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Imparare giocando con i robot

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Imparare giocando con i robot
Percorsi di apprendimento
Enrica Giordano
Il laboratorio di robotica
Roberto Didoni
Costruire e programmare robot
Barbara Caci, Antonella D’Amico, Maurizio Cardaci
TD 27 TECNOLOGIE DIDATTICHE numero 3-2002
Mitchel Resnick, Robbie Berg, Michael Eisenberg
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Beyond Black Boxes:
restituire trasparenza e estetica
all’indagine scientifica
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IMPARARE GIOCANDO CON I ROBOT
TECNOLOGIE DIDATTICHE
ToyBots. Allevare robot per apprendere
a governare un processo evolutivo
Orazio Miglino, Henrik H. Lund, Luigi Pagliarini
Edith K. Ackermann, Augusto Chioccariello,
Stefania Manca, Luigi Sarti
Ambienti di gioco programmabili:
cos’è possibile per un bambino di quattro anni?
Edith K. Ackermann
La fabbrica dei robot
Imparare giocando con i robot
Augusto Chioccariello, Stefania Manca, Luigi Sarti
Sped. in abb. post. - 45% - Art 2 comma 20/b Legge 662/96 - Filiale di Chieti - 66100
7,00 euro
Costruire giocattoli cibernetici
TD27
numero 3-2002
a cura dell’Istituto Tecnologie Didattiche del CNR
EDIZIONI MENABÒ
TD27
Imparare giocando con i robot
5 Beyond Black Boxes:
restituire trasparenza e estetica
all’indagine scientifica
Mitchel Resnick, Robbie Berg, Michael Eisenberg
21 Percorsi di apprendimento
Enrico Giordano
29 Il laboratorio di robotica
Roberto Didoni
36 Costruire e programmare robot
Barbara Caci, Antonella D’Amico, Maurizio Cardaci
41 ToyBots. Allevare robot per apprendere
a governare un processo evolutivo
Orazio Miglino, Henrik H. Lund, Luigi Pagliarini
46 Costruire giocattoli cibernetici
Edith K. Ackermann, Augusto Chioccariello,
Stefania Manca, Luigi Sarti
48
Hanno collaborato
al numero 27 di TD
Edith K. Ackermann, MIT
School of Architecture, USA;
Robbie Berg, Wellesley College, USA; Barbara Caci, Università di Palermo; Maurizio
Cardaci, Università di Palermo; Giovanna Caviglione,
ITD-CNR, Genova; Augusto Chioccariello, ITDCNR, Genova; Antonella
D’Amico, Università di Palermo; Roberto Didoni, IRRE Lombardia; Michael Eisenberg, University of Colorado, USA; Maura Geri, Istituto Comprensivo di Lainate,
Milano; Enrica Giordano,
Università di Milano Bicocca; Henrik H. Lund, University of Southern Denmark,
Danimarca; Stefania Manca, ITD-CNR, Genova; Orazio Miglino, Seconda Università di Napoli; Luigi Pagliarini, ISTC-CNR, Roma;
Mitchel Resnick, MIT Media Laboratory, USA; Luigi
Sarti, ITD-CNR, Genova.
Edith K. Ackermann
56
Direttore
Vittorio Midoro
Direttore responsabile
Franco Carlini
Comitato di redazione
Vittorio Midoro
Giorgio Olimpo
Donatella Persico
Segreteria del
Comitato di redazione
Stefania Bocconi
Francesca Pozzi
Coordinamento editoriale
Gaetano Basti
Comitato scientifico
Chris Bell,
University of Plymouth, (UK);
Peter Brusilovsky,
University of Pittsburgh,
Pittsburgh PA (USA);
Maria Ferraris,
Istituto Tecnologie Didattiche,
CNR, Genova, (Italia);
Juana Sancho,
Universitat de Barcelona
(Spagna);
Elliot Soloway,
University of Michigan USA);
Alistair Thomson,
University of Glasgow,
Glasgow (UK).
La fabbrica dei robot
Augusto Chioccariello, Stefania Manca, Luigi Sarti
Edizioni MENABÒ s.r.l.
Via F.P. Cespa 102
66026 Ortona/CH
Tel. e Fax 085.9064999
1
Abbonamento annuale
20,00 euro (3 numeri)
su cc/p 240663 intestato a:
Menabò srl
Via F.P. Cespa 102
66026 Ortona/CH
RUBRICHE
68 TD e disabilità
Robot e disabilità: alcuni progetti di ricerca
a cura di Augusto Chioccariello
69 I robot LEGO
a cura di Augusto Chioccariello, Stefania Manca, Luigi Sarti
Redazione di Pescara
Piazza Duca D’Aosta, 50
65121 Pescara
Tel. 085.4212238
Fax 085.4214210
Illustrazione di copertina
Fusako Yusaki
Videoimpaginazione
MobyDick, Ortona/CH
Stampa
Poligrafica Mancini,
Sambuceto/CH
Allestimenti
D’Ancona, Cepagatti/PE
TD27
In copertina
fotografie di Giovanni Crupi
e Stefania Manca, rielaborazione al computer di Mirvana Contini
Ambienti di gioco programmabili:
cos’è possibile per un bambino
di quattro anni?
TD TECNOLOGIE
DIDATTICHE
Reg. Trib. di Chieti
n. 8 del 25.11.1992
numero 3-2002
numero 3-2002
SOMMARIO
Tecnologie Didattiche TD 27 • numero 3-2002 • Editoriale
TD27
numero 3-2002
2
Questo numero di TD, dal titolo Imparare giocando con i robot, si pone l’obiettivo di offrire una panoramica di contributi di ricerca e di
proposte didattiche sulla valenza ludica ed
educativa della robotica.
L’orientamento della robotica che riveste particolare interesse per le ricerche sull’apprendimento e le tecnologie didattiche è quel filone che ha sviluppato concetti, metodologie e
strumenti tecnologici con lo scopo di indagare la natura dei processi di apprendimento
naturali attraverso la realizzazione di creature artificiali che interagiscono in maniera autonoma con l’ambiente. Obiettivo di questo
settore non è quello di emulare le caratteristiche dell’intelligenza umana, bensì di realizzare artefatti capaci di inserirsi in un contesto
reale con comportamenti autonomi e intenzionali, attingendo a idee e contributi provenienti da discipline quali la cibernetica, l’Intelligenza Artificiale, la biologia, l’informatica, la psicologia, le neuroscienze.
Alcune linee di ricerca hanno recentemente
esplorato la relazione con il gioco, attraverso
le proposte di gare di robot che giocano a
calcio (RoboCup), animali (Aibo) o bambole
(My Real Baby) cibernetici. L’interesse per gli
aspetti ludici è condiviso anche da quei ricercatori provenienti dalle tecnologie didattiche
interessati a investigare contesti di apprendimento motivanti e a rileggere la robotica dal
punto di vista educativo. Questo settore va
sotto il nome di Robotica Educativa e, seppure giovane, vanta già un ricco patrimonio di
ricerca, esperienze e proposte curricolari.
Già da tempo, infatti, varie istituzioni accademiche sono impegnate nell’elaborazione di
ricerche di volta in volta più orientate agli
aspetti educativi o tecnologici. Parallelamente, comunità di utenti e sviluppatori sono una
realtà consolidata che interagisce con un mercato di prodotti sia a livello hobbistico che
propriamente educativo.
Questo numero presenta una selezione di studi e proposte didattiche elaborati prevalentemente nel contesto italiano, senza la pretesa
di fornire un quadro esaustivo, ma con l’obiettivo di evidenziare i temi principali attorno ai quali si sta incentrando l’interesse della
comunità di ricercatori e utenti.
Data la complessità degli argomenti affrontati, si ritiene utile fornire al lettore alcune chiavi interpretative allo scopo di evidenziare fili
conduttori tematici tra i diversi contributi pro-
posti. L’educazione scientifica, la programmazione e la progettazione degli strumenti
sono alcuni dei temi che in maniera trasversale consentono di percorrere la fitta trama
intessuta dai diversi autori.
Per quanto riguarda il primo, quello dell’educazione scientifica, gli autori sono tutti concordi nel sottolineare l’esigenza di innovare
l’educazione al metodo scientifico nella scuola, che spesso si limita alla riproduzione degli
esperimenti storicamente rilevanti di una specifica disciplina, introducendo elementi di novità sia nell’approccio metodologico da seguire che nel campo degli strumenti usati. I kit
robotici permettono di sviluppare attività sperimentali sfruttando la capacità dei robot costruiti di interagire tra di loro e con l’ambiente. Inoltre il loro comportamento, diversamente da quanto accade nelle simulazioni, è soggetto a tutte le “imprecisioni” e “indeterminatezze” tipiche del mondo reale. Ciò apre la
strada ad attività di laboratorio sperimentale
in cui creatività costruttiva e ripetibilità dei
comportamenti siano in un giusto equilibrio.
Il contributo di Mitchel Resnick, Robbie Berg e
Michael Eisenberg pone l’accento sull’importanza che la costruzione di esperimenti e strumenti personali per l’esplorazione di fenomeni naturali ha ai fini di una conoscenza più
profonda della natura dei fenomeni studiati.
Attraverso dei dispositivi elettronici completamente programmabili, a cui è possibile collegare una serie di sensori ed attuatori, gli studenti hanno la possibilità di costruire e indagare molteplici ipotesi scientifiche a partire
dalla raccolta e analisi di dati rintracciabili in
molte situazioni della vita quotidiana. L’invito
a coniugare aspetti di funzionalità, operatività e estetica della strumentazione scientifica
ha importanti implicazioni soprattutto ai fini
di una personalizzazione degli strumenti
scientifici e di sostegno a diversi stili di apprendimento.
Enrica Giordano, da parte sua, elabora nel
proprio articolo una proposta di educazione
scientifica che, partendo dalle prime forme di
esplorazione del mondo da parte dei bambini, arrivi ad integrarsi nel curriculum scientifico di uno studente universitario. L’autrice si
sofferma in modo particolare sull’apprendimento di concetti e procedimenti della fisica in
età prescolare, quando i bambini sono attivamente impegnati nella scoperta di un mondo
costituito oltre che da oggetti anche da coeta-
editoriale
editoriale
Tecnologie Didattiche TD 27 • numero 3-2002 • Editoriale
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TD27
programmazione? Quali possono essere i
vantaggi educativi e di crescita cognitiva derivanti dal confronto con strumenti concettuali
quali “strutture di controllo”, “sequenzialità”,
“parallelismo”, creazione di “regole”, e così
via? Se la proposta del Logo può essere considerata una realtà, seppur di nicchia, anche in
alcune scuole del nostro paese, nuove indicazioni sul ruolo della programmazione incominciano ad emergere.
Nell’articolo congiunto di Edith K. Ackermann
e Augusto Chioccariello, Stefania Manca, Luigi Sarti, gli autori elaborano alcune riflessioni
e proposte sull’esplorazione e programmazione di giocattoli cibernetici per la scuola dell’infanzia. In particolare, il contributo di
Ackermann si occupa di analizzare quali
aspetti della programmazione, attraverso i
possibili significati che questo termine può assumere, possono essere di particolare interesse per i bambini. Si suggerisce di guardare alla programmazione soprattutto come a uno
strumento in grado di esplorare concetti relazionali quali “controllo” e “agente”, ma soprattutto in quanto specchio e finestra attraverso cui i bambini possono entrare in relazione o dialogare con oggetti e persone, oltre
che con sé stessi nella relazione con interlocutori artificiali. Nella seconda parte Chioccariello, Manca e Sarti sottolineano la possibilità
anche per bambini piccoli di comporre dei
programmi, a condizione che vengano loro
proposti degli ambienti specializzati nella direzione delle caratteristiche del problema da
risolvere. L’ambiente di programmazione visivo proposto dagli autori e sperimentato nell’ambito della scuola dell’infanzia privilegia
l’immediatezza operativa, il dialogo e la riflessione metacognitiva. Per rendere accessibile la programmazione di robot, viene proposto un modello a regole che mette in relazione
gli input dei sensori con le azioni che il robot
deve eseguire. Lavorando in gruppo alla manipolazione sullo schermo dei tasselli di un
puzzle i bambini possono esplorare comportamenti esistenti (esempi già presenti nell’ambiente), adattarli alle loro necessità, costruirne
di nuovi e condividere i risultati con l’intera
classe.
La ricerca raccontata nell’articolo di Barbara
Caci, Antonella D’Amico e Maurizio Cardaci
è stata finalizzata alla definizione di una metodologia di valutazione delle abilità cognitive
richieste nella costruzione e programmazione
numero 3-2002
nei e adulti. Viene proposto un percorso di lavoro sul movimento che parte dalla scuola dell’infanzia e si sviluppa lungo l’arco della scuola dell’obbligo, coniugando attività sperimentali di tipo tradizionale, microcomputer based
laboratory e robotica. Attraverso la costruzione ed interazione con robot dotati di “sensorialità” è possibile, ad esempio, interrogarsi
sulla relazione tra i nostri canali percettivo, visivo e tattile e la funzione motoria nella gestione dello spazio nel quale ci muoviamo.
L’articolo di Roberto Didoni si pone, invece,
l’obiettivo di fornire alcune indicazioni di tipo
progettuale per l’allestimento di un laboratorio
di robotica nella scuola dell’obbligo. Vengono
avanzate una serie di riflessioni che vanno da
considerazioni di tipo logistico e strumentale,
alla proposta di tipologie di attività di laboratorio che facciano leva su aspetti di modularità, fino ad approdare al valore didattico e
educativo che può rivestire la progettazione e
realizzazione di gare di robot. Queste si rivelano particolarmente interessanti per realizzare un modello di apprendimento innovativo
basato sul concetto di comunità, coinvolgendo
aspetti sia di collaborazione nelle fasi progettuali e di realizzazione che di competizione
tra gruppi di studenti coinvolti.
L’ultimo contributo sul tema dell’educazione
scientifica è quello di Orazio Miglino, Henrik
H. Lund e Luigi Pagliarini che, mettendo in risalto un approccio all’educazione scientifica
basato sui principi della Robotica Evolutiva, si
propone di sviluppare robot traendo ispirazione diretta dalle teorie dell’evoluzione biologica. L’ambiente di simulazione presentato consente agli studenti di allevare, addestrare e selezionare popolazioni di robot in grado di
esprimere i comportamenti più adatti a determinate condizioni ambientali. Ciò consente di
entrare direttamente in un processo e di contribuire a governarlo. Piccole popolazioni di
robot vengono sottoposte ad un processo di
evoluzione artificiale al fine di adattarsi a
qualche particolare ambiente di vita, attraverso l’integrazione dell’ambiente di simulazione
con l’esecuzione dei comportamenti nel mondo dei robot fisici.
Il secondo tema trasversale, quello della programmazione, investe un settore che diventa
denso di interrogativi soprattutto quando viene istanziato in una proposta educativa per i
bambini. Perché invitare i bambini e i ragazzi
più piccoli a cimentarsi con il compito della
Tecnologie Didattiche TD 27 • numero 3-2002 • Editoriale
TD27
numero 3-2002
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comportamentale di robot. Una prima sperimentazione ha coinvolto un gruppo di studenti di scuola media inferiore. La metodologia
adottata ha compreso tre fasi principali: 1) valutazione del profilo cognitivo di ciascun soggetto; 2) costruzione del robot; 3) programmazione comportamentale del robot. I test cognitivi usati hanno evidenziato una correlazione tra abilità senso-motorie e visuo-costruttive,
processi di ragionamento logico e abilità costruttive e di programmazione.
Il terzo contributo sul tema della programmazione affronta questa problematica da una
prospettiva originale. Orazio Miglino, Henrik
H. Lund e Luigi Pagliarini propongono un approccio alla programmazione basato sulla simulazione dei processi di allevamento e addestramento di una popolazione di robot. Le
tecniche di programmazione evolutiva spostano la definizione del comportamento di un robot dalla scrittura di un codice alla selezione e
controllo dell’evoluzione di quei robot che meglio si adattano al compito. Attraverso la manipolazione sullo schermo del computer dei
parametri che soggiacciono a certe condizioni ambientali e ai comportamenti reattivi degli
organismi coinvolti, gli utenti hanno l’opportunità di governare e controllare alcuni processi
di evoluzione biologica in scala temporale ridotta, con un notevole vantaggio in termini di
completezza dei processi coinvolti.
Il terzo e ultimo tema riguarda l’importanza
della progettazione degli strumenti, soprattutto attraverso il ruolo che la relazione tra design e funzionalità riveste ai fini di una esplorazione delle loro potenzialità. Rendere “trasparenti” gli strumenti significa soprattutto definire la loro granularità, ossia il livello di dettaglio con cui gli elementi funzionali dello strumento si possono scomporre e ricomporre per
ottenere strutture che assolvono a determinati
compiti. Granularità, struttura e compito sono
legati in una relazione complessa: dato un
compito, si possono individuare strumenti specializzati con poche componenti (granularità
grossa) integrate in una struttura isomorfa al
compito: se capisco il compito, capisco la
struttura dello strumento. Strumenti generici,
d’altro canto, sono costituiti da un gran numero di componenti (granularità fine), in grado
di affrontare un’ampia gamma di compiti e
con una struttura articolata tra le componenti
ma spesso lontana dal dominio, risultando così più difficili da comprendere. La mediazione
tra questi due estremi connota lo specifico approccio adottato dal progettista nella definizione di uno strumento, che può, ad esempio,
privilegiare gli aspetti di genericità o quelli di
specializzazione e quindi definire la granularità delle componenti.
I due contributi che affrontano questa problematica sono dedicati a fornire delle proposte e
soluzioni, anche tecnologiche, che privilegiano l’autonomia esplorativa e costruttiva degli
utenti. Gli autori sono concordi nel sottolineare l’importanza di sostenere le potenzialità
creative dei bambini anche attraverso l’adozione di materiali non prettamente tecnologici,
nell’ottica di combinare gli aspetti di funzionalità, operatività e estetica. Gli strumenti proposti, specializzati per la costruzione di robot,
sono direttamente programmabili dagli utenti
che ne possono così definire i comportamenti.
La proposta tecnologica di Mitchel Resnick,
Robbie Berg e Michael Eisenberg consiste di
piccoli dispositivi elettronici portatili e programmabili per la costruzione di strumenti
scientifici. Questi dispositivi si possono combinare con un vasto insieme di materiali, anche
di normale uso quotidiano, che consentono di
recuperare la componente estetica nella progettazione degli strumenti scientifici. Le loro
piccole dimensioni favoriscono la creazione di
strumenti mobili e collocabili nelle più svariate
situazioni ambientali. Il basso costo ne consente un uso intensivo e quotidiano. Infine, la
programmabilità permette di combinare attività di rilevamento dati con il controllo dei dispositivi di output.
Il contributo di Augusto Chioccariello, Stefania
Manca e Luigi Sarti si pone il problema di riprogettare un kit di costruzioni cibernetiche
originariamente realizzato per ragazzi affinché diventi una proposta educativa per bambini piccoli. Quali aspetti legati alle modifiche
estetico-funzionali delle componenti hardware
e all’ambiente di programmazione vanno riconsiderati? Ampliare l’insieme delle funzioni
assolvibili dal robot, ridurre la complessità
meccanica degli artefatti e ridefinire l’ambiente di programmazione come fortemente orientato alle esigenze che emergono nei diversi
contesti costruttivi: queste sono state alcune
delle proposte formulate nell’ambito della ricerca raccontata.
Augusto Chioccariello,
Stefania Manca, Luigi Sarti
editoriale
1
restituire trasparenza e estetica
all’indagine scientifica
Costruire esperimenti e strumenti per l’esplorazione
di fenomeni della vita quotidiana
■ Mitchel Resnick, MIT Media Laboratory, USA
[email protected]
■ Robbie Berg, Wellesley College, USA
[email protected]
■ Michael Eisenberg, University of Colorado, USA
[email protected]
Beyond Black Boxes: restituire trasparenza e estetica all’indagine scientifica
Beyond Black Boxes :
“La scienza, qualsivoglia siano i suoi ultimi sviluppi, ha le sue origini nelle tecniche, nelle arti e mestieri… La scienza emerge nel contatto con le cose, dipende dall’evidenza dei sensi, e per quanto sembri
allontanarsi da essi sempre ad essi deve tornare.” [Farrington, 1949]
5
1
“Oltre le scatole nere”
(N.d.T.).
TD27
ganza e la bellezza negli oggetti materiali
del lavoro scientifico. Testimonianze di
questa tradizione estetica sono reperibili nei
musei e negli archivi, in scritti, disegni e
strumenti arrivati sino a noi dagli scienziati
del passato. Per esempio, gli orologi di John
Harrison hanno rappresentato sia un progresso rivoluzionario nella progettazione
strumentale che meravigliose opere d’arte
funzionale dalla decorazione complessa
[Sobel, 1995]. L’osservatorio di Tycho
Brahe era un laboratorio e una esposizione
di begli strumenti allo stesso tempo [Rider,
1983: pp. 52-3]. E ancora, negli annali dell’informatica, le macchine da calcolo di Pascal e Leibniz, così come il “motore analitico” del diciannovesimo secolo di Charles
Babbage (ricostruito al Museo della Scienza
di Londra), esibiscono la loro varietà di bellezze meccaniche. Gli strumenti ottici,
quelli per la navigazione e la vetreria usati
dagli scienziati del diciottesimo e del diciannovesimo secolo oggi ci colpiscono per
la loro funzionalità e gradevolezza; anche la
tradizione storica dell’illustrazione scientifica (come esemplificata nei disegni di Audubon) unisce la precisione alla bellezza (per
esempio, [Turner, 1980; Daumas, 1972;
Ford, 1993]).
numero 3-2002
INTRODUZIONE
La scienza è generalmente considerata
un’attività “cognitiva”, una disciplina della
mente. Tuttavia, esiste una tradizione più fisica e tattile nella scienza, una tradizione
nella quale gli scienziati non si limitano a
misurare e teorizzare, ma costruiscono anche gli strumenti per farlo. Infatti, molte
delle grandi e importanti scoperte scientifiche della storia si basano su una combinazione di scienza, ingegneria e progettazione. La costruzione di Galileo del suo cannocchiale (come da lui stesso descritta
[1610]), il progetto della pompa ad aria di
Boyle e Hooke per esperimenti con la bassa
pressione [Shapin, 1996], la costruzione di
uno strumento per la misurazione delle maree da parte di Kelvin [MacDonald, 1964],
sono esempi della tradizione scientifica. Attraverso la costruzione degli strumenti - e la
comprensione delle loro possibilità e dei loro limiti - gli scienziati hanno storicamente
raggiunto una conoscenza più profonda
della natura dei fenomeni studiati.
I meriti della tradizione legata alla costruzione degli strumenti vanno oltre le necessità immediate della ricerca. Infatti, un elemento di quella tradizione è una filosofia di
progettazione che metta in evidenza l’ele-
Beyond Black Boxes: restituire trasparenza e estetica all’indagine scientifica
TD27
numero 3-2002
6
Le tradizioni estetiche e di costruzione di
strumenti delle discipline scientifiche si sono forse attenuate in questi anni, in parte
per buone ragioni. La scienza non è più la
provincia del singolo aristocratico e la progettazione di uno strumento scientifico (come di altre cose in questo secolo) è sempre
più una questione di produzione di massa.
Mentre la democratizzazione della scienza è
un fatto positivo, il declino dell’“artigianato scientifico” è un fenomeno più problematico. Secondo alcuni scienziati, l’esperienza (e forse anche la qualità) della ricerca
soffre quando il ricercatore perde il contatto fisico stretto con gli strumenti e i materiali del suo mestiere. Scrive Pierre-Gilles de
Gennes (Nobel per la fisica):
“Nella Francia rurale di un tempo, i
bambini erano in contatto quotidiano con
la natura e con il mondo degli artigiani,
e ciò sviluppava in loro il senso di osservazione e del lavoro manuale… L’accesso all’informatica è una necessità, ma se ci accontentiamo di far sedere le giovani generazioni davanti a un computer (cosa che
a loro piace) rischiamo di perdere qualcosa di prezioso. Formare una generazione
in grado soltanto di usare una tastiera e
produrre dei documenti è, secondo me,
una prospettiva allarmante.” [de Gennes, 1996: p. 149]
E vi sono problemi ancor più sottili. Con il
tempo il laboratorio scientifico potrebbe essere tristemente diventato un ambiente meno bello dove lavorare è meno magico agli
occhi di uno studente o di un giovane ricercatore. Lo studente delle facoltà scientifiche
di oggi difficilmente trae un senso di
confort e piacere dall’ambiente che lo circonda; e, come osserva Csikszentmihalyi
(1996), l’impresa creativa (scientifica o artistica) è spesso molto influenzata da tali fattori ambientali:
“Anche la mente più astratta è influenzata da ciò che circonda il suo corpo. Nessuno è immune dalle impressioni che colpiscono i nostri sensi dall’esterno. Gli individui creativi sembrano trascurare
l’ambiente e lavorare felicemente anche
nei contesti più tristi… In realtà, invece,
il contesto spazio-temporale in cui le persone creative vivono ha conseguenze che spesso passano inosservate.” (p. 127)
Il potere e al tempo stesso il limite degli
strumenti scientifici moderni sono rispecchiati nel termine “scatola nera”, che è comunemente usato per descrivere le apparecchiature. Le “scatole nere” di oggi sono altamente efficienti nelle misurazioni e nella
raccolta di dati e consentono anche ai principianti di svolgere esperimenti scientifici
avanzati. Allo stesso tempo, queste scatole
nere sono “opache” (in quanto il loro funzionamento interno è spesso nascosto e
quindi scarsamente compreso da chi li usa)
e sono di aspetto insignificante (ciò rende
difficile per l’utente provare un senso di relazione personale con l’attività scientifica).
Come suggerisce la citazione di de Gennes,
l’elettronica digitale e le tecnologie informatiche hanno accelerato questa tendenza,
riempiendo i laboratori scientifici e le classi
scolastiche di scatole nere sempre più opache. La maggior parte degli strumenti
scientifici odierni è costituita da poco più
che piastre e circuiti integrati. Anche se
aprissero le scatole e le esaminassero, la
maggior parte degli studenti (e anche molti
scienziati) capirebbero molto poco del funzionamento dello strumento.
Paradossalmente, le stesse tecnologie elettroniche che hanno contribuito a rendere la
scienza una scatola nera possono essere usate anche per reintrodurre nella progettazione di strumenti scientifici una dimensione
personale vigorosamente creativa ed estetica, in particolare nell’insegnamento scientifico. Questo articolo descrive due anni di lavoro, svolto nell’ambito del progetto
“Beyond Black Boxes” (BBB), incentrato
sullo sviluppo di nuovi strumenti di calcolo
e materiali di progettazione che consentano
ai bambini (e a studenti più grandi) di creare, modificare e personalizzare i loro strumenti scientifici. I nostri strumenti e materiali fanno uso di apparecchi elettronici minuscoli e completamente programmabili
chiamati Cricket, che gli studenti possono
incorporare in (o collegare a) oggetti di uso
quotidiano. I Cricket possono controllare
motori e luci, ricevere informazioni da sensori e comunicare fra di loro tramite raggi
infrarossi. Poiché i Cricket sono computer
per scopi generali, gli studenti possono riprogrammarli per usarli in una vasta gamma
di strumenti fatti in casa; poiché sono piccoli e portatili, solidi e capaci di comunicare fra di loro, gli studenti possono usarli in
modi nuovi e originali. I Cricket quindi, da
un lato, espandono il paesaggio tradizionale della progettazione informale di strumenti e, dall’altra, intensificano il rapporto
individuale fra l’utente e lo strumento, rendendo possibile intrecciare l’indagine scientifica con gli artefatti progettati personalmente (o dal significato personale) e con le
attività quotidiane.
Il resto di questo lavoro descrive i modi in
Beyond Black Boxes: restituire trasparenza e estetica all’indagine scientifica
7
TD27
RICERCHE COLLEGATE
La nostra ricerca è stata influenzata e si ispira a diverse tradizioni dell’educazione scientifica. Da un lato, esiste una lunga e rispettabile tradizione di “scienza fatta in casa”
con libri e materiali didattici che suggeriscono esperimenti e progetti che gli studenti possono intraprendere con materiali facilmente reperibili [Diehn e Krautwurst,
1994; Doherty e Rathjen, 1991; Hann,
1979]. Collegata alla tradizione della scienza fatta in casa c’è una letteratura fondamentale (soprattutto britannica) di “educazione alla progettazione”, in cui progetti di
classe a livello di scuola elementare hanno
come scopo la creazione di dispositivi, macchine, modelli tangibili, ecc. (per esempio,
[Banks, 1994; Kolodner et al, 1998; Ritchie, 1995; Williams e Jinks, 1985]). Un altro filone di lavoro prevede attività di Microcomputer Based Laboratory (MBL), dove software e strumentazione scientifica si
fondono per arricchire e automatizzare una
serie di progetti scientifici di classe [Tinker,
1996]. Infine, siamo stati fortemente influenzati da una tradizione di lavoro di programmazione per bambini (e in generale
dalla programmazione per l’utente finale),
esemplificata dal lavoro cresciuto attorno al
linguaggio Logo e ai suoi discendenti [Papert, 1980].
Il nostro lavoro è stato influenzato dalle
idee provenienti da tutte queste fonti, ma
allo stesso tempo esibisce una combinazione di caratteristiche che contrastano con
ciascuna di queste tradizioni singolarmente
intese.
• L’approccio costruzionista. Nella gran parte
delle attività MBL gli studenti usano strumenti precostruiti; allo stesso modo, molti
libri di “scienza fatta in casa” utilizzano
prevalentemente dimostrazioni ed esperimenti già progettati. Le attività relative al
progetto BBB si basano su un approccio
diverso, nel quale gli studenti sono incoraggiati a costruire e programmare gli strumenti che usano e a progettare i loro esperimenti. Secondo noi questo approccio costruzionista [Papert, 1993] approfondisce
la comprensione che gli studenti hanno dei
concetti scientifici alla base delle loro attività. Ciò riecheggia nell’affermazione di
Larkin e Chabay (1989) riferita all’educazione scientifica, secondo la quale “è bene
lasciare che gran parte di questa istruzione
avvenga attraverso il lavoro attivo su compiti” (p. 161); allo stesso modo Berger
(1994), nel suo avvincente volume sulla
Westinghouse Science Talent Search, osserva che “troppe scuole si accontentano di
passare il loro tempo impartendo lezioni di
biologia e di chimica sulla base di programmi standard. Al contrario, la parte divertente della scienza è proprio la ricerca,
quella parte che permette la conoscenza e
la meraviglia” (p. 235).
• La scienza del mondo reale. Tradizionalmente molta parte del lavoro che riguarda
l’attività di programmazione per bambini
nell’educazione scientifica si è indirizzata
alla simulazione dei processi naturali.
Questo uso del computer ha un fascino
ovvio: attraverso la programmazione di simulazioni, gli studenti (e i ricercatori)
possono esplorare fenomeni altrimenti
difficili o impossibili da vedere nel mondo
reale, fenomeni che coinvolgono condizioni idealizzate (per esempio, l’assenza
di attrito), che hanno luogo su scala molto vasta o molto ridotta o durante periodi
di tempo molto lunghi. La simulazione
tuttavia, per quanto utile, è solo una parte dell’educazione scientifica. In ultima
analisi, la scienza è un’attività rivolta alla
comprensione del mondo materiale; pertanto, le ricerche che riguardano i fenomeni del mondo reale sono cruciali per lo
sviluppo della comprensione scientifica e
degli interessi scientifici degli studenti. Le
attività relative al progetto BBB sono,
quindi, intese a espandere lo scenario di
programmazione per bambini da un’attenzione esclusiva sulla simulazione a un
coinvolgimento più profondo con il mondo tangibile fuori dallo schermo del computer.
• La combinazione del rilevamento dati e il
controllo. Nella maggior parte delle attività MBL, gli studenti raccolgono e ana-
numero 3-2002
cui questa nuova tecnologia può migliorare
la dimensione creativa, estetica e personale
dell’indagine scientifica condotta dagli studenti. Nella sezione che segue collochiamo
il nostro lavoro nel contesto delle tradizioni
ad esso collegate. La terza sezione fornisce
una breve introduzione ai Cricket ed alle
tecnologie relative. La quarta - il cuore di
questo articolo - descrive diverse esperienze
di studenti coinvolti nella creazione, abbellimento o personalizzazione di strumenti
scientifici. Nella quinta ed ultima sezione riflettiamo su queste esperienze, rilevando sia
gli aspetti positivi che quelli negativi; più in
generale, tratteremo di ciò che ha e di ciò
che non ha “funzionato” nei nostri sforzi di
andare oltre le scatole nere nell’educazione
scientifica.
Beyond Black Boxes: restituire trasparenza e estetica all’indagine scientifica
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lizzano dati provenienti da sensori. Con
ciò si fa un passo avanti: gli studenti usano i dati provenienti dai sensori per controllare le azioni dei motori, delle luci e di
altri apparecchi elettronici. Allo stesso
modo, la combinazione di sensori e attuatori all’interno di strumenti scientifici rappresenta un passo avanti rispetto alla maggior parte del lavoro sull’educazione alla
progettazione e rispetto alle tradizioni legate alla scienza fatta in casa: la prima
spesso si concentra nella costruzione di
artefatti statici o meccanici, mentre la seconda spesso si affida a materiale a “bassa
tecnologia” per l’esplorazione scientifica
informale.
• La programmabilità. Diversamente dalla
maggior parte delle attrezzature MBL, i
Cricket sono completamente programmabili e consentono allo studente di modificare facilmente, adattare ed estendere
la funzionalità degli strumenti che costruisce.
• La mobilità. Le piccole dimensioni dei
Cricket rendono possibile agli studenti la
creazione di strumenti scientifici che possono portare con sé, distribuire in località
remote o anche incorporare in altri oggetti.
• Basso costo. Il costo contenuto dei Cricket
cambia profondamente il tipo di indagini
possibili. Gli studenti possono mettere a
“rischio” gli strumenti costruiti con i
Cricket, posizionandoli in ambienti pericolosi senza preoccuparsi se alcuni di essi
si perdono o vengono danneggiati. La
mobilità e la relativa accessibilità dei
Cricket possono, secondo noi, provocare
un’inversione di rotta nelle assunzioni alla base delle tradizioni della “scienza fatta
in casa” e dell’educazione alla progettazione, spostandole verso una combinazione più potente di mezzi artigianali e informatici. In sintesi, ci sembra che i Cricket
(e i loro discendenti informatici) possano
ottenere lo status di oggetti del nostro
quotidiano - parte dell’insieme eterogeneo di materiali che ora include la plastica, i cavi, il cartone, i tessuti elastici e altri
materiali moderni seppure banali.
• “Apprendimento nell’arco della giornata”.
Molte delle attività tradizionali MBL riguardano esperimenti che gli studenti vedono come immotivati e decontestualizzati. La nostra intenzione è, invece, quella di aiutarli a sviluppare indagini che si inseriscano nelle loro attività quotidiane e
che, in molti casi, prevedano raccolte di
dati su periodi di tempo molto lunghi.
L’obiettivo è quello di allontanarsi dall’apprendimento in classe passando ad un
apprendimento “lungo l’arco della giornata”; le piccole dimensioni dei Cricket
(unite alla loro capacità di immagazzinare
dati raccolti nel tempo) facilitano questo
passaggio.
• Varietà di materiali. Tipicamente, le attività del progetto BBB implicano l’uso di
una vasta gamma di materiali: elettronica,
legno, carta, mattoncini LEGO, gommapiuma e molti altri. Da questo punto di vista, le attività del progetto BBB hanno in
comune con la “scienza fatta in casa” una
pratica di uso creativo di tutti i tipi di oggetti e di risorse. Quindi, noi non ci limitiamo all’uso dei Cricket nel contesto di
kit di costruzione più grandi già esistenti,
del tipo LEGO, Meccano o Fischer-Technik, ecc.; per quanto magnifici e versatili,
vediamo questi kit come una parte (importante) di un mondo più vasto e più vario di materiali da costruzione. L’uso di
un’ampia varietà di materiali aiuta anche a
mettere a fuoco l’estetica della progettazione.
• Estetica della progettazione. La maggior
parte delle attività MBL e di “scienza fatta
in casa” prestano poca o nessuna attenzione all’estetica della strumentazione o ai
modi in cui gli strumenti sono integrati
nel contesto; e nei pochi casi in cui le attività di “scienza fatta in casa” si occupano
dell’estetica tendono a farlo sottolineando
la pratica della decorazione a posteriori
(per esempio, dipingendo l’esterno di un
telescopio domestico dopo che lo strumento è stato costruito). Mentre lo sviluppo di una tassonomia dei modi in cui
gli strumenti scientifici e l’arte possono integrarsi va oltre gli obiettivi di questa ricerca, la versatilità dei Cricket (specialmente in associazione con i vari materiali
da costruzione sopra citati) si presta a una
rivisitazione ragionata dell’estetica della
progettazione scientifica. Uno strumento
scientifico potrebbe essere un telescopio
decorato in modo attraente; o potrebbe
essere progettato per inserirsi in modo armonico in un giardino o in altri contesti
naturali; o potrebbe essere inserito in un
indumento; o potrebbe anche essere progettato primariamente come una creazione artistica - cioè un oggetto il cui uso
scientifico è complementare o incidentale
rispetto allo scopo artistico. In ogni caso,
dovremmo aspettarci che allorché le indagini scientifiche si prolungano nel tempo e
si inseriscono nelle attività quotidiane l’e-
Beyond Black Boxes: restituire trasparenza e estetica all’indagine scientifica
stetica diventi sempre più importante, se
non altro perché gli strumenti scientifici
diventano parte di ambienti più “vissuti”.
Di conseguenza, i progetti BBB sono
spesso progettati con un occhio alla decorazione, all’esplorazione artistica, alla bizzarria, in linea con le osservazioni di Csikszentmihalyi sopra citate.
figura 1
Un Cricket mostrato accanto ad un LEGO per
mettere in evidenza le
dimensioni.
9
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idonee per riconciliare considerazioni estetiche e strumenti scientifici, in quanto consentono la separazione della forma di uno
strumento dalla sua funzione. In passato, la
funzione di uno strumento era direttamente legata alla sua forma fisica. Per esempio,
la funzione di un martello è strettamente legata alla sua forma e ai materiali. Con la tecnologia elettronica si allenta il legame fra
forma e funzione. Il software in un Cricket
può avere un ruolo maggiore nel determinare la funzione dello strumento piuttosto
che quella della sua forma fisica o dei suoi
materiali. Non più ostaggi dei vincoli funzionali, le forme degli oggetti possono ora
essere usate specificamente per la comunicazione e l’espressione.
Naturalmente i Cricket sono solo una delle
componenti dei kit da costruzione disponibili nei progetti BBB. Molti di questi progetti usano materiali LEGO (che includono
non solo i tradizionali mattoncini, ma anche
ingranaggi, ruote e motori) per costruire
strutture e meccanismi. Forniamo una serie
di sensori diversi che permettono agli utenti
di monitorare qualsiasi cosa, dalla temperatura e la luce, al battito cardiaco e alla risposta galvanica della pelle. Abbiamo sviluppato
anche una raccolta di nuovi strumenti di
output (oltre ai motori e alle luci), come i display numerici e i “mattoncini musicali” per
generare effetti sonori. I materiali artistici
sono altrettanto importanti di questi strumenti ad alta tecnologia. Quando organizziamo attività BBB ci accertiamo che sia fornita una vasta gamma di materiali artistici e
artigianali, inclusi oggetti di uso quotidiano
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INFRASTRUTTURA
TECNOLOGICA
Per aiutare gli studenti nell’attività di progettazione e costruzione dei loro strumenti
scientifici era necessaria una nuova tecnologia. Nell’ambito del progetto “Beyond
Black Boxes”, abbiamo sviluppato una nuova famiglia di piccoli apparecchi elettronici
chiamati Cricket [figura 1]. I Cricket sono
simili ai mattoncini programmabili LEGO a
suo tempo sviluppati al MIT Media Lab
[Martin, 1994; Sargent et al, 1996], ma sono molto più piccoli e leggeri (il prototipo
attuale ha le dimensioni di una batteria da 9
volt) e hanno capacità comunicative migliorate. I Cricket possono controllare motori,
ricevere informazioni da sensori e comunicare fra di loro (e con altri apparecchi elettronici) attraverso raggi infrarossi [Resnick
et al, 1998].
La cosa più importante è che i Cricket sono
completamente programmabili: gli studenti
possono scrivere e scaricare programmi
dentro i Cricket da un computer. Abbiamo
esteso il nostro lavoro su ambienti di programmazione Logo per rendere ancora più
semplice la scrittura (e la comprensione) di
programmi orientati al controllo e al rilevamento dati. Allo stesso tempo, abbiamo reso questi strumenti di programmazione
compatibili con le “componenti” software
per la visualizzazione grafica e l’analisi dei
dati in modo che gli studenti possano facilmente evidenziare tendenze e schemi ricorrenti nei dati che raccolgono con i Cricket.
Le piccole dimensioni dei Cricket rendono
possibili nuovi tipi di applicazioni. Gli studenti possono incorporare i Cricket in oggetti di uso quotidiano, per esempio un
Cricket con un accelerometro può essere incorporato in una palla, oppure un Cricket
ed un sensore di temperatura possono essere intessuti nella stoffa di una camicetta. Il
basso costo (meno di $30 la versione corrente) e le capacità di comunicazione dei
Cricket permettono di ipotizzare nuove applicazioni in cui decine di Cricket interagiscono fra di loro.
Pensiamo che le tecnologie informatiche
(del tipo Cricket) siano particolarmente
Beyond Black Boxes: restituire trasparenza e estetica all’indagine scientifica
come scovolini, bastoncini per ghiaccioli,
batuffoli di cotone. Questo miscuglio di
strumenti ad alta tecnologia e di materiali artistici rende possibili esplorazioni e indagini
precise e contemporaneamente favorisce lo
spirito creativo, l’esuberanza, lo humour,
l’eleganza e l’espressione personale.
STUDIO DI CASI
Abbiamo sperimentato le nostre tecnologie
e attività BBB in diversi contesti educativi,
non solo nelle classi tradizionali ma anche
nei centri educativi extra-scolastici per i giovani dei centri urbani. Abbiamo lavorato
con allievi di diverse età, dai bambini delle
scuole elementari agli studenti universitari.
In questa sezione presentiamo quattro progetti. La scelta di questi casi non intende essere rappresentativa di tutta la gamma dei
progetti sviluppati. Piuttosto, intendono
fornire un campione rappresentativo di come e che cosa imparano gli studenti quando
sono impegnati nella progettazione dei loro
strumenti scientifici e delle loro ricerche.
Mangiatoia per uccelli
Jenny ha undici anni e le piacciono gli animali. Nel suo cortile ha una mangiatoia per
uccelli sempre fornita per nutrire gli uccelli
che passano da lì. Ha però un problema: gli
uccelli arrivano quando lei è a scuola e quindi spesso non riesce a vederli. Sennonché fa
conoscenza con i Cricket durante il laboratorio “Costruiscilo da te” (organizzato in
un centro educativo da John Galinato) e decide di provare a costruire un nuovo tipo di
mangiatoia per uccelli che raccolga dati sugli uccelli che scendono a nutrirsi.
Jenny inizia costruendo una leva di legno
10
figura 2
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La mangiatoia per uccelli di Jenny.
che serva anche da posatoio per gli uccelli
[figura 2]. Il braccio lungo della leva si trova vicino a un contenitore con il cibo per gli
uccelli. All’altro estremo della leva Jenny attacca un semplice sensore di contatto fatto
in casa che consiste di due graffette da carta. Ecco l’idea di Jenny: quando un uccello
scende vicino al cibo abbassa una estremità
della leva causando una lieve apertura delle
graffette poste all’altra estremità. Jenny collega le graffette ad una delle porte per i sensori poste sul Cricket, in modo che quest’ultimo possa verificare se le graffette sono
in contatto fra di loro.
Ma che cosa dovrebbe fare la mangiatoia
per uccelli quando un uccello si posa su di
essa? Come minimo Jenny vuole tener traccia del numero di uccelli. Pensa anche alla
possibilità di pesarli. Poi decide che sarebbe
più interessante fotografarli. Incomincia così ad esaminare i modi in cui potrebbe collegare una macchina fotografica alla mangiatoia per uccelli. Costruisce un meccanismo LEGO motorizzato che muove un bastoncino su e giù. Monta il meccanismo in
modo che il bastoncino si trovi direttamente sopra il pulsante dell’otturatore della
macchina fotografica.
Infine, Jenny collega il meccanismo ad un
Cricket e scrive un programma per il
Cricket. Il programma aspetta che le due
graffette non si tocchino più (indicando che
un uccello è arrivato) e accende il meccanismo LEGO motorizzato che fa sollevare il
bastoncino in su e in giù, premendo così il
pulsante dell’otturatore. Alla fine della giornata tutti gli uccelli che sono scesi presso la
mangiatoia dovrebbero risultare fotografati.
Jenny ha lavorato al suo progetto per molte
ore ogni settimana durante il corso di tre
mesi. Alla fine sia il sensore che il meccanismo funzionavano alla perfezione. Ma
quando, infine, montò la mangiatoia per
uccelli sulla finestra della sua casa ottenne
foto di scoiattoli (e della sorella minore),
ma non degli uccelli.
Jenny non riuscì mai ad attuare il suo piano
e cioè a monitorare che tipo di uccelli sarebbero stati attratti dal tipo di cibo fornito. L’attività di costruzione della mangiatoia, tuttavia, fornì una vasta raccolta di
esperienze di apprendimento. Nei progetti
BBB la scienza e la tecnologia possono interagire in due modi. La connessione più
ovvia è il modo in cui gli studenti usano gli
strumenti tecnologici per fare misurazioni
scientifiche, come nel caso del progetto di
Jenny (mai concluso) in cui la mangiatoia
doveva servire a monitorare l’attività degli
Beyond Black Boxes: restituire trasparenza e estetica all’indagine scientifica
studenti “inciampassero” in modo naturale
in alcuni concetti (evitando di essere distratti da altri) mentre lavoravano ai progetti. Le
scatole nere non sono intrinsecamente un
male; la sfida è quella di trovare il livello giusto per il loro uso, nascondendo dettagli
non necessari e valorizzando concetti chiave. Per esempio, mentre il circuito elettronico del Cricket resta nascosto, Jenny può
controllare direttamente le regole che presiedono al funzionamento della mangiatoia
per uccelli. Durante lo svolgimento del progetto, ha apportato continue modifiche ai
programmi Logo del Cricket tese ad estendere le funzionalità della mangiatoia. Dopo
aver ultimato la prima versione della mangiatoia, Jenny aveva individuato un problema: se l’uccello saltellasse sul posatoio, la
mangiatoia scatterebbe una serie di foto dello stesso animale. Jenny aggiunse un’istruzione di “attesa” al suo programma in modo
che questo facesse una pausa per un attimo
dopo aver scattato la foto, evitando così il
problema del “doppio salto”.
L’abilità di modificare ed estendere il suo
progetto ha fatto sì che Jenny sviluppasse
un profondo senso di coinvolgimento personale e di possesso. Ciò l’ha condotta ad
una attività di confronto fra il suo progetto
di mangiatoia per uccelli e altri progetti legati alle scienze a cui aveva lavorato a scuola. «Questo è risultato forse più interessante in quanto avevi la sensazione di fare un
test per qualcosa di molto più complicato
che non l’attività di mescolare una polvere
ad un liquido», ci spiega Jenny. «Era più
una cosa del tipo: quanti uccelli hai registrato con la macchina che tu hai costruito
con questa cosa complessa che dovevi programmare e “riempire”» (l’enfasi è sua).
11
2
Definiamo “trasparente”
un oggetto i cui meccanismi interni possono essere facilmente visti e capiti. Ironicamente, alcuni
hanno cominciato di recente ad usare la parola
“trasparente” con un significato quasi opposto e
cioè riferita ad oggetti
così semplici da usare che
non richiedono neppure
di pensare ai loro meccanismi interni.
TD27
La passeggiata al cioccolato
Abbiamo sviluppato una serie di attività
preparatorie per introdurre gli studenti alle
idee che stanno alla base del progetto BBB.
Una delle più riuscite e popolari è conosciuta come la “passeggiata al cioccolato”.
Questa attività è stata sviluppata per un
workshop tenuto in febbraio con un gruppo di allieve della quinta elementare presso
il Computer Clubhouse del centro scout
per ragazze “Patriot Trail” di Boston. Ad
ogni ragazza veniva consegnato un Cricket
con un sensore di temperatura e veniva mostrato un programma per registrare i dati
della temperatura a intervalli regolari. Mentre andavamo a piedi verso un negozio di
ciambelle le ragazze avevano con sé i
Cricket e i sensori. Alcune li avevano attac-
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uccelli. Forse meno ovvio, ma ugualmente
importante, è il modo in cui gli studenti
usano le conoscenze scientifiche per costruire i loro strumenti tecnologici. Nel caso della mangiatoia per uccelli, Jenny doveva sperimentare diversi progetti di leva per
ottenere l’ampiezza di movimento necessaria ad azionare il sensore di contatto fatto
con le graffette da carta. Jenny si è anche cimentata con il posizionamento della sua
macchina fotografica, provandola a diverse
distanze dal posatoio nel tentativo di ottimizzare la messa a fuoco delle foto. Attraverso l’attività di costruzione della mangiatoia Jenny ha, quindi, avuto la possibilità di
mettere in pratica concetti scientifici in un
contesto significativo e motivante.
La natura trasparente2 della mangiatoia per
uccelli ha messo Jenny in stretto contatto
con la tecnologia - e con i concetti scientifici ad essa collegati. Consideriamo il sensore
di contatto di Jenny. In generale, i sensori di
contatto si basano su un concetto molto
semplice: misurano l’apertura e la chiusura
di un circuito. La gente interagisce continuamente con sensori di contatto (sotto
forma di interruttori). Dato però che la
maggior parte dei sensori ha l’aspetto di
scatole nere, la maggior parte delle persone
non capisce il loro funzionamento, e neppure si pone il problema. Nel sensore di
Jenny, creato con due semplici graffette da
carta, il concetto di chiusura del circuito è
visibile. Allo stesso modo, il meccanismo
LEGO di Jenny per premere il pulsante dell’otturatore ha contribuito a demistificare il
processo di controllo della mangiatoia per
uccelli; inviare un segnale a infrarossi dal
Cricket che metta in funzione la macchina
fotografica sarebbe più semplice in un certo
senso, ma anche meno illuminante.
Naturalmente, non tutto nella mangiatoia
per uccelli di Jenny è trasparente. Il Cricket
stesso può essere visto come una scatola nera. Jenny (e come lei altri studenti del progetto BBB) sicuramente non capiscono i
meccanismi di funzionamento interno dei
Cricket, ma non era questo lo scopo. Mentre progettavamo i kit di costruzione che gli
studenti avrebbero usato per creare i loro
progetti BBB, avevamo anche deciso esplicitamente di nascondere alcuni processi e
meccanismi entro scatole nere e rendere invece visibili e manipolabili altri processi e
meccanismi. La scelta di quali caratteristiche
nascondere - e di quali evidenziare - era guidata dal nostro desiderio di rendere particolarmente accessibili e salienti agli studenti alcuni concetti. La nostra speranza era che gli
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12
TD27
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3
Nel testo originale le
temperature sono espresse in gradi Fahrenheit: rispettivamente, 20-30° F
e 80-90° F (N.d.T.).
cati agli abiti. Altre avevano i sensori in mano e li posarono su diversi oggetti lungo il
percorso. Al negozio di ciambelle tutte le
ragazze bevvero una cioccolata calda. All’unisono tutte le ragazze posarono i loro sensori di temperatura sulla superficie esterna
delle tazze (alcune immersero il sensore
dentro la cioccolata calda).
Al ritorno al centro scout, le ragazze trasferirono i dati dai Cricket ai computer e costruirono dei grafici dell’andamento temporale della temperatura usando il software apposito. I grafici mostravano la storia della
passeggiata al negozio di ciambelle. Le ragazze potevano vedere sui grafici quando
avevano lasciato il calore del centro scout ed
erano passate alla fredda via cittadina. I grafici delle ragazze che avevano indossato il
sensore erano relativamente piatti e privi di
tratti distintivi fino al loro arrivo al negozio
di ciambelle. I grafici delle ragazze che avevano messo i sensori a contatto di oggetti
lungo il percorso presentavano punte e altre
variazioni. Tutti i grafici mostravano un aumento della temperatura al momento dell’ingresso nel negozio, poi un’altra punta
quando le ragazze avevano accostato i loro
sensori alle tazze di cioccolata calda. Dopo
aver esaminato i singoli grafici, le ragazze
hanno caricato i dati dei Cricket su un computer per poterli sovrapporre. Così facendo,
sono riuscite a esaminare in che modo i loro grafici si assomigliassero (per esempio, i
picchi relativi alla cioccolata calda avvenivano tutti nelle stesso momento) e in che modo si differenziassero.
Attraverso questa attività, le ragazze hanno
acquisito alcuni dei concetti cardine della
raccolta e dell’analisi dei dati. Ci siamo resi
conto che la raccolta dei dati relativi alla
temperatura costituisce un approccio particolarmente efficace per introdurre gli studenti a queste idee. I bambini hanno molta
esperienza e intuizione in relazione alla
temperatura. Crescono ascoltando le temperature alla TV e alla radio e nelle conversazioni quotidiane. Hanno familiarità con i
termometri e facilità nella lettura delle diverse temperature, sapendo che se la temperatura è fra –1° C e –7° C bisogna coprirsi e
se è fra +27° C e +32° C si può andare al
mare3. Queste intuizioni ben sviluppate
mettono gli studenti in buona posizione per
poter valutare la ragionevolezza dei dati che
raccolgono e di cui fanno il grafico, diversamente da molti altri esperimenti in classe in
cui gli studenti partono da intuizioni relativamente deboli sui dati che stanno raccogliendo.
Naturalmente non siamo i primi a notare le
conoscenze e le intuizioni dei bambini sulla
temperatura. Recentemente molti ricercatori ed educatori hanno sviluppato progetti
sull’argomento del tempo atmosferico, sperando di far leva sugli interessi e le conoscenze degli studenti sul tempo (ad esempio, [Pea, 1993]). In alcuni casi, gli studenti hanno allestito all’interno della scuola
“stazioni metereologiche” basate su computer per misurare le variazioni temporali di
temperatura, umidità e altre condizioni atmosferiche.
Ad uno sguardo superficiale, questi progetti possono sembrare identici alla passeggiata al cioccolato; in tutti i casi gli studenti
raccolgono e analizzano una serie di dati relativi alla temperatura in un arco di tempo.
Noi vediamo però alcune importanti differenze. I Cricket consentono un monitoraggio e una analisi più individualizzati. Nella
passeggiata al cioccolato i grafici raccontano
una storia diversa (e personalizzata) per
ogni partecipante. Ogni ragazza era stata in
grado di identificare sul suo grafico quando
lei usciva, quando lei poneva il suo sensore
all’interno della giacca della sua amica,
quando lei immergeva il sensore nella cioccolata calda.
La passeggiata al cioccolato, diversamente
dalle attività tradizionali di monitoraggio
del tempo atmosferico, introduce un senso
di controllo su ciò che si sta misurando. Come dice il vecchio adagio: “Chi vuol passar
per sciocco giudichi il tempo”. Nel monitoraggio della temperatura gli studenti sono
semplici osservatori passivi. Nella passeggiata al cioccolato gli studenti decidono quali
temperature misurare e quando. Un’altra
differenza è la scala temporale delle attività.
Nelle attività tradizionali di monitoraggio
del tempo atmosferico eventuali schemi ricorrenti interessanti emergono solo a distanza di giorni o settimane. La passeggiata
al cioccolato ha una buona funzione introduttiva, in quanto gli studenti possono vedere caratteristiche interessanti nei dati sulla temperatura riferiti ad un lasso di tempo
molto più breve.
Una delle attrazioni connesse all’attività
della passeggiata al cioccolato riguarda il
modo in cui questa si allinea con le intuizioni pre-esistenti degli studenti, il che permette a questi ultimi di leggere facilmente
le loro storie nei grafici. Allo stesso tempo,
questo tipo di attività spesso riserva sorprese inaspettate nei dati, sorprese che gli studenti sanno individuare immediatamente,
in quanto la maggior parte dei dati è loro fa-
Beyond Black Boxes: restituire trasparenza e estetica all’indagine scientifica
costituiscono la regola più che l’eccezione.
Spesso abbiamo incoraggiato gli studenti a
portarsi a casa i Cricket per raccogliere dati
durante la notte. Una ragazzina di undici
anni aveva lasciato il suo Cricket in cucina
durante la notte e con sorpresa scoprì nel
grafico un picco alle due del mattino. Dopo
alcune indagini stabilì che il suo Cricket,
che aveva lasciato sopra un forno a microonde, aveva sorpreso suo padre che preparava i popcorn in piena notte. Gli studenti di un’altra classe di quinta avevano messo
i loro Cricket muniti di sensori di temperatura e di luce nel bagno di casa. Esaminando il grafico dell’accensione e spegnimento
delle luci del bagno, gli studenti poterono
rilevare l’andamento relativo all’uso del bagno da parte della famiglia. Riuscirono anche, e questo era meno prevedibile, a determinare attraverso la lettura dei dati sulla
temperatura quando i componenti della famiglia facevano la doccia.
Questi esperimenti notturni possono rivelare profili non solo dell’attività umana ma
anche di quella tecnologica. In molte classi
gli studenti lasciarono i Cricket muniti di
sensori di luce e di temperatura nei frigoriferi di casa. Come previsto, i dati rivelarono
i momenti in cui i familiari aprivano la porta del frigorifero. Ma i dati contenevano anche alcune vere sorprese. Gli studenti si
aspettavano che la temperatura del frigorifero restasse costante durante la notte, quando nessuno lo usava. Ma, in realtà, il grafico
della temperatura aveva un andamento ciclico, saliva e scendeva a intervalli regolari: i
frigoriferi, infatti, usano un termostato che
permette alla temperatura di salire di diversi gradi prima di far ripartire il compressore,
figura 3
13
Viaggio al Clubhouse.
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miliare. Queste sorprese possono verificarsi
anche nelle indagini più semplici.
Per esempio, in una giornata fredda, alcuni
di noi indossavano sensori di temperatura
mentre ci spostavamo dal MIT Media Laboratory al Computer Clubhouse del Computer Museum di Boston. Il viaggio comprendeva un tratto a piedi dal Media Lab alla fermata della metropolitana, quattro fermate di metro e un tratto a piedi per alcuni
isolati fino al museo. Avevamo fatto questo
percorso molte volte in passato e quindi
pensavamo di sapere esattamente quale tipo
di grafico avremmo ottenuto. Infatti, dopo
aver trasferito i dati dai nostri Cricket abbiamo verificato che molte caratteristiche
del grafico erano semplicemente quelle che
ci aspettavamo [figura 3]. La temperatura
scendeva non appena lasciavamo il Media
Lab, risaliva mentre attraversavamo un altro
edificio del MIT, scendeva non appena uscivamo, risaliva entrando nella metropolitana
e scendeva nuovamente all’uscita della metropolitana; infine, saliva ancora al nostro
arrivo al Clubhouse. Ma anche se l’andamento generale del grafico confermava le
nostre aspettative qualcosa in esso ci sembrava strano. Ci sorprendeva il fatto che il
tratto del grafico relativo alla metropolitana
fosse così breve (meno della metà dell’intero viaggio). Nella nostra testa la maggior
parte del percorso verso il Clubhouse era in
metropolitana, in termini di distanza il percorso in metro era infatti il più lungo. Il grafico, contrariamente alle nostre intuizioni,
mostrava invece che la maggior parte del
tempo era stato impiegato camminando.
Abbiamo scoperto che in questa attività di
“raccolta dati quotidiana” queste sorprese
Beyond Black Boxes: restituire trasparenza e estetica all’indagine scientifica
il quale resta in funzione finché la temperatura scende ad un livello prefissato. Quindi,
mentre gli studenti avevano progettato il loro esperimento in modo da monitorare
un’attività a loro familiare (l’uso del frigorifero), finirono con l’impossessarsi di un
concetto scientifico (il feedback), solitamente non previsto nei curricula della scuola dell’obbligo.
Macchine per biglie
Nell’ambito del lavoro svolto presso il
Science Museum del Minnesota, Karen
Wilkinson e Mike Petrich organizzarono diversi laboratori di progettazione per bambini. In uno di questi, soprannominato “mini-mini golf”, i bambini progettarono e costruirono versioni di campi da golf miniaturizzati su piccola scala, usando polistirolo e
cartoncino per creare le strutture, motori
per animare gli ostacoli, e biglie al posto di
palle da golf. Durante un altro laboratorio,
crearono “macchine per biglie”, bizzarri
congegni in cui le biglie avanzavano lungo
una serie di rampe e piste, rimbalzando su
campanelle e respingenti.
Quando Karen e Mike vennero a conoscenza dell’iniziativa BBB, decisero di estendere
figura 4
La macchina per biglie
di Alexandra.
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14
il loro lavoro sulle macchine per biglie aggiungendo Cricket, motori e sensori alla
scatola dei pezzi da costruzione. Lo scopo
era quello di aiutare i bambini a creare nuovi tipi di sculture cinetiche, mettendo in comunicazione il mondo dell’arte con quello
della tecnologia. Organizzarono il loro
nuovo progetto delle macchine per biglie al
Computer Clubhouse di Boston lavorando
con un gruppo di bambini di 10-12 anni.
Alexandra, una bambina di quinta elementare, si appassionò immediatamente al progetto delle macchine per biglie. Iniziò a tagliare tavolette di legno per costruire rampe; era la prima volta che usava una sega o
una pinza. Inserì le rampe in un pannello forato e cominciò a far correre le biglie da una
rampa all’altra. Successivamente, creò un
nastro trasportatore controllato da un
Cricket con sopra un cestino. Il suo piano
era il seguente: la biglia doveva scorrere
lungo la rampa fino al cesto, percorrere il
nastro trasportatore all’interno del cesto,
saltare poi sulla rampa successiva quando il
cesto si sganciava alla fine del nastro trasportatore. Come faceva il nastro trasportatore a sapere quando era il momento di
muoversi? Alexandra programmò il Cricket
del nastro trasportatore in modo che sentisse un segnale proveniente da un secondo
Cricket posto in alto sopra il pannello, che
lo informava della biglia in arrivo. Il Cricket
del nastro trasportatore aspettava due secondi per accertarsi che la biglia fosse arrivata nel cestino prima di iniziare a muovere
il nastro trasportatore e il cestino [figura 4].
Alexandra era entusiasta del suo progetto e
decise di presentarlo alla fiera della scienza
della sua scuola. Ma quando ne parlò con il
suo insegnante, questi le disse che il progetto delle macchine per biglie non era
adatto per la fiera della scienza. L’insegnante spiegò che un progetto per la fiera della
scienza deve usare il “metodo scientifico”:
lo studente deve partire con una ipotesi, poi
raccogliere i dati con l’obiettivo di dimostrare o di confutare l’ipotesi. La macchina
per biglie, disse l’insegnante, non seguiva
questo approccio. Inoltre, i progetti della
fiera della scienza dovevano includere una
bibliografia e Alexandra non era in grado di
trovare alcuna voce bibliografica sulle
“macchine per biglie” nella biblioteca della
scuola. Come alternativa, l’insegnante suggerì una ricerca mirante a scoprire se si potevano coltivare piante nella Coca-Cola.
Alexandra decise di insistere con la macchina per biglie. Con l’aiuto di Karen e di Mike
mise insieme una serie di foto che rappre-
Beyond Black Boxes: restituire trasparenza e estetica all’indagine scientifica
terno di un contesto progettuale più ampio
(e più significativo). Come in molti progetti BBB, Alexandra non era partita con l’intenzione di studiare concetti scientifici specifici. Tuttavia, per noi questo non è un problema: le indagini di Alexandra emergevano
naturalmente durante il processo di progettazione. Un ruolo critico (e stimolante) per
l’insegnante è quello di aiutare gli studenti
a riflettere su queste ricerche estemporanee
e a fare collegamenti con concetti specifici
rilevanti.
15
figura 5
Il misuratore di luce a
forma di “fiore”.
TD27
Esposizioni artistiche
L’ultimo caso non riguarda uno studente di
scuola elementare, bensì il lavoro di una
studentessa di architettura dell’Università
del Colorado, Adrienne Warmack. Il suo
progetto riguardava l’aspetto estetico della
progettazione di strumenti attraverso la
creazione di dispositivi di misurazione “artistici”. Una delle sue creazioni consisteva
in un misuratore di luce a forma di fiore.
Questo apparecchio, che utilizzava un
Cricket con un sensore di luce e un motore,
si basava su un principio semplice. Quando
il sensore registrava un livello di luce oltre la
soglia predefinita dall’utente, attivava un
motore che a sua volta spingeva un asse che
apriva una serie di grandi “petali” di polistirolo. Quando la luce raggiungeva livelli bassi, il motore iniziava a girare nel senso opposto “chiudendo” il fiore (la figura 5 mostra l’apparecchio nelle varie fasi di funzionamento).
Un’altra creazione della Warmack è uno
strumento per visualizzare il passaggio di
corrente in circuiti chiusi. Questo apparecchio utilizza un foglio di materiale sensibile alla temperatura che cambia colore ad
uno cambio di temperatura di almeno cinque gradi centigradi (partendo dalla temperatura ambiente). Il materiale sensibile
alla temperatura era stato posto in un telaio
circolare in modo da sembrare la superficie
di un tamburo; subito sotto il materiale c’era un reticolo di fili dai quali discendevano
numero 3-2002
sentava le diverse fasi della costruzione della macchina per biglie. Anche se Alexandra
non mise mai sulla carta un’ipotesi per il suo
progetto, il suo insegnante alla fine cedette
e le consentì di presentare la macchina per
biglie alla fiera scolastica della scienza. Con
grande gioia di Alexandra, il suo progetto
ricevette uno dei due premi principali dell’intera scuola.
La storia della macchina per biglie di
Alexandra solleva questioni importanti sulla
natura della ricerca scientifica. Mentre siamo certamente d’accordo sul fatto che l’educazione scientifica dovrebbe avere l’obiettivo di aiutare gli studenti a capire il metodo scientifico, crediamo che molti educatori (incluso l’insegnante di Alexandra)
adottino una visione troppo ristretta del
metodo scientifico. In effetti, noi pensiamo
che il progetto di Alexandra sia uno splendido esempio di metodo scientifico. Seppure non fosse partita da una singola ipotesi a
tutto campo, continuava a produrre nuove
idee di progetto, a provarle e riprovarle sulla base dei risultati ottenuti. Ognuna di
queste idee di progetto può essere vista come una “mini ipotesi” per la quale Alexandra raccoglieva dati. Durante il progetto
analizzò decine di queste mini ipotesi, anche se lei non le riteneva tali.
Mentre posizionava le rampe, per esempio,
Alexandra provava anche diversi angoli alla
ricerca della massima gittata per le biglie.
Alexandra aveva anche effettuato diversi
esperimenti per trovare la corretta temporizzazione per il nastro trasportatore; ne
aveva modificato il programma per permettere al cesto di fare un giro completo, tornando al punto di partenza nella posizione
giusta per la biglia successiva.
Questo tipo di sperimentazione contrasta
con i modi in cui piani inclinati e sfere sono
usati nei tradizionali esperimenti scientifici
in classe. Invece di raccogliere semplicemente i dati sulla velocità e la tempistica
della discesa con angoli diversi, Alexandra
ha condotto i suoi mini esperimenti all’in-
Beyond Black Boxes: restituire trasparenza e estetica all’indagine scientifica
16
figura 6
TD27
numero 3-2002
Il dispositivo di visualizzazione della corrente.
dei cavi elettrici. Al di sotto di questo apparecchio era posto un Cricket che faceva
ruotare un insieme di cavi creando differenti connessioni ai poli di una batteria;
quando il Cricket passava da una posizione
a un’altra si creavano distinti circuiti chiusi
nella serie di fili che si trovano sotto il materiale sensibile alla temperatura. Al passaggio della corrente in questi circuiti, i fili si
scaldavano e il materiale cambiava colore
producendo degli schemi che rivelavano il
passaggio della corrente sottostante. La figura 6 mostra diverse istantanee dell’apparecchio in funzione.
In entrambe queste creazioni, il contenuto
scientifico è relativamente semplice: il primo apparecchio è un prototipo di misuratore di luce, il secondo un dispositivo di visualizzazione che mostra la corrente che
passa attraverso un filo. Tuttavia, concludere così l’analisi significa mancare l’obiettivo:
questi apparecchi non sono intesi semplicemente come strumenti di misura, ma come
occasioni per mettere in pratica l’ingegno e
la fantasia artistica. Senza dubbio, questi
strumenti illustrano la ricchezza delle possibilità offerte dall’incontro fra arte e progettazione degli strumenti. Osservando gli studenti che costruivano i loro strumenti
scientifici, ci ha colpito il modo in cui essi
sembrano rafforzare molto il loro legame
con lo strumento (e con l’insieme dell’attività) nei casi in cui prestano attenzione non
solo alle funzionalità ma anche all’estetica.
Questi due apparecchi riflettono la vasta
gamma di materiali resi disponibili per gli
scopi della creatività scientifica fatta in casa
- materiali che vanno dai computer portatili (gli stessi Cricket), sensori e materiali innovativi fino a componenti in plastica di
giocattoli e cubi di legno a bassa tecnologia.
Il misuratore di luce fa uso di un telaio di legno, di tubi di metallo e petali di polistirolo (oltre al Cricket e a mattoncini LEGO);
il dispositivo di visualizzazione di corrente
impiega un materiale innovativo (la pellicola sensibile alla temperatura) acquistabile
dai cataloghi di educazione scientifica ad un
costo moderato. Mentre per la generazione
precedente la “scienza fatta in casa” spesso
implicava una gamma relativamente ridotta
di materiali semplici, la combinazione dei
Cricket con un mondo in sviluppo di nuovi
materiali ha aperto nuove possibilità per la
creazione scientifica informale [Eisenberg e
Eisenberg, 1998].
Abbiamo scoperto che i progetti BBB forniscono una modalità naturale attraverso la
quale gli studenti esplorano questioni relative al concetto di “rappresentazione”.
Mentre uno studente costruisce un display
(per esempio, il misuratore di luce a forma
di fiore o il dispositivo di visualizzazione
della corrente), ha bisogno di pensare al
modo più efficace per rappresentare l’informazione che intende trasmettere. Per esempio, al seminario “Costruiscilo da te” Luke
aveva deciso di costruire un display per la
mangiatoia per uccelli di Jenny. Voleva semplificare il compito di coloro interessati a
conoscere quanti uccelli erano transitati per
la mangiatoia durante la giornata. Dapprima, creò un tipo di “rappresentazione audio”. Programmò il Cricket in modo che
registrasse il numero di uccelli che si posavano sulla mangiatoia e pose un nuovo pulsante sulla mangiatoia stessa. Premendo il
pulsante, il Cricket indicava il numero delle
visite effettuate dagli uccelli tramite un numero corrispondente di beep. Questa rappresentazione funzionava bene quando il
numero di visite degli uccelli era pari a 2, 4
o 5. Quando, invece, il numero era più elevato la rappresentazione era disagevole: l’utente doveva contare con attenzione (e a
lungo). Così Luke decise di usare due diverse tonalità di beep: una tonalità più alta
per le “decine” e una più bassa per le
“unità”. Per indicare 42 visite di uccelli il
Cricket emetteva 4 beep alti seguiti da 2
beep bassi. Nonostante questa nuova rappresentazione avesse alcuni chiari vantaggi,
Luke decise che la lettura spaziale sarebbe
stata migliore di quella temporale (i beep).
Beyond Black Boxes: restituire trasparenza e estetica all’indagine scientifica
17
TD27
RIFLESSIONI
Coloro che si occupano di educazione
scientifica riconoscono sempre più il valore
della progettazione delle indagini scientifiche da parte degli studenti, piuttosto che la
replica di esperimenti noti. Con la presentazione dei nostri casi abbiamo cercato di dimostrare che la progettazione dei propri
strumenti può essere una componente particolarmente importante nella progettazione
dei propri esperimenti. Troppo spesso questa
idea viene trascurata. Il National Research
Council (1996) inserisce nei suoi autorevoli National Science Education Standards
“l’uso di strumenti per raccogliere, analizzare e interpretare dati” fra gli elementi fondamentali dell’indagine scientifica (p. 23).
Questa scelta ci trova certamente d’accordo. Noi, però, facciamo un ulteriore passo
avanti dichiarando il valore cruciale rappresentato dall’opportunità per gli studenti di
progettare i loro strumenti, e non solo
quello di usarne di pre-esistenti. I casi presentati indicano parecchi motivi a sostegno
del valore dell’approccio “progetta il tuo”.
• Estendere lo spazio delle possibilità. Quando gli studenti provano a progettare le loro indagini scientifiche spesso si scontrano
con i limiti imposti dagli strumenti disponibili. In molti casi, gli strumenti scientifici standard semplicemente non sono
adeguati alle indagini che gli studenti vogliono condurre. La soluzione proposta
dai progetti BBB è quella di consentire
agli studenti di creare i loro strumenti,
adattando questi ultimi all’indagine scelta. Jenny non avrebbe certo potuto acquistare in un negozio la sua mangiatoia per
uccelli con macchina fotografica incorporata. Per molte delle indagini realizzate le
piccole dimensioni dei Cricket e la loro
trasportabilità sono particolarmente importanti. Liberando gli studenti dagli
esperimenti legati al laboratorio, i Cricket
inaugurano nuove categorie di indagine,
di cui la “passeggiata al cioccolato” è un
esempio.
• Motivazione. Ci siamo resi conto che gli
studenti spesso hanno la consapevolezza
di fare un grosso investimento personale
nell’indagine scientifica quando progettano i loro strumenti, e particolarmente nei
casi in cui danno anche un contributo
estetico [Csikszentmihalyi et al, 1993].
Quando Alexandra sentì parlare per la prima volta delle macchine per biglie, sentì
che voleva costruire la sua personale macchina per biglie come progetto per la fiera della scienza: «Pensavo che sarebbe stato interessante e diverso dai progetti degli
altri bambini, come quelli sul sistema solare o sul corpo umano. Era una cosa strana ma divertente». Jenny teneva molto alla sua mangiatoia per uccelli (e alle foto
che questa produsse), soprattutto perché
l’aveva progettata e costruita. «“La parte
divertente” del progetto», spiegò, «è proprio il sapere che l’hai costruito tu; la mia
macchina può fotografare gli uccelli»
(l’enfasi è la sua).
• Integrare l’arte con la tecnologia. L’opportunità di progettare i propri strumenti
scientifici apre una nuova strada all’esplorazione scientifica per gli studenti che
hanno un interesse primario (meglio ancora se convergente) in ambiti come l’arte, l’architettura, il design. Le creazioni
della Warmack, benché si trattasse di un
lavoro universitario, fanno intravedere il
fascino che il considerare la progettazione
scientifica come progetto artistico può
avere sugli studenti a vari stadi dello sviluppo intellettuale. Ovviamente su questo
punto bisogna essere cauti: non stiamo
sostenendo un approccio annacquato alla
scienza nel quale i valori artistici soggettivi prevalgono. Piuttosto, vediamo la creazione degli strumenti come mezzo per
esplorare l’interdisciplinarità tra arte e
scienza. Per esempio, si potrebbe immaginare un programma di progettazione
sponsorizzato dalla scuola nel quale gli
studenti creano automi ispirati a quelli
che si possono vedere al bellissimo Cabaret Mechanical Theatre Museum di Londra [Onn e Alexander, 1998], utilizzando
però i Cricket per aggiungere controlli e
sensori; oppure, si potrebbero creare dei
puzzle matematici portatili capaci di combinare l’estetica del famoso cubo di Rubik
con un comportamento controllato dal
programma di un Cricket; oppure ancora
(seguendo l’esempio della Warmack), un
progetto potrebbe riguardare i modi crea-
numero 3-2002
Quindi, costruì due quadranti (uno per le
decine ed uno per le unità), ognuno controllato da un motore. Il pulsante non serviva più: i quadranti fornivano continuamente il numero di visite degli uccelli. In
molti altri progetti BBB gli studenti si sono
cimentati con analoghi processi di esplorazione di rappresentazioni alternative. Molte
ricerche (per esempio, [di Sessa et al,
1991]) hanno documentato il valore di
questo tipo di attività meta-rappresentative
in cui gli studenti costruiscono e riflettono
su nuove forme di rappresentazione.
Beyond Black Boxes: restituire trasparenza e estetica all’indagine scientifica
TD27
numero 3-2002
18
tivi in cui è possibile visualizzare la corrente elettrica. La nostra opinione, basata
sull’esperienza accumulata fino ad oggi, è
che la progettazione degli strumenti
scientifici ha in sé il potenziale di innescare l’interesse per le questioni scientifiche
fra studenti che altrimenti ignorerebbero
totalmente l’argomento.
• Sviluppare le capacità critiche. Troppo
spesso gli studenti accettano le misure ottenute tramite le strumentazioni scientifiche in modo acritico. Quando progettano
i loro strumenti e le loro indagini, ci siamo resi conto che sviluppano un sano
scetticismo sui risultati delle misure, insieme ad una migliore comprensione di quali valori sono ragionevoli e perché. Quando gli studenti ottengono valori “strani”
o inaspettati durante le attività quotidiane
di raccolta dati (come nel caso della “passeggiata al cioccolato”), sviluppano l’abilità di selezionare fra le varie spiegazioni
possibili. In alcuni casi, concludono che
una qualche parte della loro attrezzatura
non funziona bene. In altri casi (come
nell’esempio del padre che si era preparato i popcorn in piena notte), scoprono un
evento inizialmente non previsto che produce un dato inaspettato. In altri casi ancora (come nei modelli ciclici osservati
nella temperatura dei frigoriferi), gli studenti imparano i processi che ne stanno
alla base e dei quali non avevano alcuna
consapevolezza.
Che cosa non ha funzionato
I casi qui raccontati mettono in evidenza alcuni punti forti e i successi dell’iniziativa
BBB. Tuttavia, è utile anche guardare alle
difficoltà e ai problemi incontrati. Alcuni
problemi sono stati di natura tecnica e abbastanza facili da risolvere. Per esempio, i
Cricket non hanno display incorporati
quindi, inizialmente era stato difficile per gli
studenti ottenere un feedback in tempo reale (sui valori dei sensori, sullo stato del programma, ecc.) quando i Cricket venivano
usati lontano dal computer. Abbiamo iniziato ad affrontare questo problema sviluppando un piccolo display numerico come
periferica di un Cricket, in modo che gli studenti ottenessero le letture dal Cricket in
qualsiasi momento ed in qualsiasi luogo. Allo stesso modo, abbiamo continuamente
migliorato l’ambiente di programmazione
per i Cricket per facilitare gli studenti nella
programmazione di nuovi comportamenti
per le loro costruzioni BBB.
I problemi più difficili, tuttavia, non hanno
soluzioni tecniche semplici. Le attività BBB
tendono ad essere particolarmente stimolanti in quanto gli studenti sono coinvolti in
molteplici tipologie di progettazione: progettare le indagini contestualmente alla
progettazione degli strumenti necessari a
condurre quelle indagini. Anche il processo
stesso di progettazione dello strumento implica diverse tipologie di progettazione:
progettazione di strutture, meccanismi e
programmi. All’interno del nostro impegno
sul progetto BBB, abbiamo incoraggiato gli
studenti a considerare non solo le funzionalità, ma anche l’estetica degli strumenti che
progettano. Abbiamo scoperto che, come
risultato di queste sfide multiple sulla progettazione, gli studenti spesso riescono a
portare a termine una parte del progetto,
ma si trovano poi in difficoltà nell’assemblare tutte le parti.
Per aiutarli ad affrontare le molteplici dimensioni della progettazione, abbiamo sviluppato alcune attività introduttive che includono solo alcune dimensioni. In alcune
delle attività quotidiane di raccolta dati, per
esempio, gli studenti progettano le loro ricerche senza concentrarsi sulla progettazione dello strumento. Un altro approccio è
quello di partire concentrandosi sulla progettazione degli strumenti piuttosto che
sull’indagine scientifica; per esempio, abbiamo impegnato gli studenti nella costruzione di sculture cinetiche, opere d’arte che incorporano Cricket, motori, luci e sensori.
Questo approccio può aiutare gli studenti
ad iniziare a sviluppare i loro strumenti
scientifici. Un gruppo di studenti della
scuola superiore costruì una scultura con un
motore e un sensore di luce, e programmò
la scultura in modo che si muovesse in diverse direzioni ed a diverse velocità basate
sui livelli di luce rilevati dal sensore. Mentre
percorrevano la hall con la loro scultura e
notavano le variazioni dei suoi movimenti al
passaggio davanti alle porte, si resero conto
che la loro scultura poteva funzionare come
un efficiente misuratore di luce, quest’ultimo munito di un display molto più interessante di quelli dei tradizionali misuratori di
luce. Tuttavia, passare dalla progettazione
dello strumento a quella della propria ricerca non è cosa da poco. Aiutare gli studenti
a individuare argomenti di indagine che li
interessino tanto quanto le loro sculture cinetiche è un compito molto impegnativo
per i docenti. Molti studenti, nelle loro attività BBB, non procedevano nell’analisi dei
dati se non quando erano veramente interessati a questi dati. Un’altra sfida ovvia è
RINGRAZIAMENTI
Fred Martin, Bakhtiar Mikhak, Brian Silverman e Sherry Turkle hanno fornito un importante contributo allo sviluppo della tecnologia dei Cricket ed alle idee che stanno
alla base del progetto “Beyond Black
Boxes”. Mike Petrich, Claudia Urrea e Karen Wilkinson hanno avuto un ruolo determinante nello sviluppo delle attività BBB.
Rami Alwan, Rick Borovoy, Gail Breslow,
Geneelyn Colobong, Stina Cooke, Ann Eisenberg, Ava Erickson, Phil Firsenbaum,
John Galinato, Rachel Garber, Martha
Greenawalt, Mark Gross, Adrienne Warmack, Tom Wrensch e Julianna Yu hanno
Beyond Black Boxes: restituire trasparenza e estetica all’indagine scientifica
19
4
Si tratta di nomi di vecchie radio americane
(N.d.T.).
TD27
Al di là delle scatole nere
Mentre la precedente generazione di studiosi fu conquistata alla ricerca scientifica
smontando le radio, i bambini di oggi trovano poco di comprensibile quando aprono
una radio o altri apparecchi elettronici moderni. James Gleick (1992) allude a questo
fenomeno nella sua biografia di Richard
Feynman:
“L’arte di armeggiare con una radio con
il tempo tramontò. I bambini dimenticarono il piacere di aprire ed eviscerare le
vecchie radio Kadettes e Clubs4 dei genitori. Solidi blocchi elettronici sostituirono i
grovigli interni degli apparecchi radio,
quindi dove un tempo si poteva imparare
strappando fili saldati e contemplando la
fluorescenza delle valvole non restarono
altro che insignificanti chip prefabbricati,
i vecchi circuiti compressi mille volte o più.
Il transistor, una micro punta di silicio,
ha soppiantato il tubo infrangibile e così il
mondo ha perduto una collaudata via di
accesso alla scienza.”
Indubbiamente i computer hanno reso i
meccanismi del mondo meno “trasparenti”
per la maggior parte della gente. Ma non è
detto che debba essere così. Nel progetto
BBB abbiamo visto come gli studenti, aiutati da nuovi strumenti informatici, possono
costruire apparecchi personalizzati e iniziare a vedere l’indagine scientifica come un
processo al quale possono prendere parte,
giorno dopo giorno, in modo creativo e
piacevole. Il nostro è solo un primo passo.
Nelle nostre prossime ricerche pensiamo di
concentrarci su livelli più dettagliati di studio circa il come e il che cosa gli studenti apprendono quando progettano i loro strumenti e le loro ricerche, e su studi inerenti il
come svolgere questo tipo di attività con
successo in una serie più ampia di contesti.
Come misureremo la riuscita del nostro
progetto nel lungo periodo? Il nostro obiettivo finale è quello di contribuire allo sviluppo di una nuova generazione di studenti più disposti a guardare dentro gli artefatti tecnologici nel mondo che li circonda e a
sentirsi in grado di sviluppare i loro strumenti (anche molto semplici) per esplorare
i fenomeni che si presentano loro nella vita
quotidiana.
numero 3-2002
quella di aiutare gli studenti a passare dalla
semplice progettazione della ricerca alla riflessione sul suo significato.
Produrre nuove idee per i progetti BBB non
è necessariamente facile. Abbiamo provato a
facilitare questo processo fornendo agli studenti una ricca collezione di progetti campione e incoraggiandoli a lavorare sulle variazioni di tali progetti. Per esempio, abbiamo mostrato la mangiatoia per uccelli di
Jenny alle ragazze scout durante un seminario estivo. Diverse ragazze, ispirate dal tema
del monitoraggio degli animali, modificarono la gabbia dei gerbilli per poter tener traccia delle attività dei loro animali. Altre due
ragazze costruirono un “sistema di scurezza per i loro diari” che fotografava chiunque
avesse tentato di mettervi le mani.
Come per altre attività educative basate sulla progettazione e su progetti, le attività
BBB sollevano anche problemi di natura logistica di notevole entità, ponendo vincoli
di tempo e spazio. In uno dei luoghi di ricerca BBB gli studenti erano in grado di lavorare sui loro progetti per un solo pomeriggio alla settimana e dovevano anche passare molto tempo a predisporre il loro materiale e a riporlo. Lo stesso luogo ospitava
un seminario estivo durante il quale gli studenti passavano intere giornate lavorando ai
loro progetti, ogni giorno per tre settimane.
Gli studenti del seminario estivo fecero
molti più progressi nel loro progetto e chiaramente l’esperienza li interessò e divertì
molto di più.
Il compito di integrare le attività BBB nel
curriculum scolastico, allineandole agli standard correnti e ai test, costituisce una sfida
ancora più interessante. I progetti BBB spesso sono trasversali alle discipline tradizionali
(come scienze, matematica e arte) e, inoltre,
si agganciano a concetti ingegneristici (come il feedback ed il controllo) che sono raramente trattati a scuola. Per tutte queste ragioni è difficile, se non impossibile, introdurre le attività BBB mantenendo il resto
inalterato; sono necessari sostanziali cambiamenti a livello di sistema nell’organizzazione logistica e concettuale della scuola.
Beyond Black Boxes: restituire trasparenza e estetica all’indagine scientifica
aiutato a sviluppare e organizzare la tecnologia, le classi e i seminari del progetto. Vorremmo ringraziare Andee Rubin e Mark
Guzdial per l’attenta revisione di una prima
bozza. Questa ricerca è stata finanziata da
generosi contratti della National Science
Foundation (contratti 9358519-RED e
CDA-9616444), dal Gruppo LEGO e dai
consorzi “Things That Think”, “Digital Li-
fe” e “Toys of Tomorrow” del MIT Media
Laboratory.
(Questo articolo è stato originariamente
pubblicato su: Journal of the Learning
Sciences, vol. 9, n. 1, 2000, pp. 7-30, Lawrence Erlbaum Publishers, Mahwah, NJ.
Traduzione di Giovanna Caviglione).
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Percorsi di apprendimento
Percorsi di apprendimento
Per apprendere concetti e procedimenti della fisica
con piacere, motivazione, comprensione
■ Enrica Giordano, Facoltà di Scienze della Formazione,
Università di Milano Bicocca
[email protected]
21
TD27
possibili per ottenere un apprendimento significativo, una comprensione vera e addirittura una passione per la fisica. Si è messo
l’accento sulla necessità di partire da quello
che gli studenti già sanno (preconoscenze,
misconcezioni, rappresentazioni mentali) e
di coinvolgerli attivamente nel processo di
costruzione della conoscenza scientifica.
Secondo le indicazioni provenienti dalle
scienze cognitive la conoscenza infatti non
si trasmetterebbe già organizzata, semplicemente enunciandola, ma andrebbe da ciascuno costruita e ricostruita sotto la guida e
la mediazione esperta del docente, interagendo con i pari e con oggetti, materiali, testi, esperti, in un ambiente che stimoli e sostenga l’apprendimento di ciascuno secondo il proprio stile [Boscolo, 1986; Cacciamani, 2002; Pontecorvo, 1992; von Glaserfeld, 1989].
Si sono così sviluppate ricerche che sottolineano l’importanza dell’interazione tra pari
e della discussione in classe [Pontecorvo et
al, 1991; Mazur, 1997; Meltzer e Manivannan, 2002], ricerche che sottolineano l’importanza di una riflessione sui contenuti e
sui metodi della scienza e sui modi del proprio apprendimento (metacognizione) [Bonelli Majorino et al, 1995], ricerche sulla
motivazione e la dimensione ludica, e infine
ricerche che studiano come le tecnologie
dell’informazione e della comunicazione
possano modificare e migliorare l’apprendimento scientifico.
Tra queste ultime, le linee di ricerca prevalenti si sono rivolte ad esplorare l’utilizzo
didattico di:
• Programmazione - programmi che coin-
numero 3-2002
INTRODUZIONE
Da diversi anni ampie ricerche internazionali stanno dimostrando la scarsa efficacia
dell’insegnamento scientifico “tradizionale” nel generare un apprendimento significativo e duraturo di contenuti e metodi della fisica. Ricerche condotte su grandi numeri di studenti di diverso livello scolare in diversi paesi documentano che le conoscenze
scientifiche apprese a scuola rimangono in
generale confinate all’ambito scolastico,
non vengono utilizzate per risolvere problemi relativi a situazioni anche semplici della
vita quotidiana, per interpretare le quali i
soggetti tendono a ritornare a soluzioni e
idee preesistenti all’insegnamento formale,
idee sostanzialmente derivate dalla conoscenza comune che l’insegnamento ha lasciato inalterate o modificate in direzione
diversa da quella auspicata [Grimellini Tomasini e Segrè, 1991]. Il risultato è che
spesso non si ha successo nell’insegnare i
concetti fondamentali e inoltre si provoca
negli studenti una reazione di rifiuto o addirittura paura verso la conoscenza scientifica che viene ritenuta arida e incomprensibile ai più.
Si sta dunque mettendo in discussione l’insegnamento “trasmissivo” della fisica e si è
avviata la ricerca e la sperimentazione di
metodologie di insegnamento interattivo e
la progettazione di ambienti che facilitino
un apprendimento attivo e significativo di
concetti e procedure della conoscenza
scientifica.
Molti sforzi di ricerca a livello internazionale si sono rivolti prima a documentare le difficoltà esistenti e quindi a cercare soluzioni
Percorsi di apprendimento
volgono direttamente gli studenti in attività di programmazione (si pensi, ad
esempio, alla lunga esperienza di lavoro
con Logo);
• Simulazione - intesa sia come produzione
sia come modellizzazione di fenomeni e
processi fisici (si veda, ad esempio, Interactive Physics, che permette di creare diversi oggetti e situazioni, di variare parametri e componenti, di eseguire misure,
di presentare i risultati ottenuti attraverso
molteplici forme di rappresentazione);
• Microcomputer Based Laboratory (MBL)
o laboratorio basato su microcomputer il calcolatore viene interfacciato con sensori che misurano diverse variabili fisiche;
software appositi permettono di raccogliere, memorizzare e visualizzare i dati
sia in tempo reale sia in tempo differito;
• Utilizzo di rete telematica - intesa sia come strumento di connessione/discussione in rete sia come utilizzo di risorse offerte dal Web [Bonelli Majorino et al,
1996; Midoro, 2002; Manca e Sarti,
2002].
Gli sforzi della ricerca per esplorare ed evidenziare i fattori determinanti per il rinnovamento della didattica scientifica non si sono ancora rivelati efficaci per modificare la
situazione complessiva dell’insegnamento
che evolve, seppur molto lentamente, soprattutto per l’intervento di insegnanti particolarmente motivati e impegnati nell’innovazione.
La ricerca si sta dunque impegnando nella
messa a punto di modelli efficaci per una
formazione iniziale e in servizio dei docenti che li metta in grado di gestire l’innovazione in classe e, contemporaneamente,
nella proposta di percorsi didattici in cui i
fattori che la ricerca ha esplorato, spesso separatamente, confluiscano in modo coerente ed efficace ai fini di un apprendimento significativo delle idee scientifiche fondamentali [Guidoni, 2001; Guidoni et al, 2002].
22
TD27
numero 3-2002
1
Si veda, ad esempio, il sito del progetto “Laboratori in Rete”, http://
pctidifi.mi.infn.it/luce/
LA NOSTRA RICERCA
Da anni il nostro gruppo di ricerca in “Didattica della fisica di base” progetta e sperimenta percorsi per guidare ad un apprendimento significativo della fisica. L’obiettivo
che ci proponiamo non è sostituire la conoscenza scientifica a quella comune, ma avvicinare progressivamente gli studenti ai modi di vedere e di interpretare la realtà che le
discipline scientifiche propongono, in particolare potenziare le capacità di osservazione
di chi apprende, arricchirne le forme di rappresentazione e le possibilità di interpreta-
zione, introdurre alla ricerca di coerenza,
astrazione, generalizzazione.
I percorsi sono costruiti in collaborazione da
esperti di didattica della fisica e da insegnanti che abbinano alla loro formazione la sperimentazione in classe relativamente ai temi sui
quali si vanno formando. Questo permette ai
ricercatori di monitorare sia il processo di
formazione degli insegnanti sia il processo di
apprendimento degli alunni e quindi di verificare l’efficacia della proposta didattica che
viene messa a punto e modificata in base alla
reale risposta di chi apprende.
I percorsi sono progettati per affrontare
contenuti selezionati su tempi lunghi, dalla
scuola dell’infanzia all’università, a diversi
livelli di interpretazione, crescenti in difficoltà e grado di formalizzazione.
La sperimentazione è necessariamente parziale e viene realizzata da gruppi di insegnanti che lavorano nelle loro classi con la
metodologia della ricerca azione, collegati
tra loro e con i ricercatori anche via rete telematica1.
Le proposte didattiche che vengono avanzate sono dedicate ad affrontare in modo
approfondito contenuti e procedure fondamentali della conoscenza scientifica, fisica in
particolare, in connessione con altre aree
del sapere così da costituire una proposta
che affianca, al più tradizionale approccio
“informativo”, la dimensione formativa e
culturale indispensabile nell’educazione
scientifica di base.
L’esperienza quotidiana, il linguaggio, le
conoscenze e le abilità possedute da chi apprende costituiscono il punto di partenza e
il riferimento costante del percorso che l’insegnante costruisce via via in base alla reale
risposta degli studenti.
L’ambiente di apprendimento che viene
suggerito nelle nostre proposte e adottato
nelle sperimentazioni è molto ampio e ricco
di materiale e di attività, così da tenere conto dei diversi stili cognitivi di chi apprende
e degli obiettivi formativi e informativi che
si intendono perseguire.
In particolare, si suggeriscono attività sperimentali di diverso tipo fatte sia utilizzando
materiali di uso quotidiano e di basso costo
sia materiali da laboratorio e apparecchiature di costo più elevato. Si ritiene fondamentale proporre esperienze che si prestino sia
ad esplorazioni libere sia ad una esplorazione consapevole dei fattori in gioco attraverso la loro variazione sistematica; deve quindi trattarsi di materiale che non sia dedicato
a un unico scopo o esperimento, ma che si
possa utilizzare in modo aperto e versatile.
Percorsi di apprendimento
23
2
Per una trattazione più
estesa del percorso sul
moto si veda [Gagliardi
et al, 1999].
TD27
LA FASE DI AVVIO
I bambini tra tre e cinque anni arrivano nella scuola dell’infanzia, lasciano la casa, i genitori (con conseguente paura dell’abbandono, ansia in un ambiente nuovo e diverso, incontro con il mondo degli adulti) e
trovano altri bambini come loro, molto simili e nello stesso tempo molto diversi, trovano adulti preparati ad accoglierli e a guidarli nel loro percorso complessivo.
Ha senso parlare di scienza? Cosa intendiamo per “fare scienza” in questa fascia di età?
Il processo di “comprensione” del mondo
che li circonda per questi bimbi è già iniziato da tempo, stanno cercando di capire come vanno i fatti del mondo innanzitutto per
poter sopravvivere, per imparare a prevedere cosa accadrà a seguito dei loro comportamenti, per fare andare le cose nel modo
giusto per loro e per gli altri.
Finora l’hanno fatto in modo individuale
confrontandosi prevalentemente con gli
adulti e con fratelli/sorelle più grandi, oltre
che con la natura e con gli artefatti presenti
nella società.
A scuola, in ambienti diversi, predisposti all’interno e all’esterno, vengono loro proposte varie attività, alcune libere e altre organizzate, che li aiutino a crescere su tutti i
piani, da quello cognitivo a quello affettivo,
a quello sociale.
Si tratta, ad esempio, di attività di movimento in cui i bimbi si muovono in spazi di
varie dimensioni, correndo, andando piano,
camminando con passo di leone e di formica, strisciando come un serpente, saltando
come una rana, rotolando su stessi, ecc.
Mentre si muovono, si guardano intorno;
alle sensazioni del loro corpo in movimento
nello spazio e in contatto con gli appoggi
associano quello che gli occhi vedono di se
stessi, delle cose (i muri, il pavimento, gli altri oggetti) e delle persone che ci sono intorno, che si stanno muovendo con loro.
Ed è importante sperimentare anche lo stare fermi, in piedi (coi piedi larghi, coi piedi
stretti, su un piede solo, come devo mettere le braccia per non cadere, ecc.), seduti,
accovacciati e poi sdraiati, sia all’interno che
all’esterno, sentendo il pavimento o l’erba
sotto di sé, ascoltando voci, suoni, rumori,
sentendo caldo o freddo (la schiena appoggiata al pavimento freddo e la pancia rivolta
verso il sole).
Si possono osservare le posture e i movimenti dei compagni, come pure i movimenti di animali familiari e non, rivedendoli in
un filmato, e quindi si cerca di riprodurli col
proprio corpo.
In questa prima fase è fondamentale affiancare al lavoro sul movimento del proprio
corpo, e più in generale dei viventi, l’osservazione attenta di moti di oggetti, meccanismi, giocattoli.
Fin da molto piccoli i bimbi sono attenti
sperimentatori e osservatori di moti di oggetti a seguito di loro azioni (oggetti che
cadono se lasciati o lanciati; oggetti che si
possono trascinare, spingere, che rotolano,
che strisciano, che si fermano subito o che
vanno lontano); a scuola si propongono attività in parte simili a quelle dell’esperienza
quotidiana in parte nuove proponendo un
campionario vasto di materiale con cui sperimentare (palle, cerchi, giocattoli meccanici, kit di costruzione tipo LEGO o Meccano).
È importante invitare a manipolare, ad osservare sempre più attentamente, a sentire
con tutti i sensi, a confrontare situazioni e
sensazioni diverse sottolineando le variazioni e i cambiamenti (cosa succede se cambio
…, se aggiungo …), a cercare di trovare le
parole per dire a se stessi e agli altri cosa si
sta sentendo e vedendo, sia quello che c’è
nei fatti che quello che c’è dentro di noi (le
nostre emozioni, la meraviglia, la paura, la
corrispondenza con le aspettative). E così si
trovano parole per descrivere le cose come
sono, si costruiscono frasi per descrivere come le cambiano, si legano le frasi in storie
che raccontano quello che si vede accadere,
si leggono storie raccontate da altri.
Si possono trovare altri modi, diversi dalle
storie narrate, per rappresentare il movi-
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UN PERCORSO SUL MOVIMENTO
Qui di seguito diamo la traccia di un percorso di lavoro sul movimento che parte
dalla scuola dell’infanzia e si sviluppa lungo
l’arco della scuola dell’obbligo. Diamo spazio in particolare a tre momenti del percorso che riteniamo particolarmente importanti e cruciali2:
1. La fase di avvio del percorso e di familiarizzazione con i fatti, che suggeriamo di
proporre nella scuola dell’infanzia dove
sono possibili lavori con tempi distesi,
prima che le conoscenze disciplinari e i
vincoli di programma obblighino a ridurre fortemente lo spazio dell’esplorazione
libera e guidata.
2. La fase di formalizzazione delle relazioni
tra le grandezze fondamentali del moto.
3. La fase di studio in analogia con il comportamento del corpo umano e di artefatti tecnologici, in particolare il confronto tra sensi e sensori.
Percorsi di apprendimento
24
TD27
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3
Si vedano, ad esempio, i lavori di Nicoletta Lanciano
nel sito
http://pctidifi.mi.infn.it/
lanciano/
mento? Si raccolgono e si discutono le proposte dei bambini, se ne introducono di
nuove. Nasce così l’idea di utilizzare situazioni che si somigliano, le analogie: per rappresentare un oggetto che va sempre più in
alto si possono mettere mattoni uno sopra
l’altro. Oppure si può usare un registratore
con una musica di cui possiamo alzare via
via il volume. Oppure si può utilizzare una
sorgente di luce con un variatore che permette di aumentarne via via la luminosità.
Oppure si può prendere un rotolo di spago
e srotolarlo via via. Ma si può anche semplicemente usare una mano e farla scorrere
verso l’alto, di poco, di tanto, lenta, veloce
proprio come il movimento dell’oggetto.
Bisogna però trovare il modo per “fissare”
queste rappresentazioni, così da poterle rianalizzare e confrontare con altre. Si potrebbe cercare di disegnare; ma come si fa a disegnare su un foglio fermo le cose che si
muovono? Come si fa a disegnare piatte delle cose che non sono piatte e che si trovano
in diverse direzioni e su piani diversi? Lavoriamo sulle proposte dei bambini e intanto
con loro andiamo a cercare come viene rappresentato il movimento nei fumetti, nei
quadri.
Ma il disegno non sempre è un disegno dal
vero, può essere un disegno schematico,
una rappresentazione astratta, un grafico.
E che dire del movimento di oggetti molto
grandi e molto lontani come la luna, il sole,
le stelle? Sono oggetti di cui non si può modificare il moto, bisogna imparare a osservarlo direttamente, nello spazio grande,
fuori, di giorno e di sera. L’osservazione sistematica fatta con attenzione, con pazienza, con emozione permette di dare un significato “vero” a espressioni come: il sole
sorge, culmina e tramonta tutti i giorni.
L’osservazione ripetuta e il confronto tra le
rappresentazioni di quello che si è osservato3, permette di concludere che tutti i giorni avviene qualcosa che si ripete uguale
(sempre il sole sorge, culmina e tramonta) e
nello stesso tempo diverso (il punto e l’ora
del sorgere e del tramontare).
Gradualmente si introducono i bimbi ai
concetti (sistema di riferimento, moto traslatorio e rotatorio, ecc.) e alle grandezze
fondamentali della fisica del moto e alle relazioni tra esse (posizione, velocità, lunghezza del percorso, tempo impiegato). Alla scuola dell’infanzia si rimane sempre fortemente ancorati al piano percettivo e al livello qualitativo, alla scuola elementare si
passa gradualmente al livello quantitativo, a
forme di rappresentazione più astratte, a un
livello di interpretazione più alto (in termini di variabili e relazioni tra esse). In tutti i
casi c’è un riferimento costante al piano dei
fatti, si fanno previsioni, si progettano esperimenti per metterle alla prova, si registrano
le osservazioni in varie forme, si raccolgono
dati, si analizzano e si interpretano, si rimettono in discussione le ipotesi iniziali, si
fissano alcune conclusioni, nascono nuove
idee da provare.
LA FASE DI FORMALIZZAZIONE
Il passaggio dalla fase percettiva, concreta,
al livello più astratto e formale, che alla
scuola media e superiore porta all’introduzione delle formule del moto, risulta particolarmente delicato.
Proponiamo che si faccia precedere o si affianchi alla più tradizionale parte numerica
e algebrica (con misure di spazi percorsi e di
tempi di percorrenza, calcoli di velocità medie, formule per la velocità media, l’accelerazione, ecc.) la rappresentazione grafica
delle grandezze in gioco e delle relazioni tra
esse. La forma di rappresentazione grafica in
cui il tempo è la variabile riportata sull’asse
delle ascisse viene costruita a partire sia da
rappresentazioni spontanee [di Sessa,
2001] sia dall’analisi di prodotti della nostra
cultura in cui il tempo viene rappresentato
attraverso lo spazio (nei fumetti, vignette
successive nello spazio rappresentano situazioni in istanti successivi di tempo; nei disegni di oggetti o di persone in moto si tratta
dei passi o delle posizioni successivamente
occupate; nella musica, le note scritte in
successione sul pentagramma vengono suonate successivamente nel tempo con intervalli temporali che sono proporzionali agli
intervalli spaziali che separano le note,
ecc.). La forma di rappresentazione attraverso il grafico sul piano cartesiano può essere introdotta in modo molto naturale a
partire dalle precedenti esperienze di moto
del proprio corpo e di parti di esso: la mano
che si alza per rappresentare un oggetto che
si allontana da un osservatore può lasciare
una traccia verticale su un foglio di carta
sottostante; se il foglio di carta scorre a rappresentare il tempo che passa, la traccia sarà
inclinata con una pendenza rispetto all’orizzontale che dipende dalla velocità con cui la
mano si sposta.
Fondamentale da questo punto di vista è
l’introduzione, accanto alle più tradizionali
apparecchiature di laboratorio, del cosiddetto MBL o laboratorio basato su microcomputer. Si tratta di sensori di vario tipo
(quelli di moto, di temperatura, di luce so-
Percorsi di apprendimento
4
Si veda, ad esempio,
http://www.concord.org
5
Derivazione, integrazione, fit, ecc.
6
Si tratta, ad esempio, di
un emettitore/ricevitore
di ultrasuoni o di infrarossi del tipo di quelli
presenti nelle macchine
fotografiche Polaroid o
nei telecomandi delle nostre TV. Dopo aver emesso il segnale, il sensore è
in grado di raccogliere il
segnale riflesso dall’oggetto che gli sta davanti e
calcolare (nota la velocità
del segnale, misurando il
tempo tra emissione e ricezione del segnale) la
distanza dell’oggetto; il
tutto in un tempo molto
breve per cui si possono
raccogliere fino a 200 dati al secondo.
7
La velocità media coincide con la velocità istantanea ed è calcolabile come
rapporto tra lo spazio
percorso e l’intervallo di
tempo impiegato a percorrerlo; lo spazio percorso definito come distanza finale/distanza
iniziale risulta negativo in
caso di avvicinamento.
25
figura 1
a) Grafico corrispondente a un movimento di allontanamento fermata e
successivo avvicinamento al sensore, con tratti
percorsi a velocità costante. b) Grafico corrispondente a un moto di
allontanamento con velocità crescente.
TD27
ti durante il lavoro sperimentale (che tendono a sottolineare l’importanza dei valori
dei singoli punti del grafico), qui l’attenzione è sulla forma complessiva dei grafici, sul
loro andamento e sulla connessione tra andamento del grafico e andamento del fenomeno. Questa corrispondenza viene rafforzata dalla possibilità di effettuare variazioni
di una delle variabili che il soggetto ritiene
importanti per lo svolgimento del fenomeno e vedere se e come si modifica contemporaneamente la sua rappresentazione. Se al
moto di allontanamento a velocità costante
corrisponde una retta che forma un angolo
acuto con l’asse delle ascisse, cosa succede
se cambio velocità? E se sto fermo?
Dal confronto tra due moti eseguiti a velocità costante, diversa tra loro, si comincia ad
associare la grandezza velocità all’idea di
pendenza della retta nel piano (distanza,
tempo); questa idea di velocità come pendenza si riprende nel caso di curve nel piano (distanza, tempo) che corrispondono
appunto a moti a velocità non costante. L’idea di velocità istantanea come pendenza
della tangente alla curva nel punto considerato viene introdotta in modo semplice,
grafico, senza richiedere strumenti di calcolo e può essere approfondita attraverso l’analisi del grafico “velocità in funzione del
tempo” riferito allo stesso moto. L’analisi
dei grafici di avvicinamento {distanza, tempo} e {velocità, tempo} mette in evidenza
che il sistema di rappresentazione utilizzato
dal MBL distingue due moti a velocità costante di verso opposto, cambiando il segno
della velocità, positiva in allontanamento e
negativa in avvicinamento. Questo è coerente sia con la regola di segno delle pendenze delle rette nel piano cartesiano, sia
con i risultati dei calcoli che si possono eseguire ad esempio sui grafici rettilinei corrispondenti ai moti a velocità costante7. Per i
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no tra i più comuni) collegati tramite interfaccia a un personal computer (o a calcolatrici tascabili o più di recente a computer
palmari)4. Il software, studiato per gestire in
modo cognitivamente e didatticamente efficace i problemi della misura delle variabili fisiche considerate (distanza, velocità, accelerazione, intensità luminosa, temperatura,
ecc.), permette di raccogliere i dati e mostrarli in diverse forme (tabella, grafico) in
tempo reale. I dati vengono inoltre memorizzati così da poter essere analizzati successivamente attraverso funzioni5 contenute
nel software o esportandoli in un foglio
elettronico.
L’introduzione di esperienze MBL a bassi
livelli di scolarità, ad esempio a livello di
scuola media, risulta particolarmente efficace in quanto permette di visualizzare in forma grafica la relazione tra coppie di variabili fisiche coinvolte nell’esperimento in contemporanea allo svolgersi dell’evento.
Ad esempio, collegando al computer il sensore di moto6 e scegliendo di visualizzare
sullo schermo il grafico “distanza in funzione del tempo”, lo studente può stare fermo
o muoversi rispetto al sensore, avvicinarsi e
allontanarsi in vario modo e vedere sullo
schermo costruirsi il grafico del suo movimento. Vede, quindi, una rappresentazione
astratta del moto che realizza col suo corpo
e che “sente” direttamente: a un movimento regolare (la fisica parla di velocità costante) corrispondono rette, con un movimento di allontanamento in cui si va sempre più
veloce si ottengono curve con certe forme,
con un movimento di allontanamento in cui
si parte veloce e si va sempre più lentamente la forma della curva è simile, ma cambia
concavità [figura 1].
A differenza dei più tradizionali grafici ottenuti a partire da formule che legano le due
variabili riportate sugli assi o da dati raccol-
Percorsi di apprendimento
8
Anche ad occhi bendati è
possibile produrre una
rappresentazione del moto che si è eseguito e percepito, attraverso un oggetto che rappresenta un
personaggio stilizzato,
che viene mosso (sempre
a occhi bendati) da chi ha
eseguito il movimento e
lascia la traccia del suo
moto su una tavoletta rigida ricoperta di plastilina [Terzi, 1995].
9
Il sensore di contatto è
un normale mattoncino
3x2 che presenta sul lato
corto un piccolo pulsante, un interruttore. I valori che il sensore può inviare al mattoncino programmabile sono solo
due, corrispondenti a
pulsante “premuto” o
“non premuto”.
10
Per la realizzazione di questa esperienza e di altre
analoghe si veda il progetto SeT “Costruiamo un
robot”, pubblicato sul sito
dell’INDIRE
(http://www5.indire.it:
8080/set/microrobotica/)
in particolare l’attività
“Costruiamo un esperimento”.
11
TD27
numero 3-2002
26
Nel caso della luce si può
delineare un percorso di
apprendimento del tutto
analogo a quello sul moto. Per questo rimandiamo al sito
http://pctidifi.mi.infn.it
/lucevisione. Qui ci limitiamo a ricordare alcune
proprietà generali della
luce e della sua interazione con la materia: la luce
è radiazione elettromagnetica caratterizzata in
generale, oltre che dall’energia trasportata (intensità), dalla direzione di
propagazione e da caratteristiche
cromatiche
(frequenza).
ragazzi più grandi a questo punto, lavorando anche sul piano matematico, risulta abbastanza naturale associare alla forma rettilinea del grafico una dipendenza lineare tra
le due variabili che si traduce in una equazione di primo grado che lega le due variabili rappresentate sugli assi, arrivando così a
formulare la relazione che lega le variabili
spaziali e temporali nel caso di velocità costante.
Per i più piccoli ci si può fermare all’idea che
se le due variabili riportate sugli assi sono legate in un fenomeno attraverso un grafico
rettilineo (che passa per l’origine) si tratta di
grandezze che variano “in proporzione”, al
raddoppiare (triplicare, dimezzarsi, ecc.)
dell’una raddoppia (triplica, si dimezza,
ecc.) anche l’altra, così che il loro rapporto
si mantiene costante.
Oltre alla capacità di rendere disponibile in
linea e di “oggettivare” una rappresentazione astratta, questo sistema permette di introdurre importanti novità nel lavoro sperimentale: permette di esplorare liberamente
i fenomeni a partire da situazioni reali complesse a cui può non corrispondere nessuna
formula; permette di ripetere molte volte
l’esperienza apportando variazioni e vedendo cosa cambia nella relazione tra le grandezze in gioco; permette di esplorare la relazione tra più di due grandezze (si può
chiedere di vedere oltre al grafico “distanza
in funzione del tempo” anche il grafico della “velocità e/o dell’accelerazione in funzione del tempo”, vedere il grafico “velocità
in funzione della posizione”, ecc.). Si crea
così una ricca base di attività sperimentali e
di loro rappresentazioni a partire dalla quale si possono costruire modelli interpretativi e introdurre relazioni formali a livelli crescenti di astrazione e difficoltà.
LA FASE DI STUDIO.
SENSI E SENSORI
Solitamente si passa dallo studio di fenomeni di cui si è protagonisti (il proprio moto)
e dalle sue rappresentazioni allo studio di
fenomeni che avvengono per cause esterne
(ad esempio, la caduta libera o lungo un
piano inclinato).
Il processo di costruzione di conoscenza dei
concetti e delle procedure fondamentali
della scienza del moto può venire ulteriormente arricchito dall’incontro col mondo
dei robot programmabili.
Si tratta di kit di costruzione e di gioco, ad
esempio LEGO, che consentono di progettare e costruire veicoli mobili, dotati di motori e sensori, il cui moto è determinato in
parte dal disegno costruttivo, in parte dalle
regole di comportamento del robot che
vengono inserite nel programma.
Si tratta di oggetti “esterni”, autonomi, ma
ancora molto legati a chi li ha progettati,
realizzati, programmati per ottenere un
comportamento desiderato; costituiscono
“oggetti-per-pensare, oggetti in cui coesistono una presenza culturale, un sapere incorporato e la possibilità di una identificazione
personale” [Papert, 1984: p. 17]. Sono oggetti che incoraggiano una interazione intelligente tra chi apprende e le idee astratte
che sono incorporate nella tecnologia utilizzata.
La presenza di interfaccia e sensori nei giochi LEGO e nei kit di costruzione di robot
introduce una dimensione nuova nella ricerca sulle potenzialità offerte dall’approccio MBL. Il confine tra apprendimento e
gioco diventa ancora più sfumato, la progettazione di esperimenti oltre ad essere finalizzata alla comprensione del fenomeno
oggetto di studio viene ad essere finalizzata
al raggiungimento di uno scopo concreto,
ad ottenere un certo comportamento da
parte del robot, ad avere un ritorno concreto sulla validità ed applicabilità delle proprie
ipotesi.
Alle potenzialità offerte da questi sistemi all’apprendimento di concetti fondamentali
della meccanica già sviluppate nell’articolo
di Resnick (2002) e in quello di Didoni
(2002) in questo numero, vogliamo aggiungerne un’altra che ci porta ad arricchire la comprensione del moto, e non solo, da
prospettive diverse da quella strettamente
fisica.
Il robot tocca
Costruire un veicolo dotato di motori, interfaccia e sensori e programmarlo per ottenere determinati movimenti o per vedere
come reagisce all’interazione con l’ambiente circostante porta a chiedersi: Cos’è un
sensore? Che cosa “sente”? Somiglia ai nostri sensi? Come funzionano i nostri sensi?
Che influenza hanno il nostro canale percettivo visivo e tattile su quello motorio nella gestione dello spazio nel quale ci muoviamo?
Anche con bambini piccoli si possono avviare giochi di movimento ad occhi bendati,
per esplorare il senso del tatto e la percezione dello spazio in assenza delle informazioni che provengono dal canale visivo8. A
queste esperienze è possibile affiancare un
lavoro di progettazione e costruzione di un
veicolo dotato di un sensore di contatto9
Percorsi di apprendimento
Quando la radiazione
colpisce un oggetto o un
materiale, in parte viene
riflessa/diffusa (a seconda della rugosità della superficie e dell’angolo di
incidenza), in parte viene
assorbita, in parte riesce
ad attraversare i materiali
(a seconda del tipo di materiale e del suo spessore).
Perché ci sia visione è necessario che i recettori (i
nostri occhi, il sensore
LEGO, ecc.) siano colpiti
dalla luce emessa dalla
sorgente o riflessa/diffusa dalla superficie di un
oggetto. Ma la visione
non si riduce alla misura
delle caratteristiche fisiche della radiazione che
colpisce i recettori; coinvolge anche un complesso processo di interpretazione dei dati raccolti da
cui traiamo conclusioni
su altre caratteristiche e
quantità fisiche (distanze
degli oggetti, forma, stato di moto o di quiete,
colore, ecc.).
12
Ogni oggetto ci appare di
un certo colore se illuminato da luce “bianca”
poiché diffonde solo parte della radiazione che lo
colpisce; la radiazione che
colpisce l’occhio è dunque in generale modificata in direzione, intensità e
caratteristiche cromatiche
rispetto alla radiazione incidente. La nostra sensazione di colore però non
ha una corrispondenza
biunivoca con le caratteristiche cromatiche dello
stimolo luminoso, così il
nostro occhio vede bianco un cartoncino “bianco” illuminato dalla luce
solare, ma anche un cartoncino “bianco” illuminato da tre fasci di luce
sovrapposti di colore rosso, verde e blu.
27
figura 2
Il sensore di luce.
TD27
Il robot “vede”?
Si può quindi passare ad esplorare il comportamento di un robot dotato di sensore
ottico. La LEGO, ad esempio, propone un
sensore ottico, un mattoncino 4x2 dotato,
su uno dei lati corti, di due “occhi”, all’apparenza uno rosso e l’altro scuro [vedi figura 2].
I due occhi sono diversi dai nostri in quanto l’occhio rosso è in realtà un emettitore di
luce, un LED, solo l’altro occhio è un ricevitore di luce, che è in grado di riconoscere
variazioni di luminosità e di fornire all’interfaccia del mattoncino programmabile un
valore numerico proporzionale all’intensità
della luce ricevuta. Quando il sensore riceve
luce sul display del mattoncino programmabile compare infatti un valore tra 0 e 100
che dà una misura in percentuale rispetto al
valore massimo misurabile (valore di saturazione). Poiché siamo familiari con situazioni con luce di intensità anche molto diversa
(luce solare piena, illuminazione artificiale,
ecc.) ma poco familiari con i numeri che
rappresentano la misura di queste intensità,
questa non corrispondenza del valore letto
col valore numerico dell’intensità luminosa
non costituisce in generale un problema.
L’uso più immediato e preciso che si può fare di questo sensore è l’individuazione di
sorgenti di luce e la progettazione di un robot mobile che viene attratto o respinto dalla luce. Si può ad esempio costruire un veicolo con due ruote, due motori, un sensore
di luce e programmarlo in modo che quando il sensore legge un valore superiore a 75
arresti entrambi i motori e fermi il robot o
ne inverta la marcia.
Vale la pena però di esplorare più a fondo le
caratteristiche di questo sensore e le eventuali analogie tra il senso visivo del robot e
la nostra percezione visiva11. Ci possiamo
ad esempio chiedere: il robot vede i colori?
Se poniamo il sensore di fronte a una superficie illuminata che contenga zone di colore bianco e zone di colore nero il sensore
riceverà una intensità di luce maggiore dal
bianco che dal nero12, e quindi sarà in un
certo senso capace di distinguerli. Si può ad
esempio far muovere su questa superficie
un veicolo con due ruote azionate ciascuna
da un motorino programmato in modo tale che tutte le volte che il sensore di luce re-
gistra un aumento di intensità luminosa
venga invertita la rotazione di uno dei due
motori fino a quando non venga registrata
una diminuzione. Si ottiene così un comportamento di fuga del veicolo dalla luce e
si riesce ad esempio a fare in modo che il robot segua una traccia nera su fondo bianco,
qualunque sia la forma della traccia.
Si può esplorare più a fondo la sensibilità
del robot al colore, ponendo il sensore collegato al mattoncino programmabile a piccola distanza da alcune superfici, ad esempio cartoncini della stessa rugosità superficiale, che ci appaiono diversamente colorati
se illuminati da luce bianca.
Si nota allora che affacciando il sensore a superfici bianche e rosse sul display compare
lo stesso valore; lo stesso avviene per superfici verde, blu e nera. Il robot sembrerebbe
dunque non distinguere il bianco dal rosso,
né il verde dal blu e dal nero.
Ma cosa “vede” in questo caso il robot? Bisogna considerare che a piccola distanza dal
cartoncino la luce emessa dall’occhio rosso
(il LED) colpisce la superficie e ne viene diffusa ritornando all’occhio-ricevitore. Il
bianco e il rosso diffondono tutta la luce
(rossa) che li colpisce, danno quindi entrambi la stessa risposta. Il verde, il blu e il
nero praticamente assorbono tutti la luce
rossa dando tutti la stessa risposta (un valore molto basso, ma non nullo per come si
comporta il circuito di misura).
Sarebbe interessante confrontare la risposta
del nostro occhio a situazioni analoghe in
cui in un ambiente oscurato si illuminino gli
stessi cartoncini con luce rossa. Si ottengono risultati sorprendenti trattandosi di condizioni di illuminazione per noi non usuali.
Si può partire da questi spunti per avviare
uno studio della percezione del colore e
confrontare i recettori che sono nei nostri
occhi con i sensori LEGO, la sensazione visiva che noi abbiamo e le reazioni che possiamo provocare nel robot dotato di sensore ottico, ci si renderà così conto che la visione è un fenomeno affascinante, molto
complesso, non riducibile alla pura registrazione dello stimolo luminoso.
numero 3-2002
che gli permettere di “sentire” quando incontra ostacoli e che si può programmare in
modo da farlo reagire (arretrare, curvare)
quando il sensore rileva la presenza di un
ostacolo10.
Percorsi di apprendimento
CONCLUSIONI
Non tutte le componenti del percorso sono
ugualmente efficaci ed importanti per aiutare la costruzione di conoscenza da parte dei
diversi allievi. Per alcuni è determinante la
parte sperimentale (osservativa, di progettazione, di realizzazione), per altri è fondamentale la discussione critica e l’interpretazione teorica; per alcuni è sufficiente lo studio di pochi casi, per altri è necessario un lavoro ripetuto; per alcuni (solitamente la fascia di allievi classificati tradizionalmente
come medio bassi) il lavoro con MBL risulta particolarmente stimolante e motivante,
ma a volte si riduce a pura esecuzione se
non viene sostenuto da stimoli ad analisi critica e a confronto tra i diversi casi, per altri
(solitamente la fascia di allievi classificati tradizionalmente come medio alti) il lavoro
con MBL resta più scontato se non viene affiancato da una elaborazione che arrivi a livelli anche impegnativi di generalizzazione
e formalizzazione; la fase di progettazione e
realizzazione di oggetti sia a bassa che ad alta tecnologia risulta in generale stimolante e
gratificante.
Per tutti risulta importante proporre accanto a un lavoro di osservazione e manipolazione sul piano sperimentale, un lavoro sul
piano della descrizione e della rappresentazione, a molti livelli e con diversi linguaggi,
sottolineando di ciascuno peculiarità e limi-
ti, evidenziando la necessità di confrontarli,
differenziarli e integrarli tra loro e con i fatti che rappresentano, legandoli alle interpretazioni che si danno sia di fatti singoli
che di classi di fenomeni.
Il percorso che abbiamo delineato deve essere inteso come emblematico di un modo
di lavorare con i bambini e i ragazzi, per più
anni, in modo coerente con l’evoluzione
guidata della conoscenza degli allievi da forme iniziali di pensiero spontaneo e automatico a forme più consapevoli e vicine a quelle disciplinari.
Un sapere che gli alunni sappiano ricostruire, comunicare ad altri, applicare in contesti
appropriati, trasferire a contesti analoghi; un
sapere che lasci in loro una traccia, una impronta anche quando avranno dimenticato
le nozioni o i dettagli tecnici; un sapere che
li renda consapevoli che tanto i contenuti e i
procedimenti scientifici come gli oggetti
tecnologici onnipresenti nella loro vita possono essere inventati, progettati, compresi,
utilizzati con consapevolezza e piacere.
RINGRAZIAMENTI
Ringrazio in particolare Augusto Chioccariello per i fondamentali suggerimenti che
mi ha fornito sia durante la realizzazione
dell’unità di lavoro “Costruisci un esperimento” del progetto SeT sia per la stesura
del presente lavoro.
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Il laboratorio di robotica
Il laboratorio di robotica
Un modello per l’innovazione didattica
nell’educazione scientifico-tecnologica
■ Roberto Didoni, Istituto Regionale di Ricerca Educativa - Lombardia
[email protected]
Mentre per la nostra generazione giocare
con i robot è stato un esercizio di fantasia,
legato ai libri di fantascienza di autori come
Asimov, per i nostri figli i robot sono diventati molto più concreti: giocattoli come i
peluche cibernetici alla Furby, gli animali
domestici alla AIBO o le nuove bambole
robotiche alla My Real Baby.
Questi robot domestici, anche se dipendono per la loro crescita e benessere dalle cure
di un umano, tuttavia sono dotati di una loro autonomia e violano la seconda legge
della robotica di Asimov. Obbediscono,
però, agli ordini dei loro costruttori che
creano le regole del gioco e che sono opache per i consumatori. Si può giocare seconde le regole, ma non con le regole del
gioco.
Se nell’epoca della robotica industriale era
ragionevole considerare determinate conoscenze come specialistiche e riservarle ad indirizzi e percorsi di formazione particolari,
nell’era della robotica “domestica” è neces-
29
TD27
L’educazione al metodo scientifico nella
scuola spesso si limita alla riproduzione di
esperimenti storicamente rilevanti, secondo
una logica che fa prevalere la trasmissione di
conoscenze consolidate sulla loro (ri)costruzione da parte dei soggetti che devono
apprenderle.
Questa logica può essere ribaltata adottando una prospettiva costruzionista per la
quale l’apprendimento è il risultato di una
relazione tra le idee e la costruzione di oggetti ad esse correlate, da un lato, e il confronto con gli altri che ne promuove la condivisione, dall’altro.
In questa prospettiva, l’uso di kit robotici
rappresenta un elemento di novità in quanto permette di creare le condizioni per realizzare attività di laboratorio sperimentale in
cui gli aspetti di invenzione (l’apporto personale) e riproduzione (la ricostruzione del sapere accumulato) siano nel giusto equilibrio.
Se poi a questa proposta educativa di scuola si aggiungono attività extra-scolastiche
come competizioni di robot, si crea una sinergia tra studio e gioco, tra competizione
e cooperazione che favorisce un apprendimento motivato.
L’INNOVAZIONE: UN INTRECCIO
DI CONTENUTI E METODI
«Le tre leggi della robotica
1. Un robot non può recar danno a un essere umano ne può permettere che, a causa del proprio mancato intervento, un essere umano riceva danno.
2. Un robot deve obbedire agli ordini impartiti dagli esseri umani, purché tali ordini non contravvengano alla Prima legge.
3. Un robot deve proteggere la propria esistenza, purché questa autodifesa non contrasti con la Prima e con la Seconda legge.»
[Asimov, 1973]
numero 3-2002
«Uno dei miei punti fermi centrali è che
la costruzione che ha luogo ‘nella testa’
spesso si verifica in modo particolarmente
felice quando supportata dalla costruzione di qualcosa di molto più concreto: un
castello di sabbia, una torta, una casa di
Lego o una società, un programma per
computer, una poesia, o una teoria dell’universo.»
[Papert, 1994]
Il laboratorio di robotica
1
Ad un livello più pedagogico, la stessa contrapposizione può essere rappresentata dalla dicotomia tra istruzionismo, inteso come modalità che
fa prevalere le ragioni
dell’insegnare, e costruttivismo, dove al contrario
sono considerate rilevanti le ragioni (e le emozioni) del soggetto che apprende.
2
Scrive Howard Gardner
(1993): “… anche gli
studenti meglio preparati
e dotati di tutti i carismi
del successo scolastico –
regolare frequenza di
scuole valide, valutazioni
molto elevate, buoni
punteggi nei test e riconoscimenti da parte degli
insegnanti – solitamente
non mostrano affatto una
comprensione adeguata
dei contenuti e dei concetti con cui lavorano”.
3
30
Il laboratorio di robotica
non va confuso con il laboratorio di informatica
in quanto in quest’ultimo in genere è prevalente, se non esclusivo, il
tempo di interazione con
i bit.
4
Un catalogo americano
scaricabile dalla rete
(http://www.robotstore.
com) ne riporta almeno
un centinaio.
TD27
numero 3-2002
5
Progetto SeT - Documento di base, allegato A
della circolare ministeriale
n. 270 del 12/11/99,
pag. 4, reperibile all’indirizzo
http://www.indire.it/set
/area4_progetto/normativa
/cm270_99a.rtf
sario che almeno una parte di queste conoscenze entrino a far parte di quel sapere di
base che cerca di dare a tutti gli strumenti
per comprendere e orientarsi nella vita quotidiana. E anche il sistema scolastico necessita di una periodica revisione e ristrutturazione del sapere che va proponendo.
A questa prima motivata ragione per introdurre la robotica a scuola, più legata alla selezione del sapere, se ne aggiunge una seconda, più di ordine metodologico, che
può essere rappresentata dalla contrapposizione tra didattica d’aula e didattica di laboratorio1.
A favore del primo termine, la didattica
d’aula, c’è soprattutto l’esigenza di garantire che una quantità predefinita di conoscenze venga assimilata dagli studenti entro vincoli temporali dati (la programmazione per
obiettivi, ad esempio, è una tipica risposta a
questa esigenza).
Questa finalità, che appare ragionevole e
condivisibile, a sua volta però deve fare i
conti con risultati spesso deludenti: la sequenza lezione-esercitazione tende a produrre una conoscenza superficiale. Sequenze
di informazioni che calano dall’alto non
hanno tempo di sedimentarsi, di interagire
con le conoscenze del soggetto che apprende, di essere oggetto di dialogo e confronto
tra punti di vista diversi, di concretizzarsi in
esperienze significative e inevitabilmente
scivolano via “come acqua sulla pietra”.
Al contrario, la modalità laboratorio cerca
di promuovere una partecipazione motivata
del soggetto al proprio processo di apprendimento, di creare un rapporto attivo con la
realtà e collaborativo con i compagni, per
promuovere una comprensione profonda2.
Questa seconda motivata ragione per occuparsi di robotica si concretizza nella possibilità di creare le condizioni di un apprendimento che sia attivo e costruttivo, contestuale e problematico, conversazionale e collaborativo, intenzionale e riflessivo, tratti e caratteri tipici, al di là delle differenze tra scuole
di pensiero, del paradigma costruttivista,
emerso con forza negli ultimi anni.
IL LABORATORIO DI ROBOTICA:
ORGANIZZAZIONE E STRUMENTI
«A volte penso che mi lascerei rinchiudere
dieci tese sotterra, dove non penetrasse un
filo di luce, purché in cambio potessi scoprire di che cosa la luce è fatta.»
[Brecht, 1963]
Per molte e diverse ragioni, l’organizzazione di un laboratorio di robotica a scuola
non può essere vista come la scelta personale di un insegnante (anche se questo può essere un legittimo punto di partenza), ma
come un consapevole impegno dell’istituzione ad offrire alla propria utenza una situazione di apprendimento ritenuta particolarmente valida ed efficace. Infatti, questo impegno si sostanzia in un investimento
che va nella direzione di attrezzare uno spazio adeguato.
È utile qui ricorrere al concetto di interfaccia: così come l’interfaccia di un software
rende possibile e condiziona l’interazione
tra utente e programma, i laboratori possono essere visti come interfacce che creano e
condizionano le interazione tra utenti e ambiente e/o tra utilizzatori e strumenti.
Una prima caratteristica del laboratorio di
robotica è di essere un’interfaccia con il
mondo degli atomi: da ciò discende che lo
spazio di lavoro deve essere adeguato e funzionale alla manipolazione di oggetti. Una
possibile soluzione è di attrezzarlo con un
adeguato numero di grandi tavoli attorno ai
quali prendono posto piccoli gruppi di studenti che hanno così a disposizione una ampia e comoda superficie di lavoro.
Un secondo carattere del laboratorio di robotica è di essere anche un’interfaccia con il
mondo dei bit: da qui la necessità che lo spazio di lavoro sia attrezzato anche con computer, pochi e posti magari ai margini dei tavoli, o comunque in modo da non limitare
lo spazio necessario per interagire con gli
oggetti3.
Per quanto riguarda la strumentazione,
l’offerta sul mercato di kit per la costruzione di robot è ampia4. Tuttavia, i materiali
utilizzati nelle esperienze a cui faccio riferimento sono esclusivamente costituiti da kit
LEGO, per almeno due ragioni: una più
pratica, la facilità d’acquisto; l’altra più sostanziale, le caratteristiche del prodotto.
I kit LEGO sono distribuiti in Italia e quindi facilmente acquistabili. Altri kit di costruzione robotica, invece, andrebbero comprati in rete o ordinati all’estero e questo fatto,
in genere, per le scuole costituisce una complicazione non facilmente superabile.
Per quanto riguarda le caratteristiche del
prodotto, quelli LEGO sono, come tutti i
prodotti LEGO, kit di costruzione che utilizzano elementi modulari: partendo da un
insieme limitato di elementi base si possono
realizzare strutture complesse di vario tipo e
natura. Modularità significa versatilità.
Al contrario, i kit di costruzione robotica reperibili in rete sono in genere kit per la costruzione di una determinata struttura che,
Volendo individuare un modello di attività
di laboratorio, ma con tutte le precauzioni
Prima fase
Metodologia
Esplorare (2 ore)
• L’insegnante stimola una
Discussione guidata
discussione aperta e libera,
ponendo domande e utilizzando
immagini per esplorare
preconoscenze degli studenti
Seconda fase
Metodologia
Conoscere/Costruire (3 ore)
• L’insegnante presenta alcuni
Lezione guidata
disegni di Leonardo chiedendo
agli alunni di estrapolare
Attività in piccolo gruppo
ingranaggi e realizzarli
con scheda guida
con materiale LEGO
• L’insegnante propone di
Attività di gruppo
documentare il lavoro svolto
per verificare i risultati ottenuti
Terza fase
Metodologia
Progettare/Problem solving
• L’insegnante propone attività
• L’insegnante chiede di
di progettazione e/o
realizzare un animale
risoluzione di problemi
fantastico che presenti il
maggior numero di movimenti
• L’insegnante chiede
agli alunni di ricostruire un
meccanismo contenuto
all’interno di una scatola
di cui siano visibili solo
l’elemento iniziale e finale
del gruppo meccanico
Quarta fase
Metodologia
Documentare
• L’insegnante propone di
Discussione guidata
realizzare una mostra per
Attività di gruppo
documentare l’attività svolta
Contenuti
Materiali di lavoro
Il laboratorio di robotica
figura 1
Esempio di schema organizzativo per la programmazione delle attività di lavoro utilizzato
dal progetto “Costruiamo un robot”.
Prodotto/i
Esplorazione preconoscenze • Domande guida
su ingranaggi e meccanismi, • Immagini di macchine,
Leonardo e le macchine
ingranaggi e meccanismi
Cartellone con i risultati
della discussione
Contenuti
Materiale di lavoro
Prodotto/i
Vite senza fine
Maglio meccanico
Ruota a camme
Glifo
Trasformazione moto
rotatorio in rettilineo
Cremagliera
ecc.
• Immagini gru di Leonardo
Modelli LEGO delle
macchine di Leonardo
Contenuti
• Schede di lavoro
• Materiale per cartelloni, ecc. Cartellone riassuntivo sul
funzionamento delle
macchine di Leonardo
Materiale di lavoro
Prodotto/i
Come sopra
• Scatola ingranaggi
• Kit LEGO Technic o
LEGO MindStorms
Animali fantastici
Modelli di meccanismi
Contenuti
Materiale di lavoro
Prodotto/i
Come sopra
• Documentazione in formato Mostra dei prodotti
cartaceo o elettronico
realizzati
(schemi, disegni, testi,
riprese video/foto digitali)
31
TD27
IL LABORATORIO DI ROBOTICA:
STRUTTURA E MODULARITA
“Un buon insegnamento scientifico-tecnologico non può che basarsi sulla continua
interazione fra elaborazione delle conoscenze e attività pratico-sperimentali. Nella pratica scolastica spesso accade che, da
un lato, gli specifici processi cognitivi della
scienza e della tecnologia non abbiano spazio o siano ridotti a nozioni, e, dall’altro,
la pratica sperimentale sia spesso banalizzata, quando non manca del tutto.”
[dal documento di base del progetto SeT5]
del caso perché tante e diverse possono essere le modalità di realizzazione e i contesti
di applicazione, possiamo identificare un
percorso articolato in quattro fasi [vedi figura 1]:
1. una prima fase rivolta ad esplicitare preconoscenze ed aspettative degli studenti
(una didattica costruttivista sottintende
che la mente dei ragazzi non è un foglio
bianco);
2. una seconda (se necessario) più “istruzionista”, di apprendimento guidato (non
tutto può o deve sempre essere scoperto,
contrattato, costruito, a volte la trasmissione può essere oltreché più rapida anche più efficace);
3. una terza di progettazione autonoma
e/o di individuazione e risoluzione di un
problema da parte del gruppo (è questa
la fase più costruttivista, dove l’interazio-
numero 3-2002
una volta assemblata, non può più essere decostruita e ri-costruita. Questo limita fortemente le possibili esperienze di costruzione.
Il laboratorio di robotica
6
Il progetto “Costruiamo un
robot” è stato realizzato nell’ambito del bando del
MIUR “Materiali per SeT”
e ha visto la partecipazione
di otto scuole lombarde insieme ad alcune università e
centri di ricerca. Per una documentazione approfondita
rimando al sito,
http://www5.indire.it:808
0/set/microrobotica/
7
Murray Gell-Mann è stato
premio Nobel per la fisica
nel 1969 grazie alla scoperta
dei quark.
8
Se è vero che scienza e tecnologia hanno finalità e metodi in parte distinti, è anche
vero che nel mondo di oggi
è sempre più difficile stabilire
confini netti e precisi. Questa
situazione giustificherebbe
per il mondo scolastico la
scelta di considerare l’educazione scientifico-tecnologica
come un’area, cioè come un
ambito allo sviluppo del quale possono contribuire saperi
e figure anche diverse ma in
una prospettiva di forte integrazione.
9
Nella rassegna faccio sempre
riferimento alle attività elaborate nell’ambito del progetto “Costruiamo un robot”.
10
32
Un approccio che parta dagli aspetti più tecnici (come
è fatto, come funziona) sembra più naturale, e logicamente antecedente, rispetto
ad un’esplorazione delle leggi fisiche che ne governano il
funzionamento. In questo
senso si può stabilire un forte legame tra l’attività su ingranaggi e meccanismi e una
successiva indagine sui concetti fisici implicati (come
forza, attrito, ecc.) .
TD27
numero 3-2002
11
Interagendo con l’ambiente, e anche tra di loro, i robot possono trovarsi nella
condizione di rilevare ed elaborare in parallelo informazioni provenienti da fonti diverse (per esempio, un sensore di luce e un sensore di
contatto).
ne tra persone e tra soggetti e oggetti
evolve da esperienza in conoscenza);
4. e una quarta, infine, di metacognizione,
nella quale gli studenti sono invitati a riflettere sul loro operato, magari con l’obiettivo di presentarlo ad altri (è questa la
fase più orientata alla sedimentazione
delle conoscenze, attraverso la loro esplicitazione e ri-organizzazione).
Esemplifico questi quattro punti facendo riferimento all’attività “Ingranaggi e meccanismi” elaborata all’interno del progetto
“Costruiamo un robot”6.
Nella prima fase, l’insegnante utilizza la tecnica del brainstorming per stimolare un’esplorazione del campo e far emergere quello che gli studenti sanno e/o pensano sul
tema trattato. Lo scopo è quello di arrivare
ad un sapere, anche minimo, ma condiviso
che accenda curiosità ed interesse per le successive attività [vedi la fase 1 in figura 1].
Nella seconda fase, più esecutiva, di istruzione se vogliamo, gli studenti sono come
apprendisti guidati nell’acquisizione di conoscenze e/o operazioni che dovrebbero
metterli in grado di diventare in seguito più
autonomi. In questa fase l’insegnante utilizza spiegazioni frontali ed esercitazioni guidate appositamente predisposte [vedi la fase
2 in figura 1].
Lo scopo della terza fase potrebbe essere
sintetizzato dal motto “mettiamoci alla prova”: dopo aver esplorato determinate conoscenze e informazioni ora si tratta di usarle,
applicarle nella realizzazione di qualcosa
e/o nella risoluzione di un problema. In
questo modo le conoscenze vengono praticate, verificate, arricchite e rese più solide:
tipico di questa fase è l’individuazione di un
problema da risolvere attraverso la realizzazione di un progetto [vedi la fase 3 in figura 1].
Con la ricostruzione dell’esperienza fatta,
infine, si arriva alla quarta fase che ha lo scopo di sistematizzare e fissare le conoscenze
acquisite. Per questa fase può essere utile
chiedere agli studenti di tenere un diario di
bordo, utilizzabile anche per promuovere
modalità di (auto)valutazione tipo portfolio
[vedi la fase 4 in figura 1].
IL LABORATORIO DI ROBOTICA:
CONTENUTI E PERCORSI
«… il corso di fisica che avevo seguito al liceo era stato il più noioso in assoluto, e …
l’unica materia in cui ero andato male
era proprio la fisica. Avevo dovuto imparare a memoria cose come i sette tipi di
macchine semplici: la leva, la vite, il pia-
no inclinato e via dicendo. Altrettanto
deludente era stato lo studio della meccanica, calore, suono, luce, elettricità e magnetismo, presentati senza il minimo accenno a qualche connessione tra questi argomenti.»
[Gell-Mann, 1996]7
Quali conoscenze, oggetti del sapere, possono essere efficacemente proposte nell’ambito di un laboratorio di robotica? Prima di
esplorare questo punto, una premessa metodologica. Nella pratica diffusa della scuola italiana, il rischio che attività e contenuti
proposti in attività di laboratorio siano
estranei e separati da quelli erogati in aula
(sia dallo stesso docente, ma soprattutto dagli altri) è grande (oltreché devastante). Al
contrario, l’integrazione tra questi due momenti può assicurare il massimo di efficacia
all’attività di insegnamento.
Quello della robotica, in particolare, è un
ambito dove è indispensabile un approccio
multi (o inter o pluri) disciplinare, determinato anche dalla funzionalità dei risultati e
dalla concretezza delle prestazioni richieste:
due fattori particolarmente importanti per
una scuola che voglia dare concretezza alla
scelta di un’area scientifico-tecnologica, dove studiare il perché, una prospettiva più
scientifica, risulti un’attività strettamente
integrata con studiare il come, un’ottica più
tecnica o tecnologica8.
Ed ecco una sommaria rassegna di alcuni
possibili contenuti9.
• Ingranaggi e meccanismi: è possibile
esplorare questo ambito del sapere di tipo
più tecnico, ma caratterizzato da una
profonda dimensione storica (si pensi, per
esempio, alle macchine di Leonardo da
Vinci) e onnipresente negli oggetti della
nostra vita quotidiana10.
• Programmare un robot: è possibile un approccio alla programmazione utilizzando
ambienti che, adottando una metafora di
programmazione visiva, privilegiano semplicità e facilità d’uso, ma anche rendono
possibile una programmazione concorrente e per eventi che supera la logica, decisamente astratta e virtuale, di una programmazione rigidamente lineare-sequenziale11.
• Costruire un esperimento: è questa, invece,
una possibilità che introduce alla scoperta
e comprensione del metodo scientifico. Si
possono progettare e realizzare semplici
esperimenti che implicano la raccolta e
l’analisi di serie di dati12.
• Il feedback: è praticabile un approccio pra-
Il laboratorio di robotica
COSTRUIAMO UN ROBOT
schematizzazione dei percorsi
Costruiamo
un esperimento
Ingranaggi e
meccanismi
Feedback
Programmiamo
un robot
Gara di robot
Comportamento
emergente
PROGETTARE E REALIZZARE
GARE DI ROBOT
Non è secondario in tutto il discorso fin qui
svolto che accanto ad attività scolastiche come quelle sopra delineate, esista una pratica,
piuttosto diffusa a livello mondiale, di organizzazione di gare di robot alle quali possono partecipare anche studenti con i loro artefatti.
Questa possibilità, al di la dell’aspetto motivazionale che la accomuna a tutte le forme
e modalità di “uscita dalla scuola” (in senso
reale e metaforico), è particolarmente interessante per realizzare un modello di apprendimento innovativo basato sul concetto di comunità e sulla sinergia cooperazione-competizione.
Infatti, la partecipazione ad una gara di robot può essere vissuta come semplice uscita
sul campo (dopo aver realizzato a scuola
un’attività di preparazione si affronta la gara), ma può anche essere proposta e realizzata con una forte integrazione tra il dentro
e il fuori, promuovendo una comunità di attori che, legati da un compito-evento nel
quale saranno in competizione, si preparano
ad esso in modo cooperativo.
Il punto critico in questo modello non è
tanto l’ambiente telematico più o meno sofisticato che costituisce lo strumento di comunicazione tra i soggetti impegnati nel
compito, quanto la proposta e la modalità
di lavoro. Ogni gruppo di studenti impe-
figura 2
Esempio di percorso per il
laboratorio di robotica.
12
Per una trattazione più
estesa di questo argomento vedi gli articoli di
Resnick et al (2002) e di
Giordano (2002) in questo numero.
13
In senso stretto si parla di
comportamento emergente quando si rileva un
comportamento che non
è stato esplicitamente
programmato ma “emerge” dall’interazione tra
gli attori del fenomeno in
questione.
Realizzare
esperienze di questo tipo
con kit di robotica è possibile ma non facile. Una
possibilità alternativa è
ispirarsi ai veicoli di Braitemberg (1984), dove in
un senso più ampio si
può parlare di comportamento emergente quando un automa esibisce un
comportamento interpretabile con una categoria più complessa ma che
in realtà è prodotto da regole di livello più elementare. È in questo secondo senso che il concetto è più accessibile con
semplici esperienze di robotica.
33
14
Ma anche attività di secondo livello, come feedback e comportamento
emergente, potrebbero
svolgere questa funzione.
TD27
zati sensori ed attuatori.
Ad un terzo livello viene individuata un’attività che raccoglie, condensa, utilizza tutte
le conoscenze e competenze maturate, impegnandole nella realizzazione di un progetto il più possibile autonomo. In questa
direzione si potrebbe collocare la proposta
di Progettare e realizzare gare di robot14.
numero 3-2002
tico-intuitivo (formalizzabile nel corso
dell’attività) a questo importante concetto scientifico. Derivato dalla cibernetica
del primo ordine, il concetto di feedback
ha un ambito di applicazione ampio e trasversale che spazia dal naturale all’artificiale. Questa caratteristica induce a considerarlo, nell’ambito del sapere tecnicoscientifico, come una conoscenza fondamentale.
• Il comportamento emergente: anche in
questo caso è possibile un approccio pratico-intuitivo. Il concetto di comportamento emergente, derivato dalla cibernetica del secondo ordine, è una conoscenza indispensabile per la comprensione di
tutta quella più recente conoscenza scientifica che ruota attorno alle teorie della
complessità13.
È possibile in questo insieme ricco ma vario
di oggetti del sapere individuare un percorso ideale per la programmazione di un laboratorio di robotica a scuola? Precisato che
sono possibili e legittimi diversi e differenti
percorsi, ne propongo uno cercando di darne una giustificazione [vedi figura 2].
Ad un primo livello si possono individuare
due attività che concorrono a formare le
competenze minime e a fornire le conoscenze di base per costruire un robot:
• Ingranaggi e meccanismi, che fornisce un
apporto indispensabile per tutti gli aspetti
e problemi di tipo meccanico (primo elemento, insieme alle problematiche sulla
realizzazione di strutture, costituente della robotica).
• Programmare un robot, che fornisce le
competenze e le conoscenze per il controllo dell’automa (secondo elemento indispensabile per la costruzione di automi).
Una variante più approfondita di questo
percorso di base potrebbe arrivare a comprendere un’attività sul Feedback, dove vengono esplorati e utilizzati sensori ed attuatori (terzo elemento portante della robotica).
Ad un secondo livello vengono individuate
tre attività di approfondimento (che diventano due se si segue la seconda variante del
percorso base):
• Costruire un esperimento, che propone
un’esplorazione sistematica dei sensori e
può essere vista come un approfondimento dell’attività sul feedback.
• Comportamento emergente, che è possibile considerare un approfondimento dell’attività di programmazione.
• Feedback, dove vengono esplorati e utiliz-
Il laboratorio di robotica
gnato nella realizzazione del proprio automa, e quindi ad affrontare e risolvere i problemi che il compito posto dalla gara richiede, deve incorporare nella propria attività
anche la produzione di una documentazione, periodica ma sistematica, leggera ma
esplicativa, sul proprio operato (“Oggi io e
Giorgio abbiamo provato a …”).
È la messa in comune di questa documentazione, realizzata appunto con un qualche sistema di condivisione on-line, che crea, da
un lato, l’interesse ad andare a vedere cosa
hanno fatto gli altri (scoprendo soluzioni e
possibilità nuove o ricevendo rinforzo sul
proprio operato) e, dall’altro, una maggior
consapevolezza di quanto si sta facendo (riflettendo appunto sul proprio operato per
comunicarlo ad altri). Si ottiene, così, il valore aggiunto di un apprendimento cooperativo (auspicabile, ma non spontaneamente riproducibile) dentro un evento competitivo (la gara appunto), dove è giusto, poi,
che vinca il migliore.
RINGRAZIAMENTI
Buona parte dei contenuti del presente articolo è frutto di elaborazione collettiva da
parte del gruppo che ha realizzato il pro-
getto “Costruiamo un robot”, e anche, in
alcuni casi, di contributi personali da parte
di singoli componenti del gruppo. Ritengo
comunque doveroso ringraziare e nominare
tutti coloro che hanno reso possibile la realizzazione del progetto: Augusto Chioccariello, Luigi Sarti e Stefania Manca del
C.N.R., Istituto per le Tecnologie Didattiche di Genova; Andrea Bonarini, Dipartimento di Elettronica e Informazione del
Politecnico di Milano; Enrica Giordano,
Dipartimento di Epistemologia ed Ermeneutica della Formazione dell’Università
degli Studi di Milano Bicocca; Salvatore Sutera, Claudio Giorgione e Giovanni Crupi
del Museo Nazionale della Scienza e della
Tecnologia “Leonardo da Vinci” di Milano;
Giuseppe Di Benedetto della SMS “Manzoni-Benzi” di Bresso (MI); Paolo Molena
dell’IC “Q. Di Vona” di Milano; Maura
Geri dell’IC “E. Fermi” di Lainate (MI);
Patrizia Poletti dell’IC “Iqbal Masih” di
Pioltello (MI); Rosa Ritucci della SMS “Allende-Croci” di Paderno Dugnano (MI);
Corrado Vitto della SMS “U. Foscolo” di
Brescia; Giuseppe Romaniello dell’IC “Rinascita-Livi” di Milano; Cesare D’Angelo
dell’IC di Gambolò (PV).
34
TD27
numero 3-2002
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a cura di Maura Geri, docente di Educazione Tecnica presso l’Istituto Comprensivo di Lainate, Milano
1. La sfida
La sfida [fig. 1] consiste nel costruire un robot che riesca ad
uscire nel più breve tempo possibile da un labirinto in cui sono
presenti alcuni ostacoli. La proposta viene accolta con entusiasmo dai ragazzi che si dividono
in gruppi per risolvere il problema.
figura 1
figura 2
ruote dentate che si incastrano
nel polistirolo e i cingoli che appaiono più lenti. Viene individuata una soluzione che sembra promettente: due coppie di
ruote grandi che sembrano facilitare al robot il superamento
delle curve.
2. Studio del percorso
Lo studio del percorso [fig. 2]
fornisce alcune prime indicazione per la scelta del robot da costruire. Si passa quindi a visionare alcune schede di montaggio per scegliere gli elementi
che faranno parte dell’automa.
4. Programmazione
Parallelamente alla costruzione
del robot si sviluppa il programma [fig. 4] utilizzando il linguaggio “RCX code”. Il comportamento del robot viene testato sul campo e si torna più
volte ad effettuare modifiche sia
hardware che software per migliorare le prestazioni del robot.
3. Costruzione e
sperimentazione
Una volta costruito un prototipo
[fig. 3], si effettuano le prove di
percorso per individuare le ruote più idonee al superamento
dei vari ostacoli (palline di polistirolo, matite, palline da tennis). Si arriva così a scartare le
5. La gara
Durante la gara [fig. 5] si confrontano soluzioni diverse che
gruppi diversi di ragazzi hanno
messo a punto. Si scopre così
che possono esistere molte soluzioni ad uno stesso problema
ma alcune sono più accettabili
di altre.
Il laboratorio di robotica
La partecipazione ad una gara di robotica: schematizzazione del percorso didattico
35
figura 5
TD27
figura 4
numero 3-2002
figura 3
Costruire e programmare robot
Costruire e
programmare robot
Un’esperienza pilota di valutazione delle abilità cognitive coinvolte nel
processo di costruzione e programmazione comportamentale di robot
■ Barbara Caci, Antonella D’Amico, Maurizio Cardaci
Dipartimento di Psicologia, Università degli Studi di Palermo
{bcaci, adamico, cardaci}@unipa.it
36
TD27
numero 3-2002
1
I Khepera sono piccoli
robot mobili, programmabili in linguaggio C,
con otto sensori sensibili
agli infrarossi e alla luce e
due motori indipendenti.
INTRODUZIONE
Negli scenari riguardanti le nuove tecnologie didattiche sta progressivamente acquistando un posto di rilievo la robotica educativa. Tale termine designa una varietà di
esperienze formative, ispirate ai principi teorico-metodologici del costruttivismo [Piaget e Inhelder, 1966; Papert, 1980, 1986;
Resnick et al, 1988] e della embodied cognition [Clark, 1997], e basate sull’impiego di
Robotic Construction Kit come strumenti
di apprendimento. I Robotic Construction
Kit sono scatole commerciali (Fischertechnik® Mobile Robots, LEGO® RoboLab™,
LEGO® MINDSTORMS™, ecc.) che consentono di costruire e programmare organismi artificiali, caratterizzati da un apparato
senso-motorio e da un cervello capaci di eseguire svariati repertori comportamentali nell’ambiente [Miglino et al, 1999]. Gli elementi hardware e software di tali kit trasferiscono la cognizione in artefatti concreti, offrendo ai soggetti, nella fase di progettazione ed implementazione del robot, la possibilità di generare veri e propri “modelli mentali incorporati” o di usare “oggetti-con-cuipensare” (object-to-think-with) [Papert,
1980, 1986]. In altre parole, i Robotic Construction Kit favoriscono la messa in atto di
una sorta di costruttivismo “pratico”, nel
quale la risoluzione di problemi, legata all’obiettivo di assicurare l’adattamento all’ambiente da parte del robot, si intreccia con
l’apprendimento di concetti scientifici, sostenuto da “impalcature” reali (scaffolding)
[Vygotsky, 1962]. L’efficacia dei Robotic
Construction Kit nella didattica è stata dimostrata attraverso esperienze di robotica
educativa condotte in istituti universitari
[Martin, 1992, 1994; Lund, 1999] e scolastici [Järvinen, 1998]. Tali esperienze hanno
utilizzato situazioni del tipo hands-on [Resnick, 1988, 1989, 1994; Kafai e Resnick,
1996] nelle quali il soggetto, lavorando in
assoluta autonomia, si trova ad affrontare un
preciso compito di problem-solving. Una delle prime esperienze hands-on di robotica
educativa con kit LEGO si deve a Martin
(1992, 1994). Piccoli gruppi di studenti
universitari di ingegneria ed informatica dovevano costruire e programmare un agente
intelligente, capace di compiere un percorso
e di evitare alcuni ostacoli. L’interesse per
l’uso didattico dei Robotic Construction Kit
nel processo d’acquisizione di concetti legati all’intelligenza e alla vita artificiale è confermato dalle ricerche di Lund (1999) basate sui robot Khepera1. Per ciò che concerne
l’ambito scolastico, Järvinen (1998) ha utilizzato con successo l’ambiente di apprendimento LEGO/Logo come strumento didattico e cooperativo con gruppi di bambini
di 11-12 anni. In particolare, la sua esperienza si avvaleva di robot per favorire l’apprendimento di nozioni tecnico-matematiche (frizione, rapporti di trasmissione, sistema decimale, e così via).
OBIETTIVI DELLA RICERCA
I contributi menzionati sopra dimostrano, a
vario titolo, l’efficacia della robotica in situazioni didattiche, ma non forniscono indicazioni specifiche sulle abilità cognitive
che entrano in gioco quando si programma
e costruisce un robot. Tenuto conto che si
tratta di dare forma a un corpo e, al con-
Valutazione del profilo cognitivo
Sono state esaminate individualmente le seguenti abilità cognitive:
- Intelligenza logico-percettiva (Matrici
Progressive Colorate);
- Abilità visuo-costruttive (Reattivo della
Figura Complessa su Copia);
GRUPPO 1
GRUPPO 2
PM 47
%
REY
%
SAVIO
CC %
SAVIO
RP %
SAVIO
RD %
MEDIA
%
A. C
92
92
62
100
50
79
F. G.
94
87
50
62
62
71
G. T.
94
79
37
100
87
79
M. C.
83
89
75
62
62
74
S. M.
89
75
62
100
75
80
C. A.
A. E.
A. M
F. S.
81
94
83
92
89
86
74
93
37
87
25
37
75
75
50
62
50
75
37
25
66
83
54
62
Media
G1 77%
Costruire e programmare robot
37
tabella 1
Percentuali di risposte
corrette ai test cognitivi.
Media
G2 66%
TD27
METODO
Hanno partecipato alla ricerca dieci allievi
(età media 11 anni), selezionati mediante
sorteggio dalle classi seconde della Scuola
Media maschile “Altavilla” di Palermo.
L’intero gruppo è stato quindi suddiviso casualmente in due sottogruppi, composti
ognuno da cinque soggetti. In realtà, solo
nove ragazzi hanno preso parte all’esperienza (uno ha preferito non partecipare dichiarando la propria difficoltà a “lavorare in
gruppo”). L’esperienza si è svolta nel corso
di 12 incontri (ciascuno di un’ora e mezzo),
realizzati con cadenza bisettimanale (tra
Aprile e Maggio 2002) e articolati in tre fasi principali: 1) valutazione del profilo cognitivo di ciascun soggetto; 2) costruzione
del robot; 3) programmazione comportamentale del robot.
- Intelligenza logico-operatoria (S.A.V.I.O.,
Sistema Automatizzato di Valutazione dell’Intelligenza Operatoria).
La prova delle Matrici Progressive Colorate
(PM47) di Raven (1947) è un test “culture
free”, diffusamente utilizzato, che consente
di valutare il funzionamento intellettivo mediante una serie di compiti non verbali. Il soggetto deve completare un disegno scegliendo
la tessera giusta tra sei alternative proposte.
Alcune prove prevedono che l’identificazione
della tessera mancante avvenga attraverso l’utilizzo di competenze percettive (ad esempio,
forma e colore), altri invece richiedono di individuare la tessera corretta secondo criteri logici. Al bambino vengono proposte 36 schede; il punteggio grezzo massimo è uguale a
36 ed il minimo è uguale a 0. Ai nostri fini,
per ogni soggetto abbiamo calcolato la percentuale di risposte corrette.
Il noto Reattivo della Figura Complessa su
Copia di Rey (1968) consiste nella presentazione di una figura geometrica complessa,
con la consegna di riprodurla su un foglio
bianco non rigato. La prova viene valutata
assegnando un punteggio da 1 a 36 a seconda che la figura riprodotta contenga tutti gli elementi della figura originaria e che
questi siano collocati nell’adeguata posizione spaziale. Anche in questo caso, è stata
calcolata la percentuale di risposte corrette
di ogni soggetto.
S.A.V.I.O. [D’Amico et al, 2001] è un sistema implementato su supporto informatico
per la valutazione delle abilità logico-operatorie in pre-adolescenti e adolescenti. Il sistema esamina le seguenti abilità: calcolo
combinatorio (il soggetto deve eseguire varie procedure di ordinamento sistematico di
n elementi); ragionamento probabilistico (il
soggetto deve operare confronti numerici
fra vari tipi di frazioni); ragionamento de-
numero 3-2002
tempo, di pensarne le possibili azioni, è probabile che siano coinvolte diverse abilità cognitive: da quelle senso-motorie e visuo-costruttive (riferibili al manipolare, aggiustare, connettere fisicamente gli elementi secondo precise configurazioni spaziali) fino
ai processi di ragionamento (deduttivo/induttivo), di problem-solving e di decisionmaking, legati all’assegnazione di adeguati
repertori comportamentali agli agenti. Da
simili considerazioni scaturisce la presente
ricerca, finalizzata ad una prima esplorazione delle abilità cognitive richieste nella realizzazione di robot.
Costruire e programmare robot
duttivo (il soggetto deve trarre inferenze
deduttive a partire da enunciati sillogistici
e/o condizionali). L’intera prova include
24 problemi (8 per ogni subtest, 1 punto
per ogni problema risolto correttamente).
Il punteggio dei soggetti è stato calcolato in
termini di percentuale di risposte corrette.
I risultati ottenuti dimostrano che tutti i
soggetti coinvolti nella ricerca presentano
un livello cognitivo nella norma, benché si
osservino [tabella 1] differenze, intra-individuali e inter-individuali, nelle percentuali
di risposte corrette. Molti soggetti presentano profili disomogenei, con punteggi particolarmente bassi ad alcune prove e prestazioni elevate in altre; A.M. ottiene invece
punteggi bassi in tutti i test considerati
(percentuale media pari a 54), mentre il pattern opposto è mostrato da A.E. che ottiene punteggi elevati in tutti i test (percentuale media pari a 83). Considerando i risultati medi dei due gruppi, si osserva una
migliore performance del Gruppo 1 (percentuale media pari a 77) rispetto al Gruppo 2 (percentuale media pari a 66).
Costruzione di Roverbot
All’assessment cognitivo è seguita la fase di
familiarizzazione con i materiali hardware
del Robotic Construction Kit. Ogni gruppo
ha usato un kit “Robotic Invention System
2.0” della linea LEGO MindStorms, contenente mattoncini LEGO, sensori di luce,
sensori di contatto, motori, ghiere, ruote,
ecc., un RCX™ Microcomputer (unità di
controllo centrale che supporta tre motori,
tre sensori e una porta seriale di comunicazione a raggi infrarossi), un trasmettitore
seriale a raggi infrarossi (che consente di effettuare il download del programma dal
computer al robot), un CD-ROM con l’interfaccia di programmazione ed infine la
Constructopedia™, un piccolo manuale di
istruzioni che propone differenti progetti
utili a costruire vari tipi di robot.
38
TD27
numero 3-2002
figura 1
Roverbot si compone di
un corpo centrale composto dal RCX al quale sono collegate quattro ruote di differente grandezza (due anteriori più piccole e due posteriori più
grandi); due motori; un
paraurti anteriore doppio con due sensori di contatto (sensore destro; sensore sinistro); un sensore
di luce collocato posteriormente verso il basso.
Ai partecipanti è stato inizialmente mostrato Roverbot, il modello finale dell’artefatto
da costruire e programmare [figura 1] illustrando i vari elementi presenti nel kit (mattoncini LEGO, sensori di luce, di contatto,
motori, ecc.) ed il loro funzionamento.
Il compito di costruzione dell’artefatto ha interessato i successivi tre incontri (4°-6°). I
due gruppi sono stati impegnati a costruire
separatamente gli elementi principali di Roverbot, in base alle seguenti istruzioni: “Costruisci il paraurti”, “Costruisci il corpo, le
ruote e il sensore di luce”. La costruzione di
ogni elemento prevedeva anche il collegamento elettrico tra sensori/attuatori e l’RCX.
Durante l’attività di costruzione è stato utilizzato un approccio di “costruzionismo guidato” [Lund, 1999]. I ragazzi, seguendo le
istruzioni contenute nella Constructopedia,
hanno cooperato nell’assemblare a turno i vari elementi di Roverbot. Ogni soggetto è stato a turno coinvolto nella ricerca dei pezzi necessari al montaggio e nell’assemblaggio dei
diversi elementi. Al fine di incrementare la
comprensione degli elementi e delle funzioni
del robot, in una sessione finale, ogni gruppo
ha ricostruito Roverbot. Nella fase di ricostruzione dell’artefatto si è preferito utilizzare un approccio di “costruzionismo puro”
[Lund, 1999] fornendo ai ragazzi tutti i materiali (scatola e istruzioni) e garantendo loro,
nel rispetto della regola della collaborazione e
della reciprocità, la libertà di scegliere le unità
da cui partire, i turni di costruzione, la possibilità di usufruire del manuale, ecc. In tale fase è stata misurata, attraverso una griglia d’osservazione appositamente predisposta, la prestazione di ciascun gruppo nella ricostruzione
dell’artefatto, annotando il tempo di esecuzione totale e il numero di errori nel montaggio/smontaggio dei pezzi di Roverbot.
Nella ricostruzione di Roverbot, i ragazzi
del Gruppo 1 si mostrano più abili dei ragazzi del Gruppo 2. I ragazzi del Gruppo 1
impiegano, infatti, 75 minuti a ricostruire
Roverbot, commettendo solo 17 errori nel
montaggio/smontaggio dei pezzi (7 errori
nella costruzione del paraurti; 3 errori nel
corpo; 1 errore nelle ruote e 6 errori nel sensore di luce). I ragazzi del Gruppo 2 impiegano, invece, 90 minuti commettendo 25
errori in totale (11 errori nella costruzione
del paraurti, 7 errori nel corpo, 6 errori nelle ruote, and 1 errore nel sensore di luce).
Programmazione comportamentale
di Roverbot
In tale fase, i ragazzi si dedicavano individualmente alla programmazione comportamenta-
Costruire e programmare robot
figura 2
Arena.
39
2
Una strategia adattiva
consente di risolvere un
compito anche in presenza di imprevisti o quando
l’ambiente di esplorazione non è del tutto noto al
soggetto. Il programma
deve utilizzare l’input dei
sensori per adattarsi al
mutare delle situazioni.
TD27
compito nelle tre prove previste.
A tal proposito, va sottolineato che la soluzione adattiva del compito non è affatto semplice. In particolare, risulta problematica la
programmazione del sensore di luce in quanto ad esso è possibile assegnare un unico repertorio comportamentale, ad esempio “torna indietro e gira a destra per 3 secondi”.
Una simile sequenza di comandi risulta ottimale solo quando il bordo scuro rilevato si
trova in una particolare zona dell’arena, in
questo caso il bordo sinistro. Inoltre, il sensore di luce LEGO non distingue bene i colori, ma solo differenze tra chiaro e scuro;
questo non permette di distinguere tra il bordo destro e sinistro, ad esempio assegnando
loro diversi colori. La soluzione prevista è
collegata al funzionamento dei sensori di
contatto, posizionati nei due paraurti. Premendo il paraurti di destra, infatti, il robot
intraprende la traiettoria verso il bordo sinistro, premendo il paraurti di sinistra il robot
intraprende la traiettoria verso il bordo destro. Potendo quindi prevedere su quale lato
dell’arena il robot incontrerà il bordo scuro è
possibile assegnare programmi diversi al sensore di luce (“gira a sinistra” quando incontrerà il bordo destro e “gira a destra” quando incontrerà il bordo sinistro) a seguito della pressione di uno o dell’altro paraurti. Un
altro problema legato al funzionamento del
sensore di luce riguarda l’impossibilità di distinguere i bordi dal traguardo. In altre parole non è possibile programmare il sensore
di luce in modo tale che il robot muti direzione quando incontra il bordo scuro e, viceversa, si fermi quando incontra il traguardo;
abbiamo pertanto ritenuto completo il compito quando il robot raggiungeva il traguardo senza tuttavia fermarsi.
Alla luce di tali riflessioni, sono state concesse ai soggetti alcune prove aggiuntive di
programmazione. Ciononostante, gli unici
cinque ragazzi (F.G., M.C, A.E, S.M, F.S.)
che sono riusciti ad assegnare a Roverbot un
repertorio comportamentale adeguato alla
risoluzione del compito non sono stati ca-
numero 3-2002
le del robot. Al fine di acquisire i fondamenti
dell’interfaccia di programmazione “Robotic
Invention System 2.0.” essi sperimentavano
alcune “missioni di training” precostruite, effettuandone il download su Roverbot.
Nel corso degli ultimi incontri è stato richiesto ai soggetti di lavorare individualmente
nella costruzione di un repertorio comportamentale utile a risolvere il compito così formulato: “Hai costruito Roverbot, un robot
che presenta tali caratteristiche: 2 motori che
consentono di andare avanti, andare indietro, girare a destra e girare a sinistra; 1 paraurti con 2 sensori di contatto che danno al
robot informazioni su ostacoli presenti nell’ambiente; 1 sensore di luce che consente di
riconoscere la differenza tra bianco e nero.
Crea ora un programma che consenta a Roverbot di effettuare il percorso dalla partenza
al traguardo nel minor tempo possibile”. Roverbot doveva “muoversi” in un’arena di
70x150 cm, con i bordi colorati in nero ed
un ostacolo fisico posto al centro [figura 2].
Ogni ragazzo era libero di compiere tre
prove di programmazione, sperimentandole tramite download nel RCX. La prestazione alla terza prova di programmazione è
stata valutata dividendo l’intero repertorio
comportamentale di Roverbot nelle 4 sequenze necessarie a risolvere il task con una
strategia adattiva2: 1) uso di motori e ruote
per muoversi all’interno dell’arena; 2) uso
del sensore di destra presente nel paraurti;
3) uso del sensore di sinistra presente nel
paraurti; 4) uso del sensore di luce. Per realizzare un programma adattivo il soggetto
dovrebbe infatti pianificare come raggiungere la meta (sequenza 1), prevedendo al
contempo l’intervento dei sensori di contatto e di luce per il controllo e l’aggiustamento della traiettoria nei casi di rilevazione dell’ostacolo (sequenze 2-3) o del bordo
scuro (sequenza 4). Ad ogni soggetto è stato pertanto assegnato un punteggio compreso tra 0 e 8 in base ai seguenti indicatori: mancata programmazione dell’intera sequenza (0 punti); erronea programmazione
della sequenza (1 punto); corretta programmazione della sequenza (2 punti).
I risultati relativi alla programmazione comportamentale di Roverbot evidenziano una
prestazione del Gruppo 1 lievemente superiore (media = 5.2) a quella del Gruppo 2
(media = 4.2). Per ciò che riguarda i punteggi individuali, quattro soggetti (F.G., G.T.,
M.C., A.E.) ottengono 6 punti, quattro soggetti (A.C., S.M., A.M., F.S.) 4 punti e solo
un soggetto (C.A.) 3 punti. Nessuno dei
soggetti è stato quindi capace di risolvere il
Costruire e programmare robot
paci di realizzare un programma adattivo.
Essi, infatti, hanno calcolato la lunghezza
del percorso e gli angoli di curvatura in modo che il robot evitasse l’ostacolo posto al
centro dell’arena e raggiungesse il traguardo, senza programmare tutti i sensori in
modo corretto. Non è da escludere che la
natura stessa del compito proposto elicitasse soluzioni non adattive; rileggendo con
attenzione le consegne si evince, infatti, come sia virtualmente possibile risolvere il
compito anche solo mediante un’esatta pianificazione della traiettoria ed escludendo
di fatto l’uso di tutti i sensori (strategia di
fatto seguita dai soggetti). Questi aspetti
mettono in evidenza le difficoltà che è possibile incontrare qualora si voglia calare in
un contesto educativo un settore complesso
ed innovativo quale quello della robotica. Si
impone, infatti, la necessità di riflettere in
maniera approfondita sugli aspetti metodologici legati in particolare alla selezione di
compiti che elicitino la scelta di soluzioni
adattive. Una possibile strategia, suggerita
da Martin (1987), potrebbe ad esempio
consistere nel non esplicitare ai soggetti la
posizione e l’orientamento iniziale del robot nell’ambiente, impedendo la pianificazione a priori di traiettorie.
DISCUSSIONE E CONCLUSIONI
Relativamente agli obiettivi principali della
presente ricerca, i risultati ottenuti sembrano confermare il coinvolgimento delle abilità cognitive considerate sia nel processo di
costruzione (ricerca e montaggio dei pezzi)
che di programmazione comportamentale
di robot. Se i risultati relativi ai punteggi dei
gruppi evidenziano una prestazione lievemente superiore dei soggetti del Gruppo 1
sia nei compiti cognitivi che nella sperimentazione dei robot, sono soprattutto le prestazioni individuali a dimostrare che a punteggi più alti ai test corrispondono maggiori
abilità di programmazione comportamentale del robot. In particolare, si è evidenziata
una correlazione statisticamente significativa
tra la performance al subtest di ragionamento sillogistico e condizionale di S.A.V.I.O. e
i punteggi ottenuti al test di programmazione (r=.608 p<.05). Non sorprende che le
abilità di ragionamento logico, consentendo
ai soggetti di anticipare e pianificare le azioni necessarie a risolvere un particolare compito comportamentale, rappresentino un
importante correlato delle competenze di
costruzione e programmazione di robot.
Il presente studio rappresenta un primo tentativo di misurare empiricamente le abilità
cognitive implicate nella costruzione e programmazione comportamentale di robot.
Obiettivo futuro è la conduzione di ulteriori indagini, su gruppi più ampi di soggetti,
mirate a confermare i presenti risultati. Sul
versante educativo e/o riabilitativo, inoltre,
appositi studi potrebbero mirare ad indagare se la costruzione, ed in particolare la programmazione comportamentale di robot,
possa configurarsi come un metodo efficace
per l’incremento delle abilità logiche.
RINGRAZIAMENTI
Si ringrazia Vanessa Costa per la collaborazione all’esperienza di ricerca.
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■ Henrik H. Lund
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[email protected]
ToyBots. Allevare robot per apprendere a governare un processo evolutivo
ToyBots. Allevare robot
per apprendere a governare
un processo evolutivo
■ Luigi Pagliarini
Laboratorio di Tecnologie Cognitive, Dipartimento di Psicologia, Seconda Università di Napoli;
Maersk Institute for Production Technology, University of Southern Denmark
[email protected]
41
TD27
imbrigliata una volta per tutte. Tutto al più,
ciò che è in nostro potere è “prenderci cura”
di un pezzo di natura e aiutare l’emergere,
nel corso del tempo, di forme vantaggiose
per la nostra sopravvivenza.
All’opposto, il mondo della tecnologia ha
sviluppato tecniche e pratiche del tutto diverse da quelle adottate dagli uomini per governare la natura. Le macchine sono il prodotto finale di un dettagliato lavoro di analisi/progettazione/programmazione. L’autonomia di un artefatto deve essere prossima
allo zero. Abbiamo l’esigenza di sapere esattamente cosa succede alle ruote di un’automobile quando sterziamo a sinistra! Nella
tecnologia l’imprevisto deve essere ridotto al
minimo. Il potere è nelle mani dell’uomo
che deve tendere al pieno controllo della
macchina e dell’interazione con essa.
Secondo il quadro appena descritto, costruire macchine e coltivare piante sono due
attività radicalmente diverse. L’ingegnere e
il botanico sembrano avere pochi argomenti in comune. Ciò è stato sicuramente vero
fino a qualche decennio fa. In realtà, lo sviluppo scientifico e tecnologico ha prodotto
una contaminazione tra i due mondi. Oggi
cominciano a comparire organismi che sono
progettati e macchine che vengono allevate.
La biologia sta cominciando a conoscere i
dettagli del processo generativo di un esse-
numero 3-2002
PROGETTARE ORGANISMI,
ALLEVARE MACCHINE
Coltivare, allevare, addestrare e insegnare
sono attività che hanno consentito all’uomo
di governare e plasmare la natura. Lungo
l’arco temporale di migliaia di anni, agricoltori, allevatori, educatori o, semplicemente,
genitori hanno affinato e continuano ad affinare la capacità di osservare, seguire e modificare il percorso evolutivo del vivente.
Certo, il botanico ha tecniche differenti dall’educatore ma entrambi devono avere la capacità di cavalcare il divenire ingaggiando un
dialogo tra due entità autonome: loro stessi
e il pezzo di natura che vogliono aiutare a
crescere. Da un punto di vista molto generale, potare la siepe del nostro giardino per
fargli assumere una forma rettangolare, seguire l’educazione ventennale di un figlio,
selezionare generazione dopo generazione
una razza canina per produrre degli individui con un pedigree perfetto, sono dei processi simili. In tutte e tre queste attività seguiamo la storia di uno o più organismi
(pianta, essere umano, animale) e interveniamo, a seconda del caso, per correggere,
inibire, facilitare comportamenti e morfologia di alcuni esseri viventi. In questo processo, l’uomo non ha il perfetto controllo sulla
natura. Ogni organismo ha una quota di autonomia che difficilmente si presta ad essere
ToyBots. Allevare robot per apprendere a governare un processo evolutivo
TD27
numero 3-2002
42
re vivente e ciò sta consentendo un certo
grado di progettazione genetica di un essere vivente (si veda, per esempio, il caso degli organismi geneticamente modificati).
Dal versante tecnologico, si tenta di dare risposte a problematiche molto complesse
della nostra vita quotidiana e si è dovuto imboccare la strada della costruzione di macchine che hanno una qualche forma di autonomia. Ciò è inevitabile! Delegando ad una
macchina funzioni molto complesse ne perdiamo parzialmente il controllo. Per esempio, un supercalcolatore costruito per calcolare previsioni economiche relative ad un determinato mercato analizza miliardi di informazioni. La macchina emette il “verdetto”
dopo un lungo processo di elaborazione.
Per qualsiasi essere umano è impossibile
controllare i singoli passaggi adottati dalla
macchina e quindi egli deve necessariamente fidarsi di essa (su questo punto si veda la
documentata riflessione di Baley (1996)).
La situazione si complica ulteriormente
quando si vogliono realizzare macchine che
agiscono in ambienti naturali, pericolosi o
distanti come nel caso delle esplorazioni spaziali. In queste condizioni le macchine devono adattarsi alle mutevoli condizioni ambientali che possono risultare imprevedibili
nella fase di progettazione /realizzazione.
L’unico modo per affrontare dei problemi
del genere consiste nel costruire delle macchine che abbiano una qualche forma di autonomia o più precisamente possiedano,
analogamente a qualsiasi essere vivente, dei
meccanismi di adattamento.
Siamo quindi ad un apparente paradosso disciplinare: in biologia si sta affermando la
Biotecnologia e in computer science è nata
la Vita Artificiale. La prima fa proprio l’apparato concettuale tradizionale della tecnologia: analizzare nel dettaglio una struttura
o un processo per poi successivamente ricostruirlo passo dopo passo. La seconda, ispirandosi alle conoscenze biologiche circa i
processi di adattamento (sia a livello filogenetico che ontogenetico), tende a costruire
delle macchine adattive e in qualche misura
“viventi”. La contaminazione tra bios e
tecné è reciproca ed è appena iniziata. Sarà
di enorme importanza seguirne gli sviluppi
ed essere coscienti del fortissimo impatto
che, inevitabilmente, avranno sulla nostra
vita quotidiana. Sarebbe un gravissimo errore pensare che una modalità di controllo/governo del reale abbia la prevalenza
sull’altra. A fronte di questo tumultuoso
processo di trasformazione sia in ambito
tecnologico che scientifico, il senso comune
resta ancorato a vecchi schemi di pensiero.
Risulta dominante la visione di una ricerca
scientifica tendente ad analizzare e sezionare la natura e le cose per averne il pieno controllo. Non a caso si sente molto parlare di
Biotecnologie e pochissimo di Vita Artificiale. In realtà, come abbiamo cercato di
descrivere precedentemente, il quadro è sicuramente più composito. Proprio in ambito tecnologico, si cerca di recuperare tutta
una serie di competenze e conoscenze circa
la capacità di governare e indirizzare il divenire delle forme. Riteniamo che sia giunto il
momento di recuperare e sottolineare l’importanza di quest’ultima fonte di intervento dell’uomo sulla materia (vivente e non) e
proponiamo di farlo tramite uno strumento
che consenta di sperimentare la possibilità
di allevare macchine e in particolare di addestrare robot.
In genere i robot sono utilizzati in ambito
educativo per insegnare delle discipline tecnico-scientifiche e vengono per l’appunto
progettati, programmati e realizzati. Tale
metodologia ha dato dei risultati sicuramente interessanti (si veda [Martin, 2001] e
[Miglino et al, 1999]). Tant’è che, grazie
alla facile reperibilità di kit robotici educativi, la costruzione/progettazione di robot in
ambito didattico è diventata una pratica ampiamente usata sia in ambito scolastico che
universitario. C’è da dire che in tutti i casi di
maggior successo si parte dalla considerazione implicita che un robot mobile è fondamentalmente una macchina e in quanto
tale trattabile con un approccio ingegneristico classico. In realtà un robot mobile è
qualcosa di diverso rispetto ad una macchina tradizionale. Il robot agisce in un ambiente in continuo cambiamento, spesso
imprevedibile. Per esempio, la luce, la temperatura e l’umidità possono variare da momento a momento e da luogo a luogo. Il
corpo stesso del robot è sottoposto all’azione di trasformazioni: la fonte di alimentazione energetica (le batterie) decade rapidamente, processi di invecchiamento e di usura modificano l’assetto elettro-meccanico
della macchina, ecc. Il robot, a differenza
delle macchine tradizionali, deve far fronte
a tutte queste imprevedibili variazioni in
modo autonomo. Non esiste un guidatore
umano che ne controlli direttamente il
comportamento. In sostanza, un robot mobile può essere visto come un vero e proprio
organismo artificiale che deve adattarsi continuamente e autonomamente alla variabilità dell’ambiente in cui è immerso.
Questa è proprio la visione di recenti ap-
TOYBOTS
ToyBots è stato costruito implementando
una serie di tecniche e soluzioni ingegneristiche sviluppate nell’ambito della Robotica
Evolutiva [Nolfi e Floreano, 2000], degli
Algoritmi di Apprendimento per Rinforzo
[Sutton e Barto, 1998] e delle tecniche di
Interaction Evolutionary Design [Bentley,
1999].
La Robotica Evolutiva si propone di sviluppare dei robot ispirandosi direttamente alle
teorie dell’evoluzione biologica. In tal senso, piccole popolazioni di robot vengono
sottoposte ad un processo di evoluzione artificiale al fine di adattarsi a qualche particolare ambiente di vita.
Gli Algoritmi di Apprendimento per
Rinforzo si ispirano direttamente alle teorie
di apprendimento sviluppate nell’ambito
della psicologia animale. Vengono usati per
addestrare macchine (in genere si tratta di
reti neurali artificiali) a risolvere problemi
particolarmente complessi.
Infine, le tecniche di Interaction Evolutionary Design consentono ad un utente di
realizzare degli oggetti (software e hardware) attraverso l’interazione continua con un
programma per computer che propone una
serie di varianti degli oggetti medesimi.
L’utente sceglie alcune di queste varianti e il
sistema informatico, a partire dagli oggetti
selezionati, produce una nuova serie di varianti. Il processo di selezione/produzione
di varianti procede fino a quando l’utente
non ritiene di aver allevato un oggetto di
suo particolare gradimento.
ToyBots. Allevare robot per apprendere a governare un processo evolutivo
43
TD27
so di ricopiatura introduciamo delle piccole
modifiche casuali (mutazioni). In tal modo
abbiamo una nuova popolazione di oggetti
che possono a loro volta essere selezionati,
ricopiati e mutati. Teoricamente, il processo
potrebbe non avere mai fine.
Sfruttando proprio questa tecnica abbiamo
sviluppato un primo prototipo per l’allevamento/addestramento di robot da utilizzare in ambito ludico/educativo. Il sistema si
basa sull’uso combinato di un software di
allevamento/addestramento e di un kit robotico del genere LEGO® MINDSTORMS™. Riteniamo (e speriamo) che
l’uso di ToyBots, questo è il nome dato al
prototipo, possa consentire di iniziare quella necessaria opera di divulgazione scientifica su due importantissimi temi: addestrare
le nuove generazioni a saper osservare e intervenire in un processo evolutivo; conoscere le relazioni e le contaminazioni in atto tra
biologia e tecnologia.
numero 3-2002
procci alla robotica quali la Robotica Biomorfa [Webb e Consi, 2001] e la Robotica
Evolutiva [Nolfi e Floreano, 2000] che, nel
corso dell’ultimo decennio, hanno prodotto un notevole bagaglio di tecniche, metodologie e soluzioni mirate alla realizzazione
di macchine adattive. Tutti questi metodi di
adattamento/addestramento dell’artificiale
traggono ispirazione da ben sedimentate
teorie scientifiche riguardanti i processi
adattivi biologici. In particolare, la Teoria
Darwiniana dell’Evoluzione Biologica e alcune Teorie di Psicologia dell’Apprendimento sono state trasformate in precisi algoritmi. Per Darwin ogni forma vivente è il
prodotto di un lungo e costante processo di
adattamento che coinvolge, nel corso di migliaia di anni, una enorme massa di individui. Un essere vivente deve procurarsi le risorse energetiche che gli garantiscono la sopravvivenza individuale e, parallelamente,
tende a riprodursi per garantire la sopravvivenza della propria specie. In questa doppia
dinamica ontogenetica (che avviene a livello individuale) e filogenetica (che si esplica
a livello di specie) risiede il motore della vita. Inoltre, la Teoria Darwiniana, contrariamente a quanto ipotizzato da Lamark, afferma che gli organismi trasmettono alla loro prole solo ed esclusivamente il proprio
patrimonio genetico (genotipo). Quindi,
tutto ciò che viene appreso durante la vita di
un individuo non viene trasmesso ai propri
figli. Le differenze che pur esistono tra genitori e figli sono da imputarsi a delle mutazioni casuali del patrimonio genetico della
prole. Tali mutazioni avvengono nella fase
della riproduzione. In tal modo si garantisce la variabilità della popolazione. Sarà l’interazione con l’ambiente a selezionare gli
individui aventi un patrimonio genetico
adatto alla sopravvivenza (e quindi alla riproduzione) in specifiche condizioni ambientali. Tutti questi processi, ben documentati dalla ricerca biologica e dettagliatamente descritti dalla Teoria Evoluzionistica
Darwiniana sono stati applicati all’allevamento di macchine e di oggetti e hanno
preso il nome di Algoritmi Genetici.
Esistono algoritmi genetici molto complessi. A scopo esemplificativo descriviamo una
delle forme più semplici. Si costruisce una
popolazione iniziale di oggetti aventi delle
caratteristiche molto differenti uno dall’altro. Da questo primo insieme di individui
ne selezioniamo alcuni, ovvero quelli che
soddisfano maggiormente le nostre esigenze. Per ogni selezionato produciamo un
certe numero di copie (cloni) e nel proces-
ToyBots. Allevare robot per apprendere a governare un processo evolutivo
1
La versione di ToyBots,
distribuita gratuitamente, fu realizzata nel biennio 1996-1997. Purtroppo, per la rapida obsolescenza delle soluzioni
informatiche a suo tempo adottate, il sistema attualmente può essere
usato solo in modalità
software. In questi mesi è
in produzione una versione aggiornata che sarà
in distribuzione nel corso
del 2004. Una documentazione sul progetto di ricerca corredata dell’eseguibile del programma si
può reperire su
http://ctlab.unina2.it/
figura 1
L’allevamento di una
popolazione di robot simulati con ToyBots.
TD27
numero 3-2002
44
ToyBots integra queste tre tecniche allo
scopo di allevare/addestrare una piccola
popolazione di robot a muoversi in ambienti contenenti muri, ostacoli e aree con differenti livelli di illuminazione. Il processo di
allevamento/addestramento avviene in un
ambiente software e i risultati ottenuti in
questo ambiente possono essere scaricati
nel computer di bordo di un robot fisico1.
L’ambiente di allevamento
Inizialmente, sullo schermo del computer
appaiono nove riquadri [vedi figura 1].
Ogni riquadro rappresenta un’arena bidimensionale dove agisce un robot simulato
(graficamente rappresentato come un piccolo rettangolo). L’allevatore può selezionare ambienti con caratteristiche fisiche differenti: l’arena può essere completamente
sgombera (lo spazio è totalmente bianco),
può contenere delle aree di diverso colore
(in tal caso il pavimento è rappresentato con
diverse tonalità di grigio), oppure possono
essere presenti degli ostacoli (graficamente
rappresentati come piccoli cerchi). Ogni robot viene posizionato in un punto casuale
dell’arena e produce dei movimenti in funzione di regole del tipo “se vedi bianco allora fai un passo in avanti”, “se tocchi un ostacolo allora vai a sinistra”, ecc. Questo iniziale insieme di regole, che costituisce il sistema di controllo della macchina, è attribuito casualmente da ToyBots ad ogni robot. L’allevatore non ha diretto accesso al
programma di governo della macchina, ne
vede solo gli effetti comportamentali (il
movimento del robot all’interno dell’arena). Le traiettorie dei nove robot vengono
mostrate nei relativi riquadri. A questo punto, l’allevatore può selezionare tre robot
che a suo giudizio presentano il comportamento più interessante. Per ogni individuo
selezionato, ToyBots produce tre copie dei
sistemi di controllo. Nel processo di copia
alcune regole comportamentali vengono
casualmente modificate. Per esempio, una
regola del tipo “se vedi bianco allora gira a
destra” potrebbe essere casualmente modificata nella regola “se vedi bianco allora gira a sinistra”. Al termine del processo di copia/mutazione si ottengono nove sistemi di
controllo che, impiantati in altrettanti robot, produrranno dei comportamenti leggermente differenti da quelli selezionati
dall’addestratore. Una nuova schermata
consentirà all’allevatore di operare la selezione di altri tre individui da cui ToyBots
produrrà altri sistemi di controllo leggermente modificati e così via. In qualsiasi momento l’allevatore può decidere di trasferire
un sistema di controllo dal robot simulato al
computer di bordo del robot fisico.
L’ambiente di addestramento
ToyBots consente di passare dall’ambiente
di allevamento di una popolazione di robot
ad un ambiente dedicato all’addestramento
di un singolo individuo. Grazie a questa
funzionalità, l’addestratore ha la possibilità
di scegliere un individuo tra i nove robot
mostrati nell’ambiente di allevamento e trasportarlo in un ambiente di addestramento
individuale [vedi figura 2]. In quest’ultimo
ambiente, l’addestratore osserva il comportamento del robot e può decidere di premiarlo oppure punirlo. In funzione del tipo
di rinforzo imposto dall’addestratore, ToyBots modificherà le regole comportamentali del robot (ovvero del sistema di controllo). È da sottolineare il fatto che, analogamente a quanto accade nell’ambiente di allevamento, l’addestratore può solo osservare il comportamento del robot ma non accedere al sistema di controllo della macchina. Quando l’addestratore è soddisfatto del
comportamento esibito dal robot può decidere di ritornare nell’ambiente di allevamento [ovvero quello mostrato in figura 1].
Il robot che ha ricevuto l’addestramento individuale conserva il nuovo set di regole
comportamentali ma, se selezionato, non le
trasmetterà alla sua copia. In altre parole,
ToyBots funziona secondo i criteri della
Teoria Darwiniana dell’Evoluzione Biologica: i discendenti di un individuo non ereditano le abilità apprese durante la vita dai
loro genitori.
ToyBots. Allevare robot per apprendere a governare un processo evolutivo
L’USO DI TOYBOTS
IN CONTESTI EDUCATIVI
Il nostro gruppo di ricerca parte dallo studio
delle caratteristiche biologiche e comportamentali degli esseri viventi per poi costruirne dei sistemi artificiali che li simulano. Tali
artefatti possono trovare varie applicazioni
(ricerca di base, educazione, divertimento,
ecc.). Quindi, la nostra “expertise” si ferma
nel momento in cui l’oggetto viene usato/valutato/manipolato da qualcuno. Nel
caso di ToyBots abbiamo sentito l’esigenza
di cominciare ad indagare in prima persona
circa l’efficienza psico-pedagogica del prototipo. Abbiamo, quindi, condotto un primo studio pilota sull’uso di Toybots come
supporto didattico all’insegnamento dell’Evoluzione Biologica (per una più approfondita descrizione dell’esperienza si veda [Miglino et al, 2002]). L’esperienza didattica fu
condotta da due classi di un liceo scientifico
napoletano. I ragazzi avevano un’età compresa tra i 14 e i 15 anni. Ambedue i gruppi
prendevano parte ad una lezione di biologia
evoluzionistica tenuta dai loro insegnanti. Al
termine della lezione una classe aveva l’opportunità di approfondire gli argomenti
trattati dal docente usando dei tradizionali
prodotti multimediali, mentre l’altro gruppo di studenti era introdotto all’uso di ToyBots. Al fine di avere una misura quantitativa dei progressi raggiunti dai ragazzi, somministrammo prima della lezione, dopo la
lezione e al termine delle sessioni informatiche dei questionari di verifica dell’apprendimento. La classe che utilizzò ToyBots mostrò dei punteggi significativamente superiori a quelli ottenuti dai ragazzi che usarono i
tradizionali ipertesti multimediali. C’è da dire che questi primi risultati quantitativi rappresentano solo un piccolo indizio sull’efficacia educativa di strumenti tipo ToyBots e
non possono essere assolutamente considerati come prova definitiva e fondante su cui
costruire argomentate riflessioni psico-pedagogiche. È indubbio però l’apprezzamento
espresso dai ragazzi e dagli insegnanti nell’introduzione di questo nuovo supporto alla didattica tradizionale. ToyBots ha consentito loro di sperimentare in prima persona
delle vere e proprie evoluzioni artificiali. In
sostanza, allievi ed insegnanti sono entrati in
un processo e hanno contribuito a governarlo. Hanno realizzato macchine senza programmarle, ma allevandole e addestrandole.
Dopo le sessioni di laboratorio gli insegnanti hanno potuto indirizzare le discussioni
condotte in classe intorno ai concetti di
“controllo” versus “governo”, di “programmazione” versus “allevamento”. In sostanza, hanno fatto leva sulla dissonanza cognitiva inevitabilmente prodotta dal processo di
allevamento di macchine per avviare una riflessione critica sui rapporti tra biologia e
tecnologia.
Da un punto di vista strettamente tecnologico, gli insegnanti di scienze hanno potuto
introdurre i ragazzi verso le nuove forme di
tecniche ingegneristiche (algoritmi genetici,
robot mobili, algoritmi di apprendimento,
ecc.) che cominciano ad avere ricadute applicative anche nella nostra vita quotidiana.
figura 2
L’addestramento individuale di un robot con
ToyBots.
45
riferimenti bibliografici
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numero 3-2002
Baley J. (1996), Il Postpensiero,
Garzanti, Milano.
Costruire giocattoli cibernetici
Costruire
giocattoli cibernetici
Riflessioni e proposte sull’esplorazione e programmazione
di giocattoli computazionali per la scuola dell’infanzia
■ Edith K. Ackermann, Augusto Chioccariello, Stefania Manca, Luigi Sarti
TD27
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46
I giocattoli computazionali stanno acquistando un peso sempre maggiore nei contesti caratterizzati da una elevata cultura tecnologica e godono di una grande diffusione
anche nelle fasce più giovani della popolazione, specie quelle in età prescolare. Ma
soprattutto suscitano negli adulti in generale, e in particolare in chi si occupa di problematiche educative, opinioni contrastanti.
C’è chi li ritiene un’ottima “palestra” per i
più giovani, che dovrebbero così prendere
confidenza e prepararsi ad interagire con gli
strumenti e i gadget del loro probabile futuro, diventandone al contempo protagonisti nella progettazione e nella creazione e
non limitandosi ad esserne solo utenti. Altri, al contrario, denunciano i pericoli insiti
nel fatto che i più piccoli si accostino troppo presto ad espressioni tecnologiche pensate per un mondo di adulti e spesso finalizzate a promuovere la produttività piuttosto
che la riflessione, col risultato di deprimere
la creatività e costringere lo spazio del gioco a dimensioni e percorsi ripetitivi. Com’è
ovvio, entrambe le posizioni sono in buona
misura giustificate, ed entrambe tuttavia
peccano di assolutismo.
Può essere, forse, più interessante chiederci
quali caratteristiche possiamo evidenziare,
nel giocattolo in sé e nel contesto in cui
questo viene proposto al bambino, che ne
ottimizzino la valenza pedagogica e di crescita. A nostro avviso un buon giocattolo
computazionale, perché possa essere considerato tale, dovrebbe poter assolvere a due
importanti compiti: da un lato, rivestire un
alto valore cognitivo, in grado di favorire, ad
esempio, l’apprendimento di concetti complessi (quali feedback, auto-organizzazione,
causalità, controllo, intenzionalità), lo sviluppo di modalità di pensiero astratto e
strutturato e di capacità di modellizzazione
della conoscenza, ecc.; dovrebbe, inoltre,
essere in grado di suscitare importanti e significativi interrogativi su temi quali vivente e animato, oltre ad assolvere alla funzione cognitiva di costruzione del sé e dell’identità individuale.
Dall’altro lato, dovrebbe poter giocare un
ruolo di mediazione e transazione culturale
in grado di veicolare valori e letture del
mondo, di produrre ed elaborare nuovi significati, di assolvere alla funzione sociale di
costruzione dell’identità collettiva e di un
sistema di valori condiviso.
Condizione necessaria, seppur non sufficiente, perché le due funzioni sopra citate
vengano assolte è che questi oggetti siano
non solo ispezionabili (a differenza della
maggior parte dei giocattoli commerciali
quali, ad esempio, Tamagotchi o Furby),
consentendo di entrare dentro sia ai meccanismi di costruzione e assemblaggio che a
quelli che ne regolano il comportamento e
l’interazione con l’esterno, ma soprattutto
modificabili, consentendo la creazione di variazioni significative a partire da un modello
dato o la produzione ex novo. In questo
senso, rivestono particolare interesse i giocattoli il cui comportamento sia programmabile, che coniughino cioè la generalità e la
flessibilità del computer con la concretezza e
la reattività degli automi (o robot).
Obiettivo del presente articolo è quello di
proporre alcune riflessioni su cosa possa e
debba intendersi per un buon giocattolo
tecnologico, anche attraverso lo sviluppo di
una proposta di utilizzabilità che sia in gra-
Costruire giocattoli cibernetici
47
1
Piaget J. (1975), L’Equilibration des structures cognitives, Puf, Paris.
TD27
Nella seconda parte, intitolata La fabbrica
dei robot, Augusto Chioccariello, Stefania
Manca e Luigi Sarti cercano di rispondere
alla domanda: come rendere possibile per i
bambini la programmazione di costruzioni
cibernetiche? La composizione di programmi, tradizionalmente considerata un’attività
specialistica, può essere affrontata anche da
bambini, purché gli ambienti proposti siano
specializzati nella direzione delle caratteristiche del problema da risolvere; siano immediatamente operativi e sostengano il dialogo e la riflessione metacognitiva. Viene
proposto un modello a regole per la definizione del comportamento di un robot, che
instaura una relazione tra lo stato dei sensori e una sequenza di azioni. Comportamenti complessi sono il risultato della composizione di comportamenti semplici.
Poiché si tratta di una proposta rivolta a
bambini piccoli, l’ambiente deve poter offrire modalità di accesso sia iconiche che testuali e permettere di personalizzare i nomi
e la rappresentazione grafica dei suoi elementi, in sintonia col significato antico di
“dare nome” alle cose nel senso di controllarle. I bambini possono esplorare comportamenti esistenti (esempi precostituiti o sviluppati da altri), adattarli alle loro necessità
o crearne di nuovi.
L’articolo descrive un kit di costruzioni cibernetiche basato sul LEGO® MINDSTORMS™ e le caratteristiche di un ambiente di sviluppo software che privilegia
approcci sociali basati sulla narrazione e la
meta-riflessione. Vengono, inoltre, descritti
alcuni progetti realizzati da bambini di cinque e sei anni nelle scuole dell’infanzia del
Comune di Reggio Emilia.
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do di “rivestire” il giocattolo di una serie di
metodiche, interfacce, servizi, funzioni, dispositivi software e hardware in grado di
conferirgli appetibilità, usabilità, ispezionabilità secondo una data granularità, e trattabilità da parte di bambini piccoli.
L’articolo si compone di due parti distinte.
Nella prima, dal titolo Ambienti di gioco programmabili: cos’è possibile per un bambino di
quattro anni?, Edith K. Ackermann si occupa di analizzare quali aspetti della programmazione possono essere di particolare interesse per i bambini. Cosa vuol dire programmare? Persone diverse associano a questa attività significati diversi. Inoltre, non tutti sono d’accordo sulle sue potenzialità per l’apprendimento. Ackermann propone di guardare alla programmazione come a uno strumento per esplorare concetti relazionali
quali “controllo” e “agente”, ma soprattutto in quanto specchio e finestra attraverso
cui i bambini possono entrare in relazione o
dialogare con oggetti e persone, oltre che
con sé stessi nella relazione con interlocutori artificiali (in termini piagetiani, la capacità
di “regolare gli scambi” col mondo1). In
questo contesto, la programmazione diventa un medium per dare ed eseguire ordini;
per costruire comportamenti autonomi o interagire con essi; per animare oggetti; per simulare comportamenti. Inoltre, la programmazione può diventare un contesto ricco per
esplorare le teorie dei bambini sulla mente
propria, degli altri e delle creature artificiali.
Vengono discusse sia le valenze della programmazione nello sviluppo cognitivo dei
bambini che alcune indicazioni per la progettazione di ambienti di gioco programmabili per bambini di quattro anni.
Ambienti di gioco programmabili: cos’è possibile per un bambino di quattro anni?
TD27
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48
Ambienti di gioco
programmabili:
cos’è possibile per un
bambino di quattro anni?
La programmazione come “specchio” e “finestra”
per entrare in relazione con gli oggetti e le persone
■ Edith K. Ackermann
MIT School of Architecture, USA
[email protected]
INTRODUZIONE
Apprendere a programmare alla scuola dell’infanzia? Perché? Che cosa ci può essere di
interessante in questo per un bambino? Che
cosa si può imparare?
Questo articolo è rivolto ai ricercatori, ai
progettisti, agli educatori e ai genitori; tutti
questi hanno buone ragioni per interrogarsi. Il mio scopo è quello di riesaminare il significato di programmare e di suggerire le
condizioni atte a rendere le attività ludiche
di “programmazione” coinvolgenti per i
bambini e ad aiutarli a controllare il loro
mondo e se stessi.
Secondo il dizionario Webster, un programma è “una sequenza logica di istruzioni per
un computer digitale”. Programmare,
quindi, è l’azione di scrivere tale sequenza
logica perché venga eseguita da un computer. Questa definizione rende bene il significato di programmazione per i programmatori professionali degli inizi dell’informatica, ma non rende ragione dell’intera storia.
Gli sviluppi recenti dell’informatica come la
programmazione orientata agli oggetti, il
calcolo parallelo distribuito, la Vita Artificiale, così come l’uso crescente della “programmazione” da parte di ricercatori di formazione diversa da quella informatica, rendono questa definizione obsoleta. Oggi una
gran parte degli adulti programma, in un
modo o nell’altro, e questa attività non è
più solo patrimonio degli esperti. È tempo,
quindi, di riproporre la domanda: che cos’è
la programmazione?
La risposta non è semplice. La programmazione assume significati diversi a seconda
delle persone e non tutti sono d’accordo cir-
ca le sue potenzialità nel promuovere l’apprendimento e lo sviluppo umano. Per alcuni la programmazione è l’attività di scrivere
codice mentre per altri è una modalità di pensiero [Papert, 1980]. Alcuni ne percepiscono
il potenziale nell’aiutare i bambini ad affinare il loro pensiero o a diventare “scienziati”
[Resnick et al, 2000]; altri ancora sottolineano la sua capacità di favorire la creatività
umana [Barchi et al, 2001] e migliorare l’auto-espressione [Maeda, 2000].
Inoltre, la programmazione è una specie di
Pigmalione: diventa quello che vuoi che sia.
Per uno scienziato, per esempio, si trasforma in uno strumento con cui controllare il
mondo (attraverso la simulazione). Allo
scrittore serve per creare nuove forme di
narrativa o per costruire un mondo virtuale.
I progettisti la usano come strumento dinamico per costruire modelli e per gli psicologi dello sviluppo, categoria a cui appartengo, il valore nascosto della programmazione risiede primariamente, e non sorprendentemente, nella sua capacità di promuovere l’esplorazione, l’espressione e la riflessione dell’io-in-relazione “in erba” dei
bambini.
Nel seguito, passo in rassegna alcune tendenze attuali della programmazione in un
tentativo di far emergere il loro potenziale
“nascosto” di esplorazione di queste istanze
relazionali. Partendo dalla nozione di computer come “macchina psicologica” [Turkle,
1984], mi focalizzo sui modi in cui la rappresentazione giocosa di attività di programmazione, in senso lato, possa aiutare i bambini a esplorare questioni relative all’azione e
al controllo in modi nuovi e proficui.
La programmazione come
dare istruzioni: digli cosa deve fare!
Le istruzioni possono assumere forme diverse. Si possono comunicare verbalmente
o per iscritto, come in un libro di ricette o
come quando si disegna su un tovagliolo
una cartina per qualcuno. Normalmente ciò
non è chiamato programmazione. In un
programma le istruzioni specificate hanno
bisogno di un medium reattivo capace di
eseguirle. In altre parole, le istruzioni sono
contenute dentro una macchina, una componente software nel computer o in pezzi
tangibili, come una serie di operazioni da
eseguire. Per illustrare questo concetto im-
Ambienti di gioco programmabili: cos’è possibile per un bambino di quattro anni?
49
TD27
CHE COS’È
LA PROGRAMMAZIONE?
Il succo della programmazione è dare istruzioni, o comandi, ad una macchina perché li
esegua. Ovviamente la macchina può anche
non essere un computer. Potrebbe essere un
dispositivo meccanico o una serie di mattoncini “intelligenti”. I comandi non devono necessariamente essere scritti come una
sequenza di passi logici, come agli inizi dell’informatica. Le istruzioni possono essere
incorporate in componenti digitali da assemblare manualmente [Chioccariello et al,
2002].
magino scenari tipo gioco in cui i bambini
possono dire ai loro giocattoli intelligenti
che cosa fare e mi chiedo: dove comincia la
programmazione?
Scenario 1: Comandate a bacchetta
il vostro cane robot
Immaginate un gruppo di bambini di tre
anni che battendo le mani inducono il loro
cane robot a passeggiare dimenandosi. Se battono le mani una volta il cane muove la coda,
se le battono due volte muove la testa freneticamente (come se ridesse), se le battono tre
volte il cane fa un salto mortale.
Fin qui non è previsto nessun tipo di programmazione a meno che … i bambini possano configurare il giocattolo affinché esegua più di un ordine alla volta.
Scenario 2: Racconta le favole
al Racconta Storie “Tell-Tale”
Un gruppo di bambini di età compresa fra i
quattro e gli otto anni sono riuniti nel laboratorio di Justine Cassell al Media Lab del
MIT. Ogni bambino è occupato a raccontare
il suo frammento di storia in un piccolo registratore portatile a forma di palla. Cinque
bambini, cinque registratori a palla di colore
diverso, cinque pezzi della storia. Una volta
registrate le storie, i bambini si riuniscono e
agganciano le palle in modo da formare un
“bruco” chiamato “Tell-Tale”.
“Tell-Tale” [Ananny, 2001; Cassell e
Ryokai, 2001] si limita semplicemente a ripetere la sequenza dei pezzi di storia registrati, dalla testa alla coda. Può darsi che
“Tell-Tale” sia stupido, ma permette ai
bambini di occuparsi della parte intelligente
del gioco. Essi possono creare i loro frammenti di storie personali e ricombinarli come desiderano per comporre trame più
creative. I bambini imparano velocemente a
modificare i pezzi di storia, i connettori e
l’ordine dei pezzi per migliorare la favola.
Devono soltanto ogni volta cambiare l’ordine di disposizione delle palle e/o registrare
un nuovo frammento.
Questi scenari dimostrano che dire ad un
artefatto che cosa fare non è sufficiente per
parlare di programmazione. Il da farsi deve
coinvolgere più di una singola azione o comando. Infatti, non parliamo di programmazione quando inneschiamo una risposta
tramite un segnale di input, come quando
suoniamo il campanello o accendiamo un
elettrodomestico.
Conclusione provvisoria
Da un punto di vista di relazione con l’oggetto, la programmazione per istruzioni
può essere pensata come un dialogo fra una
persona ed un artefatto. Per esempio, la
numero 3-2002
Nella prima parte elenco alcuni degli ingredienti che, dal mio punto di vista, sono alla
base delle diverse tendenze nella storia della programmazione. Indugio sulle metafore
che le guidano, sulle modalità di ragionamento coinvolte e sulla loro rilevanza psicologica rispetto ai bambini. Prendo in considerazione tre tendenze della programmazione: dare istruzioni, costruzione di comportamenti autonomi e adattamento di
strutture esistenti. Per illustrare ogni tendenza, uso scenari immaginari o reali in cui
i bambini svolgono i loro giochi di programmazione.
In una seconda parte discuto del perché
molti bambini in età prescolare possono divertirsi e trarre beneficio dall’esplorazione
di versioni semplificate delle tendenze sopra
citate. Mi concentro su tre caratteristiche
che, secondo me, possono aiutare i bambini, dai più piccoli fino ai più grandi, a rappresentare aspetti di azione e controllo in
modo giocoso: padronanza (controllare/lasciare liberi); dar vita (creare/interagire);
adattare (prendere a prestito, modulare).
Nelle ultime sezioni mi domando a chi piace programmare e soprattutto perché possa
piacere ad un bambino.
Ambienti di gioco programmabili: cos’è possibile per un bambino di quattro anni?
persona (il bambino) sta dicendo - o insegnando - ad un oggetto (una lavatrice) a fare qualcosa (il bucato) per conto suo. In altre parole, una persona delega un lavoro ad
un oggetto e, con le opportune istruzioni,
quell’oggetto farà in modo autonomo il lavoro che la persona gli ha chiesto di fare.
La nostra ricerca sui bambini e le macchine
indica che anche per i bambini programmare significa farsi aiutare da una macchina, da
un computer o da un giocattolo a fare cose
che richiedono intelligenza. A volte anche i
bambini, come gli informatici, non sono
certi se l’intelligenza risieda nella macchina
stessa o nella persona che l’ha progettata
[Ackermann, 2000; Brandes, 1996]. La
maggior parte dei bambini fra i sei e gli undici anni sarebbe d’accordo sulla seguente
considerazione: Non sto programmando
quando “dico” al mio macinacaffè di macinare il caffè o quando metto in moto la mia
auto. Invece programmo quando “dico” alla
mia lavatrice quali passaggi deve compiere
perché il mio bucato venga lavato (…) anche
se posiziono semplicemente la manopola per
far partire il programma. Chiaramente i
bambini non intendono dire che parlano
veramente al macinacaffè o alla lavatrice
(anche se non ci vorrà molto perché ciò sia
possibile). Quello che fanno, invece, è far
partire il suo programma girando una manopola o spingendo pulsanti (dandole istruzioni). Questo è quello che essi associano
con “programmare la macchina”.
50
1
L’idea è di definire i comportamenti di un oggetto
in termini di attributi e
metodi (stati, preferenze,
azioni) come nella programmazione orientata
agli oggetti; contemporaneamente, avere diversi
oggetti che interagiscono
fra di loro per formare
grandi reti, o agenzie, di
agenti interconnessi, come nell’informatica distribuita.
TD27
numero 3-2002
2
Osservazioni
raccolte
dall’autore durante un
workshop a Porto Alegre, Brasile, estate 2000.
La programmazione
come costruzione di comportamenti:
collegali per renderli autonomi!
Con lo sviluppo della programmazione
orientata agli oggetti e di quella parallela distribuita, la percezione di cosa voglia dire
programmare assume sfumature diverse.
Dal predisporre una macchina perché esegua una serie di comandi l’accento si è spostato all’attribuzione di obiettivi a un gruppo di semplici oggetti computazionali e a
farli comunicare tra loro per poter ottenere
prestazioni migliori1. Questo nuovo paradigma, spesso denominato “programmazione decentrata”, porta con sé la sua parte
di metafore.
Dal fare cose per te la macchina o il giocattolo intelligente ora è predisposto per fare le
sue cose. Dalla condizione di schiavo, o di lavoratore sotto-qualificato alla catena di
montaggio, diventa un apparecchio che si
autoregola, una creatura cibernetica. L’artefatto conquista autonomia. Diversamente
dal suo servile predecessore, ora si presenta
munito di sensori, motori e quant’altro
“lo” aiuti a vedere il mondo a suo modo, ad
avere i suoi valori di riferimento o scopi interni, e ad ottimizzare di conseguenza le
“sue” mosse.
Scenario: Costruire Creature
Non ci sono computer in vista. I bambini di
una scuola elementare del centro di Boston
stanno costruendo sculture animate, veicoli e
creature con mattoncini LEGO integrati da
motori e sensori, più altri oggetti che esternamente assomigliano ai mattoncini LEGO ma
in realtà sono elementi computazionali (flipflop, porte logiche e così via). Un veicolo con
due sensori di luce, uno a destra e l’altro a sinistra, si dirige verso una fonte luminosa. I
sensori di luce sono collegati a due motori in
modo da obbedire alle seguenti due regole: se
il sensore di destra vede più luce di quello di
sinistra, allora si accende il motore di sinistra, e viceversa. Il risultato è un movimento
a zig-zag verso la luce [Martin, 1988].
I comportamenti interessanti emergono
dalla connessione di pezzi. Ogni pezzo, da
solo, potrebbe fare poco o nulla. Se invece
lo si collega ai suoi vicini in un certo modo
la struttura inizia a produrre comportamenti inaspettati. Il programma è incorporato in
componenti tangibili che i bambini possono
montare e smontare manualmente [Chioccariello et al, 2002]).
Conclusioni provvisorie
La nostra ricerca sui bambini e i robot suggerisce che l’interazione con artefatti che
esibiscono comportamenti auto-regolanti è
diversa dal dare istruzioni ad un giocattolo
che esegue semplicemente ordini. In ciascun caso (per esempio, istruire obbedienti
tartarughe Logo, danzare assieme a tartarughe cibernetiche imprevedibili, o costruirle
partendo dai pezzi base), la natura e il grado di autonomia dell’artefatto sono diversi
così come lo sono le reazioni dei singoli
bambini [Ackermann, 1991; Granott,
1991; Papert, 1993].
Per molti bambini l’interesse non risiede
nello smontare una creatura per capire il suo
meccanismo o vedere che cosa c’è dentro la
scatola nera. L’interesse risiede, invece, nell’ottimizzare il muoversi assieme ad una
creatura pronta ad entrare in azione e, così
facendo, sperimentare ed esplorare la dinamica degli scambi, gli schemi del dare e
prendere, il grado di reciproca influenza o
controllo, tutte situazioni tipiche delle transazioni umane. Il loro scopo, in altre parole, è quello di conversare più che costruire,
armonizzare più che rompere, immedesimarsi più che analizzare.
Ambienti di gioco programmabili: cos’è possibile per un bambino di quattro anni?
51
TD27
ti di un artefatto (approccio dell’ingegnere)
e modularne il comportamento intervenendo nel (come parte del) suo ambiente (approccio dello psicologo) è molto rilevante.
Così come lo è la differenza fra muoversi assieme o conversare con un partner artificiale e dare ordini ad un giocattolo tecnologico [Ackermann e Strohecker, 1999]. Nel
seguito vedremo che alcuni bambini possono essere più inclini a preferire un approccio
rispetto all’altro.
numero 3-2002
La programmazione come adattamento
di strutture esistenti: non partire da
zero, prendi a prestito e “impossessati”!
Più che in passato, gli strumenti ed i giocattoli di oggi incoraggiano gli utenti a programmare in senso lato, decostruendo più
che costruendo, adattando programmi esistenti, senza dover mai guardare una riga di
codice. I creatori possono importare interi
pezzi di testo, immagini e suono (incluso il
codice sottostante), che possono poi modulare e ricombinare a piacimento. In altre parole, nessun bisogno di partire da zero:
prendi a prestito ciò che già esiste e “manipolalo” finché non ti va bene.
Questo passaggio dalla costruzione allo
smontaggio o, in questo caso, dalla costruzione di comportamenti alla loro modulazione ha importanti implicazioni, sia per i
bambini che per gli adulti.
Scenario: Assemblaggi
Un’aula informatica collegata a Internet e
un gruppo di ragazzini di otto anni seduti
ciascuno di fronte al proprio computer. Ogni
studente è occupato a scrivere una ricerca sull’Impero Romano. Come pensi che proceda la
maggior parte dei ragazzi? Ecco ciò che fanno: navigano in rete finché non trovano una
pagina che veramente gradiscono. Importano la pagina, o parti di essa, e la usano come
canovaccio che possono poi manipolare. Lo
fanno finché non assomiglia più all’originale
trovato o all’idea alla quale si sono ispirati,
ma è diventata la loro2.
Questo approccio da “arte povera” alla
scrittura genera grandi controversie fra gli
educatori, i quali si chiedono se i bambini,
prendendo a prestito in modo così spudorato, stanno ancora scrivendo, per non parlare dello statuto di autori dei loro scritti. Io
sostengo che, purché i ragazzi manipolino i
pezzi presi a prestito sufficientemente a lungo, essi realmente stanno scrivendo! Non
prendiamo tutti quanti a prestito, anche
quando ci sembra di partire da zero? Come
potremmo non tener conto di ciò che altri
hanno detto e pensato prima di noi quando
costruiamo qualcosa? Non è esagerato dire
che scrivere su una pagina bianca è un concetto che non esiste. Sempre accogliamo ciò
che gli altri hanno detto e sempre parliamo
a qualcuno. Entrambe le cose sono necessarie per trovare la propria voce. Entrambe le
cose hanno aiutato molte persone, altrimenti riluttanti, a cimentarsi nello scrivere
[Ackermann e Archinto, 2001].
Per concludere
Da una prospettiva psicologica, la differenza fra costruire e smontare i comportamen-
Ambienti di gioco programmabili: cos’è possibile per un bambino di quattro anni?
TD27
numero 3-2002
52
PERCHE IMPARARE
A PROGRAMMARE?
Se, come abbiamo suggerito, programmare
(in senso lato) riguarda il dare istruzioni,
costruire o assemblare pezzi per creare
comportamenti interessanti, e modulare
comportamenti esistenti, resta la domanda:
che cosa c’è di interessante per i bambini
più piccoli? Perché i bambini in età prescolare dovrebbero imparare a programmare?
Riesco ad individuare almeno tre ragioni.
Padroneggiare le cose:
prendere il controllo/lasciarlo
andare/prendere il controllo
Quando danno istruzioni i bambini si impadroniscono del loro mondo. Creano o controllano cose capaci di eseguire i loro ordini. Le mettono in movimento o le animano
(le portano in vita) e danno loro ordini. Come potrebbe tutto ciò non entusiasmare un
bambino di tre anni che muore dalla voglia
di onnipotenza? D’altro canto, dando ordini ad una entità sufficientemente affidabile e
intelligente da eseguirli i bambini imparano
anche a lasciar andare o a delegare. La delega implica la distribuzione del controllo in
quanto non appena l’artefatto esegue gli ordini del bambino agisce per suo conto, facendosi carico di una parte del lavoro.
Il bambino piccolo può esplorare problematiche legate al controllo e alla negoziazione e imparare giocando a conoscere il significato del bilanciamento fra prendere il
controllo e lasciarlo andare, aspetto cruciale di qualsiasi tipo di transazione, sia con le
persone che con le cose.
Dar vita alle cose:
creare/interagire/creare
Quando costruiscono e giocano con cose
che si comportano come se avessero una volontà autonoma, i bambini più piccoli imparano a separare lo scopo dalla causa, o l’azione dalla causalità. Essi imparano i vari
modi in cui oggetti, sia animati che inerti,
incidono sul - e rispondono al - comportamento di ognuno di essi. Dotare gli oggetti di uno scopo e guardarli mentre fanno le
loro cose è piacevole, in quanto, una volta
costruito, l’oggetto non solo si anima di vita propria ma agisce in modi che non sono
tipici di una cosa inerte, come per esempio
seguire una luce, dare la caccia ad altre creature o evitare ostacoli. Le creature sembrano danzare fra di loro. Nonostante siano
cose riescono a comportarsi come persone
[Turkle, 1995].
Il bambino giocando può esplorare la diffe-
renza fra un comportamento auto-guidato
e un comportamento indotto da altri, fra
luoghi di controllo interni ed esterni. Egli
interagisce con nuove forme di intelligenza,
diverse dalle proprie, conquistando così
nuove intuizioni rispetto a ciò che significa
essere vivi e intelligenti, essere una persona
o una cosa [Barchi et al, 2001].
Prendilo com’è/Modulalo
Attraverso la modulazione di comportamenti esistenti e l’adozione di un approccio
alla creatività tipo “arte povera”, i bambini
più piccoli diventano bricoleur invece di pianificatori, riparatori invece di creatori. In altre parole, essi “giocano allo psicologo” invece di “giocare all’ingegnere o al neurochirurgo”. Ciò non è affatto una brutta cosa. La ricerca sugli stili di apprendimento individuali nei bambini dimostra che l’essere
in sintonia con le cose, o l’essere un ascoltatore intelligente, è un punto di partenza
tanto importante quanto lo è l’essere un iniziatore o un solista.
In modo divertente il bambino può esplorare la complessità del passaggio dalla lettura alla scrittura e apprezzare il bilanciamento fra riciclare ciò che è disponibile e partire da zero, fra il presentarsi come cantante
solista e il mescolarsi nel coro.
Per concludere, i bambini più piccoli sono
generalmente affascinati da oggetti che
hanno l’aspetto di cose e tuttavia si comportano come persone, o animali da compagnia. È proprio la natura ibrida di questi
artefatti (vivi ma non del tutto) che consente loro di esplorare idee altrimenti pericolose, e cioè di correre rischi su un terreno sicuro.
A CHI PIACE PROGRAMMARE?
Non a tutti i bambini piace programmare
un computer. Non tutti sono a loro agio nel
dare istruzioni, anche a creature artificiali o,
al contrario, nel creare cose che sfuggono al
loro controllo. Non tutti i bambini amano
assemblare le loro creature cibernetiche, per
non parlare del loro smontaggio. Alcuni
preferiscono controllare mentre altri preferiscono entrare nel flusso delle cose o muoversi assieme ai loro giocattoli. Alcuni sono
più strumentali mentre altri sono più relazionali, assomigliando nel loro stile a quello
che Turkle (1984) chiama “padronanza
morbida”.
Nonostante queste differenze, la maggior
parte dei bambini più piccoli si diverte a
creare cose e a dar loro vita, o ad “animarle” in un modo o nell’altro. Ciò che varia è
Ambienti di gioco programmabili: cos’è possibile per un bambino di quattro anni?
ni, fantasticare con loro, trattarle come personaggi della fantasia. Analizzarle e smontarle non è cosa che a loro piaccia.
Dato che i bambini che cerchiamo di coinvolgere appartengono a sessi diversi, e probabilmente anche a classi sociali e gruppi etnici diversi, è sensato fornire un vasto assortimento di materiali che rispondano a estetiche e gusti diversi. La diversità qui implica
una libertà reale di scegliere fra alternative e
modi di fare diversi. Diversi strumenti e media sono percepiti in modo diverso: l’argilla
al tatto è diversa dal legno, i camion giocat53
TD27
numero 3-2002
la quantità di costruzione o di “danza” con
l’oggetto, le metafore da cui traggono ispirazione e gli scenari di gioco che più li entusiasmano. Abbiamo notato che, per i
bambini molto piccoli, la strada potrebbe
essere quella della programmazione come
modulazione di comportamenti esistenti,
anche se ci si chiede se in questo caso si possa ancora parlare di programmazione.
Scenario 1:
Osservazioni dalla Hennigan School
Guardando i bambini giocare con
LEGO/Logo, abbiamo osservato ripetutamente che alcuni di essi si cimentano volentieri con la costruzione di giocattoli o veicoli
meccanici, mentre altri sembrano più portati alla creazione di “creature strane” o luoghi
idonei a far vivere e muovere piccoli esseri. La
metafora industriale, con la sua panoplia di
motori e macchine, non li interessa. Preferiscono rappresentare il gioco di creature o
creare sculture cinetiche straordinarie.
È da notare che le abilità messe in atto in
questi progetti sono simili e, a prescindere
da ciò che li mette in moto, tutti i bambini
alla fine riescono ad animare le loro costruzioni, a metterle in movimento (con i motori) e a dar loro un’impressione di scopo
(con i sensori). Tuttavia molte attività proposte nelle scuole e altrove continuano a riferirsi al limitato mondo degli strumenti
meccanici nel tentativo di motivare tutti i
bambini coinvolti. Le osservazioni fatte sull’uso che i bambini fanno dei motori e dei
sensori fornisce un esempio particolarmente calzante di quanti e diversi concetti di
estetica si sviluppano da modi diversi di rapportarsi con il mondo.
Scenario 2: Hennigan School
(seguito dell’osservazione)
Mentre la maggior parte dei bambini si entusiasma alla costruzione e alla guida di
macchine, altri (soprattutto le bambine)
spesso preferiscono osservare l’evoluzione delle
loro creature. A loro piace costruire, attivare
e coinvolgere le loro creature come compagne
di giochi. La metafora organica (creare
qualcosa che poi si muova separatamente)
sembra catturare la loro immaginazione più
di quanto non faccia la metafora industriale (creare una macchina). Inoltre, dal punto
di vista delle differenze di genere, i bambini
spesso amano smontare un meccanismo per
vedere come funziona, mentre le bambine
talvolta esitano a fare a pezzi le cose e temono di non essere più in grado di ricomporle.
Ma possono anche preferire conservarle intere
per un’altra, e più rivelatrice, ragione: per
poter fare giochi di ruolo con le loro creazio-
Ambienti di gioco programmabili: cos’è possibile per un bambino di quattro anni?
TD27
numero 3-2002
54
tolo suscitano sensazioni diverse rispetto alle scatole musicali o ai pupazzi animati. E
questi diversi strumenti e media consentono la creazione e l’espressione di diversi tipi
di cose, le quali assumono significati diversi
a seconda delle persone. Più vasta sarà la
gamma degli strumenti, dei media e delle
attività, maggiori saranno le possibilità di
costruire un prodotto dal significato personale.
IN QUALI CIRCOSTANZE
LA PROGRAMMAZIONE
PUO ESSERE UN’ESPERIENZA
PROFICUA PER UN BAMBINO DI
QUATTRO ANNI?
Papert sostiene che non si debba insegnare
ai bambini la programmazione fine a se stessa, ma piuttosto ad usare le conoscenze legate alla programmazione per creare contesti dove si possano presentare altre occasioni di apprendimento piacevole. Inoltre, i
bambini dovrebbero cimentarsi nella programmazione solo se riescono a trarne qualcosa sul momento e non dopo, quando saranno grandi! La gratificazione deve essere
immediata, il che non significa che i ragazzi
non dovranno fare molto lavoro, o molta
fatica, per svolgere la loro attività. In genere, il “gioco difficile” è più stimolante per i
bambini che possono passare ore su una cosa quando questa li interessa veramente.
Le tecnologie digitali, in questo caso i kit di
gioco programmabili, sono media interattivi attraverso i quali i bambini possono esprimere le loro idee e sentimenti in modi nuovi. Quindi il punto non è quale sia l’effetto
della programmazione o dell’uso dei computer sull’apprendimento, per esempio,
della scrittura o della matematica. Dovremmo piuttosto chiederci: i computer e le altre
tecnologie digitali possono fornire nuove
strade per l’apprendimento e il gioco, per
l’esplorazione, espressione e condivisione di
idee altrimenti non affrontabili? Nei loro
giochi, ai bambini piace rappresentare
un’ampia gamma di scenari, dal controllo
unilaterale al dialogo, dal costruire allo
smontare. Ciononostante, a bambini diversi in contesti diversi piace fare queste cose in
modi diversi. E con il tempo le preferenze
possono trasformarsi in stili personali.
Come abbiamo visto, gli ambienti di gioco
stessi possono presentare limitazioni intrinseche o distorsioni se la loro forma estetica
e le possibilità costruttive coincidono con
gli stereotipi prevalenti, o favoriscono certi
stili di apprendimento a discapito di altri.
Per esempio, i mattoncini LEGO favorisco-
no le strutture ortogonali e facilitano le costruzioni verso l’alto, le strutture verticali.
Bisogna lavorare sodo per fare oggetti con
lati ricurvi. Oppure, i kit del tipo fare-disfare-rifare in generale favoriscono il costruire
e disfare cose piuttosto che entrare in relazione con questi materiali. Queste sono le
possibilità ed i valori estetici previsti dai set
di costruzione classici.
Un altro tipo di distorsione riguarda l’imposizione da parte dei progettisti, degli insegnanti o dei genitori del loro punto di vista su che cosa dovrebbe essere costruito e come i bambini dovrebbero interagire con le
loro creazioni. Mi riferisco qui a tutte le nostre credenze inespresse sul modo giusto di
fare le cose che possono catturare l’immaginazione di alcuni e bloccare invece altri. Le
nostre osservazioni sui bambini che programmano ci dicono che la maggior parte
di essi gradisce l’idea di animare cose ed è
felice di usare i computer per programmare
le sue creazioni. Ciononostante, non tutti i
bambini si divertono allo stesso modo a far
correre le automobili, o a coltivare il giardino, a dare ordini ai loro robot o a muoversi
assieme alle loro creature. Diversi scenari di
gioco divertono menti diverse.
La manipolazione di oggetti è sicuramente
un’attività importante per i bambini, ma se
l’obiettivo dell’educatore o del ricercatore
è di offrire opportunità per progettare e
creare comportamenti allora la richiesta di
lavoro sulle parti meccaniche (ad esempio,
la costruzione del corpo di una creatura)
dovrebbe essere minimizzata a favore del
lavoro più “simbolico” e “cibernetico” di
descrivere, pilotare, controllare, comandare i comportamenti di una costruzione. Se
si segue questa pista, bisogna ampliare le
parti manipolative di un kit includendo i
pezzi di un ambiente di programmazione
tangibile dove programmare è connettere i
tasselli fisici del linguaggio di controllo
che, in sintonia con il termine “mattoncino
programmabile”, chiamo “mattoncino
comportamentale”. Un mattoncino comportamentale ha una doppia funzione: comandare/ controllare un oggetto dandogli
delle istruzioni da eseguire; fornire un linguaggio descrittivo per riflettere su e/o
modellare l’oggetto (la creatura) con cui si
è in relazione. In termini psicologici, questo significa aiutare i bambini a dare vita alle parole facendole diventare chiavi che
aprono le porte dei mondi che esse evocano. Significa ridare poteri evocativi e creativi alle parole.
Io concluderei così: offriamo materiali ric-
RINGRAZIAMENTI
Sono grata ad Augusto Chioccariello, Stefania Manca e Luigi Sarti per l’invito a scrivere un articolo insieme; a Seymour Papert,
Fred Martin, David Cavallo e tutti i colleghi
del “Future of Learning Group” del MIT
Media Lab per avermi dato l’occasione di
approfondire il significato dell’attività di
programmazione; a Mike Ananny per “TellTale”; alla LEGO A/S e al LEGO Learning
Institute, in particolare a Rolf Andreas Wigand, Daniele Bresciani, Martin Rausch e
Tom Christensen, che mi hanno aiutato,
ciascuno con le sue specificità, a ripensare i
benefici della programmazione per i bambini piccoli in contesti di gioco (progetto
“Early Computation”).
(traduzione di Giovanna Caviglione)
Ambienti di gioco programmabili: cos’è possibile per un bambino di quattro anni?
chi e diversificati e immaginiamo una vasta
gamma di scenari di gioco capaci di catturare la fantasia dei bambini più diversi e loro faranno tutto il resto.
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La fabbrica dei robot
La fabbrica dei robot
Bambini che costruiscono
e programmano con un ambiente visivo
■ Augusto Chioccariello, Stefania Manca, Luigi Sarti
ITD-CNR, Genova
{augusto, manca, sarti}@itd.ge.cnr.it
56
1
Per un’analisi approfondita dei caratteri del costruzionismo papertiano
soprattutto in relazione
all’eredità piagetiana si
veda [Ackermann, 2001].
TD27
numero 3-2002
2
Tra le numerose evoluzioni di Logo che si sono
succedute nel tempo ci
interessa particolarmente
ricordare LEGO/Logo,
un’estensione del Logo
che consente di collegare
sensori e motori LEGO
ad un PC [Resnick e
Ocko, 1991; Resnick,
1991]. LEGO/Logo è
stato il progenitore di
una famiglia di linguaggi
per il controllo di robot.
INTRODUZIONE
L’importanza ed il ruolo fondamentale che
gli oggetti materiali rivestono nel complesso percorso della costruzione della conoscenza sono stati sottolineati soprattutto dal
Costruzionismo [Papert, 1980; Harel e Papert, 1991]. Questa teoria accetta la tesi di
fondo del Costruttivismo, secondo cui le
conoscenze non sono il riflesso del mondo
esterno né la proiezione sulla realtà delle
strutture innate della mente, ma derivano
da costruzioni successive con costante elaborazione di strutture nuove [Piaget,
1975]. Il costruzionismo, inoltre, rivaluta il
pensiero concreto, visto non come una versione “inferiore” del ragionamento astratto,
ma posto sul suo stesso piano [Turkle e Papert, 1992]. La tradizionale impostazione
operativo-esperienziale secondo cui si impara facendo [Dewey, 1910], attraverso una
costante interazione dialettica con strumenti che “veicolano” gli oggetti della conoscenza, è stata, quindi, produttivamente integrata con la valenza imprescindibile che la
costruzione di oggetti ha nell’apprendimento: la conoscenza è il risultato di un impegno attivo col mondo attraverso la creazione e manipolazione di artefatti (tangibili e
no), siano essi castelli di sabbia, programmi
di computer, costruzioni LEGO, composizioni musicali, ecc., che rivestano un particolare significato personale e che siano soprattutto oggetti su cui riflettere [Papert,
1993]1.
In sintonia con gli orientamenti prevalenti
del costruttivismo sociale (cfr. ad esempio
[Salomon, 1993; Pontecorvo et al, 1995]),
un’altra componente sottolineata dal co-
struzionismo è quella dell’importanza della
negoziazione nel mondo sociale come parte
cruciale dello sviluppo cognitivo del bambino. L’apprendimento e l’intelligenza non
sono, quindi, titolarità esclusiva del singolo
individuo che apprende, ma emergono
piuttosto dall’interazione sociale in cui
gruppi di individui intrattengono rapporti
di natura collaborativa finalizzati alla costruzione di conoscenze comuni e condivise [Resnick, 1996]. Questa dimensione sociale dell’apprendimento può ben essere
rappresentata da quei contesti ludici ed
educativi che vedono il bambino a stretto
contatto con suoi pari e con soggetti più
grandi di lui, in grado di fornire supporto e
motivazione nell’affrontare compiti cognitivi nuovi e non precedentemente affrontati, che siano però alla sua portata (la cosiddetta “zona di sviluppo prossimale”) [Vygotskij, 1978].
Tra le proposte di ambienti di apprendimento elaborate nel tempo alla luce delle
indicazioni costruzioniste, va senz’altro ricordato il linguaggio Logo, finalizzato a incoraggiare lo sviluppo di forme di pensiero
procedurale ed operativo attraverso l’uso di
semplici programmi come blocchi di costruzioni per altri più complessi [Papert,
1980]. La programmazione al computer,
vista come una delle forme più alte di strumenti attraverso cui “pensare sul pensare”
(l’atteggiamento dell’epistemologo), assolve a questo compito in due modi importanti: “Primo, il computer permette, anzi obbliga, il bambino ad esternare le proprie
aspettative intuitive. Quando l’intuizione è
tradotta in un programma diventa più evi-
La fabbrica dei robot
PARTIRE DALL’ESISTENTE
PER RIPROGETTARE IL NUOVO
«Cercare di fare un buon progetto significa soprattutto avere un’attesa già in
qualche modo pertinente e preformata.»
[Malaguzzi, 1995: pag. 99]
Il progetto CAB ha privilegiato un approccio che ha inserito le attività dei bambini
con i mattoncini programmabili nel contesto e prassi di lavoro quotidiani, affiancandosi spesso ad altri lavori già in corso. Questa scelta è stata fortemente ancorata alla
figura 1
Alcuni bambini giocano
con un robot che disegna
sul pavimento.
3
Per una ricostruzione
storica del percorso evolutivo che ha condotto al
LEGO MindStorms si
veda [Martin et al,
2000].
4
CAB è stato un progetto
finanziato dall’Unione
Europea nell’ambito del
programma ESPRIT, iniziativa i3-Experimental
School
Environments
Programme, che ha visto
la partecipazione del Comune di Reggio Emilia,
della Jönköping University (Svezia), dell’ITDCNR e della LEGO Dacta A/S. Ulteriori informazioni possono essere
rintracciate alla URL
http://cab.itd.ge.cnr.it/
57
5
Descrizioni complementari ed approfondite di alcuni aspetti qui trattati
sinteticamente sono reperibili nella documentazione
del
progetto
[Askildsen et al, 2001a;
Askildsen et al, 2001b;
CRE, 2001; Gustafsson e
Lindh, 2001].
TD27
menti introdurre? Come intervenire sugli
strumenti e sul contesto?
All’interno di CAB si è cercato di dare risposte a questi interrogativi, ad esempio attraverso l’ampliamento delle funzioni assolvibili dal robot, la ricerca di soluzioni destinate a ridurre la complessità meccanica degli artefatti e la definizione di un ambiente
di programmazione fortemente orientato
alle esigenze che emergono nei diversi contesti costruttivi.
Nel seguito dell’articolo descriveremo alcuni di questi aspetti, con particolare riguardo
alle problematiche emerse nella progettazione dell’ambiente software e alle implicazioni che le scelte operate hanno avuto sulla progettualità dei bambini. La prossime
sezioni illustrano, inoltre, la metodologia di
ricerca adottata e le ragioni e modalità che
hanno guidato la ridefinizione del kit. Le
sezioni finali sono dedicate ad esporre alcune esperienze realizzate con i bambini e a
prospettare possibili linee di sviluppo dell’approccio5.
numero 3-2002
dente ed accessibile alla riflessione. Secondo, le idee computazionali possono essere
adottate come materiali per rimodellare la
conoscenza intuitiva” [Papert, 1980].
La programmazione è anche al centro delle
proposte più recenti2, i robot e i mattoncini
programmabili, che occupano oggi uno
spazio di particolare interesse. Modificando
il modo di pensare al vivente e collocandosi
di fatto al confine tra animato e inanimato,
tra vivente e non vivente [Turkle, 1984,
1995], possono essere giocattoli con cui
imparare nuovi modi di pensare [Resnick et
al, 1996], che stimolano nuove riflessioni
sul rapporto tra vita e tecnologia [Martin et
al, 2000], tra la scienza e l’apparato strumentale di cui si serve per gli esperimenti
[Resnick et al, 2000], tra le attività di progettazione di tipo robotico e i valori e l’identità [Bers e Urrea, 2000]. È anche grazie ad oggetti come questi che, sostengono
i fautori del costruzionismo, concetti tradizionalmente considerati appannaggio di individui adulti, in grado di manipolare conoscenza simbolica ed astratta, possono diventare accessibili e comprensibili anche dai
bambini.
I mattoncini programmabili, che storicamente si rifanno ai primi esperimenti di Papert con una concretizzazione delle idee
esplorate con il Logo, sono approdati ad un
prodotto commerciale, il LEGO® MINDSTORMS™ Robotic Invention System, un
kit per realizzare robot e altre costruzioni
cibernetiche3.
Questo articolo racconta alcune delle attività di ricerca condotte nell’ambito del progetto “Construction kits made of Atoms &
Bits” (CAB)4 che, utilizzando il LEGO
MindStorms, si è posto l’obiettivo di studiare le relazioni e gli atteggiamenti dei
bambini della scuola dell’infanzia e delle
prime classi della scuola elementare (da
quattro a otto anni) nei confronti di oggetti in grado di esibire comportamenti autonomi e interattivi. In particolare CAB ha
sperimentato una metodologia atta a favorire l’interazione tra bambini e computer attraverso l’uso di costruzioni cibernetiche
(figura 1), con lo scopo di esplorare la dinamica dei processi di apprendimento che
emergono e di ridisegnare il kit nell’ottica
di adeguarlo a questa fascia d’età.
Ma perché il LEGO MindStorms? Che cosa accade quando un prodotto pensato per
ragazzi dai dodici anni in su diventa una
proposta educativa per bambini di cinque
anni di età? Come legittimare una scelta pedagogica di questa natura? Quali cambia-
La fabbrica dei robot
figura 2
Un veicolo, realizzato
con moduli pre-assemblati, che reagisce agli
ostacoli e lascia traccia
del proprio percorso.
TD27
numero 3-2002
58
tradizione delle scuole dell’infanzia di Reggio Emilia, in cui l’attenzione è sempre rivolta alla predisposizione delle situazioni
che facilitano il lavoro dei bambini, profondamente radicato in situazioni progettuali
di ampio respiro (in termini di problematiche affrontate e di tempo da dedicare) e in
cui l’adulto interviene il meno possibile ma
sa ascoltare e documentare quello che accade cercando di mantenere alta la motivazione dei bambini [Malaguzzi, 1995]. L’ottica
della sperimentazione è stata, quindi, da un
lato, quella di guardare agli strumenti ludici e cognitivi come profondamente legati al
contesto d’uso e alla cultura che danno loro
significato. Dall’altro, quella di guardare all’apprendimento come a un evento sociale
profondamente condiviso e contestualizzato in cui bambini ed adulti lavorano assieme
e in cui i bambini ricevono sostegno e supporto (scaffolding) dagli adulti nel loro lavoro di esplorazione [Wood et al, 1976].
I requisiti per la riprogettazione del kit sono stati elicitati dai bambini attraverso il
ruolo di mediazione degli adulti6. Il dialogo
tra insegnanti, atelieristi, pedagogisti e progettisti hardware e software è stato ancorato alla documentazione del lavoro dei bambini che veniva progressivamente prodotta
dalle scuole coinvolte nel progetto. Ogni
attività è stata adeguatamente monitorata e
documentata in una varietà di formati (testi,
immagini, filmati, ecc.) dagli insegnanti impegnati nella quotidianità del loro lavoro7.
Attraverso le considerazioni e le interpretazioni effettuate dagli adulti sulla base delle
problematiche emerse nel lavoro coi bambini, è stato possibile prendere in seria considerazione le “teorie”, seppur provvisorie,
che i bambini elaboravano sulla base dei
progetti realizzati con il LEGO MindStorms e con le successive versioni modificate del kit.
RIPROGETTARE IL KIT
Una scatola di costruzioni, in funzione dei
componenti offerti, privilegia certe tipologie di attività a scapito di altre. Il LEGO
MindStorms è progettato per incoraggiare
la costruzione di “Veicoli”, robot mobili
che si muovono e interagiscono con l’ambiente. Per favorire lo sviluppo di altri scenari d’uso sono state proposte ulteriori tipologie quali le “Costruzioni Animate”
(che pur non esplorando l’ambiente possono prevedere parti che si muovono), i “Pupazzi Cibernetici” (una specializzazione
delle costruzioni animate ispirate ai Furby8,
ma smontabili e modificabili), i “Wearables” (dispositivi indossabili, quali distintivi
interattivi)9.
Per i Veicoli e le Costruzioni Animate, che
prevedono la presenza di parti meccaniche
in movimento, abbiamo dovuto affrontare
soprattutto la complessità di assemblaggio:
il kit commerciale usa il LEGO Technic, un
sistema che offre notevoli potenzialità costruttive ma risulta impegnativo anche per
gli adulti. La soluzione adottata, privilegiando l’immediatezza d’uso a scapito della
creatività costruttiva, è stata quella di predisporre moduli meccanici pronti per l’uso
[vedi figura 2], quali uno chassis di veicolo
con tre sistemi di locomozione modulari
(ruote, cingoli, “zampe”), varie strutture di
montaggio di sensori e attuatori10. Moduli
per costruzioni animate che realizzano movimenti particolari includono un nastro trasportatore, una torretta rotante per orientare il mattoncino programmabile, un braccio
meccanico, ecc.
L’uso di tipologie di costruzione diverse dai
Veicoli consente l’esplorazione di comportamenti reattivi che si inquadrano, ad esempio, nel contesto della narrazione di storie,
dove abbiamo osservato che i bambini tendono a combinare diversi materiali costruttivi (LEGO, carta, stoffa, creta). In questi
scenari la riduzione di complessità meccanica permette ai bambini di esprimere la propria creatività e di affrontare da subito la definizione dei comportamenti. Ne è conseguita la necessità di affrontare la progettazione di nuove componenti per ampliare le
tipologie di costruzioni possibili: un registratore di suoni, una catena di luci, un sensore di piegamento, un sensore di suono e
un trasmettitore a raggi infrarossi. Nel se-
La fabbrica dei robot
6
Nell’ambito della ricerca
sul design esistono tradizioni, quali il Cooperative Design [Greenbaum e
Kyng, 1991] o il Participatory Design [Schuler e
Namioka, 1993], che
coinvolgono gli utenti fin
dalle fasi iniziali di progettazione degli artefatti.
Nel Participatory Design
esistono attualmente alcuni approcci metodologici, quali quello del
Children as Informant
[Scaife e Rogers, 1999] o
del Cooperative Inquiry
[Druin, 1999, 2002],
che vedono la partecipazione attiva e paritaria dei
bambini (di età 7-11 anni) nelle fasi di ideazione
e progettazione.
7
Sulla metodologia di documentazione utilizzata
si veda [Rinaldi, 1995].
8
Furby™ è un peluche tecnologico che richiede
l’attenzione e le cure di
un bambino. Se accudito,
si comporta bene e lentamente passa dalla sua lingua (il furbese) a quella
del bambino.
9
59
Non tutte le proposte
hanno incontrato lo stesso favore e gradimento
tra i bambini e gli educatori, incoraggiando quindi una revisione profonda
o in certi casi l’accantonamento. Quest’ultimo è
stato il caso dei Pupazzi
Cibernetici che hanno
suscitato più perplessità
che non adesione tra gli
insegnanti ed educatori,
convinti di fornire una
proposta
pedagogicamente discutibile.
10
Gli attuatori sono dispositivi di ouput, quali i
motori.
TD27
DEFINIRE GLI STRUMENTI
DELLA PROGRAMMAZIONE
Rendere accessibili ai bambini gli strumenti
di controllo del comportamento di una costruzione cibernetica è un problema aperto.
Programmare non è facile e molti pensano
che sia un attività da delegare a specialisti: se
questo fosse vero dovremmo abbandonare
l’idea di un kit di costruzioni e limitarci alla
progettazione di giocattoli cibernetici con
un grado forse elevato di interattività, ma
sostanzialmente non modificabili dai bambini. Noi pensiamo invece che una versione
di programmabilità, purché supportata da
strumenti (ambiente, linguaggio, ecc.) specializzati nella direzione delle caratteristiche
del problema da risolvere, sia possibile anche per i non programmatori.
Sviluppare strumenti che consentano a per-
sone non particolarmente esperte né interessate ad approfondire la disciplina dell’informatica di istruire il computer a risolvere specifici problemi è un’area di ricerca
fiorente. In particolare, gli studi di Bonnie
Nardi (1993) indicano che utenti esperti in
un dominio, o motivati a praticarlo, riescono ad apprendere e gestire linguaggi formali adeguati a quel dominio. Ne sono esempio una classe di strumenti come i fogli elettronici o gli ambienti di analisi statistica che
forniscono un linguaggio di programmazione usabile per estendere le funzionalità
del sistema. Strumenti di questo tipo hanno
consentito lo sviluppo di una popolazione
di utenti che, a diversi livelli di competenza,
usano le funzionalità di programmazione
disponibili.
Trasferire queste considerazioni nel mondo
dei bambini implica, innanzitutto, ipotizzare che per loro sia possibile gestire il livello
di complessità insito nel controllo del comportamento di un robot. Se questa ipotesi è
verificata, ha senso porsi il problema di costruire un ambiente di programmazione per
bambini. Nell’ambito del progetto CAB abbiamo verificato che i bambini riescono a
interagire con costruzioni robotiche laddove il contesto sia ben strutturato (approfondiremo queste considerazioni nella sezione
dedicata ad alcune esperienze realizzate).
Ma qual è il modello concettuale più adeguato alla definizione dei comportamenti di
un robot? Vediamo un esempio. Vogliamo
che un veicolo giri intorno a un baule a base quadrata. Un neofita tenderebbe a impostare la soluzione come se avesse a disposizione un’automobile controllata con un telecomando, e dal punto di vista della programmazione ad adottare uno stile imperativo, proponendo la seguente soluzione:
“Vai avanti di un lato”, “Gira a sinistra di 90
gradi” e “Ripeti queste due istruzioni per
gli altri tre lati”, nello stile della tartaruga
Logo. Ma i robot sono dotati di sensori che
consentono di “percepire” l’ambiente circostante e reagire di conseguenza: programmare un robot implica così gestire più
sensori contemporaneamente in tempo reale. Il modello imperativo di programmazione, che è adeguato ad un ampio spettro di
situazioni (calcolo scientifico, gestionale,
ecc.), mostra così la corda nel contesto della programmazione di robot [Resnick,
1991; Papert, 1993].
Se aggiungiamo, ad esempio, al nostro veicolo un sensore di contatto possiamo affrontare il problema in modo radicalmente
diverso, simulando il comportamento di
numero 3-2002
guito descriviamo in dettaglio uno di questi
componenti.
Ai bambini piace aggiungere voci e suoni
registrati alle loro costruzioni realizzate al
computer. È emersa pertanto la necessità di
un piccolo registratore digitale in grado di
dare “voce” ai robot costruiti. Dal punto di
vista del rapporto design-funzionalità, abbiamo ritenuto opportuno prevedere un’interfaccia operativa indipendente dal mattoncino programmabile: un pulsante per registrare e uno per riprodurre il suono posti
sul registratore stesso. Il prototipo realizzato permette di registrare due brevi messaggi e può essere controllato sia manualmente
che da software. L’esperienza con i bambini
ha, però, mostrato l’esigenza di aumentare
sia il numero che la durata dei messaggi.
Un’alternativa possibile è quella di privilegiare la trasparenza dell’interfaccia associando un solo componente ad ogni messaggio.
Se si vogliono messaggi più lunghi è sufficiente collegare i registratori tra di loro in
sequenza [Ananny, 2001], consentendo la
costruzione di una storia attraverso la manipolazione dell’ordine dei registratori. In
questo modo sono possibili progetti con
complesse interazioni tra sensori e sequenze
sonore: per esempio, i bambini possono
progettare un “muro dei suoni” che riproduca sequenze diverse se fa caldo, se si tocca un punto sensibile, se due mattoncini si
scambiano un segnale, ecc. Proporre le stesse possibilità per lo scenario dei Veicoli pone vincoli costruttivi sulle dimensioni e peso dei componenti, che portano non a moltiplicare i registratori, ma a progettarne uno
piccolo, complesso e flessibile anche se forse più opaco nel suo design.
La fabbrica dei robot
11
Per una descrizione dettagliata sul funzionamento del sensore di luce, si
veda [Giordano, 2002]
in questo numero.
figura 3
Una rappresentazione
schematica di un veicolo
con due sensori di contatto. Il menu dei comportamenti è selezionato, permettendo di scegliere tra i comportamenti disponibili appropriati alla configurazione corrente di input e
output o la definizione
di uno nuovo.
TD27
numero 3-2002
60
chi, trovandosi al buio, debba circumnavigare un ostacolo seguendone il contorno
con la mano. Il programma viene costruito
mettendo in relazione le informazioni che
pervengono dai sensori con i comandi da far
eseguire ai motori. Costruire con pezzi LEGO un robot che “tasta” il muro mentre
avanza è complesso; risulta più semplice far
oscillare tutto il veicolo in modo che vada
avanti a zig-zag: il robot si allontana dal
muro quando il sensore lo tocca e si riavvicina quando perde il contatto. La relazione
tra input e output sarà quindi: “se il sensore tocca, accendi il motore dal suo lato e
spegni quello dal lato opposto; se non tocca, spegni il motore dal suo lato e accendi
quello dal lato opposto”.
Questo tipo di soluzione offre una serie di
vantaggi su quella imperativa: il comportamento emerge dall’interazione tra il robot e
l’ostacolo indipendentemente dalla sua forma o dalle sue dimensioni. Inoltre, questo
approccio consente, con minime modifiche
morfologiche, di risolvere anche altri problemi: ad esempio, se volessimo far seguire al robot una linea sul pavimento11, sarebbe sufficiente sostituire il sensore di contatto con
uno di luce mantenendo inalterata la struttura del programma. Il robot seguirà a zig-zag
il contorno della linea. In tutti questi casi,
piuttosto che rappresentare nel programma
la mappa della realtà, è lo stesso “campo di
gioco” che funziona da mappa di sé stesso
[Brooks, 1991]. In tutte le situazioni in cui
non sono note a priori le caratteristiche dell’ambiente (la forma e le dimensioni dell’ostacolo, il tracciato della linea, ecc.) al robot
è richiesta una dimensione di adattività conseguibile grazie all’uso di sensori.
L’orientamento al dominio
Si è scelto di rappresentare i comportamenti dei robot per mezzo di regole composte
da condizioni per i sensori e da azioni per
gli attuatori. Una regola associa una condizione (un test sullo stato di un sensore) a
una sequenza di azioni (comandi per gli attuatori): ad esempio, “Se il sensore di luce
rileva un valore elevato di luminosità allora
accendi il motore”. La facilità d’uso di questo sistema a regole dipende dalla disponibilità di condizioni e azioni che incapsulino
i dettagli del funzionamento dell’hardware
e siano direttamente operativi. A sua volta,
l’usabilità di condizioni e azioni dipende da
assunzioni sul tipo di costruzione: ad esempio, un veicolo con due motori può muoversi avanti e indietro, girare a destra e a sinistra. Ciò permette di definire comandi per
il veicolo analoghi a quelli della tartaruga
del Logo. Quindi, per ogni tipologia di costruzione, l’ambiente di programmazione
mette a disposizione una serie di primitive
(condizioni e azioni) specializzate.
Il comportamento complessivo di una costruzione emerge dalla composizione di
comportamenti elementari che agiscono in
maniera indipendente, ma concomitante.
Per esempio, un veicolo con sensori di contatto che si muove reagendo ad eventuali
ostacoli può essere controllato da due comportamenti: il primo dice al veicolo di muoversi in avanti; se si incontra un ostacolo, interviene un secondo comportamento per
dire al robot di indietreggiare e girare nella
direzione opposta al lato dell’urto. Il comportamento può essere costruito e provato
in maniera incrementale ed indipendente
nelle sue componenti. Nel caso in cui più
comportamenti governino contemporaneamente uno stesso attuatore un meccanismo
di priorità decide chi detiene il controllo
delle azioni. Nell’esempio del veicolo che si
muove tra gli ostacoli, il comportamento
che gestisce gli urti è prioritario su quello
che controlla il movimento in avanti del veicolo [figura 3].
L’ambiente di programmazione si presenta
innanzitutto come un laboratorio di progetti, che ospita sia la galleria di quelli già
esistenti che la possibilità di definirne uno
nuovo. Un progetto, a sua volta, contiene
sia i programmi che la documentazione
multimediale del lavoro (foto, filmati, commenti sonori, testi) ed è composto da una o
più costruzioni. L’ambiente permette di
definire tipologie diverse di costruzioni per
sostenere la specializzazione delle componenti (comportamenti, condizioni e azio-
La fabbrica dei robot
figura 4
Le due regole che definiscono il comportamento
“urto”. N.B.: l’interfaccia visualizza solo le condizioni e azioni associate
ai dispositivi di input e
ouput selezionati.
61
TD27
Il supporto metacognitivo e sociale
Formalizzare mediante regole il comportamento di un robot ha importanti implicazioni sul piano cognitivo e metacognitivo.
Da un lato, la regola reifica la relazione di
causa-effetto e fornisce ai bambini e ai loro
insegnanti un importante strumento linguistico per astrarre i comportamenti reattivi
(“Se la temperatura aumenta, il robot accende il motore della ventola”).
Dall’altro, l’immediatezza di interpretazione e la leggibilità delle regole consentono
non solo di parlare facilmente del problema,
ma anche, in retrospettiva, di ripercorrere i
processi di soluzione messi in atto (“… poi
abbiamo aggiunto questa regola, per insegnare al robot ad accendere il ventilatore
quando fa caldo …”), specie quando le scelte di programmazione effettuate non producono i comportamenti attesi. Caratteristica tipica del lavoro dei bambini è, infatti,
quella di prefigurare un contesto ampio ed
articolato dove le fantasie prendono corpo
ed evolvono coinvolgendo più attori (si veda l’esempio riportato più avanti dei “Mostri e Difensori”). Un progetto in evoluzione ha quindi bisogno di forme atte a sostenere la memoria del lavoro compiuto, sia in
termini di documentazione che di storia
delle scelte costruttive e programmatiche,
eventualmente ripercorribile.
L’ambiente prefigura, inoltre, un contesto
sociale d’uso articolato su tre ruoli: i bambini, gli insegnanti, gli esperti. I bambini
collaborano tra loro e con gli insegnanti in
tutte le fasi del lavoro, dall’identificazione
del problema all’invenzione di una soluzione appropriata e alla sua realizzazione: discutono e si confrontano sulle alternative
possibili, ispezionano esempi e semilavorati,
li modificano nei parametri e nella struttura;
esplorano le potenzialità e i limiti della tecnologia; si impegnano in un processo iterativo di costruzione socialmente condivisa in
cui le ipotesi che emergono vanno soggette
sia al vaglio del gruppo, sia alla verifica sperimentale.
Gli insegnanti mediano tra bambini e tecnologia quel tanto che basta per rendere
fluido il processo, senza deprimere la creatività e la motivazione dei bambini. Alcune
funzioni di configurazione dell’ambiente di
programmazione sono finalizzate a renderlo adattivo rispetto alle esigenze del gruppo
e del particolare problema in esame: un insegnante può, ad esempio, configurare facilmente l’interfaccia, cambiando le icone e i
nomi associati agli oggetti manipolati dal
programma (azioni, condizioni, comportamenti). Ma è anche possibile (e operativamente facile) per un insegnante modificare
numero 3-2002
ni). La scelta del tipo di costruzione permette di fare delle assunzioni sulle sue componenti meccaniche. Ad esempio, un veicolo è dotato di uno chassis con due motori e
quindi può muoversi e girare. Quando lo si
dota di sensori appropriati, il veicolo può
seguire una serie di comportamenti predefiniti quali “Segui una linea”, “Cerca la luce”,
“Segui un muro”. L’ambiente è capace di
suggerire comportamenti appropriati a seconda dei sensori usati in una data costruzione [vedi figura 3]. Quando si definisce
un nuovo comportamento, solo le condizioni e azioni appropriate alla configurazione hardware corrente sono presentate [vedi
figura 4]. Grazie a questo meccanismo di
specializzazione è possibile far evolvere
l’ambiente secondo le necessità dettate dagli specifici progetti dei bambini.
L’interfaccia software cerca di rendere evidente cosa è possibile fare con il mattoncino programmabile organizzando le funzionalità in scatole che contengono componenti dello stesso tipo [vedi figura 3]. La
struttura in scatole riflette, inoltre, una distinzione tra concreto e virtuale: sensori e
attuatori fisici; funzionalità presenti nel
mattoncino (ad esempio, suoni e messaggi)
che non sono associate a componenti fisiche
collegabili; strumenti virtuali, quelli cioè
costruiti con il software, quali orologi e
contatori. Questa tassonomia, riflessa nella
struttura operativa dell’interfaccia, permette ai bambini di scoprire le funzionalità disponibili secondo una logica che va dal concreto all’astratto.
La fabbrica dei robot
TD27
numero 3-2002
62
diversi parametri di configurazione di azioni e condizioni predefinite: ad esempio, i
fattori di scala associati alle durate temporali di azioni quali “Avanti” o le soglie di sensibilità sui vari sensori.
Gli esperti nella programmazione di robot
possono estendere ulteriormente l’ambiente per integrare la definizione di nuove tipologie di costruzioni.
ALCUNE ESPERIENZE
REALIZZATE CON I BAMBINI
Nel progetto CAB la sperimentazione si è
articolata nell’arco due anni e ha coinvolto
tre scuole dell’infanzia ed una scuola elementare del Comune di Reggio Emilia e tre
scuole elementari in Svezia. Per una descrizione approfondita rimandiamo ai rapporti
finali dei partner educativi [CRE, 2001;
Gustafsson e Lindh, 2001]. Qui ci limitiamo a proporre la rilettura di tre esperienze
realizzate nelle scuole dell’infanzia, con l’obiettivo di esplicitare le relazioni tra ricerca
in classe e progettazione e sviluppo dell’ambiente di programmazione usabile anche
dai bambini di cinque anni.
Anche e soprattutto per questa fascia di età,
le esperienze riportate ci permettono di argomentare che: 1) non ci sono ostacoli cognitivi alla programmazione di costruzioni
cibernetiche da parte dei bambini in presenza di un contesto ben definito e di strumenti specializzati; 2) per sostenere la complessità presente nei progetti dei bambini
bisogna fornire un modello che incapsuli i
dettagli implementativi; 3) l’ambiente proposto riveste carattere di usabilità, in quanto dotato di caratteristiche atte a renderlo
appetibile, ispezionabile secondo una data
granularità e “trattabile” (oggetto di discussione e di riflessione anche metacognitiva).
Specifico o generico?
Un gruppo di bambini della scuola “La Villetta” ha usato il kit specializzato RoboSports, sviluppato dalla LEGO per permettere ai visitatori del LEGOLAND park di
partecipare a gare di robot. Il kit comprende un campo di gara per due squadre che
competono nella realizzazione di un veicolo che porti il maggior numero possibile di
palline in buca. Il campo è costituito da un
tavolo con due piste ognuna composta da
una linea nera e una buca retroilluminata.
Le componenti meccaniche sono specializzate per costruire un set limitato di veicoli
capaci di trasportare e spingere le palline in
buca. L’ambiente software fornisce primitive quali il comportamento di “Segui una li-
nea”, interrompibile quando il sensore di
luce “vede” la buca retroilluminata, e comandi di traslazione e rotazione per spingere le palline in buca. Il kit è completato da
video esplicativi per guidare gli utenti nella
costruzione e programmazione dei veicoli.
Alla scuola “La Villetta” i genitori e gli insegnanti hanno ricreato il campo da gioco e
i bambini hanno costruito e programmato i
veicoli per la gara.
L’esperienza ha dimostrato che i bambini
riescono a gestire il compito e, cosa più importante, ad appropriarsi del linguaggio
formale utilizzato per descrivere i loro tentativi e ragionare in gruppo sul problema.
Infatti, la specializzazione delle componenti ha reso semplice la costruzione di un veicolo adeguato al compito; l’ambiente di
programmazione visivo, che fornisce un set
limitato di primitive, ha consentito ai bambini di comporre autonomamente il programma. Inoltre, i bambini hanno usato le
icone dei comandi per annotare il campo di
gara e discutere sugli effetti delle istruzioni
impartite al robot quando queste non sortivano l’effetto desiderato [CRE, 2000].
RoboSports ha dimostrato di essere un
buon esempio delle potenzialità del mattoncino programmabile, in quanto propone
un contesto specifico e rende disponibili costrutti linguistici ad hoc per la soluzione del
problema presentato. Il suo limite sta però
nell’essere troppo specializzato: le componenti hardware e software si possono usare
solo per questa gara, o per gare di questo tipo, ma non possono essere trasferite ad una
gamma più ampia di situazioni, finendo con
l’ostacolare la creatività e lo sviluppo di progetti originati direttamente dai bambini.
Sostenere la complessità
Restiamo nella tipologia di gare di robot,
questa volta con un progetto che è il risultato dell’immaginazione e del lavoro dei
bambini. Nella scuola “Neruda” l’interesse
che i bambini di una sezione avevano coltivato negli anni per i mostri ha fornito lo
spunto per un progetto che esplorasse forme di vita artificiale. Questa “vita” si sviluppa ed evolve secondo la frequenza e la qualità delle relazioni tra gli “attori”, i Mostri e
i Difensori della città [Barchi et al, 2001].
I mostri attaccano la città, gli abitanti costruiscono mura e trappole per difendersi e
organizzano una squadra di difensori per tener lontani i mostri. I mostri e i difensori sono stati costruiti cercando di definire comportamenti che rendessero conto di una dinamica di scontro in cui non sono chiari
La fabbrica dei robot
Questo progetto è risultato essere un buon
esempio dello stile di interazione con oggetti cibernetici che Edith Ackermann definisce come “Giocare allo psicologo”
[Ackermann, 1991, 2002]. “Giocare allo
psicologo” e “Giocare all’ingegnere” costituiscono i due estremi di ruoli potenziali
che i bambini assumono quando interagiscono con kit di costruzioni cibernetiche.
Nel primo, prevale l’atteggiamento di osservazione in cui i bambini tipicamente si
interrogano sulla natura dell’oggetto che
hanno di fronte (sulle sue intenzioni, “intelligenza”, ecc.), nel tentativo di capirne
l’intima natura; nel secondo, prevale l’atteggiamento costruttivo o di modifica degli
oggetti e dei loro comportamenti. Ma i
bambini, sostiene Ackermann, oscillano
continuamente tra questi due estremi, esistendo infatti gradi diversi di breakdown e
di situazioni in cui la componente dello psicologo e quella dell’ingegnere vengono calibrate e combinate diversamente.
Diventare programmatori
«Siamo diventati dei programmatori di
robot!
È vero! Questa è una scuola di programmatori! Possiamo fare tante cose!
Abbiamo scoperto tre segreti:
il primo è che due pezzettini del metro
fanno una mattonella;
il secondo è che se l’uccellino tocca il sensore di piegamento il registratore fa cip cip;
il terzo è che i robot con la busta e la cassetta delle lettere si possono parlare.»
[CRE, 2001]
63
TD27
Nella scuola “La Villetta” alcuni bambini di
cinque anni dell’anno scolastico 1999/
2000 avevano cercato di ridare vita ad un
ramo di un albero del giardino che si era
spezzato durante una nevicata. Il ramo era
stato portato dentro la scuola e “fornito di
nuova vita” con l’aggiunta di sensori e attuatori che gli permettevano di reagire alla
luce, al contatto con le foglie, ecc.
Nel successivo anno scolastico altri bambini, che nell’anno precedente avevano assistito all’inserimento del ramo nella vita della
scuola, hanno deciso di estendere il progetto aggiungendo un uccellino che nel duro
inverno chiede aiuto ad un amico robot per
procurarsi del cibo. Il robot porta le briciole di pane sotto l’albero e chiama il suo amico uccellino che scende a raccoglierle.
Questi bambini, che sono cresciuti in una
realtà in cui le costruzioni cibernetiche erano già presenti e l’idea di programmazione
numero 3-2002
dall’inizio né l’evoluzione né l’esito. Su un
grande tavolo i bambini hanno realizzato lo
scenario e aggiunto quattro veicoli (due difensori e due mostri). I mostri hanno due
sensori di contatto programmati per aggirare eventuali ostacoli e un sensore di luce
puntato sul tavolo che arresta il veicolo se
incontra una zona di colore nero. Il nero
identifica sia le trappole che l’ingresso della
città. Inoltre, i mostri hanno una pila montata sul dorso che li rende riconoscibili dai
difensori. Questi ultimi hanno un sensore di
luce che permette loro di muoversi nella direzione di attacco.
Questa prima definizione dei comportamenti ha fatto sì che i mostri e i difensori,
dopo un primo urto, avanzassero a caso sul
campo di gara senza un chiaro obiettivo.
Soltanto casualmente un mostro finiva in
trappola o riusciva a entrare in città; i difensori vagavano senza una chiara strategia per
bloccare i mostri, con cui a volte si scontravano. I bambini si sono resi conto dei limiti e hanno proposto alcune alternative, ma
gli insegnanti hanno incontrato un ostacolo
nel realizzare i meccanismi di “attrazione”
tra i difensori e i mostri, e tra i mostri e la
città. È stato a questo punto fondamentale
il contributo degli esperti che hanno suggerito due possibili modifiche al progetto per
realizzare l’attrattività: introdurre delle piste di altro colore che indicassero ai mostri
la direzione per arrivare alle porte della città
e modificare il programma dei difensori attivando un meccanismo di ricerca dei mostri, consistente nel girarsi intorno per rilevare la direzione della luce. Queste proposte sono state discusse dagli insegnanti con
i bambini, che hanno modificato lo scenario
e i robot ottenendo comportamenti infine
conformi ai desiderata.
Questo lavoro ha coperto un arco temporale piuttosto lungo e articolato in varie fasi:
progettazione e realizzazione dello scenario; realizzazione, programmazione e sperimentazione; modifica dei comportamenti.
La partecipazione in qualità di esperti a
questa attività ha consentito agli autori di
questo articolo, impegnati nella progettazione dell’ambiente software descritto in
precedenza, di appurare i seguenti aspetti: è
possibile catturare la complessità di progetti di questo tipo nel modello proposto;
comportamenti complessi quali quelli evidenziati da questa esperienza difficilmente
possono essere sviluppati in autonomia dai
bambini, ma possono far parte di un repertorio di componenti specializzati applicabili
e ispezionabili direttamente dai bambini.
La fabbrica dei robot
figura 5
La definizione del comportamento che dice al
robot di muoversi in
avanti quando riceve un
messaggio. Nell’angolo
in alto a sinistra sono
mostrati tre sensori:
quello dei messaggi (selezionato), uno di suono e
uno di luce. Per far
muovere il robot “Avanti 12” i bambini hanno
usato due comandi (10 +
2), poiché l’interfaccia
prevede uno slider (non
mostrato in figura) che
limita la scelta del valore del parametro all’intervallo [0 ... 10].
TD27
numero 3-2002
64
era stata sperimentata con RoboSports,
hanno trovato naturale realizzare e programmare le loro idee con un prototipo di
ambiente messo loro a disposizione.
Le frasi riportate all’inizio della sezione testimoniano il loro livello di consapevolezza
raggiunto alla fine dell’esperienza. Durante
il progetto i bambini hanno dovuto risolvere una serie di problemi. Il primo era quello di determinare il valore da dare al comando “Avanti” per far sì che il robot si
muovesse di sei mattonelle sul pavimento.
“Due pezzettini del metro fanno una mattonella” esemplifica il percorso che i bambini hanno seguito per correlare il parametro
del comando “Avanti”, reso disponibile dal
nostro ambiente per i Veicoli, con l’effettivo spazio percorso dal robot. I bambini
hanno costruito uno strumento di misura,
che hanno chiamato “metro”, per associare
il valore del parametro ad un elemento del
contesto, le mattonelle del pavimento. Poiché di quanto si muove un veicolo è funzione delle scelte fatte nella sua costruzione, il
software permette di modificare un coefficiente di scala per rendere significativi i valori del parametro. Questa operazione di taratura è stata eseguita dagli insegnanti; i
bambini hanno eseguito le misure e, verificato che bisognava muoversi in avanti di 12,
hanno scomposto questo risultato inserendo due comandi “Avanti” (10 + 2), visto
che l’interfaccia forniva uno slider con valori da 0 a 10 [figura 5].
Quest’esperienza ci ricorda che quando i
bambini sono motivati riescono a mantenere a lungo la concentrazione e dimostrano
competenze che in genere non ci si aspetta
a quest’età. Poiché abbiamo scelto di rap-
presentare il parametro di “Avanti” solo
con un numero, senza specificarne l’unità di
misura, abbiamo favorito l’interpretazione
dei bambini secondo cui il parametro indica
una distanza. In realtà, il parametro controlla il tempo di accensione dei motori, ma
portare in primo piano questo dettaglio costringerebbe a tener conto della corrispondenza tra tempi e distanze. Ciò è stato risolto dall’intervento degli insegnanti che
hanno opportunamente tarato il fattore di
scala per far corrispondere “Avanti 2” ad
una mattonella, permettendo così ai bambini di controllare la situazione.
I bambini hanno realizzato il loro progetto
in modo da poter raccontare la storia mentre veniva rappresentata dall’uccellino e dal
robot. I punti di sincronizzazione sono essenziali al buon risultato della messa in scena: il robot deve iniziare a muoversi quando
l’uccellino lo chiama, e l’uccellino deve
scendere quando il robot arriva sotto l’albero. Una prima soluzione è stata quella di
usare un sensore di suono per ascoltare la
voce dell’uccellino (“se l’uccellino tocca il
sensore di piegamento il registratore fa cip
cip”). Questa soluzione, però, non ha retto
alla verifica sperimentale. Il sensore di suono non distingue tra cinguettio e altri rumori attivandosi quindi in presenza di qualunque tipo di suono. L’organizzazione per
scatole dell’interfaccia iconica ha aiutato i
bambini a esplorare possibili alternative e
scoprire autonomamente che “i robot con
la busta e la cassetta delle lettere si possono
parlare”. Lo scambio di messaggi ha fornito
un robusto meccanismo di sincronizzazione permettendo ai bambini di riprogrammare il robot portapane (figura 5) e completare il loro progetto adottando un meccanismo analogo per dire all’uccellino di
scendere a mangiare quando il robot raggiunge l’albero.
L’evoluzione del progetto e il modo in cui i
bambini sono riusciti a gestire i problemi
sorti durante le fasi di programmazione sottolinea l’appropriabiltà e trattabilità dell’interfaccia proposta.
CONCLUSIONI
Il progetto CAB ha risposto in modo affermativo alla domanda: è possibile imparare
costruendo robot nella scuola dell’infanzia?
Non sembrano infatti esserci ostacoli cognitivi alla programmazione di costruzioni cibernetiche da parte dei bambini in presenza
di un contesto ben definito e di strumenti
specializzati. L’esplorazione della sensorialità, reattività, controllo e autonomia e lo
La fabbrica dei robot
RINGRAZIAMENTI
Il lavoro descritto in questo articolo non sarebbe stato possibile senza l’impegno, l’entusiasmo e la creatività dei bambini e degli
insegnanti delle scuole svedesi e italiane che
hanno partecipato al progetto CAB. In particolare siamo debitori ai bambini della
scuola “La Villetta” del titolo di questo articolo.
I nostri partner sono stati portatori di
istanze e punti di riferimento diversi, cia-
figura 6
Una versione tangibile
della definizione del
comportamento “urto”.
Le etichette sulla stazione a cui si connettono i
tasselli ne indicano le
funzionalità: a) per definire una regola, connettere condizioni e
azioni su questo lato; b)
la regola corrente può essere usata per definire
un comportamento inserito in questo slot; c) la
porta di comunicazione
con il PC; d) uno slot aggiuntivo per ridefinire il
significato di un tassello
di condizione o azione.
65
TD27
et al, 2002]. Una versione tangibile dell’ambiente di programmazione descritto
precedentemente potrebbe realizzare la visione di mischiare Atomi e Bit in maniera
concreta e facile da usare [figura 6]. Comportamenti, condizioni e azioni potrebbero
essere dei tasselli fisici che contengono l’elettronica necessaria a riconoscere automaticamente la topologia del puzzle [Gorbet
et al, 1998] e a generare il programma corrispondente. I bambini potrebbero lavorare
in modo cooperativo manipolando le componenti della programmazione così come
fanno con le parti fisiche della costruzione.
Ciò non sostituirebbe il computer, ma lo integrerebbe portando il suo ruolo sullo sfondo nelle fasi costruttive e in primo piano in
quelle di riflessione e documentazione.
numero 3-2002
sviluppo delle teorie associate sono favoriti
nei bambini dal confronto con la costruzione di oggetti cibernetici che le reificano.
L’ambiente di programmazione proposto
permette di adattare le primitive messe a disposizione alle tipologie di costruzioni usate dai bambini nei loro progetti. Le scelte
progettuali per l’interfaccia si sono rivelate
accessibili ed usabili anche dai bambini di
cinque anni, consentendo loro di programmare i comportamenti delle costruzioni e
soprattutto di risolvere i problemi sorti durante l’evoluzione dei progetti.
I risultati raggiunti vanno comunque riferiti ad un contesto di ricerca dove la mediazione degli adulti poteva avvalersi di risorse,
competenze e tempi di lavoro difficilmente
rintracciabili nei normali contesti educativi.
Nell’ambito del progetto abbiamo sviluppato alcune idee su possibili evoluzioni del
materiale costruttivo che potrebbero permettere un uso creativo e più autonomo del
materiale per i bambini e forse aprire la strada a sperimentazioni per una fascia di età di
quattro anni [Ackermann, 2002]. Una prima indicazione riguarda un’ulteriore riduzione della complessità meccanica delle costruzioni: il kit, ad esempio, dovrebbe prevedere componenti pre-assemblate che permettano trasformazioni semplici di movimenti (da rotatorio orizzontale a rotatorio
verticale, da veloce ma debole a lento ma
potente, ecc.) senza scendere al livello dei
singoli ingranaggi; oppure introdurre nuovi
sensori e attuatori per aprire la strada ad attività costruttive che prevedano una pluralità di materiali, non solo LEGO, in cui
emerga da subito il ruolo della programmazione, come nello scenario del “muro dei
suoni”.
Un’altra indicazione riguarda il design dei
singoli componenti per migliorarne la leggibilità. Le componenti attive del kit, i sensori e gli attuatori, dovrebbero infatti rivelare
la loro natura sia proponendo una plastica
trasparente che permetta di vedere le parti
interne, sia aggiungendo una risposta visiva:
per esempio, l’aggiunta di una barra di LED
sui sensori darebbe un’indicazione dell’intensità dell’input.
Infine, ci siamo chiesti: perché i bambini
non dovrebbero poter costruire i programmi con componenti tangibili così come fanno con i LEGO? Questo approccio, che va
sotto il nome di “programmazione tangibile” [Suzuki e Kato, 1995], è un settore di
ricerca fiorente in cui sono presenti molti
progetti indirizzati ai bambini [McNerney,
1999; Wyeth & Wyeth, 2001; Montemayor
La fabbrica dei robot
scuno dei quali ha concorso alla realizzazione di un approccio multidisciplinare e
multiculturale che si è profondamente avvantaggiato della varietà e delle differenze
preesistenti. Vogliamo ricordare in particolare Paola Barchi, Gino Ferri, Giovanni
Piazza e Maura Rovacchi delle scuole dell’infanzia del Comune di Reggio Emilia
per aver mantenuto sempre presente nel
nostro lavoro il punto di vista dei bambini;
Gaute Munch e Martin Rausch della LE-
GO A/S per il loro contributo all’ambiente di programmazione.
Siamo grati a Edith Ackermann per aver accettato di scrivere un articolo insieme fornendo un punto di vista complementare sul significato della programmazione per i bambini e aiutandoci a riflettere sul nostro lavoro.
Vincenza Benigno e Donatella Persico hanno rivisto versioni preliminari di questo articolo fornendo preziose indicazioni per migliorane la leggibilità.
PER SAPERNE
DI PIÙ
Chi vuole approfondire le tematiche della robotica educativa
ha a disposizione diverse fonti di informazione. Nel seguito è
riportata una selezione di riferimenti bibliografici e siti web1
che privilegia materiali relativi al LEGO MindStorms. Infine si
propone un elenco di altri prodotti per la robotica educativa.
66
Una bibliografia su LEGO MindStorms
Una raccolta di progetti per ragazzi della scuola media:
Erwin B. (2001), Creative Projects with LEGO Mindstorms,
Addison-Wesley Pub Co, Boston, MA.
Un libro di testo per un corso introduttivo a livello universitario:
Martin F. G. (2001), Robotic Explorations: An Introduction to
Engineering Through Design, Prentice Hall, Upper Saddle River, NJ.
Libri che trattano la robotica a livello hobbistico e presuppongono competenze ingegneristiche e di programmazione:
Bagnall B. (2002), Core LEGO MINDSTORMS Programming:
Unleash the Power of the Java Platform, Prentice Hall, Upper
Saddle River, NJ.
Baum D. (2002), Dave Baum’s Definitive Guide to LEGO
Mindstorms, 2nd edition, Apress, Berkeley, CA.
Baum D., Gasperi M., Hempel R., Villa L. (2000), Extreme
Mindstorms: an Advanced Guide to LEGO Mindstorms,
Apress, Berkeley, CA.
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Mindstorms: The Ultimate Tool for Mindstorms Maniacs, Syngress Media Inc., Rockland, MA.
Laverde D. (ed.) (2002), Programming Lego Mindstorms with
Java, Syngress Media Inc., Rockland, MA.
TD27
numero 3-2002
Materiali didattici
Il Center for Engineering Educational Outreach della Tufts University mette a disposizione:
The LEGO Curriculum Site:
http://www.ceeo.tufts.edu/curriculum/
The Science and Engineering NASA Site of Remote Sensing:
http://www.ceeo.tufts.edu/sensors/
Il MediaLab del MIT offre un’enciclopedia di costruzioni robotiche (constructopedia):
http://constructopedia.media.mit.edu/
Il sito della Playful Invention and Exploration (PIE) Network),
una rete di musei americani che in collaborazione con il MIT
Media Lab sviluppa progetti e attività per integrare scienza,
tecnologie e arte:
http://www.smm.org/pie/
Materiali informativi e software
I LEGO User Groups dedicati alla robotica costituiscono la più
vasta e aggiornata fonte di informazioni su questo tema:
http://news.lugnet.com/robotics/
Ulteriori linguaggi e ambienti per programmare il LEGO MindStorms:
Not Quite C (NQC) è un linguaggio Open Source in sintassi
C. http://www.baumfamily.org/nqc/
Bricx Command Center è un ambiente di sviluppo Open
Source per utilizzare il linguaggio NQC in ambiente Windows.
http://hometown.aol.com/johnbinder/bricxcc.htm
LeJos è un linguaggio Open Source in sintassi JAVA.
http://lejos.sourceforge.net/
MindRover è un videogioco dove uno o più giocatori costruiscono e programmano robot virtuali che competono in missioni varie. Ne esiste una versione che permette sia di simulare il comportamento di un robot fisico all’interno del videogioco, che di scaricare il programma creato sul robot reale.
http://www.mindrover.com/
Prodotti
Il LEGO MindStorms è il prodotto di maggior successo in questo ambito. Esistono però altre offerte significative che coprono
un ampio spettro di esigenze a cui corrispondono livelli di usabilità diversi. Per esempio TechnoK’NEX è un mattoncino programmabile compatibile con vari kit meccanici, tra cui LEGO
Technic; gli altri kit di costruzione richiedono competenze ingegneristiche poiché permettono di integrare componenti elettronici esterni. In alcuni casi il prodotto di base è lo stesso ma la
veste commerciale ne propone specializzazioni diverse: Il tuo
Robot De Agostini è una versione personalizzata del Basic
Stamps di Parallax. Infine Khepera e AIBO sono due robot mobili complessi e potenti che privilegiano gli aspetti di programmazione fornendo una struttura meccanica e apparati di input
integrati.
Basi per robot mobili
Khepera, http://www.k-team.com/robots/khepera/
Il tuo Robot (De Agostini), http://robot.deagostini.it/
Kit di costruzione
Basic Stamps versione education (Parallax),
http://www.stampsinclass.com/
Handy Board e Handy Cricket,
http://www.handyboard.com
TechnoK’NEX Computer Control System, http://www.knexeducation.com/leonardo.html
Robot mobili programmabili
AIBO della Sony si può programmare grazie al kit software
disponibile in http://www.aibo.com/openr/
1 Tutti i riferimenti sono aggiornati a ottobre 2002.
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riferimenti bibliografici
TD E DISABILITÀ • Robot e disabilità: alcuni progetti di ricerca
TD E
DISABILITÀ
Robot e disabilità:
alcuni progetti di ricerca
Com’è tradizione di questa rivista, anche per la Robotica Educativa cerchiamo di fornire,
senza alcuna pretesa di esaustività, riferimenti a ricerche che mirano a interpretare questo
settore nel contesto della didattica speciale. Nel seguito descriviamo brevemente tre iniziative: due relative all’autismo e una ai non vedenti.
■ Augusto Chioccariello, ITD-CNR, Genova
AUTISMO
I progetti AuRoRa e Mobile Robotic Toys as
Therapeutic Tools for Autism condividono
l’obiettivo di trasformare un robot mobile
in giocattolo intelligente capace di catturare l’attenzione di bambini autistici in interazioni coordinate e sincronizzate con l’ambiente. Poiché anche i bambini autistici sono, in genere, interessati a giocare con
computer o giocattoli meccanici, i progetti
cercano di aiutarli a sviluppare capacità di
interazione sociale lavorando in gruppo con
l’ausilio di robot mobili specificamente progettati per svolgere il ruolo di mediatori sociali interattivi.
Autonomous mobile Robot as a Remedial tool for Autistic children (AuRoRa)
è un progetto inglese svolto in collaborazione tra la Radlett Lodge School (una
scuola della National Autistic Society), la
Colnbrook School, la University of
Hertfordshire e la University of Reading.
Ulteriori informazioni possono essere reperite all’indirizzo:
http://www.aurora-project.com/
68
Mobile Robotic Toys as Therapeutic
Tools for Autism è un progetto del Mobile Robotics and Intelligent Systems Laboratory della Université de Sherbrooke, Canada. Ulteriori informazioni possono essere
reperite all’indirizzo:
http://www.gel.usherb.ca/laborius/
projects/Autism/
TD27
numero 3-2002
1
Il Cricket è il mattoncino
programmabile descritto
nell’articolo di Resnick et
al (Beyond Black Boxes: restituire trasparenza e estetica all’indagine scientifica) presente in questo
numero. “Cieco” in inglese è “blind”, quindi
un cricket progettato per
ciechi diventa un bricket.
NON VEDENTI
L’obiettivo del progetto Bricket è di creare
un kit di costruzione cibernetiche per non
vedenti e permettere loro di interagire in
maniera creativa con la tecnologia. Infatti, i
non vedenti usano diversi apparati tecnologici che li aiutano nei loro compiti quotidiani. Raramente, però, hanno l’opportunità di costruire i loro strumenti. Per permettere ai non vedenti di interagire con un
mattoncino programmabile questo è stato
dotato di output tattile, sonoro e di un sintetizzatore vocale. Il “bricket” è una versione del “cricket”1 progettata per persone cieche o ipovedenti al MIT Media Lab. Il
bricket è stato provato con ragazzi non vedenti che, per esempio, hanno costruito un
bastone elettronico per ciechi capace di rilevare ostacoli prima di toccarli.
Questo progetto è stato realizzato da Rahul
Bhargava per la sua tesi di master.
Ulteriori informazioni possono essere reperite all’indirizzo:
http://llk.media.mit.edu/projects/bricket/
VETRINA BSD • I robot LEGO
VETRINA
I robot LEGO1
LEGO® MINDSTORMS™ è una famiglia di prodotti che si distinguono per la fascia di mercato a cui si rivolgono e sono distribuiti attraverso differenti canali commerciali. Il prodotto
orientato alle famiglie si chiama Robotics Invention System (RIS), è commercializzato in versione italiana ed è reperibile presso i negozi di giocattoli che distribuiscono i prodotti LEGO.
Quello orientato alle scuole si chiama RoboLab, è disponibile solo in versione inglese ed è
distribuito in Italia dalla Media Direct s.r.l. A differenza del RIS, disponibile in un’unica configurazione, RoboLab è acquistabile in configurazione personalizzata: oltre agli stessi pezzi del RIS, con RoboLab è possibile acquistare singoli componenti, tra cui un micromotore e
sensori di livello professionale. Inoltre, i due kit usano differenti software per la programmazione del robot, e il mattoncino programmabile di RoboLab ha una presa per un alimentatore esterno.
La scheda dell’hardware descrive le caratteristiche comuni ai due kit, evidenziando quando necessario le differenze. Le schede successive sono dedicate ad illustrare gli ambienti di
programmazione associati ai due prodotti: RCXCode e RoboLab.
■ Augusto Chioccariello, Stefania Manca, Luigi Sarti, ITD-CNR, Genova
Abbiamo scelto di descrivere qui i prodotti per la
robotica della LEGO perché sono quelli citati nella maggior parte degli articoli di questo numero.
SCHEDA DELL’HARDWARE
Produttore:The LEGO Group
Distributore:
Robotics Invention System™
Negozi di giocattoli
RoboLab™
Media Direct s.r.l.,
Viale Asiago 63,
36061 Bassano del
Grappa (VI),
tel. 0424/504650,
fax 0424/504651
Data di pubblicazione: 1998, limitatamente al mercato statunitense e britannico. Il prodotto è stato commercializzato in Italia nel 1999.
Composto da:
Costo:
Robotics Invention System™
Il microcomputer RCX™; il CDROM con il software RCXCode
per il PC; la Constructopedia™, una raccolta di istruzioni per costruire esempi di robot; 3 Guided Challenges; 6
Pro Challenges; il dispositivo di
trasmissione ad infrarossi per
comunicare tra PC e RCX; 718
pezzi LEGO, tra cui 2 motori, 2
sensori di contatto, 1 sensore di
luce
RoboLab™
Dipende dalla configurazione scelta. Ad
esempio, “Starter Set”
comprende 3 motori, 1
micromotore, 4 mattoncini con lampadina, 3
sensori di luce, 4 sensori di contatto, 14 connettori, istruzioni per il
montaggio, ecc. L’RCX
va comprato a parte.
Maggiori dettagli sono
reperibili in http://
www.lego.com/dacta/
robolab/default.htm
Robotics Invention System™
Prezzo suggerito al dettaglio
199 $ USD. In Italia il costo si
aggira intorno ai 260 €
RoboLab™
Dipende dalla configurazione scelta. Ad
esempio, “Starter Set”
costa 369 € + IVA 20%.
69
Requisiti Tecnici: sistema operativo Windows 98; CPU Pentium II 233 MHz; RAM
32 MB; spazio disco disponibile su hard disk 115 MB; mouse Windows compatibile; scheda Sound Blaster 16™ Windows compatibile; CD-ROM 8X; video display 800 X 600 SVGA con 4 MB RAM, 16 bit di colore.
Robotics Invention System™
http://mindstorms.lego.com/
RoboLab™
http://www.lego.com/
dacta/robolab/
default.htm
TD27
Sito web
numero 3-2002
Il cuore del sistema LEGO MINDSTORMS è costituito dall’RCX Microcomputer [vedi figura 1], un dispositivo programmabile dal PC e dotato di:
• tre porte d’ingresso cui connettere i sensori;
• tre porte d’uscita per gli attuatori;
• una porta ad infrarossi per comunicare
con il PC o con altri RCX;
• un display che fornisce informazioni sullo
stato interno;
• quattro pulsanti per controllare l’accensione, la selezione del programma, la sua
esecuzione, la visualizzazione dei dati in
ingresso o in uscita;
• un generatore di suoni pilotabile da programma.
Alle porte d’ingresso possono essere collegati sensori di luce, di contatto (interruttori), di temperatura, di rotazione. L’attuatore più frequentemente usato è il motore, ma
esistono (non distribuite nel kit standard)
anche lampadine integrate in pezzi LEGO
che possono essere pilotate dall’RCX.
Nello scenario tipico, ad una porta seriale o
USB del PC viene connesso un dispositivo
di trasmissione ad infrarossi, attraverso cui
un’applicazione software residente su PC
(vedi le schede sul software) può scaricare
programmi eseguibili sull’RCX. Anche il
firmware (sistema operativo) che gestisce il
microprocessore deve essere trasferito dal
PC all’inizio e ogni volta che vengono sostituite le batterie. Una volta programmato,
il robot è autonomo e può dedicarsi all’esplorazione e all’interazione con l’ambiente
indipendentemente dal PC. È possibile, in
determinati contesti, far rilevare misure di
grandezze fisiche al robot, attraverso i sen-
1
VETRINA BSD • I robot LEGO
1,5 V; il dispositivo di trasmissione ad infrarossi nella versione seriale richiede una batteria da 9 V; nessun altro componente del
kit ha bisogno di batterie.
figura 1
TD27
numero 3-2002
70
sori di cui è dotato; tali dati potranno essere memorizzati dall’RCX e, in un secondo
tempo, caricati sul PC (sempre mediante
l’interfaccia ad infrarossi) per successive rielaborazioni. Infine, è anche possibile che il
PC controlli direttamente l’RCX, impartendo ad esso comandi direttamente eseguibili; in questo caso, ovviamente, il canale di
comunicazione tra RCX e PC deve rimanere costantemente attivo, per cui il robot non
può allontanarsi dalla zona di copertura del
dispositivo ad infrarossi (qualche metro nei
casi più favorevoli).
Il sistema operativo dell’RCX permette la
memorizzazione di 5 programmi separati,
selezionabili sia da PC che tramite un pulsante (“Prgm”). Insieme, i 5 programmi
devono spartirsi la memoria a disposizione.
Esaminando il display dell’RCX si possono
avere informazioni relative allo stato del robot: ad esempio, si può capire se e quale
programma è in esecuzione, terminato o in
fase di scaricamento da PC. Tramite un apposito pulsante (“View”) è, inoltre, possibile leggere direttamente il valore del dato
presente su una delle porte di ingresso o di
uscita: questa funzionalità risulta molto utile in fase di verifica del programma.
L’RCX è alimentato da 6 batterie stilo da
RCXCODE
RCXCode è l’ambiente iconico funzionante su PC in dotazione nel kit “Robotics Invention System 2.0”, per lo sviluppo di programmi di controllo del robot LEGO
MindStorms. Il programma viene composto assemblando “tessere” (che rappresentano istruzioni per il robot, o elementi di
controllo) in strutture grafiche bidimensionali, e può quindi essere salvato nel file system del PC (per un successivo recupero) o
scaricato sull’RCX e quindi eseguito.
Questo linguaggio di programmazione gestisce eventi, definiti come proprietà dei
sensori; ad esempio, quando la lettura di un
sensore supera un certo valore di soglia, viene generato un evento che produce l’esecuzione di una particolare sequenza di istruzioni. Eventi concomitanti possono essere
gestiti in parallelo.
Il programma Rover4 [vedi figura 2] controlla un veicolo che, dotato di due motori
e di un sensore di luce, cerca una linea nera e la segue. Le tessere verdi rappresentano azioni sui motori: ad esempio, “off A”
spegne il motore connesso alla porta d’uscita di sinistra. Gli eventi generati dal sensore di luce (connesso alla porta 2) sono
rappresentati dai due elementi a sfondo
blu: quando la lettura fornisce un valore
minore di 38 (scuro), viene spento il motore di sinistra e acceso quello di destra; viceversa, se il sensore legge un valore superiore a 40 (chiaro), il motore di destra viene
spento e quello di sinistra acceso. Inizialmente entrambi i motori vengono accesi.
L’effetto è che il veicolo segue a zig-zag il
margine della linea nera.
RCXCode consente di esplorare una ricca
collezione di esempi di programmazione;
organizza le funzionalità disponibili in categorie chiare e di facile uso; prevede la definizione di macrocomandi che realizzano
una forma rudimentale di astrazione funzionale. Come in molti ambienti iconici di
programmazione, l’interfaccia grafica impedisce al programmatore di commettere er-
VETRINA BSD • I robot LEGO
figura 2
71
figura 3
TD27
ROBOLAB
Anche RoboLab è un ambiente grafico di
programmazione. La metafora qui ospitata
è però quella del diagramma di flusso: in figura 3 è riportato lo stesso programma Rover4 nella rappresentazione di RoboLab. Le
icone dello schema rappresentano azioni e
controlli del programma; il semaforo verde
rappresenta il punto d’ingresso del diagramma, e quello rosso il suo elemento terminale. Le icone con le frecce sono rispetti-
vamente un “go to” e la relativa etichetta
d’arrivo; altre icone rappresentano i motori, il sensore di luce ecc. A differenza di
RCXCode (v. sopra) RoboLab non gestisce
gli ingressi in termini di eventi: la struttura
del programma è quindi basata su un ciclo
infinito di lettura dello stato del sensore e
controllo conseguente dei motori.
Frutto della collaborazione tra Tufts University, LEGO Education e National Instruments, RoboLab è un ambiente più
completo di RCXCode, in quanto rende
accessibili tutte le funzionalità offerte dall’RCX. Esso in genere viene riservato ad
utenti più esperti, anche se prevede versioni semplificate per utenti neofiti. RoboLab
offre, inoltre, diversi sottoambienti: “pilot”, destinato alle fasi introduttive; “inventor”, per successivi approfondimenti; “investigator”, per raccogliere, elaborare e visualizzare dati letti dai sensori. Ognuno di
questi ambienti è strutturato su vari livelli
di difficoltà, in cui le funzionalità vengono
rese progressivamente disponibili al crescere della competenza dell’utente. RoboLab
permette, inoltre, la gestione remota (via
Internet) del robot.
numero 3-2002
rori sintattici: se il costrutto che sto cercando di esprimere è inaccettabile per la grammatica del linguaggio, l’interfaccia semplicemente si rifiuta di connettere le tessere in
quel modo. La grafica accattivante e la modalità drag-and-drop, agevolata dal disporsi automatico delle tessere, sono un ulteriore punto di forza dell’applicazione. La facilità d’uso ha però un costo: il modello di
programmazione esposto dall’ambiente
non offre tutte le funzionalità disponibili
nell’RCX. Ad esempio, non è possibile con
RCXcode far sì che il robot raccolga una serie di misure in seguito trasferibili al PC per
successive rielaborazioni.
TD - Norme per la pubblicazione
72
Nei numeri precedenti
num. 1-1993
Che cosa sono
le tecnologie didattiche
TD2
num. 2-1993
Telematica e didattica
TD3
num. 1-1994
Tecnologie didattiche per
le discipline umanistiche
TD4
num. 2-1994
L’apprendimento cooperativo
TD5
num. 3-1994
Computer, apprendimento,
disabilità
TD6
num. 1-1995
Produrre per apprendere
e per insegnare
TD7
num. 2-1995
Costruttivismo e ambienti di
apprendimento interattivi
TD8/9 num. 3-1995 / num. 1-1996
Tecnologie Didattiche
per l’educazione ambientale
TD10
num. 2-1996
Argomenti vari
TD11
num. 1-1997
Software didattico
TD12
num. 2-1997
Comunicazione Mediata
dal Computer
TD13
num. 1-1998
Innovazione scolastica
TD14
num. 2-1998
Innovazione scolastica
TD15
num. 3-1998
Apprendimento e telematica
TD16
num. 1-1999
Qualità
TD17
num. 2-1999
Argomenti vari
TD18
num. 3-1999
Docenti e Formatori
TD19
num. 1-2000
Argomenti vari
TD20
num. 2-2000
Argomenti vari
TD21
num. 3-2000
Argomenti vari + Dossier SVITA
TD22
num. 1-2001
Dal convegno TED
TD23
num. 2-2001
Argomenti vari + Dossier EUROPA
TD24
num. 3-2001
TD e scienze cognitive
TD25
num. 1-2002
Telematica e apprendimento
TD26
num. 2-2002
Argomenti vari
TD1
TD27
numero 3-2002
TD27
IN QUESTO NUMERO
num. 3-2002
Imparare giocando con i robot
È possibile ricevere in contrassegno i numeri
arretrati effettuando un versamento
di 10,00 euro (a numero) sul c.c.p. 240663,
intestato a: Edizioni Menabò s.r.l.
Via F.P. Cespa 102 - 66026 ORTONA (CH).
TD - NORME PER LA PUBBLICAZIONE
TD pubblica articoli che riguardano ricerca e applicazioni nel settore delle tecnologie didattiche, e in particolare i seguenti argomenti:
- teorie e modelli dell’apprendimento in relazione all’uso delle tecnologie didattiche,
- tecnologie didattiche e valutazione dell’apprendimento,
- sviluppo e validazione di sistemi didattici,
- sistemi didattici complessi,
- software didattico,
- tecnologie didattiche e disabilità,
- tecnologie didattiche e discipline,
- tecnologie e metodi innovativi per la didattica (telematica, intelligenza artificiale, realtà virtuale, etc)
- formazione e apprendimento a distanza.
Gli articoli pubblicati su TD sono sia contributi scritti su “invito” del comitato di redazione sia contributi inviati spontaneamente, e vengono comunque
sottoposti al giudizio di due “referee” (Per inviare contributi, scrivere a
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Ciascun contributo non dovrà superare i 30.000 caratteri. Oltre al titolo e ai
nomi degli autori, con l’indicazione dell’ente di appartenenza, ogni contributo dovrà avere un “occhiello”, o sottotitolo, di 300 caratteri al massimo. Dovrà inoltre essere indicato l’indirizzo a cui si desidera sia inviata la corrispondenza relativa all’articolo stesso. Il testo dovrà essere times corpo 12, interlinea
doppio, con due livelli di titoli: il primo livello in maiuscolo e grassetto (sempre times 12) e il secondo in minuscolo grassetto. Le figure e le tabelle (in
bianco e nero) dovranno essere a parte, mentre la loro posizione ottimale nel
testo dovrà essere indicata come segue:
Fig.1
L’articolo dovrà contenere almeno un riferimento per ciascuno dei testi presenti in bibliografia.
I riferimenti bibliografici nel testo saranno del tipo:
[Rowntree, 1992] per autori singoli;
[Mispelkamp e Sarti, 1994] per due autori;
[Persico et al, 1985] per più di due autori.
Nel caso di autori e anno di pubblicazione uguale, distinguere con una lettera dopo l’anno:
[Ferraris et al, 1984a]
La bibliografia dovrà essere in fondo al testo, in ordine alfabetico.
Il formato per libri e monografie è il seguente:
Rowntree D. (1992), Exploring open and distance learning, Kogan Page,
London.
Il formato per articoli apparsi su riviste è il seguente:
Ferraris M., Midoro V., Olimpo G. (1984a), Instructional system design
and software system design: a unifying approach, Journal of structured learning, vol.8, pp.55-61.
Ferraris M., Midoro V., Olimpo G. (1984b), Petri nets as a modelling tool
in the development of CAL courseware, Computers and education, vol. 8,
n.1, pp.41-49.
Il formato per articoli pubblicati su atti di convegni o collezioni di articoli è il
seguente:
Persico D., Ferraris M., Midoro V., Olimpo G., Sissa G. (1985), Diagnostic
evaluation in the learning process, in Duncan K. e Harris D. (eds) Proc. of
the 4th World Conference on Computers and Education, Norfolk, VA, North
Holland, Amsterdam, pp.31-38.
Mispelkamp H., Sarti L. (1994), DISCourse: tools for the design of learning material, in de Jong T. e Sarti L. (eds) Design and production of multimedia and simulation based learning material, Kluwer Academic Publishers, Dordrecht, pp.45-60.
Dopo la bibliografia, potrà comparire una sezione “Letture consigliate”, in cui
si possono fornire ulteriori elementi bibliografici (con la stessa notazione della bibliografia) che non sono referenziati nel testo ma potrebbero essere di interesse per il lettore.
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