molto piccoli i bimbi sono attenti sperimentatori e osservatori di moti di oggetti a seguito di loro azioni (oggetti che cadono se lasciati o lanciati; oggetti che si possono trascinare, spingere, che rotolano, che strisciano, che si fermano subito o che vanno lontano); a scuola si propongono attività in parte simili a quelle dell’esperienza quotidiana in parte nuove proponendo un campionario vasto di materiale con cui sperimentare (palle, cerchi, giocattoli meccanici, kit di costruzione tipo LEGO o Meccano). È importante invitare a manipolare, ad osservare sempre più attentamente, a sentire con tutti i sensi, a confrontare situazioni e sensazioni diverse sottolineando le variazioni e i cambiamenti (cosa succede se cambio …, se aggiungo …), a cercare di trovare le parole per dire a se stessi e agli altri cosa si sta sentendo e vedendo, sia quello che c’è nei fatti che quello che c’è dentro di noi (le nostre emozioni, la meraviglia, la paura, la corrispondenza con le aspettative). E così si trovano parole per descrivere le cose come sono, si costruiscono frasi per descrivere come le cambiano, si legano le frasi in storie che raccontano quello che si vede accadere, si leggono storie raccontate da altri. Si possono trovare altri modi, diversi dalle storie narrate, per rappresentare il movi- numero 3-2002 UN PERCORSO SUL MOVIMENTO Qui di seguito diamo la traccia di un percorso di lavoro sul movimento che parte dalla scuola dell’infanzia e si sviluppa lungo l’arco della scuola dell’obbligo. Diamo spazio in particolare a tre momenti del percorso che riteniamo particolarmente importanti e cruciali2: 1. La fase di avvio del percorso e di familiarizzazione con i fatti, che suggeriamo di proporre nella scuola dell’infanzia dove sono possibili lavori con tempi distesi, prima che le conoscenze disciplinari e i vincoli di programma obblighino a ridurre fortemente lo spazio dell’esplorazione libera e guidata. 2. La fase di formalizzazione delle relazioni tra le grandezze fondamentali del moto. 3. La fase di studio in analogia con il comportamento del corpo umano e di artefatti tecnologici, in particolare il confronto tra sensi e sensori. Percorsi di apprendimento 24 TD27 numero 3-2002 3 Si vedano, ad esempio, i lavori di Nicoletta Lanciano nel sito http://pctidifi.mi.infn.it/ lanciano/ mento? Si raccolgono e si discutono le proposte dei bambini, se ne introducono di nuove. Nasce così l’idea di utilizzare situazioni che si somigliano, le analogie: per rappresentare un oggetto che va sempre più in alto si possono mettere mattoni uno sopra l’altro. Oppure si può usare un registratore con una musica di cui possiamo alzare via via il volume. Oppure si può utilizzare una sorgente di luce con un variatore che permette di aumentarne via via la luminosità. Oppure si può prendere un rotolo di spago e srotolarlo via via. Ma si può anche semplicemente usare una mano e farla scorrere verso l’alto, di poco, di tanto, lenta, veloce proprio come il movimento dell’oggetto. Bisogna però trovare il modo per “fissare” queste rappresentazioni, così da poterle rianalizzare e confrontare con altre. Si potrebbe cercare di disegnare; ma come si fa a disegnare su un foglio fermo le cose che si muovono? Come si fa a disegnare piatte delle cose che non sono piatte e che si trovano in diverse direzioni e su piani diversi? Lavoriamo sulle proposte dei bambini e intanto con loro andiamo a cercare come viene rappresentato il movimento nei fumetti, nei quadri. Ma il disegno non sempre è un disegno dal vero, può essere un disegno schematico, una rappresentazione astratta, un grafico. E che dire del movimento di oggetti molto grandi e molto lontani come la luna, il sole, le stelle? Sono oggetti di cui non si può modificare il moto, bisogna imparare a osservarlo direttamente, nello spazio grande, fuori, di giorno e di sera. L’osservazione sistematica fatta con attenzione, con pazienza, con emozione permette di dare un significato “vero” a espressioni come: il sole sorge, culmina e tramonta tutti i giorni. L’osservazione ripetuta e il confronto tra le rappresentazioni di quello che si è osservato3, permette di concludere che tutti i giorni avviene qualcosa che si ripete uguale (sempre il sole sorge, culmina e tramonta) e nello stesso tempo diverso (il punto e l’ora del sorgere e del tramontare). Gradualmente si introducono i bimbi ai concetti (sistema di riferimento, moto traslatorio e rotatorio, ecc.) e alle grandezze fondamentali della fisica del moto e alle relazioni tra esse (posizione, velocità, lunghezza del percorso, tempo impiegato). Alla scuola dell’infanzia si rimane sempre fortemente ancorati al piano percettivo e al livello qualitativo, alla scuola elementare si passa gradualmente al livello quantitativo, a forme di rappresentazione più astratte, a un livello di interpretazione più alto (in termini di variabili e relazioni tra esse). In tutti i casi c’è un riferimento costante al piano dei fatti, si fanno previsioni, si progettano esperimenti per metterle alla prova, si registrano le osservazioni in varie forme, si raccolgono dati, si analizzano e si interpretano, si rimettono in discussione le ipotesi iniziali, si fissano alcune conclusioni, nascono nuove idee da provare. LA FASE DI FORMALIZZAZIONE Il passaggio dalla fase percettiva, concreta, al livello più astratto e formale, che alla scuola media e superiore porta all’introduzione delle formule del moto, risulta particolarmente delicato. Proponiamo che si faccia precedere o si affianchi alla più tradizionale parte numerica e algebrica (con misure di spazi percorsi e di tempi di percorrenza, calcoli di velocità medie, formule per la velocità media, l’accelerazione, ecc.) la rappresentazione grafica delle grandezze in gioco e delle relazioni tra esse. La forma di rappresentazione grafica in cui il tempo è la variabile riportata sull’asse delle ascisse viene costruita a partire sia da rappresentazioni spontanee [di Sessa, 2001] sia dall’analisi di prodotti della nostra cultura in cui il tempo viene rappresentato attraverso lo spazio (nei fumetti, vignette successive nello spazio rappresentano situazioni in istanti successivi di tempo; nei disegni di oggetti o di persone in moto si tratta dei passi o delle posizioni successivamente occupate; nella musica, le note scritte in successione sul pentagramma vengono suonate successivamente nel tempo con intervalli temporali che sono proporzionali agli intervalli spaziali che separano le note, ecc.). La forma di rappresentazione attraverso il grafico sul piano cartesiano può essere introdotta in modo molto naturale a partire dalle precedenti esperienze di moto del proprio corpo e di parti di esso: la mano che si alza per rappresentare un oggetto che si allontana da un osservatore può lasciare una traccia verticale su un foglio di carta sottostante; se il foglio di carta scorre a rappresentare il tempo che passa, la traccia sarà inclinata con una pendenza rispetto all’orizzontale che dipende dalla velocità con cui la mano si sposta. Fondamentale da questo punto di vista è l’introduzione, accanto alle più tradizionali apparecchiature di laboratorio, del cosiddetto MBL o laboratorio basato su microcomputer. Si tratta di sensori di vario tipo (quelli di moto, di temperatura, di luce so- Percorsi di apprendimento 4 Si veda, ad esempio, http://www.concord.org 5 Derivazione, integrazione, fit, ecc. 6 Si tratta, ad esempio, di un emettitore/ricevitore di ultrasuoni o di infrarossi del tipo di quelli presenti nelle macchine fotografiche Polaroid o nei telecomandi delle nostre TV. Dopo aver emesso il segnale, il sensore è in grado di raccogliere il segnale riflesso dall’oggetto che gli sta davanti e calcolare (nota la velocità del segnale, misurando il tempo tra emissione e ricezione del segnale) la distanza dell’oggetto; il tutto in un tempo molto breve per cui si possono raccogliere fino a 200 dati al secondo. 7 La velocità media coincide con la velocità istantanea ed è calcolabile come rapporto tra lo spazio percorso e l’intervallo di tempo impiegato a percorrerlo; lo spazio percorso definito come distanza finale/distanza iniziale risulta negativo in caso di avvicinamento. 25 figura 1 a) Grafico corrispondente a un movimento di allontanamento fermata e successivo avvicinamento al sensore, con tratti percorsi a velocità costante. b) Grafico corrispondente a un moto di allontanamento con velocità crescente. TD27 ti durante il lavoro sperimentale (che tendono a sottolineare l’importanza dei valori dei singoli punti del grafico), qui l’attenzione è sulla forma complessiva dei grafici, sul loro andamento e sulla connessione tra andamento del grafico e andamento del fenomeno. Questa corrispondenza viene rafforzata dalla possibilità di effettuare variazioni di una delle variabili che il soggetto ritiene importanti per lo svolgimento del fenomeno e vedere se e come si modifica contemporaneamente la sua rappresentazione. Se al moto di allontanamento a velocità costante corrisponde una retta che forma un angolo acuto con l’asse delle ascisse, cosa succede se cambio velocità? E se sto fermo? Dal confronto tra due moti eseguiti a velocità costante, diversa tra loro, si comincia ad associare la grandezza velocità all’idea di pendenza della retta nel piano (distanza, tempo); questa idea di velocità come pendenza si riprende nel caso di curve nel piano (distanza, tempo) che corrispondono appunto a moti a velocità non costante. L’idea di velocità istantanea come pendenza della tangente alla curva nel punto considerato viene introdotta in modo semplice, grafico, senza richiedere strumenti di calcolo e può essere approfondita attraverso l’analisi del grafico “velocità in funzione del tempo” riferito allo stesso moto. L’analisi dei grafici di avvicinamento {distanza, tempo} e {velocità, tempo} mette in evidenza che il sistema di rappresentazione utilizzato dal MBL distingue due moti a velocità costante di verso opposto, cambiando il segno della velocità, positiva in allontanamento e negativa in avvicinamento. Questo è coerente sia con la regola di segno delle pendenze delle rette nel piano cartesiano, sia con i risultati dei calcoli che si possono eseguire ad esempio sui grafici rettilinei corrispondenti ai moti a velocità costante7. Per i numero 3-2002 no tra i più comuni) collegati tramite interfaccia a un personal computer (o a calcolatrici tascabili o più di recente a computer palmari)4. Il software, studiato per gestire in modo cognitivamente e didatticamente efficace i problemi della misura delle variabili fisiche considerate (distanza, velocità, accelerazione, intensità luminosa, temperatura, ecc.), permette di raccogliere i dati e mostrarli in diverse forme (tabella, grafico) in tempo reale. I dati vengono inoltre memorizzati così da poter essere analizzati successivamente attraverso funzioni5 contenute nel software o esportandoli in un foglio elettronico. L’introduzione di esperienze MBL a bassi livelli di scolarità, ad esempio a livello di scuola media, risulta particolarmente efficace in quanto permette di visualizzare in forma grafica la relazione tra coppie di variabili fisiche coinvolte nell’esperimento in contemporanea allo svolgersi dell’evento. Ad esempio, collegando al computer il sensore di moto6 e scegliendo di visualizzare sullo schermo il grafico “distanza in funzione del tempo”, lo studente può stare fermo o muoversi rispetto al sensore, avvicinarsi e allontanarsi in vario modo e vedere sullo schermo costruirsi il grafico del suo movimento. Vede, quindi, una rappresentazione astratta del moto che realizza col suo corpo e che “sente” direttamente: a un movimento regolare (la fisica parla di velocità costante) corrispondono rette, con un movimento di allontanamento in cui si va sempre più veloce si ottengono curve con certe forme, con un movimento di allontanamento in cui si parte veloce e si va sempre più lentamente la forma della curva è simile, ma cambia concavità [figura 1]. A differenza dei più tradizionali grafici ottenuti a partire da formule che legano le due variabili riportate sugli assi o da dati raccol- Percorsi di apprendimento 8 Anche ad occhi bendati è possibile produrre una rappresentazione del moto che si è eseguito e percepito, attraverso un oggetto che rappresenta un personaggio stilizzato, che viene mosso (sempre a occhi bendati) da chi ha eseguito il movimento e lascia la traccia del suo moto su una tavoletta rigida ricoperta di plastilina [Terzi, 1995]. 9 Il sensore di contatto è un normale mattoncino 3x2 che presenta sul lato corto un piccolo pulsante, un interruttore. I valori che il sensore può inviare al mattoncino programmabile sono solo due, corrispondenti a pulsante “premuto” o “non premuto”. 10 Per la realizzazione di questa esperienza e di altre analoghe si veda il progetto SeT “Costruiamo un robot”, pubblicato sul sito dell’INDIRE (http://www5.indire.it: 8080/set/microrobotica/) in particolare l’attività “Costruiamo un esperimento”. 11 TD27 numero 3-2002 26 Nel caso della luce si può delineare un percorso di apprendimento del tutto analogo a quello sul moto. Per questo rimandiamo al sito http://pctidifi.mi.infn.it /lucevisione. Qui ci limitiamo a ricordare alcune proprietà generali della luce e della sua interazione con la materia: la luce è radiazione elettromagnetica caratterizzata in generale, oltre che dall’energia trasportata (intensità), dalla direzione di propagazione e da caratteristiche cromatiche (frequenza). ragazzi più grandi a questo punto, lavorando anche sul piano matematico, risulta abbastanza naturale associare alla forma rettilinea del grafico una dipendenza lineare tra le due variabili che si traduce in una equazione di primo grado che lega le due variabili rappresentate sugli assi, arrivando così a formulare la relazione che lega le variabili spaziali e temporali nel caso di velocità costante. Per i più piccoli ci si può fermare all’idea che se le due variabili riportate sugli assi sono legate in un fenomeno attraverso un grafico rettilineo (che passa per l’origine) si tratta di grandezze che variano “in proporzione”, al raddoppiare (triplicare, dimezzarsi, ecc.) dell’una raddoppia (triplica, si dimezza, ecc.) anche l’altra, così che il loro rapporto si mantiene costante. Oltre alla capacità di rendere disponibile in linea e di “oggettivare” una rappresentazione astratta, questo sistema permette di introdurre importanti novità nel lavoro sperimentale: permette di esplorare liberamente i fenomeni a partire da situazioni reali complesse a cui può non corrispondere nessuna formula; permette di ripetere molte volte l’esperienza apportando variazioni e vedendo cosa cambia nella relazione tra le grandezze in gioco; permette di esplorare la relazione tra più di due grandezze (si può chiedere di vedere oltre al grafico “distanza in funzione del tempo” anche il grafico della “velocità e/o dell’accelerazione in funzione del tempo”, vedere il grafico “velocità in funzione della posizione”, ecc.). Si crea così una ricca base di attività sperimentali e di loro rappresentazioni a partire dalla quale si possono costruire modelli interpretativi e introdurre relazioni formali a livelli crescenti di astrazione e difficoltà. LA FASE DI STUDIO. SENSI E SENSORI Solitamente si passa dallo studio di fenomeni di cui si è protagonisti (il proprio moto) e dalle sue rappresentazioni allo studio di fenomeni che avvengono per cause esterne (ad esempio, la caduta libera o lungo un piano inclinato). Il processo di costruzione di conoscenza dei concetti e delle procedure fondamentali della scienza del moto può venire ulteriormente arricchito dall’incontro col mondo dei robot programmabili. Si tratta di kit di costruzione e di gioco, ad esempio LEGO, che consentono di progettare e costruire veicoli mobili, dotati di motori e sensori, il cui moto è determinato in parte dal disegno costruttivo, in parte dalle regole di comportamento del robot che vengono inserite nel programma. Si tratta di oggetti “esterni”, autonomi, ma ancora molto legati a chi li ha progettati, realizzati, programmati per ottenere un comportamento desiderato; costituiscono “oggetti-per-pensare, oggetti in cui coesistono una presenza culturale, un sapere incorporato e la possibilità di una identificazione personale” [Papert, 1984: p. 17]. Sono oggetti che incoraggiano una interazione intelligente tra chi apprende e le idee astratte che sono incorporate nella tecnologia utilizzata. La presenza di interfaccia e sensori nei giochi LEGO e nei kit di costruzione di robot introduce una dimensione nuova nella ricerca sulle potenzialità offerte dall’approccio MBL. Il confine tra apprendimento e gioco diventa ancora più sfumato, la progettazione di esperimenti oltre ad essere finalizzata alla comprensione del fenomeno oggetto di studio viene ad essere finalizzata al raggiungimento di uno scopo concreto, ad ottenere un certo comportamento da parte del robot, ad avere un ritorno concreto sulla validità ed applicabilità delle proprie ipotesi. Alle potenzialità offerte da questi sistemi all’apprendimento di concetti fondamentali della meccanica già sviluppate nell’articolo di Resnick (2002) e in quello di Didoni (2002) in questo numero, vogliamo aggiungerne un’altra che ci porta ad arricchire la comprensione del moto, e non solo, da prospettive diverse da quella strettamente fisica. Il robot tocca Costruire un veicolo dotato di motori, interfaccia e sensori e programmarlo per ottenere determinati movimenti o per vedere come reagisce all’interazione con l’ambiente circostante porta a chiedersi: Cos’è un sensore? Che cosa “sente”? Somiglia ai nostri sensi? Come funzionano i nostri sensi? Che influenza hanno il nostro canale percettivo visivo e tattile su quello motorio nella gestione dello spazio nel quale ci muoviamo? Anche con bambini piccoli si possono avviare giochi di movimento ad occhi bendati, per esplorare il senso del tatto e la percezione dello spazio in assenza delle informazioni che provengono dal canale visivo8. A queste esperienze è possibile affiancare un lavoro di progettazione e costruzione di un veicolo dotato di un sensore di contatto9 Percorsi di apprendimento Quando la radiazione colpisce un oggetto o un materiale, in parte viene riflessa/diffusa (a seconda della rugosità della superficie e dell’angolo di incidenza), in parte viene assorbita, in parte riesce ad attraversare i materiali (a seconda del tipo di materiale e del suo spessore). Perché ci sia visione è necessario che i recettori (i nostri occhi, il sensore LEGO, ecc.) siano colpiti dalla luce emessa dalla sorgente o riflessa/diffusa dalla superficie di un oggetto. Ma la visione non si riduce alla misura delle caratteristiche fisiche della radiazione che colpisce i recettori; coinvolge anche un complesso processo di interpretazione dei dati raccolti da cui traiamo conclusioni su altre caratteristiche e quantità fisiche (distanze degli oggetti, forma, stato di moto o di quiete, colore, ecc.). 12 Ogni oggetto ci appare di un certo colore se illuminato da luce “bianca” poiché diffonde solo parte della radiazione che lo colpisce; la radiazione che colpisce l’occhio è dunque in generale modificata in direzione, intensità e caratteristiche cromatiche rispetto alla radiazione incidente. La nostra sensazione di colore però non ha una corrispondenza biunivoca con le caratteristiche cromatiche dello stimolo luminoso, così il nostro occhio vede bianco un cartoncino “bianco” illuminato dalla luce solare, ma anche un cartoncino “bianco” illuminato da tre fasci di luce sovrapposti di colore rosso, verde e blu. 27 figura 2 Il sensore di luce. TD27 Il robot “vede”? Si può quindi passare ad esplorare il comportamento di un robot dotato di sensore ottico. La LEGO, ad esempio, propone un sensore ottico, un mattoncino 4x2 dotato, su uno dei lati corti, di due “occhi”, all’apparenza uno rosso e l’altro scuro [vedi figura 2]. I due occhi sono diversi dai nostri in quanto l’occhio rosso è in realtà un emettitore di luce, un LED, solo l’altro occhio è un ricevitore di luce, che è in grado di riconoscere variazioni di luminosità e di fornire all’interfaccia del mattoncino programmabile un valore numerico proporzionale all’intensità della luce ricevuta. Quando il sensore riceve luce sul display del mattoncino programmabile compare infatti un valore tra 0 e 100 che dà una misura in percentuale rispetto al valore massimo misurabile (valore di saturazione). Poiché siamo familiari con situazioni con luce di intensità anche molto diversa (luce solare piena, illuminazione artificiale, ecc.) ma poco familiari con i numeri che rappresentano la misura di queste intensità, questa non corrispondenza del valore letto col valore numerico dell’intensità luminosa non costituisce in generale un problema. L’uso più immediato e preciso che si può fare di questo sensore è l’individuazione di sorgenti di luce e la progettazione di un robot mobile che viene attratto o respinto dalla luce. Si può ad esempio costruire un veicolo con due ruote, due motori, un sensore di luce e programmarlo in modo che quando il sensore legge un valore superiore a 75 arresti entrambi i motori e fermi il robot o ne inverta la marcia. Vale la pena però di esplorare più a fondo le caratteristiche di questo sensore e le eventuali analogie tra il senso visivo del robot e la nostra percezione visiva11. Ci possiamo ad esempio chiedere: il robot vede i colori? Se poniamo il sensore di fronte a una superficie illuminata che contenga zone di colore bianco e zone di colore nero il sensore riceverà una intensità di luce maggiore dal bianco che dal nero12, e quindi sarà in un certo senso capace di distinguerli. Si può ad esempio far muovere su questa superficie un veicolo con due ruote azionate ciascuna da un motorino programmato in modo tale che tutte le volte che il sensore di luce re- gistra un aumento di intensità luminosa venga invertita la rotazione di uno dei due motori fino a quando non venga registrata una diminuzione. Si ottiene così un comportamento di fuga del veicolo dalla luce e si riesce ad esempio a fare in modo che il robot segua una traccia nera su fondo bianco, qualunque sia la forma della traccia. Si può esplorare più a fondo la sensibilità del robot al colore, ponendo il sensore collegato al mattoncino programmabile a piccola distanza da alcune superfici, ad esempio cartoncini della stessa rugosità superficiale, che ci appaiono diversamente colorati se illuminati da luce bianca. Si nota allora che affacciando il sensore a superfici bianche e rosse sul display compare lo stesso valore; lo stesso avviene per superfici verde, blu e nera. Il robot sembrerebbe dunque non distinguere il bianco dal rosso, né il verde dal blu e dal nero. Ma cosa “vede” in questo caso il robot? Bisogna considerare che a piccola distanza dal cartoncino la luce emessa dall’occhio rosso (il LED) colpisce la superficie e ne viene diffusa ritornando all’occhio-ricevitore. Il bianco e il rosso diffondono tutta la luce (rossa) che li colpisce, danno quindi entrambi la stessa risposta. Il verde, il blu e il nero praticamente assorbono tutti la luce rossa dando tutti la stessa risposta (un valore molto basso, ma non nullo per come si comporta il circuito di misura). Sarebbe interessante confrontare la risposta del nostro occhio a situazioni analoghe in cui in un ambiente oscurato si illuminino gli stessi cartoncini con luce rossa. Si ottengono risultati sorprendenti trattandosi di condizioni di illuminazione per noi non usuali. Si può partire da questi spunti per avviare uno studio della percezione del colore e confrontare i recettori che sono nei nostri occhi con i sensori LEGO, la sensazione visiva che noi abbiamo e le reazioni che possiamo provocare nel robot dotato di sensore ottico, ci si renderà così conto che la visione è un fenomeno affascinante, molto complesso, non riducibile alla pura registrazione dello stimolo luminoso. numero 3-2002 che gli permettere di “sentire” quando incontra ostacoli e che si può programmare in modo da farlo reagire (arretrare, curvare) quando il sensore rileva la presenza di un ostacolo10. Percorsi di apprendimento CONCLUSIONI Non tutte le componenti del percorso sono ugualmente efficaci ed importanti per aiutare la costruzione di conoscenza da parte dei diversi allievi. Per alcuni è determinante la parte sperimentale (osservativa, di progettazione, di realizzazione), per altri è fondamentale la discussione critica e l’interpretazione teorica; per alcuni è sufficiente lo studio di pochi casi, per altri è necessario un lavoro ripetuto; per alcuni (solitamente la fascia di allievi classificati tradizionalmente come medio bassi) il lavoro con MBL risulta particolarmente stimolante e motivante, ma a volte si riduce a pura esecuzione se non viene sostenuto da stimoli ad analisi critica e a confronto tra i diversi casi, per altri (solitamente la fascia di allievi classificati tradizionalmente come medio alti) il lavoro con MBL resta più scontato se non viene affiancato da una elaborazione che arrivi a livelli anche impegnativi di generalizzazione e formalizzazione; la fase di progettazione e realizzazione di oggetti sia a bassa che ad alta tecnologia risulta in generale stimolante e gratificante. Per tutti risulta importante proporre accanto a un lavoro di osservazione e manipolazione sul piano sperimentale, un lavoro sul piano della descrizione e della rappresentazione, a molti livelli e con diversi linguaggi, sottolineando di ciascuno peculiarità e limi- ti, evidenziando la necessità di confrontarli, differenziarli e integrarli tra loro e con i fatti che rappresentano, legandoli alle interpretazioni che si danno sia di fatti singoli che di classi di fenomeni. Il percorso che abbiamo delineato deve essere inteso come emblematico di un modo di lavorare con i bambini e i ragazzi, per più anni, in modo coerente con l’evoluzione guidata della conoscenza degli allievi da forme iniziali di pensiero spontaneo e automatico a forme più consapevoli e vicine a quelle disciplinari. Un sapere che gli alunni sappiano ricostruire, comunicare ad altri, applicare in contesti appropriati, trasferire a contesti analoghi; un sapere che lasci in loro una traccia, una impronta anche quando avranno dimenticato le nozioni o i dettagli tecnici; un sapere che li renda consapevoli che tanto i contenuti e i procedimenti scientifici come gli oggetti tecnologici onnipresenti nella loro vita possono essere inventati, progettati, compresi, utilizzati con consapevolezza e piacere. RINGRAZIAMENTI Ringrazio in particolare Augusto Chioccariello per i fondamentali suggerimenti che mi ha fornito sia durante la realizzazione dell’unità di lavoro “Costruisci un esperimento” del progetto SeT sia per la stesura del presente lavoro. riferimenti bibliografici 28 Bonelli Majorino P., Gagliardi M., Giordano E. (1995), Metacognizione ed educazione scientifica, in Albanese O., Doudin P. A., Daniel M. (eds), Metacognizione ed educazione, Franco Angeli, Milano, pp. 217-236. 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Il laboratorio di robotica Il laboratorio di robotica Un modello per l’innovazione didattica nell’educazione scientifico-tecnologica ■ Roberto Didoni, Istituto Regionale di Ricerca Educativa - Lombardia [email protected] Mentre per la nostra generazione giocare con i robot è stato un esercizio di fantasia, legato ai libri di fantascienza di autori come Asimov, per i nostri figli i robot sono diventati molto più concreti: giocattoli come i peluche cibernetici alla Furby, gli animali domestici alla AIBO o le nuove bambole robotiche alla My Real Baby. Questi robot domestici, anche se dipendono per la loro crescita e benessere dalle cure di un umano, tuttavia sono dotati di una loro autonomia e violano la seconda legge della robotica di Asimov. Obbediscono, però, agli ordini dei loro costruttori che creano le regole del gioco e che sono opache per i consumatori. Si può giocare seconde le regole, ma non con le regole del gioco. Se nell’epoca della robotica industriale era ragionevole considerare determinate conoscenze come specialistiche e riservarle ad indirizzi e percorsi di formazione particolari, nell’era della robotica “domestica” è neces- 29 TD27 L’educazione al metodo scientifico nella scuola spesso si limita alla riproduzione di esperimenti storicamente rilevanti, secondo una logica che fa prevalere la trasmissione di conoscenze consolidate sulla loro (ri)costruzione da parte dei soggetti che devono apprenderle. Questa logica può essere ribaltata adottando una prospettiva costruzionista per la quale l’apprendimento è il risultato di una relazione tra le idee e la costruzione di oggetti ad esse correlate, da un lato, e il confronto con gli altri che ne promuove la condivisione, dall’altro. In questa prospettiva, l’uso di kit robotici rappresenta un elemento di novità in quanto permette di creare le condizioni per realizzare attività di laboratorio sperimentale in cui gli aspetti di invenzione (l’apporto personale) e riproduzione (la ricostruzione del sapere accumulato) siano nel giusto equilibrio. Se poi a questa proposta educativa di scuola si aggiungono attività extra-scolastiche come competizioni di robot, si crea una sinergia tra studio e gioco, tra competizione e cooperazione che favorisce un apprendimento motivato. L’INNOVAZIONE: UN INTRECCIO DI CONTENUTI E METODI «Le tre leggi della robotica 1. Un robot non può recar danno a un essere umano ne può permettere che, a causa del proprio mancato intervento, un essere umano riceva danno. 2. Un robot deve obbedire agli ordini impartiti dagli esseri umani, purché tali ordini non contravvengano alla Prima legge. 3. Un robot deve proteggere la propria esistenza, purché questa autodifesa non contrasti con la Prima e con la Seconda legge.» [Asimov, 1973] numero 3-2002 «Uno dei miei punti fermi centrali è che la costruzione che ha luogo ‘nella testa’ spesso si verifica in modo particolarmente felice quando supportata dalla costruzione di qualcosa di molto più concreto: un castello di sabbia, una torta, una casa di Lego o una società, un programma per computer, una poesia, o una teoria dell’universo.» [Papert, 1994] Il laboratorio di robotica 1 Ad un livello più pedagogico, la stessa contrapposizione può essere rappresentata dalla dicotomia tra istruzionismo, inteso come modalità che fa prevalere le ragioni dell’insegnare, e costruttivismo, dove al contrario sono considerate rilevanti le ragioni (e le emozioni) del soggetto che apprende. 2 Scrive Howard Gardner (1993): “… anche gli studenti meglio preparati e dotati di tutti i carismi del successo scolastico – regolare frequenza di scuole valide, valutazioni molto elevate, buoni punteggi nei test e riconoscimenti da parte degli insegnanti – solitamente non mostrano affatto una comprensione adeguata dei contenuti e dei concetti con cui lavorano”. 3 30 Il laboratorio di robotica non va confuso con il laboratorio di informatica in quanto in quest’ultimo in genere è prevalente, se non esclusivo, il tempo di interazione con i bit. 4 Un catalogo americano scaricabile dalla rete (http://www.robotstore. com) ne riporta almeno un centinaio. TD27 numero 3-2002 5 Progetto SeT - Documento di base, allegato A della circolare ministeriale n. 270 del 12/11/99, pag. 4, reperibile all’indirizzo http://www.indire.it/set /area4_progetto/normativa /cm270_99a.rtf sario che almeno una parte di queste conoscenze entrino a far parte di quel sapere di base che cerca di dare a tutti gli strumenti per comprendere e orientarsi nella vita quotidiana. E anche il sistema scolastico necessita di una periodica revisione e ristrutturazione del sapere che va proponendo. A questa prima motivata ragione per introdurre la robotica a scuola, più legata alla selezione del sapere, se ne aggiunge una seconda, più di ordine metodologico, che può essere rappresentata dalla contrapposizione tra didattica d’aula e didattica di laboratorio1. A favore del primo termine, la didattica d’aula, c’è soprattutto l’esigenza di garantire che una quantità predefinita di conoscenze venga assimilata dagli studenti entro vincoli temporali dati (la programmazione per obiettivi, ad esempio, è una tipica risposta a questa esigenza). Questa finalità, che appare ragionevole e condivisibile, a sua volta però deve fare i conti con risultati spesso deludenti: la sequenza lezione-esercitazione tende a produrre una conoscenza superficiale. Sequenze di informazioni che calano dall’alto non hanno tempo di sedimentarsi, di interagire con le conoscenze del soggetto che apprende, di essere oggetto di dialogo e confronto tra punti di vista diversi, di concretizzarsi in esperienze significative e inevitabilmente scivolano via “come acqua sulla pietra”. Al contrario, la modalità laboratorio cerca di promuovere una partecipazione motivata del soggetto al proprio processo di apprendimento, di creare un rapporto attivo con la realtà e collaborativo con i compagni, per promuovere una comprensione profonda2. Questa seconda motivata ragione per occuparsi di robotica si concretizza nella possibilità di creare le condizioni di un apprendimento che sia attivo e costruttivo, contestuale e problematico, conversazionale e collaborativo, intenzionale e riflessivo, tratti e caratteri tipici, al di là delle differenze tra scuole di pensiero, del paradigma costruttivista, emerso con forza negli ultimi anni. IL LABORATORIO DI ROBOTICA: ORGANIZZAZIONE E STRUMENTI «A volte penso che mi lascerei rinchiudere dieci tese sotterra, dove non penetrasse un filo di luce, purché in cambio potessi scoprire di che cosa la luce è fatta.» [Brecht, 1963] Per molte e diverse ragioni, l’organizzazione di un laboratorio di robotica a scuola non può essere vista come la scelta personale di un insegnante (anche se questo può essere un legittimo punto di partenza), ma come un consapevole impegno dell’istituzione ad offrire alla propria utenza una situazione di apprendimento ritenuta particolarmente valida ed efficace. Infatti, questo impegno si sostanzia in un investimento che va nella direzione di attrezzare uno spazio adeguato. È utile qui ricorrere al concetto di interfaccia: così come l’interfaccia di un software rende possibile e condiziona l’interazione tra utente e programma, i laboratori possono essere visti come interfacce che creano e condizionano le interazione tra utenti e ambiente e/o tra utilizzatori e strumenti. Una prima caratteristica del laboratorio di robotica è di essere un’interfaccia con il mondo degli atomi: da ciò discende che lo spazio di lavoro deve essere adeguato e funzionale alla manipolazione di oggetti. Una possibile soluzione è di attrezzarlo con un adeguato numero di grandi tavoli attorno ai quali prendono posto piccoli gruppi di studenti che hanno così a disposizione una ampia e comoda superficie di lavoro. Un secondo carattere del laboratorio di robotica è di essere anche un’interfaccia con il mondo dei bit: da qui la necessità che lo spazio di lavoro sia attrezzato anche con computer, pochi e posti magari ai margini dei tavoli, o comunque in modo da non limitare lo spazio necessario per interagire con gli oggetti3. Per quanto riguarda la strumentazione, l’offerta sul mercato di kit per la costruzione di robot è ampia4. Tuttavia, i materiali utilizzati nelle esperienze a cui faccio riferimento sono esclusivamente costituiti da kit LEGO, per almeno due ragioni: una più pratica, la facilità d’acquisto; l’altra più sostanziale, le caratteristiche del prodotto. I kit LEGO sono distribuiti in Italia e quindi facilmente acquistabili. Altri kit di costruzione robotica, invece, andrebbero comprati in rete o ordinati all’estero e questo fatto, in genere, per le scuole costituisce una complicazione non facilmente superabile. Per quanto riguarda le caratteristiche del prodotto, quelli LEGO sono, come tutti i prodotti LEGO, kit di costruzione che utilizzano elementi modulari: partendo da un insieme limitato di elementi base si possono realizzare strutture complesse di vario tipo e natura. Modularità significa versatilità. Al contrario, i kit di costruzione robotica reperibili in rete sono in genere kit per la costruzione di una determinata struttura che, Volendo individuare un modello di attività di laboratorio, ma con tutte le precauzioni Prima fase Metodologia Esplorare (2 ore) • L’insegnante stimola una Discussione guidata discussione aperta e libera, ponendo domande e utilizzando immagini per esplorare preconoscenze degli studenti Seconda fase Metodologia Conoscere/Costruire (3 ore) • L’insegnante presenta alcuni Lezione guidata disegni di Leonardo chiedendo agli alunni di estrapolare Attività in piccolo gruppo ingranaggi e realizzarli con scheda guida con materiale LEGO • L’insegnante propone di Attività di gruppo documentare il lavoro svolto per verificare i risultati ottenuti Terza fase Metodologia Progettare/Problem solving • L’insegnante propone attività • L’insegnante chiede di di progettazione e/o realizzare un animale risoluzione di problemi fantastico che presenti il maggior numero di movimenti • L’insegnante chiede agli alunni di ricostruire un meccanismo contenuto all’interno di una scatola di cui siano visibili solo l’elemento iniziale e finale del gruppo meccanico Quarta fase Metodologia Documentare • L’insegnante propone di Discussione guidata realizzare una mostra per Attività di gruppo documentare l’attività svolta Contenuti Materiali di lavoro Il laboratorio di robotica figura 1 Esempio di schema organizzativo per la programmazione delle attività di lavoro utilizzato dal progetto “Costruiamo un robot”. Prodotto/i Esplorazione preconoscenze • Domande guida su ingranaggi e meccanismi, • Immagini di macchine, Leonardo e le macchine ingranaggi e meccanismi Cartellone con i risultati della discussione Contenuti Materiale di lavoro Prodotto/i Vite senza fine Maglio meccanico Ruota a camme Glifo Trasformazione moto rotatorio in rettilineo Cremagliera ecc. • Immagini gru di Leonardo Modelli LEGO delle macchine di Leonardo Contenuti • Schede di lavoro • Materiale per cartelloni, ecc. Cartellone riassuntivo sul funzionamento delle macchine di Leonardo Materiale di lavoro Prodotto/i Come sopra • Scatola ingranaggi • Kit LEGO Technic o LEGO MindStorms Animali fantastici Modelli di meccanismi Contenuti Materiale di lavoro Prodotto/i Come sopra • Documentazione in formato Mostra dei prodotti cartaceo o elettronico realizzati (schemi, disegni, testi, riprese video/foto digitali) 31 TD27 IL LABORATORIO DI ROBOTICA: STRUTTURA E MODULARITA “Un buon insegnamento scientifico-tecnologico non può che basarsi sulla continua interazione fra elaborazione delle conoscenze e attività pratico-sperimentali. Nella pratica scolastica spesso accade che, da un lato, gli specifici processi cognitivi della scienza e della tecnologia non abbiano spazio o siano ridotti a nozioni, e, dall’altro, la pratica sperimentale sia spesso banalizzata, quando non manca del tutto.” [dal documento di base del progetto SeT5] del caso perché tante e diverse possono essere le modalità di realizzazione e i contesti di applicazione, possiamo identificare un percorso articolato in quattro fasi [vedi figura 1]: 1. una prima fase rivolta ad esplicitare preconoscenze ed aspettative degli studenti (una didattica costruttivista sottintende che la mente dei ragazzi non è un foglio bianco); 2. una seconda (se necessario) più “istruzionista”, di apprendimento guidato (non tutto può o deve sempre essere scoperto, contrattato, costruito, a volte la trasmissione può essere oltreché più rapida anche più efficace); 3. una terza di progettazione autonoma e/o di individuazione e risoluzione di un problema da parte del gruppo (è questa la fase più costruttivista, dove l’interazio- numero 3-2002 una volta assemblata, non può più essere decostruita e ri-costruita. Questo limita fortemente le possibili esperienze di costruzione. Il laboratorio di robotica 6 Il progetto “Costruiamo un robot” è stato realizzato nell’ambito del bando del MIUR “Materiali per SeT” e ha visto la partecipazione di otto scuole lombarde insieme ad alcune università e centri di ricerca. Per una documentazione approfondita rimando al sito, http://www5.indire.it:808 0/set/microrobotica/ 7 Murray Gell-Mann è stato premio Nobel per la fisica nel 1969 grazie alla scoperta dei quark. 8 Se è vero che scienza e tecnologia hanno finalità e metodi in parte distinti, è anche vero che nel mondo di oggi è sempre più difficile stabilire confini netti e precisi. Questa situazione giustificherebbe per il mondo scolastico la scelta di considerare l’educazione scientifico-tecnologica come un’area, cioè come un ambito allo sviluppo del quale possono contribuire saperi e figure anche diverse ma in una prospettiva di forte integrazione. 9 Nella rassegna faccio sempre riferimento alle attività elaborate nell’ambito del progetto “Costruiamo un robot”. 10 32 Un approccio che parta dagli aspetti più tecnici (come è fatto, come funziona) sembra più naturale, e logicamente antecedente, rispetto ad un’esplorazione delle leggi fisiche che ne governano il funzionamento. In questo senso si può stabilire un forte legame tra l’attività su ingranaggi e meccanismi e una successiva indagine sui concetti fisici implicati (come forza, attrito, ecc.) . TD27 numero 3-2002 11 Interagendo con l’ambiente, e anche tra di loro, i robot possono trovarsi nella condizione di rilevare ed elaborare in parallelo informazioni provenienti da fonti diverse (per esempio, un sensore di luce e un sensore di contatto). ne tra persone e tra soggetti e oggetti evolve da esperienza in conoscenza); 4. e una quarta, infine, di metacognizione, nella quale gli studenti sono invitati a riflettere sul loro operato, magari con l’obiettivo di presentarlo ad altri (è questa la fase più orientata alla sedimentazione delle conoscenze, attraverso la loro esplicitazione e ri-organizzazione). Esemplifico questi quattro punti facendo riferimento all’attività “Ingranaggi e meccanismi” elaborata all’interno del progetto “Costruiamo un robot”6. Nella prima fase, l’insegnante utilizza la tecnica del brainstorming per stimolare un’esplorazione del campo e far emergere quello che gli studenti sanno e/o pensano sul tema trattato. Lo scopo è quello di arrivare ad un sapere, anche minimo, ma condiviso che accenda curiosità ed interesse per le successive attività [vedi la fase 1 in figura 1]. Nella seconda fase, più esecutiva, di istruzione se vogliamo, gli studenti sono come apprendisti guidati nell’acquisizione di conoscenze e/o operazioni che dovrebbero metterli in grado di diventare in seguito più autonomi. In questa fase l’insegnante utilizza spiegazioni frontali ed esercitazioni guidate appositamente predisposte [vedi la fase 2 in figura 1]. Lo scopo della terza fase potrebbe essere sintetizzato dal motto “mettiamoci alla prova”: dopo aver esplorato determinate conoscenze e informazioni ora si tratta di usarle, applicarle nella realizzazione di qualcosa e/o nella risoluzione di un problema. In questo modo le conoscenze vengono praticate, verificate, arricchite e rese più solide: tipico di questa fase è l’individuazione di un problema da risolvere attraverso la realizzazione di un progetto [vedi la fase 3 in figura 1]. Con la ricostruzione dell’esperienza fatta, infine, si arriva alla quarta fase che ha lo scopo di sistematizzare e fissare le conoscenze acquisite. Per questa fase può essere utile chiedere agli studenti di tenere un diario di bordo, utilizzabile anche per promuovere modalità di (auto)valutazione tipo portfolio [vedi la fase 4 in figura 1]. IL LABORATORIO DI ROBOTICA: CONTENUTI E PERCORSI «… il corso di fisica che avevo seguito al liceo era stato il più noioso in assoluto, e … l’unica materia in cui ero andato male era proprio la fisica. Avevo dovuto imparare a memoria cose come i sette tipi di macchine semplici: la leva, la vite, il pia- no inclinato e via dicendo. Altrettanto deludente era stato lo studio della meccanica, calore, suono, luce, elettricità e magnetismo, presentati senza il minimo accenno a qualche connessione tra questi argomenti.» [Gell-Mann, 1996]7 Quali conoscenze, oggetti del sapere, possono essere efficacemente proposte nell’ambito di un laboratorio di robotica? Prima di esplorare questo punto, una premessa metodologica. Nella pratica diffusa della scuola italiana, il rischio che attività e contenuti proposti in attività di laboratorio siano estranei e separati da quelli erogati in aula (sia dallo stesso docente, ma soprattutto dagli altri) è grande (oltreché devastante). Al contrario, l’integrazione tra questi due momenti può assicurare il massimo di efficacia all’attività di insegnamento. Quello della robotica, in particolare, è un ambito dove è indispensabile un approccio multi (o inter o pluri) disciplinare, determinato anche dalla funzionalità dei risultati e dalla concretezza delle prestazioni richieste: due fattori particolarmente importanti per una scuola che voglia dare concretezza alla scelta di un’area scientifico-tecnologica, dove studiare il perché, una prospettiva più scientifica, risulti un’attività strettamente integrata con studiare il come, un’ottica più tecnica o tecnologica8. Ed ecco una sommaria rassegna di alcuni possibili contenuti9. • Ingranaggi e meccanismi: è possibile esplorare questo ambito del sapere di tipo più tecnico, ma caratterizzato da una profonda dimensione storica (si pensi, per esempio, alle macchine di Leonardo da Vinci) e onnipresente negli oggetti della nostra vita quotidiana10. • Programmare un robot: è possibile un approccio alla programmazione utilizzando ambienti che, adottando una metafora di programmazione visiva, privilegiano semplicità e facilità d’uso, ma anche rendono possibile una programmazione concorrente e per eventi che supera la logica, decisamente astratta e virtuale, di una programmazione rigidamente lineare-sequenziale11. • Costruire un esperimento: è questa, invece, una possibilità che introduce alla scoperta e comprensione del metodo scientifico. Si possono progettare e realizzare semplici esperimenti che implicano la raccolta e l’analisi di serie di dati12. • Il feedback: è praticabile un approccio pra- Il laboratorio di robotica COSTRUIAMO UN ROBOT schematizzazione dei percorsi Costruiamo un esperimento Ingranaggi e meccanismi Feedback Programmiamo un robot Gara di robot Comportamento emergente PROGETTARE E REALIZZARE GARE DI ROBOT Non è secondario in tutto il discorso fin qui svolto che accanto ad attività scolastiche come quelle sopra delineate, esista una pratica, piuttosto diffusa a livello mondiale, di organizzazione di gare di robot alle quali possono partecipare anche studenti con i loro artefatti. Questa possibilità, al di la dell’aspetto motivazionale che la accomuna a tutte le forme e modalità di “uscita dalla scuola” (in senso reale e metaforico), è particolarmente interessante per realizzare un modello di apprendimento innovativo basato sul concetto di comunità e sulla sinergia cooperazione-competizione. Infatti, la partecipazione ad una gara di robot può essere vissuta come semplice uscita sul campo (dopo aver realizzato a scuola un’attività di preparazione si affronta la gara), ma può anche essere proposta e realizzata con una forte integrazione tra il dentro e il fuori, promuovendo una comunità di attori che, legati da un compito-evento nel quale saranno in competizione, si preparano ad esso in modo cooperativo. Il punto critico in questo modello non è tanto l’ambiente telematico più o meno sofisticato che costituisce lo strumento di comunicazione tra i soggetti impegnati nel compito, quanto la proposta e la modalità di lavoro. Ogni gruppo di studenti impe- figura 2 Esempio di percorso per il laboratorio di robotica. 12 Per una trattazione più estesa di questo argomento vedi gli articoli di Resnick et al (2002) e di Giordano (2002) in questo numero. 13 In senso stretto si parla di comportamento emergente quando si rileva un comportamento che non è stato esplicitamente programmato ma “emerge” dall’interazione tra gli attori del fenomeno in questione. Realizzare esperienze di questo tipo con kit di robotica è possibile ma non facile. Una possibilità alternativa è ispirarsi ai veicoli di Braitemberg (1984), dove in un senso più ampio si può parlare di comportamento emergente quando un automa esibisce un comportamento interpretabile con una categoria più complessa ma che in realtà è prodotto da regole di livello più elementare. È in questo secondo senso che il concetto è più accessibile con semplici esperienze di robotica. 33 14 Ma anche attività di secondo livello, come feedback e comportamento emergente, potrebbero svolgere questa funzione. TD27 zati sensori ed attuatori. Ad un terzo livello viene individuata un’attività che raccoglie, condensa, utilizza tutte le conoscenze e competenze maturate, impegnandole nella realizzazione di un progetto il più possibile autonomo. In questa direzione si potrebbe collocare la proposta di Progettare e realizzare gare di robot14. numero 3-2002 tico-intuitivo (formalizzabile nel corso dell’attività) a questo importante concetto scientifico. Derivato dalla cibernetica del primo ordine, il concetto di feedback ha un ambito di applicazione ampio e trasversale che spazia dal naturale all’artificiale. Questa caratteristica induce a considerarlo, nell’ambito del sapere tecnicoscientifico, come una conoscenza fondamentale. • Il comportamento emergente: anche in questo caso è possibile un approccio pratico-intuitivo. Il concetto di comportamento emergente, derivato dalla cibernetica del secondo ordine, è una conoscenza indispensabile per la comprensione di tutta quella più recente conoscenza scientifica che ruota attorno alle teorie della complessità13. È possibile in questo insieme ricco ma vario di oggetti del sapere individuare un percorso ideale per la programmazione di un laboratorio di robotica a scuola? Precisato che sono possibili e legittimi diversi e differenti percorsi, ne propongo uno cercando di darne una giustificazione [vedi figura 2]. Ad un primo livello si possono individuare due attività che concorrono a formare le competenze minime e a fornire le conoscenze di base per costruire un robot: • Ingranaggi e meccanismi, che fornisce un apporto indispensabile per tutti gli aspetti e problemi di tipo meccanico (primo elemento, insieme alle problematiche sulla realizzazione di strutture, costituente della robotica). • Programmare un robot, che fornisce le competenze e le conoscenze per il controllo dell’automa (secondo elemento indispensabile per la costruzione di automi). Una variante più approfondita di questo percorso di base potrebbe arrivare a comprendere un’attività sul Feedback, dove vengono esplorati e utilizzati sensori ed attuatori (terzo elemento portante della robotica). Ad un secondo livello vengono individuate tre attività di approfondimento (che diventano due se si segue la seconda variante del percorso base): • Costruire un esperimento, che propone un’esplorazione sistematica dei sensori e può essere vista come un approfondimento dell’attività sul feedback. • Comportamento emergente, che è possibile considerare un approfondimento dell’attività di programmazione. • Feedback, dove vengono esplorati e utiliz- Il laboratorio di robotica gnato nella realizzazione del proprio automa, e quindi ad affrontare e risolvere i problemi che il compito posto dalla gara richiede, deve incorporare nella propria attività anche la produzione di una documentazione, periodica ma sistematica, leggera ma esplicativa, sul proprio operato (“Oggi io e Giorgio abbiamo provato a …”). È la messa in comune di questa documentazione, realizzata appunto con un qualche sistema di condivisione on-line, che crea, da un lato, l’interesse ad andare a vedere cosa hanno fatto gli altri (scoprendo soluzioni e possibilità nuove o ricevendo rinforzo sul proprio operato) e, dall’altro, una maggior consapevolezza di quanto si sta facendo (riflettendo appunto sul proprio operato per comunicarlo ad altri). Si ottiene, così, il valore aggiunto di un apprendimento cooperativo (auspicabile, ma non spontaneamente riproducibile) dentro un evento competitivo (la gara appunto), dove è giusto, poi, che vinca il migliore. RINGRAZIAMENTI Buona parte dei contenuti del presente articolo è frutto di elaborazione collettiva da parte del gruppo che ha realizzato il pro- getto “Costruiamo un robot”, e anche, in alcuni casi, di contributi personali da parte di singoli componenti del gruppo. Ritengo comunque doveroso ringraziare e nominare tutti coloro che hanno reso possibile la realizzazione del progetto: Augusto Chioccariello, Luigi Sarti e Stefania Manca del C.N.R., Istituto per le Tecnologie Didattiche di Genova; Andrea Bonarini, Dipartimento di Elettronica e Informazione del Politecnico di Milano; Enrica Giordano, Dipartimento di Epistemologia ed Ermeneutica della Formazione dell’Università degli Studi di Milano Bicocca; Salvatore Sutera, Claudio Giorgione e Giovanni Crupi del Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia “Leonardo da Vinci” di Milano; Giuseppe Di Benedetto della SMS “Manzoni-Benzi” di Bresso (MI); Paolo Molena dell’IC “Q. Di Vona” di Milano; Maura Geri dell’IC “E. Fermi” di Lainate (MI); Patrizia Poletti dell’IC “Iqbal Masih” di Pioltello (MI); Rosa Ritucci della SMS “Allende-Croci” di Paderno Dugnano (MI); Corrado Vitto della SMS “U. Foscolo” di Brescia; Giuseppe Romaniello dell’IC “Rinascita-Livi” di Milano; Cesare D’Angelo dell’IC di Gambolò (PV). 34 TD27 numero 3-2002 riferimenti bibliografici Asimov I. (1973), Io robot, Mondadori, Milano. Gardner H. (1993), Educare al comprendere, Feltrinelli, Milano. Papert S. (1994), I bambini e il computer, Rizzoli, Milano. Braitenberg V. (1984), I veicoli pensanti, Garzanti, Milano. Gell-Mann M. (1996), Il quark e il giaguaro, Bollati-Boringhieri, Torino. Brecht B. (1963), Vita di Galileo, Einaudi, Torino. Giordano E. (2002), Percorsi di apprendimento, TD – Tecnologie Didattiche, n. 27, pp. 21-28. Resnick M., Berg R., Eisenberg M. (2002), Beyond Black Boxes: restituire trasparenza e estetica all’indagine scientifica, TD – Tecnologie Didattiche, n. 27, pp. 5-20. a cura di Maura Geri, docente di Educazione Tecnica presso l’Istituto Comprensivo di Lainate, Milano 1. La sfida La sfida [fig. 1] consiste nel costruire un robot che riesca ad uscire nel più breve tempo possibile da un labirinto in cui sono presenti alcuni ostacoli. La proposta viene accolta con entusiasmo dai ragazzi che si dividono in gruppi per risolvere il problema. figura 1 figura 2 ruote dentate che si incastrano nel polistirolo e i cingoli che appaiono più lenti. Viene individuata una soluzione che sembra promettente: due coppie di ruote grandi che sembrano facilitare al robot il superamento delle curve. 2. Studio del percorso Lo studio del percorso [fig. 2] fornisce alcune prime indicazione per la scelta del robot da costruire. Si passa quindi a visionare alcune schede di montaggio per scegliere gli elementi che faranno parte dell’automa. 4. Programmazione Parallelamente alla costruzione del robot si sviluppa il programma [fig. 4] utilizzando il linguaggio “RCX code”. Il comportamento del robot viene testato sul campo e si torna più volte ad effettuare modifiche sia hardware che software per migliorare le prestazioni del robot. 3. Costruzione e sperimentazione Una volta costruito un prototipo [fig. 3], si effettuano le prove di percorso per individuare le ruote più idonee al superamento dei vari ostacoli (palline di polistirolo, matite, palline da tennis). Si arriva così a scartare le 5. La gara Durante la gara [fig. 5] si confrontano soluzioni diverse che gruppi diversi di ragazzi hanno messo a punto. Si scopre così che possono esistere molte soluzioni ad uno stesso problema ma alcune sono più accettabili di altre. Il laboratorio di robotica La partecipazione ad una gara di robotica: schematizzazione del percorso didattico 35 figura 5 TD27 figura 4 numero 3-2002 figura 3 Costruire e programmare robot Costruire e programmare robot Un’esperienza pilota di valutazione delle abilità cognitive coinvolte nel processo di costruzione e programmazione comportamentale di robot ■ Barbara Caci, Antonella D’Amico, Maurizio Cardaci Dipartimento di Psicologia, Università degli Studi di Palermo {bcaci, adamico, cardaci}@unipa.it 36 TD27 numero 3-2002 1 I Khepera sono piccoli robot mobili, programmabili in linguaggio C, con otto sensori sensibili agli infrarossi e alla luce e due motori indipendenti. INTRODUZIONE Negli scenari riguardanti le nuove tecnologie didattiche sta progressivamente acquistando un posto di rilievo la robotica educativa. Tale termine designa una varietà di esperienze formative, ispirate ai principi teorico-metodologici del costruttivismo [Piaget e Inhelder, 1966; Papert, 1980, 1986; Resnick et al, 1988] e della embodied cognition [Clark, 1997], e basate sull’impiego di Robotic Construction Kit come strumenti di apprendimento. I Robotic Construction Kit sono scatole commerciali (Fischertechnik® Mobile Robots, LEGO® RoboLab™, LEGO® MINDSTORMS™, ecc.) che consentono di costruire e programmare organismi artificiali, caratterizzati da un apparato senso-motorio e da un cervello capaci di eseguire svariati repertori comportamentali nell’ambiente [Miglino et al, 1999]. Gli elementi hardware e software di tali kit trasferiscono la cognizione in artefatti concreti, offrendo ai soggetti, nella fase di progettazione ed implementazione del robot, la possibilità di generare veri e propri “modelli mentali incorporati” o di usare “oggetti-con-cuipensare” (object-to-think-with) [Papert, 1980, 1986]. In altre parole, i Robotic Construction Kit favoriscono la messa in atto di una sorta di costruttivismo “pratico”, nel quale la risoluzione di problemi, legata all’obiettivo di assicurare l’adattamento all’ambiente da parte del robot, si intreccia con l’apprendimento di concetti scientifici, sostenuto da “impalcature” reali (scaffolding) [Vygotsky, 1962]. L’efficacia dei Robotic Construction Kit nella didattica è stata dimostrata attraverso esperienze di robotica educativa condotte in istituti universitari [Martin, 1992, 1994; Lund, 1999] e scolastici [Järvinen, 1998]. Tali esperienze hanno utilizzato situazioni del tipo hands-on [Resnick, 1988, 1989, 1994; Kafai e Resnick, 1996] nelle quali il soggetto, lavorando in assoluta autonomia, si trova ad affrontare un preciso compito di problem-solving. Una delle prime esperienze hands-on di robotica educativa con kit LEGO si deve a Martin (1992, 1994). Piccoli gruppi di studenti universitari di ingegneria ed informatica dovevano costruire e programmare un agente intelligente, capace di compiere un percorso e di evitare alcuni ostacoli. L’interesse per l’uso didattico dei Robotic Construction Kit nel processo d’acquisizione di concetti legati all’intelligenza e alla vita artificiale è confermato dalle ricerche di Lund (1999) basate sui robot Khepera1. Per ciò che concerne l’ambito scolastico, Järvinen (1998) ha utilizzato con successo l’ambiente di apprendimento LEGO/Logo come strumento didattico e cooperativo con gruppi di bambini di 11-12 anni. In particolare, la sua esperienza si avvaleva di robot per favorire l’apprendimento di nozioni tecnico-matematiche (frizione, rapporti di trasmissione, sistema decimale, e così via). OBIETTIVI DELLA RICERCA I contributi menzionati sopra dimostrano, a vario titolo, l’efficacia della robotica in situazioni didattiche, ma non forniscono indicazioni specifiche sulle abilità cognitive che entrano in gioco quando si programma e costruisce un robot. Tenuto conto che si tratta di dare forma a un corpo e, al con- Valutazione del profilo cognitivo Sono state esaminate individualmente le seguenti abilità cognitive: - Intelligenza logico-percettiva (Matrici Progressive Colorate); - Abilità visuo-costruttive (Reattivo della Figura Complessa su Copia); GRUPPO 1 GRUPPO 2 PM 47 % REY % SAVIO CC % SAVIO RP % SAVIO RD % MEDIA % A. C 92 92 62 100 50 79 F. G. 94 87 50 62 62 71 G. T. 94 79 37 100 87 79 M. C. 83 89 75 62 62 74 S. M. 89 75 62 100 75 80 C. A. A. E. A. M F. S. 81 94 83 92 89 86 74 93 37 87 25 37 75 75 50 62 50 75 37 25 66 83 54 62 Media G1 77% Costruire e programmare robot 37 tabella 1 Percentuali di risposte corrette ai test cognitivi. Media G2 66% TD27 METODO Hanno partecipato alla ricerca dieci allievi (età media 11 anni), selezionati mediante sorteggio dalle classi seconde della Scuola Media maschile “Altavilla” di Palermo. L’intero gruppo è stato quindi suddiviso casualmente in due sottogruppi, composti ognuno da cinque soggetti. In realtà, solo nove ragazzi hanno preso parte all’esperienza (uno ha preferito non partecipare dichiarando la propria difficoltà a “lavorare in gruppo”). L’esperienza si è svolta nel corso di 12 incontri (ciascuno di un’ora e mezzo), realizzati con cadenza bisettimanale (tra Aprile e Maggio 2002) e articolati in tre fasi principali: 1) valutazione del profilo cognitivo di ciascun soggetto; 2) costruzione del robot; 3) programmazione comportamentale del robot. - Intelligenza logico-operatoria (S.A.V.I.O., Sistema Automatizzato di Valutazione dell’Intelligenza Operatoria). La prova delle Matrici Progressive Colorate (PM47) di Raven (1947) è un test “culture free”, diffusamente utilizzato, che consente di valutare il funzionamento intellettivo mediante una serie di compiti non verbali. Il soggetto deve completare un disegno scegliendo la tessera giusta tra sei alternative proposte. Alcune prove prevedono che l’identificazione della tessera mancante avvenga attraverso l’utilizzo di competenze percettive (ad esempio, forma e colore), altri invece richiedono di individuare la tessera corretta secondo criteri logici. Al bambino vengono proposte 36 schede; il punteggio grezzo massimo è uguale a 36 ed il minimo è uguale a 0. Ai nostri fini, per ogni soggetto abbiamo calcolato la percentuale di risposte corrette. Il noto Reattivo della Figura Complessa su Copia di Rey (1968) consiste nella presentazione di una figura geometrica complessa, con la consegna di riprodurla su un foglio bianco non rigato. La prova viene valutata assegnando un punteggio da 1 a 36 a seconda che la figura riprodotta contenga tutti gli elementi della figura originaria e che questi siano collocati nell’adeguata posizione spaziale. Anche in questo caso, è stata calcolata la percentuale di risposte corrette di ogni soggetto. S.A.V.I.O. [D’Amico et al, 2001] è un sistema implementato su supporto informatico per la valutazione delle abilità logico-operatorie in pre-adolescenti e adolescenti. Il sistema esamina le seguenti abilità: calcolo combinatorio (il soggetto deve eseguire varie procedure di ordinamento sistematico di n elementi); ragionamento probabilistico (il soggetto deve operare confronti numerici fra vari tipi di frazioni); ragionamento de- numero 3-2002 tempo, di pensarne le possibili azioni, è probabile che siano coinvolte diverse abilità cognitive: da quelle senso-motorie e visuo-costruttive (riferibili al manipolare, aggiustare, connettere fisicamente gli elementi secondo precise configurazioni spaziali) fino ai processi di ragionamento (deduttivo/induttivo), di problem-solving e di decisionmaking, legati all’assegnazione di adeguati repertori comportamentali agli agenti. Da simili considerazioni scaturisce la presente ricerca, finalizzata ad una prima esplorazione delle abilità cognitive richieste nella realizzazione di robot. Costruire e programmare robot duttivo (il soggetto deve trarre inferenze deduttive a partire da enunciati sillogistici e/o condizionali). L’intera prova include 24 problemi (8 per ogni subtest, 1 punto per ogni problema risolto correttamente). Il punteggio dei soggetti è stato calcolato in termini di percentuale di risposte corrette. I risultati ottenuti dimostrano che tutti i soggetti coinvolti nella ricerca presentano un livello cognitivo nella norma, benché si osservino [tabella 1] differenze, intra-individuali e inter-individuali, nelle percentuali di risposte corrette. Molti soggetti presentano profili disomogenei, con punteggi particolarmente bassi ad alcune prove e prestazioni elevate in altre; A.M. ottiene invece punteggi bassi in tutti i test considerati (percentuale media pari a 54), mentre il pattern opposto è mostrato da A.E. che ottiene punteggi elevati in tutti i test (percentuale media pari a 83). Considerando i risultati medi dei due gruppi, si osserva una migliore performance del Gruppo 1 (percentuale media pari a 77) rispetto al Gruppo 2 (percentuale media pari a 66). Costruzione di Roverbot All’assessment cognitivo è seguita la fase di familiarizzazione con i materiali hardware del Robotic Construction Kit. Ogni gruppo ha usato un kit “Robotic Invention System 2.0” della linea LEGO MindStorms, contenente mattoncini LEGO, sensori di luce, sensori di contatto, motori, ghiere, ruote, ecc., un RCX™ Microcomputer (unità di controllo centrale che supporta tre motori, tre sensori e una porta seriale di comunicazione a raggi infrarossi), un trasmettitore seriale a raggi infrarossi (che consente di effettuare il download del programma dal computer al robot), un CD-ROM con l’interfaccia di programmazione ed infine la Constructopedia™, un piccolo manuale di istruzioni che propone differenti progetti utili a costruire vari tipi di robot. 38 TD27 numero 3-2002 figura 1 Roverbot si compone di un corpo centrale composto dal RCX al quale sono collegate quattro ruote di differente grandezza (due anteriori più piccole e due posteriori più grandi); due motori; un paraurti anteriore doppio con due sensori di contatto (sensore destro; sensore sinistro); un sensore di luce collocato posteriormente verso il basso. Ai partecipanti è stato inizialmente mostrato Roverbot, il modello finale dell’artefatto da costruire e programmare [figura 1] illustrando i vari elementi presenti nel kit (mattoncini LEGO, sensori di luce, di contatto, motori, ecc.) ed il loro funzionamento. Il compito di costruzione dell’artefatto ha interessato i successivi tre incontri (4°-6°). I due gruppi sono stati impegnati a costruire separatamente gli elementi principali di Roverbot, in base alle seguenti istruzioni: “Costruisci il paraurti”, “Costruisci il corpo, le ruote e il sensore di luce”. La costruzione di ogni elemento prevedeva anche il collegamento elettrico tra sensori/attuatori e l’RCX. Durante l’attività di costruzione è stato utilizzato un approccio di “costruzionismo guidato” [Lund, 1999]. I ragazzi, seguendo le istruzioni contenute nella Constructopedia, hanno cooperato nell’assemblare a turno i vari elementi di Roverbot. Ogni soggetto è stato a turno coinvolto nella ricerca dei pezzi necessari al montaggio e nell’assemblaggio dei diversi elementi. Al fine di incrementare la comprensione degli elementi e delle funzioni del robot, in una sessione finale, ogni gruppo ha ricostruito Roverbot. Nella fase di ricostruzione dell’artefatto si è preferito utilizzare un approccio di “costruzionismo puro” [Lund, 1999] fornendo ai ragazzi tutti i materiali (scatola e istruzioni) e garantendo loro, nel rispetto della regola della collaborazione e della reciprocità, la libertà di scegliere le unità da cui partire, i turni di costruzione, la possibilità di usufruire del manuale, ecc. In tale fase è stata misurata, attraverso una griglia d’osservazione appositamente predisposta, la prestazione di ciascun gruppo nella ricostruzione dell’artefatto, annotando il tempo di esecuzione totale e il numero di errori nel montaggio/smontaggio dei pezzi di Roverbot. Nella ricostruzione di Roverbot, i ragazzi del Gruppo 1 si mostrano più abili dei ragazzi del Gruppo 2. I ragazzi del Gruppo 1 impiegano, infatti, 75 minuti a ricostruire Roverbot, commettendo solo 17 errori nel montaggio/smontaggio dei pezzi (7 errori nella costruzione del paraurti; 3 errori nel corpo; 1 errore nelle ruote e 6 errori nel sensore di luce). I ragazzi del Gruppo 2 impiegano, invece, 90 minuti commettendo 25 errori in totale (11 errori nella costruzione del paraurti, 7 errori nel corpo, 6 errori nelle ruote, and 1 errore nel sensore di luce). Programmazione comportamentale di Roverbot In tale fase, i ragazzi si dedicavano individualmente alla programmazione comportamenta- Costruire e programmare robot figura 2 Arena. 39 2 Una strategia adattiva consente di risolvere un compito anche in presenza di imprevisti o quando l’ambiente di esplorazione non è del tutto noto al soggetto. Il programma deve utilizzare l’input dei sensori per adattarsi al mutare delle situazioni. TD27 compito nelle tre prove previste. A tal proposito, va sottolineato che la soluzione adattiva del compito non è affatto semplice. In particolare, risulta problematica la programmazione del sensore di luce in quanto ad esso è possibile assegnare un unico repertorio comportamentale, ad esempio “torna indietro e gira a destra per 3 secondi”. Una simile sequenza di comandi risulta ottimale solo quando il bordo scuro rilevato si trova in una particolare zona dell’arena, in questo caso il bordo sinistro. Inoltre, il sensore di luce LEGO non distingue bene i colori, ma solo differenze tra chiaro e scuro; questo non permette di distinguere tra il bordo destro e sinistro, ad esempio assegnando loro diversi colori. La soluzione prevista è collegata al funzionamento dei sensori di contatto, posizionati nei due paraurti. Premendo il paraurti di destra, infatti, il robot intraprende la traiettoria verso il bordo sinistro, premendo il paraurti di sinistra il robot intraprende la traiettoria verso il bordo destro. Potendo quindi prevedere su quale lato dell’arena il robot incontrerà il bordo scuro è possibile assegnare programmi diversi al sensore di luce (“gira a sinistra” quando incontrerà il bordo destro e “gira a destra” quando incontrerà il bordo sinistro) a seguito della pressione di uno o dell’altro paraurti. Un altro problema legato al funzionamento del sensore di luce riguarda l’impossibilità di distinguere i bordi dal traguardo. In altre parole non è possibile programmare il sensore di luce in modo tale che il robot muti direzione quando incontra il bordo scuro e, viceversa, si fermi quando incontra il traguardo; abbiamo pertanto ritenuto completo il compito quando il robot raggiungeva il traguardo senza tuttavia fermarsi. Alla luce di tali riflessioni, sono state concesse ai soggetti alcune prove aggiuntive di programmazione. Ciononostante, gli unici cinque ragazzi (F.G., M.C, A.E, S.M, F.S.) che sono riusciti ad assegnare a Roverbot un repertorio comportamentale adeguato alla risoluzione del compito non sono stati ca- numero 3-2002 le del robot. Al fine di acquisire i fondamenti dell’interfaccia di programmazione “Robotic Invention System 2.0.” essi sperimentavano alcune “missioni di training” precostruite, effettuandone il download su Roverbot. Nel corso degli ultimi incontri è stato richiesto ai soggetti di lavorare individualmente nella costruzione di un repertorio comportamentale utile a risolvere il compito così formulato: “Hai costruito Roverbot, un robot che presenta tali caratteristiche: 2 motori che consentono di andare avanti, andare indietro, girare a destra e girare a sinistra; 1 paraurti con 2 sensori di contatto che danno al robot informazioni su ostacoli presenti nell’ambiente; 1 sensore di luce che consente di riconoscere la differenza tra bianco e nero. Crea ora un programma che consenta a Roverbot di effettuare il percorso dalla partenza al traguardo nel minor tempo possibile”. Roverbot doveva “muoversi” in un’arena di 70x150 cm, con i bordi colorati in nero ed un ostacolo fisico posto al centro [figura 2]. Ogni ragazzo era libero di compiere tre prove di programmazione, sperimentandole tramite download nel RCX. La prestazione alla terza prova di programmazione è stata valutata dividendo l’intero repertorio comportamentale di Roverbot nelle 4 sequenze necessarie a risolvere il task con una strategia adattiva2: 1) uso di motori e ruote per muoversi all’interno dell’arena; 2) uso del sensore di destra presente nel paraurti; 3) uso del sensore di sinistra presente nel paraurti; 4) uso del sensore di luce. Per realizzare un programma adattivo il soggetto dovrebbe infatti pianificare come raggiungere la meta (sequenza 1), prevedendo al contempo l’intervento dei sensori di contatto e di luce per il controllo e l’aggiustamento della traiettoria nei casi di rilevazione dell’ostacolo (sequenze 2-3) o del bordo scuro (sequenza 4). Ad ogni soggetto è stato pertanto assegnato un punteggio compreso tra 0 e 8 in base ai seguenti indicatori: mancata programmazione dell’intera sequenza (0 punti); erronea programmazione della sequenza (1 punto); corretta programmazione della sequenza (2 punti). I risultati relativi alla programmazione comportamentale di Roverbot evidenziano una prestazione del Gruppo 1 lievemente superiore (media = 5.2) a quella del Gruppo 2 (media = 4.2). Per ciò che riguarda i punteggi individuali, quattro soggetti (F.G., G.T., M.C., A.E.) ottengono 6 punti, quattro soggetti (A.C., S.M., A.M., F.S.) 4 punti e solo un soggetto (C.A.) 3 punti. Nessuno dei soggetti è stato quindi capace di risolvere il Costruire e programmare robot paci di realizzare un programma adattivo. Essi, infatti, hanno calcolato la lunghezza del percorso e gli angoli di curvatura in modo che il robot evitasse l’ostacolo posto al centro dell’arena e raggiungesse il traguardo, senza programmare tutti i sensori in modo corretto. Non è da escludere che la natura stessa del compito proposto elicitasse soluzioni non adattive; rileggendo con attenzione le consegne si evince, infatti, come sia virtualmente possibile risolvere il compito anche solo mediante un’esatta pianificazione della traiettoria ed escludendo di fatto l’uso di tutti i sensori (strategia di fatto seguita dai soggetti). Questi aspetti mettono in evidenza le difficoltà che è possibile incontrare qualora si voglia calare in un contesto educativo un settore complesso ed innovativo quale quello della robotica. Si impone, infatti, la necessità di riflettere in maniera approfondita sugli aspetti metodologici legati in particolare alla selezione di compiti che elicitino la scelta di soluzioni adattive. Una possibile strategia, suggerita da Martin (1987), potrebbe ad esempio consistere nel non esplicitare ai soggetti la posizione e l’orientamento iniziale del robot nell’ambiente, impedendo la pianificazione a priori di traiettorie. DISCUSSIONE E CONCLUSIONI Relativamente agli obiettivi principali della presente ricerca, i risultati ottenuti sembrano confermare il coinvolgimento delle abilità cognitive considerate sia nel processo di costruzione (ricerca e montaggio dei pezzi) che di programmazione comportamentale di robot. Se i risultati relativi ai punteggi dei gruppi evidenziano una prestazione lievemente superiore dei soggetti del Gruppo 1 sia nei compiti cognitivi che nella sperimentazione dei robot, sono soprattutto le prestazioni individuali a dimostrare che a punteggi più alti ai test corrispondono maggiori abilità di programmazione comportamentale del robot. In particolare, si è evidenziata una correlazione statisticamente significativa tra la performance al subtest di ragionamento sillogistico e condizionale di S.A.V.I.O. e i punteggi ottenuti al test di programmazione (r=.608 p<.05). Non sorprende che le abilità di ragionamento logico, consentendo ai soggetti di anticipare e pianificare le azioni necessarie a risolvere un particolare compito comportamentale, rappresentino un importante correlato delle competenze di costruzione e programmazione di robot. Il presente studio rappresenta un primo tentativo di misurare empiricamente le abilità cognitive implicate nella costruzione e programmazione comportamentale di robot. Obiettivo futuro è la conduzione di ulteriori indagini, su gruppi più ampi di soggetti, mirate a confermare i presenti risultati. Sul versante educativo e/o riabilitativo, inoltre, appositi studi potrebbero mirare ad indagare se la costruzione, ed in particolare la programmazione comportamentale di robot, possa configurarsi come un metodo efficace per l’incremento delle abilità logiche. RINGRAZIAMENTI Si ringrazia Vanessa Costa per la collaborazione all’esperienza di ricerca. riferimenti bibliografici 40 Clark A. (1997), Being There: Putting Body, Brain, and World Together Again, The MIT Press, Cambridge, MA (trad. it. Dare Corpo alla Mente, Mc-Graw Hill, Milano, 1999). TD27 numero 3-2002 D’Amico A., Guarnera M., Cardaci M. (2001), SAVIO: Sistema Automatizzato di Valutazione dell’Intelligenza Operatoria. Descrizione e Sperimentazione pilota dello strumento, Bollettino di Psicologia Applicata, 235. Järvinen E.-M. (1998), LEGO / Logo learning environment in technology education and in the context of mathematical end scientific subjects, http://edtech.oulu.fi/T3/co urses/wp13/material/legologo.htm Kafai Y., Resnick M. (eds) (1996), Constructionism in Practice: Designing, Thinking, and Learning in a Digital World, Lawrence Erlbaum Associates, Hillsdale, NJ. Lund H. H. (1999), Robot Soccer in Education, Advanced Robotics Journal, 13 (8), pp. 737-752. Martin F. 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Lund Maersk Institute for Production Technology, University of Southern Denmark [email protected] ToyBots. Allevare robot per apprendere a governare un processo evolutivo ToyBots. Allevare robot per apprendere a governare un processo evolutivo ■ Luigi Pagliarini Laboratorio di Tecnologie Cognitive, Dipartimento di Psicologia, Seconda Università di Napoli; Maersk Institute for Production Technology, University of Southern Denmark [email protected] 41 TD27 imbrigliata una volta per tutte. Tutto al più, ciò che è in nostro potere è “prenderci cura” di un pezzo di natura e aiutare l’emergere, nel corso del tempo, di forme vantaggiose per la nostra sopravvivenza. All’opposto, il mondo della tecnologia ha sviluppato tecniche e pratiche del tutto diverse da quelle adottate dagli uomini per governare la natura. Le macchine sono il prodotto finale di un dettagliato lavoro di analisi/progettazione/programmazione. L’autonomia di un artefatto deve essere prossima allo zero. Abbiamo l’esigenza di sapere esattamente cosa succede alle ruote di un’automobile quando sterziamo a sinistra! Nella tecnologia l’imprevisto deve essere ridotto al minimo. Il potere è nelle mani dell’uomo che deve tendere al pieno controllo della macchina e dell’interazione con essa. Secondo il quadro appena descritto, costruire macchine e coltivare piante sono due attività radicalmente diverse. L’ingegnere e il botanico sembrano avere pochi argomenti in comune. Ciò è stato sicuramente vero fino a qualche decennio fa. In realtà, lo sviluppo scientifico e tecnologico ha prodotto una contaminazione tra i due mondi. Oggi cominciano a comparire organismi che sono progettati e macchine che vengono allevate. La biologia sta cominciando a conoscere i dettagli del processo generativo di un esse- numero 3-2002 PROGETTARE ORGANISMI, ALLEVARE MACCHINE Coltivare, allevare, addestrare e insegnare sono attività che hanno consentito all’uomo di governare e plasmare la natura. Lungo l’arco temporale di migliaia di anni, agricoltori, allevatori, educatori o, semplicemente, genitori hanno affinato e continuano ad affinare la capacità di osservare, seguire e modificare il percorso evolutivo del vivente. Certo, il botanico ha tecniche differenti dall’educatore ma entrambi devono avere la capacità di cavalcare il divenire ingaggiando un dialogo tra due entità autonome: loro stessi e il pezzo di natura che vogliono aiutare a crescere. Da un punto di vista molto generale, potare la siepe del nostro giardino per fargli assumere una forma rettangolare, seguire l’educazione ventennale di un figlio, selezionare generazione dopo generazione una razza canina per produrre degli individui con un pedigree perfetto, sono dei processi simili. In tutte e tre queste attività seguiamo la storia di uno o più organismi (pianta, essere umano, animale) e interveniamo, a seconda del caso, per correggere, inibire, facilitare comportamenti e morfologia di alcuni esseri viventi. In questo processo, l’uomo non ha il perfetto controllo sulla natura. Ogni organismo ha una quota di autonomia che difficilmente si presta ad essere ToyBots. Allevare robot per apprendere a governare un processo evolutivo TD27 numero 3-2002 42 re vivente e ciò sta consentendo un certo grado di progettazione genetica di un essere vivente (si veda, per esempio, il caso degli organismi geneticamente modificati). Dal versante tecnologico, si tenta di dare risposte a problematiche molto complesse della nostra vita quotidiana e si è dovuto imboccare la strada della costruzione di macchine che hanno una qualche forma di autonomia. Ciò è inevitabile! Delegando ad una macchina funzioni molto complesse ne perdiamo parzialmente il controllo. Per esempio, un supercalcolatore costruito per calcolare previsioni economiche relative ad un determinato mercato analizza miliardi di informazioni. La macchina emette il “verdetto” dopo un lungo processo di elaborazione. Per qualsiasi essere umano è impossibile controllare i singoli passaggi adottati dalla macchina e quindi egli deve necessariamente fidarsi di essa (su questo punto si veda la documentata riflessione di Baley (1996)). La situazione si complica ulteriormente quando si vogliono realizzare macchine che agiscono in ambienti naturali, pericolosi o distanti come nel caso delle esplorazioni spaziali. In queste condizioni le macchine devono adattarsi alle mutevoli condizioni ambientali che possono risultare imprevedibili nella fase di progettazione /realizzazione. L’unico modo per affrontare dei problemi del genere consiste nel costruire delle macchine che abbiano una qualche forma di autonomia o più precisamente possiedano, analogamente a qualsiasi essere vivente, dei meccanismi di adattamento. Siamo quindi ad un apparente paradosso disciplinare: in biologia si sta affermando la Biotecnologia e in computer science è nata la Vita Artificiale. La prima fa proprio l’apparato concettuale tradizionale della tecnologia: analizzare nel dettaglio una struttura o un processo per poi successivamente ricostruirlo passo dopo passo. La seconda, ispirandosi alle conoscenze biologiche circa i processi di adattamento (sia a livello filogenetico che ontogenetico), tende a costruire delle macchine adattive e in qualche misura “viventi”. La contaminazione tra bios e tecné è reciproca ed è appena iniziata. Sarà di enorme importanza seguirne gli sviluppi ed essere coscienti del fortissimo impatto che, inevitabilmente, avranno sulla nostra vita quotidiana. Sarebbe un gravissimo errore pensare che una modalità di controllo/governo del reale abbia la prevalenza sull’altra. A fronte di questo tumultuoso processo di trasformazione sia in ambito tecnologico che scientifico, il senso comune resta ancorato a vecchi schemi di pensiero. Risulta dominante la visione di una ricerca scientifica tendente ad analizzare e sezionare la natura e le cose per averne il pieno controllo. Non a caso si sente molto parlare di Biotecnologie e pochissimo di Vita Artificiale. In realtà, come abbiamo cercato di descrivere precedentemente, il quadro è sicuramente più composito. Proprio in ambito tecnologico, si cerca di recuperare tutta una serie di competenze e conoscenze circa la capacità di governare e indirizzare il divenire delle forme. Riteniamo che sia giunto il momento di recuperare e sottolineare l’importanza di quest’ultima fonte di intervento dell’uomo sulla materia (vivente e non) e proponiamo di farlo tramite uno strumento che consenta di sperimentare la possibilità di allevare macchine e in particolare di addestrare robot. In genere i robot sono utilizzati in ambito educativo per insegnare delle discipline tecnico-scientifiche e vengono per l’appunto progettati, programmati e realizzati. Tale metodologia ha dato dei risultati sicuramente interessanti (si veda [Martin, 2001] e [Miglino et al, 1999]). Tant’è che, grazie alla facile reperibilità di kit robotici educativi, la costruzione/progettazione di robot in ambito didattico è diventata una pratica ampiamente usata sia in ambito scolastico che universitario. C’è da dire che in tutti i casi di maggior successo si parte dalla considerazione implicita che un robot mobile è fondamentalmente una macchina e in quanto tale trattabile con un approccio ingegneristico classico. In realtà un robot mobile è qualcosa di diverso rispetto ad una macchina tradizionale. Il robot agisce in un ambiente in continuo cambiamento, spesso imprevedibile. Per esempio, la luce, la temperatura e l’umidità possono variare da momento a momento e da luogo a luogo. Il corpo stesso del robot è sottoposto all’azione di trasformazioni: la fonte di alimentazione energetica (le batterie) decade rapidamente, processi di invecchiamento e di usura modificano l’assetto elettro-meccanico della macchina, ecc. Il robot, a differenza delle macchine tradizionali, deve far fronte a tutte queste imprevedibili variazioni in modo autonomo. Non esiste un guidatore umano che ne controlli direttamente il comportamento. In sostanza, un robot mobile può essere visto come un vero e proprio organismo artificiale che deve adattarsi continuamente e autonomamente alla variabilità dell’ambiente in cui è immerso. Questa è proprio la visione di recenti ap- TOYBOTS ToyBots è stato costruito implementando una serie di tecniche e soluzioni ingegneristiche sviluppate nell’ambito della Robotica Evolutiva [Nolfi e Floreano, 2000], degli Algoritmi di Apprendimento per Rinforzo [Sutton e Barto, 1998] e delle tecniche di Interaction Evolutionary Design [Bentley, 1999]. La Robotica Evolutiva si propone di sviluppare dei robot ispirandosi direttamente alle teorie dell’evoluzione biologica. In tal senso, piccole popolazioni di robot vengono sottoposte ad un processo di evoluzione artificiale al fine di adattarsi a qualche particolare ambiente di vita. Gli Algoritmi di Apprendimento per Rinforzo si ispirano direttamente alle teorie di apprendimento sviluppate nell’ambito della psicologia animale. Vengono usati per addestrare macchine (in genere si tratta di reti neurali artificiali) a risolvere problemi particolarmente complessi. Infine, le tecniche di Interaction Evolutionary Design consentono ad un utente di realizzare degli oggetti (software e hardware) attraverso l’interazione continua con un programma per computer che propone una serie di varianti degli oggetti medesimi. L’utente sceglie alcune di queste varianti e il sistema informatico, a partire dagli oggetti selezionati, produce una nuova serie di varianti. Il processo di selezione/produzione di varianti procede fino a quando l’utente non ritiene di aver allevato un oggetto di suo particolare gradimento. ToyBots. Allevare robot per apprendere a governare un processo evolutivo 43 TD27 so di ricopiatura introduciamo delle piccole modifiche casuali (mutazioni). In tal modo abbiamo una nuova popolazione di oggetti che possono a loro volta essere selezionati, ricopiati e mutati. Teoricamente, il processo potrebbe non avere mai fine. Sfruttando proprio questa tecnica abbiamo sviluppato un primo prototipo per l’allevamento/addestramento di robot da utilizzare in ambito ludico/educativo. Il sistema si basa sull’uso combinato di un software di allevamento/addestramento e di un kit robotico del genere LEGO® MINDSTORMS™. Riteniamo (e speriamo) che l’uso di ToyBots, questo è il nome dato al prototipo, possa consentire di iniziare quella necessaria opera di divulgazione scientifica su due importantissimi temi: addestrare le nuove generazioni a saper osservare e intervenire in un processo evolutivo; conoscere le relazioni e le contaminazioni in atto tra biologia e tecnologia. numero 3-2002 procci alla robotica quali la Robotica Biomorfa [Webb e Consi, 2001] e la Robotica Evolutiva [Nolfi e Floreano, 2000] che, nel corso dell’ultimo decennio, hanno prodotto un notevole bagaglio di tecniche, metodologie e soluzioni mirate alla realizzazione di macchine adattive. Tutti questi metodi di adattamento/addestramento dell’artificiale traggono ispirazione da ben sedimentate teorie scientifiche riguardanti i processi adattivi biologici. In particolare, la Teoria Darwiniana dell’Evoluzione Biologica e alcune Teorie di Psicologia dell’Apprendimento sono state trasformate in precisi algoritmi. Per Darwin ogni forma vivente è il prodotto di un lungo e costante processo di adattamento che coinvolge, nel corso di migliaia di anni, una enorme massa di individui. Un essere vivente deve procurarsi le risorse energetiche che gli garantiscono la sopravvivenza individuale e, parallelamente, tende a riprodursi per garantire la sopravvivenza della propria specie. In questa doppia dinamica ontogenetica (che avviene a livello individuale) e filogenetica (che si esplica a livello di specie) risiede il motore della vita. Inoltre, la Teoria Darwiniana, contrariamente a quanto ipotizzato da Lamark, afferma che gli organismi trasmettono alla loro prole solo ed esclusivamente il proprio patrimonio genetico (genotipo). Quindi, tutto ciò che viene appreso durante la vita di un individuo non viene trasmesso ai propri figli. Le differenze che pur esistono tra genitori e figli sono da imputarsi a delle mutazioni casuali del patrimonio genetico della prole. Tali mutazioni avvengono nella fase della riproduzione. In tal modo si garantisce la variabilità della popolazione. Sarà l’interazione con l’ambiente a selezionare gli individui aventi un patrimonio genetico adatto alla sopravvivenza (e quindi alla riproduzione) in specifiche condizioni ambientali. Tutti questi processi, ben documentati dalla ricerca biologica e dettagliatamente descritti dalla Teoria Evoluzionistica Darwiniana sono stati applicati all’allevamento di macchine e di oggetti e hanno preso il nome di Algoritmi Genetici. Esistono algoritmi genetici molto complessi. A scopo esemplificativo descriviamo una delle forme più semplici. Si costruisce una popolazione iniziale di oggetti aventi delle caratteristiche molto differenti uno dall’altro. Da questo primo insieme di individui ne selezioniamo alcuni, ovvero quelli che soddisfano maggiormente le nostre esigenze. Per ogni selezionato produciamo un certe numero di copie (cloni) e nel proces- ToyBots. Allevare robot per apprendere a governare un processo evolutivo 1 La versione di ToyBots, distribuita gratuitamente, fu realizzata nel biennio 1996-1997. Purtroppo, per la rapida obsolescenza delle soluzioni informatiche a suo tempo adottate, il sistema attualmente può essere usato solo in modalità software. In questi mesi è in produzione una versione aggiornata che sarà in distribuzione nel corso del 2004. Una documentazione sul progetto di ricerca corredata dell’eseguibile del programma si può reperire su http://ctlab.unina2.it/ figura 1 L’allevamento di una popolazione di robot simulati con ToyBots. TD27 numero 3-2002 44 ToyBots integra queste tre tecniche allo scopo di allevare/addestrare una piccola popolazione di robot a muoversi in ambienti contenenti muri, ostacoli e aree con differenti livelli di illuminazione. Il processo di allevamento/addestramento avviene in un ambiente software e i risultati ottenuti in questo ambiente possono essere scaricati nel computer di bordo di un robot fisico1. L’ambiente di allevamento Inizialmente, sullo schermo del computer appaiono nove riquadri [vedi figura 1]. Ogni riquadro rappresenta un’arena bidimensionale dove agisce un robot simulato (graficamente rappresentato come un piccolo rettangolo). L’allevatore può selezionare ambienti con caratteristiche fisiche differenti: l’arena può essere completamente sgombera (lo spazio è totalmente bianco), può contenere delle aree di diverso colore (in tal caso il pavimento è rappresentato con diverse tonalità di grigio), oppure possono essere presenti degli ostacoli (graficamente rappresentati come piccoli cerchi). Ogni robot viene posizionato in un punto casuale dell’arena e produce dei movimenti in funzione di regole del tipo “se vedi bianco allora fai un passo in avanti”, “se tocchi un ostacolo allora vai a sinistra”, ecc. Questo iniziale insieme di regole, che costituisce il sistema di controllo della macchina, è attribuito casualmente da ToyBots ad ogni robot. L’allevatore non ha diretto accesso al programma di governo della macchina, ne vede solo gli effetti comportamentali (il movimento del robot all’interno dell’arena). Le traiettorie dei nove robot vengono mostrate nei relativi riquadri. A questo punto, l’allevatore può selezionare tre robot che a suo giudizio presentano il comportamento più interessante. Per ogni individuo selezionato, ToyBots produce tre copie dei sistemi di controllo. Nel processo di copia alcune regole comportamentali vengono casualmente modificate. Per esempio, una regola del tipo “se vedi bianco allora gira a destra” potrebbe essere casualmente modificata nella regola “se vedi bianco allora gira a sinistra”. Al termine del processo di copia/mutazione si ottengono nove sistemi di controllo che, impiantati in altrettanti robot, produrranno dei comportamenti leggermente differenti da quelli selezionati dall’addestratore. Una nuova schermata consentirà all’allevatore di operare la selezione di altri tre individui da cui ToyBots produrrà altri sistemi di controllo leggermente modificati e così via. In qualsiasi momento l’allevatore può decidere di trasferire un sistema di controllo dal robot simulato al computer di bordo del robot fisico. L’ambiente di addestramento ToyBots consente di passare dall’ambiente di allevamento di una popolazione di robot ad un ambiente dedicato all’addestramento di un singolo individuo. Grazie a questa funzionalità, l’addestratore ha la possibilità di scegliere un individuo tra i nove robot mostrati nell’ambiente di allevamento e trasportarlo in un ambiente di addestramento individuale [vedi figura 2]. In quest’ultimo ambiente, l’addestratore osserva il comportamento del robot e può decidere di premiarlo oppure punirlo. In funzione del tipo di rinforzo imposto dall’addestratore, ToyBots modificherà le regole comportamentali del robot (ovvero del sistema di controllo). È da sottolineare il fatto che, analogamente a quanto accade nell’ambiente di allevamento, l’addestratore può solo osservare il comportamento del robot ma non accedere al sistema di controllo della macchina. Quando l’addestratore è soddisfatto del comportamento esibito dal robot può decidere di ritornare nell’ambiente di allevamento [ovvero quello mostrato in figura 1]. Il robot che ha ricevuto l’addestramento individuale conserva il nuovo set di regole comportamentali ma, se selezionato, non le trasmetterà alla sua copia. In altre parole, ToyBots funziona secondo i criteri della Teoria Darwiniana dell’Evoluzione Biologica: i discendenti di un individuo non ereditano le abilità apprese durante la vita dai loro genitori. ToyBots. Allevare robot per apprendere a governare un processo evolutivo L’USO DI TOYBOTS IN CONTESTI EDUCATIVI Il nostro gruppo di ricerca parte dallo studio delle caratteristiche biologiche e comportamentali degli esseri viventi per poi costruirne dei sistemi artificiali che li simulano. Tali artefatti possono trovare varie applicazioni (ricerca di base, educazione, divertimento, ecc.). Quindi, la nostra “expertise” si ferma nel momento in cui l’oggetto viene usato/valutato/manipolato da qualcuno. Nel caso di ToyBots abbiamo sentito l’esigenza di cominciare ad indagare in prima persona circa l’efficienza psico-pedagogica del prototipo. Abbiamo, quindi, condotto un primo studio pilota sull’uso di Toybots come supporto didattico all’insegnamento dell’Evoluzione Biologica (per una più approfondita descrizione dell’esperienza si veda [Miglino et al, 2002]). L’esperienza didattica fu condotta da due classi di un liceo scientifico napoletano. I ragazzi avevano un’età compresa tra i 14 e i 15 anni. Ambedue i gruppi prendevano parte ad una lezione di biologia evoluzionistica tenuta dai loro insegnanti. Al termine della lezione una classe aveva l’opportunità di approfondire gli argomenti trattati dal docente usando dei tradizionali prodotti multimediali, mentre l’altro gruppo di studenti era introdotto all’uso di ToyBots. Al fine di avere una misura quantitativa dei progressi raggiunti dai ragazzi, somministrammo prima della lezione, dopo la lezione e al termine delle sessioni informatiche dei questionari di verifica dell’apprendimento. La classe che utilizzò ToyBots mostrò dei punteggi significativamente superiori a quelli ottenuti dai ragazzi che usarono i tradizionali ipertesti multimediali. C’è da dire che questi primi risultati quantitativi rappresentano solo un piccolo indizio sull’efficacia educativa di strumenti tipo ToyBots e non possono essere assolutamente considerati come prova definitiva e fondante su cui costruire argomentate riflessioni psico-pedagogiche. È indubbio però l’apprezzamento espresso dai ragazzi e dagli insegnanti nell’introduzione di questo nuovo supporto alla didattica tradizionale. ToyBots ha consentito loro di sperimentare in prima persona delle vere e proprie evoluzioni artificiali. In sostanza, allievi ed insegnanti sono entrati in un processo e hanno contribuito a governarlo. Hanno realizzato macchine senza programmarle, ma allevandole e addestrandole. Dopo le sessioni di laboratorio gli insegnanti hanno potuto indirizzare le discussioni condotte in classe intorno ai concetti di “controllo” versus “governo”, di “programmazione” versus “allevamento”. In sostanza, hanno fatto leva sulla dissonanza cognitiva inevitabilmente prodotta dal processo di allevamento di macchine per avviare una riflessione critica sui rapporti tra biologia e tecnologia. Da un punto di vista strettamente tecnologico, gli insegnanti di scienze hanno potuto introdurre i ragazzi verso le nuove forme di tecniche ingegneristiche (algoritmi genetici, robot mobili, algoritmi di apprendimento, ecc.) che cominciano ad avere ricadute applicative anche nella nostra vita quotidiana. figura 2 L’addestramento individuale di un robot con ToyBots. 45 riferimenti bibliografici Martin F. (2001), Robotic Explorations: An Introduction to Engi- Miglino O., Lund H. H., Cardaci M. (1999), Robotics as an educational tool, Journal of Interactive Learning Research, vol. 10, n. 1, pp. 25-48. Miglino O., Lund H. H., Pagliarini L. (2002), Teaching Evolutionary Biology Using Artificial Life, Rapporto Tecnico n. 01-2002, Laboratorio di Tecnologie Cognitive, Dipartimento di Psicologia, Seconda Università di Napoli. Nolfi S., Floreano D. (2000), Evolutionary Robotics, The MIT Press, Cambridge, MA. Sutton S., Barto A. G. (1998), Reinforcement Learning: An Introduction, The MIT Press, Cambridge, MA. Webb B., Consi T. R. (2001), Biorobotics, The MIT Press, Cambridge, MA. TD27 Bentley P. (1999), Evolutionary Design by Computers, Morgan Kaufman Academic Press, San Francisco. neering Through Design, Prentice-Hall Inc., Upper Saddle River, NJ. numero 3-2002 Baley J. (1996), Il Postpensiero, Garzanti, Milano. Costruire giocattoli cibernetici Costruire giocattoli cibernetici Riflessioni e proposte sull’esplorazione e programmazione di giocattoli computazionali per la scuola dell’infanzia ■ Edith K. Ackermann, Augusto Chioccariello, Stefania Manca, Luigi Sarti TD27 numero 3-2002 46 I giocattoli computazionali stanno acquistando un peso sempre maggiore nei contesti caratterizzati da una elevata cultura tecnologica e godono di una grande diffusione anche nelle fasce più giovani della popolazione, specie quelle in età prescolare. Ma soprattutto suscitano negli adulti in generale, e in particolare in chi si occupa di problematiche educative, opinioni contrastanti. C’è chi li ritiene un’ottima “palestra” per i più giovani, che dovrebbero così prendere confidenza e prepararsi ad interagire con gli strumenti e i gadget del loro probabile futuro, diventandone al contempo protagonisti nella progettazione e nella creazione e non limitandosi ad esserne solo utenti. Altri, al contrario, denunciano i pericoli insiti nel fatto che i più piccoli si accostino troppo presto ad espressioni tecnologiche pensate per un mondo di adulti e spesso finalizzate a promuovere la produttività piuttosto che la riflessione, col risultato di deprimere la creatività e costringere lo spazio del gioco a dimensioni e percorsi ripetitivi. Com’è ovvio, entrambe le posizioni sono in buona misura giustificate, ed entrambe tuttavia peccano di assolutismo. Può essere, forse, più interessante chiederci quali caratteristiche possiamo evidenziare, nel giocattolo in sé e nel contesto in cui questo viene proposto al bambino, che ne ottimizzino la valenza pedagogica e di crescita. A nostro avviso un buon giocattolo computazionale, perché possa essere considerato tale, dovrebbe poter assolvere a due importanti compiti: da un lato, rivestire un alto valore cognitivo, in grado di favorire, ad esempio, l’apprendimento di concetti complessi (quali feedback, auto-organizzazione, causalità, controllo, intenzionalità), lo sviluppo di modalità di pensiero astratto e strutturato e di capacità di modellizzazione della conoscenza, ecc.; dovrebbe, inoltre, essere in grado di suscitare importanti e significativi interrogativi su temi quali vivente e animato, oltre ad assolvere alla funzione cognitiva di costruzione del sé e dell’identità individuale. Dall’altro lato, dovrebbe poter giocare un ruolo di mediazione e transazione culturale in grado di veicolare valori e letture del mondo, di produrre ed elaborare nuovi significati, di assolvere alla funzione sociale di costruzione dell’identità collettiva e di un sistema di valori condiviso. Condizione necessaria, seppur non sufficiente, perché le due funzioni sopra citate vengano assolte è che questi oggetti siano non solo ispezionabili (a differenza della maggior parte dei giocattoli commerciali quali, ad esempio, Tamagotchi o Furby), consentendo di entrare dentro sia ai meccanismi di costruzione e assemblaggio che a quelli che ne regolano il comportamento e l’interazione con l’esterno, ma soprattutto modificabili, consentendo la creazione di variazioni significative a partire da un modello dato o la produzione ex novo. In questo senso, rivestono particolare interesse i giocattoli il cui comportamento sia programmabile, che coniughino cioè la generalità e la flessibilità del computer con la concretezza e la reattività degli automi (o robot). Obiettivo del presente articolo è quello di proporre alcune riflessioni su cosa possa e debba intendersi per un buon giocattolo tecnologico, anche attraverso lo sviluppo di una proposta di utilizzabilità che sia in gra- Costruire giocattoli cibernetici 47 1 Piaget J. (1975), L’Equilibration des structures cognitives, Puf, Paris. TD27 Nella seconda parte, intitolata La fabbrica dei robot, Augusto Chioccariello, Stefania Manca e Luigi Sarti cercano di rispondere alla domanda: come rendere possibile per i bambini la programmazione di costruzioni cibernetiche? La composizione di programmi, tradizionalmente considerata un’attività specialistica, può essere affrontata anche da bambini, purché gli ambienti proposti siano specializzati nella direzione delle caratteristiche del problema da risolvere; siano immediatamente operativi e sostengano il dialogo e la riflessione metacognitiva. Viene proposto un modello a regole per la definizione del comportamento di un robot, che instaura una relazione tra lo stato dei sensori e una sequenza di azioni. Comportamenti complessi sono il risultato della composizione di comportamenti semplici. Poiché si tratta di una proposta rivolta a bambini piccoli, l’ambiente deve poter offrire modalità di accesso sia iconiche che testuali e permettere di personalizzare i nomi e la rappresentazione grafica dei suoi elementi, in sintonia col significato antico di “dare nome” alle cose nel senso di controllarle. I bambini possono esplorare comportamenti esistenti (esempi precostituiti o sviluppati da altri), adattarli alle loro necessità o crearne di nuovi. L’articolo descrive un kit di costruzioni cibernetiche basato sul LEGO® MINDSTORMS™ e le caratteristiche di un ambiente di sviluppo software che privilegia approcci sociali basati sulla narrazione e la meta-riflessione. Vengono, inoltre, descritti alcuni progetti realizzati da bambini di cinque e sei anni nelle scuole dell’infanzia del Comune di Reggio Emilia. numero 3-2002 do di “rivestire” il giocattolo di una serie di metodiche, interfacce, servizi, funzioni, dispositivi software e hardware in grado di conferirgli appetibilità, usabilità, ispezionabilità secondo una data granularità, e trattabilità da parte di bambini piccoli. L’articolo si compone di due parti distinte. Nella prima, dal titolo Ambienti di gioco programmabili: cos’è possibile per un bambino di quattro anni?, Edith K. Ackermann si occupa di analizzare quali aspetti della programmazione possono essere di particolare interesse per i bambini. Cosa vuol dire programmare? Persone diverse associano a questa attività significati diversi. Inoltre, non tutti sono d’accordo sulle sue potenzialità per l’apprendimento. Ackermann propone di guardare alla programmazione come a uno strumento per esplorare concetti relazionali quali “controllo” e “agente”, ma soprattutto in quanto specchio e finestra attraverso cui i bambini possono entrare in relazione o dialogare con oggetti e persone, oltre che con sé stessi nella relazione con interlocutori artificiali (in termini piagetiani, la capacità di “regolare gli scambi” col mondo1). In questo contesto, la programmazione diventa un medium per dare ed eseguire ordini; per costruire comportamenti autonomi o interagire con essi; per animare oggetti; per simulare comportamenti. Inoltre, la programmazione può diventare un contesto ricco per esplorare le teorie dei bambini sulla mente propria, degli altri e delle creature artificiali. Vengono discusse sia le valenze della programmazione nello sviluppo cognitivo dei bambini che alcune indicazioni per la progettazione di ambienti di gioco programmabili per bambini di quattro anni. Ambienti di gioco programmabili: cos’è possibile per un bambino di quattro anni? TD27 numero 3-2002 48 Ambienti di gioco programmabili: cos’è possibile per un bambino di quattro anni? La programmazione come “specchio” e “finestra” per entrare in relazione con gli oggetti e le persone ■ Edith K. Ackermann MIT School of Architecture, USA [email protected] INTRODUZIONE Apprendere a programmare alla scuola dell’infanzia? Perché? Che cosa ci può essere di interessante in questo per un bambino? Che cosa si può imparare? Questo articolo è rivolto ai ricercatori, ai progettisti, agli educatori e ai genitori; tutti questi hanno buone ragioni per interrogarsi. Il mio scopo è quello di riesaminare il significato di programmare e di suggerire le condizioni atte a rendere le attività ludiche di “programmazione” coinvolgenti per i bambini e ad aiutarli a controllare il loro mondo e se stessi. Secondo il dizionario Webster, un programma è “una sequenza logica di istruzioni per un computer digitale”. Programmare, quindi, è l’azione di scrivere tale sequenza logica perché venga eseguita da un computer. Questa definizione rende bene il significato di programmazione per i programmatori professionali degli inizi dell’informatica, ma non rende ragione dell’intera storia. Gli sviluppi recenti dell’informatica come la programmazione orientata agli oggetti, il calcolo parallelo distribuito, la Vita Artificiale, così come l’uso crescente della “programmazione” da parte di ricercatori di formazione diversa da quella informatica, rendono questa definizione obsoleta. Oggi una gran parte degli adulti programma, in un modo o nell’altro, e questa attività non è più solo patrimonio degli esperti. È tempo, quindi, di riproporre la domanda: che cos’è la programmazione? La risposta non è semplice. La programmazione assume significati diversi a seconda delle persone e non tutti sono d’accordo cir- ca le sue potenzialità nel promuovere l’apprendimento e lo sviluppo umano. Per alcuni la programmazione è l’attività di scrivere codice mentre per altri è una modalità di pensiero [Papert, 1980]. Alcuni ne percepiscono il potenziale nell’aiutare i bambini ad affinare il loro pensiero o a diventare “scienziati” [Resnick et al, 2000]; altri ancora sottolineano la sua capacità di favorire la creatività umana [Barchi et al, 2001] e migliorare l’auto-espressione [Maeda, 2000]. Inoltre, la programmazione è una specie di Pigmalione: diventa quello che vuoi che sia. Per uno scienziato, per esempio, si trasforma in uno strumento con cui controllare il mondo (attraverso la simulazione). Allo scrittore serve per creare nuove forme di narrativa o per costruire un mondo virtuale. I progettisti la usano come strumento dinamico per costruire modelli e per gli psicologi dello sviluppo, categoria a cui appartengo, il valore nascosto della programmazione risiede primariamente, e non sorprendentemente, nella sua capacità di promuovere l’esplorazione, l’espressione e la riflessione dell’io-in-relazione “in erba” dei bambini. Nel seguito, passo in rassegna alcune tendenze attuali della programmazione in un tentativo di far emergere il loro potenziale “nascosto” di esplorazione di queste istanze relazionali. Partendo dalla nozione di computer come “macchina psicologica” [Turkle, 1984], mi focalizzo sui modi in cui la rappresentazione giocosa di attività di programmazione, in senso lato, possa aiutare i bambini a esplorare questioni relative all’azione e al controllo in modi nuovi e proficui. La programmazione come dare istruzioni: digli cosa deve fare! Le istruzioni possono assumere forme diverse. Si possono comunicare verbalmente o per iscritto, come in un libro di ricette o come quando si disegna su un tovagliolo una cartina per qualcuno. Normalmente ciò non è chiamato programmazione. In un programma le istruzioni specificate hanno bisogno di un medium reattivo capace di eseguirle. In altre parole, le istruzioni sono contenute dentro una macchina, una componente software nel computer o in pezzi tangibili, come una serie di operazioni da eseguire. Per illustrare questo concetto im- Ambienti di gioco programmabili: cos’è possibile per un bambino di quattro anni? 49 TD27 CHE COS’È LA PROGRAMMAZIONE? Il succo della programmazione è dare istruzioni, o comandi, ad una macchina perché li esegua. Ovviamente la macchina può anche non essere un computer. Potrebbe essere un dispositivo meccanico o una serie di mattoncini “intelligenti”. I comandi non devono necessariamente essere scritti come una sequenza di passi logici, come agli inizi dell’informatica. Le istruzioni possono essere incorporate in componenti digitali da assemblare manualmente [Chioccariello et al, 2002]. magino scenari tipo gioco in cui i bambini possono dire ai loro giocattoli intelligenti che cosa fare e mi chiedo: dove comincia la programmazione? Scenario 1: Comandate a bacchetta il vostro cane robot Immaginate un gruppo di bambini di tre anni che battendo le mani inducono il loro cane robot a passeggiare dimenandosi. Se battono le mani una volta il cane muove la coda, se le battono due volte muove la testa freneticamente (come se ridesse), se le battono tre volte il cane fa un salto mortale. Fin qui non è previsto nessun tipo di programmazione a meno che … i bambini possano configurare il giocattolo affinché esegua più di un ordine alla volta. Scenario 2: Racconta le favole al Racconta Storie “Tell-Tale” Un gruppo di bambini di età compresa fra i quattro e gli otto anni sono riuniti nel laboratorio di Justine Cassell al Media Lab del MIT. Ogni bambino è occupato a raccontare il suo frammento di storia in un piccolo registratore portatile a forma di palla. Cinque bambini, cinque registratori a palla di colore diverso, cinque pezzi della storia. Una volta registrate le storie, i bambini si riuniscono e agganciano le palle in modo da formare un “bruco” chiamato “Tell-Tale”. “Tell-Tale” [Ananny, 2001; Cassell e Ryokai, 2001] si limita semplicemente a ripetere la sequenza dei pezzi di storia registrati, dalla testa alla coda. Può darsi che “Tell-Tale” sia stupido, ma permette ai bambini di occuparsi della parte intelligente del gioco. Essi possono creare i loro frammenti di storie personali e ricombinarli come desiderano per comporre trame più creative. I bambini imparano velocemente a modificare i pezzi di storia, i connettori e l’ordine dei pezzi per migliorare la favola. Devono soltanto ogni volta cambiare l’ordine di disposizione delle palle e/o registrare un nuovo frammento. Questi scenari dimostrano che dire ad un artefatto che cosa fare non è sufficiente per parlare di programmazione. Il da farsi deve coinvolgere più di una singola azione o comando. Infatti, non parliamo di programmazione quando inneschiamo una risposta tramite un segnale di input, come quando suoniamo il campanello o accendiamo un elettrodomestico. Conclusione provvisoria Da un punto di vista di relazione con l’oggetto, la programmazione per istruzioni può essere pensata come un dialogo fra una persona ed un artefatto. Per esempio, la numero 3-2002 Nella prima parte elenco alcuni degli ingredienti che, dal mio punto di vista, sono alla base delle diverse tendenze nella storia della programmazione. Indugio sulle metafore che le guidano, sulle modalità di ragionamento coinvolte e sulla loro rilevanza psicologica rispetto ai bambini. Prendo in considerazione tre tendenze della programmazione: dare istruzioni, costruzione di comportamenti autonomi e adattamento di strutture esistenti. Per illustrare ogni tendenza, uso scenari immaginari o reali in cui i bambini svolgono i loro giochi di programmazione. In una seconda parte discuto del perché molti bambini in età prescolare possono divertirsi e trarre beneficio dall’esplorazione di versioni semplificate delle tendenze sopra citate. Mi concentro su tre caratteristiche che, secondo me, possono aiutare i bambini, dai più piccoli fino ai più grandi, a rappresentare aspetti di azione e controllo in modo giocoso: padronanza (controllare/lasciare liberi); dar vita (creare/interagire); adattare (prendere a prestito, modulare). Nelle ultime sezioni mi domando a chi piace programmare e soprattutto perché possa piacere ad un bambino. Ambienti di gioco programmabili: cos’è possibile per un bambino di quattro anni? persona (il bambino) sta dicendo - o insegnando - ad un oggetto (una lavatrice) a fare qualcosa (il bucato) per conto suo. In altre parole, una persona delega un lavoro ad un oggetto e, con le opportune istruzioni, quell’oggetto farà in modo autonomo il lavoro che la persona gli ha chiesto di fare. La nostra ricerca sui bambini e le macchine indica che anche per i bambini programmare significa farsi aiutare da una macchina, da un computer o da un giocattolo a fare cose che richiedono intelligenza. A volte anche i bambini, come gli informatici, non sono certi se l’intelligenza risieda nella macchina stessa o nella persona che l’ha progettata [Ackermann, 2000; Brandes, 1996]. La maggior parte dei bambini fra i sei e gli undici anni sarebbe d’accordo sulla seguente considerazione: Non sto programmando quando “dico” al mio macinacaffè di macinare il caffè o quando metto in moto la mia auto. Invece programmo quando “dico” alla mia lavatrice quali passaggi deve compiere perché il mio bucato venga lavato (…) anche se posiziono semplicemente la manopola per far partire il programma. Chiaramente i bambini non intendono dire che parlano veramente al macinacaffè o alla lavatrice (anche se non ci vorrà molto perché ciò sia possibile). Quello che fanno, invece, è far partire il suo programma girando una manopola o spingendo pulsanti (dandole istruzioni). Questo è quello che essi associano con “programmare la macchina”. 50 1 L’idea è di definire i comportamenti di un oggetto in termini di attributi e metodi (stati, preferenze, azioni) come nella programmazione orientata agli oggetti; contemporaneamente, avere diversi oggetti che interagiscono fra di loro per formare grandi reti, o agenzie, di agenti interconnessi, come nell’informatica distribuita. TD27 numero 3-2002 2 Osservazioni raccolte dall’autore durante un workshop a Porto Alegre, Brasile, estate 2000. La programmazione come costruzione di comportamenti: collegali per renderli autonomi! Con lo sviluppo della programmazione orientata agli oggetti e di quella parallela distribuita, la percezione di cosa voglia dire programmare assume sfumature diverse. Dal predisporre una macchina perché esegua una serie di comandi l’accento si è spostato all’attribuzione di obiettivi a un gruppo di semplici oggetti computazionali e a farli comunicare tra loro per poter ottenere prestazioni migliori1. Questo nuovo paradigma, spesso denominato “programmazione decentrata”, porta con sé la sua parte di metafore. Dal fare cose per te la macchina o il giocattolo intelligente ora è predisposto per fare le sue cose. Dalla condizione di schiavo, o di lavoratore sotto-qualificato alla catena di montaggio, diventa un apparecchio che si autoregola, una creatura cibernetica. L’artefatto conquista autonomia. Diversamente dal suo servile predecessore, ora si presenta munito di sensori, motori e quant’altro “lo” aiuti a vedere il mondo a suo modo, ad avere i suoi valori di riferimento o scopi interni, e ad ottimizzare di conseguenza le “sue” mosse. Scenario: Costruire Creature Non ci sono computer in vista. I bambini di una scuola elementare del centro di Boston stanno costruendo sculture animate, veicoli e creature con mattoncini LEGO integrati da motori e sensori, più altri oggetti che esternamente assomigliano ai mattoncini LEGO ma in realtà sono elementi computazionali (flipflop, porte logiche e così via). Un veicolo con due sensori di luce, uno a destra e l’altro a sinistra, si dirige verso una fonte luminosa. I sensori di luce sono collegati a due motori in modo da obbedire alle seguenti due regole: se il sensore di destra vede più luce di quello di sinistra, allora si accende il motore di sinistra, e viceversa. Il risultato è un movimento a zig-zag verso la luce [Martin, 1988]. I comportamenti interessanti emergono dalla connessione di pezzi. Ogni pezzo, da solo, potrebbe fare poco o nulla. Se invece lo si collega ai suoi vicini in un certo modo la struttura inizia a produrre comportamenti inaspettati. Il programma è incorporato in componenti tangibili che i bambini possono montare e smontare manualmente [Chioccariello et al, 2002]). Conclusioni provvisorie La nostra ricerca sui bambini e i robot suggerisce che l’interazione con artefatti che esibiscono comportamenti auto-regolanti è diversa dal dare istruzioni ad un giocattolo che esegue semplicemente ordini. In ciascun caso (per esempio, istruire obbedienti tartarughe Logo, danzare assieme a tartarughe cibernetiche imprevedibili, o costruirle partendo dai pezzi base), la natura e il grado di autonomia dell’artefatto sono diversi così come lo sono le reazioni dei singoli bambini [Ackermann, 1991; Granott, 1991; Papert, 1993]. Per molti bambini l’interesse non risiede nello smontare una creatura per capire il suo meccanismo o vedere che cosa c’è dentro la scatola nera. L’interesse risiede, invece, nell’ottimizzare il muoversi assieme ad una creatura pronta ad entrare in azione e, così facendo, sperimentare ed esplorare la dinamica degli scambi, gli schemi del dare e prendere, il grado di reciproca influenza o controllo, tutte situazioni tipiche delle transazioni umane. Il loro scopo, in altre parole, è quello di conversare più che costruire, armonizzare più che rompere, immedesimarsi più che analizzare. Ambienti di gioco programmabili: cos’è possibile per un bambino di quattro anni? 51 TD27 ti di un artefatto (approccio dell’ingegnere) e modularne il comportamento intervenendo nel (come parte del) suo ambiente (approccio dello psicologo) è molto rilevante. Così come lo è la differenza fra muoversi assieme o conversare con un partner artificiale e dare ordini ad un giocattolo tecnologico [Ackermann e Strohecker, 1999]. Nel seguito vedremo che alcuni bambini possono essere più inclini a preferire un approccio rispetto all’altro. numero 3-2002 La programmazione come adattamento di strutture esistenti: non partire da zero, prendi a prestito e “impossessati”! Più che in passato, gli strumenti ed i giocattoli di oggi incoraggiano gli utenti a programmare in senso lato, decostruendo più che costruendo, adattando programmi esistenti, senza dover mai guardare una riga di codice. I creatori possono importare interi pezzi di testo, immagini e suono (incluso il codice sottostante), che possono poi modulare e ricombinare a piacimento. In altre parole, nessun bisogno di partire da zero: prendi a prestito ciò che già esiste e “manipolalo” finché non ti va bene. Questo passaggio dalla costruzione allo smontaggio o, in questo caso, dalla costruzione di comportamenti alla loro modulazione ha importanti implicazioni, sia per i bambini che per gli adulti. Scenario: Assemblaggi Un’aula informatica collegata a Internet e un gruppo di ragazzini di otto anni seduti ciascuno di fronte al proprio computer. Ogni studente è occupato a scrivere una ricerca sull’Impero Romano. Come pensi che proceda la maggior parte dei ragazzi? Ecco ciò che fanno: navigano in rete finché non trovano una pagina che veramente gradiscono. Importano la pagina, o parti di essa, e la usano come canovaccio che possono poi manipolare. Lo fanno finché non assomiglia più all’originale trovato o all’idea alla quale si sono ispirati, ma è diventata la loro2. Questo approccio da “arte povera” alla scrittura genera grandi controversie fra gli educatori, i quali si chiedono se i bambini, prendendo a prestito in modo così spudorato, stanno ancora scrivendo, per non parlare dello statuto di autori dei loro scritti. Io sostengo che, purché i ragazzi manipolino i pezzi presi a prestito sufficientemente a lungo, essi realmente stanno scrivendo! Non prendiamo tutti quanti a prestito, anche quando ci sembra di partire da zero? Come potremmo non tener conto di ciò che altri hanno detto e pensato prima di noi quando costruiamo qualcosa? Non è esagerato dire che scrivere su una pagina bianca è un concetto che non esiste. Sempre accogliamo ciò che gli altri hanno detto e sempre parliamo a qualcuno. Entrambe le cose sono necessarie per trovare la propria voce. Entrambe le cose hanno aiutato molte persone, altrimenti riluttanti, a cimentarsi nello scrivere [Ackermann e Archinto, 2001]. Per concludere Da una prospettiva psicologica, la differenza fra costruire e smontare i comportamen- Ambienti di gioco programmabili: cos’è possibile per un bambino di quattro anni? TD27 numero 3-2002 52 PERCHE IMPARARE A PROGRAMMARE? Se, come abbiamo suggerito, programmare (in senso lato) riguarda il dare istruzioni, costruire o assemblare pezzi per creare comportamenti interessanti, e modulare comportamenti esistenti, resta la domanda: che cosa c’è di interessante per i bambini più piccoli? Perché i bambini in età prescolare dovrebbero imparare a programmare? Riesco ad individuare almeno tre ragioni. Padroneggiare le cose: prendere il controllo/lasciarlo andare/prendere il controllo Quando danno istruzioni i bambini si impadroniscono del loro mondo. Creano o controllano cose capaci di eseguire i loro ordini. Le mettono in movimento o le animano (le portano in vita) e danno loro ordini. Come potrebbe tutto ciò non entusiasmare un bambino di tre anni che muore dalla voglia di onnipotenza? D’altro canto, dando ordini ad una entità sufficientemente affidabile e intelligente da eseguirli i bambini imparano anche a lasciar andare o a delegare. La delega implica la distribuzione del controllo in quanto non appena l’artefatto esegue gli ordini del bambino agisce per suo conto, facendosi carico di una parte del lavoro. Il bambino piccolo può esplorare problematiche legate al controllo e alla negoziazione e imparare giocando a conoscere il significato del bilanciamento fra prendere il controllo e lasciarlo andare, aspetto cruciale di qualsiasi tipo di transazione, sia con le persone che con le cose. Dar vita alle cose: creare/interagire/creare Quando costruiscono e giocano con cose che si comportano come se avessero una volontà autonoma, i bambini più piccoli imparano a separare lo scopo dalla causa, o l’azione dalla causalità. Essi imparano i vari modi in cui oggetti, sia animati che inerti, incidono sul - e rispondono al - comportamento di ognuno di essi. Dotare gli oggetti di uno scopo e guardarli mentre fanno le loro cose è piacevole, in quanto, una volta costruito, l’oggetto non solo si anima di vita propria ma agisce in modi che non sono tipici di una cosa inerte, come per esempio seguire una luce, dare la caccia ad altre creature o evitare ostacoli. Le creature sembrano danzare fra di loro. Nonostante siano cose riescono a comportarsi come persone [Turkle, 1995]. Il bambino giocando può esplorare la diffe- renza fra un comportamento auto-guidato e un comportamento indotto da altri, fra luoghi di controllo interni ed esterni. Egli interagisce con nuove forme di intelligenza, diverse dalle proprie, conquistando così nuove intuizioni rispetto a ciò che significa essere vivi e intelligenti, essere una persona o una cosa [Barchi et al, 2001]. Prendilo com’è/Modulalo Attraverso la modulazione di comportamenti esistenti e l’adozione di un approccio alla creatività tipo “arte povera”, i bambini più piccoli diventano bricoleur invece di pianificatori, riparatori invece di creatori. In altre parole, essi “giocano allo psicologo” invece di “giocare all’ingegnere o al neurochirurgo”. Ciò non è affatto una brutta cosa. La ricerca sugli stili di apprendimento individuali nei bambini dimostra che l’essere in sintonia con le cose, o l’essere un ascoltatore intelligente, è un punto di partenza tanto importante quanto lo è l’essere un iniziatore o un solista. In modo divertente il bambino può esplorare la complessità del passaggio dalla lettura alla scrittura e apprezzare il bilanciamento fra riciclare ciò che è disponibile e partire da zero, fra il presentarsi come cantante solista e il mescolarsi nel coro. Per concludere, i bambini più piccoli sono generalmente affascinati da oggetti che hanno l’aspetto di cose e tuttavia si comportano come persone, o animali da compagnia. È proprio la natura ibrida di questi artefatti (vivi ma non del tutto) che consente loro di esplorare idee altrimenti pericolose, e cioè di correre rischi su un terreno sicuro. A CHI PIACE PROGRAMMARE? Non a tutti i bambini piace programmare un computer. Non tutti sono a loro agio nel dare istruzioni, anche a creature artificiali o, al contrario, nel creare cose che sfuggono al loro controllo. Non tutti i bambini amano assemblare le loro creature cibernetiche, per non parlare del loro smontaggio. Alcuni preferiscono controllare mentre altri preferiscono entrare nel flusso delle cose o muoversi assieme ai loro giocattoli. Alcuni sono più strumentali mentre altri sono più relazionali, assomigliando nel loro stile a quello che Turkle (1984) chiama “padronanza morbida”. Nonostante queste differenze, la maggior parte dei bambini più piccoli si diverte a creare cose e a dar loro vita, o ad “animarle” in un modo o nell’altro. Ciò che varia è Ambienti di gioco programmabili: cos’è possibile per un bambino di quattro anni? ni, fantasticare con loro, trattarle come personaggi della fantasia. Analizzarle e smontarle non è cosa che a loro piaccia. Dato che i bambini che cerchiamo di coinvolgere appartengono a sessi diversi, e probabilmente anche a classi sociali e gruppi etnici diversi, è sensato fornire un vasto assortimento di materiali che rispondano a estetiche e gusti diversi. La diversità qui implica una libertà reale di scegliere fra alternative e modi di fare diversi. Diversi strumenti e media sono percepiti in modo diverso: l’argilla al tatto è diversa dal legno, i camion giocat53 TD27 numero 3-2002 la quantità di costruzione o di “danza” con l’oggetto, le metafore da cui traggono ispirazione e gli scenari di gioco che più li entusiasmano. Abbiamo notato che, per i bambini molto piccoli, la strada potrebbe essere quella della programmazione come modulazione di comportamenti esistenti, anche se ci si chiede se in questo caso si possa ancora parlare di programmazione. Scenario 1: Osservazioni dalla Hennigan School Guardando i bambini giocare con LEGO/Logo, abbiamo osservato ripetutamente che alcuni di essi si cimentano volentieri con la costruzione di giocattoli o veicoli meccanici, mentre altri sembrano più portati alla creazione di “creature strane” o luoghi idonei a far vivere e muovere piccoli esseri. La metafora industriale, con la sua panoplia di motori e macchine, non li interessa. Preferiscono rappresentare il gioco di creature o creare sculture cinetiche straordinarie. È da notare che le abilità messe in atto in questi progetti sono simili e, a prescindere da ciò che li mette in moto, tutti i bambini alla fine riescono ad animare le loro costruzioni, a metterle in movimento (con i motori) e a dar loro un’impressione di scopo (con i sensori). Tuttavia molte attività proposte nelle scuole e altrove continuano a riferirsi al limitato mondo degli strumenti meccanici nel tentativo di motivare tutti i bambini coinvolti. Le osservazioni fatte sull’uso che i bambini fanno dei motori e dei sensori fornisce un esempio particolarmente calzante di quanti e diversi concetti di estetica si sviluppano da modi diversi di rapportarsi con il mondo. Scenario 2: Hennigan School (seguito dell’osservazione) Mentre la maggior parte dei bambini si entusiasma alla costruzione e alla guida di macchine, altri (soprattutto le bambine) spesso preferiscono osservare l’evoluzione delle loro creature. A loro piace costruire, attivare e coinvolgere le loro creature come compagne di giochi. La metafora organica (creare qualcosa che poi si muova separatamente) sembra catturare la loro immaginazione più di quanto non faccia la metafora industriale (creare una macchina). Inoltre, dal punto di vista delle differenze di genere, i bambini spesso amano smontare un meccanismo per vedere come funziona, mentre le bambine talvolta esitano a fare a pezzi le cose e temono di non essere più in grado di ricomporle. Ma possono anche preferire conservarle intere per un’altra, e più rivelatrice, ragione: per poter fare giochi di ruolo con le loro creazio- Ambienti di gioco programmabili: cos’è possibile per un bambino di quattro anni? TD27 numero 3-2002 54 tolo suscitano sensazioni diverse rispetto alle scatole musicali o ai pupazzi animati. E questi diversi strumenti e media consentono la creazione e l’espressione di diversi tipi di cose, le quali assumono significati diversi a seconda delle persone. Più vasta sarà la gamma degli strumenti, dei media e delle attività, maggiori saranno le possibilità di costruire un prodotto dal significato personale. IN QUALI CIRCOSTANZE LA PROGRAMMAZIONE PUO ESSERE UN’ESPERIENZA PROFICUA PER UN BAMBINO DI QUATTRO ANNI? Papert sostiene che non si debba insegnare ai bambini la programmazione fine a se stessa, ma piuttosto ad usare le conoscenze legate alla programmazione per creare contesti dove si possano presentare altre occasioni di apprendimento piacevole. Inoltre, i bambini dovrebbero cimentarsi nella programmazione solo se riescono a trarne qualcosa sul momento e non dopo, quando saranno grandi! La gratificazione deve essere immediata, il che non significa che i ragazzi non dovranno fare molto lavoro, o molta fatica, per svolgere la loro attività. In genere, il “gioco difficile” è più stimolante per i bambini che possono passare ore su una cosa quando questa li interessa veramente. Le tecnologie digitali, in questo caso i kit di gioco programmabili, sono media interattivi attraverso i quali i bambini possono esprimere le loro idee e sentimenti in modi nuovi. Quindi il punto non è quale sia l’effetto della programmazione o dell’uso dei computer sull’apprendimento, per esempio, della scrittura o della matematica. Dovremmo piuttosto chiederci: i computer e le altre tecnologie digitali possono fornire nuove strade per l’apprendimento e il gioco, per l’esplorazione, espressione e condivisione di idee altrimenti non affrontabili? Nei loro giochi, ai bambini piace rappresentare un’ampia gamma di scenari, dal controllo unilaterale al dialogo, dal costruire allo smontare. Ciononostante, a bambini diversi in contesti diversi piace fare queste cose in modi diversi. E con il tempo le preferenze possono trasformarsi in stili personali. Come abbiamo visto, gli ambienti di gioco stessi possono presentare limitazioni intrinseche o distorsioni se la loro forma estetica e le possibilità costruttive coincidono con gli stereotipi prevalenti, o favoriscono certi stili di apprendimento a discapito di altri. Per esempio, i mattoncini LEGO favorisco- no le strutture ortogonali e facilitano le costruzioni verso l’alto, le strutture verticali. Bisogna lavorare sodo per fare oggetti con lati ricurvi. Oppure, i kit del tipo fare-disfare-rifare in generale favoriscono il costruire e disfare cose piuttosto che entrare in relazione con questi materiali. Queste sono le possibilità ed i valori estetici previsti dai set di costruzione classici. Un altro tipo di distorsione riguarda l’imposizione da parte dei progettisti, degli insegnanti o dei genitori del loro punto di vista su che cosa dovrebbe essere costruito e come i bambini dovrebbero interagire con le loro creazioni. Mi riferisco qui a tutte le nostre credenze inespresse sul modo giusto di fare le cose che possono catturare l’immaginazione di alcuni e bloccare invece altri. Le nostre osservazioni sui bambini che programmano ci dicono che la maggior parte di essi gradisce l’idea di animare cose ed è felice di usare i computer per programmare le sue creazioni. Ciononostante, non tutti i bambini si divertono allo stesso modo a far correre le automobili, o a coltivare il giardino, a dare ordini ai loro robot o a muoversi assieme alle loro creature. Diversi scenari di gioco divertono menti diverse. La manipolazione di oggetti è sicuramente un’attività importante per i bambini, ma se l’obiettivo dell’educatore o del ricercatore è di offrire opportunità per progettare e creare comportamenti allora la richiesta di lavoro sulle parti meccaniche (ad esempio, la costruzione del corpo di una creatura) dovrebbe essere minimizzata a favore del lavoro più “simbolico” e “cibernetico” di descrivere, pilotare, controllare, comandare i comportamenti di una costruzione. Se si segue questa pista, bisogna ampliare le parti manipolative di un kit includendo i pezzi di un ambiente di programmazione tangibile dove programmare è connettere i tasselli fisici del linguaggio di controllo che, in sintonia con il termine “mattoncino programmabile”, chiamo “mattoncino comportamentale”. Un mattoncino comportamentale ha una doppia funzione: comandare/ controllare un oggetto dandogli delle istruzioni da eseguire; fornire un linguaggio descrittivo per riflettere su e/o modellare l’oggetto (la creatura) con cui si è in relazione. In termini psicologici, questo significa aiutare i bambini a dare vita alle parole facendole diventare chiavi che aprono le porte dei mondi che esse evocano. Significa ridare poteri evocativi e creativi alle parole. Io concluderei così: offriamo materiali ric- RINGRAZIAMENTI Sono grata ad Augusto Chioccariello, Stefania Manca e Luigi Sarti per l’invito a scrivere un articolo insieme; a Seymour Papert, Fred Martin, David Cavallo e tutti i colleghi del “Future of Learning Group” del MIT Media Lab per avermi dato l’occasione di approfondire il significato dell’attività di programmazione; a Mike Ananny per “TellTale”; alla LEGO A/S e al LEGO Learning Institute, in particolare a Rolf Andreas Wigand, Daniele Bresciani, Martin Rausch e Tom Christensen, che mi hanno aiutato, ciascuno con le sue specificità, a ripensare i benefici della programmazione per i bambini piccoli in contesti di gioco (progetto “Early Computation”). (traduzione di Giovanna Caviglione) Ambienti di gioco programmabili: cos’è possibile per un bambino di quattro anni? chi e diversificati e immaginiamo una vasta gamma di scenari di gioco capaci di catturare la fantasia dei bambini più diversi e loro faranno tutto il resto. riferimenti bibliografici Ackermann E., Archinto F. (2001), Giochi linguistici, scrittura digitale, alfabetizzazioni emergenti, TD – Tecnologie Didattiche, n. 24, pp. 41-54. Ackermann E., Strohecker C. (1999), Build, Launch, Convene: Sketches for Constructive-Dialogic Learning Environments, MERL Technical Report, TR99-30. Cassell J., Ryokai K. (2001), Making Space for Voice: Technologies to Support Children’s Fantasy and Storytelling, Personal Technologies, 5(3), pp. 203-224. nical Engineering, MIT, Cambridge, MA. Barchi P., Cagliari P., Giacopini E. 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LEGO/Logo è stato il progenitore di una famiglia di linguaggi per il controllo di robot. INTRODUZIONE L’importanza ed il ruolo fondamentale che gli oggetti materiali rivestono nel complesso percorso della costruzione della conoscenza sono stati sottolineati soprattutto dal Costruzionismo [Papert, 1980; Harel e Papert, 1991]. Questa teoria accetta la tesi di fondo del Costruttivismo, secondo cui le conoscenze non sono il riflesso del mondo esterno né la proiezione sulla realtà delle strutture innate della mente, ma derivano da costruzioni successive con costante elaborazione di strutture nuove [Piaget, 1975]. Il costruzionismo, inoltre, rivaluta il pensiero concreto, visto non come una versione “inferiore” del ragionamento astratto, ma posto sul suo stesso piano [Turkle e Papert, 1992]. La tradizionale impostazione operativo-esperienziale secondo cui si impara facendo [Dewey, 1910], attraverso una costante interazione dialettica con strumenti che “veicolano” gli oggetti della conoscenza, è stata, quindi, produttivamente integrata con la valenza imprescindibile che la costruzione di oggetti ha nell’apprendimento: la conoscenza è il risultato di un impegno attivo col mondo attraverso la creazione e manipolazione di artefatti (tangibili e no), siano essi castelli di sabbia, programmi di computer, costruzioni LEGO, composizioni musicali, ecc., che rivestano un particolare significato personale e che siano soprattutto oggetti su cui riflettere [Papert, 1993]1. In sintonia con gli orientamenti prevalenti del costruttivismo sociale (cfr. ad esempio [Salomon, 1993; Pontecorvo et al, 1995]), un’altra componente sottolineata dal co- struzionismo è quella dell’importanza della negoziazione nel mondo sociale come parte cruciale dello sviluppo cognitivo del bambino. L’apprendimento e l’intelligenza non sono, quindi, titolarità esclusiva del singolo individuo che apprende, ma emergono piuttosto dall’interazione sociale in cui gruppi di individui intrattengono rapporti di natura collaborativa finalizzati alla costruzione di conoscenze comuni e condivise [Resnick, 1996]. Questa dimensione sociale dell’apprendimento può ben essere rappresentata da quei contesti ludici ed educativi che vedono il bambino a stretto contatto con suoi pari e con soggetti più grandi di lui, in grado di fornire supporto e motivazione nell’affrontare compiti cognitivi nuovi e non precedentemente affrontati, che siano però alla sua portata (la cosiddetta “zona di sviluppo prossimale”) [Vygotskij, 1978]. Tra le proposte di ambienti di apprendimento elaborate nel tempo alla luce delle indicazioni costruzioniste, va senz’altro ricordato il linguaggio Logo, finalizzato a incoraggiare lo sviluppo di forme di pensiero procedurale ed operativo attraverso l’uso di semplici programmi come blocchi di costruzioni per altri più complessi [Papert, 1980]. La programmazione al computer, vista come una delle forme più alte di strumenti attraverso cui “pensare sul pensare” (l’atteggiamento dell’epistemologo), assolve a questo compito in due modi importanti: “Primo, il computer permette, anzi obbliga, il bambino ad esternare le proprie aspettative intuitive. Quando l’intuizione è tradotta in un programma diventa più evi- La fabbrica dei robot PARTIRE DALL’ESISTENTE PER RIPROGETTARE IL NUOVO «Cercare di fare un buon progetto significa soprattutto avere un’attesa già in qualche modo pertinente e preformata.» [Malaguzzi, 1995: pag. 99] Il progetto CAB ha privilegiato un approccio che ha inserito le attività dei bambini con i mattoncini programmabili nel contesto e prassi di lavoro quotidiani, affiancandosi spesso ad altri lavori già in corso. Questa scelta è stata fortemente ancorata alla figura 1 Alcuni bambini giocano con un robot che disegna sul pavimento. 3 Per una ricostruzione storica del percorso evolutivo che ha condotto al LEGO MindStorms si veda [Martin et al, 2000]. 4 CAB è stato un progetto finanziato dall’Unione Europea nell’ambito del programma ESPRIT, iniziativa i3-Experimental School Environments Programme, che ha visto la partecipazione del Comune di Reggio Emilia, della Jönköping University (Svezia), dell’ITDCNR e della LEGO Dacta A/S. Ulteriori informazioni possono essere rintracciate alla URL http://cab.itd.ge.cnr.it/ 57 5 Descrizioni complementari ed approfondite di alcuni aspetti qui trattati sinteticamente sono reperibili nella documentazione del progetto [Askildsen et al, 2001a; Askildsen et al, 2001b; CRE, 2001; Gustafsson e Lindh, 2001]. TD27 menti introdurre? Come intervenire sugli strumenti e sul contesto? All’interno di CAB si è cercato di dare risposte a questi interrogativi, ad esempio attraverso l’ampliamento delle funzioni assolvibili dal robot, la ricerca di soluzioni destinate a ridurre la complessità meccanica degli artefatti e la definizione di un ambiente di programmazione fortemente orientato alle esigenze che emergono nei diversi contesti costruttivi. Nel seguito dell’articolo descriveremo alcuni di questi aspetti, con particolare riguardo alle problematiche emerse nella progettazione dell’ambiente software e alle implicazioni che le scelte operate hanno avuto sulla progettualità dei bambini. La prossime sezioni illustrano, inoltre, la metodologia di ricerca adottata e le ragioni e modalità che hanno guidato la ridefinizione del kit. Le sezioni finali sono dedicate ad esporre alcune esperienze realizzate con i bambini e a prospettare possibili linee di sviluppo dell’approccio5. numero 3-2002 dente ed accessibile alla riflessione. Secondo, le idee computazionali possono essere adottate come materiali per rimodellare la conoscenza intuitiva” [Papert, 1980]. La programmazione è anche al centro delle proposte più recenti2, i robot e i mattoncini programmabili, che occupano oggi uno spazio di particolare interesse. Modificando il modo di pensare al vivente e collocandosi di fatto al confine tra animato e inanimato, tra vivente e non vivente [Turkle, 1984, 1995], possono essere giocattoli con cui imparare nuovi modi di pensare [Resnick et al, 1996], che stimolano nuove riflessioni sul rapporto tra vita e tecnologia [Martin et al, 2000], tra la scienza e l’apparato strumentale di cui si serve per gli esperimenti [Resnick et al, 2000], tra le attività di progettazione di tipo robotico e i valori e l’identità [Bers e Urrea, 2000]. È anche grazie ad oggetti come questi che, sostengono i fautori del costruzionismo, concetti tradizionalmente considerati appannaggio di individui adulti, in grado di manipolare conoscenza simbolica ed astratta, possono diventare accessibili e comprensibili anche dai bambini. I mattoncini programmabili, che storicamente si rifanno ai primi esperimenti di Papert con una concretizzazione delle idee esplorate con il Logo, sono approdati ad un prodotto commerciale, il LEGO® MINDSTORMS™ Robotic Invention System, un kit per realizzare robot e altre costruzioni cibernetiche3. Questo articolo racconta alcune delle attività di ricerca condotte nell’ambito del progetto “Construction kits made of Atoms & Bits” (CAB)4 che, utilizzando il LEGO MindStorms, si è posto l’obiettivo di studiare le relazioni e gli atteggiamenti dei bambini della scuola dell’infanzia e delle prime classi della scuola elementare (da quattro a otto anni) nei confronti di oggetti in grado di esibire comportamenti autonomi e interattivi. In particolare CAB ha sperimentato una metodologia atta a favorire l’interazione tra bambini e computer attraverso l’uso di costruzioni cibernetiche (figura 1), con lo scopo di esplorare la dinamica dei processi di apprendimento che emergono e di ridisegnare il kit nell’ottica di adeguarlo a questa fascia d’età. Ma perché il LEGO MindStorms? Che cosa accade quando un prodotto pensato per ragazzi dai dodici anni in su diventa una proposta educativa per bambini di cinque anni di età? Come legittimare una scelta pedagogica di questa natura? Quali cambia- La fabbrica dei robot figura 2 Un veicolo, realizzato con moduli pre-assemblati, che reagisce agli ostacoli e lascia traccia del proprio percorso. TD27 numero 3-2002 58 tradizione delle scuole dell’infanzia di Reggio Emilia, in cui l’attenzione è sempre rivolta alla predisposizione delle situazioni che facilitano il lavoro dei bambini, profondamente radicato in situazioni progettuali di ampio respiro (in termini di problematiche affrontate e di tempo da dedicare) e in cui l’adulto interviene il meno possibile ma sa ascoltare e documentare quello che accade cercando di mantenere alta la motivazione dei bambini [Malaguzzi, 1995]. L’ottica della sperimentazione è stata, quindi, da un lato, quella di guardare agli strumenti ludici e cognitivi come profondamente legati al contesto d’uso e alla cultura che danno loro significato. Dall’altro, quella di guardare all’apprendimento come a un evento sociale profondamente condiviso e contestualizzato in cui bambini ed adulti lavorano assieme e in cui i bambini ricevono sostegno e supporto (scaffolding) dagli adulti nel loro lavoro di esplorazione [Wood et al, 1976]. I requisiti per la riprogettazione del kit sono stati elicitati dai bambini attraverso il ruolo di mediazione degli adulti6. Il dialogo tra insegnanti, atelieristi, pedagogisti e progettisti hardware e software è stato ancorato alla documentazione del lavoro dei bambini che veniva progressivamente prodotta dalle scuole coinvolte nel progetto. Ogni attività è stata adeguatamente monitorata e documentata in una varietà di formati (testi, immagini, filmati, ecc.) dagli insegnanti impegnati nella quotidianità del loro lavoro7. Attraverso le considerazioni e le interpretazioni effettuate dagli adulti sulla base delle problematiche emerse nel lavoro coi bambini, è stato possibile prendere in seria considerazione le “teorie”, seppur provvisorie, che i bambini elaboravano sulla base dei progetti realizzati con il LEGO MindStorms e con le successive versioni modificate del kit. RIPROGETTARE IL KIT Una scatola di costruzioni, in funzione dei componenti offerti, privilegia certe tipologie di attività a scapito di altre. Il LEGO MindStorms è progettato per incoraggiare la costruzione di “Veicoli”, robot mobili che si muovono e interagiscono con l’ambiente. Per favorire lo sviluppo di altri scenari d’uso sono state proposte ulteriori tipologie quali le “Costruzioni Animate” (che pur non esplorando l’ambiente possono prevedere parti che si muovono), i “Pupazzi Cibernetici” (una specializzazione delle costruzioni animate ispirate ai Furby8, ma smontabili e modificabili), i “Wearables” (dispositivi indossabili, quali distintivi interattivi)9. Per i Veicoli e le Costruzioni Animate, che prevedono la presenza di parti meccaniche in movimento, abbiamo dovuto affrontare soprattutto la complessità di assemblaggio: il kit commerciale usa il LEGO Technic, un sistema che offre notevoli potenzialità costruttive ma risulta impegnativo anche per gli adulti. La soluzione adottata, privilegiando l’immediatezza d’uso a scapito della creatività costruttiva, è stata quella di predisporre moduli meccanici pronti per l’uso [vedi figura 2], quali uno chassis di veicolo con tre sistemi di locomozione modulari (ruote, cingoli, “zampe”), varie strutture di montaggio di sensori e attuatori10. Moduli per costruzioni animate che realizzano movimenti particolari includono un nastro trasportatore, una torretta rotante per orientare il mattoncino programmabile, un braccio meccanico, ecc. L’uso di tipologie di costruzione diverse dai Veicoli consente l’esplorazione di comportamenti reattivi che si inquadrano, ad esempio, nel contesto della narrazione di storie, dove abbiamo osservato che i bambini tendono a combinare diversi materiali costruttivi (LEGO, carta, stoffa, creta). In questi scenari la riduzione di complessità meccanica permette ai bambini di esprimere la propria creatività e di affrontare da subito la definizione dei comportamenti. Ne è conseguita la necessità di affrontare la progettazione di nuove componenti per ampliare le tipologie di costruzioni possibili: un registratore di suoni, una catena di luci, un sensore di piegamento, un sensore di suono e un trasmettitore a raggi infrarossi. Nel se- La fabbrica dei robot 6 Nell’ambito della ricerca sul design esistono tradizioni, quali il Cooperative Design [Greenbaum e Kyng, 1991] o il Participatory Design [Schuler e Namioka, 1993], che coinvolgono gli utenti fin dalle fasi iniziali di progettazione degli artefatti. Nel Participatory Design esistono attualmente alcuni approcci metodologici, quali quello del Children as Informant [Scaife e Rogers, 1999] o del Cooperative Inquiry [Druin, 1999, 2002], che vedono la partecipazione attiva e paritaria dei bambini (di età 7-11 anni) nelle fasi di ideazione e progettazione. 7 Sulla metodologia di documentazione utilizzata si veda [Rinaldi, 1995]. 8 Furby™ è un peluche tecnologico che richiede l’attenzione e le cure di un bambino. Se accudito, si comporta bene e lentamente passa dalla sua lingua (il furbese) a quella del bambino. 9 59 Non tutte le proposte hanno incontrato lo stesso favore e gradimento tra i bambini e gli educatori, incoraggiando quindi una revisione profonda o in certi casi l’accantonamento. Quest’ultimo è stato il caso dei Pupazzi Cibernetici che hanno suscitato più perplessità che non adesione tra gli insegnanti ed educatori, convinti di fornire una proposta pedagogicamente discutibile. 10 Gli attuatori sono dispositivi di ouput, quali i motori. TD27 DEFINIRE GLI STRUMENTI DELLA PROGRAMMAZIONE Rendere accessibili ai bambini gli strumenti di controllo del comportamento di una costruzione cibernetica è un problema aperto. Programmare non è facile e molti pensano che sia un attività da delegare a specialisti: se questo fosse vero dovremmo abbandonare l’idea di un kit di costruzioni e limitarci alla progettazione di giocattoli cibernetici con un grado forse elevato di interattività, ma sostanzialmente non modificabili dai bambini. Noi pensiamo invece che una versione di programmabilità, purché supportata da strumenti (ambiente, linguaggio, ecc.) specializzati nella direzione delle caratteristiche del problema da risolvere, sia possibile anche per i non programmatori. Sviluppare strumenti che consentano a per- sone non particolarmente esperte né interessate ad approfondire la disciplina dell’informatica di istruire il computer a risolvere specifici problemi è un’area di ricerca fiorente. In particolare, gli studi di Bonnie Nardi (1993) indicano che utenti esperti in un dominio, o motivati a praticarlo, riescono ad apprendere e gestire linguaggi formali adeguati a quel dominio. Ne sono esempio una classe di strumenti come i fogli elettronici o gli ambienti di analisi statistica che forniscono un linguaggio di programmazione usabile per estendere le funzionalità del sistema. Strumenti di questo tipo hanno consentito lo sviluppo di una popolazione di utenti che, a diversi livelli di competenza, usano le funzionalità di programmazione disponibili. Trasferire queste considerazioni nel mondo dei bambini implica, innanzitutto, ipotizzare che per loro sia possibile gestire il livello di complessità insito nel controllo del comportamento di un robot. Se questa ipotesi è verificata, ha senso porsi il problema di costruire un ambiente di programmazione per bambini. Nell’ambito del progetto CAB abbiamo verificato che i bambini riescono a interagire con costruzioni robotiche laddove il contesto sia ben strutturato (approfondiremo queste considerazioni nella sezione dedicata ad alcune esperienze realizzate). Ma qual è il modello concettuale più adeguato alla definizione dei comportamenti di un robot? Vediamo un esempio. Vogliamo che un veicolo giri intorno a un baule a base quadrata. Un neofita tenderebbe a impostare la soluzione come se avesse a disposizione un’automobile controllata con un telecomando, e dal punto di vista della programmazione ad adottare uno stile imperativo, proponendo la seguente soluzione: “Vai avanti di un lato”, “Gira a sinistra di 90 gradi” e “Ripeti queste due istruzioni per gli altri tre lati”, nello stile della tartaruga Logo. Ma i robot sono dotati di sensori che consentono di “percepire” l’ambiente circostante e reagire di conseguenza: programmare un robot implica così gestire più sensori contemporaneamente in tempo reale. Il modello imperativo di programmazione, che è adeguato ad un ampio spettro di situazioni (calcolo scientifico, gestionale, ecc.), mostra così la corda nel contesto della programmazione di robot [Resnick, 1991; Papert, 1993]. Se aggiungiamo, ad esempio, al nostro veicolo un sensore di contatto possiamo affrontare il problema in modo radicalmente diverso, simulando il comportamento di numero 3-2002 guito descriviamo in dettaglio uno di questi componenti. Ai bambini piace aggiungere voci e suoni registrati alle loro costruzioni realizzate al computer. È emersa pertanto la necessità di un piccolo registratore digitale in grado di dare “voce” ai robot costruiti. Dal punto di vista del rapporto design-funzionalità, abbiamo ritenuto opportuno prevedere un’interfaccia operativa indipendente dal mattoncino programmabile: un pulsante per registrare e uno per riprodurre il suono posti sul registratore stesso. Il prototipo realizzato permette di registrare due brevi messaggi e può essere controllato sia manualmente che da software. L’esperienza con i bambini ha, però, mostrato l’esigenza di aumentare sia il numero che la durata dei messaggi. Un’alternativa possibile è quella di privilegiare la trasparenza dell’interfaccia associando un solo componente ad ogni messaggio. Se si vogliono messaggi più lunghi è sufficiente collegare i registratori tra di loro in sequenza [Ananny, 2001], consentendo la costruzione di una storia attraverso la manipolazione dell’ordine dei registratori. In questo modo sono possibili progetti con complesse interazioni tra sensori e sequenze sonore: per esempio, i bambini possono progettare un “muro dei suoni” che riproduca sequenze diverse se fa caldo, se si tocca un punto sensibile, se due mattoncini si scambiano un segnale, ecc. Proporre le stesse possibilità per lo scenario dei Veicoli pone vincoli costruttivi sulle dimensioni e peso dei componenti, che portano non a moltiplicare i registratori, ma a progettarne uno piccolo, complesso e flessibile anche se forse più opaco nel suo design. La fabbrica dei robot 11 Per una descrizione dettagliata sul funzionamento del sensore di luce, si veda [Giordano, 2002] in questo numero. figura 3 Una rappresentazione schematica di un veicolo con due sensori di contatto. Il menu dei comportamenti è selezionato, permettendo di scegliere tra i comportamenti disponibili appropriati alla configurazione corrente di input e output o la definizione di uno nuovo. TD27 numero 3-2002 60 chi, trovandosi al buio, debba circumnavigare un ostacolo seguendone il contorno con la mano. Il programma viene costruito mettendo in relazione le informazioni che pervengono dai sensori con i comandi da far eseguire ai motori. Costruire con pezzi LEGO un robot che “tasta” il muro mentre avanza è complesso; risulta più semplice far oscillare tutto il veicolo in modo che vada avanti a zig-zag: il robot si allontana dal muro quando il sensore lo tocca e si riavvicina quando perde il contatto. La relazione tra input e output sarà quindi: “se il sensore tocca, accendi il motore dal suo lato e spegni quello dal lato opposto; se non tocca, spegni il motore dal suo lato e accendi quello dal lato opposto”. Questo tipo di soluzione offre una serie di vantaggi su quella imperativa: il comportamento emerge dall’interazione tra il robot e l’ostacolo indipendentemente dalla sua forma o dalle sue dimensioni. Inoltre, questo approccio consente, con minime modifiche morfologiche, di risolvere anche altri problemi: ad esempio, se volessimo far seguire al robot una linea sul pavimento11, sarebbe sufficiente sostituire il sensore di contatto con uno di luce mantenendo inalterata la struttura del programma. Il robot seguirà a zig-zag il contorno della linea. In tutti questi casi, piuttosto che rappresentare nel programma la mappa della realtà, è lo stesso “campo di gioco” che funziona da mappa di sé stesso [Brooks, 1991]. In tutte le situazioni in cui non sono note a priori le caratteristiche dell’ambiente (la forma e le dimensioni dell’ostacolo, il tracciato della linea, ecc.) al robot è richiesta una dimensione di adattività conseguibile grazie all’uso di sensori. L’orientamento al dominio Si è scelto di rappresentare i comportamenti dei robot per mezzo di regole composte da condizioni per i sensori e da azioni per gli attuatori. Una regola associa una condizione (un test sullo stato di un sensore) a una sequenza di azioni (comandi per gli attuatori): ad esempio, “Se il sensore di luce rileva un valore elevato di luminosità allora accendi il motore”. La facilità d’uso di questo sistema a regole dipende dalla disponibilità di condizioni e azioni che incapsulino i dettagli del funzionamento dell’hardware e siano direttamente operativi. A sua volta, l’usabilità di condizioni e azioni dipende da assunzioni sul tipo di costruzione: ad esempio, un veicolo con due motori può muoversi avanti e indietro, girare a destra e a sinistra. Ciò permette di definire comandi per il veicolo analoghi a quelli della tartaruga del Logo. Quindi, per ogni tipologia di costruzione, l’ambiente di programmazione mette a disposizione una serie di primitive (condizioni e azioni) specializzate. Il comportamento complessivo di una costruzione emerge dalla composizione di comportamenti elementari che agiscono in maniera indipendente, ma concomitante. Per esempio, un veicolo con sensori di contatto che si muove reagendo ad eventuali ostacoli può essere controllato da due comportamenti: il primo dice al veicolo di muoversi in avanti; se si incontra un ostacolo, interviene un secondo comportamento per dire al robot di indietreggiare e girare nella direzione opposta al lato dell’urto. Il comportamento può essere costruito e provato in maniera incrementale ed indipendente nelle sue componenti. Nel caso in cui più comportamenti governino contemporaneamente uno stesso attuatore un meccanismo di priorità decide chi detiene il controllo delle azioni. Nell’esempio del veicolo che si muove tra gli ostacoli, il comportamento che gestisce gli urti è prioritario su quello che controlla il movimento in avanti del veicolo [figura 3]. L’ambiente di programmazione si presenta innanzitutto come un laboratorio di progetti, che ospita sia la galleria di quelli già esistenti che la possibilità di definirne uno nuovo. Un progetto, a sua volta, contiene sia i programmi che la documentazione multimediale del lavoro (foto, filmati, commenti sonori, testi) ed è composto da una o più costruzioni. L’ambiente permette di definire tipologie diverse di costruzioni per sostenere la specializzazione delle componenti (comportamenti, condizioni e azio- La fabbrica dei robot figura 4 Le due regole che definiscono il comportamento “urto”. N.B.: l’interfaccia visualizza solo le condizioni e azioni associate ai dispositivi di input e ouput selezionati. 61 TD27 Il supporto metacognitivo e sociale Formalizzare mediante regole il comportamento di un robot ha importanti implicazioni sul piano cognitivo e metacognitivo. Da un lato, la regola reifica la relazione di causa-effetto e fornisce ai bambini e ai loro insegnanti un importante strumento linguistico per astrarre i comportamenti reattivi (“Se la temperatura aumenta, il robot accende il motore della ventola”). Dall’altro, l’immediatezza di interpretazione e la leggibilità delle regole consentono non solo di parlare facilmente del problema, ma anche, in retrospettiva, di ripercorrere i processi di soluzione messi in atto (“… poi abbiamo aggiunto questa regola, per insegnare al robot ad accendere il ventilatore quando fa caldo …”), specie quando le scelte di programmazione effettuate non producono i comportamenti attesi. Caratteristica tipica del lavoro dei bambini è, infatti, quella di prefigurare un contesto ampio ed articolato dove le fantasie prendono corpo ed evolvono coinvolgendo più attori (si veda l’esempio riportato più avanti dei “Mostri e Difensori”). Un progetto in evoluzione ha quindi bisogno di forme atte a sostenere la memoria del lavoro compiuto, sia in termini di documentazione che di storia delle scelte costruttive e programmatiche, eventualmente ripercorribile. L’ambiente prefigura, inoltre, un contesto sociale d’uso articolato su tre ruoli: i bambini, gli insegnanti, gli esperti. I bambini collaborano tra loro e con gli insegnanti in tutte le fasi del lavoro, dall’identificazione del problema all’invenzione di una soluzione appropriata e alla sua realizzazione: discutono e si confrontano sulle alternative possibili, ispezionano esempi e semilavorati, li modificano nei parametri e nella struttura; esplorano le potenzialità e i limiti della tecnologia; si impegnano in un processo iterativo di costruzione socialmente condivisa in cui le ipotesi che emergono vanno soggette sia al vaglio del gruppo, sia alla verifica sperimentale. Gli insegnanti mediano tra bambini e tecnologia quel tanto che basta per rendere fluido il processo, senza deprimere la creatività e la motivazione dei bambini. Alcune funzioni di configurazione dell’ambiente di programmazione sono finalizzate a renderlo adattivo rispetto alle esigenze del gruppo e del particolare problema in esame: un insegnante può, ad esempio, configurare facilmente l’interfaccia, cambiando le icone e i nomi associati agli oggetti manipolati dal programma (azioni, condizioni, comportamenti). Ma è anche possibile (e operativamente facile) per un insegnante modificare numero 3-2002 ni). La scelta del tipo di costruzione permette di fare delle assunzioni sulle sue componenti meccaniche. Ad esempio, un veicolo è dotato di uno chassis con due motori e quindi può muoversi e girare. Quando lo si dota di sensori appropriati, il veicolo può seguire una serie di comportamenti predefiniti quali “Segui una linea”, “Cerca la luce”, “Segui un muro”. L’ambiente è capace di suggerire comportamenti appropriati a seconda dei sensori usati in una data costruzione [vedi figura 3]. Quando si definisce un nuovo comportamento, solo le condizioni e azioni appropriate alla configurazione hardware corrente sono presentate [vedi figura 4]. Grazie a questo meccanismo di specializzazione è possibile far evolvere l’ambiente secondo le necessità dettate dagli specifici progetti dei bambini. L’interfaccia software cerca di rendere evidente cosa è possibile fare con il mattoncino programmabile organizzando le funzionalità in scatole che contengono componenti dello stesso tipo [vedi figura 3]. La struttura in scatole riflette, inoltre, una distinzione tra concreto e virtuale: sensori e attuatori fisici; funzionalità presenti nel mattoncino (ad esempio, suoni e messaggi) che non sono associate a componenti fisiche collegabili; strumenti virtuali, quelli cioè costruiti con il software, quali orologi e contatori. Questa tassonomia, riflessa nella struttura operativa dell’interfaccia, permette ai bambini di scoprire le funzionalità disponibili secondo una logica che va dal concreto all’astratto. La fabbrica dei robot TD27 numero 3-2002 62 diversi parametri di configurazione di azioni e condizioni predefinite: ad esempio, i fattori di scala associati alle durate temporali di azioni quali “Avanti” o le soglie di sensibilità sui vari sensori. Gli esperti nella programmazione di robot possono estendere ulteriormente l’ambiente per integrare la definizione di nuove tipologie di costruzioni. ALCUNE ESPERIENZE REALIZZATE CON I BAMBINI Nel progetto CAB la sperimentazione si è articolata nell’arco due anni e ha coinvolto tre scuole dell’infanzia ed una scuola elementare del Comune di Reggio Emilia e tre scuole elementari in Svezia. Per una descrizione approfondita rimandiamo ai rapporti finali dei partner educativi [CRE, 2001; Gustafsson e Lindh, 2001]. Qui ci limitiamo a proporre la rilettura di tre esperienze realizzate nelle scuole dell’infanzia, con l’obiettivo di esplicitare le relazioni tra ricerca in classe e progettazione e sviluppo dell’ambiente di programmazione usabile anche dai bambini di cinque anni. Anche e soprattutto per questa fascia di età, le esperienze riportate ci permettono di argomentare che: 1) non ci sono ostacoli cognitivi alla programmazione di costruzioni cibernetiche da parte dei bambini in presenza di un contesto ben definito e di strumenti specializzati; 2) per sostenere la complessità presente nei progetti dei bambini bisogna fornire un modello che incapsuli i dettagli implementativi; 3) l’ambiente proposto riveste carattere di usabilità, in quanto dotato di caratteristiche atte a renderlo appetibile, ispezionabile secondo una data granularità e “trattabile” (oggetto di discussione e di riflessione anche metacognitiva). Specifico o generico? Un gruppo di bambini della scuola “La Villetta” ha usato il kit specializzato RoboSports, sviluppato dalla LEGO per permettere ai visitatori del LEGOLAND park di partecipare a gare di robot. Il kit comprende un campo di gara per due squadre che competono nella realizzazione di un veicolo che porti il maggior numero possibile di palline in buca. Il campo è costituito da un tavolo con due piste ognuna composta da una linea nera e una buca retroilluminata. Le componenti meccaniche sono specializzate per costruire un set limitato di veicoli capaci di trasportare e spingere le palline in buca. L’ambiente software fornisce primitive quali il comportamento di “Segui una li- nea”, interrompibile quando il sensore di luce “vede” la buca retroilluminata, e comandi di traslazione e rotazione per spingere le palline in buca. Il kit è completato da video esplicativi per guidare gli utenti nella costruzione e programmazione dei veicoli. Alla scuola “La Villetta” i genitori e gli insegnanti hanno ricreato il campo da gioco e i bambini hanno costruito e programmato i veicoli per la gara. L’esperienza ha dimostrato che i bambini riescono a gestire il compito e, cosa più importante, ad appropriarsi del linguaggio formale utilizzato per descrivere i loro tentativi e ragionare in gruppo sul problema. Infatti, la specializzazione delle componenti ha reso semplice la costruzione di un veicolo adeguato al compito; l’ambiente di programmazione visivo, che fornisce un set limitato di primitive, ha consentito ai bambini di comporre autonomamente il programma. Inoltre, i bambini hanno usato le icone dei comandi per annotare il campo di gara e discutere sugli effetti delle istruzioni impartite al robot quando queste non sortivano l’effetto desiderato [CRE, 2000]. RoboSports ha dimostrato di essere un buon esempio delle potenzialità del mattoncino programmabile, in quanto propone un contesto specifico e rende disponibili costrutti linguistici ad hoc per la soluzione del problema presentato. Il suo limite sta però nell’essere troppo specializzato: le componenti hardware e software si possono usare solo per questa gara, o per gare di questo tipo, ma non possono essere trasferite ad una gamma più ampia di situazioni, finendo con l’ostacolare la creatività e lo sviluppo di progetti originati direttamente dai bambini. Sostenere la complessità Restiamo nella tipologia di gare di robot, questa volta con un progetto che è il risultato dell’immaginazione e del lavoro dei bambini. Nella scuola “Neruda” l’interesse che i bambini di una sezione avevano coltivato negli anni per i mostri ha fornito lo spunto per un progetto che esplorasse forme di vita artificiale. Questa “vita” si sviluppa ed evolve secondo la frequenza e la qualità delle relazioni tra gli “attori”, i Mostri e i Difensori della città [Barchi et al, 2001]. I mostri attaccano la città, gli abitanti costruiscono mura e trappole per difendersi e organizzano una squadra di difensori per tener lontani i mostri. I mostri e i difensori sono stati costruiti cercando di definire comportamenti che rendessero conto di una dinamica di scontro in cui non sono chiari La fabbrica dei robot Questo progetto è risultato essere un buon esempio dello stile di interazione con oggetti cibernetici che Edith Ackermann definisce come “Giocare allo psicologo” [Ackermann, 1991, 2002]. “Giocare allo psicologo” e “Giocare all’ingegnere” costituiscono i due estremi di ruoli potenziali che i bambini assumono quando interagiscono con kit di costruzioni cibernetiche. Nel primo, prevale l’atteggiamento di osservazione in cui i bambini tipicamente si interrogano sulla natura dell’oggetto che hanno di fronte (sulle sue intenzioni, “intelligenza”, ecc.), nel tentativo di capirne l’intima natura; nel secondo, prevale l’atteggiamento costruttivo o di modifica degli oggetti e dei loro comportamenti. Ma i bambini, sostiene Ackermann, oscillano continuamente tra questi due estremi, esistendo infatti gradi diversi di breakdown e di situazioni in cui la componente dello psicologo e quella dell’ingegnere vengono calibrate e combinate diversamente. Diventare programmatori «Siamo diventati dei programmatori di robot! È vero! Questa è una scuola di programmatori! Possiamo fare tante cose! Abbiamo scoperto tre segreti: il primo è che due pezzettini del metro fanno una mattonella; il secondo è che se l’uccellino tocca il sensore di piegamento il registratore fa cip cip; il terzo è che i robot con la busta e la cassetta delle lettere si possono parlare.» [CRE, 2001] 63 TD27 Nella scuola “La Villetta” alcuni bambini di cinque anni dell’anno scolastico 1999/ 2000 avevano cercato di ridare vita ad un ramo di un albero del giardino che si era spezzato durante una nevicata. Il ramo era stato portato dentro la scuola e “fornito di nuova vita” con l’aggiunta di sensori e attuatori che gli permettevano di reagire alla luce, al contatto con le foglie, ecc. Nel successivo anno scolastico altri bambini, che nell’anno precedente avevano assistito all’inserimento del ramo nella vita della scuola, hanno deciso di estendere il progetto aggiungendo un uccellino che nel duro inverno chiede aiuto ad un amico robot per procurarsi del cibo. Il robot porta le briciole di pane sotto l’albero e chiama il suo amico uccellino che scende a raccoglierle. Questi bambini, che sono cresciuti in una realtà in cui le costruzioni cibernetiche erano già presenti e l’idea di programmazione numero 3-2002 dall’inizio né l’evoluzione né l’esito. Su un grande tavolo i bambini hanno realizzato lo scenario e aggiunto quattro veicoli (due difensori e due mostri). I mostri hanno due sensori di contatto programmati per aggirare eventuali ostacoli e un sensore di luce puntato sul tavolo che arresta il veicolo se incontra una zona di colore nero. Il nero identifica sia le trappole che l’ingresso della città. Inoltre, i mostri hanno una pila montata sul dorso che li rende riconoscibili dai difensori. Questi ultimi hanno un sensore di luce che permette loro di muoversi nella direzione di attacco. Questa prima definizione dei comportamenti ha fatto sì che i mostri e i difensori, dopo un primo urto, avanzassero a caso sul campo di gara senza un chiaro obiettivo. Soltanto casualmente un mostro finiva in trappola o riusciva a entrare in città; i difensori vagavano senza una chiara strategia per bloccare i mostri, con cui a volte si scontravano. I bambini si sono resi conto dei limiti e hanno proposto alcune alternative, ma gli insegnanti hanno incontrato un ostacolo nel realizzare i meccanismi di “attrazione” tra i difensori e i mostri, e tra i mostri e la città. È stato a questo punto fondamentale il contributo degli esperti che hanno suggerito due possibili modifiche al progetto per realizzare l’attrattività: introdurre delle piste di altro colore che indicassero ai mostri la direzione per arrivare alle porte della città e modificare il programma dei difensori attivando un meccanismo di ricerca dei mostri, consistente nel girarsi intorno per rilevare la direzione della luce. Queste proposte sono state discusse dagli insegnanti con i bambini, che hanno modificato lo scenario e i robot ottenendo comportamenti infine conformi ai desiderata. Questo lavoro ha coperto un arco temporale piuttosto lungo e articolato in varie fasi: progettazione e realizzazione dello scenario; realizzazione, programmazione e sperimentazione; modifica dei comportamenti. La partecipazione in qualità di esperti a questa attività ha consentito agli autori di questo articolo, impegnati nella progettazione dell’ambiente software descritto in precedenza, di appurare i seguenti aspetti: è possibile catturare la complessità di progetti di questo tipo nel modello proposto; comportamenti complessi quali quelli evidenziati da questa esperienza difficilmente possono essere sviluppati in autonomia dai bambini, ma possono far parte di un repertorio di componenti specializzati applicabili e ispezionabili direttamente dai bambini. La fabbrica dei robot figura 5 La definizione del comportamento che dice al robot di muoversi in avanti quando riceve un messaggio. Nell’angolo in alto a sinistra sono mostrati tre sensori: quello dei messaggi (selezionato), uno di suono e uno di luce. Per far muovere il robot “Avanti 12” i bambini hanno usato due comandi (10 + 2), poiché l’interfaccia prevede uno slider (non mostrato in figura) che limita la scelta del valore del parametro all’intervallo [0 ... 10]. TD27 numero 3-2002 64 era stata sperimentata con RoboSports, hanno trovato naturale realizzare e programmare le loro idee con un prototipo di ambiente messo loro a disposizione. Le frasi riportate all’inizio della sezione testimoniano il loro livello di consapevolezza raggiunto alla fine dell’esperienza. Durante il progetto i bambini hanno dovuto risolvere una serie di problemi. Il primo era quello di determinare il valore da dare al comando “Avanti” per far sì che il robot si muovesse di sei mattonelle sul pavimento. “Due pezzettini del metro fanno una mattonella” esemplifica il percorso che i bambini hanno seguito per correlare il parametro del comando “Avanti”, reso disponibile dal nostro ambiente per i Veicoli, con l’effettivo spazio percorso dal robot. I bambini hanno costruito uno strumento di misura, che hanno chiamato “metro”, per associare il valore del parametro ad un elemento del contesto, le mattonelle del pavimento. Poiché di quanto si muove un veicolo è funzione delle scelte fatte nella sua costruzione, il software permette di modificare un coefficiente di scala per rendere significativi i valori del parametro. Questa operazione di taratura è stata eseguita dagli insegnanti; i bambini hanno eseguito le misure e, verificato che bisognava muoversi in avanti di 12, hanno scomposto questo risultato inserendo due comandi “Avanti” (10 + 2), visto che l’interfaccia forniva uno slider con valori da 0 a 10 [figura 5]. Quest’esperienza ci ricorda che quando i bambini sono motivati riescono a mantenere a lungo la concentrazione e dimostrano competenze che in genere non ci si aspetta a quest’età. Poiché abbiamo scelto di rap- presentare il parametro di “Avanti” solo con un numero, senza specificarne l’unità di misura, abbiamo favorito l’interpretazione dei bambini secondo cui il parametro indica una distanza. In realtà, il parametro controlla il tempo di accensione dei motori, ma portare in primo piano questo dettaglio costringerebbe a tener conto della corrispondenza tra tempi e distanze. Ciò è stato risolto dall’intervento degli insegnanti che hanno opportunamente tarato il fattore di scala per far corrispondere “Avanti 2” ad una mattonella, permettendo così ai bambini di controllare la situazione. I bambini hanno realizzato il loro progetto in modo da poter raccontare la storia mentre veniva rappresentata dall’uccellino e dal robot. I punti di sincronizzazione sono essenziali al buon risultato della messa in scena: il robot deve iniziare a muoversi quando l’uccellino lo chiama, e l’uccellino deve scendere quando il robot arriva sotto l’albero. Una prima soluzione è stata quella di usare un sensore di suono per ascoltare la voce dell’uccellino (“se l’uccellino tocca il sensore di piegamento il registratore fa cip cip”). Questa soluzione, però, non ha retto alla verifica sperimentale. Il sensore di suono non distingue tra cinguettio e altri rumori attivandosi quindi in presenza di qualunque tipo di suono. L’organizzazione per scatole dell’interfaccia iconica ha aiutato i bambini a esplorare possibili alternative e scoprire autonomamente che “i robot con la busta e la cassetta delle lettere si possono parlare”. Lo scambio di messaggi ha fornito un robusto meccanismo di sincronizzazione permettendo ai bambini di riprogrammare il robot portapane (figura 5) e completare il loro progetto adottando un meccanismo analogo per dire all’uccellino di scendere a mangiare quando il robot raggiunge l’albero. L’evoluzione del progetto e il modo in cui i bambini sono riusciti a gestire i problemi sorti durante le fasi di programmazione sottolinea l’appropriabiltà e trattabilità dell’interfaccia proposta. CONCLUSIONI Il progetto CAB ha risposto in modo affermativo alla domanda: è possibile imparare costruendo robot nella scuola dell’infanzia? Non sembrano infatti esserci ostacoli cognitivi alla programmazione di costruzioni cibernetiche da parte dei bambini in presenza di un contesto ben definito e di strumenti specializzati. L’esplorazione della sensorialità, reattività, controllo e autonomia e lo La fabbrica dei robot RINGRAZIAMENTI Il lavoro descritto in questo articolo non sarebbe stato possibile senza l’impegno, l’entusiasmo e la creatività dei bambini e degli insegnanti delle scuole svedesi e italiane che hanno partecipato al progetto CAB. In particolare siamo debitori ai bambini della scuola “La Villetta” del titolo di questo articolo. I nostri partner sono stati portatori di istanze e punti di riferimento diversi, cia- figura 6 Una versione tangibile della definizione del comportamento “urto”. Le etichette sulla stazione a cui si connettono i tasselli ne indicano le funzionalità: a) per definire una regola, connettere condizioni e azioni su questo lato; b) la regola corrente può essere usata per definire un comportamento inserito in questo slot; c) la porta di comunicazione con il PC; d) uno slot aggiuntivo per ridefinire il significato di un tassello di condizione o azione. 65 TD27 et al, 2002]. Una versione tangibile dell’ambiente di programmazione descritto precedentemente potrebbe realizzare la visione di mischiare Atomi e Bit in maniera concreta e facile da usare [figura 6]. Comportamenti, condizioni e azioni potrebbero essere dei tasselli fisici che contengono l’elettronica necessaria a riconoscere automaticamente la topologia del puzzle [Gorbet et al, 1998] e a generare il programma corrispondente. I bambini potrebbero lavorare in modo cooperativo manipolando le componenti della programmazione così come fanno con le parti fisiche della costruzione. Ciò non sostituirebbe il computer, ma lo integrerebbe portando il suo ruolo sullo sfondo nelle fasi costruttive e in primo piano in quelle di riflessione e documentazione. numero 3-2002 sviluppo delle teorie associate sono favoriti nei bambini dal confronto con la costruzione di oggetti cibernetici che le reificano. L’ambiente di programmazione proposto permette di adattare le primitive messe a disposizione alle tipologie di costruzioni usate dai bambini nei loro progetti. Le scelte progettuali per l’interfaccia si sono rivelate accessibili ed usabili anche dai bambini di cinque anni, consentendo loro di programmare i comportamenti delle costruzioni e soprattutto di risolvere i problemi sorti durante l’evoluzione dei progetti. I risultati raggiunti vanno comunque riferiti ad un contesto di ricerca dove la mediazione degli adulti poteva avvalersi di risorse, competenze e tempi di lavoro difficilmente rintracciabili nei normali contesti educativi. Nell’ambito del progetto abbiamo sviluppato alcune idee su possibili evoluzioni del materiale costruttivo che potrebbero permettere un uso creativo e più autonomo del materiale per i bambini e forse aprire la strada a sperimentazioni per una fascia di età di quattro anni [Ackermann, 2002]. Una prima indicazione riguarda un’ulteriore riduzione della complessità meccanica delle costruzioni: il kit, ad esempio, dovrebbe prevedere componenti pre-assemblate che permettano trasformazioni semplici di movimenti (da rotatorio orizzontale a rotatorio verticale, da veloce ma debole a lento ma potente, ecc.) senza scendere al livello dei singoli ingranaggi; oppure introdurre nuovi sensori e attuatori per aprire la strada ad attività costruttive che prevedano una pluralità di materiali, non solo LEGO, in cui emerga da subito il ruolo della programmazione, come nello scenario del “muro dei suoni”. Un’altra indicazione riguarda il design dei singoli componenti per migliorarne la leggibilità. Le componenti attive del kit, i sensori e gli attuatori, dovrebbero infatti rivelare la loro natura sia proponendo una plastica trasparente che permetta di vedere le parti interne, sia aggiungendo una risposta visiva: per esempio, l’aggiunta di una barra di LED sui sensori darebbe un’indicazione dell’intensità dell’input. Infine, ci siamo chiesti: perché i bambini non dovrebbero poter costruire i programmi con componenti tangibili così come fanno con i LEGO? Questo approccio, che va sotto il nome di “programmazione tangibile” [Suzuki e Kato, 1995], è un settore di ricerca fiorente in cui sono presenti molti progetti indirizzati ai bambini [McNerney, 1999; Wyeth & Wyeth, 2001; Montemayor La fabbrica dei robot scuno dei quali ha concorso alla realizzazione di un approccio multidisciplinare e multiculturale che si è profondamente avvantaggiato della varietà e delle differenze preesistenti. Vogliamo ricordare in particolare Paola Barchi, Gino Ferri, Giovanni Piazza e Maura Rovacchi delle scuole dell’infanzia del Comune di Reggio Emilia per aver mantenuto sempre presente nel nostro lavoro il punto di vista dei bambini; Gaute Munch e Martin Rausch della LE- GO A/S per il loro contributo all’ambiente di programmazione. Siamo grati a Edith Ackermann per aver accettato di scrivere un articolo insieme fornendo un punto di vista complementare sul significato della programmazione per i bambini e aiutandoci a riflettere sul nostro lavoro. Vincenza Benigno e Donatella Persico hanno rivisto versioni preliminari di questo articolo fornendo preziose indicazioni per migliorane la leggibilità. PER SAPERNE DI PIÙ Chi vuole approfondire le tematiche della robotica educativa ha a disposizione diverse fonti di informazione. Nel seguito è riportata una selezione di riferimenti bibliografici e siti web1 che privilegia materiali relativi al LEGO MindStorms. Infine si propone un elenco di altri prodotti per la robotica educativa. 66 Una bibliografia su LEGO MindStorms Una raccolta di progetti per ragazzi della scuola media: Erwin B. (2001), Creative Projects with LEGO Mindstorms, Addison-Wesley Pub Co, Boston, MA. Un libro di testo per un corso introduttivo a livello universitario: Martin F. G. (2001), Robotic Explorations: An Introduction to Engineering Through Design, Prentice Hall, Upper Saddle River, NJ. Libri che trattano la robotica a livello hobbistico e presuppongono competenze ingegneristiche e di programmazione: Bagnall B. (2002), Core LEGO MINDSTORMS Programming: Unleash the Power of the Java Platform, Prentice Hall, Upper Saddle River, NJ. Baum D. (2002), Dave Baum’s Definitive Guide to LEGO Mindstorms, 2nd edition, Apress, Berkeley, CA. Baum D., Gasperi M., Hempel R., Villa L. (2000), Extreme Mindstorms: an Advanced Guide to LEGO Mindstorms, Apress, Berkeley, CA. Ferrari M., Ferrari F. (2001), Building Robots With LEGO Mindstorms: The Ultimate Tool for Mindstorms Maniacs, Syngress Media Inc., Rockland, MA. Laverde D. (ed.) (2002), Programming Lego Mindstorms with Java, Syngress Media Inc., Rockland, MA. TD27 numero 3-2002 Materiali didattici Il Center for Engineering Educational Outreach della Tufts University mette a disposizione: The LEGO Curriculum Site: http://www.ceeo.tufts.edu/curriculum/ The Science and Engineering NASA Site of Remote Sensing: http://www.ceeo.tufts.edu/sensors/ Il MediaLab del MIT offre un’enciclopedia di costruzioni robotiche (constructopedia): http://constructopedia.media.mit.edu/ Il sito della Playful Invention and Exploration (PIE) Network), una rete di musei americani che in collaborazione con il MIT Media Lab sviluppa progetti e attività per integrare scienza, tecnologie e arte: http://www.smm.org/pie/ Materiali informativi e software I LEGO User Groups dedicati alla robotica costituiscono la più vasta e aggiornata fonte di informazioni su questo tema: http://news.lugnet.com/robotics/ Ulteriori linguaggi e ambienti per programmare il LEGO MindStorms: Not Quite C (NQC) è un linguaggio Open Source in sintassi C. http://www.baumfamily.org/nqc/ Bricx Command Center è un ambiente di sviluppo Open Source per utilizzare il linguaggio NQC in ambiente Windows. http://hometown.aol.com/johnbinder/bricxcc.htm LeJos è un linguaggio Open Source in sintassi JAVA. http://lejos.sourceforge.net/ MindRover è un videogioco dove uno o più giocatori costruiscono e programmano robot virtuali che competono in missioni varie. Ne esiste una versione che permette sia di simulare il comportamento di un robot fisico all’interno del videogioco, che di scaricare il programma creato sul robot reale. http://www.mindrover.com/ Prodotti Il LEGO MindStorms è il prodotto di maggior successo in questo ambito. Esistono però altre offerte significative che coprono un ampio spettro di esigenze a cui corrispondono livelli di usabilità diversi. Per esempio TechnoK’NEX è un mattoncino programmabile compatibile con vari kit meccanici, tra cui LEGO Technic; gli altri kit di costruzione richiedono competenze ingegneristiche poiché permettono di integrare componenti elettronici esterni. In alcuni casi il prodotto di base è lo stesso ma la veste commerciale ne propone specializzazioni diverse: Il tuo Robot De Agostini è una versione personalizzata del Basic Stamps di Parallax. Infine Khepera e AIBO sono due robot mobili complessi e potenti che privilegiano gli aspetti di programmazione fornendo una struttura meccanica e apparati di input integrati. Basi per robot mobili Khepera, http://www.k-team.com/robots/khepera/ Il tuo Robot (De Agostini), http://robot.deagostini.it/ Kit di costruzione Basic Stamps versione education (Parallax), http://www.stampsinclass.com/ Handy Board e Handy Cricket, http://www.handyboard.com TechnoK’NEX Computer Control System, http://www.knexeducation.com/leonardo.html Robot mobili programmabili AIBO della Sony si può programmare grazie al kit software disponibile in http://www.aibo.com/openr/ 1 Tutti i riferimenti sono aggiornati a ottobre 2002. Ackermann E. (2002), Ambienti di gioco programmabili: cos’è possibile per un bambino di quattro anni?, TD – Tecnologie Didattiche, n. 27, pp. 48-55. Ananny M. 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La fabbrica dei robot riferimenti bibliografici TD E DISABILITÀ • Robot e disabilità: alcuni progetti di ricerca TD E DISABILITÀ Robot e disabilità: alcuni progetti di ricerca Com’è tradizione di questa rivista, anche per la Robotica Educativa cerchiamo di fornire, senza alcuna pretesa di esaustività, riferimenti a ricerche che mirano a interpretare questo settore nel contesto della didattica speciale. Nel seguito descriviamo brevemente tre iniziative: due relative all’autismo e una ai non vedenti. ■ Augusto Chioccariello, ITD-CNR, Genova AUTISMO I progetti AuRoRa e Mobile Robotic Toys as Therapeutic Tools for Autism condividono l’obiettivo di trasformare un robot mobile in giocattolo intelligente capace di catturare l’attenzione di bambini autistici in interazioni coordinate e sincronizzate con l’ambiente. Poiché anche i bambini autistici sono, in genere, interessati a giocare con computer o giocattoli meccanici, i progetti cercano di aiutarli a sviluppare capacità di interazione sociale lavorando in gruppo con l’ausilio di robot mobili specificamente progettati per svolgere il ruolo di mediatori sociali interattivi. Autonomous mobile Robot as a Remedial tool for Autistic children (AuRoRa) è un progetto inglese svolto in collaborazione tra la Radlett Lodge School (una scuola della National Autistic Society), la Colnbrook School, la University of Hertfordshire e la University of Reading. Ulteriori informazioni possono essere reperite all’indirizzo: http://www.aurora-project.com/ 68 Mobile Robotic Toys as Therapeutic Tools for Autism è un progetto del Mobile Robotics and Intelligent Systems Laboratory della Université de Sherbrooke, Canada. Ulteriori informazioni possono essere reperite all’indirizzo: http://www.gel.usherb.ca/laborius/ projects/Autism/ TD27 numero 3-2002 1 Il Cricket è il mattoncino programmabile descritto nell’articolo di Resnick et al (Beyond Black Boxes: restituire trasparenza e estetica all’indagine scientifica) presente in questo numero. “Cieco” in inglese è “blind”, quindi un cricket progettato per ciechi diventa un bricket. NON VEDENTI L’obiettivo del progetto Bricket è di creare un kit di costruzione cibernetiche per non vedenti e permettere loro di interagire in maniera creativa con la tecnologia. Infatti, i non vedenti usano diversi apparati tecnologici che li aiutano nei loro compiti quotidiani. Raramente, però, hanno l’opportunità di costruire i loro strumenti. Per permettere ai non vedenti di interagire con un mattoncino programmabile questo è stato dotato di output tattile, sonoro e di un sintetizzatore vocale. Il “bricket” è una versione del “cricket”1 progettata per persone cieche o ipovedenti al MIT Media Lab. Il bricket è stato provato con ragazzi non vedenti che, per esempio, hanno costruito un bastone elettronico per ciechi capace di rilevare ostacoli prima di toccarli. Questo progetto è stato realizzato da Rahul Bhargava per la sua tesi di master. Ulteriori informazioni possono essere reperite all’indirizzo: http://llk.media.mit.edu/projects/bricket/ VETRINA BSD • I robot LEGO VETRINA I robot LEGO1 LEGO® MINDSTORMS™ è una famiglia di prodotti che si distinguono per la fascia di mercato a cui si rivolgono e sono distribuiti attraverso differenti canali commerciali. Il prodotto orientato alle famiglie si chiama Robotics Invention System (RIS), è commercializzato in versione italiana ed è reperibile presso i negozi di giocattoli che distribuiscono i prodotti LEGO. Quello orientato alle scuole si chiama RoboLab, è disponibile solo in versione inglese ed è distribuito in Italia dalla Media Direct s.r.l. A differenza del RIS, disponibile in un’unica configurazione, RoboLab è acquistabile in configurazione personalizzata: oltre agli stessi pezzi del RIS, con RoboLab è possibile acquistare singoli componenti, tra cui un micromotore e sensori di livello professionale. Inoltre, i due kit usano differenti software per la programmazione del robot, e il mattoncino programmabile di RoboLab ha una presa per un alimentatore esterno. La scheda dell’hardware descrive le caratteristiche comuni ai due kit, evidenziando quando necessario le differenze. Le schede successive sono dedicate ad illustrare gli ambienti di programmazione associati ai due prodotti: RCXCode e RoboLab. ■ Augusto Chioccariello, Stefania Manca, Luigi Sarti, ITD-CNR, Genova Abbiamo scelto di descrivere qui i prodotti per la robotica della LEGO perché sono quelli citati nella maggior parte degli articoli di questo numero. SCHEDA DELL’HARDWARE Produttore:The LEGO Group Distributore: Robotics Invention System™ Negozi di giocattoli RoboLab™ Media Direct s.r.l., Viale Asiago 63, 36061 Bassano del Grappa (VI), tel. 0424/504650, fax 0424/504651 Data di pubblicazione: 1998, limitatamente al mercato statunitense e britannico. Il prodotto è stato commercializzato in Italia nel 1999. Composto da: Costo: Robotics Invention System™ Il microcomputer RCX™; il CDROM con il software RCXCode per il PC; la Constructopedia™, una raccolta di istruzioni per costruire esempi di robot; 3 Guided Challenges; 6 Pro Challenges; il dispositivo di trasmissione ad infrarossi per comunicare tra PC e RCX; 718 pezzi LEGO, tra cui 2 motori, 2 sensori di contatto, 1 sensore di luce RoboLab™ Dipende dalla configurazione scelta. Ad esempio, “Starter Set” comprende 3 motori, 1 micromotore, 4 mattoncini con lampadina, 3 sensori di luce, 4 sensori di contatto, 14 connettori, istruzioni per il montaggio, ecc. L’RCX va comprato a parte. Maggiori dettagli sono reperibili in http:// www.lego.com/dacta/ robolab/default.htm Robotics Invention System™ Prezzo suggerito al dettaglio 199 $ USD. In Italia il costo si aggira intorno ai 260 € RoboLab™ Dipende dalla configurazione scelta. Ad esempio, “Starter Set” costa 369 € + IVA 20%. 69 Requisiti Tecnici: sistema operativo Windows 98; CPU Pentium II 233 MHz; RAM 32 MB; spazio disco disponibile su hard disk 115 MB; mouse Windows compatibile; scheda Sound Blaster 16™ Windows compatibile; CD-ROM 8X; video display 800 X 600 SVGA con 4 MB RAM, 16 bit di colore. Robotics Invention System™ http://mindstorms.lego.com/ RoboLab™ http://www.lego.com/ dacta/robolab/ default.htm TD27 Sito web numero 3-2002 Il cuore del sistema LEGO MINDSTORMS è costituito dall’RCX Microcomputer [vedi figura 1], un dispositivo programmabile dal PC e dotato di: • tre porte d’ingresso cui connettere i sensori; • tre porte d’uscita per gli attuatori; • una porta ad infrarossi per comunicare con il PC o con altri RCX; • un display che fornisce informazioni sullo stato interno; • quattro pulsanti per controllare l’accensione, la selezione del programma, la sua esecuzione, la visualizzazione dei dati in ingresso o in uscita; • un generatore di suoni pilotabile da programma. Alle porte d’ingresso possono essere collegati sensori di luce, di contatto (interruttori), di temperatura, di rotazione. L’attuatore più frequentemente usato è il motore, ma esistono (non distribuite nel kit standard) anche lampadine integrate in pezzi LEGO che possono essere pilotate dall’RCX. Nello scenario tipico, ad una porta seriale o USB del PC viene connesso un dispositivo di trasmissione ad infrarossi, attraverso cui un’applicazione software residente su PC (vedi le schede sul software) può scaricare programmi eseguibili sull’RCX. Anche il firmware (sistema operativo) che gestisce il microprocessore deve essere trasferito dal PC all’inizio e ogni volta che vengono sostituite le batterie. Una volta programmato, il robot è autonomo e può dedicarsi all’esplorazione e all’interazione con l’ambiente indipendentemente dal PC. È possibile, in determinati contesti, far rilevare misure di grandezze fisiche al robot, attraverso i sen- 1 VETRINA BSD • I robot LEGO 1,5 V; il dispositivo di trasmissione ad infrarossi nella versione seriale richiede una batteria da 9 V; nessun altro componente del kit ha bisogno di batterie. figura 1 TD27 numero 3-2002 70 sori di cui è dotato; tali dati potranno essere memorizzati dall’RCX e, in un secondo tempo, caricati sul PC (sempre mediante l’interfaccia ad infrarossi) per successive rielaborazioni. Infine, è anche possibile che il PC controlli direttamente l’RCX, impartendo ad esso comandi direttamente eseguibili; in questo caso, ovviamente, il canale di comunicazione tra RCX e PC deve rimanere costantemente attivo, per cui il robot non può allontanarsi dalla zona di copertura del dispositivo ad infrarossi (qualche metro nei casi più favorevoli). Il sistema operativo dell’RCX permette la memorizzazione di 5 programmi separati, selezionabili sia da PC che tramite un pulsante (“Prgm”). Insieme, i 5 programmi devono spartirsi la memoria a disposizione. Esaminando il display dell’RCX si possono avere informazioni relative allo stato del robot: ad esempio, si può capire se e quale programma è in esecuzione, terminato o in fase di scaricamento da PC. Tramite un apposito pulsante (“View”) è, inoltre, possibile leggere direttamente il valore del dato presente su una delle porte di ingresso o di uscita: questa funzionalità risulta molto utile in fase di verifica del programma. L’RCX è alimentato da 6 batterie stilo da RCXCODE RCXCode è l’ambiente iconico funzionante su PC in dotazione nel kit “Robotics Invention System 2.0”, per lo sviluppo di programmi di controllo del robot LEGO MindStorms. Il programma viene composto assemblando “tessere” (che rappresentano istruzioni per il robot, o elementi di controllo) in strutture grafiche bidimensionali, e può quindi essere salvato nel file system del PC (per un successivo recupero) o scaricato sull’RCX e quindi eseguito. Questo linguaggio di programmazione gestisce eventi, definiti come proprietà dei sensori; ad esempio, quando la lettura di un sensore supera un certo valore di soglia, viene generato un evento che produce l’esecuzione di una particolare sequenza di istruzioni. Eventi concomitanti possono essere gestiti in parallelo. Il programma Rover4 [vedi figura 2] controlla un veicolo che, dotato di due motori e di un sensore di luce, cerca una linea nera e la segue. Le tessere verdi rappresentano azioni sui motori: ad esempio, “off A” spegne il motore connesso alla porta d’uscita di sinistra. Gli eventi generati dal sensore di luce (connesso alla porta 2) sono rappresentati dai due elementi a sfondo blu: quando la lettura fornisce un valore minore di 38 (scuro), viene spento il motore di sinistra e acceso quello di destra; viceversa, se il sensore legge un valore superiore a 40 (chiaro), il motore di destra viene spento e quello di sinistra acceso. Inizialmente entrambi i motori vengono accesi. L’effetto è che il veicolo segue a zig-zag il margine della linea nera. RCXCode consente di esplorare una ricca collezione di esempi di programmazione; organizza le funzionalità disponibili in categorie chiare e di facile uso; prevede la definizione di macrocomandi che realizzano una forma rudimentale di astrazione funzionale. Come in molti ambienti iconici di programmazione, l’interfaccia grafica impedisce al programmatore di commettere er- VETRINA BSD • I robot LEGO figura 2 71 figura 3 TD27 ROBOLAB Anche RoboLab è un ambiente grafico di programmazione. La metafora qui ospitata è però quella del diagramma di flusso: in figura 3 è riportato lo stesso programma Rover4 nella rappresentazione di RoboLab. Le icone dello schema rappresentano azioni e controlli del programma; il semaforo verde rappresenta il punto d’ingresso del diagramma, e quello rosso il suo elemento terminale. Le icone con le frecce sono rispetti- vamente un “go to” e la relativa etichetta d’arrivo; altre icone rappresentano i motori, il sensore di luce ecc. A differenza di RCXCode (v. sopra) RoboLab non gestisce gli ingressi in termini di eventi: la struttura del programma è quindi basata su un ciclo infinito di lettura dello stato del sensore e controllo conseguente dei motori. Frutto della collaborazione tra Tufts University, LEGO Education e National Instruments, RoboLab è un ambiente più completo di RCXCode, in quanto rende accessibili tutte le funzionalità offerte dall’RCX. Esso in genere viene riservato ad utenti più esperti, anche se prevede versioni semplificate per utenti neofiti. RoboLab offre, inoltre, diversi sottoambienti: “pilot”, destinato alle fasi introduttive; “inventor”, per successivi approfondimenti; “investigator”, per raccogliere, elaborare e visualizzare dati letti dai sensori. Ognuno di questi ambienti è strutturato su vari livelli di difficoltà, in cui le funzionalità vengono rese progressivamente disponibili al crescere della competenza dell’utente. RoboLab permette, inoltre, la gestione remota (via Internet) del robot. numero 3-2002 rori sintattici: se il costrutto che sto cercando di esprimere è inaccettabile per la grammatica del linguaggio, l’interfaccia semplicemente si rifiuta di connettere le tessere in quel modo. La grafica accattivante e la modalità drag-and-drop, agevolata dal disporsi automatico delle tessere, sono un ulteriore punto di forza dell’applicazione. La facilità d’uso ha però un costo: il modello di programmazione esposto dall’ambiente non offre tutte le funzionalità disponibili nell’RCX. Ad esempio, non è possibile con RCXcode far sì che il robot raccolga una serie di misure in seguito trasferibili al PC per successive rielaborazioni. TD - Norme per la pubblicazione 72 Nei numeri precedenti num. 1-1993 Che cosa sono le tecnologie didattiche TD2 num. 2-1993 Telematica e didattica TD3 num. 1-1994 Tecnologie didattiche per le discipline umanistiche TD4 num. 2-1994 L’apprendimento cooperativo TD5 num. 3-1994 Computer, apprendimento, disabilità TD6 num. 1-1995 Produrre per apprendere e per insegnare TD7 num. 2-1995 Costruttivismo e ambienti di apprendimento interattivi TD8/9 num. 3-1995 / num. 1-1996 Tecnologie Didattiche per l’educazione ambientale TD10 num. 2-1996 Argomenti vari TD11 num. 1-1997 Software didattico TD12 num. 2-1997 Comunicazione Mediata dal Computer TD13 num. 1-1998 Innovazione scolastica TD14 num. 2-1998 Innovazione scolastica TD15 num. 3-1998 Apprendimento e telematica TD16 num. 1-1999 Qualità TD17 num. 2-1999 Argomenti vari TD18 num. 3-1999 Docenti e Formatori TD19 num. 1-2000 Argomenti vari TD20 num. 2-2000 Argomenti vari TD21 num. 3-2000 Argomenti vari + Dossier SVITA TD22 num. 1-2001 Dal convegno TED TD23 num. 2-2001 Argomenti vari + Dossier EUROPA TD24 num. 3-2001 TD e scienze cognitive TD25 num. 1-2002 Telematica e apprendimento TD26 num. 2-2002 Argomenti vari TD1 TD27 numero 3-2002 TD27 IN QUESTO NUMERO num. 3-2002 Imparare giocando con i robot È possibile ricevere in contrassegno i numeri arretrati effettuando un versamento di 10,00 euro (a numero) sul c.c.p. 240663, intestato a: Edizioni Menabò s.r.l. Via F.P. Cespa 102 - 66026 ORTONA (CH). TD - NORME PER LA PUBBLICAZIONE TD pubblica articoli che riguardano ricerca e applicazioni nel settore delle tecnologie didattiche, e in particolare i seguenti argomenti: - teorie e modelli dell’apprendimento in relazione all’uso delle tecnologie didattiche, - tecnologie didattiche e valutazione dell’apprendimento, - sviluppo e validazione di sistemi didattici, - sistemi didattici complessi, - software didattico, - tecnologie didattiche e disabilità, - tecnologie didattiche e discipline, - tecnologie e metodi innovativi per la didattica (telematica, intelligenza artificiale, realtà virtuale, etc) - formazione e apprendimento a distanza. Gli articoli pubblicati su TD sono sia contributi scritti su “invito” del comitato di redazione sia contributi inviati spontaneamente, e vengono comunque sottoposti al giudizio di due “referee” (Per inviare contributi, scrivere a [email protected]). Ciascun contributo non dovrà superare i 30.000 caratteri. Oltre al titolo e ai nomi degli autori, con l’indicazione dell’ente di appartenenza, ogni contributo dovrà avere un “occhiello”, o sottotitolo, di 300 caratteri al massimo. Dovrà inoltre essere indicato l’indirizzo a cui si desidera sia inviata la corrispondenza relativa all’articolo stesso. Il testo dovrà essere times corpo 12, interlinea doppio, con due livelli di titoli: il primo livello in maiuscolo e grassetto (sempre times 12) e il secondo in minuscolo grassetto. Le figure e le tabelle (in bianco e nero) dovranno essere a parte, mentre la loro posizione ottimale nel testo dovrà essere indicata come segue: Fig.1 L’articolo dovrà contenere almeno un riferimento per ciascuno dei testi presenti in bibliografia. I riferimenti bibliografici nel testo saranno del tipo: [Rowntree, 1992] per autori singoli; [Mispelkamp e Sarti, 1994] per due autori; [Persico et al, 1985] per più di due autori. Nel caso di autori e anno di pubblicazione uguale, distinguere con una lettera dopo l’anno: [Ferraris et al, 1984a] La bibliografia dovrà essere in fondo al testo, in ordine alfabetico. Il formato per libri e monografie è il seguente: Rowntree D. (1992), Exploring open and distance learning, Kogan Page, London. Il formato per articoli apparsi su riviste è il seguente: Ferraris M., Midoro V., Olimpo G. (1984a), Instructional system design and software system design: a unifying approach, Journal of structured learning, vol.8, pp.55-61. Ferraris M., Midoro V., Olimpo G. (1984b), Petri nets as a modelling tool in the development of CAL courseware, Computers and education, vol. 8, n.1, pp.41-49. Il formato per articoli pubblicati su atti di convegni o collezioni di articoli è il seguente: Persico D., Ferraris M., Midoro V., Olimpo G., Sissa G. (1985), Diagnostic evaluation in the learning process, in Duncan K. e Harris D. (eds) Proc. of the 4th World Conference on Computers and Education, Norfolk, VA, North Holland, Amsterdam, pp.31-38. Mispelkamp H., Sarti L. (1994), DISCourse: tools for the design of learning material, in de Jong T. e Sarti L. (eds) Design and production of multimedia and simulation based learning material, Kluwer Academic Publishers, Dordrecht, pp.45-60. Dopo la bibliografia, potrà comparire una sezione “Letture consigliate”, in cui si possono fornire ulteriori elementi bibliografici (con la stessa notazione della bibliografia) che non sono referenziati nel testo ma potrebbero essere di interesse per il lettore.